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La storia dell’Associazione Italiana Calciatori
Calcio e Politica
La storia dell’Associazione ItalianaCalciatori. di Giovan Giuseppe MENNELLA
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“La partita di calcio è rimasta l’ultima Sacra Rappresentazione del nostro tempo” - Pier Paolo Pasolini Era il 31 dicembre del 1964 quando al Teatro Sistina si organizzò una colletta tra i tifosi della Roma calcio per aiutare la società capitolina, oppressa da debiti per circa 2 miliardi di lire di allora. L’idea era stata lanciata il giorno precedente dall’allenatore Juan Carlos Lorenzo e lo stesso capitano dei giallorossi Giacomo Losi, “er core de Roma”, girò materialmente nel teatro per raccogliere le offerte in denaro dei tifosi romanisti. Furono raccolte 700.000 lire che, però, il presidente Marini Dettina rifiutò di accettare.
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Il problema più urgente da risolvere era il pagamento degli stipendi arretrati ai calciatori, tra i quali ovviamente non c’erano solo campioni affermati, ma anche onesti lavoratori del pallone e giovani alle prime esperienze calcistiche. In quel momento, in quella platea, fu piantato il seme, germogliato di lì a poco tra alcuni dei calciatori presenti e altri tra i più informati e avveduti, dell’idea di costituire una associazione dei calciatori, col compito di tutelare i diritti dei lavoratori del pallone, soprattutto di quelli meno ricchi e famosi e di chi, lontano dall’interesse mediatico, giocava nelle serie professionistiche inferiori. La società italiana, in quegli anni, stava attraversando una vera e propria mutazione antropologia, conseguenza diretta del miracolo economico e dall’apertura a quei valori democratici e progressisti che si diffondevano rapidamente nel mondo. Il movimento per la tutela dei diritti dei lavoratori del pallone fu contemporaneo ad altri movimenti di opinione e di lotta che si andavano sviluppando in tutti gli altri ambiti per ottenere più libertà e più diritti individuali. Di lì a pochi anni, si sarebbero ottenuti lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, quella sull’interruzione volontaria della gravidanza, il nuovo diritto di famiglia, la riforma sanitaria e così via. Per ottenere maggiore visibilità al progetto, Losi, De Sisti, Corelli. Mupo e gli altri promotori pensarono di coinvolgere i calciatori più famosi, Rivera, Mazzola, Bulgarelli, i quali diedero subito un entusiastico appoggio. Un passaggio decisivo e non facile da decidere era la scelta della persona che doveva fungere da Segretario generale del costituendo Sindacato calciatori. Losi si ricordò di un suo conoscente Sergio Campana, da poco passato dal Vicenza al Bologna, che nella città felsinea si era da poco iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza. Sarebbe stato lui il Segretario dell’AIC dalla sua fondazione fino al maggio 2011 quando gli subentrò Damiano Tommasi. Fu così che il 3 Luglio 1968 a Milano, nello studio del notaio Barassi, nacque ufficialmente l’Associazione italiana calciatori. I fondatori furono Bulgarelli, Rivera, Mazzola, Castano, De Sisti, Losi, Mupo, Sereni, Corelli e Sergio Campana. Inizialmente raccoglieva solo i calciatori di serie A e B, ma poi fu integrata anche dalla serie C nel 1971 e dalla serie D nel 1973. Uno dei principali obiettivi dell’AIC fu proprio il riordino del settore di serie C e D, i cui calciatori erano etichettati come “semiprofessionisti”, vale a dire atleti con tutti gli obblighi dei professionisti, ma con lo status giuridico dei dilettanti. Si arrivò, dopo anni di scontri, ad una ristrutturazione dei campionati, alla suddivisione in C1 e C2, con la serie D che, passando nei dilettanti nel 1981, uscì dall’Associazione.
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Il 1981 rappresentò una data determinante per tutto lo sport italiano, soprattutto per l’emanazione della legge 91 che regolò i rapporti tra società e sportivi professionisti e che riconobbe lo status di lavoratore dipendente ai calciatori. Quasi 3.000 calciatori professionisti da allora furono riconosciuti dalla legge come veri e propri lavoratori subordinati L’AIC, negli anni, riuscì ad ottenere altri importanti risultati, come il riconoscimento del diritto di immagine, l’abolizione del vincolo, la previdenza, la creazione del Fondo di fine carriera, la firma contestuale, l’Accordo collettivo, l’indennità di mancata occupazione, il Fondo di garanzia. La nostra storia sembra finita qui, ma in realtà si tratta solo di un sottofinale. C’è un’altra scena che merita di essere raccontata: si svolge nel 1995 e ha per protagonista la Corte di Giustizia dell’Unione europea. In quell’anno la Corte emana una sentenza, su ricorso del calciatore Bosman, che da allora ha regolamentato il trasferimento dei calciatori tra le Federazioni dei Paesi appartenenti all’Ue. Secondo la sentenza Bosman, i calciatori, in base all’art. 39 del Trattato di Roma, possono trasferirsi gratuitamente, alla fine del contratto, a un altro club, purché facente parte di uno Stato dell’UE; inoltre, se il contratto in vigore ha una durata residua non superiore al semestre, il calciatore può firmare un precontratto gratuito. Inoltre dalla sentenza Bosman in poi le leghe sportive non hanno potuto più imporre alle società limiti al tesseramento di atleti provenienti dall’Unione.
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In pratica, la sentenza Bosman ha trasferito, nel mondo del calcio, la politica ultraliberista inaugurata negli anni ’80 da Reagan e Thatcher e ancor più gli accordi sulla libera circolazione del WTO (World Trade Organization), sponsorizzati entusiasticamente e acriticamente da chi, almeno a parole, si dichiarava socialista, come Clinton, Blair, Giuliano Amato, per tacere di Prodi e Berlusconi che, se non altro, socialisti non lo erano mai stati. La conseguenza della sentenza Bosman è stato l’attuale gigantismo economico quasi incontrollabile dei bilanci di molte società, alcune quotate in borsa, causato dall’enorme potere contrattuale assunto dai calciatori e dai loro procuratori. La commistione perversa tra esigenze della finanza e competizione sportiva ha creato evidenti pericoli di aggiotaggio e minato l’uguaglianza competitiva che dovrebbe essere alla base del fatto sportivo.
E’ trascorso oltre mezzo secolo dalla famosa sera al teatro Sistina e il calcio, e tutto ciò che ruota intorno a esso, è profondamente cambiato adeguandosi pienamente ai tempi.
Gli enormi interessi economici (ma non solo quelli, ricordiamo la presidenza Berlusconi al Milan che fu anche veicolo di propaganda politica) impongono una nuova disciplina del settore intesa a garantire maggiore trasparenza.
Le regole del mercato vanno accettate ma, atteso che lo sport ha una valenza sociale importantissima, vanno altresì necessariamente regolamentate nel senso di una sempre più ampia giustizia, a vantaggio della collettività.
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