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Quella sinistra autonomia

Politica

Quella sinistra autonomia

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di Umberto SCOTTI DI UCCIO

Marx non scrisse il Capitale per gli operai tedeschi; Che Guevara non rimase in Argentina. Gramsci, che tanto amava la sua terra, non fondò il Partito Comunista Sardo, né Spinelli il Movimento Federalista Laziale. Qualcuno si dispiace se estremizzo? La differenza tra l’Internazionale Socialista e il Nazionalsocialismo era tutta nel prefisso “inter”, che distingue “internazionale” da “nazionale”; perché fa una bella differenza puntare al benessere di tutti gli uomini, o al benessere di tutti gli Ariani (a discapito degli altri). Possiamo forse semplificare così: le radici della destra tengono insieme le realtà nazionali; quelle della sinistra si estendono a tutto il mondo. La destra è orientata a proteggere e sottolineare le identità, la sinistra a stemperarle. La destra sottolinea le differenze, la sinistra punta alle uguaglianze. Ma ora veniamo al concreto, perché ci piace prendere le questioni alla larga, ed è pure divertente, ma poi si devono rimettere i piedi a terra: torniamo seri e parliamo delle autonomie in Italia. Abbiamo alcune Regioni a Statuto Speciale e una Provincia Autonoma; poi abbiamo tre Regioni molto orientate a chiedere grandi margini di autonomia, e altre che forse potrebbero accodarsi, anche se più lentamente. La domanda è secca: da sinistra, che posizioni tenere su questo tema? Ahimè, nonostante l’introduzione così alta, che prefigura una condanna tombale, non ho una risposta facile. Provo a salvarmi in corner con una piccola lista di spunti di riflessione.

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1. I progetti autonomisti delle Regioni Italiane hanno almeno due obiettivi: identificare formalmente alcune comunità locali e aumentarne l’indipendenza dallo Stato centrale. Non credo che i padri fondatori che ho su menzionato approverebbero un programma che mira a separare, piuttosto che a unire; non sembra per nulla una cosa di sinistra. Per esempio, pensiamo alla Scuola. Gli autonomisti premono per controllarne tanto la struttura (dagli edifici alle risorse umane), quanto i programmi (principalmente per adattarli al tessuto produttivo locale). Il motivo manifesto è: “Noi sappiamo amministrare meglio ed è giusto che ce la vediamo per conto nostro”; ma quello più profondo è quest’altro: “Vogliamo differenziare e demarcare la cultura del nostro popolo”. Potremmo chiuderla con una battuta: in tempi di globalizzazione culturale, questo è un progetto anacronistico. Ma qui è più importante dire un’altra cosa: è un progetto di destra! Non possiamo lasciar correre: in giro c’è gente con le traveggole che parte dalla Scuola e arriva alle conseguenze estreme, parlando apertamente di differenze etniche e antropologiche, ma pensando in cuor29

proprio alla razza.

2. Gli autonomisti italiani sostengono di non essere egoisti, ma solo antistatalisti. Il più importante avallo all’antistatalismo, ricordiamolo, è venuto però dalla sinistra: fu D’Alema, con la modifica del 2001, a introdurre nel Titolo V della Costituzione l’autonomia legislativa e finanziaria delle Regioni. Più di recente, la sinistra interna ed esterna al PD si è schierata contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi, che (tra le altre cose) puntava a ridefinire in modo restrittivo i poteri delle Regioni. E venendo alla cronaca, la Regione Emilia-Romagna del renziano Bonaccini è tra quelle spiccatamente autonomiste. Insomma, sembra che sul piano politico la sinistra italiana, almeno, ondeggi; e che certo non possa puntare il dito contro gli egoismi di destra, giacché in molti casi li condivide.

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3. Il terzo livello è ancora più sottile. La sinistra ha appoggiato storicamente i movimenti di liberazione dei popoli, ed è cosa buona e giusta. In alcuni casi, però, i temi della “liberazione” si sono stemperati in quelli dell’autonomia. Prendiamo ad esempio il caso della Catalogna. L’indipendentismo Catalano fu legato all’antifascismo, fu antifranchista, e fu ovviamente sostenuto dai Partiti Comunisti. Forse su questa base, parte della sinistra italiana è stata infiammata dall’indipendentismo di Puigdemont (che oggi riveste il ruolo davvero unico di Europarlamentare in esilio), sbracciandosi a sostenere il diritto di autodeterminazione dei popoli. Peccato che nel frattempo la Spagna sia diventata un Paese democratico ed europeo e le ragioni dell’indipendenza siano scivolate dalla libertà personale a quella di godersi i vantaggi di un’economia più forte della media nazionale. Anche in questo caso la politica ha portato la sinistra in un cul de sac: perché mai dovremmo dire “Catalogna sì e Nordest italiano no”?

Fortuna che c’è Agosto alle porte: c’è tempo per pensarci su.

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