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“Bisagno”. Il Primo Partigiano d’Italia e un “giallo” della Resistenza

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Tre raccontini

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Storia della Resistenza

“Bisagno”. Il Primo Partigianod’Italia e un “giallo” della Resistenza.

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Nasce a Genova il 12 settembre 1921 Aldo Gastaldi che, assumendo come partigiano il nome di battaglia di “Bisagno”, dal torrente che attraversa Genova, doveva passare alla storia come “Il Primo Partigiano d’Italia” tanto rilevante e singolare fu la sua vicenda resistenziale. Una delle particolarità della vicenda di “Bisagno” è che fu attivo nelle Brigate Garibaldi, vicine al Partito Comunista, ma come cattolico e apolitico e notevolmente contrario al reclutamento a fini politici che alcuni capi partigiani andavano svolgendo durante la Guerra di Liberazione e con i quali si scontrò aspramente più di

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una volta.

Fin da poco più che bambino, era stato un grande camminatore, escursionista e cacciatore sulle aspre alture vicino a Genova. Si ricorda che a tredici anni andava a piedi sulla vetta del Monte Antola, camminando dodici ore. Ed anche un forte atleta, rugbista e canottiere della Società Canottieri genovesi Elpis.

Studente e lavoratore nello stesso tempo, si divideva tra il lavoro all’Ansaldo e lo studio dell’Economia all’Università di Genova. La caduta del Fascismo il 25 Luglio 1943 lo coglie mentre è in servizio come marconista presso il 15° Reggimento Genio a Chiavari e subito si distingue distruggendo i simboli del Regime nella Casa del Fascio. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 nasconde le armi del suo reparto, ormai sbandato, nel Castello di Chiavari e poi è avvicinato dal Partito Comunista per dare vita a una formazione partigiana.

Sulle alture di Cichero, frazione del Comune di San Colombano Certenali sulle pendici del Monte Remaceto, contribuisce a fondare nell’inverno del 1943 la prima formazione partigiana della zona, da lui comandata, che sarebbe diventata la terza Brigata Garibaldi e avrebbe assunto in seguito il nome di Brigata Cichero dopo che i nazisti bruciarono quel villaggio nel Maggio 1943. La Brigata era stata rinforzata notevolmente dall’apporto di centinaia dii Alpini del Battaglione Vestone della Divisione fascista Monte Rosa che avevano disertato ed erano passati ai partigiani per devozione e ammirazione nei confronti di Bisagno.

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Diventa vice-comandante della VI Zona partigiana che comprendeva parte della Liguria e i territori montani delle province limitrofe del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia. Il tipo di lotta partigiana che si condusse su quelle alture liguri fu del tutto particolare, caratterizzato notevolmente dalla forte personalità e carisma del personaggio Bisagno. Fu lui a elaborare in larga misura, mettendole in pratica con l’esempio, le linee di azione cui si dovevano attenere i combattenti per libertà e che passarono alla storia come “Codice di Cichero”. Non si dovevano molestare le donne, non si doveva bestemmiare, si dovevano aiutare i contadini nei lavori agricoli, la roba ai contadini si doveva chiedere e non prendere e, possibilmente, pagare; in azione si dovevano rispettare gli ordini dei comandanti ma poi, ad azione conclusa, si potevano discutere in libere assemblee, il capo doveva essere eletto dai compagni e doveva essere il primo davanti a tutti nelle azioni pericolose, l’ultimo a ricevere il cibo e il vestiario, gli spettava sempre

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il turno di guardia più faticoso. Con questi presupposti e questo comportamento, Bisagno divenne ben presto amatissimo dai compagni e quasi una leggenda presso le popolazioni. Una testimonianza di compagni di lotta ricorda che “quando Bisagno ti scrutava, era come se ti passasse da parte a parte con del piombo fuso”. Si ricorda anche di quando si fermò per aiutare un vecchio contadino a portare in salita per molte centinaia di metri delle fascine pesantissime, o della sua umanità come quella volta in cui diede ordine di non sparare in una facile imboscata contro alcuni giovani militi fascisti dicendo che anche loro avevano una mamma e bisognava evitare eccidi e morti inutili perché ben presto sarebbe arrivato il momento di riappacificarsi e di ricostruire tutti insieme l’Italia. Insomma, un forte esempio di moralità e disinteresse, oltre che di efficienza organizzativa e combattiva. Altra caratteristica fondamentale di Bisagno era la critica nei confronti del partitismo nelle brigate. Riteneva che avrebbe potuto compromettere la lotta partigiana, per questo non era disposto a cedere agli ordini dei partiti. Diceva “Noi combattenti non abbiamo un partito, non lottiamo per avere un cadreghino, vogliamo bene alle nostre case, vogliamo bene alla nostra terra e non vogliamo che sia calpestata dallo straniero, dobbiamo agire nella massima giustizia e senza prevenzioni”, oppure “Continuerò a gridare ogni volta che si vogliano fare ingiustizie e griderò contro chiunque, anche se il mio grido dovesse costarmi disgrazie o altro”. Indubbiamente, questo modo di procedere e questo forte slancio morale creò tensioni con altri comandanti e con alcuni ordini dei partiti.

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Inoltre, era fonte di dubbi il suo forte impegno cristiano che destava sospetti soprattutto tra i comunisti. Era sempre critico nei confronti di alcuni commissari politici che sembravano fare solo l’interesse di loro stessi e dei loro partiti. Alcuni dissensi, in particolare con il commissario politico comunista Uckmar, portarono anche a confronti molto serrati e violenti e, alla fine, alla divisione della Brigata Cichero in due distinte brigate, una delle quali comandata da lui. Molti suoi compagni ebbero anche il timore che, al momento della discesa su Genova e della liberazione, si trovasse qualche pretesto per eliminarlo. Partecipa alla liberazione di Genova e alla smobilitazione della sua brigata Cichero. Muore tragicamente nel Maggio 1945 cadendo dal camion su cui era aggrappato mentre accompagnava alle loro case in Veneto proprio quegli Alpini del Vestone che aveva convinto a partecipare alla lotta partigiana. Il Comune di Genova gli ha dedicato un’importante strada cittadina, già via Giulio Cesare presso la Csa dello Studente, ben due Istituti scolastici, inoltre sono stati e- retti in sua memoria numerosi monumenti. Ha avuto la Medaglia d’oro al valor militare, nel 2005 i suoi resti sono stati traslati nel Cimitero monumentale di Staglieno a Genova ed è stato nominato ufficialmen-

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te “Primo Partigiano d’Italia” la cui fama dura tuttora, almeno presso gli storici e le associazioni partigiane. Dura tuttora però anche il “giallo” legato alla sua morte, perché da subito sembrò a molti che prendessero corpo i sospetti e i timori manifestati da alcuni suoi amici e fedelissimi poco prima della liberazione di Genova. Per la sua caduta dal camion, si pensò a un omicidio perché si sarebbe opposto alle frange comuniste del Movimento partigiano, o perché si sarebbe potuto opporre con tutta la sua forza e il suo carisma a un ipotetico tentativo di colpo di stato comunista per prendere il potere in Italia. Molte di queste illazioni e sospetti sorsero nel clima di aspre contrapposizione tra comunisti e democristiani, tra marxisti e cattolici, proprie degli anni ’40 e ’50 del dopoguerra, ma sono duri a morire, tanto è vero che anche recentemente sono ricomparse sull’argomento alcune polemiche storiografiche e ideologiche. Già alcuni suoi compagni di lotta espressero il dubbio che l’incidente fosse stato procurato ad arte per eliminare il più autorevole e mitico capo partigiano non comunista. Il bel documentario televisivo del 2016 del regista Mario Gandolfo riporta molte testimonianze di alcuni antichi compagni di “Bisagno” che accreditano, sia pure in forma dubitativa, i sospetti sulla sua morte, ma non assume una posizione esplicita. In realtà, già alla fine degli anni ’90, un documento firmato da ex partigiani di tutte le tendenze politiche aveva contestato la teoria dell’omicidio, facendo presente l’inconsistenza delle sue motivazioni, perché “Bisagno” non era il solo capo partigiano non comunista, sia pure il più mitico, quindi non c’era ragione di eliminare soltanto lui.

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Nel 2018, Giampaolo Pansa, continuando nella sua opera di esame, anzi di controesame, di alcuni aspetti, a suo dire poco noti, della Resistenza da un punto di vista non ortodosso, ha ripreso le voci del presunto omicidio di “Bisagno”, nel suo libro “Uccidete il comandante bianco”, ritenendolo probabile, giacché era l’unico capo partigiano non comunista capace di opporsi al progetto egemone di presa del potere di quel Partito. Questa teoria di Pansa è stata contestata dagli studiosi della Resistenza, in genere facenti capo agli Istituti storici, ponendo l’accento il fatto che non era il solo partigiano non comunista della zona della Liguria, ma aveva avuto anche amici, compagni di lotta e ispiratori comunisti, come Giovan Battista Cnepa (nome di battaglia Marzo), Giovanni Serbandini (Bini) quasi un padre spirituale per lui e Michele Campanella (Gino) comandante della volante Severino. In particolare, lo storico Marcello Flores, intervenendo sul libro di Pansa nell’ambito di un convegno di studi all’Istituto ligure per la Storia della Resistenza, ha rilevato che in tutto il libro “Uccidete il comandante bianco” non è riportato un solo documento, una sola citazione o testimonianza, ma solo dei sentito dire, delle

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voci, delle illazioni. Se “Bisagno” è stato ucciso perché si sarebbe potuto opporre a un colpo di stato comunista, allora si sarebbero dovuti uccidere anche alcune decine di capi partigiani non comunisti. Inoltre, è stato accertato, dall’apertura degli archivi dopo la fine dell’URSS e dal libro di Victor Zaslavsky ed Elena Aga Rossi “Togliatti e Stalin” che lo stesso Stalin aveva imposto a Togliatti la “svolta di Salerno” per una collaborazione con le altre forze democratiche italiane e non voleva che i partigiani italiani facessero la rivoluzione comunista seguendo l’esempio deleterio dei partigiani greci, perché, alla conferenza di Yalta, Italia e Grecia erano rientrate nella sfera di influenza degli angloamericani. Secondo Flores, in effetti, Pansa nel suo libro sembra sposare ancora la vecchia e sorpassata tesi di Luigi Longo nel libro “Un popolo alla macchia” in cui durante la Resistenza tutto il popolo italiano aveva preso le armi e nella guerra di Liberazione tutti i combattenti erano solo comunisti. Anche lo storico Sandro Antonini, nel suo libro “Io Bisagno, il partigiano Aldo Gastaldi” polemizza con la tesi dell’omicidio accreditata da Pansa, sostenendo, come già tutti gli altri prima di lui, che non era vero che “Bisagno” era l’unico comandante non comunista della VI Zona montana di Liguria, Piemonte, Lombardia ed Emilia. Comunque, ancora oggi la figura di Aldo Gastaldi “Bisagno” anche se non molto conosciuta dal grande pubblico, si staglia come la più interessante e particolare nel panorama della Resistenza, avendo meritato il titolo di “Primo Partigiano d’Italia” per la sua figura atletica, sprezzante del pericolo, generosa, efficiente sul piano o- perativo, suscitando ancora oggi polemiche di parte e discussioni in sede di scienza storiografica.

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