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Tre raccontini

Cultura

Tre raccontini

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Come evitare una giornata al mare e vegetare pericolosamente Ero in vacanza in collina, la giornata era calda e tutti gli ospiti della casa erano in gita al mare, in una località della costiera, vicina ma non tanto. Assecondando la mia indole, mi ero rifiutato di accompagnarli, tenendomi alla lar-

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ga dalla fatica dello spostamento e dalla calura in una giornata che avrei dovuto trascorrere probabilmente assiso in una plaga balneare alla moda. Il mio buen retiro era al secondo piano di un casolare di campagna, affacciato sulle colline. Rigorosamente in mutande, senza frittata di cipolle, birra e rutto libero, bensì con acqua del rubinetto, carta e penna e contemplazione alternata del soffitto e del panorama. Condividevo la giornata con un cagnolino confinato in terrazza al pianterreno, ma non tanto perché il vero confinato ero io. L’occasione era ghiotta per un interessante ancorché estemporaneo studio comparato del comportamento umano e di quello canino. L’umano un neghittoso, passivo, forse inconcludente inquilino del secondo piano, il cagnino un vivace, attivo, ottimista inquilino del pianterreno con terrazza. Nel pomeriggio, ormai inoltrato nella sonnolenza, tutte le volte che mi affacciavo, il cagnolino, quatto quatto, incuriosito, agitava la coda, guaiva, soffiava, mi guardava con intenzione da sotto in su, sicuro che sarei finalmente sceso per socializzare. Ma l’umano del secondo piano, tetragono, non cedeva, fermo nel proposito di una tranquilla clausura, però non smetteva di osservare e riflettere sull’andirivieni del canillo. Fino a che non gli è comparsa un poco di inquietudine, vuoi vedere che questo me l’ha giurata, ormai mi odia, quando tornano gli ospiti e scendo giù, mi azzanna un polpaccio, per farmi pagare la scarsa collaborazione? Ma il finale doveva essere sorprendente. Gli amici si erano dedicati a preparare la cena, avente come dessert finale un residuo di ottimo babà al rhum. Alla fine, com’è come non è, prendi il babà, dov’è il babà, s’erano fumati il babà. Se l’era fumato in un baleno, con balzo repentino sul tavolo della cucina, il mio probabile azzannatore.

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E così il polpaccio fu salvo per puro caso, per una disattenzione in cucina.

Un’occasione mancata per salvare dei viventi Spesso il caso mischia le carte, quello che sembra facile diventa drammaticamente impossibile e quello che sembra impossibile, si realizza. Un giorno me ne andavo pigramente, con ore di anticipo come mio solito, con la borsa a tracolla, per una stradina secondaria e tranquilla, verso la piscina che frequento tre volte a settimana ormai da anni. Quando vedo zampettare di lato un piccolo scarafaggio, che si appresta ad attraversare la strada. Non avendo fretta, mi metto osservarlo, ce la farà a non farsi schiacciare da una macchina? Penso proprio di sì, perché il tragitto è breve e non si vedono macchine in giro. Ma sono troppo ottimista, arriva una macchina, ma va piano, continuo a pensare che il piccolo ce la faccia e non intervengo. Avrei potuto attraversare lentamente e mettermi in mezzo per dargli tempo. Con raccapriccio, il po-

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verino viene proprio schiacciato, contro le mie previsioni. Grande e sincero dispiacere da parte mia, francamento non so se per la brutta fine dello scarafaggio o per aver perso io l’opportunità di essere iscritto con onore nel giardino dei giusti dello Yad Vashem degli scarafaggi. Ho continuato a sentirmi in colpa per tutta la durata della sessione in piscina, chi sa se si dovevano sentire così quelli che non avevano fatto niente per salvare un perseguitato dai nazifascisti, quelli della zona grigia, descritta da Primo Levi non ricordo più se in Se questo è un uomo o se ne I sommersi e i salvati. Basta, finalmente finisce la sessione in piscina, mi sento più sollevato, forse sto dimenticando il triste episodio, sono ormai alla fermata dell’autobus per il ritorno, stavolta sulla larga strada principale, quando il fato, incredibilmente, nella stessa circostanza, nella stessa giornata, mi offre una seconda opportunità. Stavolta dovrei ripiegare sullo Yad Vashem delle api, o forse era una vespa? Sì, perché vicino ai miei piedi, un’ape, o una vespa? , evidentemente incapace di volare, stava cercando d scendere dal marciapiede e di attraversare la larga e trafficatissima strada. Stavolta non voglio fallire e con pazienza e attenzione frappongo diverse volte il piede davanti all’apetta, ma dove vuoi andare, non hai scampo, rinuncia, ti sto salvando. Ma niente, la cocciuta ogni volta riprendeva caparbiamente la sua strada di morte, giù dal marciapiede. Mi arrendo, non c’è niente da fare, oltretutto in uno dei tentativi potrei essere io a schiacciarla, questa è un’ape suicida, tutto sommato. Non posso lanciarmi davanti ad una macchina a rischio della mia stessa vita. Guardo tristemente l’ape ormai al centro della strada già sfiorata da quattro o cinque macchine. E’ finita, ormai, la prossima è quella che porrà la parola “fine” , ed eccola, enorme, che si avvicina a tutta velocità. L’insetto scompare sotto le ruote, è

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la sua fine. Ma no, che succede, lo vedo incredibilmente proiettato in alto dietro la macchina, come da una catapulta, che si libra alto nel cielo. Era successo che, mancato di un millimetro dalle ruote anteriori, il violento spostamento d’aria dell’alta velocità lo aveva lanciato in aria, come un aereo che decolla da una portaerei. E così almeno questa storia era finita bene, anche se non ero stato io l’autore della

salvezza e avrei dovuto aspettare ancora un bel po’ per avere il mio diploma di giusto.

Un’avventura ai confini della realtà Quando eravamo bambini, ai primordi delle trasmissioni televisive, in un’epoca quasi più lontana del Medioevo, c’era una trasmissione che si chiamava Ai confini

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della realtà. Ve la ricordate tutti, non è vero? No? Non ve la ricordate? Pazienza, non posso farci niente, devo essere più vecchio di Matusalemme. Correva l’anno 2008, ero andato in gita a Roma, col treno, in visita a una cara amica. Stavo ritornando a Napoli sulla solita linea ferroviaria. Veramente ora non è più tanto solita, anzi è in disuso, nel senso che i treni moderni non fanno più quella linea. Ma allora si prendevano ancora i vecchi cari treni di quella linea che, per avventura, passava proprio a pochi metri dalla casetta che abitavo da bambino e dalla quale naturalmente guardavo a mia volta passare i treni. Vicino alla antica casetta c’era la stazione che univa nella denominazione i due paesi vicini tra cui quello in cui sono nato. E così, da bambino guardavo i treni dalla casetta e da adulto, le volte che mi capitava di prendere quel treno, guardavo la casetta dal treno, con una certa emozione, anche se passava via molto velocemente, in un nanosecondo. Sono un nostalgico e quindi era grande l’emozione, ma anche la meraviglia di costatare che da grande la casa era vicinissima, mentre da bambino la ferrovia mi appariva lontanissima. Quel giorno del 2008 mi sono goduto come al solito la veduta della casetta, però è accaduto qualcosa di imprevedibile. Un altoparlante nel treno e nella stazione comunicava ai viaggiatori che il treno si sarebbe ferscendo e vedo che il ponte sui binari, che ricordavo diverso, più srato eccezionalmente alla stazioncina, quando non si era fermato mai nella storia, per un imprevisto e, poiché la partenza era prevista tra mezz’ora potevamo scendere a sgranchirci u n po’ le gambe. Scendo e noto che il ponte me lo ricordavo diverso, più grezzo, stavolta era un ponte finemente istoriato, marmoreo, sembrava il ponte di Rialto. Mi addentro nel paese, qualcosa di irresistibile mi porta verso una certa strada, quando comincio a vedere tutto in bianco e nero, come nei film neorealisti, come nelle vecchie fotografie, come in certi sogni. Man mano che m’incammino, capisco di trovarmi nella

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strada dove abitavo da bambino. Ma cos’è quell’insegna? E’ il negozio del signor Farina, uno dei primi negozi di elettrodomestici aperto nel paese ai tempi del miracolo economico, ma che poi ebbe una cattiva sorte, fallì miseramente. Quando vedo venirmi incontro una donna, bellissima, giovane, anche lei tutta in bianco e nero. Ma che hai combinato, mi dice, mi hai fatto stare in pensiero, non ti ho visto più da un’ora. Era mia madre, per qualche incantesimo strano non eravamo più nel 2008, ma nel 1958. Vi piacerebbe che vi capitasse una cosa del genere? No? A me sì, sono un nostalgico. Ma forse no, non è capitata, era una cosa ai confini della realtà, come la trasmissione della nostra infanzia, ma sarebbe una bella realtà se capitasse davvero, per tutti, ne sono sicuro. Evviva, evviva.

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