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Le donne non hanno le palle

Femminicidio

Le donne non hanno le palle

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Antonella BUCCINI

Un altro omicidio. Un’altra donna uccisa da un uomo. Un’inedita definizione è assurta non solo nel linguaggio giornalistico ma anche comune: femminicidio. L’evento dunque ha una frequenza e una connotazione tale da aver assunto una formulazione specifica nell’ordinaria comunicazione. Il racconto che segue al fatto, femminicidio, appunto, è variamente declinato. IlGiornale.it titola: “Il gigante buono e quell’amore non corrisposto”. Un certo sconcerto è d’obbligo. Una forma di comprensione dell’omicida è già in premessa. Chi legge può pensare alla bella e la bestia, con un finale però di altro tenore. Un uomo mite, dunque, l’assassino, forse un po’ disadattato e una donna che ne rifiuta le intenzioni, ma lo frequenta, come si legge nel medesimo articolo. Un tentativo surrettizio di insinuare comunque una responsabilità della vittima, un’incoerenza, un’ambiguità, che certo non giustifica un omicidio, però...

Non è una novità. Le donne sono vittime previo accertamento. Possono vantarne la condizione, affrancate da ogni pregiudizio, se aggredite in una

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rapina o scomparse per un incidente. Diversamente, negli stupri, nelle violenze o negli omicidi che si consumano in famiglia o nei pressi, c’è una sorta d’inversione dell’onere della prova, se non sempre da una prospettiva giuridica quantomeno da quella morale. Vince su tutto la pratica del sospetto nella considerazione del femminile. E la logica del sospetto cela altra e corrente istanza: una donna va plasmata, se inquieta dominata, una ribelle va assoggettata. Eppure il fenomeno è l’esito ancora di una visione culturale che ricomprende anche i più avveduti, quelli che frequentano il politicamente corretto. La libertà sessuale faticosamente conquistata dagli anni settanta sembra fagocitata da questo sistema neoliberista che ne ha mutilato ogni pensiero.

E ancora, una donna ha le palle se possiede determinazione e competenza. Si fa ricorso a uno stilema del tutto maschile, e peraltro sgradevole, di virilità o in alternativa, la sua carriera è l’esito di prestazioni sessuali opportunamente fornite. L’uomo “progressista” che si fa vanto di “aiutare” la compagna nelle faccende domestiche sta in realtà denunciando che il compito è di genere, quello femminile, la

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sua, invece è una virtù collaborativa. Le prerogative “femminili”, la dolcezza, la cura, la pazienza o la vanità, gravano ancora su una bambina sin da subito e ogni disubbidienza allo stereotipo imposto sarà possibile solo con il coraggio e la tenacia, ma, soprattutto, se potrà accedere a quegli strumenti culturali che favoriscono lo spirito critico, la costruzione dell’identità, la formazione civile. Margareth Atwood nel suo “Racconto di un’ancella”, romanzo distopico che disegna una società fondata sull’asservimento delle donne, sostiene di aver rappresentato solo la realtà a dispetto di uno scenario di fantascienza.

L’ultima vittima, Elisa era una ragazza piena di vita, che non faceva mistero dei suoi desideri, la campagna, le moto, né del suo orientamento sessuale, un disvalore in più.

Non conosciamo che percorso ha seguito Elisa, quali sono stati i suoi modelli, che sofferenze ha patito per accettarsi e farsi accettare, ma di coraggio e determinazione doveva averne tanto.

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