educare e comunicare

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17-11-2008

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DI COSA PARLA QUESTO MANUALE. E COME NE PARLA

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1. Di cosa parla questo Manuale. E come ne parla di Roberto Maragliano

1.1 Portar fuori e mettere in comune: è ciò che fanno i media Nella fortuna attuale dei due termini educazione e comunicazione è paradossalmente nascosto un meccanismo di rimozione che li riguarda allo stesso modo e, si direbbe, nella stessa misura. Di qui vogliamo partire, non solo perché per tradizione ogni discorso di impianto sceglie di partire da riflessioni di ordine linguistico, ma perché, nello specifico, i due termini su cui vogliamo ragionare (e farvi ragionare) sono tanto usati, oggi, quanto usurati. Possiamo renderci conto della rimozione che li riguarda andando alla loro radice etimologica. In quella greco-latina di comunicazione c’è l’idea del «mettere in comune». Nella parte latina della radice di educazione c’è l’idea del «portare fuori». Eppure, se ci confrontiamo con l’uso attuale delle due parole ne ricaviamo idee abbastanza diverse. Nel primo caso, infatti, prevale il senso del «trasmettere» e l’eventuale «messa in comune» è in un qualche modo costretta a subordinarsi a questa dimensione, tutta esterna, del processo comunicativo. Nel secondo caso, poi, si afferma il senso del «portare dentro», ed eventuali non riuscite dell’operazione dell’educare vengono perlopiù imputate a quanto si è fatto (o non fatto) agendo in quella direzione, vale a dire dal di fuori al di dentro dell’individuo; quasi mai sono chiamate in causa azioni fatte o non fatte nella direzione contraria. Avrebbe poco senso vedere in tutto ciò una sorta di degenerazione semantica, un fenomeno, cioè, che riguardi soltanto i comportamenti linguistici. Se cambiamento di senso c’è stato, nel tempo – e questo è impossibile negarlo –, conviene individuarne le ragioni in una prospettiva più ampia, soprattutto nel rapporto che, legando comportamenti sociali a comportamenti linguistici, fa di questi lo specchio dei mutamenti di quelli. Ora, nell’epoca della tarda modernità, che è la nostra da qualche decennio (qualcuno parla anche di post-modernità, ma nel termine c’è un che di ambiguo, legato all’idea del «post» come superamento), le pratiche sociali del comunicare e dell’educare (sia per ciò che attiene il mantenimento e lo sviluppo dei meccanismi della produzione/riproduzione della cultura, sia per quanto riguarda l’entità degli impegni politici, economici e ideologici che ne conseguono) hanno assunto un rilievo e un’importanza sconosciute alle età precedenti. E non è casuale la frequenza con cui viene usata una parola come «emergenza», quando ci si misura con i problemi posti da queste pratiche. Ciò vale anche se prendiamo in considerazione la componente tecnologica del problema. Anzi, vale ancora di più. Forse, è proprio questo legame sempre più stretto con la tec-


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