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marzo 2013 anno vI numero 22

Demolizioni meccaniche Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 6 n. 22 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

La formazione specialistica degli operatori secondo NAD Report rifiuti Il modello integrato di raccolta differenziata nella città di firenze Digestione anaerobica tecnologie avanzate per il nuovo impianto avviato in trentino Passività ambientali Oneri reali e garanzie nella compravendita di immobili

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Salvaguardare la vita e la salute di tutti coloro che lavorano in cantiere e che vivono nelle aree circostanti, in fase di progettazione, di realizzazione degli interventi e a lavoro concluso, è per Longhi S.r.l una priorità. Alla base della filosofia aziendale c’è, infatti, la sicurezza di ambiente e persone, attestata dai più qualificati standard nazionali e internazionali, ma anche la qualità e l’efficienza del servizio proposto e la continua ricerca di soluzioni innovative.

marzo 2013


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Aiutiamo l’italia a tingersi di verde

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’anno appena iniziato ci sta portando novità e conferme. Novità in quanto siamo appena usciti dalle urne con un risultato che desta stupore e preoccupazione, conferme perché come già sapevamo i tempi duri non sono finiti né si intravedono prospettive confortanti nei prossimi mesi. In un contesto di incertezza come quello appena abbozzato sembra farsi strada sempre più prepotentemente una nuova consapevolezza a livello mondiale. Una consapevolezza che si tinge di verde e che ha un potenziale ancora tutto da sfruttare. In Italia la green economy occupa, direttamente o indirettamente tra gli 850 e i 950 mila lavoratori, un piccolo esercito destinato a crescere occupando fino a 1.500.000 persone. Nel 2010 infatti tre imprese su dieci hanno aderito al nuovo green deal mentre nel 2011 il numero è addirittura raddoppiato. A livello mondiale si parla di cifre che vanno dai 15 ai 60 milioni di green workers nei prossimi 20 anni. Negli Stati Uniti sono 3 milioni i lavoratori dedicati alla produzione di beni e servizi ambientali, lo stesso numero lo ritroviamo in Brasile dove il 7% dei posti di lavoro sono legati all’ambiente. A livello europeo i dati sono ancora più chiari: 14,6 milioni di persone impiegate in attività che tutelano il futuro del nostro pianeta. Dopo aver letto questi dati è difficile non farsi delle domande, non chiedersi perché lo sfruttamento di questo potenziale sia demandato alla volontà e alla passione dei singoli, all’incoscienza e all’ostinazione di chi vede nella crisi un’opportunità di svolta per l’economia. Non possiamo non domandarci perché non vengano incoraggiate e incentivate le realtà che si impegnano e investono nella green economy ma al contrario vengano in qualche modo scoraggiate ponendole di fronte ad iter autorizzativi estenuanti e con esiti del tutto incerti. Nelle pagine di questo numero potrete leggere numerose testimonianze di imprese del settore che oggi più che mai guardano all’estero per poter lavorare in modo più efficiente, esportando know how e conoscenze in Paesi che mostrano una maggiore apertura verso le tematiche ambientali. Ci auguriamo che, nonostante le premesse non siano incoraggianti e la campagna elettorale non abbia dato molti segnali in tal senso, il Governo che verrà aiuti le imprese del settore a continuare ad operare mettendo a disposizione dell’ambiente l’ingegno e le capacità di una nuova imprenditoria verde italiana.

Massimo Viarenghi

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sommario

ECO bonifiche rifiuti demolizioni

12 La complessità della vicenda dell’Ilva di Taranto in un precario equilibrio tra tutela della salute, dell'ambiente e diritto al lavoro

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RUBRICHE ecoNews Vetrina ecoappuntamenti Libri

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STORIA DI COPERTINA L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE NELL’UTILIZZO DEI MEZZI DA DEMOLIZIONE di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÀ

44 Prosegue la sperimentazione delle tecnologie di trattamento per rendere sostenibile la filiera dei sedimenti di dragaggio

Il complesso caso dell’Ilva di Taranto di Dario Bolognesi

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il recupero dei materiali tessili dell’industria pratese di Giovanni Moschini

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INDUSTRIA VIRTUOSA: RICICLATO IL 90% DEI FUSTI IN ACCIAIO di Roccandrea Iascone

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ESPERIENZE A CONFRONTO NEL WORKSHOP DI RIFERIMENTO DEL SETTORE BONIFICHE di Tina Corleto

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fabbrica delle idee

60 Caratteristiche tecniche, applicabilità e vantaggi operativi di un’innovativa tecnologia di bonifica: il bioventing “passivo”

Una nuova vita per gli scarti degli pneumatici di Maria Beatrice Celino

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REPORT Il nuovo modello di raccolta differenziata spinta per la città di Firenze di Angelo Fazio e Domenico Scamardella

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SPECIALE L’attività microbiologica in Barriere Permeabili Reattive di D.S. Accardi et al.

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PANORAMA AZIENDE

70 Acque emunte: scarichi o rifiuti? Tra giurisprudenza e realtà operativa per trovare una risposta a una dibattuta questione

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Anno 6 - Numero 22

Ricerca e formazione sono i giusti ingredienti per lo sviluppo di Maeva Brunero Bronzin

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E l’Italia resta a guardare… di Bruno Vanzi

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Alla conquista dei mercati esteri di Maria Beatrice Celino

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Anno 6 - Numero 22 Marzo 2013 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin Collaboratori: Daniele Salvatore Accardi, Mario Aversa, Attilio Balestreri, Andrea Barbanti, Massimiliano Baric, Mario Beccari, Roberto Benvenuti, Francesca Beolchini, Alessandro Bertoni, Simone Biemmi, Dario Bolognesi, Luciano Butti, Angiolo Calì, Daniele Carissimi, Maria Beatrice Celino, Antonio Dell’Anno, Alessandro di Biase, Serena Doni, Marco Falconi, Angelo Fazio, Renato Iannelli, Roccandrea Iascone, Cristina Macci, Luca Magagnini, Mauro Majone, Grazia Masciandaro, Donato Mastrangelo, Francesco Montefinese, Giovanni Moschini, Claudio Palleschi, Tiziana Pennesi, Eleonora Peruzzi, Marco Petrangeli Papini, Lucia Pierro, Luca Prati, Mauro Roglieri, Domenico Scamardella, Franco Schenkel, Alberto Sonino, Daniela Uccelletti, Elisa Ulazzi, Bruno Vanzi, Dennis Wellington

WORK IN PROGRESS bonifica, demolizione e ricostruzione: un intervento a 360 gradi di Andrea Terziano

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A Faedo è già operativo il nuovo impianto di digestione anaerobica di Maria Beatrice Celino

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Prosegue la sperimentazione per il progetto SEDI.PORT.SIL. di L. Magagnini, E. Ulazzi e A. Bertoni

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Comitato Scientifico: Maria Rosaria Boni (Sapienza Università di Roma) Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Luciano De Propris (Consulente ambientale) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Cuneo) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

Bonifica del sottosuolo in prossimità di un edificio residenziale di Simone Biemmi e Angiolo Calì

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Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - Via C. Vidua, 7G - 10144 Torino

PROGETTI E TECNOLOGIE La riduzione dell’impronta ambientale per la bonifica dell’Isola della Certosa di A. Barbanti et al.

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Fitorisanamento dei sedimenti marini di dragaggio di A. di Biase et al.

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Tecnologie di biorisanamento: il bioventing "passivo" di T. Pennesi et al.

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NORMATIVA Oneri reali e alienazione dei siti da bonificare di Luca Prati

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Il calcolo e la gestione della Tares di Daniele Carissimi

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Acque di falda emunte nei procedimenti di bonifica di Luciano Butti e Attilio Balestreri

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Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Aggiornamenti e notizie

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DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


e co n e w s

RAEE, solo un quarto va a recupero La recente indagine realizzata da Ecodom, il Consorzio Italiano per il Recupero e il Riciclaggio degli Elettrodomestici, evidenzia come in Italia solo un quarto delle apparecchiature elettriche ed elettroniche venga consegnato ai sistemi collettivi istituiti dai produttori di RAEE. A fronte di una quantità di circa 16,3 kg di RAEE generati per abitante sono troppe le lavatrici, i forni, ma anche i piccoli elettrodomestici e gli apparecchi informatici che, pur avendo un contenuto di materie prime economicamente rilevante, finiscono in canali “illegali” gestiti da soggetti spesso non autorizzati e che difficilmente si curano dell'impatto ambientale della loro attività. Lo studio, realizzato per Ecodom da United Nations University, in collaborazione con Ipsos e con il Politecnico di Milano, ha inoltre evidenziato che gli italiani sembrano restii a disfarsi dei rifiuti elettronici e che quando lo fanno spesso smaltiscono tali apparecchiature in modo non corretto o tra i rifiuti indifferenziati.

In continua crescita il numero di navi avviate alla demolizione in asia Nonostante le innumerevoli denunce e segnalazioni le demolizioni di navi occidentali nei Paesi dell’Asia meridionale continuano, o sarebbe meglio dire aumentano. Infatti, secondo l’ultimo rapporto della Shipbreaking Platform, una coalizione globale di organizzazioni specializzate in ambiente, nel 2012 sono state ben 365 le navi inviate in Asia dagli armatori europei, un numero record che rappresenta un aumento rispetto all’anno precedente addirittura del 75%. Gli armatori italiani nel 2012 hanno triplicato il numero di navi (27) raggiungendo un poco ambito quarto posto tra i Paesi europei, capeggiati dalla Grecia con 167 navi cui segue la Germania con 48 e il Regno Unito con 30. Un business quanto mai lucrativo e al tempo stesso pericoloso, per la sicurezza dei lavoratori e per gli impatti sull’ambiente, da cui non desistono le compagnie di navigazione europee attirate dalla possibilità di trarre profitto dalle loro navi facendole demolire a costi irrisori.

Pubblicato il dodicesimo Rapporto rifiuti speciali E’ stata presentata la dodicesima edizione del Rapporto Rifiuti Speciali dell’ISPRA che fotografa la situazione registrata in Italia nel 2010. Calo dei rifiuti speciali pericolosi ed aumento di quelli non pericolosi, questo in sintesi il dato che emerge dal Rapporto, specchio della limitata ripresa del mercato e dell’industria verificatosi dopo il biennio 2008-2009. Rispetto all’anno precedente il 2010 mostra un incremento del 3,1% dei rifiuti non pericolosi mentre la riduzione dei pericolosi si

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attesta intorno al 6,3%. Analizzando la provenienza si rileva che i rifiuti speciali non pericolosi arrivano prevalentemente dal settore delle costruzioni e demolizioni e dalle attività manifatturiere. I pericolosi invece derivano per il 47,8% dal settore manifatturiero e il 24,4% è attribuibile al settore “servizi, commercio e trasporti”, che comprende un quantitativo pari a circa 1,7 milioni di tonnellate di veicoli fuori uso. In valore assoluto i rifiuti speciali complessivamente gestiti in Italia nel 2010 sono stati circa 145 milioni di tonnellate, di cui 133 milioni (il 91,8% del totale) costituiti da rifiuti non pericolosi e i restanti 12 milioni (8,2%) da rifiuti pericolosi. La forma di gestione prevalente è rappresentata dal recupero di materia per il 57,5% del totale dei rifiuti, seguono il trattamento chimico, fisico e biologico, con il 17,2%, lo stoccaggio prima dell’avvio ad operazioni di recupero/smaltimento (14,8%) e lo smaltimento in discarica con l’8,2%. Sono inoltre in crescita sia la quantità totale di rifiuti speciali esportata (+19%), provenienti soprattutto da impianti di trattamento rifiuti e inviati principalmente in Germania, sia i rifiuti importati (+46%), riconducibili in gran parte alla maggiore importazione di rifiuti di natura metallica destinati principalmente alla Lombardia.

In arrivo il decennale di terra futura Appuntamento alla Fortezza da Basso di Firenze dal 17 al 19 maggio con la decima edizione di Terra Futura, una mostra-convegno unica nel suo genere che riunisce ogni anno le migliori energie e proposte della società civile, delle istituzioni e delle imprese impegnate nella costruzione di un futuro sostenibile e più equo per tutti. Quest’anno la manifestazione - che avrà come titolo "Dieci anni dopo: oltre la Crisi, per una nuova Europa" - vuole festeggiare il decennale coinvolgendo tutti i protagonisti di questo lungo cammino e le esperienze che in questi anni hanno fatto crescere l’evento: un network formato da organizzazioni pubbliche, private, non profit e cittadini in cui persone, reti, progetti, idee e investimenti lavorano per una nuova governance globale, una “terra futura” rispettosa dell’ambiente e dei suoi abitanti e un sistema sociale ed economico più giusto, equo e solidale. Terra Futura diventa così l’esempio tangibile di come un cambiamento virtuoso sia possibile grazie all’impegno concreto di ognuno di noi. Come nelle passate edizioni, l’evento proporrà per tre giorni un intenso calendario di appuntamenti culturali, un’area espositiva rinnovata, momenti di animazione e spettacolo oltre a iniziative e progetti speciali.


Declassati 21 siti di interesse nazionale E’ in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto che ha riclassificato i Siti di Interesse Nazionale (SIN) escludendo dalle aree di competenza del Ministero 21 dei 57 siti contaminati. Secondo quanto reso noto dal Ministero dell'Ambiente, il declassamento riguarda i siti caratterizzati da un livello di inquinamento minore che passano così nelle competenze della Regione in modo da avere meno burocrazia, più rapidità negli investimenti e maggior vicinanza ai cittadini e alle esigenze locali. Come si legge nel testo del decreto, i siti che tornano regionali non soddisfano i requisiti dell'articolo 252 del decreto legislativo del 2006 “Norme in materia ambientale”, come modificato dall'articolo 36 bis della legge del 7 agosto 2012 che ha convertito in legge le “Misure urgenti per la crescita del Paese”. Tra gli “esclusi” troviamo ad esempio la Bovisa (alla periferia di Milano), Cerro al Lambro (Lombardia), i bacini dei fiumi Sacco (Lazio) e Sarno (Campania), La Maddalena (Sardegna) e alcune aree del litorale vesuviano. Le perplessità sono molte e riguardano innanzitutto la disponibilità di un’adeguata copertura economica per dar corso agli interventi, sebbene sia stato assicurato comunque il mantenimento dei finanziamenti precedenti. Diffuso è il malcontento delle associazioni ambientaliste, che vedono nell’operazione una mera procedura burocratica, uno “scaricabarile” a scapito delle persone e dell’ambiente poiché è forte la convinzione che le Regioni siano largamente impreparate a gestire situazioni così complesse.

capannoni a seguito del fallimento delle società che avevano intrapreso attività di recupero. Questi rappresentano i cosiddetti “stock storici” che Ecopneus ha il compito di gestire parallelamente alla produzione giornaliera destinandovi il 30% dell'eventuale avanzo di gestione. “I risultati ottenuti quest’anno dimostrano l’efficacia e l’efficienza del sistema - ha dichiarato Giovanni Corbetta, Direttore Generale di Ecopneus - l’obiettivo ora è di arrivare in tempi brevi a un recupero totale dei PFU, contribuendo, al contempo, con attività di ricerca e di sperimentazione, a creare le condizioni idonee allo sviluppo in Italia di un moderno comparto industriale del riciclo di questi materiali”.

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Avviate a recupero oltre 240.000 tonnellate di PFU Secondo quanto reso noto dal Ministero dell'Ambiente, sono 240.140 le tonnellate di pneumatici fuori uso raccolte e trattate nel 2012. I dati trasmessi da Ecopneus, la società senza scopo di lucro che si occupa di rintracciamento, raccolta, trattamento e destinazione finale dei PFU, mostrano come nell’anno appena trascorso sia stato superato l’obiettivo di gestione di tali materiali come definito dal D.M. n. 82 del 11/04/11. Complessivamente in Italia ogni anno giungono a fine vita 350.000 tonnellate di pneumatici, quindi, secondo i dati di Ecopneus, quasi l’80% del totale vengono gestiti secondo operazioni gratuite di raccolta presso i punti di generazione del rifiuto (gommisti, officine, stazioni di servizio ecc.), di trattamento fino all’effettivo recupero e di monitoraggio e tracciamento dei flussi. In aggiunta alla normale attività di gestione dei PFU, nel 2012 Ecopneus ha potuto portare a termine la rimozione e l’avviamento a recupero di oltre 14.000 tonnellate di PFU che giacevano abbandonate in piazzali o

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s t o ria d i c op ert i na

L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE NELL’UTILIZZO DEI MEZZI DA DEMOLIZIONE Crescita professionale, sicurezza e specializzazione sono i principali contenuti dell’innovativo percorso di formazione proposto da NAD di Massimo Viarenghi

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li escavatori a braccio alto sono un’evoluzione degli escavatori cingolati da scavo e sono l’elemento distintivo dei più svariati lavori di demolizione. Lavorare con parametri operativi sensibilmente diversi rispetto allo scavo e movimento terra, raggiungere altezze di demolizione sempre più elevate è stata un’esigenza imprescindibile delle imprese del settore delle demolizioni che ha stimolato i costruttori di macchine alla realizzazione di escavatori che oggi possono demolire con precisione chirurgica edifici di 50 m di altezza, per intendersi quasi 20 piani. Se è vero che dentro ogni macchina c’è sempre un uomo che la manovra, allora la specializzazione e la formazione degli operatori che sono demandati all’utilizzo questi giganti delle demolizioni, deve essere l’obiettivo primario di ogni impresa che opera nel settore delle demolizioni. La NAD, Associazione Nazionale Demolitori Italiani, per prima in Italia ha attivato un apposito percorso di formazione che partendo dalla formazione per escavatori a braccio standard vuole arrivare all'obiettivo della qualifica per l’utilizzo dei bracci alti aperto a tutti gli operatori delle aziende associate; un corso che si sviluppa a partire della scelta della macchina più idonea per eseguire un lavoro,

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alle tecniche operative, fino alla manutenzione programmata, fondato sul bagaglio di esperienze acquisite in decenni di lavori dai big delle demolizioni. Ce ne parla l’ing. Ivan Poroli, Coordinatore della Commissione Tecnica dell'associazione, che ha fortemente creduto e contribuito alla nascita di questi corsi, il cui obiettivo principale è la sicurezza operativa in lavorazioni dove il fattore umano gioca un ruolo fondamentale. Come questo progetto formativo si inserisce all’interno della mission NAD? NAD ha sempre avuto come mission quella di supportare e favorire la crescita professionale delle imprese operanti nel settore della demolizione ed in particolare delle proprie aziende associate. La sicurezza sul lavoro, bene primario e imprescindibile in una società etica e moderna, principale fattore qualificante delle nostre imprese, è ovviamente un aspetto che NAD ha sempre cercato di sviluppare. Partendo dall’adempimento normativo legato agli artt. 36 e 37 del D.Lgs. 81/08 e del conseguente accordo della Conferenza Stato Regioni del 22 febbraio 2012, sulla formazione e l’addestramento per l’uso delle macchine e attrezzature di lavoro per cui è necessaria una specifica abilitazione, NAD ha deciso di dare

il proprio apporto qualificato. La formazione è reputata da NAD il veicolo primario per diffondere cultura e professionalità nella demolizione. Gli addetti operatori di macchine, sono considerati uno dei pilastri su cui si fonda la professionalità e la competitività delle nostre aziende. NAD in questo caso si è candidata per essere motore del circolo virtuoso che lega azienda e dipendente anche attraverso il coinvolgimento e la formazione; tutto questo

Ing. Ivan Poroli, Coordinatore della Commissione Tecnica NAD


rientra appieno negli scopi che da sempre ci siamo riproposti di perseguire. Il corso base in cosa si differenzia rispetto all’offerta formativa già esistente sul mercato? Una delle prime domande che ci siamo posti durante lo sviluppo di questo progetto rientra proprio nella sfera dell’offerta formativa che NAD propone. Il nostro progetto ha origini già nel 2011, prima dell’emanazione dell’accordo stato regioni, sulla spinta anche di una richiesta di mercato delle aziende di demolizione volta ad avere una formazione maggiormente “customizzata” e specifica per le attività legate alla demolizione civile e industriale. Basti pensare infatti alla sostanziale differenza tra l’uso di un escavatore per effettuare attività di scavo e movimento terra e l’uso di un escavatore per attività di demolizione. Durante lo scavo e movimento terra l’escavatore passa l’80% del tempo operativo con il braccio e l’utensile che si trovano a livello del terreno o al di sotto di tale livello. In demolizione invece l’escavatore si trova per la maggior parte del tempo con il braccio a quote ben superiori a quelle del livello del terreno con ovvie ripercussioni sulla gestione della stabilità della macchina. Non parliamo poi delle sempre più marcate differenze costruttive tra escavatori da movimento terra e demolizione che giocoforza si riflettono anche sulla necessità dell’operatore di avere conoscenze specifiche sulla macchina che andrà ad utilizzare. Raccogliendo queste osservazioni, nate negli incontri mensili della Commissione Tecnica NAD che si svolgono presso la nostra sede a Milano, ci siamo chiesti come la nostra associazione possa offrire qualche qualcosa in più rispetto all’offerta di formazione base che è stata formalizzata nei contenuti dell’accordo con la Conferenza Stato Regioni del 22 Febbraio 2012. Quindi partendo dall’ottemperare quelli che sono i contenuti minimi del corso e che devono ovviamente essere rispettati per legge, abbiamo aggiunto nel nostro progetto formativo elementi sia teorici che pratici indirizzati nello specifico al mondo della demolizione. Nella parte teorica analizziamo le differenze costruttive tra un escavatore da demolizione e uno da scavo/movimento terra,

le differenze a livello di manutenzione, di gestione degli accessori e, molto importante, la diversa gestione/segnalazione/perimetrazione tra un’area di demolizione e una di scavo. Anche nell’esecuzione della prova pratica abbiamo voluto aggiungere qualcosa di nostro, prevedendo l’esecuzione delle prove direttamente nei cantieri delle nostre aziende. È stato uno sforzo notevole, basti pensare alla logistica per la variabilità del territorio ove sono dislocati i cantieri, all’applicazione da parte delle ditte dei protocolli formativi per garantire in cantiere le macchine e le attrezzature necessarie ad eseguire compiutamente la prova pratica e infine ai rapporti con le Committenti e con i Coordinatori della Sicurezza che, devo dire però, alla fine hanno gradito la presenza di un “esaminatore” in cantiere che valutava la professionalità degli operatori delle ditte appaltatrici. I nostri sforzi sono stati anche ampiamente ripagati dai feedback degli operatori e dei datori di lavoro che hanno accettato di buon grado la formazione ed hanno ritenuto i corsi, sia per contenuti che per modalità di effettuazione, interessanti e confacenti alla loro reale attività. Chi partecipa ai corsi, quanti ne avete fatti e quanti sono in programma? Al momento la partecipazione ai corsi è riservata agli operatori di macchine movimento terra (escavatori con bracci standard) di aziende iscritte a NAD. Abbiamo realizzato un primo corso pilota, per la messa a punto e la validazione del progetto formativo, che si è svolto a cavallo tra il 2011 e il 2012 in cui abbiamo formato una quindicina di addetti. Successivamente abbiamo effettuato altri 2 corsi in cui abbiamo formato in totale circa 25 addetti. Prevediamo di programmare entro la fine del 2013 almeno altre 4 sessioni formative che ci permetteranno di formare ancora circa una cinquantina di operatori. Naturalmente la cadenza dei corsi è in funzione della domanda formativa che, a sua volta, risente del mercato che, come sappiamo, purtroppo oggi è molto debole; la congiuntura economica spinge le aziende a ridurre il personale e quindi il numero degli operatori a cui è destinata la nostra azione formativa. Speriamo come tutti in un risveglio della domanda

nella seconda metà del 2013 con anche qualche significativo incremento di occupazione nel settore delle demolizioni. Che tipo di riscontro avete ricevuto da chi vi ha partecipato? Come ho detto prima i feedback che abbiamo ricevuto sono stati molto positivi sia da parte dei datori di lavoro che da parte degli operatori. In particolare i datori di lavoro hanno apprezzato la flessibilità nell’organizzazione dei corsi che sono stati effettuati sia nella sede NAD di Milano che direttamente nelle sedi delle aziende iscritte in funzione della dislocazione sul territorio nazionale delle stesse e del numero di partecipanti iscritti. Gli operatori hanno confermato la validità e la contestualizzazione del corso attraverso i risultati delle prove di apprendimento che sono state effettuate sia in ingresso che in uscita al corso. Gli stessi operatori intervistati sull’efficacia dell’azione formativa, in particolare durante lo svolgimento del corso pilota, hanno apprezzato soprattutto il fatto che sono state trattate

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s t o ria d i c op ert i na

tematiche realmente affini allo loro mansione approfondendo aspetti tecnici e teorici relativi alla demolizione che fino ad oggi venivano scarsamente affrontati nell’offerta formativa standard, per non parlare della scarsa disponibilità di materiale didattico su cui lavorare. Proprio per ovviare a questo oltre alla distribuzione ai corsisti delle slides proiettate nel corso stiamo completando un opuscolo a supporto contenente una serie di azioni da fare e da non fare in cantiere (in stile anglosassone do - don’t) supportato da una parte grafica rilevante che identifica un personaggio a fumetti che accompagnerà in futuro tutte le pubblicazioni didattiche di NAD. Qual è il mercato dei bracci alti in Italia dal punto di vista operativo? Innanzi tutto è da rilevare il grande impulso tecnologico nello sviluppo di queste macchine e delle relative attrezzature, oggi, anche grazie alle ditte associate NAD che sono state pioneristiche nel collaborare con i costruttori, l’escavatore da demolizione a braccio alto è

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una tipologia di macchina finalmente matura e pienamente inserita in un mercato specifico. In Italia il mercato dei bracci alti risente ovviamente del clima di profonda crisi in cui è immerso tutto il settore dell’edilizia. La domanda è in forte stagnazione, si iniziano a vedere sul mercato dell’usato numerose macchine anche di recente costruzione che vengono vendute dalle aziende in difficoltà. Questo fenomeno, monitorato da NAD, desta una certa preoccupazione anche per i riflessi sulla sicurezza che un mercato dell’usato dei bracci alti può determinare. L’acquisto di macchine del genere, che fino ad ora è stato prevalentemente effettuato attraverso i canali ufficiali dei commercianti e dei distributori, è infatti più controllato e soprattutto i rivenditori ufficiali offrono sempre agli acquirenti, un supporto formativo per operatori che magari, in alcuni casi, si cimentano per la prima volta nell’utilizzo di macchine di questo tipo o hanno semplicemente aumentato la “taglia” della macchina a disposizione. La compravendita di unità usate da azienda ad azienda invece non è praticamente mai accompagnata da un supporto formativo per il personale che andrà ad utilizzare la macchina a braccio alto, a maggior ragione se tale prassi avviene tra aziende di scarsa esperienza senza personale adeguatamente formato, questo può avere evidenti e tragiche ripercussioni sulla sicurezza. Anche per i datori di lavoro più attenti alla sicurezza la disponibilità sul mercato di corsi di formazione per macchine a braccio alto è praticamente nulla determinando ovvie lacune formative soprattutto per operatori con scarsa esperienza pregressa. Il secondo livello sarà proprio dedicato all’utilizzo dei bracci alti, come verrà strutturato? Ce ne sono altri nel mondo? NAD ha sempre avuto come obiettivo la formazione degli operatori per macchine a braccio alto, come testimonia anche la nostra ultima pubblicazione che tratta proprio questo argomento. Attualmente le macchine a braccio alto si possono considerare l’elemento distintivo del comparto delle demolizioni, la macchina “regina” di questa attività, e ci sembra la cosa più ovvia nel percorso logico della qualificazione professionale delle aziende quella di

avere operatori con formazione specifica per questa tipologia di macchine. L’associazione dei demolitori inglese NFDC ha già sperimentato con successo un protocollo formativo con abilitazioni per passi successivi degli operatori per macchine a braccio alto, ma in questo caso si tratta di un settore che in Inghilterra ha una tradizione di oltre cent’anni e quindi ha un terreno fertile su cui fare attecchire il seme della formazione per questa tipologia di operatori. Attualmente in Italia l’offerta formativa è affidata, come dicevo prima, sostanzialmente ai grandi produttori e ai canali ufficiali di commercializzazione di queste macchine. NAD sta verificando la possibilità di una collaborazione con alcune case costruttrici per mettere a disposizione corsi di formazione specifici per macchine a braccio alto con la finalità di offrire un ulteriore gradino professionale e un significativo contributo alla sicurezza per le aziende qualificate nel campo della demolizione. Bracci alti e sicurezza... come viene trattato questo aspetto nel corso? La sicurezza sul lavoro è un valore imprescindibile che si deve radicare ancora di più di quanto non lo sia oggi nel nostro tessuto economico. Le nostre aziende associate lo hanno capito da anni, la qualità del nostro lavoro e la professionalità delle nostre aziende è molto spesso misurata dai grandi Committenti anche nelle “performances” di sicurezza che ogni impresa è in grado di mettere in campo. Va da sé che il filo rosso che governerà la struttura del corso sarà proprio legato alla sicurezza, a partire della scelta della macchina più idonea per eseguire un lavoro, alle tecniche operative, fino alla manutenzione programmata, saranno tutti argomenti in cui la sicurezza entrerà in maniera preponderante. L’associazione pensa di aprire anche all’esterno l’attività formativa? Per il momento puntiamo a fornire il servizio ai nostri associati, anche se è in corso da parte del Consiglio Direttivo la valutazione sull’opportunità di aprire l’accesso a questi corsi anche ad aziende non associate; questo dipenderà anche da eventuali accordi che si potranno instaurare con i costruttori di macchine e dalla richiesta del mercato.


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Il complesso caso dell’Ilva di Taranto La tutela della salute, dell’ambiente e del diritto al lavoro, tra separazione dei poteri, legalità dell’azione penale e ruolo della Corte costituzionale di Dario Bolognesi*

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a vicenda dell’Ilva di Taranto, oltre che emblematica del precario equilibrio tra tutela della salute e diritto al lavoro, si segnala anche per la complessità delle questioni giuridiche implicate e per il corto circuito intervenuto tra poteri dello Stato, con la messa in scena di un dirompente conflitto tra Governo, Parlamento e Ordine giudiziario, e rimessione alla Corte Costituzionale di quella che dovrebbe essere l’ultima parola. Senonché la Corte, chiamata a pronunciarsi sui due ricorsi per conflitto di attribuzioni

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sollevati dalla Procura di Taranto contro il Decreto “salva-Ilva”, convertito nella legge n. 231 del 2012, ha “preso tempo”, dichiarando, con le ordinanze n. 16 e 17 dello scorso 13 febbraio, l’inammissibilità dei ricorsi della Procura: è stato infatti sostenuto che i ricorsi per conflitti di attribuzione proposti hanno natura “residuale” quali strumenti di tutela delle prerogative costituzionali che si assumono violate, posto che il primo controllo di costituzionalità deve essere anzitutto attuato nel diverso giudizio incidentale di

costituzionalità nell’ambito del procedimento giurisdizionale pendente. Peraltro la Corte ha sottolineato che, nel caso di specie, questioni incidentali, come tali ammissibili, sono già state sollevate dal Giudice delle indagini Preliminari di Taranto e dal Tribunale del Riesame in sede di provvedimenti cautelari reali evocando sostanzialmente gli stessi problemi sollevati dalla Procura tarantina con i ricorsi dichiarati inammissibili. Va indubbiamente condivisa la correttezza tecnica della soluzione giudiziale adottata dalla


Corte, che in tal modo ha comunque “guadagnato” qualche mese per riflettere sul merito del problema, che è il seguente: con decreto legge 3.12.2012 n. 207 (Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) il Governo ha deciso di intervenire direttamente nella contesa tra Magistratura e Dirigenza Ilva con un provvedimento che consentisse la ripresa dell’attività produttiva nello Stabilimento siderurgico di Taranto, e ciò nonostante il permanere del provvedimento di sequestro preventivo disposto dall’Autorità Giudiziaria. Il decreto ha innescato la reazione della Magistratura ionica che si è rivolta ai Giudici di Palazzo della Consulta per ottenere una declaratoria di illegittimità depositando i due ricorsi che, come si è detto, sono stati ritenuti inammissibili. Tuttavia la sostanza delle doglianze ripresa anche in sede incidentale dal Gip e dal Tribunale del Riesame di Taranto, è la medesima: si rileva che l’intervento legislativo, oltre a bloccare un provvedimento giurisdizionale in essere, impedirebbe al Pubblico Ministero di esercitare l’azione penale per i fatti reati pregressi, e ciò sebbene l’organo inquirente si trovi anche attualmente di fronte a reati di pericolo riguardanti impianti industriali a ciclo continuo. L’intervento legislativo quindi, secondo i Giudici tarantini, finirebbe per legittimare, per il tramite dell’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, la commissione di ulteriori reati dello stesso genere privando gli inquirenti della possibilità di prevenirli.

Infatti, come è noto, l’ipotesi accusatoria formulata dalla Procura di Taranto riguarda lo sversamento nell’ambiente (soprattutto a causa delle cinque aree produttive sottoposte a sequestro) di quantitativi massicci di emissioni convogliate, diffuse e fuggitive, che avrebbero causato gravi pericoli ed eventi di danno. Tuttavia non è possibile prescindere dalle vicende relative all’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) concessa allo Stabilimento il 4.8.2011 e successivamente aggiornata da nuova autorizzazione, datata 26.10.2012 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 27.10.2012 n. 252. L’AIA è stata introdotta con la direttiva 96/61/ CEE poi confluita nella direttiva 2008/1/CEE, recepita dal D.Lgs. 29.6.2010 n. 128 (cosiddetto terzo decreto correttivo del Codice dell’Ambiente) ed autorizza, verificate determinate condizioni, l’esercizio di un impianto. Il Ministro Clini, nella conferenza stampa del

23.1.2013, ha conseguentemente affermato che, in presenza di un’autorizzazione integrata ambientale riveduta e severissima, tenuto conto che le prescrizioni attualmente impartite sono le più restrittive mai applicate in un impianto siderurgico in Europa, la scelta di preservare la produttività dello Stabilimento è l’unica possibile in quanto “il programma di risanamento dello stabilimento (…) richiede risorse cospicue e si colloca in una situazione di mercato complessa. Se qualcuno pensa che il risanamento possa avvenire fermando gli impianti, non ha capito dove siamo”. La Magistratura tarantina replica che il Giudice penale può sempre disapplicare il provvedimento amministrativo e se, pur in presenza di autorizzazione integrata ambientale, permangono rischi per la salute umana, è doveroso fermare gli impianti, sicchè il provvedimento legislativo che impedisce tale azione è illegittimo. A fronte dei valori costituzionali in gioco (la tutela del lavoro e delle attività economiche da una parte e la salvaguardia della vita e della salute umana dall’altra) la Corte Costituzionale fornirà una risposta che dovrà tuttavia

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riguardare anche ed anzitutto la confusione di prerogative tra poteri dello Stato. Non è facile fare una previsione ma si può ricordare un precedente recente: la sentenza n. 250 del 2009 con la quale la Corte ha avuto modo di ribadire come gli interessi dell’impresa vadano considerati “certamente recessiv[i] a fronte di un’eventuale compromissione, se del caso indotta dal mutamento della situazione ambientale, del limite assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive”. Ancora, la Corte, raffrontando i due beni in questione, prosegue enfatizzando come l’esigenza di tutelare le aspettative dell’impresa “non può prevalere sul perseguimento di una più efficace tutela di tali superiori valori ove la tecnologia offra soluzioni i cui costi non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile: un certo grado di flessibilità del regime di esercizio dell’impianto, orientato verso tale direzione, è dunque connaturato alla particolare rilevanza costituzionale del bene giuridico che, diversamente, ne potrebbe venire offeso, nonché alla natura inevitabilmente, e spesso imprevedibilmente, mutevole del contesto ambientale di riferimento”. Parole che non sembrerebbero lasciare molti dubbi in ordine a quale valore, tra quelli in gioco, il nostro ordinamento dia prevalenza. Nondimeno, la problematicità della risposta della Corte dipende dal fatto che questa potrebbe prediligere un differente percorso

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argomentativo, e “non sentirsela” di assumersi la responsabilità di una decisione a somma zero. In questo caso, una valutazione di maggior cautela potrebbe risultare quella che assorbe una riflessione sui consueti limiti del sindacato della Corte, che le impediscono di prendere posizione circa l’esercizio della discrezionalità legislativa là dove esso sia avvenuto in maniera rispettosa del divieto di manifesta irragionevolezza e arbitrarietà. Altra critica riguarda invece la presunta impossibilità per la Magistratura di continuare a perseguire, per i 36 mesi in cui all’Ilva è stato consentito di produrre secondo le prescrizioni dell’AIA, fatti che prima dell’entrata in vigore del decreto legge avrebbero determinato profili di rilevanza penale. Qui, però, le doglianze dei ricorrenti non sembrano persuasive. A ben vedere, non è in discussione l’eccezionalità del provvedimento: esso sembra, in effetti, sospendere la rilevanza penale delle condotte e inibirne la perseguibilità, ma si tratta di scelta per l’appunto eccezionale che tiene conto della unicità delle caratteristiche socio-economiche della situazione tarantina. In realtà, il punto da affrontare sembra un altro: il decreto Ilva ha introdotto un’ipotesi tipica di modifica in senso più favorevole al reo della disciplina penale. Si tratta di ipotesi che, pur nella eccezionalità del caso concreto, è nota al codice penale, che la regola all’art. 2 commi 4 e 5 c.p. Se fosse accolta la tesi sostenuta dal giudice rimettente, si

dovrebbe allora arrivare all’assurdo di riconoscere una lesione delle prerogative della Magistratura ogni qual volta la modifica del dettato normativo cada su casi che sono oggetto di processi e indagini pendenti. Senza contare che qualora i responsabili Ilva non diano seguito alle prescrizioni contenute nell’AIA, non potranno più invocare lo scudo dell’autorizzazione, e risponderanno pienamente di ogni illecito connesso alla prosecuzione dell’attività produttiva, che sarà pertanto liberamente perseguibile dall’autorità giudiziaria. Non è pertanto condivisibile l’assunto per cui modifiche delle norme penali (per di più in melius), per quanto transitorie ed eccezionali, rappresentino per ciò solo una lesione delle prerogative della Magistratura. Concludendo, alla Corte spetta un difficile mandato: comprendere se la discrezionalità del legislatore è stata ragionevolmente esercitata nel bilanciamento tra il bene della salute e il bene del lavoro. Quello che sin d’ora può affermarsi con certezza è che affidare unicamente alla Magistratura penale la gestione di questo complesso tentativo di contemperamento e ponderazione tra beni di rilievo primario rappresenta un azzardo. Meglio sarebbe prevedere apparati politicoamministrativi realmente efficaci e capaci di incidere sulla realtà industriale prevenendo emergenze nazionali come quella rappresentata dal caso Ilva. *Studio Bolognesi


il recupero dei materiali tessili dell’industria pratese da tradizione storica a opportunità di sviluppo ecosostenibile, questo il piano operativo per il “distretto ecologico” di prato di Giovanni Moschini*

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ono ormai maturi i tempi perché sia pienamente utilizzata la grande risorsa rappresentata dai rifiuti, impiegando trattamenti e utilizzando politiche di riciclo che consentano di portare allo smaltimento finale solo ciò che effettivamente non può essere più in alcun modo utilizzato. Ciò perché sono entrate progressivamente in vigore normative locali, nazionali e internazionali in materia, perché senza dubbio non possiamo rinunciare ad una corretta e razionale gestione dei rifiuti tesa a massimizzare le economie dei costi, ma oggi anche perché sta gradatamente cambiando la cultura e la sensibilità dei cittadini (anche come scelte di consumo), delle imprese delle istituzioni e dei mercati verso le logiche del loro recupero e valorizzazione. Dal punto di vista operativo questo obiettivo può concretizzarsi attraverso una dotazione di impianti con tecnologie di primo livello, all’avanguardia in termini tecnologici e di efficienza, e contestualmente con lo sviluppo di progetti produttivi che consentano di sfruttare il rifiuto per applicazioni industriali e civili. E’ in questa ottica che ASM sta sviluppando la propria attività a Prato, con un piano operativo specifico e coerente con il concetto di “distretto ecologico” in cui tutti gli attori istituzionali, produttivi e sociali possono svolgere- in una logica armonizzata – un ruolo determinante per garantire lo sviluppo sostenibile del territorio. Occorre al riguardo evidenziare come il distretto di Prato si caratterizzi per questi prin-

cipali fattori: un ambito territoriale contenuto (la provincia con alcuni comuni confinanti delle province di Firenze e Pistoia), un settore produttivo tipico dominante (il tessile), la presenza di numerose piccole e medie imprese (circa 7.500 nel settore T&A), divisione del lavoro tra le imprese con forte specializzazione di fase, identificazione dei residenti del territorio con il settore produttivo tipico, cooperazione e competizione interna, atmosfera industriale, fiducia e capitale sociale. La produzione storica di Prato, risalente al Medioevo, è quella dei tessuti lanieri; in particolare, Prato è conosciuta per i tessuti di lana ottenuti dalla lavorazione di fibre corte (tessuti cardati) che possono anche essere composti da fibre provenienti da scarti tessili o dagli abiti usati (cardato rigenerato). Questa produzione, ancorché oggi arricchita dal trattamento anche di altre fibre sintetiche e artificiali, presenta una forte valenza ecosostenibile: essendo fibre già trattate, non sono necessari molti processi industriali (lavaggio, preparazione alla tintura, tintura stessa) con conseguenti risparmi di energia, acqua, ausiliari chimici e coloranti. Certo per rendere le fibre riutilizzabili sono necessari altri processi: ma il bilancio è comunque positivo, poiché si limita l’uso della lana vergine (effetti dell’allevamento, del trasporto, etc.) ma soprattutto i materiali tessili sottoposti a rigenerazione vengono sottratti al ciclo dei rifiuti. Più in particolare sono 58.500 le tonnellate di produzione annue di Prato in filati e tessuti

cardati, cioè il 60% del totale nazionale, e oltre il 35% dei volumi è rappresentato da lana rigenerata. Facendo un semplice bilancio ambientale, necessariamente approssimativo, sulla base delle stimate 22.000 tonnellate l’anno di materiali tessili da rigenerare utilizzate a Prato e messe a confronto con l’equivalente di fibra vergine, si arriva al risparmio di 60 milioni di kilowatt di energia, 500.000 metri cubi di acqua, 650 tonnellate di ausiliari chimici, 300 tonnellate di coloranti. In più, si evita l’immissione in atmosfera di 18.000 tonnellate di anidride carbonica e 1.000 tonnellate di anidride solforosa; dato da sottolineare infine è che queste 22.000 tonnellate non saranno avviate a smaltimento in discarica. Altra valenza ecosostenibile che da tempo è associata al distretto pratese concerne le infrastrutture: è infatti presente un impianto di depurazione centralizzata che consente di recuperare e riutilizzare le acque reflue. Dopo il processo di depurazione ed un apposito post trattamento le acque di scarico vengono distribuite alle imprese con lavorazioni ad umido del territorio attraverso l’acquedotto industriale, che costituisce una rete lunga circa 60 chilometri. Partendo da questi due aspetti oramai consolidati da tempo, è importante evidenziare ulteriori percorsi evolutivi. Per garantire una ulteriore prospettiva di sviluppo che coniughi sostenibilità ambientale e crescita dell'economia locale abbiamo identificato quattro principali linee di intervento:

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• individuazione dei flussi merceologici di materiali con caratteristiche tali da poter essere recuperati e riciclati; • realizzazione di impianti per chiudere la filiera del riciclo dei materiali individuati e per sfruttarne il potenziale energetico (energie rinnovabili); • individuazione e sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile; • sinergie impiantistiche e gestionali per ottimizzare la gestione integrata dei rifiuti. In questa logica è evidente come occorrano in primis ulteriori e nuove filiere “corte” di recupero degli scarti e dei rifiuti per evitare lo smaltimento in discarica di quantità notevoli

di rifiuto con un conseguente minor impatto ambientale, sostituire la materia prima con materia prima seconda, ricercare un’ottimizzazione dei costi di smaltimento del distretto tessile, sviluppare nuove opportunità imprenditoriali e creare nuova occupazione. A tal riguardo è stata realizzata una sperimentazione tra dicembre 2011 e maggio 2012 con 15 aziende pratesi e 100 tonnellate di scarti tessili recuperati nel distretto. Gli scarti tessili, opportunamente trattati, possono tornare a nuova vita sotto forma, ad esempio, di pannelli fonoassorbenti, tappetini, feltri per il riempimento di manufatti, imbottitura per poltrone e materassi.

I primi Paesi fornitori di tessuti e filati di lana cardata o di peli fini dell’Europa 27 (valori espressi in milioni di Euro correnti)

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Un’ulteriore sperimentazione è in corso con alcune aziende del distretto che utilizzano materiali plastici; i primi risultati ottenuti recuperando rifiuti plastici trattati da specifiche strutture in Toscana e Italia hanno consentito di realizzare supporti per l’industria tessile, casse di contenimento, prodotti per la casa etc. Sul versante degli impianti, è stato realizzato da ASM un parco fotovoltaico su una vecchia discarica oggi chiusa nel Comune di Vaiano e nello stesso Comune sorgerà anche un impianto di compostaggio. E’ inoltre allo studio un progetto di impianto di digestione anaerobica per il recupero di energia (metano) dai rifiuti organici e da fanghi di depurazione selezionati. Ma tornando sui prodotti riciclati e percorsi di promozione è da segnalare anche il Progetto Cardato Regenerated CO2 neutral lanciato dalla Camera di Commercio di Prato con il supporto del Consorzio per la Valorizzazione e Tutela dei Prodotti Tessili Cardati, attraverso il quale i produttori tessili locali possono ottenere un marchio di qualità che garantisce come la lana sia frutto di un processo di rigenerazione che contenga almeno il 70% di fibra riciclata, unitamente all’abbattimento delle emissioni di CO2 attraverso l’acquisto di certificati verdi. Poiché riteniamo che il nostro distretto abbia tutto da guadagnare dal potenziamento di un approccio ‘verde’, guadagnando in vivibilità e gradevolezza dell’ambiente ma anche in potenzialità di mercato abbiamo puntato molto insieme alle istituzioni locali anche sulla certificazione EMAS. Questo riconoscimento per il nostro distretto è finalmente una realtà e per le aziende sarà più facile acquisire certificazioni ambientali come lo stesso EMAS, Ecolabel e ISO14000 oltre alla LCA per il cardato. Sempre in una logica di squadra, per incrementare ulteriormente le possibilità di intercettare quei mercati attenti all’ecosostenibilità è stato recentemente sottoscritto un protocollo di intesa tra il comune di Prato e la città olandese di Almere. E’ un progetto su cui si confronteranno le due amministrazioni al fine di diffondere la conoscenza del prodotto tessile di recupero e creare un marchio di garanzia per tessuti riciclati che ne assicuri la tracciabilità lungo tutta la filiera produttiva. L’accordo ha per oggetto la condivisione, la valorizzazione e lo


sviluppo di iniziative per il riutilizzo di materiali, principalmente tessili, e la diffusione di buone prassi ambientali e vuole entrambi i Comuni impegnati a favorire comportamenti ecologicamente virtuosi e iniziative economiche che leghino il rispetto dell’ambiente con la redditività, coniugando l’esperienza e le conoscenze nel settore tessile dei filati e dell’abbigliamento del comune toscano al solido know-how in tema di raccolta di abiti e altri tessuti di Almere. In conclusione possiamo affermare come tutto questo rappresenti uno sforzo notevole per proiettare in una dimensione futuribile un distretto che, storicamente, ha operato in una dimensione di rispetto dell’ambiente e che oggi rappresenta un modello a cui pensiamo possano ispirarsi molte altre realtà nazionali ed internazionali nei percorsi di sviluppo ecosostenibile. *membro del Consiglio di Amministrazione di ASM S.p.a.

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INDUSTRIA VIRTUOSA: RICICLATO IL 90% DEI FUSTI IN ACCIAIO Nel 2011 sono state raccolte in Italia 84.000 tonnellate di fusti, a cui si aggiungono le 9.000 tonnellate dei contenitori rigenerati e reimmessi nel mercato di Roccandrea Iascone*

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li imballaggi metallici piĂš riciclati in Italia? Sono i fusti industriali impiegati per contenere oli, vernici, prodotti chimici e alimentari. Se nel corso di un anno viene riciclato il 76% dell'acciaio, risultato che colloca il nostro Paese fra i migliori d'Europa, la percentuale sale addirittura al 90% se si restringe il campo ai soli contenitori industriali.

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La raccolta e il riciclo dei fusti sono organizzati da Ricrea, il Consorzio Nazionale per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio, grazie a una rete di oltre 100 operatori diffusi su tutto il territorio nazionale.

Attraverso appositi impianti per il trattamento dei metalli, gli operatori valorizzano il materiale trasformandolo da rifiuto a materia prima pronta per essere rifusa nelle acciaierie e fonderie. Quando sono raccolti assieme ad altre categorie merceologiche, gli imballaggi in acciaio vengono inoltre sottoposti a operazioni


Recupero degli Imballaggi, tiene l’industria del riciclo Nello scenario critico disegnato dal rapporto di FISE Unire sulla capacità del Belpaese di recuperare spazzatura sottraendola al tradizionale sistema delle discariche, buone notizie arrivano dall’industria italiana del riciclo degli imballaggi. Un settore che, per quanto concerne i dati relativi al 2011, si è mantenuto su buoni livelli sia dal punto di vista quantitativo, pari a 7,5 milioni di tonnellate (+2% sul 2010, quando erano 7.346), sia per quanto concerne il tasso di riciclo, stabile al 64%. Scendendo nel dettaglio, sono apparsi in crescita i dati relativi a carta (+3%), plastica (+4%) e vetro (+7%), e in calo, sia pure contenuto, l’acciaio (-1%), l’alluminio (-13%) e il legno (-5%). Risultati che la dicono lunga sullo stato di salute dell’industria del riciclo. “Il riciclo dei rifiuti - ha evidenziato Corrado Scapino, presidente di Unire - costituisce una delle priorità strategiche per lo sviluppo della ‘green economy’. Gli obiettivi di riciclo europei sono, per alcune filiere, ancora lontani e per raggiungerli è necessario che oggi le strategie di crescita industriale nazionale si coniughino con politiche di sviluppo sostenibile che prevedano l’impegno e la partecipazione di tutti i soggetti economici della filiera, dai produttori ai riciclatori”, senza dimenticare, ha concluso Scapino “l’attivazione di nuove leve per stimolare il mercato dei materiali riciclati, evitando politiche ambientali miopi e strumentali”.

preliminari di selezione con sistemi magnetici, a cui fanno seguito operazioni di pulitura, frantumazione ed eliminazione dello stagno. L'acciaio recuperato viene quindi nuovamente fuso in prodotti siderurgici che possono essere utilizzati dalle aziende trasformatrici per ottenere nuovi prodotti. 84.000 tonnellate di acciaio equivalgono al peso di 12 Tour Eiffel o di 2.100 vagoni Frecciarossa. A queste si aggiungono anche 9.000 tonnellate di fusti industriali rigenerati. Oltre ad essere avviati al riciclo, infatti, i fusti possono essere sottoposti a un ciclo di operazioni che hanno come obiettivo il ripristino e la verifica delle caratteristiche del contenitore, rendendolo nuovamente utilizzabile. Le principali fasi sono il recupero della forma del fusto (risanamento di bordi e ammaccature), pulizia (scolatura, lavaggio, asciugatura), verifica della tenuta e delle superfici interne, spazzolatura esterna e verniciatura. I fusti che nel processo di bonifica si rivelano eccessivamente danneggiati per essere recuperati sono avviati al riciclo. L'acciaio è il materiale più riciclabile al mondo: può essere riciclato al 100% un numero illimitato di volte senza perdere in alcun modo le proprie qualità, con notevoli vantaggi non solo per l'ambiente ma anche per l'economia. Grazie alle 84.000 tonnellate di acciaio recuperato dai fusti industriali si è ottenuto un risparmio diretto di 159.600 tonnellate di minerali di ferro, di 50.400 tonnellate di carbone, oltre che di 1.352 terajoule di energia e di 150.360 tonnellate di CO2, equivalenti a 8.400.000 alberi che crescono ogni anno nella foresta pluviale. *Ricrea - Consorzio Nazionale Acciaio

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ESPERIENZE A CONFRONTO NEL WORKSHOP DI RIFERIMENTO DEL SETTORE BONIFICHE Sicon 2013: tra innovazioni tecnologiche, casi studio e aggiornamenti normativi è divenuto anno dopo anno un appuntamento da non perdere per le tematiche del risanamento ambientale di Tina Corleto

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el suggestivo Chiostro di San Pietro in Vincoli della Facoltà di Ingegneria dell’Università Sapienza di Roma, tra il 21 e il 23 febbraio 2013 si è tenuta la quarta edizione del workshop Sicon 2013 – Esperienze negli interventi di risanamento. La manifestazione è un appuntamento che si conferma ormai da diversi anni come riferimento nazionale per il settore delle bonifiche. Il workshop, organizzato dai gruppi di Ingegneria Sanitaria delle Università Sapienza di Roma, di Brescia e di Catania, di cui i responsabili scientifici sono rispettivamente i Proff. Maria Rosaria Boni, Carlo Collivignarelli e Federico Vagliasindi, consente con cadenza annuale a tecnici, imprese ed Enti pubblici di ritrovarsi per un confronto costruttivo sulle tematiche legate alla bonifica dei siti contaminati. L’opportunità di aggiornamento su soluzioni tecnologiche e operative diverse per problematiche ambientali comuni è solo uno degli aspetti che porta il workshop al ripetuto successo. Quest’anno, infatti, una nutrita sessione dedicata alla “Ricerca e sviluppo di tecnologie innovative” ha destato particolare attenzione da parte di molti partecipanti alla manifestazione. In particolare il bioventing passivo confrontato con il

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Soil Vapor Extraction tradizionale, l’impiego di modelli previsionali per la valutazione di trattamenti di stabilizzazione/solidificazione dei terreni, l’utilizzo del fitorisanamento anche su substrati minerari, l’applicazione della metodologia Life Cycle Assessment nel confronto tra capping tradizionale e l’impiego di selezionate specie arbustive, sono solo alcune delle proposte innovative che hanno incuriosito la platea fino alla fine del workshop. Insieme alle tecnologie in fase embrionale, il Sicon ha mostrato anche alcuni casi applicativi di noti sistemi di bonifica degli acquiferi che vantano però ben pochi impieghi sul territorio nazionale. Tra questi merita senz’altro di essere citata la realizzazione nel 2012 della seconda barriera permeabile reattiva (a distanza di quasi 10 anni dal primo e unico caso in Italia) per la Messa in Sicurezza Operativa di un sito industriale con inquinamento della falda da eteni clorurati. Ampio spazio è stato dedicato agli sviluppi tecnici e normativi correlati all’applicazione dell’analisi del rischio per siti contaminati; l’argomento è infatti in continua evoluzione e durante il Sicon 2013 sono state esposte le più recenti novità tra cui l’aggiornamento del database ISS-INAIL che riporta le pro-

prietà chimico-fisiche e tossicologiche delle specie chimiche inquinanti. Tale documento pur rappresentando un utile supporto per gli operatori del settore per la gestione dei siti contaminati e per la definizione degli interventi finalizzati alla riduzione del rischio sanitario a livelli ritenuti accettabili, non può essere l’unico elemento di approccio alla bonifica, bensì un ottimo supplemento alle prove in laboratorio e in scala pilota insieme ai modelli numerici. In merito all’analisi di rischio, è stato presentato infatti il risultato di uno studio che ha posto a confronto i principali software attualmente in commercio, per trarne le peculiarità e le criticità rispetto ai differenti percorsi di esposizione, affinché l’utente possa valutare preliminarmente la selezione di uno strumento rispetto agli altri e possa ben interpretare i risultati dell’applicazione di diversi modelli di calcolo. Vista la molteplicità degli argomenti affrontati e l’interesse destato da diversi temi e casi-studio si immagina già per l’edizione del prossimo anno, che si terrà presso l’Università di Brescia, una grande adesione di relatori e pubblico al cospetto delle novità che già si prospettano a livello nazionale e internazionale nel corso dei prossimi mesi.


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fa b b ric a d e l l e i d ee

Una nuova vita per gli scarti degli pneumatici A Calerno è entrato in attività l’impianto che produce pannelli per l’isolamento termoacustico partendo dagli scarti non recuperabili degli pneumatici di Maria Beatrice Celino

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on l’inizio del 2013 in Provincia di Reggio Emilia è divenuta realtà un’idea nata all’incirca 6 anni fa: l’idea di riutilizzare un materiale di scarto per farne un prodotto utile e di qualità. Stiamo parlando della Isol-Eco s.r.l., una società nata dalla volontà di Daniele Furin di realizzare prodotti innovativi nei settori edilizia civile, industriale, pubblica, delle infrastrutture e dell’urbanistica, e che, con il suo ultimo prodotto, mira a riutilizzare le tele di scarto derivanti dallo smaltimento degli pneumatici per farne pannelli termoisolanti e fonoassorbenti. Per conoscere più da vicino questa realtà siamo andati a Calerno, dove ha sede l’azienda, e abbiamo parlato con Daniele Furin e con Alberto Cavozza titolare della Inerti Cavozza, che insieme hanno creduto e portato avanti l’iniziativa. Daniele Furin ci racconta che l’idea è nata nel 2007 quando un tecnico di un’azienda che si occupava di smaltimento gli chiese se avesse un modo di riciclare la tela di scarto degli pneumatici. Da quel momento sono iniziate varie sperimentazioni con il materiale poiché Furin riteneva che avesse delle buone qualità e di conseguenza pensava di poterne ricavare un prodotto dalle ottime potenzialità sia per applicazioni come isolante termico che come isolante acustico.

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Dopo vari tentativi, una volta ottenuto un prodotto che sembrava idoneo, Furin si è preoccupati di verificare se il materiale aveva anche delle qualità tecniche, prima appoggiandosi a studi tecnici, poi all’Università e infine all’Istituto Giordano, un ente tecnico riconosciuto per il testing di prodotto, certificazione e progettazione. Una volta accertata la qualità del prodotto si è passati alla fase di produzione per la quale, dopo qualche tentativo infruttuoso, Isol-Eco si è appoggiata ad un artigiano che, mettendo in pratica il frutto delle sperimentazioni, ha costruito in soli quattro mesi, l’impianto per la realizzazione dei pannelli e che è stato in seguito brevettato e certificato. Per reperire le tele di scarto degli pneumatici Furin si è rivolto ad Alfredo Cavozza della Inerti Cavozza, società che si occupa in provincia di Parma, della raccolta e riciclaggio di inerti oltre che della raccolta di vari materiali tra cui, legno, pneumatici, ecc., il quale disponeva della materia prima e che apprezzando l’iniziativa ha fatto sì che tra le due realtà iniziasse la collaborazione. L’iter autorizzativo che ha portato Isol-Eco a poter iniziare la produzione del pannello all’inizio di quest’anno è durato circa 16 mesi, mesi nei quali non sono di certo mancati momenti di sconforto che Furin e Cavozza hanno però superato, forti della passione per ciò che volevano realizzare.


Il prodotto Il pannello prodotto da Isol-Eco si chiama LIFE 500 ed è un pannello realizzato con materiali di scarto degli pneumatici che ha notevoli caratteristiche di isolamento termoacustico. E' stato progettato sia per il fonoisolamento a parete, sia per l'isolamento termico degli interni. Viene realizzato in due spessori differenti, 5 cm e 7,5 cm, la versione con maggior spessore diventa un’ottima soluzione come cappotto esterno. Sempre in un’ottica di rispetto per l’ambiente Isol-Eco ha studiato le dimensioni del pannello (60x40 cm) in modo da ridurre quanto più possibile gli sfridi in fase di posa. Il pannello LIFE, essendo autoportante, non necessita di tassellature, nastrature o incollaggi. Inizialmente le applicazioni per cui era stato progettato erano legate al settore edilizio, ma in seguito è stato verificato che può essere utilizzato con successo anche per cofanature industriali, barriere acustiche e a breve verrà verificata anche la possibilità di impiego come sottofondo stradale fonoassorbente in corrispondenza di rotaie.

Il prodotto si presta inoltre ad essere utilizzato in abbinamento ad altri isolamenti aumentandone esponenzialmente le caratteristiche. Tutti gli accoppiamenti possono essere fatti direttamente durante la posa; per quanto riguarda il cartongesso invece si prevede che verranno realizzati anche accoppiamenti direttamente in fase di produzione. Un’ultima caratteristica straordinaria di questo prodotto è che può essere riciclato all’infinito. E’ per tale ragione che Isol-Eco e Cavozza si stanno organizzando per poter “chiudere il ciclo” di questo materiale, ottenendo anche le autorizzazioni per poterlo ricevere nell’impianto di trattamento quando in futuro dovrà essere smaltito. Tra le ambizioni di questi due “appassionati del riciclo” c’è anche l’idea di organizzare la vendita dei pannelli facendo in modo che l’acquirente riporti gli sfridi e le eccedenze così da poterli recuperare direttamente. Vista la passione e l’impegno riversati nella creazione del prodotto e viste soprattutto le qualità del materiale non possiamo fare altro che augurare al pannello LIFE una lunghissima vita!

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Il nuovo modello di raccolta differenziata spinta per la città di Firenze La soluzione a problematiche logistiche e funzionali per migliorare i risultati della raccolta differenziata in una città con una particolare struttura urbanistica e insediativa di Angelo Fazio e Domenico Scamardella*

L

a città di Firenze, per le caratteristiche insediative e per la sua struttura urbanistica ha sempre creato problemi logistici e funzionali al sistema di raccolta differenziata dei rifiuti. La differenza fondamentale tra il modello urbano di Firenze rispetto alle altre città europee, è la mancanza di spazi fruibili tra la parte privata e la parte pubblica. In altri termini ciò che manca mediamente negli insediamenti residenziali fiorentini sono gli spazi semi-pubblici come le corti, i cortili e i giardini.

Questo tipo di struttura vincola in maniera determinante la possibilità di scelta dei sistemi di raccolta, creando enormi problemi sia per il “porta a porta” a sacchi, sia per l’uso di bidoncini familiari o condominiali. Nel primo caso si riscontrano infatti problemi oggettivi per l’esposizione sul suolo pubblico, nel secondo caso mancano invece gli spazi necessari per ospitare i numerosi bidoncini necessari al servizio, sia negli spazi privati sia in quelli pubblici o semi pubblici.

Il Centro Storico di Firenze In questo contesto il metodo di raccolta adottato fino alla partenza del nuovo progetto, ed in parte ancora utilizzato nella parte non trasformata, è quello dei cassonetti mobili per il rifiuto indifferenziato; le “campane” stazionarie per il rifiuto definito multimateriale (vetro, plastica, lattine e tetrapak) e la raccolta “porta a porta” di carta e cartone. Questo sistema ha creato, comunque, enormi problemi sia di carattere logistico

Figura 1. Tipologie di strutture insediative nelle varie parti della città: zona monumentale, centro storico e zone di espansione

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che di carattere igienico e di decoro urbano, oltre a non garantire risultati soddisfacenti di raccolta differenziata in questa parte della città. Una considerazione importante nella valutazione del nuovo sistema di raccolta nel centro storico di Firenze, è rappresentata dalla volontà di preservare e mantenere le prerogative e le caratteristiche di quello che è stato definito patrimonio universale dell’umanità da parte dell’UNESCO. Da questo punto di vista, oltre agli aspetti tecnico-funzionali, sono stati quindi presi in considerazione gli elementi essenziali per poter garantire un decoroso impatto, sia dal punto di vista estetico che igienico, con il contesto storico ed architettonico della città, unica nel suo genere per la ricchezza di giacimenti culturali.

L’area periferica di Firenze Anche nelle aree periferiche della città, la presenza massiccia di contenitori stazionari, dovuta alla diffusa presenza di attività terziarie e commerciali, crea problemi di carattere funzionale, estetico, di impatto con la popolazione residente, oltre ad un difficile rapporto con la mobilità e con il sistema dei parcheggi. In queste aree viene utilizzato il sistema a contenitori stazionari di tipo Side loader, per quattro tipi di materiali: rifiuto indifferenziato, rifiuto organico, carta e cartone e multimateriale. La possibilità di installare una postazione completa di contenitori dedicati alle 4 tipologie di rifiuto è però fortemente vincolata dall’eccessivo ingombro dei cassonetti in strada e dalla presenza costante e diffusa sul filo strada di ingressi, passi carrabili, affacci ai piani bassi, attività economiche, etc. La difficoltà di reperimento di spazi utili su strada per la collocazione di postazioni complete di contenitori destinati alle 4 tipologie di rifiuto, rappresenta uno dei fattori vincolanti e determinanti per il rendimento delle raccolte differenziate che, con questo sistema, ha raggiunto una soglia media del 40% difficile da superare.

Le soluzioni per il centro: le postazioni interrate Il modello integrato di raccolta differenziata per la città di Firenze prevede le seguenti soluzioni. Postazioni interrate per utenze domestiche e non domestiche

I contenitori inseriti nelle postazioni interrate, collocate in aree strategiche del centro storico, hanno una capacità di 5 mc, destinate a due categorie di rifiuto: il multimateriale (vetro, plastica, lattine e tetrapak) e il rifiuto indifferenziato. Il pro- Figura 2. Mappa del centro storico di Firenze, definito getto è già entrato nella seconda fase in patrimonio universale dell’umanità da parte dell’UNESCO cui, uno dei contenitori destinati al rifiuto indifferenziato, viene destinato al rifiuto orga- di queste, composta da 8 contenitori, è stata nico. Le postazioni interrate sono destinate a realizzata in Piazza Ghiberti, presso il mercato tutte le utenze domestiche ed alle utenze non coperto di Sant’Ambrogio. La seconda postadomestiche che ricadono nell’area di pertinen- zione verrà realizzata in piazza del Mercato za (area di raccolta) con un raggio medio di ca. Centrale (San Lorenzo). 250 m. Le utenze di ristorazione sono servite Con le prime 25 postazioni interrate fin qui recon un sistema di raccolta porta a porta per la alizzate (ottobre 2012), all’interno del centro frazione multimateriale. storico del Comune di Firenze, sono stati elimiIl progetto ha avuto la sua prima realizzazione nati quasi 350 cassonetti mobili, con il miglionel 2009 in Piazza Santa Maria Novella, con ramento del decoro urbano di gran parte della l’adozione di un diverso modello di stazione città storica e con un importante incremento interrata, composta da un sistema interrato mi- delle raccolte differenziate nella parte di città sto: un compattatore scarrabile da 20 mc per il trasformata con questo nuovo sistema (57% rifiuto indifferenziato; 2 campane interrate per di RD). Il Piano UWC (Underground Waste Colil multimateriale. Gli inconvenienti legati alle lection), sarà esteso a tutto il centro storico di dimensioni dell’intervento ed alle complessità Firenze, con ca. 90 postazioni eliminando comgestionali non hanno consentito di poter diffon- plessivamente ca. 1.500 contenitori. dere il modello in altre zone della città. La raccolta “porta a porta” di carta Il progetto, quindi, è stato portato avanti sce- e cartone per le utenze domestiche e gliendo un secondo modello, meno invasivo non domestiche del centro storico e meno oneroso in termini di realizzazione. Si Il servizio viene eseguito attraverso il sistema tratta di postazioni multiple (da 4 ad 8 elemen- “porta a porta”, attraverso il conferimento e ti ciascuna) composte da contenitori da 5 mc raccolta di imballaggi di carta e cartone con interrati con presa dall’alto, accoppiati ad un frequenza settimanale per le utenze domestisistema di raccolta (definito “Up Loader”) che che e giornaliera per utenze non domestiche. prevede l’uso di un autocompattatore dotato di L’organizzazione del servizio è divisa in due gru robotizzata e scarico in tramoggia sul tetto. moduli, uno destinato alle utenze domestiche Una variante significativa del progetto è rap- e l’altro per le utenze non domestiche. Una presentata dalle postazioni semi-interrate, ulteriore divisione viene effettuata anche a licaratterizzate da un sistema di conferimento vello territoriale, attraverso l’individuazione di più adatto ai volumi ed alle caratteristiche dei due aree urbane: la prima relativa alla zona rifiuti prodotti dalle zone mercatali. La prima del Castrum romano; la seconda relativa alla

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citati in precedenza. Il modello per la trasformazione della raccolta in area periferica si basa sui tre elementi seguenti. Il sistema “Up Loader” (campane fuori terra) per le aree periferiche di Firenze

Figura 3. Sezioni tipo delle postazioni a campane interrate e rappresentazione del sistema di raccolta “Up Loader”

fascia anulare compresa all’interno dei viali di circonvallazione. La raccolta di carta e cartone per le utenze domestiche viene svolta con due criteri legati alla zona urbana di servizio: nell‘area del Castrum viene effettuata il martedì mattina, con esposizione del materiale dalle ore 7.30 alle 8.00 e con la raccolta effettuata entro le ore 9.00. La raccolta nella fascia anulare interna ai viali viene effettuata una volta alla settimana, secondo le zone individuate nella mappa esposta, dal Lunedì al Sabato, con orario di esposizione dalle 19.30 alle 20.30 e con la raccolta entro le 22.30. La raccolta di carta e cartone per le utenze non domestiche viene effettuata ogni giorno (dal Lunedì al Sabato). Nell’area del Castrum l’esposizione avviene dalle ore 9.00 alle 9.30 e la raccolta viene completata entro le 11.00. Nella fascia anulare interna ai viali il territorio è suddiviso in 9 zone di raccolta, con fasce orarie di esposizione e conferimento di un’ora, a partire dalle ore 10 fino alle ore 20.00. Nel 2011 la raccolta di carta e cartone nel centro storico di Firenze ha raggiunto una produzione complessiva di ca. 5.900 tonnellate. La maggior produzione di carta e cartone è comunque attribuibile alle utenze non domestiche, in special modo quelle commerciali, con una produzione per utente di quasi 550 kg per anno.

livello di rendimento di raccolta differenziata, compatibile con il contesto urbano di riferimento, raggiungendo una percentuale prossima al 40%. Il progetto tende a individuare soluzioni tecnologiche che: riducano lo spazio occupato in strada, per diminuire il disagio per il parcheggio dei residenti; consentano comunque di raggiungere livelli di raccolta differenziata ben maggiori rispetto agli attuali (almeno il 65%), inserendo anche la raccolta differenziata del vetro monomateriale; contribuiscano, allo stesso tempo, a dare risultati di maggior decoro per le aree urbane periferiche. Attualmente, gran parte della raccolta differenziata nell’area urbanizzata di Firenze, viene effettuata con il sistema Side Loader. Il progetto si pone il target di trasformare nei prossimi 3 anni (entro il 2015) tutta la raccolta con un nuovo sistema che raggiunga gli obiettivi

Il sistema “Up Loader” utilizza dei contenitori stazionari simili alle campane attualmente in uso, ma con un sistema tecnologico di prelevamento uguale a quello delle postazioni interrate già in uso nel centro storico di Firenze. Il sistema può quindi essere adottato trovando delle forme di sinergia e ottimizzazione tra raccolta nelle zone centrali e periferiche, oggi gestite con sistemi diversi. I vantaggi tecnico-economici e funzionali possono essere così riassunti: 1. riduzione degli ingombri su strada del 42%, a parità di volume; 2. possibilità di collocazione a destra e sinistra della carreggiata; 3. forme più compatte e decorose; 4. possibilità di standardizzare la postazione per la quasi totalità delle collocazioni su strada; 5. rendimenti alti di raccolta differenziata; 6. costi di gestione analoghi a quelli del sistema Side Loader, che si abbassano in relazione alla maggiore produzione di rifiuti. Postazioni interrate nelle aree di riqualificazione urbana

In Piazza San Jacopino, in accordo con la municipalità di Firenze, il progetto di riqualificazione dell’area, è stata l’occasione per

Le soluzioni per la periferia: il sistema “Up Loader” Nella parte esterna ai viali di circonvallazione di Firenze, la raccolta differenziata viene effettuata attraverso il sistema a cassonetti stazionari di tipo Side Loader. Come già detto il sistema ha già raggiunto il massimo

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Tabella 1. Dati di produzione rifiuti e raccolte differenziate per il Centro Storico di Firenze e per il “castrum romano”


l’inserimento di due postazioni interrate, le stesse utilizzate nel centro storico, con l’introduzione della raccolta differenziata spinta su 5 frazioni di rifiuto. Sull’area attualmente sono installati 526 contenitori stazionari, la maggior parte dei quali di tipo side loader. La produzione di rifiuti sull’area è di ca. 7.650 t/ anno, di cui 2.840 avviati a recupero sulle tre categorie classiche (carta e cartone, organico, multimateriale), con un rendimento della raccolta differenziata del 37,18%. Rapportate alle 210 piazzole attualmente installate nell’area rappresentata, le nuove postazioni, complete con 5 differenti tipologie di rifiuto, si riducono a 104, con una distribuzione dei volumi orientata verso una drastica riduzione del rifiuto indifferenziato e con una offerta significativa di volumi di materiali destinati al recupero, con un'aspettativa di raccolta differenziata volta al raggiungimento del 65% di rendimento.

Uso del controllo elettronico degli accessi per il rifiuto indifferenziato

Il sistema di controllo degli accessi rappresenta, di fatto, un deterrente per gli utenti a disfarsi del rifiuto indifferenziato. E’ composto da una calotta metallica installata sul coperchio del cassonetto (bloccato nel caso di cassonetti Side Loader o mobili) destinato al rifiuto indifferenziato. L’alloggiamento della calotta ha un volume predeterminato (di norma di ca. 20 lt). L’apertura della calotta avviene con l’identificazione dell’utente attraverso l’uso di una chiavetta elettronica personalizzata, precedentemente consegnata all’utente iscritto a TIA (o a TARSU). La chiave consente l’apertura del dispositivo ed il conferimento del rifiuto indifferenziato. Il conferimento delle altre componenti destinate al recupero è invece libero sugli altri contenitori presenti nella postazione. Attraverso la consegna delle chiavi e la conservazione e

raccolta carta e cartone nel centro storico di firenze anno 2011 (kg) Utenze non domestiche

4.857.360

Utenze domestiche

1.020.440

totale

5.877.800

produzione 2011 per utente

kg/anno

kg/ut/ anno

Utenze non domestiche

1.020.440

42,66

Utenze domestiche

4.857.360

547,93

Tabella 2. Produzioni di carta e cartone nel centro storico di Firenze nell’anno 2011

l’analisi dei dati forniti dal dispositivo elettronico, si possono conoscere i dati reali di produzione di rifiuto indifferenziato per ciascun utente, oltre a tutte le possibili anomalie di conferimento. Nello stesso tempo è possibile effettuare una accurata verifica sul territorio sulla regolare iscrizione a TIA. La combinazione di questi elementi induce l’utente ad un più corretto conferimento dei rifiuti e ad una buona raccolta differenziata, con risultati documentati di alta efficienza della RD e diminuzione complessiva dei rifiuti prodotti.

La previsione della raccolta differenziata rifiuti a Firenze nel 2015

Figura 4. Postazioni interrate realizzate in via Martelli, via dei Medici, via Brunelleschi e via dei Pecori, nell’area del Castrum romano

Figura 5. Proiezione dell’andamento della produzione rifiuti e delle raccolte differenziate nel Comune di Firenze, in seguito alla trasformazione dei servizi di raccolta, dal 2012 al 2015

Nel 2015 l’organizzazione dei servizi di raccolta nel territorio urbanizzato di Firenze, sarà basato su due modelli complementari: 1. raccolta a postazioni interrate e raccolta porta a porta di carta e cartone, nel centro storico (Unesco); 2. raccolta a campane fuori terra “Up Loader” su 5 categorie di rifiuto (RUI, carta, organico, multimateriale leggero e vetro), sulle zone di espansione esterne ai viali di circonvallazione. Attraverso l’azione congiunta delle trasformazioni sui servizi di raccolta, nel 2015 la città di Firenze potrà raggiungere i livelli di raccolta differenziata definiti nella pianificazione dell’ATO Toscana Centro, con il superamento del 65% ed un contenimento dei costi di raccolta, paragonabili a quelli attuali. *Quadrifoglio S.p.a. Firenze

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speciale

L’attività microbiologica in Barriere Permeabili Reattive Il trattamento di acque di falda contaminate da solventi clorurati mediante ferro zero valente associato a poliidrossibutirrato di D.S. Accardi*/**, L. Pierro*, M. Baric*, C. Palleschi**, D. Uccelletti**, M. Majone*, M. Beccari* e M. Petrangeli Papini* Premi Nazionali RemTech 2012

Il Comitato Scientifico ed il Comitato di Indirizzo di RemTech 2012, con il contributo di ANDIS (Ass. Naz. Ingegneria Sanitaria e Ambientale), Unione Petrolifera, Consiglio Nazionale dei Chimici, Assoreca, Federambiente e Fise-Assoambiente, hanno bandito i Premi RemTech 2012 che sono stati attribuiti agli estensori delle migliori tesi di dottorato e di laurea magistrale, discusse dopo il 1° Gennaio 2011 in una università italiana e relative ad un tema correlato alla bonifica di siti contaminati. I Premi RemTech 2012 sono stati designati da una commissione costituita dal Coordinatore dei Comitati di RemTech, da un rappresentante del Comitato Scientifico e da un rappresentante del Comitato di Indirizzo, e sono stati consegnati al termine della sessione inaugurale di RemTech in Fiera a Ferrara il 19 Settembre 2012 (www.remtechexpo.com). In questo e nei successivi numeri di Eco verranno pubblicati alcuni articoli redatti da un gruppo di vincitori dei Premi RemTech 2012 e relativi ai principali contenuti dei loro lavori di tesi di laurea magistrale e di dottorato. Daniele Cazzuffi CESI SpA Coordinatore del Comitato Scientifico e del Comitato di Indirizzo di RemTech

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l presente lavoro si inserisce in un più ampio progetto di ricerca industriale condotto in collaborazione con la Fenice-EDF S.p.A. avente lo scopo di testare l’efficacia di un nuovo mezzo composito di riempimento utilizzabile in Barriere Permeabili Reattive (PRB), composto da ferro zero-valente (ZVI) e poliidrossibutirrato (PHB). La sperimentazione è stata condotta con colonne di laboratorio simulanti sia porzioni di PRB che porzioni di acquifero a valle di una barriera. Durante l’intera sperimentazione sono stati utilizzati quali contaminanti il 1,1,2,2-TeCA (1,1,2,2 tetracloroetano), e 1,2-DCA (1,2 dicloroetano), rappresentativi della classe di composti degli etani clorurati, laddove il primo risulta completamente degradabile in presenza di (ZVI), ed il secondo risulta invece recalcitrante allo ZVI, ma degradabile biologicamente. La caratterizzazione filogenetica condotta su campioni prelevati dalle colonne simulanti una porzione di barriera ha permesso di identificare micro-

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organismi quali Pseudomonas aeruginosa e La sperimentazione ha avuto una durata temDelftia spp, che garantiscono sicuramente la porale superiore a due anni, la presenza di degradazione del PHB. Tali microorganismi Pseudomonas aeruginosa e Delftia spp è stasono in grado di colonizzare naturalmente ta verificata durante l’intero arco sperimentauna PRB contenente PHB, anche in assenza di inoculo esterno, data la loro naturale ed elevata presenza nell’ambiente. La fermentazione del PHB garantisce, tramite il rilascio di donatori di elettroni (H2 e acido acetico) e di substrato carbonioso (acidi grassi volatili, VFA), il supporto della declorazione riduttiva biologica. Figura 1. Rappresentazione degli apparati sperimentali in parallelo a flusso continuo


le, confermando la possibilità di usare il PHB quale sorgente a lento rilascio di carbonio per la stimolazione dell’attività biologica in falde acquifere contaminate.

Introduzione I solventi clorurati sono una classe di idrocarburi dove alcuni atomi di idrogeno sono sostituiti da atomi di cloro. Il loro largo utilizzo durante gli scorsi decenni in vari campi e applicazioni industriali associato, soprattutto in passato, a metodi di smaltimento e pratiche di impiego non appropriate, hanno reso questa categoria di contaminanti praticamente ubiquitari nelle acque sotterranee. Nel presente lavoro sono stati utilizzati quali contaminanti target il 1,1,2,2-TeCA ed il 1,2-DCA. Data la loro larga diffusione in scenari reali di contaminazione risultano essere ben rappresentativi di inquinamenti da solventi clorurati. I solventi clorurati, a causa delle loro peculiari caratteristiche chimico/fisiche, sono presenti come fase liquida cosiddetta non acquosa in quanto operativamente immiscibili con l’acqua. Tale fase risulta più densa dell’acqua stessa e i solventi clorurati vengono quindi convenzionalmente indicati con l’acronimo di DNAPL (Dense Non Aqueous Phase Liquid). Una volta giunti a contatto con il tetto della falda acquifera proprio per la maggiore densità continuano a migrare verso gli strati più profondi fino ad incontrare strati a minore permeabilità (il fondo della falda o lenti di materiale poco trasmissivo) sui quali si accumulano, costituendo così una fonte di contaminazione a lungo termine.

Attualmente gli approcci di trattamento di falde contaminate da solventi clorurati sono basati sul cosiddetto Pump & Treat, che consiste nell’intercettare integralmente e trattare esternamente l’intero pennacchio contaminato con costi enormi di gestione dovuti alle spese di energia e di trattamento. Negli ultimi due decenni l’attenzione della ricerca si è rivolta su processi in situ alternativi che non richiedano un apporto esterno di energia per il funzionamento e impegni gestionali gravosi. Tra questi approcci due, in particolare, sono stati oggetto del presente lavoro di ricerca: le Barriere Permeabili Reattive (PRB) e processi biologici, quali Enhanced Natural Attenuation (ENA). In particolare l’oggetto della ricerca è stato quello di accoppiare processi prettamente chimico-fisici (PRB con ZVI) con processi biologici (ENA) al fine, da un lato, di ampliare lo spettro dei contaminanti potenzialmente trattabili, e dall’altro di generare un effetto sinergico che incrementi la performance totale del trattamento.

Le Barriere Permeabili Reattive (PRB) Le PRB sono una tecnologia, in-situ, per il trattamento delle acque di falda contaminate da un largo spettro di idrocarburi clorurati alifatici. Le PRB utilizzano un mezzo reattivo e permeabile che viene posto all’interno del sistema acquifero mediante la realizzazione di una trincea continua in modo da essere attraversato dall’acqua contaminata che si muove per effetto del gradiente idraulico naturale. Il materiale reattivo è scelto in modo tale che i

Figura 2. Trend dei VFA nell’influente e nell’effluente nella colonna simulante una PRB con il PHB

processi chimico-fisici e/o biologici che avvengono all’interno della barriera consentano di degradare, immobilizzare o adsorbire il contaminante durante la fase di attraversamento. Le PRB costituiscono, essendo tecnologie in-situ, dei sistemi di trattamento con costi di gestione molto limitati; inoltre non essendo necessarie strutture esterne, il piano campagna al di sopra della zona contaminata, può essere mantenuto produttivo durante l’intero periodo di trattamento, a differenza, ad esempio, dei sistemi di Pump & Treat che necessitano di strutture fisse ed ingombranti sul piano campagna.

ENA I processi ENA si basano sulla possibilità di favorire l’attività di microrganismi capaci di degradare contaminanti specifici per via metabolica o co-metabolica. Tale obiettivo può essere raggiunto mediante il Bioenhancement, stimolando cioè il metabolismo delle popolazioni autoctone con l’instaurarsi di un ambiente favorevole alla loro crescita. Schematicamente i fenomeni di biodegradazione delle molecole organiche possono essere rappresentati da reazioni di ossidoriduzione, catalizzate dagli enzimi prodotti dai microrganismi, ossia un processo di trasferimento di uno o più elettroni da composti altamente energetici, donatori di elettroni (ossidati), a composti a minor energia, accettori di elettroni (ridotti), con immagazzinamento finale di energia nelle molecole di ATP (Bonomo, 2005). Esistono due categorie di trasformazioni: nella prima la biodegradazione fornisce carbonio ed energia per supportare la crescita

Figura 3. Profilo di degradazione del 1,2-DCA nell’apparato sperimentale senza il PHB

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s pe cial e

seconda colonna con lo scopo di simulare una porzione di acquifero a valle della barriera. L’apparato sperimentale era alimentato in continuo con una soluzione sintetica contenente circa 10 mg/l di 1,1,2,2-TeCA degradabile in presenza di ferro zerovalente (ZVI), e 1,2-DCA recalcitrante all’azione del ZVI ma degradabile bioticamente. I sistemi simulanti PRB erano riempiti con una miscela di Sabbia e ZVI; si differenziavano Figura 4. Profilo di degradazione del 1,2-DCA nell’apparato sperimentale con unicamente per la presenil PHB za in una delle due colonne cellulare ed i processi sono perciò “crescita- di un polimero biodegradabile; il poliidrossibucollegati”; nella seconda la biodegradazione tirrato (PHB), aggiunto al 5% in peso (Figura 1). non è legata alla moltiplicazione cellulare e Le peculiari caratteristiche del PHB lo rendotutto, o quasi tutto, il carbonio è mineralizzato, no potenzialmente utilizzabile quale fonte a ovvero trasformato completamente nelle forme lento rilascio di carbonio. Il PHB è prodotto inorganiche (es. anidride carbonica e metano), naturalmente da una grande varietà di microe non accumulato in biomassa (Alexander, organismi in condizioni di stress come poli1999). A questo secondo caso si riferisce soli- mero di stoccaggio. Completamente biodetamente l’attività declorante biologica, da cui è gradabile, insolubile in acqua, se degradato necessaria una ulteriore fonte di carbonio che sotto condizioni anaerobiche produce H2 e funga da substrato per la crescita. I principali Acido Acetico, entrambi accertati donatori di fattori limitanti l’attività biologica nell’ambiente elettroni per la Declorazione Riduttiva Biolonaturale sono proprio la presenza di opportu- gica. Studi precedenti confermano la possini donatori di elettroni e sufficiente substrato bilità di utilizzare il PHB come supporto per la carbonioso per la crescita. Tali fattori, laddove crescita di microorganismi decloranti. siano carenti o del tutto assenti, devono essere introdotti artificialmente, attraverso periodiche iniezioni in falda di substrati (molasse, polilattati, ecc). L’attenzione del presente lavoro è stata rivolta proprio all’utilizzo di una alternativa sorgente di carbonio, caratterizzata da lento rilascio di substrati e donatori di elettroni nel tempo. L’adozione di un tale sistema di somministrazione dei substrati permetterebbe di superare il problema delle periodiche iniezioni di composti fermentabili e limitare così i costi di gestione dell’intervento di bonifica.

Risultati e discussioni Nell’arco del progetto industriale è stato dimostrato come, da una parte il PHB risulti fermentabile biologicamente nelle condizioni generate dal ZVI, ambiente anaerobico e riduttivo, e dall’altra come i prodotti di fermentazione del PHB siano in grado di sostenere e promuovere la declorazione riduttiva biologica. Durante l’intera sperimentazione è stata monitorata la concentrazione degli acidi grassi volatili (VFA), in particolare acido acetico e butirrico, quali indicatori dell’attività fermentativa biologica. Dopo una iniziale fase di rapida fermentazione si è osservato un rilascio stabile di VFA, ad una concentrazione media di 60 mg/l, duratura nel tempo, che si è protratta per circa 800 giorni (Figura 2). Ciò ha confermato la possibilità di utilizzare il polimero quale sorgente a lento rilascio di carbonio anche in quei trattamenti che solitamente richiedono lunghi tempi, quale è appunto la bonifica di acque di falda contaminate da solventi clorurati, dove i tempi di bonifica sono dell’ordine degli anni. Tra i prodotti di fermentazione del PHB, acido acetico e H2 sono conosciuti quali effettivi donatori di elettroni nella declorazione riduttiva biologica. Al fine di simulare una condizione in cui una pregressa contaminazione di solventi clorurati abbia generato una pressione selettiva sulla comunità microbica, generando un arricchimento di quei microorganismi in grado di degradare tali composti, si è operato inoculando le colonne precedentemente descritte, poste a valle di quelle contenenti il ZVI, con un consorzio microbico

Materiali e Metodi L’apparato sperimentale era composto da 2 colonne di laboratorio simulanti porzioni di PRB, a ciascuna delle quali era collegata una

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Figura 5. Tecnica Clear-Zone con ceppi con capacità di degradare il poliidrossibutirrato


Figura 6. Analisi elettroforetica dei 16S rDNA amplificati: (1) Campione 3; (2) Campione 5; (3) Campione 7; (4) Marker

opportunamente sviluppato ed arricchito. A titolo di esempio si riporta un profilo di concentrazione del 1,2-DCA e dei suoi sottoprodotti lungo entrambi i sistemi, contenenti o meno il PHB (Figure 3 e 4). Ben si evidenzia come solo in presenza dei prodotti di fermentazione del PHB il consorzio era in grado di degradare significativamente il 1,2-DCA, producendo principalmente etano ed etilene quali sottoprodotti finali non tossici. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di identificare i microorganismi protagonisti della fermentazione del PHB e di valutarne la reale distribuzione nell’ambiente. Ai fini di un’effettiva applicazione in scenari reali di contaminazione la possibilità di utilizzare il PHB quale sorgente di carbonio senza l’apporto esterno di microorganismi, bensì fermentato spontaneamente all’interno delle falde acquifere, risulta di primaria importanza. L’apparato sperimentale contenente il PHB è stato monitorato tramite il prelievo sia dell’alimentazione che di campioni lungo le porte dell’intera colonna. Ciò ha permesso di avere una rappresentatività della distribuzione dell’attività microbica lungo la colonna in funzione del tempo di esercizio dell’apparato. Le diverse aliquote di campione sono state coltivate ed isolate su piastre Petri, contenenti terreno LB, poste per quindici giorni all’interno di una giara anaerobica per riprodurre le condizioni che sussistono nella colonna simulante una PRB. Si è osservato come fossero presenti sulle piastre varie colonie aventi morfologia diversa, che si è provveduto ad isolare successivamente. Si è osservato inoltre che la crescita di questi microorganismi avveniva anche in condizioni di parziale anaerobiosi.

La successiva fase sperimentale ha avuto Si può notare la presenza dell’inserto per quancome scopo quello di testare la capacità di to riguarda i cloni 2 e 3 che corrispondono al degradazione del polimero (PHB) da parte di campione 3 e 7. Per il clone 7, che corrisponogni singola colonia proveniente da ciascun de al campione 5, possiamo notare la presenpunto di campionamento. Uno dei metodi più za di due bande, indice del fatto che l’enzima efficaci per valutare la presenza di microrgani- di restrizione EcorI ha riconosciuto un sito di smi capaci di degradare i polimeri è il metodo taglio interno al frammento amplificato. Lo della Clear-zone (CZ). Il metodo CZ consiste studio filogenetico è stato condotto a partire nel porre a contatto i microrganismi da testare dall’identificazione del DNA ribosomiale del con film polimerici: la formazione di zone limpi- DNA tramite interrogazione di un data base. de attorno alle colonie indica che il polimero è Dai campioni 3 e 7 è stato identificato il ceppo stato idrolizzato dagli enzimi microbici e che si Pseudomonas aeruginosa, quale specie capasono ottenuti prodotti solubili (Figura 5). ce di consumare il PHB. La stessa procedura è L’identificazione dei diversi ceppi batterici si è stata eseguita per l’identificazione del campioarticolata in una prima fase di estrazione del ne 5, portando all’identificazione della specie DNA ed amplificazione del DNA ribosomale Delftia spp. Si tratta di microrganismi ubiquitari 16S attraverso l’impiego della tecnica PCR, nell’ambiente per cui l’aggiunta del PHB come usando come stampo il DNA genomico e fonte a lento rilascio di carbonio garantisce nacome primers i segueti oligonucleotidi: turalmente l’instaurarsi un ambiente favorevole fwd ACC TTG TTA CGA CTT alla crescita microbica, favorendo la declorarev AGA GTT TGA TCC TGG CTC AGT zione riduttiva biotica. Abbiamo visto come a In tale modo è stata amplificata una regione di distanza di più di un anno, l’attività dei micror1465 bp. I frammenti così ottenuti sono stati ganismi Pseudomonas aeruginosa & Delftia quindi controllati tramite elettroforesi su gel di spp. garantiva la presenza degli acidi grassi agarosio (Figura 6). Dopo aver verificato che il volatili e nonostante il rilascio di questi acidi, processo di PCR era andato a buon fine, vi- il pH dell’effluente non risulta particolarmente sta la presenza di tre bande a circa 1400 Kb, divergente da quello dell’influente. Ciò dissolsi è passati alla fase successiva che è stata ve eventuali problematiche ed ipotesi circa una quella di clonare il prodotto dell’amplificazio- possibile acidificazione dei terreni a valle di una ne nel vettore pGEM –T Easy. Esso prevede PRB dopo un trattamento di bonifica (Figura 7). la presenza di una timina su entrambe le due *Università di Roma La Sapienza estremità 3’, ciò consente il clonaggio diretto Dipartimento di Chimica dei prodotti della PCR amplificati con polime**Università di Roma La Sapienza - Dip. di rasi termostabili che aggiungono una adenina Biotecnologie Industriali ed Ambientali alle estremità dei frammenti. In questo plasmide sono presenti un polylinker e il gene per la resistenza Amp. Inoltre i cloni ricombinanti sono stati selezionati in base alla colorazione bianco/ blu grazie alla presenza del gene che codifica per l’enzima β – galattosidasi. I DNA plasmidici ottenuti dalla reazione di ligazione e successiva amplificazione nelle cellule di E.coli, sono stati analizzati per restrizione Figura 7. Andamento del pH nell’influente e nell’effluente nella colonna simulante su gel di agarosio. una PRB con il PHB

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Ricerca e formazione sono i giusti ingredienti per lo sviluppo Ecco come anche in tempi di crisi Simam punta alla crescita investendo sulle persone e stimolando l’interscambiabilità di Maeva Brunero Bronzin

I

n un periodo come quello attuale sentire parlare di ricerca e formazione può sembrare fuori luogo. Fortunatamente non è così, o almeno non è così che la pensa Sandro Rossi, Amministratore Delegato di Simam S.p.A., che abbiamo intervistato a Rimini in occasione della scorsa edizione della Fiera Ecomondo.

Dott. Sandro Rossi, Amministratore Delegato di Simam S.p.A.

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Quali sono le attività di Simam e come si sono evolute negli anni? Simam nasce nel 1994 come società di ingegneria legata alle attività di trattamento acque e, in quest’arco di tempo, ha visto lo sviluppo parallelo di altri settori come le bonifiche, l’ingegneria pura e soprattutto la ricerca, un punto di riferimento che ci dà la visione futura di quello che sarà il nostro lavoro. In questi 17 anni, Simam ha sempre ricercato l’innovazione, proponendo nuove soluzioni e cavalcando nuovi settori. Nel campo dell’acqua, ad esempio, abbiamo progettato e costruito impianti, ma se guardiamo quanti impianti abbiamo venduto ci accorgiamo che in realtà sono davvero pochi. Questo perché, sin dall’inizio abbiamo voluto fornire un servizio, noleggiando gli impianti e offrendo al cliente la gestione del trattamento, assumendoci inoltre la responsabilità degli scarichi. Inizialmente c’eravamo solo noi a fornire questo tipo di servizio e abbiamo in qualche modo spiazzato la concorrenza. Ora tutti si sono evoluti in questo senso. Un’ulteriore evoluzione è rappresentata da quello che stiamo sviluppando: in aggiunta al servizio di trattamento ora forniamo anche il recupero delle acque, grazie all’impiego di tecnologie innovative e alle partnership con società che dispongono di trattamenti efficaci possiamo arrivare ad ottenere percentuali di recupero fino al 90%.

Mi sembra di capire che la ricerca sia una componente fondamentale nella vostra realtà… E’ assolutamente così. Può sembrare presuntuoso, ma cerchiamo di essere un passo avanti ed è questo il motivo per cui abbiamo 10 persone in azienda che sono dedicate alle sole attività di ricerca e sviluppo: 10 persone “apparentemente improduttive” in tempi come questi non sono poche per una realtà delle nostre dimensioni. Per Simam, l’innovazione tecnologica è uno dei passaggi chiave per incrementare l’efficacia e l’efficienza degli impianti e migliorare il grado di compatibilità ambientale dei processi produttivi. In quest’ottica è stata avviata una serie di progetti di ricerca industriale e sviluppo precompetitivo finalizzata al raggiungimento di due obiettivi: lo sviluppo di tecnologie alternative innovative e l’individuazione delle migliori condizioni di utilizzo di quelle esistenti per il trattamento delle acque e dei rifiuti, nonché per la generazione di energia da fonti rinnovabili. Una prima linea di ricerca attiva è relativa alle tecniche di depurazione delle acque, finalizzate al loro riutilizzo. Gli studi in corso sono focalizzati sull’applicazione delle tecniche separative a membrana, specificatamente all’osmosi, nella quale si ha un trasferimento attraverso una membrana semipermeabile di acqua pura da una soluzione diluita (feed) ad una soluzione


concentrata (draw solution) grazie alla differenza di pressione osmotica tra le due soluzioni. Una seconda linea di ricerca attiene ai processi di gassificazione biologica e termica ed ha lo scopo di individuare e mettere a punto processi di produzione energetica sostenibile. La particolarità dei progetti di investimento sui processi di gassificazione è quella di individuare, laddove possibile, a livello tecnologico e legislativo, una soluzione al problema dello smaltimento di rifiuti con elevato potere energetico, mediante il loro utilizzo nell’ambito dei processi di gassificazione. Grande attenzione viene posta nello specifico agli impianti di piccola taglia volendo sviluppare tecnologie e applicazioni di microcogenerazione e autonomia energetica. Oltre alla ricerca un altro tassello fondamentale su cui mostrate di puntare molto è la formazione. Quanto ritenete sia importante per la crescita e lo sviluppo della società? Credo molto nell’attività formativa che ritengo essere la forza motrice per una realtà, come Simam, che ha un’età media del personale piuttosto bassa, nonostante sia nata e si sia sviluppata attorno a figure di lunga esperienza. Crediamo talmente nella formazione che siamo noi stessi Ente di formazione accreditato presso la Regione Marche e quindi abbiamo la possibilità di erogare corsi finanziati e non. Nonostante ciò, facciamo partecipare il personale anche a corsi esterni, per una loro

piena crescita formativa. E’ questo il nostro modo di far sì che ciò avvenga. Inoltre, una delle recenti politiche aziendali per favorire la crescita dei dipendenti è di costruire network formativi interni. Mi spiego meglio: le persone che partecipano a corsi di formazione esterni trasferiscono, successivamente, il sapere acquisito internamente, attraverso corsi che assumono la forma di seminari aziendali a cui tutti possono partecipare, anche coloro che non si occupano nello specifico di quel settore. Ritengo sia un modo per creare stimoli e per aumentare l’interscambiabilità dando quindi un’opportunità in più a chi vuole crescere professionalmente. Dall’altro lato, ciò permette all’azienda di soddisfare i propri fabbisogni con risorse interne, senza dover continuamente ricercare professionalità e servizi presso terzi. Tutto ciò viene fatto con l’obiettivo primario di costruire qualcosa che deve durare nel tempo per il personale e per l’azienda. Guardando al di fuori dell’Italia quali sono le vostre prospettive ed i vostri obiettivi sul panorama estero? Il mercato internazionale offre molte possibilità, ma muoversi in quello che viene chiamato “mercato globale” non è semplice. Simam ha diverse sedi operative estere. In particolare siamo già presenti in Croazia, Costa d’Avorio e in Senegal, paesi in cui abbiamo investito direttamente e commercialmente. Recentemente

abbiamo aperto i nostri orizzonti verso i Paesi Arabi, con delle missioni esplorative per comprenderne caratteristiche e opportunità. Infine, per rafforzare il nostro posizionamento anche in Italia, abbiamo stretto delle partnership commerciali estere importanti. E’ di qualche mese fa la firma di un accordo commerciale con la statunitense HTY Hydratation Technology Innovation, in base al quale Simam sarà distributore dei prodotti HTI, basati sulla tecnica dell’osmosi.

Simam per la solidarietà Dalla volontà della Famiglia Rossi è nata la Fondazione Maria Grazia Balducci Rossi per i più bisognosi, con la partecipazione di tutto il personale nel rispetto di comuni radici etiche e culturali. Dedicata al sostegno e alla solidarietà sociale, la Fondazione opera in Italia e in Costa d'Avorio, nella zona di Yakassé-Feyassé, e garantisce assistenza e sostegno a minori, anziani e a tutti coloro che si trovano in stato di bisogno. La Fondazione non ha solamente fini assistenziali. Lo spirito che guida il suo operato è nella convinzione che lo sviluppo dell'individuo, quindi della società, dipenda dalle opportunità offerte alle sue capacità e potenzialità. Da qui sono nati progetti, come il "Centro di Accoglienza Maria Grazia Balducci Rossi", struttura sanitaria, educativa e ricreativa che offre alla popolazione locale uno spazio di cura, di crescita e di apprendimento. Il Centro Educativo Polivalente offre la possibilità di frequentare una scuola, imparare un mestiere, acquisire competenze. La Fondazione vuole contribuire a realizzare l'"Africa per gli Africani". In Italia, sostiene famiglie in gravi difficoltà e accompagna immigrati in percorsi formativi funzionali a un loro reinserimento professionale in patria.

Progetti in Costa d'Avorio • • • • • • • •

Ospedale: farmacia, ginecologia e maternità Laboratorio di analisi Centro nutrizionale per l’infanzia Centro di addestramento igiene Scuola materna e aula didattica per l’insegnamento dei mestieri ai giovani del luogo Scuola di alfabetizzazione per adulti Assistenza agli anziani bisognosi e non autosufficienti Centro di Accoglienza Maria Grazia Balducci Rossi, Yakassé Feyassé, Costa d'Avorio

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Alla conquista dei mercati esteri Confermata dai risultati positivi la diffusione della tecnologia Forrec sui mercati internazionali di Maria Beatrice Celino

S

i è da poco chiuso un anno molto importante per Forrec: un 2012 significativo per l’impegno profuso nell’esplorare i mercati esteri, impegno reso tangibile anche dalla presenza dell’azienda a 14 tra eventi e fiere in ogni parte del mondo. Per capire l’importanza dei nuovi mercati nelle politiche aziendali e come Forrec intenda sviluppare tali strategie abbiamo intervistato Marco Zoccarato, Amministratore delegato di Forrec s.r.l.

Marco Zoccarato, Amministratore Delegato di Forrec s.r.l.

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Sig. Zoccarato, ci può raccontare come stanno procedendo le vostre attività oltre confine? Per Forrec la decisione di internazionalizzarsi è stata senza dubbio un passaggio chiave per l’azienda, per altro non determinato dall’attuale situazione di crisi: l’Italia per noi continua infatti ad essere un mercato importante e una vetrina fondamentale. Riteniamo anzi che aver eseguito dei buoni lavori in Italia e nelle nazioni confinanti ci abbia permesso di attirare l’attenzione di altri Paesi. Un mercato su cui stiamo puntando molto e dal quale abbiamo iniziato a raccogliere i primi frutti è senza dubbio rappresentato dagli Stati Uniti dove abbiamo un distributore. Devo sottolineare che l’esperienza negli USA ci è stata di grande aiuto anche per l’ingresso in altri mercati. Il livello di dettaglio nella richiesta di informazioni da parte degli americani è sorprendente, per cui abbiamo trasferito lo stesso tipo di servizio e di comunicazione anche in altri Paesi dove questo è stato molto apprezzato. Abbiamo infatti avuto dei buoni riscontri anche in mercati verso i quali ci affacciavamo per la prima volta, come Russia e Medio Oriente, dove si stanno concretizzando interessanti opportunità di collaborazione. Voi producete diverse tipologie di macchine, avete riscontrato l’affermarsi di qualche tecnologia rispetto ad altre? Quello che è emerso nell’ultimo anno è un particolare interesse per il trattamento degli pneumatici. Questa tendenza risulta in parte motivata dall’esistenza di Ecopneus, la società

senza scopo di lucro che accorpa i principali produttori di pneumatici per il rintracciamento, la raccolta, il trattamento e la destinazione finale dei PFU (Pneumatici Fuori Uso). Lo sviluppo di Ecopneus ha messo un po’ di ordine nel settore costringendo le imprese ad adeguarsi secondo certi parametri. Ciò ha permesso a Forrec, che può vantare un invidiabile know-how nella produzione di macchine e impianti per questo settore, di offrire risposte in linea con questa nuova situazione infatti, durante lo scorso anno, abbiamo realizzato tre impianti nuovi e di altrettanti abbiamo completato l’adeguamento. Un’analoga tendenza l’abbiamo notata anche all’estero dove evidentemente si stanno creando situazioni analoghe a quelle che vediamo in Italia. In Russia e alcuni Paesi del Medio Oriente, che definirei emergenti dal punto di vista delle tematiche del riciclaggio e del recupero, il trattamento dei PFU rappresenta senza dubbio una delle applicazioni che riscuotono più interesse. Consente infatti di risolvere le problematiche di gestione di un materiale che è presente ovunque, che è ormai difficile poter conferire in discarica e di cui molto si parla poiché la possibilità di riutilizzare i granulati di gomma costituisce un’interessantissima opportunità. E’ proprio in questo contesto che stiamo realizzando in Bielorussia un impianto di riciclaggio per il trattamento dei PFU che sarà posizionato all’interno del “Minsk Regional Technopark”, il parco tecnologico dedicato alle energie rinnovabili e al riciclaggio.


L’impianto di riciclaggio è stato progettato per processare fino a 4 t/ora di pneumatici di auto e camion fuori uso e sarà il primo nel territorio per dimensioni e capacità. Siamo molto soddisfatti di aver fatto questo importante passo verso il mercato bielorusso e non abbiamo motivo di dubitare che questo ci permetterà di proporre le nostre tecnologie anche in tutti gli altri Paesi dell’area. Guardando al 2013, quali sono le novità? Il settore del riciclo e recupero dei rifiuti è in continua e costante evoluzione: leggi nazionali ed europee ma soprattutto le mutate condizioni del sistema economico globale, impongono uno sviluppo sempre più spinto di tecnologie per il trattamento dei rifiuti. Oltre ai già collaudati aprisacchi LS e raffinatori XK, la divisione R&D di Forrec ha sviluppato e realizzato un’importante novità nella propria gamma di trituratori primari: il monorotore RX 2000. Con la nuova tecnologia applicata, che si differenzia dalle altre serie, RX 2000 garantisce sempre affidabilità, robustezza, alte prestazioni e ridotti costi di gestione. Progettato per la triturazione dei rifiuti ingombranti provenienti da raccolte urbane e industriali, trova applicazione anche nel trattamento degli pneumatici, rottami metallici leggeri e legno, rendendo più semplice gestire i rifiuti ai fini del recupero e della valorizzazione.

Tra le altre novità mi fa piacere ricordare la newsletter di Forrec che avrà cadenza bimestrale e che vorremmo diventasse un momento di aggiornamento e di approfondimento sul mondo Forrec. Le fiere sono sempre un’importante occasione di confronto e di informazione. Nel 2013

saremo presenti a una quindicina di fiere, in Italia solo a Ecomondo mentre poi saremo in Europa, negli USA, in Brasile e in Cina. E’ un impegno significativo, con cui perseguiamo l’obiettivo di consolidare e ampliare la presenza del marchio Forrec a livello internazionale.

TRITURATORI QUADRIALBERO: POTENZA E PRECISIONE I trituratori quadrialbero sono tra le macchine più versatili della nostra produzione e sono infatti tra le più vendute. Hanno la caratteristica di unire la potenza e le prestazioni di un trituratore bialbero alla precisione dei monoalbero, permettendo infatti di controllare la pezzatura del materiale in uscita. Hanno inoltre il vantaggio che, essendo macchine lente, non producono polvere, rumori e hanno consumi elettrici e costi di gestione molto bassi. Sono costruiti per utilizzi anche molto intensivi ed avendo la possibilità di trattare anche materiali ferrosi si adattano a numerose applicazione dai RAEE alle plastiche, dalla carta agli pneumatici.

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E l’Italia resta a guardare… Ecostar, azienda italiana produttrice di vagli dinamici a dischi per la valorizzazione dei rifiuti, dopo i successi italiani arriva in Estremo Oriente, paese in evoluzione nel trattamento del CDR di Bruno Vanzi

I

n un momento di difficoltà per i mercati italiani, la possibilità di affacciarsi su altri Paesi come Thailandia, Giappone e Australia, rappresenta sicuramente un’opportunità in termini di business ma spesso diviene anche un’occasione di confronto con realtà diverse. Questo è ancor più vero quando si lasciano i territori europei per Paesi come l’India, ove lo sviluppo economico è talmente accelerato che la società stessa stenta a tenere il passo. Una testimonianza in tal senso ci arriva da Filippo Cappozzo che, insieme al fratello Fabio e al padre Domenico, è uno dei titolari della società emergente Ecostar s.r.l., il quale ci ha raccontato della recente esperienza fatta in questo Paese.

“Nel corso degli ultimi mesi abbiamo venduto 11 macchine destinate ad essere inserite all’interno di linee per la selezione del CDR nei cementifici Holcim in India. Gli impianti sono stati sviluppati in collaborazione con un’azienda tedesca raggiungendo quale risultato una macchina che ha unito due funzioni all’interno dello stesso impianto: il separatore ad aria ed il vaglio a dischi dinamico”. Queste macchine, ci racconta sempre Filippo Cappozzo, sono destinate ad eseguire il trattamento dei rifiuti secchi, domestici o industriali, per la produzione di CDR (combustibile derivante da rifiuto) il quale viene utilizzato per alimentare i forni dei cementifici in alternativa al carbone.

VAGLI DINAMICI A DISCHI Ecostar, azienda specializzata in tecnologie ambientali per i diversi materiali quali CDR, biogas, biomasse, RSU, legno, compost, PET, inerti, rottami metallici, car-fluff, carta e cartone, pneumatici, ecc. è conosciuta tra gli altri per i vagli dinamici a dischi con sistema anti intasamento con brevetto internazionale. Con questo sistema il materiale indiviso, caricato nella parte anteriore per mezzo di un nastro trasportatore, passando sui dischi esagonali del vaglio, subisce un’energica sollecitazione sussultoria, dividendo in due frazioni il rifiuto. Vantaggi: • alta capacità di trattamento (fino a 200 t/h in funzione del peso specifico del materiale trattato); • sezione di vagliatura regolabile; • basso assorbimento di potenza (da 5 a 15 kW); • efficace pulizia dei materiali; • manutenzione semplice; • ingombri ridotti; • ritorno economico molto breve.

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Vaglio scarrabile consegnato a Melbourne in Australia

VERSIONE FISSA

VE 2000

Lunghezza lavoro

2000 mm 3000 mm 4000 mm 5000 mm 6000 mm

Larghezza lavoro

1600 mm 1600 mm 1600 mm 1600 mm 1600 mm

Lunghezza totale

2110 mm 3200 mm 4020 mm 5160 mm 6300 mm

Larghezza totale

2300 mm 2300 mm 2300 mm 2300 mm 2300 mm

Altezza totale

1390 mm 1390 mm 1390 mm 1390 mm 1390 mm

Peso Potenza installata Sezioni vagliatura Portata oraria (RSU 35 kg/mc sez. 60 mm)

2500 kg

VE 3000

3000 kg

VE 4000

3500 kg

VE 5000

4500 kg

VE 6000

5000 kg

1x5,5 kW 1x7,5 kW 1x7,5 kW 1x7,5 kW 2x7,5 kW 20-350

20-350

20-350

20-350

20-350

mm

mm

mm

mm

mm

20 t/h

25 t/h

30 t/h

40 t/h

50 t/h


“In Italia questo tipo di trattamento è decisa- beneficio economico in quanto i cementifici Una situazione analoga a quella indiana l’abmente limitato poiché sono sempre numerosi vengono pagati per riceverlo. biamo ritrovata in Thailandia dove tutti gli anni gli ostacoli che si incontrano quando si parla “In Italia si potrebbe fare nello stesso modo, ot- i rappresentanti dei cementifici si incontrano di termovalorizzazione: la politica, l’opinione tenendo dei benefici economici, occupazionali per condividere le soluzioni tecniche adottate pubblica, la normativa. In un Paese in via di e ambientali, ma la strumentalizzazione che di e scambiarsi le reciproche esperienze. Portare sviluppo come l’India invece, il bisogno di frequente si verifica dell’opinione pubblica ci in Italia questo tipo di visione è potrebbe essecemento è fondamentale e questo fa sì che costringe spesso ad operare in condizioni di re un’idea, commenta Cappozzo, ma abbiamo ci sia un’unità di intenti al fine del raggiungi- arretratezza pur disponendo di avanzate tecno- ancora tanta strada da fare”. mento di obiettivi di fondamentale importan- logie che siamo costretti ad esportare. Ritengo www.eco-star.it fondamentale il controlza per la comunità”. In tutta l’Asia, a fronte della necessità di pro- lo delle emissioni e lo durre cemento per poter sviluppare il settore sviluppo di tecnologie delle costruzioni, si è scelto di utilizzare il CDR di abbattimento sempre anziché il carbone per alimentare i forni e que- più evolute, ma tutto ciò sto principalmente per limitare gli ingenti inve- è possibile solo favostimenti necessari per l’impiego di combusti- rendo la termovalorizzabili fossili, oltre alla possibilità, non marginale, zione e non ostacolandi limitare l’inquinamento in atmosfera. dola senza motivazioni, L’utilizzo di CDR rappresenta inoltre un ri- come succede nei Pasparmio, sia in termini economici che in ter- esi più evoluti di noi nel campoPagina rifiuti, come in mini240X150.qxp:Layout di risorse naturali; così 1facendo si limita 9:13 ok B DEPURACQUE 23-02-2010 1 il conferimento dei rifiuti in discarica e si trae Germania ed Austria. Fase di assemblaggio dei vagli destinati all’India

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).

In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).

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BONIFICA, DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE: UN INTERVENTO A 360 GRADI L’intero ciclo di riconversione industriale che ha dato nuova vita a due grossi capannoni dismessi a Rivalta Torinese di Andrea Terziano

Q

uando si parla di interventi multidisciplinari ci vengono in mente lavorazioni che richiedono competenze tecniche, attrezzature e know how di impresa differenti. E’ questo il caso di un’importante riconversione industriale eseguita dall’impresa Vitali S.p.a. che ha dimostrato in questo lavoro un’elevata professionalità ed esperienza nei settori della bonifica, delle demolizioni e delle costruzioni. L’intervento commissionato all’azienda di Cisano Bergamasco, durato 10 mesi e concluso a fine dell’anno scorso, aveva come finalità quella di ricollocare due grossi capannoni industriali di una nota casa automobilistica, cir-

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Anno 6 - Numero 22

ca 100.000 mq, adibiti in passato al reparto verniciatura, per la loro successiva riconversione in magazzino ricambi. I due corpi fabbrica, costruiti nel comprensorio di Rivalta negli anni ‘70, erano ormai in disuso da diversi anni, ma mantenevano intatta al loro interno la vecchia linea di produzione relativa alla fase di verniciatura, ricordo di un passato produttivo ormai lontano; la linea nel suo complesso era costituita principalmente da 7 forni (aventi una lunghezza di 150 m ed un’altezza di 5 m), da impianti e macchinari specifici, da un’ala uffici e dalle sovrastrutture impiantistiche.

Il lavoro da eseguire, finalizzato alla demolizione e smontaggio, bonifica degli impianti e successiva riconversione dei capannoni e dell’area circostante, formata da piazzali e aree esterne di manovra, è stato pianificato e suddiviso principalmente in due fasi: • la prima, propedeutica al progetto di riconversione, consisteva nelle operazioni di liberazione delle aree da tutti gli impianti/macchinari/attrezzature esistenti e nella successiva messa in sicurezza dei luoghi; • la seconda consisteva nella realizzazione di tutte le opere edili atte a consentire il riuso dei volumi interni, dando loro nuova linfa.


I forni, che costituivano la parte preponderante delle strutture impiantistiche all’interno del fabbricato, sono stati smantellati solo dopo un’operazione propedeutica di bonifica in quanto contenenti amianto sia in matrice friabile che compatta. Allo scopo sono state realizzate delle aree confinate con annessa unità di decontaminazione e impianti di aspirazione e filtrazione attivi 24 h su 24, costantemente monitorate per assicurare che non vi fossero rilasci/dispersioni di fibre di amianto all’esterno delle aree stesse. Una volta conclusa questa fase di bonifica ed ottenuto il benestare degli enti competenti si è passati alla fase di smantellamento che ha riguardato i forni, le strutture sospese e gli altri impianti presenti all’interno del fabbricato. Sono stati rimossi anche i macchinari e gli impianti (soppalchi, impianti di ventilazione ed estrazione dei forni, ecc…) presenti sulla copertura. Per la rimozione delle parti impiantistiche al di sopra delle coperture è stato eseguito uno smontaggio imbragando ciascun elemento e calandolo a terra mediante un mezzo di sollevamento. Ciascun pezzo, dimensionato in funzione delle portate del mezzo di sollevamento, una volta a terra è stato ridotto di volume con escavatori dotati di cesoia coadiuvati da squadre di taglio. Lo smantellamento degli impianti all’interno dei capannoni è stato possibile grazie all’utilizzo di escavatori da 200 q.li che, in modo controllato, hanno proceduto alla demolizione progressiva di tutte le parti metalliche. Tutti gli impianti, una volta a terra, sono stati lavorati in loco per ridurne le dimensioni, a bocca di forno, quindi selezionati e separati in modo da avviare i materiali ferrosi a recupero ed i restanti materiali non pericolosi presso i centri di recupero autorizzati. In questo modo sono state recuperate ben 25.000 ton di materiale ferroso. Legno, carta, alluminio, acciaio inox e altro per un totale di oltre 10.000 ton, sono stati avviati al recupero presso centri autorizzati di recupero e smaltimento. Le lane minerali utilizzate per la coibentazione dei tubi e dei forni e l’amianto contenuto nei forni sono invece stati completamente bonificati e smaltiti prima delle operazioni di demolizione.

Una volta sgomberato completamente l’interno dei fabbricati ha avuto inizio la seconda fase dell’intervento che consisteva nella riqualificazione e riconversione dei volumi interni, per poter trasformare così l’ex com-

plesso industriale di Rivalta in un magazzino logistico adibito alla distribuzione di ricambi. Le opere hanno riguardato la demolizione di buona parte della pavimentazione esi-

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w o r k i n p r ogre s s

Il l avoro in cifre Durata complessiva intervento:

10 mesi (marzo 2012-dicembre 2012)

Importo dei lavori:

oltre 6 milioni di euro

Materiale ferroso recuperato:

25.000 ton

Materiali e detriti non pericolosi avviati a recupero:

10.000 ton

Pavimentazione in blocchetti di legno:

30.000 mq

Lavori di scavo:

circa 10.000 mc

Rimozione e riutilizzo in loco vecchia pavimentizone:

30.000 mq

Intervento di riqualificazione:

100.000 mq

Area viabilità e manovara:

15.000 mq

Baie di carico:

15

MEZZI UTILIZZATI n. 5 n. 1 n. 2 n. 1 n. 2 n. 1 n. 1 n. 1 n. 2 n. 1 n. 1 n. 1 n. 2 n. 4 n. 2

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escavatori da 200 q.li muniti di cesoie da 20 q.li; pinza selezionatrice e calamita (magnete) per separazione materiali ferrosi escavatore da 200 q.li con martello demolitore + frantumatore escavatori da 400 q.li muniti di cesoie (utilizzati prevalentemente per la riduzione dei materiali) escavatore da 500 q.li munito di cesoie da 40 q.li mini escavatori da 50 e 80 q.li muniti di cesoie da 5 q.li per operazioni di dettaglio frantoio mobile per riduzione macerie fresatrice 2000 per scarifica vecchia pavimentazione interna e asfalto esterno rullo compattatore per preparazione piani di posa ragni caricatori autogrù da 120 ton per smantellamento impianti e macchinari presenti in copertura, imbragati e portati a terra autogrù da 200 ton utilizzo come sopra autogrù da 800 ton con braccio da 105 mt, utilizzo come sopra merlo caricatore per assistenze piattaforme aeree da 20 mt per mettere in quota il personale addetto al taglio con ossitaglio e rimozioni carpenterie camion con cassone scarrabile a servizio del cantiere

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stente, costituita in parte da blocchetti in legno (per circa 30.000 mq), dei basamenti degli impianti smantellati e la realizzazione ex novo di n. 3 cunicoli di fuga interrati di lunghezza complessiva superiore a 100 m ciascuno, con annesse scale di accesso, che verranno destinati all’esodo in caso di emergenza del personale del futuro polo logistico. Parte del materiale derivante dalla demolizione del vecchio pavimento è stato frantumato con un impianto mobile autorizzato, trasformato in materia prima seconda e riutilizzato in loco per la preparazione della nuova pavimentazione (riempimento e sottofondo). È stata quindi realizzata una pavimentazione industriale da 22 cm su tutta l’area coperta. La committenza ha richiesto per la nuova pavimentazione una planarità con tolleranza di solo di 1 mm sottoregolo ogni quattro metri per consentire la circolazione di carrelli trilaterali filoguidati. Questi carrelli costituiranno la parte meccanizzata principale del nuovo magazzino. Anche la zona esterna, costituita da un piazzale in calcestruzzo con superficie da 15.000 mq, è stata oggetto di un importante rifacimento, per consentire la movimentazione della merce e per garantire gli spazi di manovra idonei alla nuova anima logistica dei fabbricati. Il rifacimento consisteva in un abbassamento complessivo di tutta l’area di ben 1,5 m per consentire un corretto utilizzo delle baie di carico. Il progetto nella sua interezza ha consentito di far rinascere un complesso industriale che versava in condizioni di degrado. Un processo complesso che ha permesso però di recuperare e valorizzare queste aree, dando nuova vita ad un tessuto industriale senza sottrarre altri spazi al territorio. Oggi il nuovo sito logistico occupa già 100 persone che andranno probabilmente ad aumentare nei prossimi anni. Un’azione lungimirante durata 10 mesi nei quali Vitali S.p.A. ha messo a disposizione del cliente tutto il suo know how, macchinari e attrezzature d’avanguardia, nonché le competenze ingegneristiche e organizzative acquisite in oltre 20 anni di attività.


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A Faedo è già operativo il nuovo impianto di digestione anaerobica Realizzato ed avviato in meno di un anno l’impianto sfrutta tecnologie avanzate nel rispetto dell’ambiente di Maria Beatrice Celino

N

ella provincia di Trento, nel comune di Faedo, in meno di un anno è sorto ed entrato in funzione un impianto di digestione anaerobica che tratta la frazione umida derivante dalla raccolta differenziata (FORSU). L’impianto è di proprietà della società Bioenergia Trentino s.r.l. che è stata costituita allo scopo di produrre energia rinnovabile attraverso l’utilizzo di biomasse derivate dai rifiuti ottimizzando il sistema di biostabilizzazione dei rifiuti organici all’interno di un processo innovativo e di nuova generazione già ben sperimentato e consolidato in altre realtà europee.

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La società nasce dall’esperienza nel settore delle rinnovabili maturata dalla controllante Bio Energia Fiemme S.p.A., prima società trentina ad aver realizzato un sistema di teleriscaldamento a biomasse e società fortemente motivata all’investimento nel settore delle energie alternative. Con una potenzialità di 25.700 t di umido da raccolta differenziata (FORSU) e 8.500 t di verde e ramaglie, l’impianto ha un bacino d’utenza che copre circa metà del territorio Trentino: Val di Fiemme, Val di Fassa, Val di Non, parte della città di Trento e Bassa Valsugana.

Per vedere da vicino il neonato impianto ci siamo recati a Faedo dove abbiamo incontrato l’Ing. Michele Zorzi, il Responsabile Tecnico dell’impianto, che ci ha spiegato nel dettaglio il processo e le tecnologie adottate. L’impianto, come detto in precedenza, riceve due tipologie di rifiuto: • umido da raccolta differenziata FORSU; • verde e ramaglie. Il verde e le ramaglie, per le loro caratteristiche di impatto ridotto, arrivano all’impianto e vengono scaricate e triturate all’esterno, dopodiché entrano all’interno del capannone per l’inizio del ciclo di digestione.


L’umido invece, date le note caratteristiche odorigene, viene scaricato direttamente all’interno del capannone dove, nella zona di conferimento, vi è una precamera che impedisce che vi sia un contatto diretto tra la fossa di stoccaggio e l’ambiente esterno. Dalla fossa il materiale viene prelevato da un carroponte con benna a polipo che lo avvia alla fase di pretrattamento composta da un trituratore lento e da un vaglio stellare. Il trituratore lento funge da aprisacco avviando il materiale al vaglio stellare: qui la frazione passante sotto i 6 cm va al trattamento mentre il sopravvaglio viene rimandato in fossa per ricominciare il ciclo. Il sottovaglio alimenta due moduli di digestore identici Kompogas che sfruttano una particolare tecnologia di digestione anaerobica a semisecco. Il materiale entra infatti con un tenore di sostanza secca intorno al 25%, ben maggiore di quanto avviene negli impianti comuni. I vantaggi di questa tecnologia sono innanzi tutto legati alla tipologia di materiale in uscita dal digestore, questo infatti si presenta con una consistenza palabile ovviando in tal modo alle problematiche legate alla gestione dell’acqua. Un altro vantaggio è che legato al fatto che l’impianto lavora in condizioni di termofilia quindi intorno ai 55°C: tali condizioni permettono sia una maggior resa nella produzione di biogas sia l’igienizzazione del materiale già in questa fase, cosa che generalmente si ottiene nella successiva fase di compostaggio. Il materiale permane in questa fase per circa 25 giorni durante i quali avviene la degradazione della sostanza organica da parte dei microor-

ganismi che operano in condizioni anaerobiche e durante i quali si ha la produzione del biogas. Il biogas è composto per il 60% da metano e viene estratto dal digestore, deumidificato e utilizzato come combustibile in un motore che produce energia elettrica ed energia termica. L’energia elettrica, tolta la quota che viene utilizzata direttamente in impianto, per la maggior parte viene immessa in rete secondo i contratti previsti per le energie rinnovabili. L’energia termica invece viene utilizzata solo per autoconsumo quindi la parte eccedente viene dissipata. Completata quindi la fase di digestione anaerobica il materiale viene estratto e avviato alla fase di stabilizzazione aerobica che si compone di due sezioni: la biossidazione accelerata e la fase di maturazione. Il digestato viene a questo punto mescolato con del verde strutturante, che ha la funzione di conferire porosità e consistenza, e viene posto all’interno di box chiusi provvisti di una pavimentazione che consente di aerare il materiale insufflando aria dal basso. In tal modo si innescano i processi di biodegradazione in condizioni aerobiche. Dopo 21 giorni si passa alla fase di maturazione: il materiale viene posto su una grande platea, anch’essa provvista di un sistema di aerazione, dove il materiale resta 50 giorni per ultimare la degradazione della sostanza organica prima della vagliatura finale. L’ultima fase consiste infatti nella separazione della parte fine, il compost o ammendante compostato misto, dalla parte grossolana, costituito essenzialmente da verde con un tempo di degradazione lento che viene quindi reimmesso in testa al ciclo.

Tutte le attività descritte vengono effettuate all’interno di capannoni chiusi e mantenuti in depressione. L’aria estratta viene avviata ad una sezione di depurazione composta da due scrubber, torri di lavaggio, e da un biofiltro, una vasca riempita di materiale filtrante naturale (corteccia e cippato principalmente). Dopo essere passata negli scrubber l’aria viene rilasciata nella parte inferiore del biofiltro, da qui l’aria attraversa naturalmente il materiale filtrante dal basso verso l’alto e durante l’attraversamento si instaurano dei processi microbici che trasformano le molecole odorigene in non odorigene prima del rilascio in atmosfera. La produzione di compost prevista per l’impianto è di 8.500 t/a. Al momento non è prevista la vendita al dettaglio ma sono in fase di definizione degli accordi con le aziende agricole locali per l’utilizzo in concimazione nelle colture principali della zona, la vite e il melo. Per quanto riguarda invece la produzione energetica sono previsti 8 milioni kwh/anno di energia elettrica e 8 milioni kwh/anno di energia termica. Indicativamente per meglio comprendere l’efficacia del processo tecnologico attuato nell’impianto di Cadino, basti pensare che circa 10.000 tonnellate/anno di rifiuto organico producono circa 1.150.000 Nmc di biogas che a loro volta generano circa 6.670.000 kWh corrispondenti a circa 693.000 litri di biodiesel e a 10.000.000 km di percorrenza in auto. In pratica con 1 kg di rifiuto organico è possibile percorrere 1 km in auto.

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Prosegue la sperimentazione per il progetto SEDI.PORT.SIL. Le applicazioni tecnologiche che consentono il raggiungimento della sostenibilità sociale, ambientale ed economica per la filiera di recupero dei sedimenti di dragaggio di L. Magagnini, E. Ulazzi e A. Bertoni*

U

na valutazione elaborata da SEDNET (Sediment European Network) ha dimostrato che il totale dei sedimenti dragati in Europa raggiunge i 200 milioni di metri cubi per anno. Questo materiale è generalmente trasferito direttamente in grandi discariche e le relative acque contaminate condotte in stazioni di depurazione, con tutte le problematiche ed i rischi ambientali associati alla gestione dei rifiuti. È evidente che la sostenibilità di questo processo ha bisogno essere di essere migliorata. Il progetto SEDI. PORT.SIL. intende dimostrare l’efficienza di consolidate tecnologie di trattamento accoppiate con innovative tecniche mirate al riciclo e alla valorizzazione dei sedimenti dragati dai bacini portuali, così da essere considerati un’importante risorsa piuttosto che un rifiuto.

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Obiettivi Il progetto propone un ciclo integrato da applicare ai sedimenti (e acque associate) direttamente a seguito delle attività di dragaggio, al fine di ridurre gli impatti ambientali e massimizzare il materiale riciclabile. I sedimenti contaminati possono essere impiegati come materia prima nel settore infrastrutturale e nell’ingegneria ambientale. Inoltre, il progetto indaga l’uso di sedimenti inquinati come materia prima per l’estrazione di leghe di silicio. Dapprima, alcuni campioni di sedimento dragati dal Porto di Ravenna (Italia) sono stati sottoposti ad una serie di differenti trattamenti, esposti nel seguito, che costituiscono la filiera SEDI.PORT.SIL. Successivamente è stata studiata l’applicabilità del processo a scala regionale e valutata la replicabilità in un differente

contesto Europeo (porto di Midia, Romania). L’obiettivo finale è lo sviluppo di linee guida per il trattamento dei sedimenti, il riuso come materie prime e la valutazione della fattibilità e sostenibilità per la realizzazione dell’impianto di trattamento nel Porto di Ravenna.

Applicazione di diverse tecniche di trattamento ai sedimenti portuali Il processo di decontaminazione è stato applicato sui sedimenti portuali campionati suddivisi in tre classi di contaminazione, sulla base della caratterizzazione preliminare dell’area portuale: “rosso”, sedimenti molto inquinati (concentrazione di inquinanti oltre la Tab.1, colonna B dell’Allegato 5 al D.Lgs. 152/06); “giallo” sedimenti contaminati (con-


centrazioni tra le colonne A e B del D.Lgs. 152/06); “verde”, sedimenti non contaminati (concentrazioni sotto la Colonna A del D.Lgs. 152/06) (Figura 1). Sui campioni raccolti nelle diverse aree portuali sono state testate tre differenti tecniche di trattamento, rispettivamente il soil-washing, il landfarming e la fusione al plasma.

consente di ridurre significativamente la concentrazione di composti organici. La differenza tra i diversi tassi di degradazione nei tre test su sedimento fine dipendono dalla iniziale concentrazione e composizione degli idrocarburi presenti, raggiungendo riduzioni percentuali importati e variabili tra il 44% ed il 70%.

Soil washing

Landfarming

Quest’ultima fase del processo di trasformazione e manipolazione dei sedimenti verte alla loro inertizzazione e all’estrazione finale di silicio metallico; per questo scopo, è stata utilizzata una torcia al plasma TEKNA PL-35 35 kW RF disponibile presso i laboratori DIEM dell’Università di Bologna, in grado di riprodurre a piccola scala le condizioni di alta temperatura e scambio di calore tipici di fornaci ad arco di livello industriale (Figura 3). Durante la sperimentazione di queste tecniche a scala di laboratorio, mai testate prima su sedimenti di tipo marino, è stata anche effettuata una simulazione numerica per l’identificazione dei parametri idonei a rendere ottimale tutto il procedimento, come ad esempio le dimensioni del crogiuolo di grafite e la sua distanza dalla torcia al plasma, ai fini di una completa fusione del campione. I sedimenti, miscelati con una percentuale di carbonio, sono stati raccolti nel crogiuolo di grafite e sottoposti alle elevate temperature del plasma. Sono state effettuate numerose e differenti prove: il silicio presente all’interno del sedimento portuale (che le analisi attestano attorno al 40% sia per la frazione sabbiosa che per quella limoso-argillosa) si separa creando sfere di lega metallica. Le analisi delle stesse al microscopio ottico a scansione

Il processo basato sulla biodegradazione, cioè sull’ossidazione biologica della sostanza organica biodegradabile da parte di particolari microrganismi è stato realizzato in 6 step ed è stata effettuata una setacciatura di limo secco (al quanto step) al fine di aumentare la distribuzione di ossigeno nei campioni e migliorare i tassi di degradazione. I risultati delle analisi sui campioni trattati in landfarming, 45 in totale, ed effettuate presso i laboratori del Centro Ricerche e Servizi Ambientali di MED Ingegneria (CRSA MED Ingegneria), sono significativi: il trattamento Landfarming sulla frazione limoso-argillosa

Figura 1. Individuazione delle aree idonee al campionamento

Al fine di testare al meglio tale tecnica di trattamento sui sedimenti campionati dal Porto di Ravenna, l’azienda Diemme Enologia S.p.a. ha ideato e costruito un impianto prototipo, realizzato esclusivamente per il progetto SEDI. PORT.SIL. e utilizzato per diversi cicli di trattamento sui sedimenti contaminati (Figura 2). L’impianto pilota ha in entrata il sedimento misto acqua (detta torbida) che, grazie ad una forte turbolenza, viene risospeso. La torbida è fatta passare per un filtro a rete con maglia di 2 mm per la prima separazione granulometrica e il passante viene rilanciato mediante pompa nell’idrociclone e in celle di attrizione, che restituiscono la frazione più grossolana pulita e pronta a essere riutilizzata. La frazione a granulometria fine (<75 μm), è costituita da un fango maggiormente diluito rispetto allo stato iniziale, portato poi a concentrazione di 500 g/l grazie ad elettroliti. A questo punto viene separata la parte solida da quella liquida tramite una filtro-pressa, nella quale la prima sedimenta su piastre, mentre la seconda fuoriesce grazie a pareti semi-permeabili. Le acque provenienti dall’impianto di trattamento e dalla disidratazione dei sedimenti fini sono trattate mediante processo di depurazione.

Fusione

SEM-EDAX in dotazione presso il CRSA MED Ingegneria dimostrano che queste contengono silicio fino al 90%. Contemporaneamente, il trattamento termico consente di inertizzare il materiale residuo. In conclusione, considerando tutti i test effettuati si sono raggiunti i seguenti risultati: • è possibile sottoporre a fusione al plasma sedimenti con differente granulometria, compresa anche la frazione limoso-argillosa; • la lega di silicio estratto e commercializzato può effettivamente rendere l’intera filiera economicamente sostenibile a livello industriale; • dopo il trattamento al plasma, i sedimenti rimanenti (scorie di fusione) sono inerti e non presentano nessuna traccia di contaminanti; • il trattamento termico non è esclusivamente in funzione della granulometria, poiché anche le frazioni limoso-argillose diventano un’importante fonte di silicio.

La filiera SEDI.PORT.SIL. nel Porto di Ravenna A partire dai risultati delle sperimentazioni descritte in precedenza, è quindi stato strutturato e dimensionato il processo a scala industriale. Il sedimento viene inizialmente conferito nella cassa di colmata progettata a supporto dell’impianto. Tale area, individuata in prossimità del Porto di Ravenna, è progettata su una superficie di 14 ha ed è attrezzata per poter accogliere grandi quantità di sedimento misto ad acqua di mare. La presa in carico

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del sedimento rappresenta già un primo elemento di ricavo, visto che chiunque effettui il conferimento dovrà pagare per questi materiali un corrispettivo indicativamente corrispondente ai costi di smaltimento. L’elevata dimensione della casa di colmata è fondamentale visto che il dragaggio avviene con tempi e modi non facilmente controllabili da parte del gestore dell’impianto e costituisce dunque un importante “polmone” operativo per accogliere i flussi in ingresso. La prima operazione di trattamento viene effettuata tramite tecnologie di soil washing che porterà ad ottenere: • una modesta quantità di detriti, conchiglie e materiali grossolani (legno, alghe, ecc.) che possono essere destinati a smaltimento come rifiuti non pericolosi; • una prima frazione di sabbia a grana grossa (>2mm), ripulita per lisciviazione dagli inquinanti, ancora salata, che si presta ad essere re-immessa sul mercato come materiale per ripascimenti; • una seconda frazione di sabbia più fine, che sarà ulteriormente sciacquata con acqua dolce industriale per dissalarla, che rappresenta un materiale adeguato a tombamenti e/o utilizzi nel mercato edile; • un’ultima frazione di argille sottoposte ad una separazione solido-liquida mediante filtropresse; il risultato finale si compone di una serie di panetti argillosi di dimensioni di qualche metro di lato e pochi centimetri di spessore in cui si saranno accumulate le sostanze inquinanti e che verranno inviati agli stadi successivi del processo. Nella prima, una certa quantità di argilla inquinata filtro pressata (generalmente quella maggiormente inquinata, soprattutto in presenza di metalli pesanti) sarà convogliata, tramite nastri trasportatori, verso l’impianto di fusione, dove i panetti argillosi saranno stoccati per far perdere umidità residua, eventualmente ulteriormente essiccati, per essere poi immessi nella vasca di fusione (con un flusso medio di circa 8 ton/ora) da cui usciranno infine leghe di Ferro-Silicio (FeSi), lega metallica di discreto pregio, e scorie che, grazie ad un processo di vetrificazione ottenuto tramite un rapido raffreddamento, costituiscono un materiale inerte (cioè non

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più inquinato, in quanto non in grado di rilasciare nell’ambiente circostante sostanze dannose). Un sottoprodotto del processo di fusione è una significativa produzione di fumi ad alta temperatura. Questi saranno trattati da un impianto che si occuperà di: • depurare tali fumi da sostanze inquinanti per assicurare che le emissioni in atmosfera abbiano concentrazioni di inquinanti entro i limiti di legge e non rappresentino un rischio per l’ambiente; • effettuare un recupero energetico da tali fumi ad elevata temperatura con produzione di energia elettrica e calore. Il materiale eccedente la capacità di ingresso del forno fusorio sarà invece trasferito all’impianto di landfarming. In quest’ultima sede, alla luce della specifica natura dell’inquinamento dei fanghi (prevalentemente idrocarburi), grazie all’addizione di microorganismi si giungerà alla produzione di argille idonee al riutilizzo.

La sostenibilità della filiera SEDI.PORT.SIL. Lo scenario analizzato mostra una serie di aspetti estremamente interessanti per la predisposizione di un piano industriale, ancorché alcuni aspetti richiedano necessariamente un approfondimento ulteriore. La sua sostenibilità tuttavia è provata ed illustrata nel seguito. Sostenibilità ambientale

L’impianto riesce, grazie alla combinazione tra di loro di diversi processi produttivi, per molti versi complementari, a reimmettere sul mercato materie prime seconde per la quasi totalità dei volumi in gioco, neutralizzando interamente l’inquinamento in ingresso, tra l’altro con la produzione di alcune frazioni (la lega Ferro Silicio) di grande pregio (il cui effetto indiretto è la diminuzione di fabbisogno ad un altro settore con effetti ambientali devastanti quali l’industria estrattiva). Il processo produttivo tende a massimizzare il riutilizzo delle materie prime e a minimizzare la produzione di rifiuti. Particolare attenzione sarà dedicata alla razionalizzazione dei consumi energetici e delle relative emissioni. A tal proposito si evidenzia che un quarto del valore dell’investimento della fusione sarà dedicato alla sezione di

trattamento dei fumi e recupero energetico, per assicurare che i rischi di emissione di fumi nocivi siano resi trascurabili e per spingere l’efficienza del recupero energetico al massimo. Sostenibilità sociale

Si richiamano alcuni aspetti per cui la valenza sociale dell’impianto sia tutt’altro che trascurabile: in primis la valenza occupazionale. Un’attività produttiva che assorba oltre 20 persone (e che genererà necessariamente un piccolo indotto) è un aspetto di grande interesse per il territorio. Le attività di dragaggio previste porteranno allo sviluppo del porto in termini di capacità ad ospitare navi di dimensioni maggiori rispetto a quanto avviene finora e nuove presumibili attività economiche verranno indotte dall’opera e legate allo sviluppo dell’intera area industriale e portuale. È molto significativa inoltre la valenza innovativa dell’impianto: il fatto che questo modello di business sia proposto e lanciato sul mercato da una cordata di eccellenze Italiane rappresenta un fattore capace di rafforzare il posizionamento del territorio come all’avanguardia per quanto riguarda competenze e imprese avanzate nel campo del trattamento dei rifiuti e dei servizi ambientali in genere. Sostenibilità economica

L’impianto nel suo complesso presenta un bilancio economico ampiamente positivo considerando un ciclo di vita di circa vent’anni, capace di resistere a sollecitazioni anche abbastanza significative sui driver di costo e

Figura 2. Il prototipo progettato e realizzato per il progetto SEDI.PORT.SIL.


Regione Toscana

mostra-convegno internazionale

terrafutura buone pratiche di vita, di governo e d’impresa

Firenze - Fortezza da Basso

17/19 maggio 2013

2004-20

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X edizione | ingresso libero Figura 3. La torcia al plasma TEKNA PL-35 dei laboratori DIEM, Università di Bologna

di ricavo. Un primo aspetto di carattere generale riguarda la scala e approvvigionamento dell’impianto. Il tema del trattamento dei fanghi inquinati provenienti dal dragaggio dei porti è piuttosto comune, con diversi esempi anche attuali in siti che affacciano sul mare Adriatico (es: porto di Pescara), che mette al riparo da rischi tangibili di fermi di produzione connessi alla scarsità di sedimento. Al contrario, vista la flessibilità dell’impianto, esistono diverse opportunità di ulteriore aumento della produttività, soprattutto in presenza di sedimenti con contenuti di sabbie relativamente elevati che rappresenta una promettente opportunità per migliorare il conto economico. Il valore di conferimento del sedimento ha un impatto molto significativo sul conto economico, quindi variazioni sul valore medio di conferimento possono impattare in modo significativo sul valore finale. Qualora il termine di riferimento fosse quindi quello dei rifiuti, un importo di conferimento di 28 €/ton è significativamente più basso del costo di smaltimento di rifiuti inerti (che parte da circa 40 €/ton) e molto inferiore a valori di mercato per sedimenti portuali inquinati (dove ci si colloca nella regione del centinaio di €/ton). Il valore del FeSi è l’altra macro-voce di ricavo dell’impianto. In questo caso la presenza di diversi fattori (andamento del mercato delle materie prime, cambio €/$, ecc.) rende più difficile indicare con sicurezza l’andamento nei prossimi 20 anni dei valori che attualmente variano dai 1000 a 2000 €/ton e che probabilmente continueranno a salire nel prossimo futuro. Relativamente alla possibilità dell’impianto di generare inerti di diversa tipologia e qualità rende il SEDI.PORT.SIL una filiera che avrà un impatto molto significativo nel rappresentare il ruolo di leader su questo mercato, con la possibilità di “ingegnerizzare” prodotti di valore. La prossimità al mare (anzi, ad un porto commerciale in espansione) estende il bacino di utenza ben oltre la provincia di Ravenna, ipoteticamente guardando all’intero bacino Adriatico senza che l’impatto dei costi logistici debba rappresentare un ostacolo significativo.

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* MED Ingegneria s.r.l.

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Bonifica del sottosuolo in prossimità di un edificio residenziale Le problematiche legate alla bonifica in contesto urbano sono risolte con una progettazione di dettaglio, forte attenzione alla sicurezza e condivisione delle scelte con le parti terze di Simone Biemmi e Angiolo Calì*

L

e bonifiche sui punti vendita carburante, in attività o dismessi, sono in molti casi vincolate dalle situazioni al contorno. Infatti, la presenza di recettori sensibili, sottoservizi, aree urbane e residenziali limitano e rendono meno efficaci le scelte tecniche progettuali per il raggiungimento degli obiettivi di bonifica. Succede quindi che interventi di bonifica routinari possano trasformarsi in veri e propri rompicapi a causa delle difficili condizioni al contorno, che implicano tutta una serie di problematiche logistiche, ambientali e sociali. Il caso illustrato esemplifica quanto detto, mostrando come la presenza di un edificio residenziale posto a ridosso dell’area

Figura 1. Suddivisione dei lotti di scavo

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contaminata abbia richiesto l’approfondimento del grado di dettaglio della progettazione dell’intervento, la valutazione dei rischi connessi e una serie di accorgimenti supplementari a partire dal coinvolgimento attivo delle parti terze, come le PPAA e i condomini dell’edificio stesso.

Il sito da bonificare e il suo contesto Un’area di piccole dimensioni, in passato occupata da un distributore di carburanti, a partire dal 2003, è stata oggetto di una intensa caratterizzazione ambientale, con prelievo e analisi di circa 60 campioni di terreno e accertamenti su 16 pozzi di monitoraggio della falda appositamente realizzati. Le indagini ambientali hanno permesso di rilevare la presenza nel sottosuolo di idrocarburi aromatici e alifatici, riconducibili alle attività svolte in passato sul sito. La peculiarità del caso

è data dal fatto che le matrici contaminate (terreno e acque sotterranee) si trovavano proprio a ridosso di un edificio residenziale di 5 piani fuori terra. La falda superficiale si colloca a circa 2 m di profondità dal piano campagna (“p.c.”). I dati di caratterizzazione hanno permesso di delimitare la sorgente di contaminazione a profondità comprese tra 2 e 3,5 m, in una litologia sabbiosa-limosa. Queste condizioni, oltre alla presenza consistente di contaminanti poco volatili, hanno sconsigliato l’applicazione di tecnologie di bonifica pur consolidate nel risanamento dei punti vendita carburanti quali Soil Vapour Extraction e Air Sparging. D’altro canto, l’esercizio di un sistema di Pump&Treat (rimasto attivo nel periodo compreso tra dicembre 2007 e settembre 2011), si è rivelato efficace solo al contenimento della contaminazione presente in fase disciolta piuttosto che all’effettivo recupero della stessa. La scelta della tecnologia di bonifica è stata quindi orientata alla realizzazione di un intervento di scavo e smaltimento, implementato con un sistema di ossidazione chimica insitu, quest’ultimo con lo scopo di agire sulla contaminazione residua presente nelle acque sotterranee.


Predisposizione dell’intervento di bonifica

I lavori sono stati preceduti e accompagnati da una serie di accorgimenti necessari per completare con successo la bonifica e allo stesso tempo per garantire la stabilità dello scavo (e dell’edificio limitrofo), la sicurezza dei lavoratori e dei residenti. Di fondamentale importanza è stata l’opera di informazione nei confronti dei residenti dell’edificio limitrofo all’area dei lavori, effettuata tramite una riunione con i condomini e ripetuti contatti con l’amministratore. Questo ha permesso di informare preventivamente la popolazione del periodo di disagio e delle finalità dei lavori, instaurando un clima collaborativo e prevenendo nel migliore dei casi malcontenti che si sarebbero certamente manifestati a lavori di bonifica in corso. Altrettanto importante è stata la costante condivisione delle informazioni con le PP.AA. a partire dalla fase di progettazione e durante l’intero periodo di esecuzione del cantiere (ottobre 2011-marzo 2012). L’avvio del cantiere è stato inoltre preceduto

da alcuni incontri tra gli addetti ai lavori che hanno portato alla definizione di un dettagliato piano di lavoro comprensivo dell’individuazione, dell’analisi e della valutazione dei rischi per ciascuna fase. Sono state quindi definite tutte le misure di prevenzione e mitigazione dei rischi necessarie, valutando ogni possibile alternativa tecnica-progettuale. In questo modo la scelta delle attrezzature e la definizione della logistica di cantiere è stata fortemente orientata all’aspetto sicurezza. Dal punto di vista tecnico la tutela dell’edificio è stata garantita dall’installazione di un doppio sistema di monitoraggio topografico e vibrometrico. Il sistema di misura topografica è stato composto da 12 mire ottiche, installate sull’edificio e su alcuni punti fissi esterni, e una postazione fissa dotata di stazione totale robotizzata, mentre il monitoraggio delle vibrazioni è stato condotto con vibrometro modello MiniMatePlus installato in corrispondenza del palo di fondazione più prossimo all’area di scavo. I due sistemi hanno permesso di mantenere un controllo in continuo nel corso di tutte le fasi di lavoro. Il controllo strumentale dell’edificio è

stato inoltre affiancato dall’esecuzione di due perizie tecniche per la verifica dello stato di consistenza dell’edificio, effettuate all’interno degli appartamenti prima e dopo l’esecuzione dei lavori.

Intervento di bonifica: scavo e smaltimento del terreno

Lo scavo e smaltimento del terreno è stato progettato per ottenere la rimozione della maggior parte del terreno contaminato da idrocarburi, collocato a una profondità compresa tra 2 m e 3,5 m da p.c. Poiché lo scavo si collocava in un’area con sospetta presenza di sottoservizi la prima fase di lavoro è stata l’esecuzione con escavatore a risucchio di una trincea della profondità di 1,5 m lungo tutto il perimetro dello scavo. Questo accorgimento, ha permesso peraltro l’identificazione, la rimozione e lo smaltimento di una vasca interrata in mattoni (la cui presenza non era conosciuta) contenente terreno impattato da idrocarburi. Una volta approfondita l’area di scavo fino a 1,5 m da p.c. con escavatore tradizionale,

Figura 3. Applicazione di RegenOxTM e ORCTM all’interno dello scavo

Massima concentrazione di idrocarburi totali nelle acque sotterranee (μg/l)

Figura 2. Posizionamento dei blindaggi

Prima dello scavo

Nel corso dello scavo

(settembre 2011)

(febbraio 2012)

4831

2930

Dopo l’applicazione RegenOxTM e ORCTM (aprile 2012) 412

Ultimi risultati (settembre 2012) 207

Tabella 1. Andamento delle concentrazioni di idrocarburi totali nelle acque sotterranee

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ha avuto inizio la parte più critica dei lavori che prevedeva l’approfondimento degli scavi in frangia capillare e nel terreno saturo. Per assicurare la stabilità dell’area il lavoro è stato portato avanti per lotti di scavo separati della dimensione di 4x8 m. Prima dello scavo di ciascun lotto è stato applicato un sistema di blindaggio verticale costituito da palancole verticali affondate fino a 1,5 m al di sotto del fondo scavo e contrastate da un apposito sistema di puntellamento. Il sistema è brevettato e di comune utilizzo negli scavi in area urbana, e viene fornito a pié d’opera con componenti adeguatamente dimensionate e verificate in funzione delle dimensioni dello scavo. L’utilizzo dei blindaggi ha permesso di poter operare in completa sicurezza fino a una distanza di appena 2 metri dal perimetro dell’edificio residenziale con il vantaggio di poter rimuovere la porzione di terreno maggiormente contaminata. Per ovviare a possibili problemi di cross-contamination i lotti di scavo sono stati eseguiti secondo un avanzamento da monte verso valle rispetto alla direzione di flusso della falda.

Applicazione di reagenti all’interno dello scavo Per incrementare l’efficacia dell’intervento e agire sulla contaminazione residua eventualmente ancora presente nelle acque sotterranee è stato eseguito un intervento di ossidazione chimica in situ tramite l’applicazione di reagenti sulle acque di falda affioranti all’interno dell’area di scavo. Nel dettaglio, è stata applicata una miscela acquosa di RegenOxTM e ORCTM direttamente all’interno dello scavo con falda a giorno, in modo tale da desorbire la massa di contaminante presente, ossidarla in parte e renderla maggiormente disponibile a futuri fenomeni degradativi di tipo biologico. Inoltre, la miscela permette di incentivare sul lungo termine la biodegradazione aerobica attraverso il lento rilascio di ossigeno. I prodotti sono stati applicati direttamente per mezzo della benna dell’escavatore. Il RegenOxTM, è costituito da un ossidante (“Regenox Part A”) composto da una soluzione di percarbonato di sodio (2Na2CO3·3H2O2), sodio carbonato (Na2CO3), sodio silicato e gel di

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silicio, e da un catalizzatore (“Regenox Part B”) composto a sua volta da una soluzione di sodio silicato, gel di silicio e solfato di ferro. “Regenox Part A” e “Regenox Part B” sono stati miscelati assieme nelle opportune proporzioni prima dell’applicazione diretta a fondo scavo. Gli ORCTM sono costituiti da perossido di magnesio (MgO2) permeato da fosfato e, a contatto con l’acqua, sviluppano ossigeno secondo la seguente reazione: MgO2 + H2O → ½O2 + Mg(OH)2 I gruppi fosfatici intercalati che si trovano all’interno della struttura cristallina del perossido di magnesio hanno la funzione di rallentare il processo reattivo sopra indicato, permettendo il rilascio di ossigeno in maniera lenta, continua e graduale. Al termine dell’applicazione dei prodotti è seguita la chiusura dello scavo e il ripristino di alcuni pozzi di monitoraggio, necessari per condurre una fitta serie di campagne di campionamento delle acque sotterranee con la finalità di monitorare l’efficacia dell’intervento di bonifica e l’avanzamento dei processi ossidazione e di biodegradazione attivati.

L’efficacia dell’intervento di rimozione del terreno contaminato è testimoniata dall’esiguo numero di campioni risultati contaminati al termine dell’intervento. Su un totale di 19 campioni di terreno prelevati, soltanto due di questi, hanno presentato superamenti degli obiettivi di bonifica. Peraltro, i due campioni sono stati prelevati in corrispondenza della parete sud dello scavo, ossia quella a ridosso dell’edificio residenziale e pertanto in un’area nella quale non sarebbe stato possibile allargare lo scavo per evidenti motivi di sicurezza.

Risultati ottenuti Il collaudo dell’intervento di scavo e smaltimento è stato compiuto tramite il prelievo e l’analisi chimica di numerosi campioni di terreno dalle pareti dello scavo stesso sia a livello del terreno superficiale (0,4 m da p.c.) sia della frangia capillare (2,2 m da p.c.).

Figura 4. Planimetria del sito con indicazione dei superamenti degli obiettivi di bonifica nel terreno prima e dopo lo scavo


Per quanto riguarda le acque sotterranee l’intervento di bonifica ha permesso di ottenere una riduzione delle concentrazioni di idrocarburi totali (espressi come n-esano) dal valore massimo di 4.831 µg/l rilevato immediatamente prima dell’inizio dei lavori a valori inferiori agli obiettivi di bonifica a settembre 2012 (concentrazione massima pari a 207 µg/l). Analogamente, le concentrazioni di composti aromatici (benzene, toluene, etilbenzene e xileni), che mostravano prima dell’intervento episodici superamenti degli obiettivi di bonifica, sono risultate a settembre 2012 conformi ai suddetti obiettivi.

Conclusioni La bonifica del terreno e delle acque sotterranee in corrispondenza di un punto vendita carburanti dismesso, a ridosso di un edificio residenziale è stata condotta con un intervento di scavo e smaltimento del terreno contaminato e con ossidazione chimica in sito. L’esecuzione del lavoro è stata resa possibile solo grazie ad un’attenta predisposizione dell’intervento che ha tenuto conto di tutte le problematiche connesse all’esecuzione di questo tipo di bonifica e in particolar modo agli aspetti legati alla sicurezza e all’accettabilità da parte sia delle PP.AA. che dei residenti dell’edificio adiacente. I lavori di bonifica sono stati eseguiti tra novembre 2011 e marzo 2012 e seguiti da un piano di monitoraggio delle acque sotterranee.

L’intervento ha permesso di bonificare pienamente le acque sotterranee. Su 19 campioni di terreno prelevati al termine dei lavori di bonifica, 17 hanno traguardato gli obiettivi di bonifica. La quota parte di terreno con presenza di contaminazione residua è costituita da 2 piccoli hot-spot di contaminazione che non è stato possibile rimuovere essendo troppo vicini all’edificio residenziale. Il procedimento di bonifica potrà quindi giungere a conclusione previa esecuzione di un’Analisi di Rischio sito-specifica per i residui superamenti degli obiettivi di bonifica nel terreno e l’esecuzione di un piano di monitoraggio delle acque sotterranee. *Golder Associates s.r.l.

Figura 5. Andamento delle concentrazioni di idrocarburi totali nelle acque sotterranee

La piccola notizia è quella grande? (o viceversa?)

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La riduzione dell’impronta ambientale della bonifica dell’Isola della Certosa L’esperienza del Piano di recupero dell’isola all’insegna della minimizzazione dell’impatto ambientale e della valorizzazione naturalistica di A. Barbanti*, R. Benvenuti***, M. Roglieri*, A. Sonino**, F. Schenkel*** e D. Wellington***

L

’isola della Certosa, con i suoi 24 ettari, è una delle più grandi delle cosiddette “isole minori” della Laguna di Venezia. A partire dal XIII secolo è stata sede di un monastero mentre negli ultimi due secoli è stata convertita ad usi militari, fino alla costruzione, all’inizio del ‘900, della “Pirotecnica della Certosa”, una fabbrica di munizioni con annesso poligono. L’Isola è oggetto di un piano di recupero avviato nel 1996 e finalizzato alla riqualificazione ambientale e socio-economica dell’area, attraverso la realizzazione del parco urbano e l’insediamento di attività economiche complementari e sinergiche. L’intervento, promosso dal partenariato pubblico-privato tra il Comune di Venezia e la società Vento di Venezia, d’intesa con gli altri enti competenti, si caratterizza per i suoi principi ispiratori mirati alla minimizzazione dell’impatto ambientale delle opere ed alla valorizzazione delle valenze naturalistiche dell’area. L’Isola è anche oggetto di una serie di interventi previsti da un Accordo fra Comune di Venezia e Ministero dell'Ambiente, per la realizzazione di progetti finalizzati allo sviluppo dell’efficienza energetica e del ricorso a fonti di energia rinnovabile e alla minimizzazione dell’impronta ambientale e del carbon footprint nel territorio comunale. Le attività militari svolte in passato nell'isola della Certosa, così come in altre isole minori lagunari, hanno lasciato in eredità un

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diffuso inquinamento dei terreni superficiali, con concentrazioni medio-basse di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e metalli pesanti, in particolare nelle aree occidentali e centrali dell'isola. La realizzazione del Parco Urbano è pertanto subordinata in buona parte della superficie dell’isola alla realizzazione di un intervento di bonifica dei suoli. Il presente articolo presenta la stima dell’impronta ambientale dell’intervento di bonifica e delle ottimizzazioni introdotte per aumentarne la sostenibilità, ad integrazione di quanto espressamente richiesto dalla normativa vigente e di quanto prescritto dagli Enti competenti. Lo scopo è quello di mettere in luce l’efficacia delle soluzioni adottate, il beneficio delle sinergie individuate e la performance ambientale complessivamente ottenuta, espressa attraverso una serie di indicatori di sostenibilità.

riqualificazione e recupero sostenibile dell’isola della Certosa Il progetto di bonifica approvato adotta soluzioni che riducono il rischio per la salute umana al di sotto delle soglie previste dalla normativa vigente, che sono coerenti con le esigenze di rispetto e salvaguardia delle valenze naturalistiche del sito, che sono sinergiche con il progetto di recupero dell'isola e realizzazione del Parco Urbano e con gli interventi previsti

dall'Accordo fra Comune di Venezia e Ministero dell'Ambiente. L’approccio adottato per la definizione e la scelta delle strategie di intervento di bonifica nel Progetto Operativo e nel successivo Progetto Esecutivo si è basato sugli esiti delle attività di caratterizzazione e dell’analisi del rischio. Il progetto individua 4 Lotti di bonifica (figura 2), corrispondenti a circa il 32% della superficie dell’isola, caratterizzati al loro interno da una generale omogeneità di tipologia dei contaminanti presenti: • lotto 1: metalli pesanti (As, Hg, Pb) e IPA (B(a)P, DB(a,i)P and DB(a,l)P); rimozione di un hot spot e smaltimento in impianto esterno del terreno contaminato; interruzione dei percorsi mediante posa di terreno al di sopra del piano campagna; • lotto 2: IPA (B(a)P, DB(a,i)P and DB(a,l)P); intervento in situ mediante tecnica di fitoremediation; • lotto 3: IPA (B(a)P, DB(a,i)P and DB(a,l)P); intervento in situ mediante tecnica di fitoremediation; • lotto 4: IPA (B(a)P, DB(a,i)P and DB(a,l)P); interruzione dei percorsi mediante posa di terreno al di sopra del piano campagna. L’attuazione del progetto di bonifica ambientale prevede inoltre una serie di attività propedeutiche o complementari, indispensabili per l’attuazione dell’intervento: rimozione di materiali contenenti amianto; bonifica da ordigni


bellici; decespugliamento; scavo del canale di accesso al cantiere; interventi di mitigazione, compensazione, monitoraggio e collaudo; assistenza archeologica; controllo delle popolazioni di erbivori. Le principali scelte in chiave di sostenibilità presenti nel progetto sono rappresentate da: • ricorso alla rimozione e smaltimento di suoli contaminati limitato a circa 300 tonnellate di materiali; • utilizzo di tecniche di fitoremediation (rizodegradazione) per l’intervento di bonifica in oltre due terzi delle aree da bonificare. Il processo di ottimizzazione e la sinergia con gli interventi dell’Accordo per la riqualificazione sostenibile dell’isola hanno consentito di aggiungere i seguenti elementi rilevanti: • riutilizzo di materiali inerti provenienti dalla demolizione degli edifici presenti in isola per realizzare l’intervento di bonifica sui lotti 1 e 4, eliminando così la necessità di trasporto e smaltimento a terra di questi materiali e la necessità di approvvigionare materiali vergini provenienti dall’esterno dell’isola; • riutilizzo di acque meteoriche opportunamente raccolte per l’irrigazione delle aree piantumate per la fitoremediation; • riutilizzo di materiale verde (legna e sfalci) in isola, quale ammendante per i suoli e, ove reso possibile da un’attesa modifica alla vigente normativa speciale per Venezia, quale combustibile per la centrale di teleriscaldamento prevista dall’Accordo.

il calcolo dell’impronta ambientale La metodologia EPA (USEPA, 2012) considera 21 indicatori quantitativi, raggruppati in 5 cosiddetti “core elements”: • consumo energetico ed utilizzo di fonti rinnovabili;

• emissioni in atmosfera di inquinanti e gas serra; • consumo ed effetti sulle risorse idriche; • consumo di materiali e produzione di rifiuti; • consumo di suolo ed ecosistemi. La metodologia contiene elementi di un life cycle assessment (LCA) ma non costituisce di per sé un LCA completo, in quanto non dettaglia tutte le risorse utilizzate in ingresso e tutti gli effetti ambientali indotti o collegati. La metodologia è assistita da schede tecniche per l’applicazione di best practices a diverse fasi del processo e a diverse tecnologia di bonifica (www.cluin.org/greenremediation). Il percorso di applicazione prevede tipicamente sette fasi attuative successive, dalla definizione degli obiettivi specifici dell’applicazione all'analisi dei risultati per ciascun core element ed in maniera integrata. L’applicazione della metodologia è facilitata da una serie di fogli di calcolo denominati SEFA (Spreadsheets for Environmental Footprint Analysis). L’obiettivo dell’utilizzo alla Certosa della metodologia SEFA-EPA è stato quello di una valutazione e quantificazione delle scelte di base effettuate e delle ottimizzazioni introdotte. I dati utilizzati per eseguire le valutazioni sono in gran parte derivati direttamente dal progetto; in alcuni casi sono state sviluppate specifiche valutazioni relative alle modalità con cui si svolgeranno le attività realizzative (cantiere, mezzi, approvvigionamenti, ecc.). Per quanto riguarda i coefficienti e i fattori di trasformazione utilizzati dalla metodologia, sono stati in genere utilizzati i valori di default proposti da EPA, che sono tendenzialmente conservativi. In alcuni casi, ove si è ritenuto necessario e significativo, sono stati introdotti valori sito-specifici (es. potenza mezzi, emissioni di gas serra derivanti dall’approvvigionamento di acqua potabile, ecc.).

Figura 1. L’Isola della Certosa oggi (a sinistra) e domani (a destra)

Il concetto di bonifica sostenibile e di impronta ambientale della bonifica Il concetto di sostenibilità della bonifica è ancora relativamente nuovo e in corso di evoluzione. Due scuole e due approcci si stanno confrontando a livello internazionale e progressivamente armonizzando: • l’approccio europeo, convenzionalmente noto come “Sustainable and Risk-Informed Land Management (S&RBLM)” (Vegter et al., 2003); • l’approccio americano, convenzionalmente noto come “Green Remediation” (USEPA, 2008). Entrambi richiamano la necessità che le decisioni relative alla pianificazione, progettazione ed esecuzione degli interventi di bonifica vengano prese non solo sulla base di valutazioni del rischio per la salute umana e l’ambiente, dovuto alla presenza di contaminanti nelle diverse matrici (suolo, sedimento, acqua, aria, biota), ma che queste vengano integrate da valutazioni di sostenibilità economica, sociale ed ambientale più ampia. Per quanto riguarda gli aspetti ambientali, oltre a considerare la riduzione del rischio al di sotto di soglie accettabili, è necessario tenere conto dell’impronta ambientale complessiva (“Environmental Footprint”) degli interventi, considerando in maniera integrata aspetti diversi quali: consumo di energia, emissioni in atmosfera, consumo di suolo, produzione di rifiuti, consumo di acqua, consumo di risorse naturali /ecosistemi/ biodiversità. Il concetto di “sostenibilità ambientale” dovrebbe essere utilizzato in tutte le fasi del processo che porta alla bonifica e al riutilizzo delle aree (NICOLE, 2010): • sviluppo delle politiche (regole, priorità, sinergie, ecc.); • pianificazione territoriale; • progettazione (caratterizzazione e sviluppo del progetto di bonifica o di interventi in genere); • attuazione (costruzione, funzionamento e monitoraggio, green procurement, effetti di lungo periodo). Diversi approcci e metodologie sono stati sviluppate negli ultimi anni, con caratteristiche e livelli di complessità molto diversi fra loro (CL:AIRE, 2010; Holland et al., 2011; Favara & Lovenburg, 2010; Pijls & Praamstra, 2010). Inoltre, diversi network internazionali sono attivi e coinvolti nel promuovere il tema e sviluppare linee guida e strumenti standardizzati (SuRF, Nicole, Common Forum, Eurodemo). USEPA ha recentemente messo a frutto il lavoro sull’argomento avviato da alcuni anni, producendo una metodologia (USEPA, 2012) che traduce in forma di linee guida operative i principi alla base della Green Remediation (USEPA, 2008). Questa è la metodologia che per le sue caratteristiche è stata scelta per l’Isola della Certosa.

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Le stime di impronta ambientale sono state effettuate per lo scenario progettuale attuale, denominato “ottimizzato” e per uno scenario oggi di fatto solo ipotetico, meno performante dal punto di vista ambientale, denominato “base”. Gli elementi che differenziano i due scenari sono riassunti in tabella 1. La valutazione di impronta ambientale è stata effettuata per le 6 fasi progettuali sotto riportate, distinte e sequenziali, allo scopo di individuarne il peso e gli aspetti più importanti: 1. attività propedeutiche e attività varie di accompagnamento 2. demolizione edifici e gestione dei materiali di demolizione 3. decespugliamento e gestione dei materiali vegetali 4. intervento sui Lotti 1 e 4 5. impianto della fitoremediation nei Lotti 2 e 3 6. conduzione dei Lotti 2 e 3 con fitoremediation La valutazione ha riguardato sia la fase realizzativa che la fase di conduzione dell’intervento, fino a bonifica raggiunta, prevista in circa 3 anni.

scenario

Aspetto progettuale Demolizioni

Risultati I risultati ottenuti sono stati analizzati rispetto all’importanza relativa dei “core elements” (materiali, rifiuti, acqua, energia, emissioni); al peso relativo delle diverse attività e fasi esecutive; alle differenze fra scenario “ottimizzato” e scenario “base” e al valore assoluto dell’impronta. Alle valutazioni quantitative che seguono, relative ai 4 “core elements” energia, emissioni, acque, materiali, vanno aggiunte quelle qualitative relative al “core element” “consumo di suolo ed ecosistemi”. A questo riguardo si può affermare che in entrambi gli scenari, gli

e smaltimento di inerti Base

di acquedotto

discarica; utilizzo di materiali

Gestione materiale vegetale

Smaltimento fuori isola (1.100 ton)

(14.000 m3)

di nuova fornitura per la copertura dei Lotti 1 e 4

Riutilizzo delle acque Ottimizzato

Demolizione, frantumazione

meteoriche (previa

e riutilizzo materiali

realizzazione del

Termovalorizzazione in isola (previa realizzazione dell’impianto)

sistema di raccolta) Tabella 1. Scenari progettuali comparati: “base” e “ottimizzato”

Generazione elettrica (Scope 2) Trasporti (Scope 3a) Altre fonti OffSite (Scope 3b)

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Utilizzo di acqua

(7.500 m3) e altri rifiuti in

On-site (Scope 1)

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Acque d’irrigazione

Demolizione degli edifici

categoria

Figura 2. Aree oggetto di intervento di bonifica (Lotti 1-4) rispetto allo stato di progetto (Progetto Definitivo del Parco Urbano)

L’energia consumata non è trascurabile ed è associata in prevalenza alle movimentazioni dei materiali (tabella 2). Nello scenario “ottimizzato” i consumi di gasolio per autotrazione equivalgono a circa 165.000 litri, di cui circa 3/4 utilizzati per il trasporto e 1/4 impiegato dai mezzi on site. Anche le emissioni in atmosfera sono in gran parte associate alla movimentazione dei materiali, in parte on site, ma in percentuale prevalente nei siti di generazione e per il trasporto e conferimento (tabella 2). Le attività con maggiore impronta (uso di materiali, consumo di energia ed emissioni) sono quelle relative agli interventi nei Lotti 1 e 4 e alla preparazione dei terreni per la fitoremediation nei Lotti 2 e 3. Le differenze più significative dello scenario “ottimizzato” rispetto allo scenario “base” sono le seguenti (figura 3): • aumento della frazione riciclata di materiali non raffinati utilizzati e dei rifiuti riciclati; • riduzione della quantità di rifiuti non pericolosi smaltiti fuori isola;

interventi previsti non portano a modifiche di rilievo dell’uso del suolo e ad alterazioni delle componenti ecosistemiche e dei servizi associati. Queste valutazioni sono state già sviluppate e condivise nelle fasi di screening VIA e di Valutazione di Incidenza del progetto definitivo del Parco Urbano e del progetto di bonifica. I materiali utilizzati (figura 3) sono quantitativamente significativi, pari a oltre 29 Kton e sono prevalentemente di tipo non raffinato (suolo e inerti). La produzione di rifiuti è molto ridotta e di fatto limitata ai suoli contaminati rimossi dall’hot spot e a circa 2 ton di materiali contenenti amianto ritrovati in isola. Nello scenario “base” si sarebbero aggiunti gli inerti da demolizione e il materiale verde (decespugliamento e sfalcio). Le risorse idriche e l’assetto idrogeologico e idraulico dell’isola non risultano alterati dagli interventi. Il consumo di acqua legato agli interventi (irrigazione delle aree a fitoremediation) non è trascurabile ma nemmeno particolarmente elevato (circa 4.700 m3/anno).

totale

energia

nox + sox

inquinanti

+ pm10

pericolosi

kg

kg

kg

131

159

1.044

0

0

0

0

0

0

377

2.848

90

57

2.996

0

3.445

186

707

795

134

1.637

3

10.399

37

4.310

1.016

350

5.677

4

ghg

nox

sox

pm10

GJ

tCO2e

kg

kg

1.536

-526

754

0

0

5.418

totale

Tabella 2. Dettaglio delle fonti di consumo ed emissione in atmosfera nello scenario “ottimizzato”


• annullamento dell’utilizzo di acqua di acquedotto per scopi irrigui; • riduzione del 40% della quantità di energia utilizzata; • dimezzamento delle emissioni in atmosfera; • raggiungimento della carbon neutrality. Il valore assoluto dell’impronta in entrambi gli scenari esaminati è in linea generale contenuto e ciò è dovuto alla dimensione complessiva e alle caratteristiche dell’intervento e agli elementi di sostenibilità già inseriti anche nello scenario “base”. E’ altresì evidente come i benefici ottenuti attraverso le ottimizzazioni introdotte nel progetto finale in corso di realizzazione (scenario “ottimizzato”), pur se di entità limitata dal punto di vista della magnitudo assoluta, rappresentino contributi di sostenibilità per tutti i core elements considerati, a partire dall’azzeramento delle emissioni di gas serra (GHG), e possano dar luogo a benefici apprezzabili a scala locale (riduzione del traffico acqueo, qualità dell’aria, rumore, ecc.). Rispetto alle emissioni di gas climalteranti, la possibilità di riutilizzare on site la biomassa derivante dalle operazioni di decespugliamento risulta essere particolarmente interessante. Tale elemento permetterebbe infatti non solo di evitare le emissioni correlate al trasporto ed allo smaltimento fuori dall’isola, ma anche di coprire con “energia verde” il fabbisogno termico degli edifici dell’isola per oltre dieci anni. Tale soluzione potrebbe di fatto alla carbon neutrality dell’intero inter-

vento di bonifica, ovvero le emissioni di gas serra evitate utilizzando la biomassa già disponibile invece che gas naturale, compenserebbero le emissioni derivanti da tutte le attività previste dal progetto.

Conclusioni

Le scelte metodologiche dell’intervento, maturate attraverso l’analisi della storia del compendio e del suo futuro utilizzo, si caratterizzano per la spiccata sostenibilità ambientale, grazie ad accorgimenti quali la minimizzazione dei movimenti e dei trasporti di terreni e materiali, l'uso delle piante per la degradazione degli idrocarburi presenti nei suoli, il riuso di materiali presenti in sito, evitando così il loro Figura 4. Differenze fra scenario “ottimizzato” e scenario “base” per i conferimento in discarica parametri più significativi. Unità di misura: materiali e rifiuti [ton]; acque nonché il consumo di ma- [m3]; energia [GJ]; emissioni inquinanti [kg]; emissioni GHG [tCO e]. 2 teriale di cava, la raccolta e riutilizzo delle acque meteoriche per garan- Come si evince dal titolo stesso del report EPA, tire l’annullamento dell’uso di acqua potabile la metodologia è applicabile in buona parte ana scopi irrigui. Il calcolo dell'impronta ambien- che a progetti che non abbiano a che fare ditale effettuato mediante la metodologia messa rettamente con la bonifica. Il metodo non cona punto da EPA ha permesso di quantificare i sidera al momento aspetti sociali ed economici benefici ottenuti e quindi non fornisce una valutazione di sostegrazie alle solu- nibilità complessiva dell’intervento. La ricerca zioni adottate. della più elevata sostenibilità è stata frutto di un La metodologia processo volontario, favorito dall’Accordo con EPA adottata il Ministero dell’Ambiente, ed è stata oggetto si è dimostrata di un confronto continuo con gli Enti compeun ottimo stru- tenti, che hanno condiviso e spesso contribuito mento di lavo- a mettere a punto le soluzioni proposte; anche ro, per la sua per questo la Certosa rappresenta un'esperienc o m p l e t e z z a za trasferibile in altri siti, sia per l'approccio che ma anche per la per le specifiche soluzioni adottate. sua flessibilità, elementi questi *Segreteria Tecnica dell’Accordo che la rendoper la realizzazione del programma di no idonea ad riqualificazione e recupero sostenibile un’ampia gamdell’Arsenale e dell’isola della Certosa Figura 3. Principali componenti dell’impronta ambientale nello scenario “ottimizzato”. Unità ma di progetti **VdV s.r.l. di misura: materiali e rifiuti [ton]; acque [m3]; energia [GJ]; emissioni inquinanti [kg]; emissioni ed applicazioni. ***Comune di Venezia GHG [tCO2e].

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Fitorisanamento dei sedimenti marini di dragaggio Sperimentazione su scala pilota della tecnologia di fitorimediazione applicata ai sedimenti del porto di Livorno di A. di Biase*, S. Doni**, C. Macci**, E. Peruzzi**, R. Iannelli*** e G. Masciandaro**

I

l fitorisanamento è una tecnologia a basso impatto ambientale ed economicamente sostenibile che si avvale delle capacità intrinseche delle piante presenti in natura, oppure geneticamente ingegnerizzate, per bonificare ambienti contaminati. Il fitorisanamento si divide in varie tipologie: la fitostabilizzazione, in cui le piante stabilizzano i contaminanti nell’area radicale; la fitofiltrazione, che coinvolge le piante per la depurazione di ambienti acquatici; la fitovolatilizzazione, che utilizza piante per estrarre alcuni metalli e contaminanti organici dal suolo e rilasciarli in atmosfera; la fitoestrazione, che si avvale della capacità delle piante di assorbire i contaminanti dal suolo e di traslocarli nella parte epigea dove essi si accumulano. Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse nel testare l’efficacia della fitorimediazione anche su matrici ambientali più complesse da trattare come ad esempio i sedimenti marini di dragaggio, dal momento che il trattamento chimico-fisico tradizionale non è economicamente sostenibile a causa delle elevate quantità di sedimenti dragati ogni anno. La necessità di dragare i sedimenti dai porti nasce dalla loro continua formazione che provoca la scomparsa progressiva delle condizioni di profondità necessarie alla navigazione. Questo lavoro si inserisce all'interno del progetto finanziato dalla Comunità Europea "AGRIPORT" (ECO/08/239065/S12.532262), Agricultural Reuse of Polluted Dredged Sediments, volto a decontaminare e migliorare le caratteristiche chimico-fisiche, nutrizionali e biologiche dei

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Figura 1. Quattro sub-aree in cui sono piantumate diverse specie e combinazioni di queste


Figura 2. Idrocarburi totali misurati in superficie (0-20 cm) e in profondità (20-40 cm) nei 4 tipi di trattamenti (P: Paspalum vaginatum; C: controllo senza piantumazione; P+S: Paspalum vaginatum + Spartium junceum; P+T: Paspalum vaginatum + Tamarix gallica) al tempo T0 e nel campionamento successivo a distanza di 6 mesi, T1

sedimenti del porto di Livorno mediante la tecnologia di fitorimediazione, rendendoli così riutilizzabili in campo agronomico e ambientale. E' stata effettuata la caratterizzazione chimico fisica dei sedimenti dragati, con lo scopo di definirne il livello di contaminazione (organica ed inorganica) iniziale. I valori ottenuti sono stati confrontati ai parametri limite imposti dalla legge per il riutilizzo a verde pubblico, privato e residenziale (D.Lgs. 152/06, titolo V allegato 5 parte quarta) e sono state riscontrate eccessive concentrazioni di Zinco e Idrocarburi. Tale sperimentazione è stata condotta in via preliminare su mesoscala (Bianchi et al., 2009) per poi passare alla realizzazione su impianto pilota. L’elevata salinità e la natura limo-argillosa asfittica dei sedimenti hanno reso necessario il loro pretrattamento mediante miscelazione con un terreno di scarto (3:1 v/v). La miscela derivante sedimento-terreno è stata immessa

in una vasca di trattamento impermeabilizzata costruita all'interno dell'area portuale, presso il Varco Donegani con la collaborazione della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Pisa. E' stato inoltre deciso di aggiungere sulla superficie, uno strato di compost (40 ton/ ha) al fine di rendere tale matrice più adatta alla crescita delle piante. Le piante per la sperimentazione sono state scelte sulla base di alcune caratteristiche fisiologiche, quali l’elevata capacità e velocità di crescita, il basso fabbisogno idrico, la resistenza all’elevata salinità e alla siccità, l’abilità a svilupparsi in un substrato estremamente compatto e asfittico. Inoltre, le piante si sono dimostrate efficienti nell’assorbimento e rimozione degli inquinanti presenti e nel migliorare la fertilità del substrato attraverso la stimolazione dei cicli biogeochimici (Macci et al., 2012). Le specie scelte sono una a portamento erbaceo (Paspalum

vaginatum) e due a portamento arbustivo (Tamarix gallica e Spartium junceum). L’impianto è stato suddiviso in quattro aree uguali per testare le potenzialità delle diverse specie in termini di efficienza di fitorimediazione; i trattamenti sono: 1) Paspalum vaginatum (P); 2) controllo privo di specie vegetali (C); 3) combinazione di Paspalum vaginatum e Spartium junceum (P+S); 4) combinazione di Paspalum vaginatum e Tamarix gallica (P+T) (Figura 1). Il presente lavoro riporta i risultati delle analisi chimiche, fisiche e biologiche dei campionamenti effettuati subito dopo la piantumazione (T0) e a distanza di sei mesi (T1) a due diverse profondità (0-20 e 20-40 cm).

Materiali e metodi Sui campioni sono stati analizzati una serie di parametri chimico-fisici: 1) umidità; 2) pH; 3) conducibilità elettrica; 4) nutrienti quali azo-

Figura 3. Attività deidrogenasica misurata in superficie (0-20 cm) e in profondità (20-40 cm) nei 4 tipi di trattamenti (P: Paspalum vaginatum; C: controllo senza piantumazione; P+S: Paspalum vaginatum + Spartium junceum; P+T: Paspalum vaginatum + Tamarix gallica) al tempo T0 e nel campionamento successivo a distanza di 6 mesi, T1

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gli strati superficiali a quelli più profondi, osservato nei dati ottenuti sul fosforo totale (TP). Per quanto riguarda i contaminanti inorganici solo i valori di Zn misurati alle due profondità sono risultati superiori al limite riportato nella normativa italiana (D.Lgs 152/06), per il riutilizzo nelle aree urbane (150 mg/kg). Tuttavia nell’arco di tempo relativamente breve della presente sperimentazione, il tenore di metalli pesanti mostra una tendenza alla Figura 4. Rappresentazione dei trattamenti (scores) rispetto ai pesi riduzione nel tempo. Anche fattoriali (P, Paspalum vaginatum; C, controllo senza piantumazione; P+S, la concentrazione di Zinco è Paspalum vaginatum + Spartium junceum; P+T, Paspalum vaginatum + diminuita senza però rientrare Tamarix gallica); T0, tempo iniziale; T1, dopo sei mesi dall’inizio della nei limiti imposti dalla legge. sperimentazione; s, 0-20 cm; p, 20-40 cm. I contaminanti organici (Idrocarburi Totali – Figura 2), inveto totale, attraverso combustione e fosforo ce, sono diminuiti significativamente nel tempo totale, determinato con metodo spettrofoto- in superficie in tutte e tre le zone piantumate e metrico; 5) carbonio organico totale mediante nel controllo. ossidazione. Sono anche stati analizzati para- Questo è legato all’attività microbica, stimometri biologici: enzima deidrogenasi, indicatore lata sia dall’applicazione di sostanza organica dell’attività microbica globale del sistema suo- che dalla presenza delle piante. In profondità lo tramite INT, 2-p-iodo-3-nitrophenyl 5-phenil vi è stata una riduzione meno accentuata. tetrazolium chloride come substrato; conta L'attività deidrogenasica, indicativa dell’attivimicrobica totale. I risultati riportati sono i valori tà microbica totale non ha mostrato variazioni medi dei risultati ottenuti in tre repliche cam- significative nel trattamento con Paspalum pionate su ciascuna area di trattamento (Figura vaginatum (P) e nel controllo (Figura 3). Nelle 1). Su questi risultati è stata effettuata l’analisi due aree in cui Paspalum vaginatum è stato associato a specie arbustive (P+S e P+T) instatistica delle componenti principali (PCA). vece l’aumento è risultato significativo, sugDiscussione e risultati gerendo un’attivazione microbica nelle zone Tra le analisi chimico-fisiche il trattamento ha radicali (rizosfera) di queste piante (Garcia influenzato significativamente i valori di Con- et al., 2005; Carreira et al., 2008). L’attività è ducibilità Elettrica, misura indiretta del conte- stata in tutti i trattamenti relativamente alta se nuto di sali, la quale diminuisce nel tempo. Tale confrontata con quelle di suoli coltivati (Pajadiminuzione è legata sia all’evaporazione della res et al., 2009; Caravaca et al., 2002). soluzione acquosa sia alla mineralizzazione. L’effetto di quest’ultimo processo sommato Analisi Statistica all’incorporazione progressiva del compost ha L’analisi delle componenti principali (PCA) ha influenzato anche le analisi biochimiche com- consentito di estrarre due componenti prinpiute sui nutrienti presenti nella mistura sedi- cipali (PC1 e PC2), che spiegano la maggiomento-suolo (TOC e TN). Infatti i trattamenti ranza della varianza totale (64,2%) (Tabella hanno migliorato il contenuto di nutrienti pre- 1), divisa tra il 33,4% della prima componensenti agevolando la crescita delle piante scelte te e il 30,8% della seconda. La prima comper la sperimentazione. Dai risultati si riscontra ponente principale (PC1) include il carbonio anche un passaggio verticale del compost da- organico totale, azoto totale, fosforo totale,

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unità formanti colonia, indicando quindi la stretta correlazione esistente tra disponibilità di nutrienti e crescita dei microrganismi. La seconda componente principale (PC2) evidenzia invece la significatività dei metalli totali, quali Cadmio, Rame, Nichel, Zinco e Piombo (Tabella 1). Dal grafico degli scores (Figura 4), dove sono riportati i punteggi dei casi (trattamenti, profondità e tempi), risulta subito evidente la differenza tra i campioni superficiali e quelli sub-superficiali a riprova di come lo strato superficiale di compost abbia fin dal principio (T0) influenzato le condizioni generali dei sedimenti. Lo spostamento dei campioni superficiali di tutti i trattamenti, rispetto a quelli profondi verso valori positivi della prima componente principale (PC1), indica, infatti, il miglioramento delle caratteristiche chimico nutrizionali che sono risultate significative su questa componente (Figura 4, Tabella 1). Nel tempo si osserva uno spostamento dei PC 1

PC 2

TOC

0,836763

0,386163

NT

0,896145

0,085685

PT

0,727258

0,325199

E.C.

-0,737503

0,174882

pH

0,578980

0,515506

DH-ase

0,258737

0,133389

UFC

0,877682

0,069416

Cd

0,192420

0,894074

Cu

0,333132

0,700416

Ni

0,182190

0,760540

Zn

0,033313

0,759829

Pb

0,048390

0,880161

Cr

0,602305

0,521484

TPH

0,617783

0,496698

Var. Sp.

4,677626

4,320209

Prp.Tot.

0,334116

0,308586

Pesi marcati > 0,64. TOC, carbonio organico totale; NT, azoto totale; PT, fosforo totale; E.C.,Conducibilità elettrica; DH-ase, attività deidrogenasica; UFC, unità formanti colonia; TPH, idrocarburi totali.

Tabella 1. Tabella dei pesi fattoriali (loadings), i valori significativi sono segnati in grassetto.


trattamenti, sia superficiali che non, verso valori negativi della seconda componente (PC2), sulla quale erano risultati significativi i contaminanti inorganici (Tabella 1), indicandone una diminuzione della concentrazione in tutti i trattamenti con le piante. E’ da sottolineare comunque come nel tempo i campioni prelevati a 20-40 cm siano meno influenzati dai trattamenti di fitorimediazione, essendo localizzati nel grafico degli scores molto vicini tra loro.

Conclusioni Possiamo concludere che è possibile migliorare le caratteristiche dei sedimenti in modo da renderli riutilizzabili per fini ambientali e agricoli. Tale miglioramento è stato possibile grazie: • al pre-condizionamento dei sedimenti mediante miscelazione con terreno di scarto (materiale calcareo sabbioso) per migliorare la permeabilità del mezzo e per permettere, con l’utilizzo di compost, la

crescita e lo sviluppo di specie vegetali (Paspalum vaginatum, Tamarix gallica e Spartium junceum); • al miglioramento della qualità della sostanza organica; • all'aumento dell’attività microbica; • alla diminuzione della concentrazione dei

contaminanti organici (idrocarburi), dimostrando l’efficacia delle piante utilizzate nel processo di fitorimediazione. *Ex-tesista CNR-ISE **CNR-ISE ***Dip. di Ingegneria Civile, Università di Pisa

Bibliografia Garcia, C.; Roldan, A.; Hernandez, T., 2005. Ability of different plant species to promote microbiological processes in semiarid soil Geoderma 124, 193-202. Carreira, J.A.; Viñegla, B.; García-Ruiz, R.; Ochoa, V.; Hinojosa, M.B., 2008. Recovery of biochemical functionality in polluted flood-plain soils: The role of microhabitat differentiation through revegetation and rehabilitation of the river dynamics. Soil Biology and Biochemistry 40, 2088-2097. Caravaca, F.; Masciandaro, G.; Ceccanti, B., 2002. Land use in relation to soil chemical and biochemical properties in a semiarid Mediterranean environment. Soil and Tillage Research, 68, 23-30. Pajares, S.; Gallardo, J.F.; Masciandaro, G.; Ceccanti, B.; Marinari, S.; Etchevers, J.D., 2009. Biochemical indicators of carbon dynamic in an Acrisol cultivated under different management practices in the central Mexican highlands Soil & Tillage Research, 105, 156-163. Bianchi, V., G. Masciandaro, B. Ceccanti, S. Doni, R. Iannelli. 2009. Phytoremediation and Bio-physical Conditioning of Dredged Marine Sediments for Their Re-use in the Environment. Water, Air and Soil Pollution. Macci C., Doni S., Peruzzi E., Ceccanti B., Masciandaro G. (2012). Bioremediation of polluted soil through the combined application of plants, earthworms and organic matter. Journal of Environmental Monitoring 14, 2710-2717.

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p rog et t i e t e cn o lo gie

Tecnologie di biorisanamento: il bioventing "passivo" Vanta ancora poche applicazioni in campo, ma rispetto al bioventing tradizionale risolve i problemi logistici correlati alla fornitura di energia elettrica di T. Pennesi*, F. Beolchini**, A. Dell’Anno**, M. Falconi*** e M. Aversa****

L

a bonifica di suoli è una delle problematiche più rilevanti per gli interventi di risanamento ambientale di siti contaminati e, secondo le recenti stime dell’ISPRA, riguarda circa il 3% del territorio Italiano considerando i soli Siti di Interesse Nazionale [1]. L’applicazione di una tecnologia di bonifica rispetto ad un’altra può determinare una variazione rilevante e considerevole degli oneri che, unitamente alle tempistiche di restituzione delle aree agli usi legittimi, rappresentano in molti casi un fattore strategico per la riconversione dell’area contaminata. La Bioremediation o Biorisanamento rientra tra le tecnologie di bonifica che consentono la degradazione di numerosi inquinanti, in particolare gli idrocarburi, utilizzando la naturale attività biologica dei microrganismi. Viene, infatti, favorito l’incremento dell’attività biodegradativa prodotta dai batteri naturalmente presenti nello stesso terreno inquinato o da batteri selezionati in laboratorio ed immessi nel terreno attraverso inoculi sequenziali (bioaugmentation). In questa categoria rientra anche la cosiddetta tecnica del Bioventing (BV) la quale prevede un processo di aerazione dei terreni “in situ”, attraverso l’utilizzo di almeno una soffiante per iniettare o estrarre aria a bassa pressione, allo scopo non di strippare i contaminanti ma di fornire ossigeno ai microrganismi e quindi

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facilitarne in alternativa la loro biodegradazio- pressione positiva, generando flussi d'aria verne aerobica. Il Bioventing si è rivelata una tra so l’esterno del pozzo. L’entità del gradiente è le migliori tecniche, sia in termini di costi sia principalmente funzione del tasso di variazione di efficienza, utilizzabile principalmente in siti della pressione atmosferica, della profondità, contaminati da idrocarburi. A questa tecno- della permeabilità del suolo all’aria e del grado logia oramai affermata nel panorama italiano di porosità del suolo [3]. delle bonifiche, si affianca, ancora con poche Il rapporto tra il gradiente di pressione e queapplicazioni a scala progettuale, l’innovativa ste variabili si manifesta come intervallo di tecnica del Bioventing passivo la quale forni- tempo tra le variazioni di pressione atmosfesce ossigeno al sottosuolo sfruttando le diffe- rica e i cambiamenti di pressione all’interno renze derivanti dalle variazioni naturali diurne del terreno. della pressione atmosferica misurata al suolo. Come è noto, la pressione atmosferica varia Nei periodi in cui si registra un aumento del- quotidianamente con le oscillazioni della temla pressione, si sviluppa, infatti, un gradiente peratura dell'aria riscaldata dalla superficie negativo tra la misura della stessa pressione del suolo la quale ha la capacità di trasformaatmosferica ed il sottosuolo, variazione che è re la radiazione solare ad onda corta ricevuta misurabile nei punti di monitoraggio come un vuoto (Fig.1). Il flusso d'aria può instaurarsi verso il sottosuolo, sempre che i pozzi di ventilazione o i pozzi di monitoraggio siano stati realizzati a profondità adeguata, favorendo lo svilupparsi di gradienti significativi. L'effetto contrario si instaura invece durante la diminuzione di pressione atmosferica esterna: si sviluppano in questo caso gradienti di Figura 1. Funzionamento del Bioventing passivo [2]


l'estrazione dell'aria Un terreno contaminato da idrocarburi deve utilizzando sempre avere una sufficiente permeabilità radiale valvole unidirezionali all’aria K per permettere all’aria iniettata atorientate diversa- traverso i pozzi di ventilazione di fluire radial air mente. Questa ver- nel terreno circostante e quindi aumensione “accoppiata” tare l'ossigeno contenuto nel suolo (Fig. 2). serve in particolare Al contrario, il terreno sopra la zona contamiquando è necessario nata deve essere relativamente a bassa perz convogliare il flus- meabilità verticale all’aria K air per consentire so d’aria verso aree lo sviluppo di una differenza di pressione (dP) target specifiche, ad in risposta ai cambiamenti di pressione atesempio sotto un mosferica esterna. edificio. I criteri car- Il primo passo affinché si possa decidere se dine per la proget- un sito sia adatto per il bioventing passivo imtazione di sistemi di plica una valutazione dei sondaggi e delle seFigura 2. Distribuzione della pressione del gas nel terreno e permeabilità all’aria Bioventing passivo zioni geologiche effettuate per determinare le verticale e orizzontale [5] sono rappresentati tipologie di terreno presente. È preferibile baed assorbita in radiazione ad onda lunga cioè dallo spazio necessario per il pozzo di ven- sarsi sulla valutazione delle proprietà dei tipi in raggi infrarossi. Risultato è una pressione ting, in funzione del raggio di influenza atteso di suolo prevalente presenti, tra cui porosità, più bassa nelle ore pomeridiane ed una più e del tasso del flusso d'aria nel pozzo stes- densità, peso specifico, contenuto di umidità alta registrata nelle prime ore del mattino. so. Se il raggio d’influenza previsto è piccolo del terreno e distribuzione granulometrica. Le variazioni di pressione atmosferica, dovute e il flusso d'aria atteso è basso, è richiesto Il secondo passo prevede l'utilizzazione delle alla situazione meteorologica, possono anche un numero maggiore di pozzi ed ovviamente relazioni esistenti sulla propagazione del gas essere significative, variando giornalmente di questo fattore va valutato preliminarmente attraverso il suolo per effettuare una stima circa 6,77 mbar tra giorno e notte[8]. Tuttavia, nello studio di fattibilità. Infatti il risparmio sulla differenza di pressione che potrebbe inper creare il flusso d'aria necessario alla venti- sui costi che si verrebbe a determinare dalla staurarsi nel corso di una data variazione di lazione sono fondamentali anche altri requisiti mancata installazione e dal mancato funzio- pressione atmosferica. Lo step finale utilizza sito specifici quali le caratteristiche del suolo namento di una soffiante, sarebbe compen- la stima del differenziale di pressione, deterin termini di permeabilità all’aria nonché la sua sato dagli aumenti considerevoli per la perfo- minato nel secondo passo, per prevedere la capacità come contenuto in umidità. La pro- razione e per i costi sostenuti di installazione portata d'aria prevista attraverso l’installaziogettazione di un sistema di bioventing passivo di ulteriori pozzi di venting. Per determinare ne di un pozzo all'interno dell’area sorgente. è quasi identica alla progettazione di un si- la fattibilità dell’intero sistema, il flusso d'aria La permeabilità radiale e la pressione differenstema di bioventing convenzionale, salvo che necessario in un sito deve essere confronta- ziale sono i parametri più importanti che denon è richiesta la presenza della soffiante e al to con la domanda biologica di ossigeno dei terminano il tasso del flusso d'aria in un pozzo suo posto sono installate le valvole passive in microrganismi presenti. di ventilazione. testa ai pozzi di venting. Si prevede che il raggio d’influenza da un siste- Misurare questi due parametri è l'unico meUtilizzando la valvola passiva, l'aria può en- ma di bioventing passivo si possa avvicinare a todo attendibile per determinare la fattibilità trare nel pozzo di venting solo quando la pres- quello di un sistema di sione interna è inferiore a quella atmosferica bioventing convenzioesterna mentre quando si verifica il gradiente nale solo dopo un tempressorio inverso, la valvola si chiude per im- po relativamente lungo. pedire la fuoriuscita dell’aria fatta entrare in La permeabilità all'aria precedenza. Oltre ai pozzi di venting per l'i- è il parametro più imniezione o l'estrazione dell’aria, vengono uti- portante da consideralizzati dei punti di monitoraggio dei vapori del re quando si valuta la suolo finalizzati ad osservare le prestazioni fattibilità del Bioventing del sistema in continuo. Per raggiungere un come tecnologia di bomiglioramento e un’ottimizzazione potenziale nifica, poiché controlla del sistema in alcuni casi i pozzi di venting la velocità del flusso vengono accoppiati in modo che alcuni di d'aria attraverso il suolo Figura 3. Schema impianto pilota di Bioventing passivo [6] essi siano utilizzati per l’iniezione e altri per stesso.

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p rog et t i e t e cn o lo gie

del bioventing passivo. Il costo di un sistema di bioventing passivo completo si basa in gran parte sul numero dei pozzi di ventilazione necessari per sostenere la biodegradazione: tale numero è determinato dal raggio d’influenza dell'ossigeno di ogni pozzo di ventilazione e dalla superficie circostanziale al pozzo stesso. Il raggio di influenza dell'ossigeno di un pozzo di bioventing passivo sarà sempre minore del raggio del bioventing tradizionale perché il flusso d'aria realizzato da questa tecnologia innovativa è inferiore a quello che si determina con l’utilizzo di soffianti. Altre condizioni sito specifiche che precludono l’installazione di un impianto pilota, risultano essere: • permeabilità all'aria verticale del terreno sovrastante l’area di trattamento superiore a 1.000 millidarcy; • permeabilità all'aria radiale del terreno contaminato inferiore a 100 millidarcy; • contenuto in acqua del terreno contaminato maggiore del 10% in massa; • raggio d’influenza dell’ossigeno (per ogni pozzo) minore di 3 m; • differenza di pressione atmosferica necessariamente inferiore a 3,4 mbar. Lo step iniziale di un impianto pilota è quello di effettuare un'indagine di soil gas per determinare accuratamente il limite della contaminazione degli idrocarburi e per individuare le zone dove la concentrazione di ossigeno nei gas del suolo è inferiore al 5%. La parte più importante dell'installazione dei pozzi di venting consiste nel fatto che la par-

Figura 4. Esempio di valvola one-way, BaroballTM [7]

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te finestrata del pozzo sia posizionata nella regione nel sottosuolo che ha la maggiore permeabilità radiale ai gas (Fig. 3). La valvola passiva unidirezionale è utilizzata per controllare il senso del flusso d'aria del pozzo di ventilazione, permettendo che l'aria scorra all’interno del pozzo quando la pressione atmosferica è maggiore di quella esistente nel sottosuolo. La valvola si chiude quando la pressione nel sottosuolo è maggiore di quella atmosferica, impedendo la fuoriuscita sia dell’ossigeno che dei composti organici volatili. Il funzionamento della valvola one-way determina un’espansione del volume di trattamento nel sottosuolo attraverso “iniezioni d’aria” che si verificano in occasione dei successivi eventi di alta pressione atmosferica. Il numero e la disposizione dei pozzi per il sistema di bioventing passivo full scale si basa sul raggio d’influenza dell'ossigeno, sull’entità del flusso d'aria e sul tasso di utilizzo di ossigeno. Tuttavia, la disposizione dei pozzi dovrebbe anche tener conto del fatto che, mentre gli idrocarburi si biodegradano, il tasso di utilizzazione di ossigeno diminuisce: ciò corrisponde ad un aumento del raggio d’influenza dell'ossigeno stesso. Il vantaggio principale di questa tecnologia innovativa rispetto al bioventing convenzionale o agli altri sistemi di bonifica è rappresentato dall’eliminazione delle soffianti. In molti impianti l’energia non è disponibile o sarebbe comunque molto costosa ed impattante nei costi del progetto. Anche in zone dove sarebbe disponibile l’alimentazione dalla rete, il sito potrebbe risultare lontano dai punti di accesso. Il punto debole della tecnologia è la necessità che si verifichino significativi differenziali di pressione nel sottosuolo, in maniera tale da raggiungere le portate d’aria e il raggio d’influenza richiesti. Poiché il raggio d’influenza e le portate d’aria di un sistema passivo sono inferiori a quelli di un sistema di bioventing convenzionale, sarà richiesto un numero maggiore di pozzi di venting, rispetto a un sistema convenzionale, per ottenere tempi di risanamento confrontabili. Tuttavia, se il sistema è progettato per fornire una portata d’aria in grado di soddisfare la richiesta di ossigeno da parte

dei microrganismi, i tempi di bonifica non aumentano significativamente. Nei siti in cui stanno funzionando sistemi di SVE o di bioventing convenzionale, ci può essere la possibilità di spegnere la soffiante alimentata elettricamente e installare una valvola passiva unidirezionale. Il passaggio al bioventing passivo potrebbe potenzialmente abbassare i costi operativi e di manutenzione mentre sono comunque garantiti i volumi di aria sufficienti per sostenere il risanamento. * Comune di Sangemini (TR) Sostenibilità Ambientale e Protezione Civile ** Dipartimento di Scienze della Vita e dell'Ambiente, Università Politecnica delle Marche *** Dipartimento per la Difesa del Suolo, ISPRA **** Settore Sedimenti, Dipartimento per la Tutela delle Acque Interne e Marine, ISPRA

BIBLIOGRAFIA [1]“I siti contaminati prossimi o interni alle città”, in VIII Rapporto sulla Qualità dell’Ambiente Urbano; Federico Araneo, Eugenia Bartolucci e Marco Falconi: www.isprambiente.gov.it/files/ pubblicazioni/statoambiente/VIII_RAPP_AREE_ URBANE.pdf [2]ESTCP (Environmental Security Technology Certification Program) – U.S. Department of Defence: “Natural Pressure-Driven Passive Bioventing –Final Report”- Naval Facilities Engineering Service Center - September 2000 – pg.16 [3]Zimmerman, C.T., Sass, B.M., Zwick, T.C., Alleman, B.C., Payne, C.A., Hoeppel, R.E., Bowling, L., 1997. “Principles of Passive Aeration for Biodegradation of JP-5 Jet Fuel”. Bioventing Applications and Extensions. Battelle Press [4]ESTCP - U.S. Department of Defence: “Cost and Performance Report - Natural Pressure-Driven Passive Bioventing” - Naval Facilities Engineering Service Center – January 2004 – pg. 7 [5]ESTCP - U.S. Department of Defence: “Design Document for Passive Bioventing” - Naval Facilities Engineering Service Center – March 2006 – pg. 13 [6]ESTCP - U.S. Department of Defence: “Design Document for Passive Bioventing” - Naval Facilities Engineering Service Center – March 2006 – pg. 23 [7]techportal.eere.energy.gov/image.xhtml?id= 698&techID=927 [8]ESTCP (Environmental Security Technology Certification Program) – U.S. Department of Defence: "Natural Pressure-Driven Passive Bioventing – Final Report”- Naval Facilities Engineering Service Center - September 2000 – pg.15.


n o r mat i va

Oneri reali e alienazione dei siti da bonificare Le garanzie per il compratore in caso di trasferimento di immobili su cui gravano passività ambientali di Luca Prati*

L

a situazione di contaminazione di un immobile oltre le soglie previste dal D.Lgs. 152/06 costituisce una specifica problematica giuridica in tutti quei casi in cui detto immobile, singolarmente o all’interno di un più ampio complesso aziendale, divenga oggetto di alienazione. Ciò in quanto, come noto, le passività ambientali gravanti sui siti contaminati sono soggette a trasferirsi in capo all’acquirente, insieme al bene cui pertengono, costituendo dette passività un onere reale ed un privilegio immobiliare sul bene da bonificare, o bonificato dalla Pubblica Amministrazione. L’operatività dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare sul sito è attualmente disciplinata dall’art. 253 del Codice dell’ambiente. Per quanto riguarda l’onere reale, il comma 1 dell’art. 253 conferma che gli interventi effettuati d’ufficio dall’autorità competente ai sensi dell’art. 250, costituiscono onere reale sui siti contaminati, ma si precisa ora che esso viene iscritto soltanto a seguito dell’ap-

provazione del progetto di bonifica, e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica. L’onere reale deve essere iscritto a seguito dell’approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica. L’onere reale incide in senso restrittivo sul diritto di proprietà e diminuisce la commerciabilità economica del bene, includendo nel suo valore di mercato il costo della bonifica. L’art. 253 del Codice dell’ambiente aggiunge poi, a vantaggio dell’amministrazione procedente, il privilegio immobiliare, quale causa legittima di prelazione accordata dalla legge in considerazione della qualità e della causa del credito. Esso si inquadra tra gli strumenti di rafforzamento della garanzia patrimoniale del credito, comportando una preferenza del titolare del privilegio rispetto agli altri creditori in sede di esecuzione forzata sui beni del debitore inadempiente. La previsione del privilegio speciale immobiliare comporta anche che il credito dell'ammi-

nistrazione che ha proceduto alla bonifica in danno per il recupero delle spese sostenute è preferito a quello dei creditori ipotecari (art. 2748, comma 2, c.c.). Il Codice dell’ambiente ha precisato inoltre che il proprietario non responsabile dell’inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di un provvedimento motivato e con l’osservanza delle disposizioni di cui alla legge n. 241/1990, le spese degli interventi adottati dall’autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell’esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4). L’art. 253 prevede poi che il privilegio e la ripetizione delle spese nei confronti del proprietario incolpevole del sito possano essere esercitati solo a seguito di un provvedimento dell’autorità competente che giu-

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n o r m at i va

stifichi, tra l’altro, l’impossibilità di accertare l’identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l’impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità (art. 253, comma 3). L’art. 253 comma 4 del D.Lgs. n. 152/06 sopra richiamato prevede inoltre che “Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito”. La norma, oltre a ribadire indirettamente che il proprietario dell’inquinamento non è obbligato ad effettuare gli interventi di bonifica, ma ha solo la facoltà di farlo procedendovi “spontaneamente”, attribuisce espressamente un’azione di regresso nei confronti del responsabile dell’inquinamento per il recupero delle spese sostenute nonché per gli ulteriori danni subiti. L’art. 253 sopra citato, tuttavia, è utilizzabile solo nei confronti del soggetto autore dell’inquinamento. Esso non può invece operare nei confronti del venditore di un immobile che non

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sia anche identificabile come inquinatore dello stesso. Nei casi in cui l’acquirente di un sito si trovi a dover far fronte all’inquinamento causato da un soggetto diverso dal venditore, in mancanza di specifiche clausole contrattuali possono invece risultare applicabili le norme sulla vendita, al fine di valutare l’efficacia di limitazioni del tipo di quelle su indicate. Tra esse, viene in rilievo la garanzia per l’evizione, con cui il venditore assume su di sé il rischio che il compratore subisca la privazione o la limitazione del diritto acquistato per effetto di diritti preesistenti che terzi vantano sul bene venduto o su parte di esso o che il compratore sia limitato nel godimento del diritto acquistato per effetto di diritti reali minori o di diritti di godimento di terzi (cfr. gli artt. 1483, 1484 e 1489 c.c.). Ove il compratore subisca l’evizione il venditore sarà tenuto a rimborsargli il prezzo e le spese (sostenute per la vendita e per la manutenzione del bene), nonché i frutti che egli sia stato tenuto a restituire al terzo che sia stato riconosciuto proprietario del bene (o di parte di esso) (cfr. gli artt. 1483 e 1479 c.c.).

Come ha infatti chiarito la giurisprudenza amministrativa, sul proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento, ma bensì la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 30 maggio 2008, n. 1541). Pertanto, il terreno sottoposto a fenomeni di inquinamento è senz’altro soggetto ad espropriazione, che il proprietario, ancorché non responsabile, ha l’onere di evitare ponendo in essere gli interventi di bonifica alla stregua del soggetto responsabile (T.A.R. Piemonte, Sez. I - 21 novembre 2008, n. 2928). Si ritiene inoltre essere esperibile, a tutela dell’acquirente, l’azione contemplata all’art. 1489 c.c., in base al quale il compratore del sito da bonificare potreb be avere la possibilità di sospendere il pagamento del prezzo oppure di chiedere la risoluzione del contratto o, ancora, quello di chiedere una riduzione del prezzo.


L’esistenza di un onere reale sul sito a causa della presenza di una discarica occulta e dei relativi interventi di bonifica, con conseguente diritto alla riduzione del prezzo, sono altresì stati riconosciuti con la sentenza della Cassazione, Sezione II, del 1° maggio 2008, n. 12852. Nel caso di specie, durante i lavori di scavo iniziati per la realizzazione di un nuovo edificio, si scopriva che il sottosuolo era occupato da un’ingente quantità di rifiuti, anche speciali, per cui si rendeva necessaria una complessa attività di bonifica dell'area. E’ poi opportuno ricordare che: 1. ex art. 1487 Codice civile, applicabile anche nell’ipotesi dell’art. 1489, quantunque sia pattuita l’esclusione della garanzia, il venditore è sempre tenuto per fatto suo proprio, ed è nullo il patto contrario; 2. ex art. 1490 Codice civile secondo comma, il patto con cui si esclude o si limita la garanzia non ha effetto, se il venditore ha

in mala fede taciuto al compratore i vizi della cosa (situazione che potenzialmente coinvolge tutti i casi in cui il venditore abbia scientemente occultato eventuali non conformità ambientali di cui avesse avuto conoscenza al tempo dell’alienazione); 3. ex art. 1491 Codice civile, non è dovuta garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa o se questi erano facilmente riconoscibili (situazione ricorrente nel caso in cui l’acquisizione sia stata preceduta da due diligence ambientali) salvo, in questo caso, che il venditore abbia dichiarato che la cosa era esente da vizi. In base poi al principio posto dall’art. 1229 Codice civile, sono nulli i patti che limitino preventivamene la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave. Tuttavia, mentre le suddette garanzie previste per la vendita possono operare quando oggetto del contratto siano direttamente i beni im-

mobili e produttivi (anche nell’ambito di un contratto di cessione di azienda come definita ex art. 2555 c.c.), le stesse si presentano di dubbia applicabilità nell’ambito delle acquisizioni aventi ad oggetto quote societarie o pacchetti azionari, dato che la giurisprudenza più recente, evidenziando l’autonomia patrimoniale perfetta della società, tende ad escludere in via generale che questioni attinenti al patrimonio, ovvero a singoli beni societari, possano di per sé incidere sul negozio di cessione relativo alle azioni o quote della società. La giurisprudenza maggioritaria ritiene che la consistenza patrimoniale della società nell'ambito della cessione di quote o azioni di quest'ultima rilevi solo in presenza di garanzie apposite del cedente, ovvero nel caso di dolo di uno dei contraenti. Quest'ultima posizione è stata anche recentemente ribadita dalla Cassazione con la sentenza n. 10648 del 2010, che nella controversia relativa a un bene immobile costruito da una società cooperativa edilizia con l'acquirente delle quote che contestava ai venditori delle stesse la presenza di vizi afferenti l'immobile la cui assegnazione la proprietà delle quote cedute dava diritto, ha nuovamente precisato che, in assenza di specifiche garanzie, non è consentito al cessionario di quote sociali contestare al cedente detti vizi e quindi agire per la garanzia relativa. Ne discende che, nella prassi contrattuale relativa alle cessioni di partecipazioni sociali, le clausole di garanzia devono essere espresse (nel senso che devono risultare dal testo del contratto) e specifiche (nel senso che devono riguardare specifici aspetti del patrimonio della società presi in esame dalle parti). Anche le clausole relative alla condizione ambientale del bene ed ai connessi oneri che ne discendono dovranno, pertanto, essere il quanto più possibile espresse e specifiche, circostanza che per lo più dovrebbe indurre le parti ad una attenta attività di due diligence ambientale preventiva alla stipula dell’alienazione. *Studio Legale Cardini, Prati & Scotti

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Il calcolo e la gestione della Tares Dalla manovra “Salva Italia” alla legge di stabilità 2013 per fare chiarezza sul nuovo tributo comunale sui rifiuti e servizi di Daniele Carissimi*

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a Tares è il nuovo tributo comunale sui rifiuti e servizi, coniato dal Governo Monti, ai sensi dell’art. 14 del D.L. n. 201/2011, recante “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”, coordinato con la legge di conversione n. 214/2011 (cd. manovra “Salva Italia”), a copertura dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa dai comuni, e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. A decorrere dal 1 gennaio 2013, pertanto, è istituito in tutti i Comuni del territorio nazionale il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi [1], ideato in sostituzione della Tarsu, ovvero della Tia, e preordinato anche al finanziamento dei servizi comunali a beneficio della collettività, in ordine ai quali si rende impossibile una suddivisione in base all’utilizzo individuale. In relazione a tali servizi si prevede una maggiorazione pari a 0,30 euro per metro quadrato, che può essere aumentato, con deliberazione del consiglio comunale, fino a 0,40 euro [2]. Il nuovo tributo “sarà corrisposto da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”[3]. Nella stesura dettata dalla manovra “Salva Italia”, la Tares doveva essere calcolata in base alle dimensioni dell’immobile e alla quantità dei rifiuti prodotti. Il comma 9 dell’art. 14 cit. precisava, infatti, che “la tariffa è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiu-

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ti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base dei criteri determinati con il regolamento di cui al comma 12”. Si prevedeva, all’uopo, un regolamento da emanarsi entro il 31 ottobre, onde stabilire i criteri per l’individuazione del costo del servizio di gestione dei rifiuti e per la determinazione della tariffa. Tale regolamento sarebbe stato applicato dall’anno successivo, mentre per il 2013 si sarebbero adottate le disposizioni di cui al DPR n. 158/1999 [4]. La superficie utile ai fini dell’imposizione del nuovo tributo per le unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili al catasto edilizio urbano, ai sensi dello stesso comma 9, era pari all’80% della superficie catastale. In relazione agli immobili già denunciati, i Comuni avrebbero modificato d’ufficio le superfici che risultino inferiori alla percentuale stabilita, incrociando i dati comunali con quelli dell’agenzia del territorio. Qualora fossero mancati i dati per determinare la superficie catastale, gli

interessati avrebbero presentato, ad istanza del Comune, direttamente all’Agenzia del Territorio, la mappa catastale dell’immobile coinvolto. Per le altre unità immobiliari, invece, la superficie tassabile era quella calpestabile. Un tale meccanismo di calcolo, tuttavia, necessitava di tempi di preparazione lunghi per l’aggiornamento dei dati. Lo stesso Governo, quindi, al fine di rendere disponibile ai Comuni la superficie catastale sulla quale determinare la nuova imposta, si è preoccupato di disporre un emendamento del suddetto comma 9, onde consentire una prima transitoria applicazione della Tares per le unità immobiliari urbane prive di planimetria catastale. Si è tentato, infatti, ai sensi dell’art. 6, comma 2 del D.L. n. 16/2012, coordinato con la legge di conversione n. 44 [5], di trovare un rimedio, consentendo in sede di prima applicazione, per le unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria e prive di planimetria catastale, la determinazione di una superficie convenzionale ad opera dell’Agenzia del Territorio.


Nella Relazione illustrativa del medesimo si affermava, invero, che il provvedimento “al fine di agevolare l'applicazione della Tares… affida all'Agenzia del territorio il compito di fissare una superficie convenzionale sulla base degli elementi in suo possesso, per quelle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria prive di planimetria catastale, in modo che tale superficie possa costituire la base imponibile in relazione alla quale calcolare l'imposta a titolo di acconto, salvo conguaglio, nelle more della presentazione della planimetria catastale”. Ciò nonostante, si sono, comunque, ravvisate notevoli difficoltà applicative. Prima della chiusura anticipata della legislatura, pertanto, in vista dell’avvio della Tares stabilito per inizio anno 2013, si è inserito nel corpo della Legge di stabilità [6] un comma 387, art. 1, per emendare la disciplina della Tares, così come disposta dalla manovra “Salva Italia”. Alla luce di tale modifica, non viene più previsto un regolamento - come stabiliva la manovra – finalizzato a stabilire i criteri per l’individuazione del costo del servizio di gestione e per la determinazione della tariffa: il comma 12 è stato, infatti, abrogato dalla legge di stabilità 2013. La nuova Tares è ora commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti

per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base dei criteri determinati con il regolamento di cui al DPR del 27 aprile 1999, n. 158. Per gli immobili a destinazione ordinaria, perciò, non si fa riferimento alla superficie catastale per il calcolo del tributo e l'Agenzia del territorio è liberata dal gravoso compito di fissare una superficie convenzionale sulla base degli elementi in suo possesso, per quelle unità immobiliari urbane a destinazione ordinaria prive di planimetria catastale. La commisurazione alla superficie catastale avverrà solo quando sarà compiuto l’allineamento dei dati degli immobili a destinazione ordinaria e quelli della toponomastica e la numerazione civica. Sarà l’amministrazione che comunicherà le nuove superfici imponibili. In attesa del completamento di tale operazione, ai sensi del nuovo comma 9 dell’art. 14, così come modificato dalla legge n. 228/2012, la superficie delle unità immobiliari a destinazione ordinaria, iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano, assoggettabile al tributo è costituita da quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati. Si consente anche ai Comuni di fare ricorso alle superfici già denunciate ai fini TARSU o TIA.

Ai fini dell'attività di accertamento, tuttavia, il Comune, per le unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano, può considerare come superficie assoggettabile al tributo quella pari all'80 per cento della superficie catastale. La legge di stabilità modifica, peraltro, anche il profilo della gestione del tributo. Nella prima formulazione [7], infatti, la Tares doveva essere versata esclusivamente al Comune in quattro rate trimestrali mediante bollettino in conto corrente postale ovvero modello di pagamento unificato, mentre il novellato comma 35 dell’art. 14 cit. prevede che i Comuni, possono affidare, fino al 31 dicembre 2013, la gestione del tributo o della tariffa ai soggetti che, alla data del 31 dicembre 2012, svolgono, anche disgiuntamente, il servizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della TARSU, della TIA 1 o della TIA. Il versamento è effettuato in quattro rate trimestrali, scadenti nei mesi di gennaio, aprile, luglio e ottobre e i Comuni possono variare, come già nella vecchia previsione, la scadenza e il numero delle rate di versamento. La novità a riguardo è rappresentata nella posticipazione transitoria, per l'anno 2013, del termine di versamento della prima rata da

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gennaio ad aprile, ferma restando la facoltà per il Comune di posticipare ulteriormente tale termine. E sempre in via transitoria, per l'anno 2013, l'importo delle rate è determinato in acconto, commisurandolo all'importo versato, nell'anno precedente, a titolo di TARSU o di TIA 1 oppure di TIA 2. È consentito anche, dopo il 2013, il pagamento in unica soluzione entro il mese di giugno di ciascun anno. Purtroppo, però, a fronte del lavoro di revisione del Governo, la Tares è tutt’altro che facilmente applicabile. Tanto che, da ultimo, si è pensato di inserire un emendamento in sede di conversione in legge del decreto legge 14 gennaio 2013, n. 1, recante “disposizioni urgenti per il superamento di situazioni di criticità nella gestione dei rifiuti e di taluni fenomeni di inquinamento ambientale”, approvato ad oggi dalla Commissione Ambiente del Senato e in attesa dell’esame alla Camera dei Deputati, che farebbe slittare dal 1 gennaio 2013 al 1 luglio 2013 l’avvio della Tares. La difficoltà maggiore per il corretto funzionamento della Tares risiede nella costruzione della tariffa, ai fini della quale occorrono i dati contabili del gestore del servizio rifiuti, da riclassificare in ordine ai criteri del DPR 158 [8]. Il DPR n. 158 è il regolamento recante “norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani”, riferito alla TIA 1

del Decreto Ronchi. I parametri della TIA 1, pertanto, dovranno, all’indomani della legge di stabilità, essere applicati a regime, non essendo più prevista l’emanazione del regolamento. Ne risulta, quindi, che i Comuni che adottano la Tarsu dovranno superare difficoltà maggiori di quelli che, invece, si trovano in regime di Tia, soprattutto riguardo alle utenze non domestiche che devono essere ricondotte nelle trenta categorie di attività previste nel DPR n. 158/99 [9]. Per di più, si pongono problemi di raccordo tra le norme che disciplinano la Tares, tanto che si genera incertezza circa la competenza. Ai sensi dell’art. 14, comma 23 della manovra “Salva Italia”, infatti, il consiglio comunale doveva approvare le tariffe entro il termine fissato per l’approvazione del bilancio di previsione, in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio. A fronte di ciò, ai sensi del comma 23 dell’art. 34 della legge n. 221/2012, gli enti di governo degli ambiti territoriali ottimali sono tenuti in via esclusiva all’esercizio delle funzioni di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica (quindi anche i rifiuti), nonché alla scelta della forma di gestione e affidamento e determinazione delle tariffe [10]. Purtroppo, il contrasto non trova soluzione nella legge n. 228/2012, che non si pronuncia

in merito alla competenza in materia di approvazione della tariffa, esponendo gli atti che verranno adottati al rischio di impugnazione per incompetenza dell’organo deliberante. A preoccupare ulteriormente si impongono anche riflessioni sulla gestione del nuovo tributo. Il comma 387 della legge di stabilità apre, infatti, la possibilità di affidamento temporaneo della gestione del tributo ai soggetti che svolgono il servizio di gestione dei rifiuti e accertamento e riscossione della Tarsu. Posto che per il 2013 il termine per il versamento è aprile, si verifica una discrasia tra i tempi di pagamento del servizio di igiene urbana e i tempi di riscossione del tributo e ciò crea una squilibrio finanziario che potrebbe incidere sulla gestione della liquidità degli enti e sconfinare in anticipazioni di tesoreria, unico modo per fare fronte a pagamenti in situazione di carenza di disponibilità liquida, con costi che si ripercuoterebbero sui contribuenti [10]. Sembra, pertanto, che chiarezza e semplicità siano ancora una chimera e che occorrano altri interventi onde consentire una lineare applicazione del nuovo tributo. Non si esclude, peraltro, che, qualora venga rinviato l’avvio del nuovo tributo a luglio e, quindi, il compito applicarlo venga rimesso al nuovo Governo, la disciplina sia ancora una volta revisionata. *Ambiente Legale s.r.l.

NOTE [1] Art. 14, c. 1, D.L. n. 201/2011 [2] Art. 14, c. 13, D.L. n. 201/2011 [3] Art. 14, c. 3, D.L. n. 201/2011 [4] Art. 14, c. 12, D.L. n. 201/2011 [5] D.L. n. 16/2012, coordinato con la legge di conversione n. 44, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento” [6]Legge del 24 dicembre 2012, n. 228 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” [7] Art. 14, c. 35, manovra “Salva Italia” [8] “Il Sole 24 ore”, 14 gennaio “Utenze non domestiche rivoluzionate dalla Tares” [9] “Il Sole 24 ore”, 14 gennaio 2013 cit. [10] “Il Sole 24 0re”, 7 gennaio 2013 ,“Sulle tariffe Tares caos di competenze”

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Acque di falda emunte nei procedimenti di bonifica La questione della qualifica delle acque di falda tra giurisprudenza, dottrina e realtà operativa di Luciano Butti e Attilio Balestreri*

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a qualifica delle acque di falda emunte nel corso di interventi di bonifica o messa in sicurezza è un tema da anni dibattuto. Si tratta, in sintesi, di rispondere alla domanda “le acque emunte sono scarichi o rifiuti?” chiarendone di conseguenza le condizioni. Il riscontro a tale quesito ha significativi risvolti sia a livello giuridico che operativo, percepiti ogni giorno dagli operatori del settore. Pur in presenza di una decisione del Consiglio di Stato sul punto, di una dottrina pressoché unanime e delle pronunce di numerosi TAR, il tema resta controverso e l’adesione all’una o all’altra delle tesi che si illustreranno non può essere acritica. Partendo dall’analisi della normativa, giurisprudenza e dottrina di riferimento si cercherà di fornire una risposta al quesito posto, aprendo uno spiraglio alle prospettive di evoluzione normativa future.

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Normativa: la centralità dell’art. 243 La questione della qualifica delle acque di falda emunte si presentò nel vigore del D.Lgs. 22/97. Tuttavia, né il D.Lgs. 22/97, in tema di gestione dei rifiuti, né il D.M. 471/99 in tema di procedure di bonifica, né infine il D.Lgs. 152/99 relativo alla tutela delle acque dall’inquinamento contenevano una specifica disciplina al riguardo. L’art. 243 del D.Lgs. 152/06 (come modificato dal D.Lgs. 208/08) [1] ha, per la prima volta, disciplinato il tema, indicando al comma 1 con specifico riferimento all’immissione delle acque emunte in acque superficiali: “Le acque di falda emunte dalle falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi in esercizio nel sito

stesso, nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque superficiali di cui al presente decreto”. Il comma 2 del medesimo articolo, con specifico riferimento alla possibilità di reimmissione in falda delle acque emunte, nella seconda parte ha poi indicato che “Le acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento finalizzato alla bonifica dell'acquifero e non devono contenere altre acque di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualità e quantità, da quelle presenti nelle acque prelevate”. La presenza, dopo anni di vuoto legislativo, di una specifica disposizione sul punto (pur scissa in due, ben distinte, parti) non ha, tuttavia, impedito la formazione di due orientamenti giurisprudenziali ben distinti e, a distanza di anni, ancora attuali.


Il dibattito giurisprudenziale Queste, in estrema sintesi, le posizioni giurisprudenziali a confronto: i. le acque emunte nel corso delle operazioni di risanamento sono sottoposte alla disciplina degli scarichi: ne consegue che le stesse possono essere scaricate in corpo idrico superficiale (o in fognatura) nel rispetto dei limiti indicati dall’art. 243 per il corpo ricettore di destinazione; ii. le acque emunte sono sottoposte alla disciplina sui rifiuti: ne consegue l’impossibilità di scaricarle in corpo idrico o in fognatura, e la conseguente necessità di stoccaggio (nel rispetto dei limiti e delle condizioni per il deposito temporaneo), trasporto e smaltimento da parte di soggetti e presso impianti di depurazione autorizzati ai sensi della normativa sui rifiuti. Nella prima delle indicate direzioni si sono orientati numerosi TAR fondando le proprie pronunce: i. sul dato letterale dell’art. 243 e sulla portata innovativa della relativa disciplina, speciale rispetto a quella sugli scarichi e chiaramente non connessa a quella sui rifiuti; ii. sull’individuazione del corpo ricettore, scindendo il caso di immissione in corpo idrico superficiale, per cui i limiti di emissione devono coincidere con quelli previsti per gli scarichi idrici nei corpi recettori, dal caso della reimmissione in falda, per cui è richiesto il rispetto dei limiti di concentrazione per la bonifica dell’acquifero [2]; iii. sulla chiara portata della scelta operata nella redazione dell’art. 243 nel senso della parificazione agli scarichi idrici [3]. Una tesi simile è stata in seguito accettata dal Consiglio di Stato che, con sentenza sez. VI, 8 settembre 2009, n. 5256, ha qualificato come “un principio già insito nel D.Lgs. n.152/1999” quello in base al quale lo scarico delle acque emunte debba “attenersi ai limiti di emissione delle acque reflue industriali, qualora sia immesso in acque superficiali”, rimanendo “applicabili i diversi valori di contaminazione di cui al D.M. n. 471/1999 soltanto nelle ipotesi in cui le acque emunte siano destinate ad essere riammesse in falda”.

L’autorevolezza della pronuncia del massimo organo giurisdizionale amministrativo non ha, tuttavia, impedito l’affermarsi di un filone giurisprudenziale giunto a conclusioni opposte. In particolare, l’orientamento giurisprudenziale che ha sostenuto la tesi della riconducibilità delle acque emunte al paradigma dei rifiuti è stato fondato su diversi aspetti, volta a volta richiamati nelle sentenze di riferimento, ovvero: i. non provenienza delle acque emunte da ordinari cicli produttivi [4] e conseguente non riconducibilità a scarichi industriali; ii. esistenza di specifici codici CER [5] per i rifiuti liquidi acquosi; iii. presenza, nel caso specifico, di uno “iato materiale e temporale” tra la fase di emungimento e la fase di trattamento [6]; iv. maggior coerenza con il principio di precauzione della qualificazione delle acque emunte come rifiuti [7]; v. “potenzialità inquinante” delle acque emunte in caso di gestione al pari di scarichi idrici, idonea ad arrecare un danno all’ambiente [8]. L’acceso dibattito giurisprudenziale degli anni passati è ancora oggi strettamente attuale. Emblematico il fatto che le due più recenti sentenze amministrative sul punto, ovvero TAR Napoli, 21 marzo 2012, n. 1398 e TAR Catania, 11 settembre 2012, n. 2117, concludano in modo difforme. E’ tuttavia opportuno sottolineare come, nella più recente giurisprudenza che qualifica le acque emunte come rifiuti, si riscontrino significative aperture e

spunti di riflessione (già, per vero, valorizzati da una parte della giurisprudenza precedente) che si renderanno utili per trarre alcune conclusioni sul tema. I Giudici campani aderiscono alla tesi della parificazione delle acque emunte agli scarichi idrici valorizzando i) il chiaro dato normativo dell’art. 243; ii) il rispetto, nel caso di specie, dei limiti per lo scarico in corpo idrico superficiale; iii) la ratio legis orientata a porre una disciplina speciale per la gestione delle acque di falda emunte nelle operazioni di messa in sicurezza e di bonifica, e richiamando la consolidata giurisprudenza in precedenza esposta [9]. Nella sentenza è posta poi significativa attenzione al tema dell’autorizzazione degli impianti [10]. Diversamente, il TAR Sicilia, anch’esso sulla scorta della corposa giurisprudenza più sopra richiamata, giunge a ricondurre le acque emunte ai rifiuti, tuttavia valorizzando, nel caso di specie, il non assolvimento da parte della ricorrente dell’“onere della prova circa l'assenza di fasi di stoccaggio delle acque emunte in falda, ovvero circa la presenza di loro utilizzi in cicli produttivi in esercizio nel sito, ovvero circa la sussistenza di ulteriori circostanze idonee a consentire l'assimilazione delle acque da essa emunte in falda alle acque reflue industriali nel caso specifico” e specificando di non potersi “in linea di principio ritenere che la norma di cui all'art. 243 citato consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell'ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali”. Due considerazioni si impongono in merito a questa decisione. Da un lato, essa contiene una significativa apertura alla possibilità di equiparazione delle acque emunte agli scarichi idrici. Inoltre, il TAR Sicilia, pur riprendendo alcune considerazioni di carattere generale (in particolare, l’esistenza del codice CER) valorizza gli aspetti gestionali, in particolare la configurazione impiantistica del sistema di trattamento e la presenza di soluzioni di continuità tra l’emungimento e lo scarico dei reflui, per giungere alle proprie conclusioni. In tali aspetti risiedono le principali indicazioni da valorizzare all’interno di tale orientamento giurisprudenziale ai fini della ricerca di una risposta al quesito posto in apertura del presente contributo.

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L’apporto dottrinale L’acceso dibattito giurisprudenziale non ha trovato riscontro in dottrina ove, invece, le conclusioni degli studiosi si sono orientate pressoché unanimemente in favore della tesi della parificazione delle acque emunte agli scarichi industriali [11]. L’adesione a tale orientamento non è stata, tuttavia, acritica. Molti studiosi hanno, infatti, valorizzato gli importanti contenuti dell’orientamento di segno opposto di cui si è appena detto, per cercare una soluzione al problema della qualifica delle acque emunte coerente sia con il dato normativo che con la realtà gestionale delle operazioni di risanamento. Così, pur giungendosi ad una generale presa di posizione circa la riconducibilità delle acque emunte alla disciplina sugli scarichi soffermandosi in modo puntuale sui contenuti dell’art. 243 e su di una interpretazione letterale nonché sistematica e logica dello stesso, si è più volte evidenziata e ribadita l’importanza della fissazione di standard di qualità in funzione del tipo e della qualità del corpo ricettore [12] ed, in particolare, l’imprescindibilità dell’assenza di soluzione di continuità tra l’emungimento e l’immissione in corpo ricettore [13], valorizzandosi la valutazione circa l’assetto impiantistico del caso di specie.

Alcune considerazioni conclusive Ad esito di questa sintetica ricostruzione normativa, giurisprudenziale e dottrinale circa la

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qualifica delle acque di falda emunte nel corso degli interventi di messa in sicurezza e bonifica, emergono molteplici ragioni per preferire l’orientamento che qualifica le acque emunte come acque di scarico (con l’applicazione dei relativi limiti). In prima battuta, l’interpretazione fornita dal Consiglio di Stato è coerente con l’evoluzione della normativa precedente, col dato letterale della norma nonché con un’analisi sistematica dei contenuti del D.Lgs. 152/06. Con l’art. 243 del D.Lgs. 152/06 il legislatore ha infatti inteso eliminare le ambiguità interpretative sorte in precedenza. Il fatto che il primo comma contenga un esplicito riferimento ai limiti per lo scarico di acque reflue industriali in acque superficiali e che il secondo comma dell’art. 243 introduca una deroga al divieto di cui all’art. 104 (sempre in materia di scarichi) attinente alla possibilità, generalmente vietata, di immettere acque reflue nelle acque sotterranee ne è conferma. Se l’intenzione del legislatore fosse stata quella di considerare rifiuti le acque emunte, sarebbe stato necessario derogare al divieto, contenuto nell’art. 192 comma 2 D.Lgs. 152/06, di abbandonare rifiuti in acque superficiali. Non da ultimo, il reiterato utilizzo del termine “scarico” (in luogo di espressioni quali “trattamento”, “recupero” o “smaltimento”) pare sintomatico del fatto che il legislatore abbia inteso qualificare le acque di falda emunte come acque reflue industriali e non come rifiuti liquidi, considerazione peraltro conforme

con le definizioni di riferimento contenute nel D.Lgs. 152/06 [14]. Inoltre, la tesi giurisprudenziale che parifica le acque emunte ai rifiuti priverebbe di significato nonché di portata applicativa l’art. 243 del D.Lgs. 152/06, chiaramente dettato con l’obiettivo di prevedere un possibile utilizzo diverso rispetto a quello dello smaltimento quale rifiuto. Un terzo aspetto da valorizzare è che anche il tentativo più completo e ampliamente argomentato di superare l’approdo giurisprudenziale del Consiglio di Stato, ovvero la sentenza del TAR Toscana, sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452, presenta alcune evidenti criticità, in particolare: • prevede, tra le ragioni dell’applicazione della normativa sui rifiuti, l’esistenza di codici CER relativi alle acque emunte, aspetto invece non di certo idoneo, di per sé, a spiegarne un inquadramento nella categoria dei rifiuti (se così non fosse, un materiale rispondente alla definizione di un codice CER non potrebbe mai essere qualificato come sottoprodotto); • l’utilizzo del principio di precauzione come strumento per “rovesciare” il significato e la portata delle norme, in contrasto con la ratio di tale principio. Un quarto profilo sul quale porre attenzione è che non può dirsi persuasiva la tesi della riconducibilità ai rifiuti delle acque emunte sulla base della “potenzialità inquinante” delle stesse, “idonea ad arrecare un danno all’ambiente” come indicato dal TAR Sardegna nella senten-


za n. 549/2009. L’art. 243 scinde le modalità di gestione delle acque emunte in relazione al corpo ricettore, con una ragione di base. In tutta la normativa a tutela dell’ambiente, i limiti che il legislatore fissa per qualunque tipo di emissione non sono avulsi dalla matrice ambientale sulla quale l’emissione va ad impattare. Restando in tema di scarichi, i diversi limiti previsti sono stati dettati proprio in funzione della capacità autodepurativa del corpo ricettore nel quale lo scarico può essere immesso. Così, lo scarico di acque, in uguale quantità e

identica concentrazione, effettuato in un corpo idrico superficiale non può avere lo stesso impatto che andremmo a registrare ove avvenisse in acque sotterranee o nel sottosuolo. Ebbene dunque, in ipotesi di reimmissione nella stessa falda di prelievo i limiti che la norma considera sono quelli di CSC (considerata la sensibilità del corpo ricettore), mentre se si tratta di scarico in fognatura o in corpo idrico superficiale, altri e logicamente meno rigorosi dovrebbero essere i limiti da rispettare, come concluso dal Consiglio di Stato.

Tuttavia, affinché le acque emunte siano effettivamente riconducibili al paradigma degli scarichi, dovrà verificarsi in concreto il rispetto di due ben precise condizioni: i. canalizzazione delle acque emunte sino allo scarico, non interrotta da stoccaggio in vasche e conseguente trasporto su gomma; ii. scarico in acque superficiali o fognatura e non, invece, reimmissione in falda. *B&P Avvocati – Verona/Milano

NOTE [1] Alla formulazione originaria dell’art. 243 il Terzo correttivo del 2008 ha aggiunto il riferimento alla messa in sicurezza del sito oltre a quello della bonifica già previsto. [2] In questo senso, molto chiare le indicazioni di T.A.R. Puglia – Lecce – 11 giugno 2007, n. 2248. [3] In tal senso il TAR Calabria ha chiarito che nell’articolo 243 d. lgs. n. 152/2006 “è espressa l’opzione secondo cui le acque di falda emunte (…) possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state utilizzate in cicli produttivi (…) nel rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali”. [4] In tal senso si veda, tra altre, T.A.R. Lazio Roma sez. II, 16 maggio 2011, n. 4214 “le acque di falda emunte nell'ambito dell'attività di disinquinamento non derivano certamente ed in via diretta dagli ordinari cicli produttivi delle aziende presenti, impedendo una loro omologazione alle acque reflue industriali”. [5] Molteplici le sentenze che hanno valorizzato tale aspetto, tra le quali si richiama, per completezza di argomentazione, T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452 “è fondamentale la decisione della Commissione Europea 3 maggio 2000, n. 532 – 00/532/Ce (…) Nel dettare un elenco dei rifiuti pericolosi (contrassegnati da un asterisco) e di quelli non pericolosi, la decisione inserisce (…) con il codice 19.13.07, i "rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda, contenenti sostanze pericolose"; con il codice 19.13.08, i "rifiuti liquidi acquosi e concentrati acquosi prodotti dalle operazioni di risanamento delle acque di falda, (…)non possono che intendersi come comprensivi delle acque emunte”. [6] Tale argomentazione è stata inaugurata nella sentenza T.A.R. Sardegna, Sez. II, 21 aprile 2009, n. 549 che indica "Secondo l’insegnamento tradizionale della giurisprudenza amministrativa e penale, la presenza di uno iato - materiale e temporale - tra la fase di emungimento e quella di trattamento già di per sé depone per la qualificabilità delle acque in termini di “rifiuto liquido (…) L’alternativa nozione di “scarico” ontologicamente implica la sussistenza di una continuità tra la fase di “generazione” del refluo e quella della sua “immissione” nel corpo recettore, mentre l’esistenza di una fase intermedia, in cui le acque sono stoccate in attesa della loro destinazione finale, richiama direttamente i noti concetti di “trattamento” e “smaltimento”, tipici della disciplina dei rifiuti” ed è stata poi più volte ribadita. [7] Sul punto è netta la presa di posizione di T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452 “Si deve, pertanto, concludere che la previsione di un trattamento più rigoroso, assicurando più elevati livelli di tutela ambientale, si rivela maggiormente conforme al principio di precauzione, di matrice comunitaria”. [8] Tali considerazioni si rinvengono chiaramente, ad esempio, in T.A.R. Sardegna, Sez. II, 21 aprile 2009, n. 549 [9] Un commento alla sentenza è fornito in Balestreri, Acque emunte: il TAR Napoli si pronuncia sul trattamento negli interventi di MISE, in Ambiente e Sicurezza, 2012, n. 14, p. 56 [10] Il tema non è oggetto di trattazione nel presente contributo. Si rinvia, per una prima analisi circa le decisioni del TAR Campania, a Balestreri, cit. [11] Ex multis, si vedano Giampietro, Le acque di falda: scarichi o rifiuti?, in www.giampietroambiente.it; Breida, Gestione delle acque di falda nell’ambito delle bonifiche: al via un nuovo corso?, in Ambiente & Sicurezza, n. 10, 2008; Anile, Quale regime giuridico per le acque di falda emunte?, in www.AmbienteDiritto.it; Peres, Bonifica in siti produttivi: quali gli aspetti più critici?, Ambiente & Sicurezza, 2011, n. 8, p. 58. Un’ampia ricostruzione è poi svolta da Butti – Peres in Codice dell’Ambiente, Giuffrè, 2008, pp. 1995-6 e De cesaris, in Codice dell’Ambiente, Giuffrè, 2009, p. 703. [12] Sul punto si veda ad esempio Musmeci che, in “Rifiuti e bonifiche” Edizioni ambiente, 2007, pag. 139 e ss., indica “... standard di qualità per tale scarico dovranno essere fissati in funzione del tipo e della qualità del recettore, così come prevede la normativa di settore nazionale e comunitaria”. [13] Si veda, ad esempio, Breida, cit. che ha indicato “appare chiaro che le caratteristiche qualitative della sostanza scaricata non sono dirimenti e che le attività di pompaggio, depurazione e scarico delle acque emunte, che avvengono senza soluzione di continuità tra il luogo di produzione ed il corpo recettore, sono assoggettate alla disciplina degli scarichi”. Conformemente Anile cit. [14] Questa la definizione dettata dall’articolo 74 del d. lgs. n. 152/06 per le acque reflue industriali: «qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento ». Sembra, dunque, corretto ritenere che un impianto per l’emungimento delle acque sotterranee rientri in tale ambito.

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a ss oc i a z i on e s t u d i amb ientali

L a filiera “RI-inerte” strumento per l a valorizzazione dei rifiuti inerti

La produzione dei rifiuti nell’attività edilizia è ormai considerata in Italia ed anche dalla UE, uno dei settori a più alto impatto ambientale dovuto principalmente ai quantitativi prodotti e al rischio che, una gestione non corretta, produca effetti dannosi all’ambiente, al territorio, all’economia per il mancato utilizzo di materiali, oltre allo spreco di risorse naturali. Con la filiera “RI-inerte”, rete produttiva e di servizi ecosostenibile, promossa da Studi Ambientali in collaborazione con RECinert®, i rifiuti inerti da costruzione e demolizione da problema diventano opportunità, anche sul piano economico, per le imprese edili e gli enti pubblici, incentivando i processi di sostenibilità ambientale e dando un notevole contributo al contenimento dell’uso di risorse naturali. Attraverso un processo lineare di trasformazione, i rifiuti inerti e le macerie edilizie vengono valorizzate. Il Programma RECinert® da oltre dieci anni, applica soluzioni per il trattamento dei rifiuti inerti e la certificazione dei prodotti rinvenienti da recupero destinati al settore edile-stradale ed ambientale. Propone a imprese del settore edile-stradale, demolizioni e movimento terra, il proprio know-how per la realizzazione di Centri di Raccolta e Recupero di macerie edilizie e rifiuti inerti per la produzione di aggregati riciclati certificati, garantendo i servizi indispensabili (progettazione, avviamento, formazione, trasformazione e certificazione del prodotto). Nel corso del 2012 la società si è dotata di una specifica procedura di certificazione di prodotti a marchio depositati e iscritti al Repertorio del Riciclaggio (RI-inerte®, RECAL®, BITUMgreen®) classificati aggregati

riciclati conformi agli standard ministeriali per garantire gli obblighi della PA nel settore degli "acquisti verdi" e del contenimento dell'uso di risorse naturali in conformità alle direttive nazionali e comunitarie. Lo sviluppo dell’iniziativa a livello regionale avviene attraverso un sistema di filiera considerata rete produttiva e di servizi ecosostenibile che vede attori gli operatori del settore locali e la pubblica amministrazione per garantire tutti i processi, dalla raccolta e trasporto, alla gestione del rifiuto, dalla trasformazione all’utilizzo e collocazione sul mercato dei prodotti finali. Il Programma RECinert® che ha già da tempo ottenuto il riconoscimento di Legambiente e dell’Agenzia Europea dell’Ambiente rientra a pieno titolo tra le iniziative conformi alla normativa di settore per la gestione dei rifiuti e la produzione di aggregati riciclati certificati per l’utilizzo in opere di ingegneria civile del settore edile-stradale ed ambientale. La sinergia tra il mondo delle costruzioni e la pubblica amministrazione si rende indispensabile per rispondere ai nuovi processi e agli obblighi in materia, al fine di raggiungere gli obiettivi qualitativi e quantitativi di riutilizzo dei rifiuti inerti imposti dalle norme nazionali e comunitarie. I dati, purtroppo, attestano che in Italia un processo che porti ad un sistema virtuoso per il recupero degli inerti da costruzione e demolizione è ancora lontano. Ogni anno vengono prodotte più di 40 milioni di tonnellate di rifiuti inerti mentre la capacità di recupero sfiora a malapena il 10% con differenze significative tra regione e regione, sono questi i dati pubblicati dal recente rapporto annuale dell’ISPRA. Sotto il profilo normativo la nuova versione del Testo Unico Ambientale impone a carico della Pubblica Amministrazione l'obbligo di promuovere iniziative dirette a favorire il reimpie-

go dei prodotti e la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti mediante la realizzazione di centri di raccolta. L'art. 181 dello stesso strumento normativo, attribuisce ai Comuni il compito di predisporre e adottare le misure necessarie per conseguire l'obiettivo di riutilizzo, entro il 2020, di almeno il 70% dei quantitativi di rifiuti inerti da costruzione e demolizione prodotti e prevedere l’utilizzo diretto per almeno il 30% del fabbisogno di materiali certificati ed iscritti al Repertorio del Riciclaggio, rivenienti dalle operazioni di recupero dei rifiuti. Una spinta al riutilizzo giunge anche dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che in un recente Rapporto della Seconda Sezione sostiene che è «indispensabile che il sistema delle costruzioni in generale, e quelle delle opere pubbliche e delle infrastrutture in particolare, siano pienamente consapevoli e collaborino con spirito attivo per ottimizzare tutte le competenze coinvolte nelle varie fasi del processo edilizio, così come è avvenuto nei paesi che hanno avviato diffuse pratiche di riciclaggio e recupero nel settore». Il settore italiano delle costruzioni e la pubblica amministrazione si trovano a fronteggiare una nuova sfida imposta dall’Unione Europea: entro il 2020, come stabilisce la Direttiva Europea 2008/98/CE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 205/2010, il riutilizzo di rifiuti inerti dovrà raggiungere quota 70%. E’ necessaria quindi, la collaborazione tra il mondo delle costruzioni e la pubblica amministrazione per indirizzare l’attenzione ai nuovi processi ed obblighi in materia e far sì che da questo, si possa contribuire ad elevare i livelli di crescita e spingere per un rilancio del settore anche attraverso un’integrazione e diversificazione in chiave eco-friendly. di Donato Mastrangelo

NUOVO PROGRAMMA FORMATIVO IN CAMPO ENERGETICO E’ stata aggiornata l’offerta formativa 2013 con l’inserimento di un nuovo programma. Si tratta di un corso di specializzazione di due giornate in formula week end nel settore energetico. Il corso “Opportunità di finanziamento nel campo energetico in ambito comunitario (UE) e tipologie contrattuali” mira a formare sui temi della contrattualistica nazionale e internazionale del settore ambiente e sull’opportunità di individuare ed ottenere finanziamenti attraverso la partecipazione ad appalti e progetti europei. In particolare, il corso mira a coprire le lacune che tecnici e in generale i professionisti che operano nel settore energia e ambiente incontrano soprattutto con riguardo a progetti internazionali. Essere in grado di coniugare questi aspetti oltre a dare la possibilità di rispondere più compiutamente a richieste provenienti dal mondo economico e professionale dell’energia, dell’ambiente e in generale del settore “green” permette ai partecipanti di acquisire le competenze necessarie per operare all'interno di imprese del settore energetico ed ambientale, nel mondo della consulenza e nelle istituzioni pubbliche, nazionali ed internazionali raggiungendo elevati livelli di competenza e professionalità in settori altamente innovativi ed in rapida crescita. Il corso è rivolto a professionisti e tecnici che intendono acquisire le conoscenze del settore ed è strutturato in una parte teorica rivolta allo studio della normativa e in una parte pratica relativa all’analisi di casi concreti con test di verifica finale.

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ANNUARIO QUALITA’ MAGAZINE B&G - BUSINESS&GENTLEMEN BOLLETTINO DEL LAVORO AGRO-FARMACEUTICO DEA EDIZIONI RIVISTA ECO ABOCA ECCELLERE BUSINESS COMMUNITY ALIMENTARE | AGRO-ALIMENTARE EDIFORUM: Daily Media, Daily Net, ACQUA MINERALE SAN BENEDETTO Mediaforum CONSORZIO TUTELA GRANA PADANO ESTE ESSSE CAFFÉ GRUPPO MAGGIOLI GIOTTI – Your Natural Flavor House GUERINI E ASSOCIATI LAVAZZA HARVARD BUSINESS REVIEW ITALIA LEAF ITALIA L’AMBIENTE MUKKI L’IMPRESA SANTA MARGHERITA – gruppo vinicolo MARK UP TIMAC Agro Italia MK MEDIA KEY editori – organizzatori TORREFAZIONE CAFFÉ KRIFI eventi ELECTROLUX ITALIA ARREDAMENTO MONDOLIBERO GRANITIFIANDRE EMERSON PROCESS MANAGEMENT REED BUSINESS INFORMATION pavimenti e rivestimenti FAMECCANICA.DATA RIVISTA IL PERITO INDUSTRIALE MAGNIFLEX FRANDENT SEAT PAGINE GIALLE ITALIA NATUZZI GROUP SPOT AND WEB FRANKE leader nella lavorazione PB FINESTRE TECNA EDITRICE: L&M Leadership dell’acciaio SCAVOLINI & Management, ICT Security GRUPPO ATURIA VENETA CUCINE TVN MEDIA GROUP: Pubblicità Italia, HONDA ITALIA ASSICURAZIONI Pubblicità Italia Today, AdV Strategie ICEMATIC TECNOMAC EUROP ASSISTANCE ITALIA di Comunicazione INGERSOLL RAND – AIR SOLUTIONS GLOBAL ASSICURAZIONI V+ idee e strumenti per vendere di più MARSH LOMBARDINI e meglio OLIMPIA AGENCY METAL WORK componenti ELETTRODOMESTICI ASSOCIAZIONI per automazione pneumatica BITRON AICQ ELETTROTECNICA ROLD MONDIAL ASSOCIAZIONE ARTIGIANI VARESE FABER MUSTAD tecnologia delle viti CONFINDUSTRIA MONZA E BRIANZA TVS OTIS ascensori, montacarichi, scale CONFINDUSTRIA PERUGIA ELETTROMECCANICO | MAT. ELETTRICO e tappeti mobili FONDAZIONE MEDIOLANUM ONLUS ABB SACE Division OTO MELARA AUTO ANSALDO SISTEMI INDUSTRIALI BMW ITALIA REGINA CATENE CALIBRATE ANSALDOENERGIA PAGANI AUTOMOBILI ROBUR coscienza ecologica BTICINO RENAULT ITALIA SCHINDLER ascensori e scale mobili FONDERIE SIME BANCHE SCM GROUP macchine per il legno I.M.E. BANCA MEDIOLANUM WEIDMÜLLER SLIMPA BANCA POPOLARE DI LANCIANO ELETTRONICO | ELETTROTECNICO VITAVIVA E SULMONA RICOH ITALIA ZUCCHETTI RUBINETTERIA CREDITO TREVIGIANO SAMSUNG ELECTRONICS ITALIA METALLURGICO GRUPPO CREDITO VALTELLINESE SELEX Elsag CLN COILS LAMIERE NASTRI ICCREA BANCAIMPRESA SIEL ENERGY & SAFETY RCI Banque Succursale Italiana FARAONE facciate puntuali STMicroelectronics BENI DI LARGO CONSUMO in vetro e acciaio VISHAY SEMICONDUCTOR ITALIANA FATER FERALPI SIDERURGICA ENTI DI CERTIFICAZIONE CAMERE DI COMMERCIO BUREAU VERITAS ITALIA FIAMM CAMERA DI COMMERCIO DI ANCONA CERTIQUALITY LAMINAZIONE SOTTILE GROUP CAMERA DI COMMERCIO DI LODI ENTI CULTURALI E DI FORMAZIONE OCSA Officine di Crocetta CAMERA DI COMMERCIO DI TREVISO BIBLIOTECA NAZIONALE CENTRALE TENARISDALMINE CARTA di ROMA IPI Aseptic Packaging Systems MEDIOLANUM CORPORATE UNIVERSITY PETROLIFERO | ENERGETICO API RAFFINERIA DI ANCONA TECNOCARTA ENTI PUBBLICI CHIMICO | FARMACEUTICO | COSMESI CESI ASSEMBLEA LEGISLATIVA REGIONE 3M ITALIA IREN ENERGIA EMILIA-ROMAGNA ABBOTT PETRONAS LUBRICANTS AUTOMOBILE CLUB D’ITALIA ACTAVIS think smart medicine COMUNE DI SEGRATE SANITA’ | DISPOSITIVI MEDICI ALPA COMUNE DI SETTIMO MILANESE ASP Centro Servizi alla Persona ANGELINI CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO AVIS COMUNALE DI MILANO ARD F.LLI RACCANELLO CONSORZIO ZAI INTERPORTO QE CENTRO RIFERIMENTO ONCOLOGICO BASF the chemical company ENAC ENTE NAZIONALE SORIN GROUP BOERO BARTOLOMEO PER L’AVIAZIONE CIVILE BOTTEGA VERDE SERVIZI DI PUBBLICA UTILITA’ INAIL CIP4 ACEA PROVINCIA DI GROSSETO ETHICSPORT ATTIVA – industria del recupero REGIONE CAMPANIA Assessorato FINE FOODS & PHARMACEUTICALS Agricoltura GRUPPO HERA GUNA – terapie d’avanguardia FOTO | CINE-OTTICA E COMPONENTI SERVIZI SOFTWARE IPSEN BARBERINI lenti solari in vetro ESRI ITALIA KEDRION HOYA LENS ITALIA GMSL software scientifico L’ERBOLARIO LODI LUXOTTICA SANMARCO INFORMATICA - Knowledge NOVARTIS FARMA MARCOLIN Company RIVOIRA SAFILO ROQUETTE ITALIA SERVIZI VARI GOMMA | PLASTICA SANOFI COOPSERVICE S. COOP. P.A. COSTERPLAST SIAD FONDAZIONE SVILUPPO COMPETENZE GOGLIO COFIBOX SIKKENS GRUPPO PIRELLI MIMESI SOL GROUP gas tecnici, medicinali MARCA GROUP TECNOMARCHE e homecare MICHELIN ITALIANA TELEMAT TAKEDA ITALIA FARMACEUTICI GRANDI INFRASTRUTT. | EDILIZIA | MAT. COSTRUZIONE TELECOMUNICAZIONI UNIVAR ASTALDI TELECOM ITALIA ZOBELE GROUP COOP.COSTRUZIONI COMMERCIO TELECOM ITALIA SPARKLE IMPRESA PIZZAROTTI & C. ARTSANA GROUP TESSILE STRETTO DI MESSINA CAMOTER COMMERCIALE BERTO E.G. INDUSTRIA TESSILE IMPIANTISTICA | INGEGNERIA | PROGETTAZIONE PRINK cartucce ad ogni costo CARLE & MONTANARI OPM KLOPMAN RHIAG GROUP CONTINUUS PROPERZI MANIFATTURA CORONA ROYAL CANIN ITALIA CREA impianti frigoriferi TRASPORTO MERCI – PERSONE COMPONENTI AUTO ENEL INGEGNERIA E INNOVAZIONE ARCO SPEDIZIONI COOPERATIVA VOLOENTIERI ISEA sistemi di trattamento reflui CARONTE & TOURIST DELL’ORTO OCME CTM CAGLIARI DELPHI ITALIA AUTOMOTIVE SYSTEMS SAIPEM DENSO THERMAL SYSTEMS GESTIONE TRASPORTI METROPOLITANI INFORMATICA ELDOR CORPORATION GRANDI NAVI VELOCI PANINI leader mondiale delle soluzioni MAGNETI MARELLI POWERTRAIN HERMES ITALIA di pagamento MAPE ENGINE POWER GROUP XEROX SDA EXPRESS COURIER MECCANOTECNICA UMBRA MECCANICO TURISMO | ALBERGHI | RISTORAZIONE SPEEDLINE (GRUPPO RONAL) ALSTOM CENTRO CONGRESSI VILLE PONTI WEBASTO BAXI – caldaie a gas e sistemi CIR FOOD EDITORIA con rinnovabili COSTA CROCIERE ABRUZZO MAGAZINE BIANCHI CUSCINETTI AGENDA DEL GIORNALISTA AERONAUTICO

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V E T RIN A

E.C.O. Italia, la risposta ecologica per il settore della lubrificazione industriale

La crescente domanda di risorse energetiche immediatamente disponibili conseguente all’aumento esponenziale della popolazione mondiale ha portato ad un’intensificazione delle operazioni di ricerca sia di fonti alternative che tradizionali, mantenendo aperto il dibattito tra esigenze energetiche e salvaguardia dell’ambiente. Le attività di ricerca e di estrazione, le perforazioni in ambiente terrestre e soprattutto marino, in particolare, pongono numerosi interrogativi sulle possibili conseguenze di operazioni condotte senza le dovute precauzioni, senza la necessaria prudenza e una completa valutazione dei rischi ambientali. Preoccupazioni assolutamente giustificate da esperienze recenti e passate che hanno mostrato la fragilità dell’ambiente e la responsabilità dell’uomo, spesso volutamente miope. Tutti i paesi fortemente industrializzati hanno preso coscienza delle criticità e stanno predisponendo strumenti adeguati per fronteggiare i vari aspetti del problema cercando delle soluzioni accettabili ma al contempo incisive, soprattutto in termini di difesa dell’ecosistema. E’ possibile trovare un compromesso tra due diversi approcci al medesimo problema? La risposta a questo interrogativo deve necessariamente coinvolgere aspetti normativi e innovazione tecnologica. Proprio con l’obiettivo di soddisfare entrambi gli aspetti, E.C.O. Italia, leader italiano nel commercio di lubrificanti ed oli ecologici per l’industria, propone i prodotti più avanzati attualmente disponibili sul mercato, affidabili sia dal punto di vista delle prestazioni tecniche che della compatibilità ambientale. E.C.O. Italia, infatti, da anni opera in collaborazione con i produttori leader del settore e, grazie alla lunga esperienza sul campo e al continuo aggiornamento tecnico del suo personale, è oggi il riferimento più qualificato in materia di lubrificazione ecologica industriale nel mercato italiano. Tra le collaborazioni di E.C.O. Italia più attive Panolin, da oltre 30 anni leader nel settore della lubrificazione ecologica high tech e di cui E.C.O. Italia è distributore esclusivo per il mercato nazionale, mette a disposizione una gamma di prodotti ad altissimo contenuto tecnologico e massima compatibilità ambientale. Per il settore Offshore, Subsea e Marine, Panolin dispone di fluidi di qualità superiore, completamente sintetici, in grado di garantire eccellenti performance anche nel lungo periodo, con un bassissimo impatto ambientale, proprio per venire incontro a contrapposte esigenze. Considerando le tecnologie disponibili per la moderna lubrificazione oggi, i fluidi ecologici sviluppati da Panolin per questo segmento applicativo, sono senz’altro la scelta più avanzata possibile. Frutto di lunghe e accurate ricerche, contengono speciali additivi che conferiscono specifiche proprietà anticorrosive, di resistenza all’ossidazione e all’usura: queste caratteristiche innovative consentono di operare in piena tranquillità nell’ambiente marino, con la sicurezza di reggere le altissime pressioni cui possono essere sottoposte le macchine, proteggendo le stesse dalla corrosione del sale e di separarsi rapidamente in caso di contaminazione da acqua o condensa; inoltre, in caso di operazioni ad elevate profondità mantengono un’eccellente fluidità anche a freddo grazie al punto di scorrimento particolarmente basso. Considerando quindi che l’ambiente non è un aspetto secondario, Panolin, per rispondere alle urgenti richieste di salvaguardia dei diversi ecosistemi e della salute, ha creato l’idea ECls (Environmentally Considerate Lubricants), una linea di prodotti ad hoc che rispettano l’ambiente in quanto sono completamente e rapidamente biodegradabili senza lasciare residui o sottoprodotti della degradazione nocivi all’ambiente. Alcuni di questi, in particolare, rientrano in un più ampio programma, o come lo definisce la stessa Panolin, un vero e proprio concetto di sostenibilità: GREENMARINE, per le applicazioni Offshore, Subsea e Marine; GREENMACHINE per tutte le applicazioni terrestri. I principi base di GREENMARINE E GREENMACHINE possono così essere riassunti: massima resa delle funzionalità della macchina dimostrata da una conseguente riduzione del consumo di carburante e agli estesi intervalli di cambio olio, notevolmente superiori se paragonati ai tradizionali lubrificanti minerali o ecologici vegetali; quindi conseguente riduzione delle emissioni di CO2. Questo calcolo viene effettuato da un software appositamente realizzato da Panolin con il supporto e contributo di prestigiosi Istituti ed Enti di ricerca, quali l’Energy Science Center di Zurigo, l’ETH, l’Ufficio Federale dell’Energia, il DEFRA (UK) ed altri. L’utilizzo del programma è gratuito e agevole: inserendo le informazioni richieste, è possibile verificare l’effettiva quantità di CO2 prodotta dalla macchina con l’utilizzo del lubrificante Panolin confrontando il dato con la stessa quantità prodotta utilizzando oli minerali convenzionali. Il sistema tiene in considerazione tutti i processi relativi al ciclo di utilizzo, partendo dalla catena di produzione del lubrificante, considerando anche la logistica, il trasporto, la riduzione dei consumi con oli motore ottimizzati ed infine lo smaltimento.

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Certificazioni La compatibilità ambientale e le caratteristiche di degradazione sono certificate nel rispetto dei criteri e degli standard normativi internazionali vigenti in materia: ad esempio test OCSE 301 B/ e OCSE 306, pienamente superati dagli specifici prodotti ECLs (Panolin HLP Synth, Hlp Synth E e Atlantis, solo per citare i più conosciuti), numerose certificazioni di qualità ambientale di terza parte: • European Ecolabel (applicazione EU), • USDA Biopreferred (USA), • SP Swedish Standard (Nord Europa), • Der Blauer Engel “Angelo Azzurro” (Germania, EU); e conformità alle stringenti indicazioni dei principali Organi di monitoraggio e tutela dell’ambiente. In ambito marino, ad esempio, l’internazionale MARPOL (International Convention for the Prevention of Pollution from Ships), il NPDES (National Pollutant Discharge Elimination System) per l’area Statunitense e la convenzione OSPAR per il nord est Atlantico. La qualità dei prodotti Panolin è stata inoltre riconosciuta da Rina, primaria società di consulenza ambientale/ ingegneristica che opera in tutti i campi ma che è nata originariamente come Registro Italiano Navale e quindi con un background specialistico in questo ambito, che ha assegnato la Notazione di Classe GREEN PLUS ai prodotti Panolin Hlp Synth, Sinth E e Atlantis.


Trasmettitore di pressione ad alta integrazione per prodotti OEM con interfaccia digitale e radiometrica

La tecnologia Chip in Oil (CiO), microcircuito nell’olio, sviluppata da Keller trasforma in realtà la tendenza verso la miniaturizzazione. Nei trasmettitori di pressione della Serie 4 LC…9 LC l’ASIC, circuito integrato per applicazioni specifiche, specifico per la rielaborazione del segnale è montato nella stessa struttura di alloggiamento, nell’olio e con esclusione dell’aria, direttamente accanto al sensore della pressione. Ciò comporta una serie di vantaggi: tutti i componenti essenziali per la rilevazione della pressione non sono più minacciati dall’umidità e dalla formazione di condensa. Mentre il cablaggio interno è realizzato con fili di collegamento brevi e leggeri, le piastre in vetro passante, sinterizzate e resistenti alla pressione, conducono i segnali del trasmettitore verso l’esterno. Unitamente alla struttura di alloggiamento in acciaio inossidabile, le piastre formano una gabbia di Faraday intorno al sistema di rilevazione e fungono da condensatori passanti. In questo modo la tecnologia CiO è assolutamente resistente alle RFI, interferenze delle radio frequenze, con intensità di campo fino a 250 V/m e frequenze fino a 4 GHz. I tramettitori di pressione delle serie 4 LC…9 LC offrono due segnali in uscita: un’uscita di tensione analogica e raziometrica e un’interfaccia digitale con circuito inter-integrato (I2C). Il segnale raziometrico riduce al minimo l’aggravio per il trasferimento del segnale al convertitore analogico/digitale dei componenti elettronici a valle, senza necessità di bilanciamento o di calibratura. Con una tensione di alimentazione pari a 5.0 V, l’intervallo per il segnale in uscita è definito a 0.5…4.5 V. I trasmettitori offrono una protezione costante contro i sovravoltaggi e le inversioni di polarità su tutte le linee fino a ±33 VDC. L’interfaccia I2C da anni ha la valenza di standard di serie nei sistemi incorporati. Un solo master I2C può gestire in successione fino a 128 trasmettitori delle serie 4 LC…9LC per richiamare i valori di pressione e temperatura correnti che provengono dai trasmettitori (slaves). Con l’uscita I2C i trasmettitori di pressione sono in grado di funzionare con una tensione di alimentazione di soli 2.7…3.6 VDC, e già dopo soli 5 ms dall’accensione dello strumento forniscono i valori misurati correntemente. Pertanto i trasmettitori, con un opportuno funzionamento in modalità acceso/spento e grazie all’esiguo consumo di energia, sono estremamente adatti per le applicazioni mobili. I trasmettitori si possono utilizzare a temperature comprese tra -40°C e +150°C con l’uscita analogica, e tra -40°C e +80°C con l’uscita I2C. I campi di misurazione della pressione per la versione analogica arrivano da 2 bar fino a 1000 bar, e per la versione digitale da 2 bar fino a 200 bar. Il tasso di campionamento interno pari a 2 kHz fornisce un campo di variazione dinamico molto valido. Un altro aspetto interessante è costituito dal basso consumo di energia durante il funzionamento in modalità continua. In questo caso, la versione digitale richiede meno di 3 mA, e la versione analogica circa 8 mA.

TECNOECOLOGY: RICICLARE È SEMPLICE L’azienda Tecnoecology s.r.l. è presente nel campo del riciclaggio dei metalli dal 1989 e ad oggi si dimostra essere un punto cardine per molti dei suoi clienti che operano in questo settore. Grisi Severino, titolare e fondatore dell’azienda, ha fatto crescere questa realtà grazie soprattutto all’utilizzo di materie prime selezionate, a competenze innovative e ai più attenti controlli durante i processi, garantendo così un prodotto altamente efficiente e in piena conformità con la domanda del mercato. Il gioiello di famiglia è sicuramente la “pelacavi” mod. Maxi 100, progettata per separare il rame o l’alluminio nel cavo elettrico dall’involucro, sia di plastica che di piombo o altro materiale di diverso spessore. Negli anni Tecnoecology ha potuto approfondire anche la sua conoscenza sugli impianti di macinazione e di riciclaggio dei cavi elettrici riscontrando altrettanto successo. La novità è rappresentata dall’impianto T150 (pot. 17 kW) che macina e separa 150kg/h di cavo in ingresso. E’ composto da un mulino a lame per la macinazione dei cavi, un mulino a celle per la raffinazione del macinato, un separatore che divide il metallo dall’isolante e un filtro per depurare l’aria usata nel trasporto del materiale nelle diverse fasi di lavorazione. “Il rame non durerà per sempre, prima o poi finirà… prima che accada riciclalo e nella maniera più semplice!”

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V E T RIN A

Trevi Benne presenta la nuova “PREMIUM LINE”

In occasione del Bauma, Fiera Triennale Internazionale dedicata al settore Construction, Building and Mining che si terrà a Monaco di Baviera dal 15 al 21 Aprile 2013, l’azienda vicentina Trevi Benne S.p.A. presenterà al pubblico la nuova gamma di attrezzature da demolizione “Premium Line” dotata del dispositivo moltiplicatore di potenza Impact Booster. Dopo diversi mesi investiti in ricerca e progettazione, test su banco, centinaia di ore di collaudo in cantiere, l’azienda è orgogliosa di presentare questo gioiello di pura tecnologia e potenza. La prima azienda europea a riuscirci. Sarà presente nella pinza demolitrice primaria HC 23P e nel frantumatore multi kit MK 23P. Verrà allestita una teca espositiva in cui sarà possibile guardare da vicino il dispositivo montato su uno spaccato di cilindro, vederne i particolari e la cura dei dettagli. Cos’è l’Impact Booster? E’ un dispositivo idraulico che consente di moltiplicare la potenza (intesa come pressione di esercizio dell’escavatore). Come funziona? Aggredendo il materiale, se la pressione dell’escavatore non è più sufficiente per frantumarlo, entra in gioco l’Impact Booster che permette di moltiplicare la pressione in arrivo della macchina operatrice (pre-tarata a 250 bar) raggiungendo un picco di 750 bar. Che vantaggi porta? Lavorando con pressione inferiore allo standard (a 250 invece che 320 bar) si diminuisce lo stress dell’escavatore, si riducono i consumi di combustibile del 20% circa moderando di conseguenza l’impatto ecologico e ambientale, a parità di taglia dell’attrezzatura aumentano le prestazioni intese come potenza di schiacciamento e riduzione del ciclo apertura-chiusura a soli 3,5 secondi. Venite a visitarci al Bauma Hall B3 – Stand 303/404

NUOVO ANALIZZATORE MULTIGAS MCA 100 BIO PER IMPIANTI DI PRODUZIONE BIOGAS Il monitoraggio dei digestori anaerobici negli impianti di produzione del Biogas è molto importante per garantire il rendimento dell’impianto. Variazioni nella qualità del Biogas prodotto sono strettamente legate alla qualità del substrato o a possibili problemi legati all’intero processo. I parametri più importanti che devono essere controllati sono: • metano (CH4) - la concentrazione aumenta con l’incremento della produzione del Biogas; talvolta l’alimentazione del substrato fresco che alimenta il digestore può contenere ingredienti più grassi; • anidride carbonica (CO2) - la concentrazione aumenta per un’eventuale acidificazione nel fermentatore; • acido solfidrico (H2S) - cambia con le caratteristiche del substrato o per un cattivo funzionamento del sistema di desolforazione; • ossigeno (O2) - l’aumento dell’ossigeno è dannoso per i batteri anaerobici quindi un ambiente basso di ossigeno aiuta il processo del biogas. La nuova linea di analizzatori multigas MCA 100 Bio prodotta da ETG è la soluzione ideale per la misura e la produzione del Biogas grazie alla precisione, stabilità, affidabilità, ai vari campi di misura e alla gamma di versioni disponibili. A differenza di altri analizzatori ETG MCA 100 Bio utilizza una singola cella e banco ottico basato su tecnologia NDIR in grado di misurare più composti gassosi. MCA 100 Bio esegue il monitoraggio simultaneo di CO2, O2, CH4 e H2S con un particolare sistema automatico di purge per la cella E.C. dell’H2S per garantire una vita prolungata rispetto a sistemi analoghi. Il cuore dell’analizzatore è un processore ARM molto versatile con un monitor touch screen. E’ disponibile un segnale in uscita 4-20 mA per ciascun composto misurato e uscite opzionali Profibus, Modbus ed Ethernet. Inoltre sono disponibili dei segnali digitali in uscita per l’indicazione ad un sistema remoto di guasto o di calibrazione. Sono disponibili diverse configurazioni per l’installazione quali: 19” montaggio a Rack, installazione in campo del tipo a parete con protezione IP 65, Multicanale con software di gestione, ecc.

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E COAP P U N TA ME N TI SEP

padova, dal 19 al 22 marzo

SEP, il Salone Internazionale delle tecnologie per l’ambiente, si terrà Padova dal 19 al 22 marzo e rappresenterà l’occasione dedicata agli operatori per aggiornarsi e confrontarsi sui modelli di gestione e sulle tendenze del mercato. La rinnovata edizione del 2013 diventa SEP Green Revolution, un’evoluzione del progetto verso tutto quanto è innovazione, green economy, green chemistry, green thinking. Durante quattro giorni di aggiornamento e confronto, gli organizzatori, in collaborazione con le aziende leader del settore e le associazioni attive nella promozione, formazione e comunicazione ambientale, affronteranno le tematiche più importanti al centro delle linee guida europee per lo sviluppo di una gestione industriale sempre più orientata alla green economy. www.seponline.it

OMC Offshore Mediterranean Conference

ravenna, Dal 20 al 22 marzo

470 aziende espositrici, 1200 delegati, oltre 10.000 visitatori sono i numeri che fanno di OMC l'evento internazionale più importante del panorama energetico italiano. Il settore energetico in questi ultimi anni è stato fortemente condizionato da diversi fattori: la crisi finanziaria mondiale, la persistente instabilità geopolitica nel Nord Africa e la volatilità dei prezzi, in particolare del mercato del gas. E’ questo il contesto che caratterizzerà la prossima edizione di OMC alla ricerca di "nuove rotte in questo mare caratterizzato da continui cambiamenti". Naturalmente l'attenzione sarà focalizzata sul bacino Mediterraneo e sull'Italia che, con il nuovo Piano Energetico Nazionale, mira a diventare lo snodo europeo dell'approvvigionamento di gas dai mercati extra EU, sarà un'occasione importante per evidenziare le grandi competenze e professionalità della sua industria energetica. www.omc.it

AquaConSoil

barcellona, dal 16 al 19 aprile

Si terrà a Barcellona, dal 16 al 19 aprile, la conferenza AquaConSoil che, pur cambiando il nome, in precedenza era ConSoil, non cambia nella sostanza confermandosi come principale appuntamento europeo sulla gestione e trattamento di suoli ed acque. Prenderanno parte all’evento delegati di istituti di ricerca, università, organizzazioni governative, società di consulenza e rappresentanti dell’industria provenienti da più di 40 nazioni, un’occasione fondamentale per estendere e rinforzare il proprio network, iniziare nuove collaborazioni e cogliere spunti innovativi dai più recenti sviluppi del settore. Le tematiche attorno alle quali si svilupperà questa 12a edizione saranno l’utilizzo sostenibile del suolo e delle acque; la gestione delle risorse con un focus speciale sulle regioni aride e semiaride; il monitoraggio e le analisi; la bonifica di acque, suoli e sedimenti contaminati; il concetto e le politiche di gestione sostenibile dei suoli e delle acque. www.aquaconsoil.org

Bauma

MOnaco di baviera, dal 15 al 21 aprile

Si aprirà il 15 aprile a Monaco il Salone Internazionale di Macchine per l'Edilizia, Materiali da Costruzione e Industria Estrattiva con interessanti innovazioni legate agli azionamenti e ai motori verdi delle macchine per l’edilizia. Alla scorsa edizione hanno partecipato complessivamente 3.256 espositori da 53 Paesi e più di 420.000 visitatori provenienti da oltre 200 nazioni. Con una superficie espositiva di 555.000 metri quadrati, Bauma è in assoluto la manifestazione fieristica più grande del mondo e rappresenta una vetrina d’eccellenza dell’industria mondiale delle costruzioni. L'espansione dell'attività edilizia a livello mondiale sta determinando un forte incremento del fabbisogno di prodotti in calcestruzzo traducendosi in stimoli e nuove idee per i costruttori di macchine e impianti: fornitori di impianti completi e aziende specializzate in componenti saranno presenti a Monaco per presentare le loro ultime novità per i prodotti in calcestruzzo e altri materiali. www.bauma.de

SOLAREXPO

milano, dall'8 al 10 maggio

Solarexpo è l’appuntamento leader in Italia e tra i primi nel mondo specializzato nelle tematiche dell’energia solare. Questa 14° edizione si terrà a Milano, con l’obiettivo di supportare in maniera ancor più incisiva le aziende espositrici nell’internazionalizzazione garantendo a tutti i visitatori, italiani ed esteri, un accesso rapido e affidabile. Affiancata da un importante corpus di eventi tecnico-scientifici, Solarexpo si conferma come riferimento per l’intera “community” nazionale e un benchmark a livello internazionale. Inoltre, con l’adesione di Solarexpo, in qualità di founding member, alla Global Solar Alliance, il network di eventi dedicati all’energia solare di cui fanno parte anche Solar Power International (Usa) e SNEC PV Power Expo (Cina), si terrà anche la prima edizione del Global Solar Summit, un momento di dialogo dei principali attori dell’industria internazionale con i principali esponenti delle istituzioni e i decisori politici, per valorizzare e sostenere l’innovazione e il business nei mercati storici e in quelli emergenti. www.solarexpo.com

terra futura

firenze, dal 17 al 19 maggio

Anche quest’anno Firenze ospiterà, dal 17 al 19 maggio la mostra convegno Terra Futura, un evento unico nel suo genere che riunisce le migliori energie e proposte della società civile, delle istituzioni e delle imprese impegnate nella costruzione di un futuro sostenibile e più equo per tutti. Con numerosi e importanti i consensi raccolti negli anni, oltre 80.000 i visitatori dell'edizione 2012, Terra Futura diventa l'esempio tangibile di come un cambiamento virtuoso sia possibile grazie all'impegno concreto di ognuno di noi. Altre anticipazioni sulla fiera a pag. 6. www.terrafutura.it

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libri MANUALE DELLA DEMOLIZIONE CONTROLLATA A cura di Marco Biffani

EPC Editore (pagine 446 - € 40,00) “Una volta c’era il martello demolitore. Poi, lentamente, sono apparse sul mercato le prime alternative per forare, tagliare e demolire il cemento armato, la roccia e la muratura”. Questa frase rappresenta un po’ lo scopo di questo volume nel quale l’autore, forte di quasi 40 anni di esperienza nel settore, vuole raccontare in modo chiaro ed esaustivo l’evoluzione tecnologica degli interventi di demolizione. Il libro è organizzato in 11 capitoli dedicati ad altrettante metodologie di demolizione controllata, strutturati secondo lo schema seguente: descrizione generale dell’attrezzatura, della macchina o del prodotto; descrizione analitica dell’attrezzatura (utensili, accessori, macchinari, ecc.); funzionamento; operatività della metodica (vantaggi, limiti, personale necessario, ecc.); indicazioni sui livelli di sicurezza; fotografie, schemi e tabelle. Allegato al libro troviamo un CD che rappresenta la IV edizione di un prontuario nel quale sono elencate in modo schematico le applicazioni consigliate per ciascuna tecnica, i vantaggi, le caratteristiche di dettaglio, le limitazioni, i rischi e le precauzioni, insomma le informazioni essenziali per poter correttamente valutare ciascuna tipologia di intervento di demolizione. L’ampia documentazione fotografica a corredo del testo permette di ripercorrere dai suoi inizi quasi l’intera storia della demolizione controllata mostrando come nel tempo vi siano state modifiche anche sostanziali di macchine e attrezzature. L’autore infine dedica a ciascuna tecnica un’analisi finalizzata a valutare gli aspetti di sicurezza e salvaguardia della salute degli operatori in modo da fornire ai lettori alcune indicazioni basilari, anche se non esaustive, per facilitare la stesura dei Piani Operativi di Sicurezza.

DIRITTO E GESTIONE DELL’AMBIENTE

A cura di Amedeo Postiglione e Stefano Maglia

Irnerio Edizioni (pagine 508 - € 30,00) In un panorama editoriale fitto di opere che trattano di diritto ambientale, questo volume tenta di fornire un quadro giuridico unitario, internazionale, comunitario e nazionale. Frutto dell’esperienza di due noti giuristi ambientali il manuale è articolato in una Parte Generale, che introduce le fonti, i principi, le responsabilità e gli illeciti del diritto ambientale, e in una Speciale, dove vengono affrontati dettagliatamente i molteplici campi operativi della materia nell’analisi della disciplina delle singole componenti tematiche: rifiuti, bonifiche, acque, aria, rumore, elettrosmog, VIA-VAS-IPPC, danno, energia, urbanistica, ecc. Tutte le tematiche vengono affrontate non solo in termini generali ma con un taglio politico-operativo tale da rendere quest’opera adatta a fornire una chiara introduzione al mondo del diritto ambientale ed al tempo stesso una guida dettagliata destinata a tutti i professionisti del settore. Strutturato in 11 capitoli per la Parte Generale e in 21 capitoli per la Parte Speciale questo volume rappresenta senza dubbio uno strumento completo, pratico ed autorevole per corsi e master universitari di settore.

RIFIUTI SOLIDI PROGETTAZIONE E GESTIONE DI IMPIANTI PER IL TRATTAMENTO E LO SMALTIMENTO A cura di Giovanni De Feo, Sabino De Gisi e Maurizio Galasso

Dario Flaccovio Editore (pagine 801 - € 72,00) La crescente importanza delle tematiche connesse al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi non è più legata al solo ambito tecnico ma si trova ad essere legata, da un lato, ad aspetti di tipo sociale e, dall’altro, ad una maggiore consapevolezza degli impatti generati sull’ambiente dalle pressioni antropiche. In questo contesto si inserisce quest’opera di tre studiosi campani, i quali, con un approccio e con contenuti innovativi, si propongono di indirizzare le strategie degli organismi pubblici preposti alla gestione dei rifiuti stabilendo criteri oggettivi per la delicata fase di localizzazione degli impianti. Il libro vuole essere un contributo concreto per quanti si occupano di rifiuti solidi, siano essi progettisti, gestori, consulenti, enti di controllo o studenti. Strutturato in 11 capitoli inizia con una dettagliata analisi della gestione dei rifiuti urbani su scala internazionale, nazionale e regionale proponendo l’applicazione del Life Cycle Assessment per la scelta del miglior sistema di gestione. Gli autori si soffermano poi sull’importanza di una corretta attività di comunicazione che non sia solo esplicativa di tempi e metodi legati alla raccolta differenziata ma che sia soprattutto una forma di dialogo con i cittadini durante i processi di localizzazione degli impianti e durante le successive fasi di gestione degli stessi.

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marzo 2013 anno vI numero 22

Demolizioni meccaniche Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 6 n. 22 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

La formazione specialistica degli operatori secondo NAD Report rifiuti Il modello integrato di raccolta differenziata nella città di firenze Digestione anaerobica tecnologie avanzate per il nuovo impianto avviato in trentino Passività ambientali Oneri reali e garanzie nella compravendita di immobili

info@longhiv.com - www.longhiv.com

Salvaguardare la vita e la salute di tutti coloro che lavorano in cantiere e che vivono nelle aree circostanti, in fase di progettazione, di realizzazione degli interventi e a lavoro concluso, è per Longhi S.r.l una priorità. Alla base della filosofia aziendale c’è, infatti, la sicurezza di ambiente e persone, attestata dai più qualificati standard nazionali e internazionali, ma anche la qualità e l’efficienza del servizio proposto e la continua ricerca di soluzioni innovative.

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