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www.recoverweb.it
MODALITÀ OPERATIVE PER LA BONIFICA DEGLI EDIFICI CONTENENTI AMIANTO: UN ESAME DELLA NORMATIVA VIGENTE
Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D. L. 353/2003 cov. in L. 46/2004, art1, c1 - CB-NO/Torino - Anno 12 n. 48 - ISSN 2421-2938 DEA edizioni s.a.s. Corso Tassoni 79/4 - 10143 Torino
SPE AC
LE CIA A QU
SERVIZIO IDRICO INTEGRATO: CONSIDERAZIONI E PUNTI DI VISTA SUI MODELLI DI GESTIONE DELL’ACQUA
STRUMENTI E NORME PER GESTIRE LA COMPLESSA TRASFORMAZIONE VERSO L’ECONOMIA CIRCOLARE
EFFICIENZA AL TOP IN EUROPA PER IL NUOVO IMPIANTO DI RICICLO DELLA PLASTICA IN PROVINCIA DI BRESCIA
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S O M M A R I O S OM M A R I O
RUBRICHE
News 4 Vetrina 78 Appuntamenti 79
PRIMO PIANO
Verso un’economia circolare di Massimo Viarenghi
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Un impianto di trattamento acque per la centrale elettrica
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Soluzioni e tecnologie per il monitoraggio di PFOA e TOC in acque contaminate
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di Bruno Vanzi
di Raffaele Ravaioli, et al.
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di Paolo Moggio
ATTUALITÀ
A Ravenna si fanno ancora i conti con l’ambiente! 14 di Gian Maria Brega
di Maeva Brunero Bronzin
PANORAMA AZIENDE
Una valigia di esperienza nel cuore dell’Italia di Maria Beatrice Celino
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A fianco dei prodi
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di Bruno Vanzi
Tutti per uno, uno per tutti di Maria Beatrice Celino
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Da una piccola officina di Molfetta al mondo
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La squadra dell’ambiente
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di Maria Beatrice Celino
di Laura Veneri
Vincere la sfida del recycling con l’innovazione di Bruno Vanzi
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Per un'economia circolare industriale
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Una calda estate tra cantieri
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L’impianto per il riciclo della plastica più efficiente in Europa
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di Laura Veneri
di Laura Veneri
PROGETTI E TECNOLOGIE
Valutazione fluidodinamica nella progettazione dei confinamenti statico-dinamici
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Approccio direct-sensing per la caratterizzazione di siti contaminati
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La risposta tempestiva come fattore chiave per la salvaguardia delle matrici ambientali
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di Paolo Cecchella e Alfio Bazzichi
di Claudio Sandrone, et al.
di Gabriele Palmieri
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NORMATIVA
Edifici contenenti amianto: modalità operative 72
SPECIALE
Servizio Idrico Integrato tra slogan elettorali e bisogni di investimento
La metamorfosi della ex Nord Ovest
di Moreno Marionni e Walter Rossi
Acciaio, poliuretano, gomma: ogni vaglio è differente di Maria Beatrice Celino
WORK IN PROGRESS di Maeva Brunero Bronzin
CECE Manifesto 16
di Emilio Guidetti
Efficienza al top con la nuova turbosoffiante
di Rosa Bertuzzi
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Differenza tra abbandono rifiuti e discarica abusiva di Cinzia Silvestri
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LA METAMORFOSI DELLA EX NORD OVEST: UN’AREA DI SERVIZIO DI FERRARA RECENTEMENTE TRASFORMATA GRAZIE A UNA DEMOLIZIONE “SU MISURA” SENZA INFASTIDIRE LE ATTIVITÀ COMMERCIALI E IL TRAFFICO FERROVIARIO
47 L’IMPORTANZA DELL’IMPIANTISTICA DI FILIERA DI PROSSIMITÀ PER REALIZZARE CONCRETAMENTE UN’ECONOMIA CIRCOLARE INDUSTRIALE: UN ESEMPIO DI SISTEMA DI GESTIONE INTEGRATO NEL TERRITORIO UMBRO
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LA VALUTAZIONE FLUIDODINAMICA A SUPPORTO DELLA PROGETTAZIONE NEL DIMENSIONAMENTO DEI CONFINAMENTI STATICO-DINAMICI PER AMBIENTI CONTAMINATI
60 CARATTERIZZAZIONE DI SITI CONTAMINATI CON APPROCCIO DIRECT-SENSING: INDIVIDUARE LE SORGENTI DI CONTAMINAZIONE E DELIMITARE L’ESTENSIONE DEL PLUME IN UN ACQUIFERO MEDIANTE INDAGINE MIP
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NEWS RIFIUTI SPECIALI: L’ITALIA SI CONFERMA LEADER NEL RICICLO Il Rapporto Rifiuti Speciali 2019, redatto da ISPRA/SNPA sui dati del 2017 e disponibile on line, conferma la posizione leader dell’Italia nel riciclo con un aumento delle quantità di rifiuti speciali avviate a recupero di materia (7,7%) e una diminuzione di quelle destinate allo smaltimento (8,4%).
zati, in luogo delle materie prime, all’interno del ciclo produttivo in 1.307 impianti industriali. Tali stabilimenti riciclano il 20% del totale dei rifiuti recuperati a livello nazionale. I rifiuti inorganici, prevalentemente derivanti dalle attività di costruzione e demolizione (37% del totale gestito), sono generalmente utilizzati come rilevati e sottofondi stradali. Il recupero di metalli e di rifiuti organici rappresenta, rispettivamente, il 13,6% e l’8,4% del totale gestito. Circa 2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono coinceneriti in impianti industriali in sostituzione dei combustibili convenzionali, mentre l’incenerimento interessa più di 1 milione di tonnellate. Sono smaltiti in discarica 12 milioni di tonnellate di rifiuti (l’8,2% del totale gestito) di cui circa 10,9 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi e 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi.
APPELLO DELL’OMS SULL’IMPATTO DELLE MICROPLASTICHE SULLA SALUTE
La produzione nazionale di rifiuti speciali complessivamente gestiti è aumentata e raggiunge i 140 milioni di tonnellate; ma a crescere è solo la produzione di rifiuti non pericolosi (+3,1%), mentre rimane stabile quella dei rifiuti pericolosi (+0,6%, corrispondente a 60mila tonnellate). L’Italia ha importato oltre 6 milioni di tonnellate di rifiuti e ne ha esportati 3. La quantità maggiore arriva dalla Germania, quasi 2 milioni di tonnellate (di cui il 96% sono rifiuti metallici), dalla Svizzera, oltre 1 milione di tonnellate, dalla Francia, 824 mila tonnellate e dall’Austria, 733 mila tonnellate. I rifiuti metallici importati sono destinati al riciclaggio, principalmente in acciaierie situate sul territorio nazionale. Il maggior contributo alla produzione complessiva arriva dal settore delle costruzioni e demolizioni, che con oltre 57 milioni di tonnellate, concorre al 41% del totale prodotto. Le attività di trattamento dei rifiuti e di risanamento ambientale rappresentano il 25,7% del totale (quasi 36 milioni di tonnellate), l’insieme delle attività manifatturiere il 21,5% (quasi 30 milioni di tonnellate). Il Nord produce il 58,3% dei rifiuti speciali (quasi 81 milioni di tonnellate), seguito dal Sud con il 23,7% (quasi 33 milioni di tonnellate) e dal Centro con il 18% (circa 25 milioni di tonnellate). Sul territorio nazionale operano 11.209 impianti di gestione dei rifiuti speciali 6.415 dei quali sono situati al Nord, 2.165 al Centro e 2.629 al Sud. Il 20% degli impianti si trova in Lombardia con 2.176 infrastrutture. Gli impianti dedicati al recupero di materia sono 4.597 (41% del totale). Circa 20,2 milioni di tonnellate di rifiuti speciali sono utiliz-
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Dopo aver recentemente pubblicato la ricerca “Microplastics in drinking-water” (2019) l’Organizzazione mondiale della sanità chiede urgentemente ulteriori valutazioni sugli effetti delle microplastiche disperse nell'ambiente e nell’acqua potabile e sui loro potenziali impatti sulla salute umana, e una conseguente riduzione dell'inquinamento da plastica. Le microplastiche provengono dalla degradazione di oggetti e tessuti sintetici che entrano nel ciclo dell'acqua potabile attraverso acque reflue o scarichi industriali, ma possono essere rilasciate anche dalle bottigliette che la contengono. Microparticelle sono state rinvenute nell’acqua imbottigliata, nell’acqua del rubinetto e anche nell’acqua di sorgente. L’analisi pubblicata evidenzia tre potenziali pericoli dell’ingerimento di particelle per il nostro organismo: il rischio di tipo fisico dovuto all’accumulo, quello chimico legato alla tossicità e quello batterico dovuto alla presenza di biofilm associati alle microplastiche in acqua. Dalle valutazioni attuali le microplastiche superiori a 150 micrometri non dovrebbero venire assimilate dal corpo umano (perchè espulse con la digestione), ma l'assorbimento delle nanoparticelle può essere più elevato perché attraverso il sistema linfatico e il sangue possono raggiun-
gere organi come fegato e reni, i dati sono però, ad oggi, estremamente limitati e non sufficienti per fare delle corrette valutazioni. In base alle informazioni finora raccolte le microplastiche nell'acqua potabile non sembrano rappresentare un rischio per la salute ai livelli attuali, ma sono necessari ulteriori studi, bisogna sviluppare metodi standard per la misurazione ed è indispensabile testare l'efficacia di diversi processi di trattamento. Secondo il parere dell’OMS i sistemi di depurazione delle acque reflue e potabili sono efficaci anche nella rimozione del 90% delle microplastiche ma una parte significativa della popolazione mondiale attualmente non ne beneficia.
TEMPO DI VALUTAZIONI: RAPPORTO ECOMAFIE E PROGETTO SENTIERI Secondo i dati raccolti da Legambiente nel report annuale “Ecomafia 2019. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia” nel 2018 i settori prediletti dalla mano criminale risultano essere il ciclo illegale del cemento e dei rifiuti, la filiera agroalimentare e il racket degli animali. In leggera discesa il bilancio complessivo dei reati contro l’ambiente che passa dagli oltre 30mila illeciti registrati nel 2017 ai 28.137 reati (più di 3,2 ogni ora) accertati lo scorso anno, soprattutto a causa della netta flessione, fortunatamente, degli incendi boschivi (-67% nel 2018) e in parte alla riduzione dei furti di beni culturali (-6,3%). Diminuiscono inoltre le persone denunciate - 35.104 contro le oltre 39mila del 2017 - così come quelle arrestate, 252 contro i 538 del 2017, e i sequestri effettuati - 10mila contro gli 11.027 del 2017. L’aggressione alle risorse ambientali del Paese si traduce in un giro d’affari che nel 2018 ha fruttato all’ecomafia ben 16,6 miliardi di euro, 2,5 in più rispetto all’anno precedente e che vede tra i protagonisti ben 368 clan, censiti da Legambiente e attivi in tutta Italia. Nella lotta alla criminalità ambientale, la legge 68/2015 sugli ecoreati continua ad avere un ruolo chiave, sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Nel 2018 la legge è stata applicata dalle forze dell’ordine per 1.108 volte, più di tre al giorno, con una crescita pari a +129%. Come gli altri anni, la fattispecie dell’inquinamento ambientale è quella più applicata: 218 contestazioni, con una crescita del 55,7% rispetto all’anno precedente. Aumentano anche i casi di disastro ambientale applicato in 88 casi (più che triplicati rispetto all’anno precedente). Completano il quadro le 86 contestazioni per il delitto di traffico organizzato di rifiuti, i 15 casi di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività, i 6 delitti colposi contro l’ambiente, i 6 di impedimento al controllo e i 2 di omessa bonifica. In relazione ai dati forniti da Legambiente sull’inquinamento ambientale sarà interessante consultare le valutazioni
relative all’incidenza sui problemi di salute e all’insorgere di tumori e malformazioni neonatali che possono derivare da un ambiente altamente inquinato. A questo proposito l’Istituto Superiore di Sanità ha presentato il V Rapporto del Progetto “Sentieri” relativo allo stato di salute della popolazione residente in 45 Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche (SIN). L’aggiornamento ha riguardato 319 comuni e una popolazione di 5.900.000 abitanti, per i quali si è esaminata mortalità, ospedalizzazione, incidenza oncologica e malformazioni congenite. Le criticità emergono nei siti dove non sono state effettuate opere di bonifica e/o dove, anche in presenza di azioni di risanamento, le esposizioni avvenute negli scorsi decenni si riflettono in eccessi di patologie con lunga latenza. Il V Rapporto contiene elementi di interesse che potranno essere utilizzati nei processi decisionali per meglio indirizzare gli interventi di risanamento ambientale, i cui benefici potrebbero essere più o meno dilazionati nel tempo in funzione della latenza delle patologie. Questo richiede però una stretta collaborazione fra le strutture centrali, regionali e locali competenti in tema di protezione dell’ambiente e tutela della salute. A tal fine in alcuni contesti territoriali sono stati costituiti tavoli di lavoro inter-istituzionali.
REMTECH EXPO 2019: BONIFICHE, COSTE, DISSESTO, CLIMA, SISMICA, RIQUALIFICAZIONE, RIGENERAZIONE, INDUSTRIA La XIII edizione di RemTech Expo sarà a Ferrara dal 18 al 20 Settembre. Si parte mercoledì 18 Settembre, dalle ore 9.00, con gli Stati Generali delle Bonifiche, la Conferenza Smart Ports, gli Stati Generali della Geologia, la Conferenza sulla Gestione delle Risorse Idriche e sui Cambiamenti Climatici, la Conferenza sul Rischio sismico, la Conferenza Internazionale sulla Rigenerazione urbana, gli Stati Generali dell’Industria innovativa e sostenibile. La giornata ospiterà inoltre l'evento di Cisambiente Confindustria dal titolo “Il cuore verde delle bonifiche”. Si prosegue, giovedì 19 Settembre, con la Conferenza del Sistema Nazionale di Protezione Ambientale SNPA, gli Stati Generali dell’Ingegneria del ter-
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NEWS ritorio con focus su opere e infrastrutture, la Conferenza sul rischio costiero e clima, la Conferenza Nazionale sull’Economia Circolare, la Conferenza Nazionale sulla plastica e due nuovi appuntamenti, il Workshop CircOILeconomy organizzato dal Conou e il Corso “Il Direttore Tecnico nelle imprese di gestione rifiuti e di bonifica” di Angam. Venerdì 20 Settembre si chiude con la Conferenza Nazionale Industria e Ambiente, la Conferenza Nazionale Salute e Sicurezza, la Giornata del Dipartimento di Protezione Civile, la Tavola Rotonda sulle Ricostruzioni post-sisma, gli Stati Generali dell’Università e green jobs nella green economy, il Corso di formazione sulla Comunicazione Ambientale “fake news”.
In parallelo andranno in scena tutti i convegni tecnici e scientifici, gli incontri tecnici organizzati dalle imprese espositrici, i meeting bilaterali e gli appuntamenti delle delegazioni straniere invitate, le numerose premiazioni in agenda che accenderanno i riflettori su eccellenze, innovazioni e sostenibilità, le poster session e il poster contest di RemTech Europe, in stretta connessione con le Live Demo in corso durante tutta la giornata di giovedì 19 Settembre nell’area esterna del quartiere. Le tre giornate, ospiteranno anche i lavori dei Tavoli di confronto permanenti costituiti dal Sistema Nazionale SNPA e da RemTech Expo. Mercoledì pomeriggio si riuniscono il Tavolo 1. Bonifiche e Sedimenti e il Tavolo 4. Industrie e Innovazione, Giovedì mattina il Tavolo 3. Economia circolare e Gestione rifiuti e 5. Riqualificazione e Rigenerazione, Giovedì pomeriggio è poi la volta del Tavolo 2. Rischi Naturali e Clima e 6. Coste e Porti. La sera, RemTech Expo non si ferma e diventa “Lights and Magic” con due serate speciali, quelle di mercoledì e giovedì, che vedranno protagonisti le imprese, i partner, le delegazioni, i comitati tecnico-scientifici della manifestazione, in un contesto esclusivo avvolti da un’atmosfera unica di networking colto. Il 19 Settembre, a coronamento della serata, il Maestro Uto Ughi salirà sul palco di Ferrara in esclusiva per i nostri ospiti. La Cerimonia di Inaugurazione è in calendario per Mercoledì 18 Settembre alle ore 13.00 presso l’area espositiva del Ministero dell’Ambiente.
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L’ITALIA ECCELLE PER RACCOLTA E RICICLO DI IMBALLAGGI DI ALLUMINIO Con 54.300 tonnellate di imballaggi in alluminio riciclate nel 2018, pari all’80,2% delle complessive 67.700 tonnellate immesse sul mercato - cui vanno aggiunte 4.300 tonnellate di imballaggio sottile destinato alla termovalorizzazione - l’Italia si conferma anche per il 2018 Paese di eccellenza a livello europeo per quantità di alluminio riciclato prodotto. Questi i numeri presentati all’assemblea annuale 2018 delle 256 imprese consorziate a CIAL - Consorzio Nazionale per il Recupero e il Riciclo degli Imballaggi in Alluminio tenutasi a Milano lo scorso 10 maggio. Il risultato, vitale per un Paese la cui produzione di alluminio si basa al 100% sul riciclo, ha consentito di evitare emissioni serra pari a 403mila tonnellate di CO2 e risparmiare energia per oltre 173mila tonnellate equivalenti di petrolio, ed è stato reso possibile grazie all’azione combinata di istituzioni, imprese, operatori, cittadini e comuni. CIAL collabora oggi con oltre 5.200 Comuni e 44 milioni di cittadini attivi nella raccolta differenziata dell’alluminio su tutto il territorio nazionale, nell’ambito dell’Accordo Quadro Anci-Conai. Nell’ultimo anno si è registrata una crascita del 19%. L’impegno di CIAL prevede ormai da anni un supporto personalizzato che garantisce l’individuazione delle migliori opzioni possibili per massimizzare il recupero dell’alluminio nei diversi contesti territoriali attraverso sistemi premianti e incentivanti in funzione di crescenti livelli di quantità e qualità, supporto nell’adozione di nuove tecnologie per la selezione e soluzioni integrative della stessa raccolta differenziata per garantire la captazione di frazioni di materiale erroneamente conferite nel rifiuto indifferenziato, ma anche l’opzione di recupero della frazione alluminio dal sotto-vaglio degli impianti di selezione dei rifiuti da raccolta differenziata. Lattine per bevande, scatolette e vaschette per alimenti, il foglio sottile in alluminio, bombolette spray, tubetti, tappi e chiusure sono riciclabili al 100% e all’infinto: oggi, il 75% di tutto l’alluminio da sempre prodotto nel mondo è ancora in uso!
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VERSO UN’ECONOMIA CIRCOLARE GLI STRUMENTI E LE NORME NEL QUADRO EUROPEO E NAZIONALE PER GESTIRE LA LENTA E COMPLESSA TRASFORMAZIONE IN ATTO DEL SISTEMA ECONOMICO DA LINEARE A CIRCOLARE di Massimo Viarenghi
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rmai l’argomento economia circolare è all’ordine del giorno, se ne parla quotidianamente sui media e dovrebbe essere un elemento di competitività sui mercati. Il cambio di paradigma è necessario, ma il processo è lungo, complesso e pieno di ostacoli. Volendo ricercare le origini del pensie-
ro sull’economia circolare, l’idea di una ciclicità e una rigenerazione della materia compare nel 1966 in un articolo di Kenneth E. Boulding intitolato “The Economics of the Coming Spaceship Earth". Boulding paragonava la Terra a un’astronave con scorte limitate, dove l’energia può essere rimpiazzata solo da energia solare mentre le scorte di acqua
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e materiali devono necessariamente essere riciclate. Dieci anni dopo Walter Stahel e Genevieve Reday, nel rapporto “The Potential for Substituting Manpower for Energy" presentato alla Commissione Europea, sostenevano che l’industria dovesse perseguire una strategia per la prevenzione della produzione dei rifiuti, per la creazione di posti di
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DAVIDE DAMOSSO
Environment Park - Parco Scientifico Tecnologico per l'Ambiente, Direttore operativo
“Il tema dell’economia circolare abbraccia tantissimi aspetti, rende più complessa la misurazione e più articolata la valutazione, quindi ha bisogno di conoscenze, di studi. […] Qual è la metrica, l’indicatore, per definire delle azioni e comunicare la sostenibilità? Un primo aspetto sono le catene corte. […] Gli strumenti per la misurazione dell’economia circolare non sono solo di natura scientifica ma hanno delle ripercussioni sulla quotidianità, delle ricadute concrete nella vita delle aziende e dei consumatori nella vita di tutti i giorni” lavoro e per l’aumento dell’efficienza delle risorse energetiche, attraverso il riutilizzo e l'estensione del ciclo di vita dei beni. Da ricordare anche il libro culto di Barry Commoner “Il cerchio da chiudere” dal titolo significativo, del 1971. La Cina introduce il concetto di economia circolare nel 2006, nel suo 11o Piano Quinquennale, e diventerà un leitmotiv anche nei piani successivi. Con la mission di “accelerare la transizione verso un’economia circolare” nel 2010 viene lanciata come ente indipendente la Ellen MacArthur Foundation che ne dà una propria definizione - “è un termine ge-
MARCO FREY
Scuola Universitaria Superiore Sant'Anna di Pisa, Direttore del SuM - gruppo di ricerca sul management della sostenibilità
“È necessario analizzare tutte le fasi della produzione per conoscere e capire dove si perde la materia e agire di conseguenza. Il 92% si perde, l’8% si ricicla. Bisogna riportare parte consistente di questo 92% all’interno del ciclo”
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nerico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera” - e si fa promotrice della sua divulgazione. Il passaggio da un’economia lineare, basata sul ciclo estrazione-trasformazione-utilizzo-scarto, a una circolare, in cui i rifiuti vengono trasformati e reimmessi sul mercato come materie prime seconde, oggi si presenta come una sfida essenziale per la sostenibilità presente e futura dell’Europa e del Pianeta intero. La partecipazione, lo scorso 5 giugno a Torino, al convegno “Come si misura l’economia circolare” organizzato nell’ambito di Circonomia - Festival dell’economia circolare e delle energie dei territori, una delle innumerevoli iniziative che negli ultimi anni si propongono di sviscerare e diffondere un tema tanto articolato, è stata anche per noi un’occasione per fare un po’ di chiarezza. Alcuni esperti in diverse discipline sono stati chiamati al confronto e il dibattito ha evidenziato la complessità a vari livelli, e ha permesso di fare il punto sulla situazione europea e del nostro Paese.
IL QUADRO EUROPEO
La trasformazione del modello economico è tra le priorità dell’agenda europea stabilita nell’ambito della strategia europea Horizon 2020 e ha preso il via concretamente in Europa nel settembre 2014 quando la Commissione Europea, con la revisione della legislazione sui rifiuti, ha elaborato un pacchetto di misure volto a ridurne la produzione e a promuovere una circolarità del paradigma economico. La Comunicazione della Commissione “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti” [COM(2014)398] è stata accompagnata da una proposta di modifica di alcune direttive in materia [COM(2014)397]. La proposta ha creato una serie di perplessità ed è stata rivista e l’anno successivo quando, con la Comunicazione “L’anello mancante - Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare” [COM(2015) 614 final], la Com-
missione Europea ha adottato un piano e ha proposto la revisione della direttiva europea quadro sui rifiuti 2008/98/CE, della direttiva sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio 1994/62/CE, della direttiva sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (direttive 2000/53/EC, 2000/66/EC, 2012/19/EU) e infine della direttiva sulle discariche 1999/31/EC. Il piano indica una serie di misure che affrontano tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti: dall'estrazione delle materie prime, alla produzione, al consumo fino al mercato dei prodotti riciclati. Il Pacchetto di direttive sull’Economia Circolare è stato approvato a larga maggioranza con il voto dell’Europarlamento il 18 aprile 2018 e gli stati membri hanno due anni di tempo per recepire le direttive. Il Parere del CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo - organo consultivo delle istituzioni dell’Unione Europea
ROBERTO CAVALLO
Cooperativa Erica, vicepresidente del Comitato Scientifico per l'implementazione e lo sviluppo del Piano Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti in carica fino al 2017 “Il tema degli indicatori e della misurazione è un tema molto interessante ma a mio avviso insufficiente. […] Gli indicatori sono economici e tecnici (produzione e consumo, gestione rifiuti, materie prime seconde, competitività…), ma manca l’aspetto sociale. […] L’economia lineare è basata sulla deresponsabilizzazione. Come cambia il patto sociale tra economia lineare ed economia circolare? Purtroppo oggi questi indicatori non ci sono. Non è da sottovalutare l’importanza di saper raccontare bene un’esperienza di economia circolare. La capacità di narrazione è fondamentale”
che contribuisce a conciliare gli obiettivi delle politiche UE con le istanze della società civile) sul Pacchetto economia circolare (GU 20 luglio 2016 c264/14) oltre che segnalare la necessità dell’istruzione come parte essenziale della transizione verso un’economia circolare e la necessità di una progettazione ecocompatibile, ha portato alla creazione di una Piattaforma europea per l’economia circolare aperta a tutti gli stakeholder, strumento per lo scambio e la sensibilizzazione in materia di nuove pratiche. Il sito web è strutturato su una Rubrica delle buone pratiche e un Forum interattivo e l’obiettivo è quello di raccogliere informazioni, conoscenze, esperienze, strategie in materia per metterle a disposizione del pubblico. La Commissione Europea ha anche adottato un Quadro di monitoraggio [Comunicazione (2018) 29 final] (16 gennaio 2018) che permette di studiare i passi compiuti verso un’economia circolare attraverso una serie di 10 indicatori individuati. Le statistiche sono disponibili sul sito Eurostat. Intanto l’ISO (International Organization for Standardization) ha istituito un nuovo comitato tecnico ISO ISO/TC 323 “Circular economy” per sviluppare requisiti, quadri, linee guida e strumenti di supporto relativi all'attuazione di progetti di economia circolare. I risultati proposti si applicheranno a qualsiasi organizzazione che desidera implementare progetti di economia circolare.
PATRIZIA LOMBARDI
Politecnico di Torino, Presidente della Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (RUS) “Come Politecnico coordiniamo i tavoli di lavoro su economia circolare, mobilità, energia, alimentazione, educazione e cambiamento climatico. Le università non sono attori che guardano il cambiamento, ma lo promuovono: si ritengono in dovere per le loro comunità di essere non solo un modello, ma anche promotori delle buone pratiche e del cambiamento necessario nella nostra società. Gli atenei vogliono possono e devono dire la propria in questo ambito”. “La misurazione della circolarità rappresenta un requisito essenziale per il conseguimento di azioni concrete e per il raggiungimento di risultati tangibili nella transizione verso un’economia circolare” .
La relazione completa della Commissione sull’attuazione del Piano d’azione pubblicata il 4 marzo 2019 afferma che tutte le 54 azioni previste sono state attuate o sono in fase di attuazione pertanto il piano può considerarsi completato.
STEFANO CIAFANI
Legambiente, Presidente nazionale
E IN ITALIA A CHE PUNTO SIAMO?
I principi dell’economia circolare hanno cominciato a farsi strada nell’ordinamento italiano con l’entrata in vigore, il 2 febbraio del 2016, della Legge 28 dicembre 2015, n. 221, “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”. Con l’obiettivo di fornire un inquadramento generale e definire il posizionamento strategico sul tema, il Ministero dell’Ambiente (MATTM) e il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) hanno redatto, nel novembre 2017, il documento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”. Sulla base del fatto che è stata individuata la misurazione della circolarità come requisito essenziale per il conseguimento di azioni concrete, i due ministeri hanno poi costituito un Tavolo di lavoro tecnico, con il supporto di ENEA, per individuare adeguati indicatori di misurazione e monitoraggio e parametri per la valutazione delle strategie nazionali sui temi dell’economia circolare e dell’uso efficiente delle risorse. Il tavolo tecnico dopo un anno di lavoro ha redatto il documento “Economia circolare ed uso efficiente delle risorse - Indicatori per la misurazione dell’Economia Circolare” che include però solamente gli aspetti fisici ed economici di un sistema economico circolare rispetto ad un sistema economico lineare, perché gli aspetti ambientali e sociali, che pur dovrebbero essere inclusi per un’analisi completa, andrebbero misurati attraverso strumenti di tipo diverso [ad esempio il LCA (Life Cycle Assessment - strumento utilizzato per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto), la disponibilità delle risorse, ecc.]. Lo schema di monitoraggio utilizzato rappresenta una prima proposta operativa verso la definizione di un modello ita-
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“Il 24 aprile 2017 Legambiente ha organizzato un evento al parlamento europeo, alla presenza del vice-presidente della commissione europea, si era nella fase di discussione del pacchetto sull’economia circolare. In quell’occasione abbiamo fatto parlare le imprese private, le società pubbliche, i soggetti gestori che gestiscono il ciclo dei rifiuti sul territorio nazionale. Abbiamo censito 101 campioni dell’economia circolare che hanno portato 30 esperienze. Katainen ci ha detto che era arrivato con l’intenzione di insegnare all’Italia come gestire i rifiuti all’interno degli obiettivi del pacchetto, ma dopo aver ascoltato quattro relazioni è rimasto stupito dalle esperienze italiane. Bisogna avere la consapevolezza che stiamo in un paese privilegiato sul fronte dell’economia circolare” liano di misurazione della “circolarità”, al quale imprese, organizzazioni, istituzioni e altri soggetti pubblici o privati, sono invitati a contribuire per favorire il raggiungimento di un risultato di significativa operatività e applicabilità in Italia. Per far convergere iniziative, esperienze, criticità e prospettive, ENEA ha avviato anche la Piattaforma Italiana degli attori per l’Economia Circolare (ICESP), iniziativa speculare alla piattaforma europea ECESP di cui è rappresentante italiano nel gruppo di coordinamento. Intanto l’Ente Italiano di Normazione UNI ha costituito la Commissione UNI/ CT 057 “Economia circolare”. Negli ultimi mesi sono numerosi i passi concreti fatti in tema di economia circolare. A giugno, con il D.L.12/07/2018 contenente disposizioni urgenti per il riordino delle attribuzioni di alcuni ministe-
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ALCUNE INIZIATIVE, STRUMENTI, PROGETTI E PIATTAFORME ON-LINE PER PROMUOVERE L’ECONOMIA CIRCOLARE, DIFFONDERENE LA CONOSCENZA, CENSIRE LE BUONE PRATICHE E LE BAT • • • • • • •
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C irconomia: festival diffuso sul territorio piemontese, dal 2016 ha l’ambizione di collegare strettamente la riflessione sull’economia circolare alla dimensione dello sviluppo locale: www.circonomia.it Ellen MacArthur Foundation: fondazione privata che promuove l’economia circolare attraverso la pubblicazione di materiali, l’istruzione, contributi finanziari: www.ellenmacarthurfoundation.org Pagina dedicata all’economia circolare sul sito di Eurostat, Ufficio statistico dell’UE: ec.europa.eu/eurostat/web/circular-economy ECESP (European Circular Economy Stakeholder Platform): piattaforma Europea degli stakeholder per l'economia circolare - promossa da Commissione Europea e CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo): circulareconomy.europa.eu/platform/ ICESP (Italian Circular Economy Stakeholder Platform): piattaforma Italiana degli attori per l'Economia Circolare - creata ENEA: www.icesp.it Circular Economy Network: progetto avviato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile per promuovere, raccoglie e divulgare studi, definire gli indicatori, analizzare le performance nazionali, effettuare la ricognizione delle principali criticità e delle barriere da rimuovere, valorizzare e contribuire alla diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche: circulareconomynetwork.it Atlante Italiano dell'Economia Circolare: progettato da ECODOM (Consorzio Italiano Recupero e Riciclaggio Elettrodomestici) e CDCA (Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali) è una piattaforma web interattiva che censisce e racconta le esperienze delle realtà economiche e associative impegnate ad applicare, in Italia, i principi dell’economia circolare: www.economiacircolare.com/latlante Piccola guida essenziale al consumo critico e circolare: di CDCA (Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali): www.ioconsumocircolare.it Centro Nazionale di Competenza e Centro di Documentazione sull’Economia Circolare: progetto di Fondazione Cogeme Onlus, ha sede in provincia di Brescia: www.versounaeconomiacircolare.it Circle Economy: impresa sociale organizzata in forma cooperativa che offre strumenti e servizi per facilitare il processo decisionale e attuare piani d'azione nel campo dell’economia circolare: www.circle-economy.com Raw Materials Scoreboard: insieme di indicatori collegati al partenariato europeo per l'innovazione (PEI) sulle materie prime, che fornisce dati quantitativi dell'UE sugli obiettivi generali del PEI e sulle materie prime nel contesto della politica dell'UE: ec.europa. eu/growth/content/raw-materials-scoreboard-2018_en
LAURA CUTAIA
ENEA, Responsabile del Laboratorio valorizzazione delle risorse nei sistemi produttivi e territoriali
GIOVANNI DE SANTI
Commissione Europea, JRC, ISPRA “I 17 obiettivi SDG (Sustainable Development Goals) secondo l’Agenda 2030 sono il quadro di sostenibilità per i paesi sviluppati e in via di sviluppo. La CE può svolgere un ruolo essenziale nel garantire il raggiungimento di numerosi obiettivi e traguardi. L’economia circolare è centrale negli SDGs nella transizione verso un’economia circolare” ri, è stata istituita presso il ministero dell’Ambiente la Direzione generale per l’economia circolare. La nuova Direzione si occuperà della promozione delle politiche per la transizione ecologica e l’economia circolare, della gestione integrata del ciclo dei rifiuti, dei programmi plastic free e rifiuti zero, dell’implementazione dei criteri ambientali minimi (Cam), di rifiuti radioattivi e Ogm. La Regione Lombardia, all’avanguardia per quanto riguarda le politiche e le misure prese in un’ottica di sviluppo sostenibile, ha recentemente adottato il nuovo piano rifiuti già in un’ottica di economia circolare, anticipando il recepimento delle nuove Direttive UE e a fine giugno ha firmato un protocollo d’intesa con Eni che mira a elaborare iniziative congiunte per promuovere una politica industriale di tipo circolare e a basse emissioni di carbonio. Affermando “È l’economia circolare che ci piace” il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha inaugurato a Caserta due campi da calcio in erba sintetica realizzati con pneumatici fuori uso, opera prevista
da un protocollo firmato da Ecopneus, consorzio responsabile della gestione dei Pfu, con il Ministero dell’Ambiente, le prefetture di Napoli e Caserta e l’Incaricato del Ministro dell’interno per il contrasto del fenomeno dei roghi di rifiuti nella regione Campania. Secondo il rapporto “Economia circolare in Italia” promosso da Kyoto Club e pubblicato nel 2018, l’Italia è tra i paesi leader in Europa in tema di produttività d’uso delle risorse e di circolarità di materia: l’economia circolare ha un fatturato di 88 miliardi di euro e dà lavoro a 575.000 persone. Conta circa l’1,5% del valore aggiunto nazionale: quasi quanto il settore energetico o quello dell’industria tessile. Il riciclo di materia seconda nell’economia italiana comporta un risparmio potenziale di 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e di 58 milioni di tonnellate di CO2. Il “Rapporto sull’economia circolare in Italia 2019” di Circular Economy Network e ENEA, che mette a confronto Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna rispetto a produzione, consumo, gestione dei rifiuti, mercato delle materie prime seconde, eco-innovazione, giunge a conclusioni analoghe. Tuttavia gli ostacoli sono ancora molti: a livello normativo (lentezza nel recepire le direttive europee), delle abitudini e tendenze dei consumatori ancora fortemente legate all’acquisto del nuovo, capacità finanziarie e tecniche limitate, barriere di mercato - come i prezzi che determinano convenienze nel cambio e uso del nuo-
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“Più mi occupo di queste cose e meno mi sento esperta. Più ci si addentra nella questione più se ne vede distintamente la complessità. La definizione del campo di applicazione di questa norma è complesso. Si tratta di un modo diverso di fare e gestire la quotidianità. Il sistema organizzativo, normativo, di mercato, attuale, è lineare” vo piuttosto che nel riciclo - e ostacoli di tipo sociale. È significativo come, mentre al convegno di Torino - analizzando la complessità della trasformazione e focalizzandosi sugli strumenti per la misurazione - si evidenzino gli aspetti di successo del passaggio alla circolarità, a Firenze, pochi giorni dopo, il 14 giugno, il tema di un convegno pubblico dal titolo provocatorio “L’economia circolare che non c’è… ancora” puntualizzi invece le criticità e in particolare la mancanza di impianti sufficienti per la gestione dei rifiuti sul territorio italiano. Siamo ben avviati insomma, ma c’è ancora molta strada da fare.
SELINA XERRA
Gruppo Iren, Direttore Corporate Social Responsibility e Comitati Territoriali “Un gruppo come il nostro che fino a pochi anni fa si occupava di raccogliere i propri rifiuti e di smaltirli oggi si deve occupare di recuperarli per reimmetterli nel mercato come nuova materia seconda. Dobbiamo chiudere un cerchio in un modello che prima funzionava anche aperto e adesso ci siamo accorti che non funziona più. Ormai nelle grandi aziende l’utilizzo degli SDGs è lo standard. Bisognerebbe che fosse così anche nella quotidianità e nella politica, nei programmi elettorali perché si tratta del nostro futuro”
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A RAVENNA SI FANNO ANCORA I CONTI CON L’AMBIENTE! LA DODICESIMA EDIZIONE DI “FARE I CONTI CON L’AMBIENTE”, L’ORIGINALE FESTIVAL FORMATIVO ORGANIZZATO DA LABELAB A RAVENNA, SI CHIUDE CON L’ENNESIMO SUCCESSO di Gian Maria Brega*
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ono stati oltre 50 i momenti di incontro gratuiti a cui ha partecipato il pubblico delle grandi occasioni: focus sugli approfondimenti e la condivisione della conoscenza, sulle nuove tecnologie e sui processi industriali, coniugando cultura e solidarietà e offrendo eventi d’arte e spettacolo. Approfondimenti tematici sviluppati in collaborazione con reti esterne (associazioni, enti e aziende), con il contributo del mondo delle università, dei ricercatori, dell’impresa, dei mass-media e del no-profit dedicati sia al mondo tecnico amministrativo che ai cittadini. Il programma si è dimostrato ancora una volta variegato e di grande qualità. Si è parlato di green economy, riqualificazione energetica, inquinamento da
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plastica, filiere del riutilizzo, sostenibilità ambientale nelle costruzioni, green public procurement (appalti verdi), fanghi di depurazione e acque reflue, digital transformation, blue growth, certificazione ambientale dei distretti produttivi, rifiuti inerti (e relativi Stati Generali), reati ambientali. E poi, nelle conferenze, si sono affrontati temi come i cambiamenti climatici, la gestione del territorio, acqua e inquinanti, decommissioning, giornalismo ambientale, economia circolare e startup. Da Ravenna parte anche un invito a un approccio diverso al giornalismo ambientale, che faccia della cura degli elementi tecnici il cuore di uno storytelling funzionale alla corretta informazione: a lanciarlo sono Antonio Pergolizzi (gior-
nalista, scrittore, ricercatore), Emanuele Bompan (giornalista ambientale e Direttore di Materia Rinnovabile), Donato Berardi (economista e ricercatore di REF Ricerche), Francesco Loiacono (giornalista e Direttore de La Nuova Ecologia) e Marco Fratoddi (editor in chief di Sapereambiente, segretario generale FIMA, Federazione Italiana Media Ambientali). L’inquinamento informativo - per i promotori - è pericoloso quanto quello ambientale, forse anche peggiore, essendo più subdolo e penetrante. Siamo infatti alle prese con uno storytelling di maniera, ancora troppo naïf, strumentale, infarcito di pressapochismi e leggende che alimentano facili campagne demagogiche giocate sulla pelle del paese. Grande successo ha riscosso anche il progetto G100 lanciato da labelab, per offrire opportunità di formazione (ammissione gratuita alle Scuole di Alta Formazione) e relazione per 100 giovani neo-laureati nel corso di 5 anni. Un investimento molto importante, in termini economici e organizzativi, che pone l’accento sulla formazione come strumento fondamentale per acquisire maggiori conoscenze e competenze immediatamente spendibili nel mercato del lavoro. Per competere in un ambiente contraddistinto da cambiamenti sostanziali e continui, è fondamentale acquisire un bagaglio culturale e personale che sia utile a entrare in maniera qualificata e qualificante nel mondo del lavoro. E a proposito di crescita personale e professionale, si sono svolte con suc-
cesso a Ravenna la 7a edizione del Corso Residenziale di Alta Formazione sulla Bonifica dei Siti Contaminati; la Scuola di Alta Formazione sulla Gestione dei Rifiuti (5a edizione); la Scuola di Alta Formazione sulla Gestione dei Sistemi Idrici (3o anno); la Scuola sui Servizi Pubblici Locali (2o anno): l’organizzazione ringrazia gli ordini professionali, impeccabili nel supporto. Un grande ringraziamento va anche all’Assessorato all’Ambiente del Comune di Ravenna, sempre sensibile alle tematiche proposte, alla Camera di Commercio di Ravenna e dai main sponsor Gruppo HERA e SGI Ingegneria di Ferrara. L’evento ha ospitato anche la 12a edizione di Emergenze Creative, rassegna annuale d’arte contemporanea su tematiche ambientali, curata da Silvia Cirelli, che ha utilizzato ancora con successo gli strumenti della public art in chiave performativa. “I tre giorni del festival, all’interno di un palcoscenico particolare come il centro storico della città, hanno permesso
- affermano in una nota Giovanni Montresori e Mario Sunseri, direttori della manifestazione - di ragionare in maniera collettiva e trasversale su contenuti dall’alto valore tecnico-scientifico e di particolare complessità. Il tutto conti-
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nuerà attraverso la messa a disposizione in rete del materiale prodotto sul nostro sito www.labelab.it e arrivederci a Ravenna 2020 che si terrà sempre a Ravenna a maggio del prossimo anno”. *Labelab
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CECE MANIFESTO IL MANIFESTO DELL’ASSOCIAZIONE DEI COSTRUTTORI EUROPEI DI MACCHINE PER IL NUOVO PARLAMENTO EUROPEO DA POCO INSEDIATO È UN INVITO ALLO SVILUPPO DEL SETTORE di Maeva Brunero Bronzin
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uello che è stato lanciato dall’Associazione costruttori di macchine con il Manifesto è un appello in cui si chiede all’Unione Europea di dotarsi di una visione strategica di sviluppo industriale che sappia sfruttare al meglio le opportunità messe in campo dalle nuove tecnologie. “La nostra industria - afferma Enrico Prandini, presidente del CECE (Committee for European Construction Equipment) - è parte integrante della catena del valore delle costruzioni, un comparto che impiega in Europa oltre 18 milioni di persone generando il 9% del pil dell’UE. Sono dati che vengono spesso trascurati dai legislatori. Chiediamo quindi a tutti i candidati e ai deputati eletti nel parlamento europeo di sostenere un mandato di maggioranza solo se l’industria sarà posta nella lista delle cinque priorità del programma politico della futura Commissione europea”. Enrico Prandini è stato eletto a gennaio 2018 presidente di CECE. Già primo vicepresidente della federazione europea, Prandini è subentrato a Bernd Holz. La presidenza di CECE è un incarico biennale che viene ricoperto a rotazione dalle associazioni che rappresentano i paesi membri. Enrico Prandini è amministratore delegato di Komatsu Italia Manufacturing e vicepresidente di UNACEA (Unione Nazionale Aziende Construction Equipment and Attachments), l’associazione italiana delle macchine per costruzione. Nel corso dei suoi 27 anni di carriera ha occupato diverse posizioni in azienda portandola a essere una delle principali unità produttive europee del gruppo. Attualmente la sede di Komatsu Italia Manufacturing di Este (PD) progetta, produce e distribuisce macchine movimento terra da 1 a 17 tonnellate. Chi meglio di lui
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per le posizioni che ricopre, può conoscere il mercato? Proprio per questo, noi di Recover, a margine in un evento Komatsu, gli abbiamo chiesto un breve commento sul Manifesto CECE. “Deve esserci - ha commentato - la consapevolezza nei politici di quanto il nostro settore sia stato dimenticato negli anni. Ecco perché nei vari punti riportati nel Manifesto (dal digitale ai supporti alle macchine più moderne) si è portato alla loro attenzione un programma che è stato sì lanciato come associazione europea dei costruttori che però non può essere compiuto senza l’appoggio dell’Unione Europea. Il nostro settore ha un peso politico basso (siamo in pochi per fare voti), ma sappiamo anche che le macchine da costruzione sono il marcatore più realistico di come sta andando l’economia: sono le prime a essere penalizzate in momenti difficili e sono le prime che ripartono quando l’economia si risveglia”. L’Europa sostenibile di domani non può essere raggiunta senza il settore delle costruzioni. Tutti gli attori del processo di costruzione devono essere coinvolti affinché l’Unione Europea risponda alle sue principali sfide: competitività, disoccupazione giovanile, economia digitale, rigenerazione urbana, efficienza energetica, economia circolare, cambiamento climatico, mobilità e infrastrutture, ecc. Se ci pensiamo bene, il settore edilizio è al centro della nostra vita: le imprese di costruzione e i loro lavoratori costruiscono le case in cui viviamo, le strade su cui viaggiamo e gli edifici in cui lavoriamo o studiamo. I cittadini europei spendono oltre
Enrico Prandini, presidente del CECE, Committee for European Construction Equipment
il 90% del tempo trascorso al chiuso, il che significa che la nostra salute e il nostro benessere dipendono fortemente da come i nostri edifici sono costruiti, mantenuti e rinnovati. Introducendo il Manifesto, il CECE ha invitato il Parlamento europeo, nel nominare i Commissari europei per la nuova legislatura 2019-2024, a garantire che includano l’industria tra le loro prime 5 priorità. Le politiche europee riguardanti il mercato unico europeo, la sostenibilità ambientale, la digitalizzazione e il commercio internazionale sono i principali punti di interesse per il settore delle costruzioni. L’industria europea delle macchine per le costruzioni è un’industria forte e altamente innovativa, in cui la competizione globale è fondamentale per lo sviluppo industriale.
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UNA VALIGIA DI ESPERIENZA NEL CUORE DELL’ITALIA SIAMO STATI ALL’OPEN DAY ORGANIZZATO DA SERVICE POMPE PER LA PRESENTAZIONE DI TANA ITALIA, DEALER ITALIANO UFFICIALE DI TANA OY di Maria Beatrice Celino
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anti ospiti in occasione della giornata dedicata a Tana Italia che ha presentato il proprio staff e le macchine nella cornice della sede aziendale di Umbertide, in provincia di Perugia, in Umbria. Tana Italia nasce da Service Pompe, azienda della famiglia Moretti specializzata nell’assistenza, riparazione e revisione di attrezzature per l’ecologia di tutte le marche e dealer autorizzato di Wirtgen Macchine e Tana Oy. Tana Oy nasce nel 1971 in Finlandia come azienda produttrice di compattatori da discarica. L’azienda si è da subito posizionata tra i principali player mondiali del mercato in questo segmento. Negli anni più recenti, ha allargato la produzione dei propri macchinari, complici anche le normative europee che impongono maggiori percentuali di riciclaggio dei rifiuti, al settore della triturazione mobile dei rifiuti e della vagliatura. Tana Italia è condotta da Leonardo e Riccardo Moretti, che hanno imparato il mestiere in Service Pompe, dove hanno cominciato a far tesoro dell’esperienza
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nel settore dell’ambiente e riempire la propria valigia di competenze. “Siamo orgogliosi di essere importatori per l'Italia del marchio Tana - ci racconta Riccardo Moretti - perché crediamo siano macchine estremamente valide. Ne siamo consapevoli perché Service Pompe effettua assistenza alle macchine Tana dal 2000. Ora in Tana Italia sappiamo quindi di offrire un ottimo prodotto”. Per comprendere meglio i plus dei macchinari abbiamo chiesto a Cristian Costantini, direttore commerciale di Tana Italia, quali sono i caratteri distintivi dei compattatori prodotti in Finlandia. “I compattatori che oggi distribuiamo in tutto il mondo - ci spiega Costantini conferiscono un reale vantaggio competitivo nelle discariche che adottano la nostra tecnologia tant'è che Tana è pronta a scommettere con qualunque cliente che si presenta alla nostra porta che l'utilizzo dei nostri compattatori, visto il telaio rigido di cui siamo dotati e il tamburo a larghezza totale sia anteriore che posteriore, comporti un indice
di compattazione superiore minimo del 10% delle volumetrie a disposizione. Ciò vuol dire che l'utilizzo di un compattatore Tana, rispetto a un compattatore tradizionale a quattro ruote, ad esempio in una discarica che ha una capacità di 4 milioni di metri cubi, efficienta questi 4 milioni di mc del 10%, quindi un minimo di 400mila mc”. Grandi vantaggi quindi per chi utilizza i compattatori Tana specialmente in un paese come l’Italia che dispone di poco spazio. Ma abbiamo detto che Tana non è solo compattatori da discarica, ma dal 2003 anche trituratori. Ci affidiamo ancora alle parole di Costantini per capire quali sono le caratteristiche performanti dei trituratori cingolati o gommati Tana: “Il vantaggio dei nostri trituratori è la possibilità di avere una griglia vagliante posta al di sotto del rotore, un sistema di pesatura a bordo e soprattutto, caratteristica unica del panorama delle macchine adibite alla triturazione, i nostri trituratori tagliano anziché strappare. Questa, che può sembrare una sottile differenza, in
realtà è un grossissimo vantaggio per i clienti che lavorano nel trattamento dei rifiuti in quanto riescono a ottenere un prodotto perfettamente calibrato che può essere avviato ai centri di riciclaggio prima o soprattutto al riuso poi”. Infine i vagli. La gamma dei vagli Tana è ampia: dai tradizionali vagli a tamburo
che possono essere utilizzati a servizio dei trituratori per il completamento cinematico, ai vagli dinamici a dischi che l’azienda fornisce grazie alla collaborazione in essere con Ecostar. Per l’occasione della presentazione di Tana Italia, hanno partecipato all’evento anche importanti manager dell’azienda
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finlandese tra cui il vice Presidente Josef Imp e Harri Ushmai, After Sales Manager. Il vice Presidente di Tana ha preso la parola durante l’evento ringraziando in primis la famiglia Moretti per aver creduto e promosso la nascita di Tana Italia, poi ha parlato di quanto sia importante la corretta gestione dei rifiuti per contrastare il cambiamento climatico. Ci sono aree del mondo in cui i rifiuti non vengono sfruttati e altre zone in cui fortunatamente è possibile ottenere anche un vantaggio economico dal riciclo e riuso dei rifiuti. “Abbiamo osservato - ha sottolineato - che ogni rifiuto può essere trattato in maniera sostenibile. E mi riferisco anche al processo di logistica e trasporto. In Italia il trattamento dei rifiuti è molto avanzato. Possiamo recuperare anche le parti più piccole di ciò che gettiamo e riutilizzarle, oppure possiamo usarle per creare carburante o energia. Noi di Tana, riteniamo che l'impiego ottimale delle volumetrie di discarica sia l'aspetto più importante nella gestione ecologica dei rifiuti. Man mano che si evolveva la prospettiva sulla gestione dei rifiuti, nel 2005 Tana ha cominciato a produrre trituratori come lo Shark. La caratteristica fondamentale di questa macchina è che è totalmente libera da contaminazioni perciò è in grado di selezionare i prodotti con una precisione molto elevata ed è estremamente versatile nel trattare materiali di tipo diverso”. Anche in Tana la digitalizzazione dei processi e delle macchine è molto importante. Lo ha dimostrato l’Ing. Harri che ha spiegato il sistema sviluppato per la raccolta dei dati. “Un sistema che consente di collegare tutte le macchine fra loro e fornire una serie di dati e reportistiche che minimizzano il tempo di down-time in cui la macchina non viene utilizzata”. Leonardo Moretti di Tana Italia ha infine descritto quanto sia importante il post vendita: “Dal nostro punto di vista la vendita non chiude il rapporto con il cliente ha dichiarato. - È veramente importante che il cliente sia seguito e curato lungo tutto il processo a partire dalla disponibilità veloce dei pezzi di ricambio, dalla competenza nella riparazione e tutto quello che c'è nell'after sales. Noi abbiamo la valigia pronta”.
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ACCIAIO, POLIURETANO, GOMMA: OGNI VAGLIO È DIFFERENTE LE ULTIME NOVITÀ PRESENTATE DALLA SOVATEC INDUSTRIALE NEL SETTORE DEL RICICLAGGIO di Maria Beatrice Celino
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uante volte abbiamo sentito frasi come “Lo abbiamo sempre fatto così e si continuerà sempre a farlo in questo modo”? Eppure, anche nelle lavorazioni che possono sembrare a prima vista più tradizionali, gli investimenti nei macchinari consentono di avere una produzione migliore e più veloce. È il caso della Sovatec Industriale, società piemontese che produce reti e piani vaglianti da oltre 45 anni, e che non ha mai smesso di investire in macchinari e ha recentemente introdotto due novità nella propria produzione. La Sovatec Industriale è stata costituita nel 1973 a Stazzano, in provincia di Alessandria e ha iniziato la produzione di reti e piani vaglianti in acciaio ad alta resistenza per la selezione dei materiali nelle cave, nelle miniere e nell’industria. L’azienda nel tempo ha ampliato la sua produzione in relazione e in funzione degli sviluppi della tecnologia e delle esigenze dei clienti, e oggi la produzione della Sovatec include, oltre alle tradizionali reti in acciaio ad alta resistenza e in acciaio inox, le reti antintasanti, le reti in poliuretano e in gomma, le lamiere forate e le lamiere forate rivestite in gomma. Nello specifico: • reti in filo d’acciaio ad alta resistenza e inox: si tratta di maglie calibrate indeformabili realizzate con filo di acciaio ad alta resistenza
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(R=160/180 kg/mm2, secondo norma EN 10270-1/DIN 17223). Sovatec fornisce reti pronte per l’installazione sui vagli, con le dimensioni e il tipo di gancio di tensionamento specificato dal costruttore. In alternativa vengono fornite reti in rotoli e pannelli senza bordatura. La tipologia di reti prodotte da Sovatec è molto estesa: si va dalle reti luce 1,25x1,25 mm/filo 1 mm alle reti maglia 120x120 mm/filo 12 mm. Le reti possono essere prodotte anche a maglia rettangolare. Le stesse reti, a maglia quadra e a maglia rettangolare, possono essere prodotte nelle varie qualità di acciaio inossidabile, quali AISI 304, 316, 310; reti antintasanti in filo d’acciaio ad alta resistenza o inox, con assiemature in poliuretano o filo. Vengono utilizzate per la vagliatura di materiali umidi o igroscopici e con tendenze all’intasamento e all’impaccamento; reti in poliuretano, introdotte nell’industria per la loro resistenza all’abrasione, che consentono una maggiore durata in esercizio rispetto alle reti in filo e alle lamiere forate. Grazie alla loro elasticità e alla conicità dei fori sono particolarmente idonee al trattamento di quei materiali inerti che tendono a occlu-
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dere le reti. Vengono prodotte reti in poliuretano di tutte le dimensioni e tipologie: tensionate, autoportanti, modulari con molti diversi sistemi di bloccaggio, flip-flow per vagli a onde di tensione, con i fori asolati per vagli asciugatori; reti in gomma, realizzate con mescole con ottime caratteristiche tecniche e meccaniche; lamiere forate e lamiere forate gommate, di ogni qualità e dimensione.
Una vasta gamma di accessori e materiali di consumo (rondelle, raschia nastri, lastre) viene inoltre prodotta e resa disponibile a magazzino. Le reti tessute e prodotte nello stabilimento di Stazzano, in particolare nelle varie tipologie di acciaio inossidabile, vengono anche utilizzate: • nell’industria delle costruzioni, per il rivestimento di facciate di edifici, recinzioni di sicurezza, parapetti, partizioni di interni; • nell’industria agro-alimentare e molitoria; • nell’industria meccanica, per protezioni, filtri, griglie di aerazione, carpenterie varie; • nell’industria dei trattamenti termici, per cestelli in acciaio resistente alle alte temperature. Negli anni recenti la Sovatec ha sostenuto importanti investimenti per poter mantenere la competitività sui mercati nazionale, europeo ed extraeuropeo. Investimenti che hanno riguardato in particolare: • l’acquisto di telai automatici potenti e veloci, in grado di realizzare reti estremamente robuste in tempi ridotti; • la progettazione e la realizzazione di telai per la produzione di reti antintasanti in tempi più rapidi e con migliore qualità rispetto al passato; • l’acquisizione e l’attrezzaggio di un nuovo capannone da adibire a magazzino, per poter garantire un migliore servizio alla clientela mediante tempi di consegna estremamente ridotti; • il costante aggiornamento dell’impianto per la realizzazione delle reti in poliuretano, con l’acquisto di nuove macchine idonee a garantire livelli di qualità ed efficienza richieste da un mercato sempre più esigente. Oggi Sovatec impiega oltre 55 persone. La rete di distribuzione comprende agenti nelle regioni del Nord Italia e distributori nel Centro Sud Italia e all’estero. Sovatec dispone di un ufficio commerciale e di un ufficio tecnico costituiti da persone con lunga esperienza di lavoro a contatto con i principali costruttori di macchine e impianti, fissi e mobili, per il settore estrattivo e per la selezione dei
materiali in genere. Essi possono fornire il necessario supporto alla clientela, sia per quanto riguarda la scelta del prodotto più idoneo, sia per l’individuazione delle corrette dimensioni e caratteristiche. Un vasto magazzino, comprendente rotoli e pannelli di rete di tutte le tipologie, consente poi ridottissimi tempi di consegna. Le ultime novità della Sovatec, che trovano impiego nel settore del recycling, sono le fruste antintasanti in poliuretano e l’ampliamento della gamma delle reti in poliuretano per i vagli a onde di tensione.
tutte le marche, italiane ed estere. La nuova macchina fustellatrice consente di realizzare tutti i tipi di fori (quadrati, tondi, rettangolari) a seconda delle esigenze del cliente.
FRUSTE ANTINTASANTI IN POLIURETANO
Le fruste antintasanti Sovatec sono costituite da elementi flessibili collegati da cilindri rigidi, entrambi in poliuretano ad alta resistenza all’abrasione. Progettate per essere installate sui vagli vibranti, sono di facile montaggio e vengono disposte nella direzione del flusso del materiale fissandole alla sommità del piano vagliante mediante una piastra di ancoraggio con bullone. Risultano particolarmente efficaci in caso di materiale bagnato e appiccicoso, o con alta percentuale di fino, che tende progressivamente a occludere i fori delle reti. Le fruste sono molto diffuse negli impianti esteri e ancora poco in Italia. Le fruste, grazie alla vibrazione del vaglio, “sbattono” sul piano vagliante e fanno sì che la rete rimanga sempre pulita, si applicano alle reti in filo di acciaio, normali o antintasanti, e trovano una applicazione ideale nel settore dei rifiuti e del compost.
RETI IN POLIURETANO PER VAGLI FLIP-FLOW
Un’altra tipologia di prodotti che è stata recentemente innovata in Sovatec sono le reti in poliuretano per i vagli a onde di tensione (dette anche flip-flow), grazie all’acquisto di una nuova macchina fustellatrice automatica. I vagli a onde di tensione sono molto utilizzati nel settore del riciclaggio e del vetro. Grazie al nuovo macchinario Sovatec si prefigge i seguenti obiettivi: miglioramento della qualità del prodotto; aumento della gamma delle forature; riduzione dei tempi di consegna. Sovatec è oggi in grado di fornire reti in poliuretano di tipo flip-flow per vagli di
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A FIANCO DEI PRODI I SISTEMI DI PRESSURIZZAZIONE E FILTRAZIONE DELL’ARIA INCOFIN SONO STATI SCELTI DAL CORPO DEI VIGILI DEL FUOCO PER LA PROTEZIONE DEI PROPRI OPERATORI di Bruno Vanzi
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Vigili del Fuoco sono gli eroi di ogni giorno. Sono loro che aiutano incondizionatamente chi è in difficoltà. Uomini e donne che svolgono il loro lavoro senza paura e con la passione che li porta a spingersi oltre i limiti per soccorrere gli altri. Dal 1941 intervengono in assistenza alle persone, a salvaguardia di beni e a tutela dell’ambiente. Sono i primi che arrivano quando accadono calamità e grazie alla grandissima preparazione sono fondamentali nelle operazioni di soccorso. All’impegno sempre massimo e alla professionalità dimostrate in ogni occasione da tutti i componenti del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco si affiancano mezzi e tecnologie sempre più efficaci, frutto dell’esperienza quotidiana nel soccorso. Tali mezzi e tecnologie, di pari passo alle idoneità operative, all’ammodernamento delle norme di prevenzione incendi e all’evoluzione dei manufatti, dei materiali e degli impianti, consentono un continuo miglioramento del livello di sicurezza nelle varie attività a rischio. Leggendo le statistiche sugli interventi che i Vigili del Fuoco hanno effettuato nel 2017, le ultime disponibili, i numeri sono impressionanti: oltre 1.000.000 di interventi in tutta Italia, di cui 325.941 rientrano nella tipologia “incendi ed esplosioni”, circa il 33% del totale. Sono perciò all’ordine del giorno le chiamate cui devono rispondere per estinguere incendi di differenti proporzioni, e purtroppo, sono sempre più numerose le notizie di cronaca legate all’incendio di impianti di rifiuti o di capannoni non autorizzati allo stoccaggio di rifiuti incendiati a scopo di lucro. Le sostanze tossiche che possono essere inalate durante questi interventi sono molte ma per fortuna esistono tecnologie che permettono di ridurre
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i rischi. È di qualche settimana fa la notizia che il dipartimento dei Vigili del Fuoco ha scelto Incofin e la sua rete di distributori per installare, sui mezzi del dipartimento movimento terra, sistemi di pressurizzazione e filtrazione aria cabina per la protezione degli operatori. In un’intervista agli operatori che intervengono sui mezzi abbiamo potuto ricevere questo riscontro: “Incofin ha dato una risposta alla richiesta di maggiore sicurezza, i sistemi Bmair stanno già proteggendo il nostro personale nelle operazioni post incendio delle discariche del milanese, dove è avvenuta la bonifica da sostanze pericolose come diossine, amianto, composti organici volatili di vario genere, ecc.” Nei mezzi impiegati provvisti di que-
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sti sistemi il personale ha notato sin da subito una gran differenza, a primo impatto gli odori di bruciato non venivano più avvertiti e le cabine erano ben isolate. Oggigiorno il problema degli incendi in discarica è una realtà da affrontare. Durante le calamità che hanno colpito l’Abruzzo, l’Emilia Romagna e le zone di Amatrice questi sistemi avrebbero potuto proteggere gli operatori da possibile inalazione di amianto presente nei cumuli di macerie. Ogni sistema fornito è dotato di filtro combinato polveri sottili che rispetta la normativa EN1822 P3H13 per la filtrazione di micro polveri fino al PM2.5 (compreso l’amianto) e di un pacco carboni attivi del peso di almeno 10 kg con certificazione ABEK EN14387 in classe 2,
così da proteggere le persone da ogni possibile gas tossico compresi i cianuri. Tutti i sistemi sono dotati di display che costantemente mostra la pressione presente, regola in autonomia la velocità delle ventole in base alla richiesta di aria della cabina e il livello di idrocarburi all’interno dell’abitacolo; tale display è dotato di allarme sonoro e acustico che si attiva in caso di depressione della cabina e in caso di superamento delle soglie limite TLV. Inoltre, grazie all’integrazione con aria condizionata originale della macchina, si assicurano tutti i comfort di cui gli operatori necessitano e, nel caso in cui l’aria condizionata non fosse disponibile, esiste anche un sistema con il climatizzatore integrato in grado di immettere aria calda e fredda in cabina. I pressurizzatori sono stati appositamente studiati per ottenere il “K factor” ovvero il fattore di sicurezza per la filtrazione dei gas, infatti la loro portata d’aria è limitata tra i 40 e i 120 m3/h per garantire un tempo minimo di contatto di 0,2 s tra l’aria e i carboni attivi. “Con un corso di formazione mirato, tenuto grazie alla collaborazione di Fortini Anticendi e il dipartimento dei Vigili del Fuoco di Milano, abbiamo preparato i primi operatori all’utilizzo di questa tecnologia che permette di avere sempre una cabina sicura”, ci racconta Daniele Davanzo, Responsabile di prodotto di Incofin. “Abbiamo anche realizzato il percorso della sicurezza per gli operatori del primo incendio che successe all’aeroporto di Ciampino di Roma, dove nei giorni seguenti all’incendio si era dovuto iniziare a rimuovere tutto il materiale carbonizzato dallo stabile”. I sistemi Bmair distribuiti in Italia da Incofin si applicano alle seguenti categorie di veicoli/ambienti: movimento terra, truck, muletti, container, campi base, zone a rischio esplosione, bonifiche, rifiuti, militare, miniera, navale per dragaggi, acciaierie, industriale, farine, produttori di cippato, ecc. I sistemi sono riconosciuti dalle ASL come dispositivi che proteggono l’operatore all’interno della cabina senza dover necessariamente indossare tute specifiche, maschere filtranti, e ingombranti bombole di aria compressa.
TUTTI PER UNO, UNO PER TUTTI SI È TENUTA LA CONVENTION 2019 DI KOMATSU RETE ITALIA DURANTE LA QUALE È STATO ELETTO IL NUOVO CONSIGLIO D’AMMINISTRAZIONE CHE GUIDERÀ IL CONSORZIO PER I PROSSIMI TRE ANNI di Maria Beatrice Celino
A
lexandre Dumas padre ci deve scusare se lo citiamo con i suoi moschettieri parlando di macchine movimento terra, ma l’esperienza che abbiamo vissuto durante la Convention 2019 di Komatsu Rete Italia (KRI) è quella di una grande squadra in cui la forza è data dall’unione. A giugno siamo stati ospiti dell’assemblea organizzata a Este, in provincia di Padova, per seguire le elezioni del nuovo consiglio di amministrazione di KRI, nonché la selezione del Dream Team che farà parte del progetto pilota “Grande Venditore”. A seguire abbiamo potuto visitare lo stabilimento in cui si producono macchine per il settore utility (terne, midi escavatori, mini escavatori, skid steer loaders) ed escavatori cingolati come i PC170LC-11 e PC138US-10. Lo stabilimento, che produce oltre 4000 macchine all’anno, è molto importante per il mercato europeo perché è uno dei principali fornitori, ma distribuisce macchine in tutto il mondo. Ma andiamo con ordine, ossia dalla nomina del nuovo Management di KRI che rimarrà in carica per i prossimi tre anni. Francesco Grassi di GIS, dopo tre anni di guida, lascia il posto di Presidente a Devis Varini, amministratore del Gruppo Varini, ma rimane nel Consiglio direttivo col ruolo di Vice Presidente. Gli altri eletti in Consiglio sono Basilio Ricciardello di Co.M.Edil, Giacomo Maugeri di Maugeri Macchine, Pasquale Baffoni di Maior e Giovanni Lucchiari di F.lli Lucchiari. La Convention si è svolta alla presenza di Mas Morishita, CEO e Amministratore delegato di KEISA, Komatsu Europe International, che ha ringraziato i concessionari per il lavoro compiuto negli ultimi anni. Morishita afferma di aver visto Komatsu Rete Italia crescere nei numeri e nel fatturato che è aumentato in modo cospicuo sia nel settore utility (macchine inferiori alle 12 tonnellate) che construction (macchine superiori alle 12 tonnellate). Durante l’assemblea sono stati presentati “Grande Venditore” e il progetto con il marchio tedesco Würt, il gruppo specializzato in prodotti e sistemi di fissaggio e assemblaggio. Sono progetti di formazione professionale che coinvolgono la formazione in tutti gli aspetti, anche di cultura generale, del personale che sarà stimolato nella propria crescita personale e professionale. È proprio l’idea che la crescita professionale avviene se supportata da quella personale che permea in Komatsu e nelle
radici giapponesi del gruppo. La filosofia giapponese e i concetti di Kaizen, “cambiare in meglio” o “miglioramento continuo”, e di Poka-yoke, “a prova di errore”, ci hanno accompagnato anche durante la visita allo stabilimento.
Devis Varini neoeletto presidente di Komatsu Rete Italia
Francesco Grassi vice Presidente di Komatsu Rete Italia
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Il responsabile di officina Alessandro Buson, mentre partiamo nella visita, ci racconta di una ripresa costante del mercato e negli ordini cui dovranno far fronte aumentando la produzione nei prossimi mesi. Ci guardiamo attorno, e oltre a ordine e pulizia (e come potrebbe essere altrimenti in una fabbrica italo-giapponese?) vediamo che alcuni operai hanno un cappellino con una fascia rossa, differente dagli altri. “Sono gli operai in fase di apprendimento - ci spiegano. - Abbiamo assunto nuovo personale giovane perché crediamo molto nelle nuove leve”. Attualmente in tutto lo stabilimento lavorano circa 440 persone, di cui 270 in officina per la produzione. Chiediamo com’è stato l’impatto iniziale con un modo di lavorare molto differente dal nostro e la risposta ci fa capire quanto sia importante aprirsi verso l’altro per migliorare. “Il primo impatto del metodo giapponese di lavorare è stato difficile perché sono molto distanti dal nostro modo di operare. Per loro non si può parlare solo di un pezzo del processo,
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come lavoratore devi capire di far parte di tutto il processo. Quando si presenta un problema, si fermano e non vanno avanti se non lo hanno risolto perché seguono un processo lineare. Negli stabilimenti giapponesi i processi sono rettilinei e tutti sanno esattamente cosa fare. Se all’interno di un’organizzazione così strutturata, riusciamo a inserire un pizzico di creatività italiana, allora non ci ferma più nessuno. Abbiamo ottenuto dei miglioramenti sotto tutti i punti di vista”. Le linee di montaggio si muovono lentissimamente, a 210 millimetri al minuto; al loro interno l’operatore è chiamato a svolgere la sua attività di montaggio. Nello stabilimento di Este si producono 30 diversi modelli di macchine per una produzione che varia intorno alle 15-17 unità al giorno. L’operatore che lavora in linea di montaggio preleva i componenti da assemblare da un contenitore che contiene solo ciò che occorre e nulla di più al fine di minimizzare gli errori: è un esempio di sistema Poka-yoke atto a individuare semplici soluzioni che permettono la riduzione della variabiltà complessiva del processo di assemblaggio. “Il carrello contenitore viene preso, - ci racconta Buson - agganciato alla linea e segue la macchina. Alla fine il carrello è vuoto perché tutti i materiali sono stati assemblati. Assemblare vuol dire serrare viti: lo facciamo per 50mila volte al giorno, quindi abbiamo delle attività di controllo giornaliere degli strumenti di serraggio perché è molto importante tenere sotto controllo questo processo. Su 50mila volte al giorno un errore dell’1% equivale a 500 errori, che, su un ritmo di produzione di 25 macchine al giorno, significa 20 errori a macchina. Per questo dobbiamo avere un processo che non ci deve far fare errori”. Occorrono circa due giorni per assemblare una macchina. Quando la macchina esce dalla linea di montaggio viene sottoposta al “processo di fuori-linea”, in cui avviene il collaudo. “A questo punto se c’è un errore si ripara secondo una formula molto semplice - racconta Buson. - Se è una perdita d’olio per esempio chiamiamo l’operatore che in linea di montaggio ha svolto la fase: è un metodo per apprendere attraverso gli errori”. Terminata la fase di collaudo è la volta dell’allestimento, in cui la macchina viene ripulita e si effettuano gli ultimi controlli. Il giro dello stabilimento termina con la visita del reparto verniciatura. Questo reparto è stato rinnovato completamente tre anni fa con un investimento di oltre 3 milioni di euro ed è un impianto molto versatile. “Possiamo verniciare davvero di tutto dal singolo perno al telaio inferiore della macchina più grande” - ci dice con orgoglio il responsabile. Non da ultimo il tema della sicurezza. Komatsu investe molto in attrezzature per la sicurezza e lo fa anche nella formazione degli operatori. Lo scorso anno non si sono riscontrati incidenti. La visita in azienda con i numeri delle macchine da produrre confortano il lettore sulla ripresa del mercato. L’ultima parola però spetta a Enrico Prandini, Managing Director di Komatsu Italia Manufacturing Spa: “Oggi stiamo crescendo e l’Europa e l’Italia lo stanno dimostrando. Il nostro obiettivo ora è quello di completare la gamma delle macchine utility e offrire un ventaglio completo di proposte”.
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DA UNA PICCOLA OFFICINA DI MOLFETTA AL MONDO PROMOVE HA FESTEGGIATO 30 ANNI DI ATTIVITÀ NELLA PRODUZIONE DI MARTELLI DEMOLITORI IDRAULICI, PINZE E CESOIE IDRAULICHE E ATTREZZATURE PER LA DEMOLIZIONE di Maria Beatrice Celino
È
una storia di amicizia e passione il filo conduttore dei primi trenta anni di Promove S.r.l., festeggiati nel 2019. L’azienda, nata nel 1989, ha origini ancor più antiche, quando nel 1980 cinque amici fondano l'Officina Torneria Specializzata a Molfetta, dove straordinarie maestranze producono per conto terzi pezzi meccanici e ricambi su misura di altissima qualità e finitura. Nel 1990, Michele Ieva, ingegnere della Promove, progetta il primo martello totalmente idraulico della casa: è il P23. Nel 1994 la Promove fa capolino sul mercato italiano con una gamma completa di 7 modelli tutti totalmente idraulici con una produzione annuale di oltre 100 pezzi. L'azienda, anno dopo anno, continua a crescere non solo in Italia. I martelli Promove approdano in Medio Oriente, dove sono apprezzati in tutti i Paesi del bacino del Mediterraneo, raggiungono persino il Messico e gli Stati Uniti. Dato il successo ormai mondiale, la parola d'ordine è “migliorarsi”. L'unità Ricerca e Sviluppo lavora sodo e progetta una seconda linea di demolitori con azione combinata gas e olio che meglio risponde alle esigenze di un mercato dove si impongono escavatori con circuiti più complessi. È la nascita della serie XP, tutt'oggi la linea principale di demolitori idraulici. I “colossi” della serie XP sono i demolitori della gamma medio-pesante: dall’XP800, fino all’XP7000, passando per gli “intermedi” XP1000, XP1200, XP1700, XP2000, XP2400, XP3100 e XP4500. Tutti i martelli della serie medio-pesante possono essere equipaggiati con una centralina di ingrassaggio autolubrificante e sono dotati di ammortizzatori antivibrazione e speroni rinforzati in Hardox, carcasse silenziate, regolatori della forza d’impatto, valvole facilmente accessibili per la ricarica e il controllo dell’azoto e un sistema di controllo automatico dei colpi a vuoto. Ma Promove mette a disposizione anche una gamma di martelli demolitori idraulici per miniescavatori che vanno dai 60 fino ai 430 kg di peso: sono l’XP60 e i suoi “fratelli maggiori” XP101, XP150, XP250, XP300 e XP400. La missione di Promove è quella di garantire prodotti sempre più affidabili: qualità e cura sono al centro di tutto e la crescita dell'azienda dimostra che la strada intrapresa è quella giusta. Nel 2000 viene prodotta la
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prima pinza multiprocessore a frizione, la CP200 che inaugura anni di investimento per il completamento della gamma da demolizione. I multiprocessori della serie CP sono ideali nel taglio di pilastri in calcestruzzo, nella separazione del ferro dell’armatura dal cemento o nel taglio di strutture metalliche (serre, capannoni e profili metallici). Costruiti in Hardox, materiale dalle eccezionali caratteristiche meccaniche e antiusura, la gamma prevede diversi modelli progettati per equipaggiare macchine da 2 a 55 ton, oltre a macchine di peso superiore in configurazione high-reach. Nel 2005 Promove inaugura un nuovo capannone nella zona industriale di Molfetta con un'officina di 6000 mq, macchinari di alta precisione e una sala metrologica di ultima generazione per la misurazione e il controllo di ciascun componente prima del montaggio. Oggi Promove produce una gamma completa di prodotti per la demolizione: martelli, multiprocessori, frantumatori, cesoie. Alla guida dell'azienda dal 2003 ci sono Maria Rachele e Paola Capurso che, assieme allo storico socio e amministratore Onofrio Adesso, trasformano Promove in una società ormai riconosciuta nel settore mondiale della demolizione. “Abbiamo fatto una scelta coraggiosa molti anni fa, accettando una sfida in un ambiente difficile e critico - ha dichiarato la Presidente Maria Rachele Capurso - il successo di oggi è la prova
che quella era la scelta giusta. Serietà e professionalità sono gli aspetti chiave del nostro lavoro quotidiano: essere il partner affidabile in ogni circostanza”. La produzione nel corso degli anni è cresciuta in modo esponenziale. Le vendite raggiungono una quota export pari al 70% grazie alla rete capillare di dealer, distributori e partner. Il reparto Ricerca e Sviluppo lavora costantemente per implementazioni migliorative come la Smart Valve o le nuove gamme di frantumatori come la serie CF e la linea CR. La Smart Valve è un meccanismo innovativo capace di proteggere i martelli demolitori idraulici Promove dai sovra flussi e dai picchi di pressione azzerando i tempi di settaggio e installazione. Questa innovazione aumenta la durata di vita del demolitore, riduce il costo di manutenzione e annulla i costi di installazione. Produttività e versatilità sono i punti di forza anche dei frantumatori CF che, progettati per la demolizione secondaria e il riciclaggio, offrono un’ampia apertura delle chele, accanto a una grande forza di rottura e velocità del ciclo di lavoro (grazie alla presenza della speed-valve) e consentono un’eccezionale rapidità di avanzamento sia nella frantumazione a terra che nella demolizione di pavimentazioni, muri di cinta e strutture a media altezza anche verticali. I frantumatori della serie CR invece sono stati progettati per la frantumazione di materiali da costruzione e il taglio di armature interne in metallo, si distinguono per velocità e versatilità di utilizzo: con una sola attrezzatura è possibile eseguire sia la demolizione primaria, che la secondaria
finalizzata al riciclaggio, alla separazione o riduzione in frammenti più piccoli. Ma le novità non si fermano qui e nella festa dei suoi trenta anni, Promove ha annunciato novità per il prossimo futuro. Nel triennio 2020-2022 Promove ha in programma l’espansione oltre oceano con la creazione di sedi estere: Nord America, Messico e Australia al fine di garantire anche in mercati lontani lo stesso servizio pre e post vendita che assicura in Europa e presenta un pacchetto servizi tra i più ampi del mercato per essere sempre più vicino alle esigenze dei clienti. Oggi il sogno di quei 5 amici continua a crescere. Vive nell'entusiasmo del team Promove che, come una grande famiglia, s'impegna quotidianamente con la stessa passione e dedizione.
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LA SQUADRA DELL’AMBIENTE LE MACCHINE IDEALI SONO PRONTE PER SCENDERE IN CAMPO E GIOCARE UNA PARTITA ALL’INSEGNA DELL’AMBIENTE di Laura Veneri
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a gestione delle discariche è un tema estremamente delicato che è oggetto di studi e convegni da anni. La discarica è probabilmente la prima forma di smaltimento che l’uomo ha utilizzato fin dalla preistoria abbandonando i propri rifiuti in fosse ai margini degli insediamenti. Oggi le discariche sono spesso alla ribalta della cronaca in quanto “abusive” o oggetto di infrazione europea. Non dimentichiamoci infatti che la nostra struttura di Governo è dotata di un “Commissario straordinario per le discariche abusive” che ha proprio il compito di individuare e sanare le discariche abusive presenti sul territorio italiano. Tuttavia esistono realtà virtuose nella gestione delle discariche che sono estremamente controllate e nel periodo “post mortem” permettono anche la produzione di energia. A volte, però, è doveroso rimuovere i rifiuti presenti in una discarica per vari motivi, quali l’inquinamento o la necessità di recuperare volume in discariche esistenti, oppure ancora recuperare un’area a ridosso di un centro abitato e adibirla a nuovi usi. In questi casi, a seguito di puntuali analisi in loco, opportune valutazioni tecniche e necessarie opere di “stabilizzazione dei rifiuti”, si può praticare il landfill mining, ossia l’escavazione e il trattamento dei rifiuti per il rinvenimento di materiali avviabili a riciclo con recupero di volume nella discarica. Per tutte queste operazioni, è possibile utilizzare le innovazioni mobili di Doppstadt, Sennebogen e Steinert che Cesaro Mac Import distribuisce sul mercato italiano. Se pensiamo a una possibile formazione (macchine) ideale sul campo (discarica) si potrebbero mandare all’attacco per la mo-
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vimentazione dei rifiuti i caricatori Sennebogen, che passerebbero la palla (materiali da recuperare) ai trituratori, vagli e selettori Doppstadt con una stoccata finale garantita da Steinert. Naturalmente l’allenatore sarebbe la Cesaro Mac Import che non si limiterebbe alla fornitura delle singole macchine, ma garantirebbe la disponibilità di un team che può aiutare nella definizione del processo consigliando la formazione più efficiente. Vediamo nel dettaglio i nostri “giocatori” sul campo. Per la movimentazione all’interno degli spazi della discarica e per l’alimentazione dei macchinari entreranno in campo il SENNEBOGEN 355 E e il SENNEBOGEN 817. Il SENNEBOGEN 355 E è caratterizzato da una struttura particolarmente robusta e da componenti di alta qualità, progettato per un utilizzo continuativo in condizioni impegnative. Tutti i componenti sono ottimizzati al fine di garantire una durata eccezionale. Una delle caratteristiche particolari è rappresentata dalla cinematica Z della testa del braccio, ben nota alle pale gommate, che aumenta enormemente la forza di strappo in fase di movimentazione della pala. Il 355 E si afferma quindi in modo consapevole come macchina multifunzione per le operazioni con pale gommate ed è molto di più del classico caricatore telescopico. Al riparo dagli influssi esterni quali caldo e polvere, il conducente può sempre fare affidamento sulla macchina, anche in caso di funzionamento su più turni, concentrandosi solo sul lavoro grazie anche al piacevole clima garantito dall'impianto di climatizzazione all'interno della cabina Multicab. La ventola a inversione di serie fa in modo che il motore sia sempre pulito e pronto all'uso,
garantendo così massima affidabilità anche in condizioni ambientali sfavorevoli. Il SENNEBOGEN 817 ha dimensioni ridotte che lo rendono agile e preciso nei movimenti mantenendo la robustezza in uso continuo. Dispone di un insieme di funzionalità e di apparecchiature disponibili standard, come i ventilatori a temperatura controllata e l'eccellente isolamento acustico. Inoltre l’affidabile sistema idraulico dell’817 consente di lavorare estremamente bene anche in condizioni difficili come in presenza di polvere, di alte temperature e di carico continuo. Durante lo sviluppo della nuova macchina, gli ingegneri si sono concentrati in modo particolare sul fatto che il materiale possa essere spostato in modo rapido
e preciso. L'INVENTHOR Type 9 Cingolato, il più grande trituratore mobile lento di Doppstadt, può essere montato su cingoli e quindi è ideale per lavorare su terreni difficili come quelli di una discarica. È una macchina destinata a stabilire nuovi standard di qualità nell'intero processo di triturazione. Presenta numerose innovazioni tecniche tra cui il VarioDirect Drive, il sistema che trasmette direttamente e continuamente la potenza al tamburo di macinazione e offre possibilità completamente nuove per migliorare ulteriormente l'efficienza e la flessibilità nel processo. L'azionamento VarioDirect si distingue per un nuovo comportamento di inversione della velocità di rotazione in funzione del materiale e l'inserimento di diverse modalità di funzionamento specifiche per tipologia di matrice trattata. Anche quando il materiale ha requisiti elevati, VarioDirect Drive è estremamente flessibile e garantisce le massime prestazioni ed efficienza. Il facile accesso a tutte le aree del mulino è assicurato da porte in vetroresina che si aprono verso l'alto. Il concetto di triturazione flessibile basato su vari pacchetti di macinazione consente l'adeguamento esatto alle esigenze di lavorazione dei diversi materiali. Grazie alle varianti selezionabili in modo continuo della lunghezza e inclinazione del nastro trasportatore, è possibile realizzare una vasta gamma di altezze di caduta. Dopo il primo passaggio, entrano in campo i selettori Doppstadt e Steinert. Steinert Deferizzatore: per prima cosa sarà necessario rimuovere i metalli ferrosi, materiali che per primi potranno essere riavviati a processi primari. Steinert è leader nella produzione di deferrizzatori! Il materiale pulito dalla frazione metallica verrà avviato alla selezione meccanica con i vagli a tamburo Doppstadt. Doppstadt offre una vasta varietà di vagli mobili, dal SM 518 Plus al SM 720 Plus solo per citarne alcuni. I vagli Doppstadt sono in grado di selezionare tutti i tipi di materiali e garantiscono una produzione notevole. In questo caso sarà necessario applicare una maglia del tamburo 20 mm. All’uscita posteriore del vaglio quindi per la frazione maggiore di 20 mm si potrà mettere in campo un nuovo giocatore di casa Doppstadt. Il separatore ad aria AIRFLEX 1500 gommato è utile per la selezione della frazione pesante da quella leggera. I windsifters della serie WS possono essere combinati con tutti i sistemi di vagliatura Doppstadt, formando una potente unità di separazione. La combinazione di macchine è perfettamente idonea per una varietà di applicazioni di separazione, come la lavorazione di compost, rifiuti edili, rifiuti edili misti, rifiuti commerciali, surrogati di carburante, post processing FE, legname vecchio, bottiglie in PET, scorie, rottami metallici e rifiuti biodegradabili. All’uscita della frazione pesante entrerà infine il selettore Can Master Steinert progettato appositamente per separare l'alluminio a grana grossa ed è la soluzione perfetta per ottimizzare il recupero di questo materiale. Grazie a questa squadra e a questo allenatore è possibile ottenere nuovi materiali da avviare a recupero e conseguire un guadagno; assicurarsi spazio e volumi per lo smaltimento di nuovi rifiuti non recuperabili; oppure garantire un beneficio ambientale rimuovendo una fonte di inquinamento. La vittoria è assicurata con i “giocatori” della squadra dell’Ambiente Cesaro Mac Import!
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VINCERE LA SFIDA DEL RECYCLING CON L’INNOVAZIONE BONGIOANNI MACCHINE, SINONIMO DI QUALITÀ ED AFFIDABILITÀ PER IL SETTORE DEI LATERIZI ORA METTE A DISPOSIZIONE DEL TRATTAMENTO RIFIUTI UN’ESPERIENZA DI OLTRE 100 ANNI DI ATTIVITÀ di Bruno Vanzi
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to tempo ma da poco è arrivata al settore dell’ambiente. In che modo siete approdati al settore del riciclaggio? L'azienda, operativa da più di cento anni, è nata nel 1907 e faceva parte di una galassia di aziende che trattavano diverse tipologie di materiali con macchinari industriali; il collante di tutte queste applicazioni sui macchinari era la trasformazione di materie prime. Nel caso dell’argilla ad esempio, nel corso degli anni, l’attività si è sviluppata progressivamente sino ad arrivare alla progettazione e realizzazione di impianti completi per il laterizio e quindi alla produzione di tegole e mattoni. Due anni fa l'azienda ha cominciato a pensare in maniera lungimirante ad altre tipologie di applicazioni per i macchinari prodotti ed è approdata al mondo del trattamento dei rifiuti. Siamo partiti dalla prima La Bongioanni Macchine è attiva da molfase di trasformazione, la trituImpianto di triturazione rifiuti pericolosi Rosso S.r.l. a Fossano razione primaria, che è la base di qualunque tipo di trattamento sui rifiuti, e abbiamo sviluppato una serie di trituratori primari che abbiamo presentato per la prima volta l'anno scorso durante la fiera Ecomondo. Quella è stata per noi la prima occasione di portare all'atl mondo del riciclo può essere un punto di partenza ma anche un punto di arrivo. È questo il caso di Bongioanni Macchine, un’azienda che, forte di un’esperienza lunga oltre un secolo, è approdata recentemente nel mondo del trattamento rifiuti portando con sé un bagaglio di esperienze maturate sì in altri settori ma che al contempo rappresentano una garanzia di affidabilità e qualità che oggi sono a disposizione anche del settore del recycling. In occasione dell’installazione di un nuovo impianto presso la piattaforma di trattamento rifiuti Rosso S.r.l. di Fossano abbiamo avuto modo di parlare con Andrea Masi, Marketing & Sales Manager del settore Recycling per la Bongioanni Macchine, per farci raccontare il passato e il futuro, di questa realtà storica del cuneese.
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tenzione dei clienti questa nostra nuova apertura dell'azienda verso il recycling. In particolare che macchinari costruite e sviluppate? E quali i vantaggi che derivano dalla vostra lunga esperienza aziendale? Stiamo cercando di non focalizzarci su macchinari che svolgano una fase specifica di trattamento ma di trovare delle soluzioni complete. Vogliamo realizzare parti di impianto o impianti completi per il trattamento dei rifiuti per ottenere prodotti semilavorati o lavorati integralmente. Stiamo lavorando a diversi progetti innovativi e siamo felici che l'azienda abbia fatto questo tipo di investimento. Siamo partiti da macchinari esistenti e già in uso in altri settori, quali quello dei laterizi, da cui abbiamo sviluppato una gamma specifica di trituratori per inerti e per il trattamento delle macerie. Ne è nata una macchina che fondamentalmente è stata sviluppata per tutt'altro tipo di applicazione ma che si è rivelata molto efficace e molto innovativa rispetto alle macchine comunemente in uso per il trattamento degli inerti. Da questa base stiamo sviluppando un nuovo frantumatore 610FRI, studiato ad hoc e totalmente nuovo per il trattamento delle macerie che presenteremo a Ecomondo quest'anno. Crediamo che il trattamento delle macerie sia un mercato molto promettente in Europa e nel mondo, che attirerà molti investitori nei prossimi anni. Si pensi ad esempio che paesi come la Cina incominciano ad avere l'esigenza di demolire e quindi smaltire grandi strutture per costruire nuovi edifici. Le macchine
per la demolizione degli inerti presenti sul mercato sono le stesse da anni. Anche per questo motivo lavoriamo al fine di portare dell'innovazione anche in questo settore. Vi concentrate solo sull'impiantistica fissa o anche su quella mobile? Al momento ci stiamo focalizzando sugli impianti fissi per avere una tecnologia solida sulla quale sviluppare anche impianti mobili. Ma non ci fermiamo all’impianto fisso. In occasione di Ecomondo, presenteremo il Frantumatore 610FRI per il trattamento delle macerie che è predisposto per poter diventare un macchinario completamente mobile. Vogliamo lavorare step by step per arrivare ad avere dei prodotti finiti che rispettino i nostri elevati standard di qualità e di robustezza come ogni prodotto che esce dalle officine Bongioanni. La nostra azienda che non ha mai delocalizzato la produzione all'estero, ha due stabilimenti a Fossano: uno dedicato alle macchine e l'altro dedicato agli stampi per le presse per il laterizio. Vogliamo continuare a produrre materiali di alta qualità in Italia e con una produzione totalmente italiana. Qual è il vostro bacino di mercato? Il settore del laterizio è stato molto attivo in questi anni al di fuori dell'Unione Europea. Proprio quest'anno il mercato sta ripartendo anche nel nostro Paese però noi storicamente abbiamo sempre lavorato moltissimo all'estero. La Bongioanni già molti anni fa è stata una delle primissime aziende italiane che ha realizzato impiantistica completa in Paesi anche molto lontani come l'Unione Sovietica. Questo ci ha dato l'esperienza e la struttura per poter continuare a proporre delle soluzioni, adesso anche nel campo del recycling, in tutto il mondo. Per fare ciò stiamo cercando di capire il mercato italiano, confrontandoci con i clienti della nostra zona e con la partecipazione a fiere internazionali come Ecomondo. Stiamo cercando di partecipare a molti eventi in giro per il mondo anche in Paesi dove sappiamo che non potremo avere un riscontro immediato ma dove possiamo mettere le basi per delle collaborazioni stabili in futuro. Recentemente siamo stati in Siria, in Cina e a Johannesburg. L'anno scorso abbiamo partecipato al Pollutec di Lione e quest'anno saremo al Pollutec a Casablanca. In Italia per l’anno
in corso parteciperemo ancora a Remtech, dove nella giornata di Giovedì 19 Settembre terremo una relazione focalizzata sul trattamento degli inerti nell’economia circolare. Stiamo cercando di ascoltare le richieste dei clienti e del mercato visto che ci affacciamo ora a questo settore. In questo modo cerchiamo di capire quali sono le reali esigenze e quali le criticità in modo da poter partire in modo mirato nello sviluppo di tecnologie specifiche che siano in linea con quanto richiesto dal mercato. Come siete organizzati in caso di assistenza? Pensiamo che l'organizzazione sia molto importante e siamo già strutturati con agenti e una rete post-vendita capillare nei diversi mercati in giro per il mondo e per riuscire a garantire un servizio post vendita adeguato anche nel campo del recycling. In Italia c'è un mercato molto vasto nel campo dei macchinari per il recycling e ci siamo resi conto che l'assistenza post vendita viene fatta spesso da aziende che non sono strutturate sufficientemente per poter seguire il cliente in tutti i passaggi successivi all’installazione e, nel corso degli anni, per la manutenzione e il mantenimento degli impianti. Questo è un fattore di forza di cui noi disponiamo e sul quale vogliamo puntare per distinguerci anche dai produttori stranieri che propongono una qualità del prodotto talvolta più bassa rispetto agli standard italiani o europei. Ci può fare qualche accenno ai progetti che state sviluppando? Ci siamo resi conto che molti dei nostri macchinari utilizzati nel settore del laterizio hanno applicazioni molto interessanti per il trattamento dei rifiuti come ad esempio il trattamento dei fanghi. Insieme a dei partner locali stiamo studiando dei sistemi per la divisione e lo smaltimento dei sacchetti dell'umido urbano, sia per quanto riguarda la separazione dei sacchetti di plastica dalla frazione di umido che per la spremitura dell'umido stesso. Sempre a livello locale, stiamo collaborando con altre aziende per la pro-
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gettazione e costruzione di piccoli impianti di termovalorizzazione molto innovativi. Un mini impianto pilota di termovalorizzazione verrà consegnato a fine anno ed è volto all'abbattimento delle emissioni di CO2 e al trattamento di diverse tipologie di rifiuti. In questo progetto noi ci occupiamo della triturazione primaria e di tutto quello che è la lavorazione del rifiuto a monte. Oltre ad affacciarci al nuovo settore del trattamento dei rifiuti, la Bongioanni ha recentemente riconfigurato l'ufficio tecnico e assunto nuovo personale tecnico per offrire maggiori competenze nella progettazione e costruzione di impianti innovativi e per studiare nuovi processi di trattamento dei rifiuti. Da ultimo, è appena stato inaugurato un impianto vicino alla vostra sede. Ce ne può parlare nel dettaglio? Siamo orgogliosi di poter presentare questo trituratore primario per la triturazione di rifiuti speciali che abbiamo realizzato per l'impianto di Rosso S.r.l. di Fossano, l'impianto di trattamento di rifiuti speciali più grande in provincia di Cuneo. Secondo le nostre previsioni il trituratore primario da noi realizzato dovrebbe incrementare la produzione giornaliera e aiutare l'impianto nel trattamento giornaliero dei rifiuti in ingresso e di conseguenza agevolare il lavoro dei tecnici e degli operatori. Il macchinario è stato sviluppato in sinergia con la stessa Rosso Srl per venire incontro alle esigenze del cliente come del resto facciamo sempre. Abbiamo studiato in questo senso un pressore che spinga il materiale che tende a galleggiare sui dischi, parliamo quindi di uno spintore che agisce su determinate aree della bocca d'ingresso del trituratore e va a incrementare di molto la produzione giornaliera. Speriamo che la collaborazione con questa azienda del territorio possa essere una buona vetrina per altri clienti che vorranno darci l'opportunità di collaborare con loro. FRANTUMATORE 610FRI
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SPE C I AL E
SERVIZIO IDRICO INTEGRATO TRA SLOGAN ELETTORALI E BISOGNI DI INVESTIMENTO PUBBLICA, MISTA O PRIVATA? CONSIDERAZIONI E PUNTI DI VISTA SUI MODELLI DI GESTIONE DELL’ACQUA, UNA TEMATICA CHE GENERA SEMPRE FORTI CONTRAPPOSIZIONI IDEOLOGICHE di Emilio Guidetti*
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ispetto a come deve essere gestito il servizio idrico integrato, ovvero quel complesso di attività che vanno dalla captazione, potabilizzazione e distribuzione dell’acqua potabile al collettamento e depurazione di quella utilizzata, ci troviamo di fronte ad una contrapposizione ideologica. Da un lato coloro che sostengono il modello attuale di gestioni pubbliche, miste, private che rispondono a una logica industriale e dall’altro coloro che invece dicono che l’acqua deve essere pubblica. Su questo tema, ovviamente, quasi mai la contrapposizione è alimentata da dati oggettivi ma, sempre più spesso, da posizioni preconcette dove l’una o l’altra tesi sono giuste a prescindere. Circolano sul tema cifre decisamente distanti tra loro dal troppo poco di chi dimentica che qualcuno il servizio lo deve pagare al troppo e basta di una visione che abbraccia, forse, l’estremo opposto; personalmente viene da commentare che il troppo poco non esiste e il troppo e basta potrebbe essere un po’ meno.
Se proprio si volesse analizzare in dettaglio la situazione italiana ci si accorgerebbe che la connotazione pubblica è piuttosto spiccata quantomeno per ciò che riguarda la parte normativa e regolatoria.
POTERE LEGISLATIVO E ATTIVITÀ REGOLATORIE
Come sappiamo dai nostri studi il potere legislativo è nelle mani del Parlamento, composto da membri eletti e, quindi, certamente pubblico nell’accezione più generale del termine. Sono anche sotto il controllo pubblico le agenzie di regolazione che sovraintendono alle attività: ARERA a livello
nazionale ed ATERSIR per quanto concerne l’esperienza più diretta dell’autore nella Regione Emilia Romagna. “L'Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) è un organismo indipendente, istituito con la Legge 14 novembre 1995, n. 481 con il compito di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la concorrenza, l'efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità, attraverso l'attività di regolazione e di controllo. L'azione dell'Autorità, inizialmente limitata ai settori dell'energia elettrica e del gas naturale, è stata in seguito estesa attraverso alcuni interventi normativi”.
EMILIO GUIDETTI Emilio Guidetti è Amministratore unico e Direttore Generale di Montagna 2000 S.p.A., l’azienda che gestisce il servizio idrico integrato nelle valli del Taro e del Ceno in Provincia di Parma. Guidetti è in forza all’azienda in house dal 2015 dove ha compiuto un importante lavoro di consolidamento finanziario della stessa avviando allo stesso tempo importanti progetti di rinnovamento e riqualificazione ambientale.
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Questa definizione, presa dal sito istituzionale di ARERA, definisce in modo inequivocabile quali siano le finalità dell’Agenzia e che, le stesse, sono rivolte alla tutela dell’utenza. Già questa prima analisi dà evidenza di come il controllo del servizio sia in mani pubbliche attraverso diverse forme di controllo di tipo legislativo e regolatorio. Le forme di controllo pubblico sono poi espletate anche a livello locale come nel caso della Regione Emilia Romagna che ha creato una propria agenzia. L’Agenzia Territoriale dell’Emilia Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti, istituita con L.R. 23/2011 svolge, in forma associata, le funzioni relative alla regolazione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani previste dal D.lgs. 152/2006 e già esercitate dalle ex autorità di ambito (ATO). Poiché, sia il servizio idrico che il servizio di gestione rifiuti urbani si trovano, di fatto, in condizione di monopolio naturale, si ha la necessità di una regolazione del mercato da parte dell’ente pubblico. Nelle diverse deliberazioni assunte, ARERA ha vincolato sempre di più il gestore a erogare il servizio secondo criteri di efficacia ed efficienza; una delle più importanti delibere in questo senso è rappresentata dalla 917/2017/R/idr “Regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono (RQTI)”. Con questa delibera l’Autorità nazionale definisce quali siano i criteri con i quali il gestore si deve rapportare con il cittadino utente stabilendo, tra le altre cose, dei tempi di riferimento per l’erogazione del servizio e delle penali automatiche nel caso gli standard non vengano rispettati. Più in generale viene adottato un sistema incentivante e/o penalizzante in funzione dell’efficacia e dell’efficienza del gestore; sono certamente azioni che vanno nella direzione del controllo pubblico.
CONTROLLO PUBBLICO VS. GESTIONE PUBBLICA
Quali siano le finalità delle proposte di legge in esame al Parlamento è argomento di interesse e in particolare se vi
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sia la necessità di rafforzare il controllo pubblico del modello esistente o, come invece pare trasparire, smontare il modello attuale (innegabilmente in grado di fornire il servizio dove i gestori sono efficienti) a favore di un modello più teorico che pratico che restituisce al singolo Comune la gestione. Questo secondo concetto è sostenuto dal fatto che il gestore fa utili e quindi deve essere demonizzato a tutti i costi; passare nuovamente a un modello pubblico di gestione frammentata farebbe perdere buona parte degli elementi che oggi garantiscono il servizio: interconnessioni, competenze centralizzate, rendicontazione degli investimenti in modo puntuale e analitico, ecc. È certamente molto meno emozionale dire che rafforzando il controllo pubblico si potrebbero ottenere più rapidamente vantaggi ed efficienze che, slogan a parte, sono quello che interessa l’utente che fruisce del servizio. Un’autorità nazionale forte ha la capacità di governare il sistema in modo efficace e sotto il controllo pubblico (che è forse quello che interessa davvero) stimolando i gestori a fare meglio nell’interesse proprio e dei loro utenti e cittadini. Provando a prescindere dal modello di governance del gestore e puntando decisi invece sulla governance del sistema si otterrebbero più rapidamente i benefici che si attribuiscono alla gestione cosiddetta “pubblica” con una sostanziale diversità legata al fatto che la gestione pubblica regolata spinge verso l’efficienza, il modello che prevede di restituire al singolo Comune o all’azienda speciale la gestione non fa altrettanto.
PERCHÉ L’ACQUA HA UN COSTO
È decisamente limitativo e ingiusto per coloro che ci lavorano pensare che siccome aprendo il rubinetto l’acqua esce, la stessa non possa avere un costo. Cosa ci sia dietro il gesto “banale” di aprire il rubinetto dell’acqua lo ha ottimamente descritto Stefano Venier, amministratore delegato del Gruppo Hera S.p.A, sulla rivista online Astrolabio con un intervento dal titolo “L’invisibile in-
dustria blu” (http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/1829) nel quale viene descritto nei dettagli ciò che si cela dietro a questa azione tanto comune. Ci si dimentica spesso che l’acqua che arriva nelle nostre case è il segno più tangibile e concreto di una filiera che parte dalla fonte (o dal pozzo), passa attraverso processi di potabilizzazione, disinfezione e analisi di conformità a cui si aggiungono le complesse attività di rendicontazione previste dalla regolazione a tutela dell’utenza. E quando l’acqua esce dal rubinetto per essere utilizzata siamo forse a metà del ciclo che prevede il collettamento della cosiddetta “waste water” (acqua sporca) per essere avviata agli impianti di depurazione e infine restituita ai recettori superficiali. Non è nemmeno più vero che l’acqua è una risorsa abbondante e sempre presente, a semplice richiesta; siamo di fronte a cambiamenti climatici epocali che hanno cambiato in modo definitivo la fruizione della risorsa. Ci troviamo di fronte a momenti di siccità, che mettono a rischio anche la continuità del servizio idropotabile, alternati a fenomeni atmosferici violenti di segno opposto, che hanno come conseguenza alluvioni, inondazioni, ecc. Ormai il piano degli investimenti del servizio idrico integrato, che ha il compito di garantire la continuità del servizio e di arginare con la garanzia di un deflusso adeguato le acque bianche o fognarie, deve tenere conto anche di queste situazioni che non sono più così eccezionali. Pensare che il complesso di attività che si sono descritte nelle righe precedenti non generi flussi di denaro per remunerare il servizio è quantomeno inverosimile. L’affermazione poi che l’acqua è gratis non è vera nemmeno quella; l’acqua viene concessa e sull’utilizzo della stessa si pagano dei canoni annuali proporzionali alla disponibilità quantitativa della stessa. Molte delle affermazioni che vengono strumentalmente diffuse sul tema dell’acqua non sono vere e/o adeguatamente piegate alla tesi che si vuole sostenere. Non è diffondendo informazioni artefatte che si può pen-
sare di confutare le tesi opposte; forse un più onesto confronto sui plus e i minus delle diverse visioni potrebbe più utilmente contribuire al miglioramento dell’attuale sistema di governance.
LA GESTIONE COINVOLGE GLI UTENTI
Grazie alla diffusione dei social si è consentito a chiunque di salire alla ribalta commentando qualsivoglia fatto o notizia con l’intento, non dichiarato, di acquisire visibilità che, da quelle parti, è misurata a colpi di “like”. Una delle tesi che garantisce la maggiore visibilità possibile è quella secondo la quale qualsiasi inefficienza nella gestione dei servizi pubblici locali è da ascrivere ai gestori che non sono capaci di fare il proprio lavoro. Questa tesi ha l’apice massimo nella gestione dei rifiuti urbani ma comincia a essere non meno popolare anche nel commentare gli accadimenti del S.I.I. In entrambi i casi ci si dimentica (o per meglio dire si omette volutamente) il ruolo che giocano gli utenti nel mantenimento dell’equilibrio del servizio, soprattutto in aree a scarsa densità abitativa e dove la rete è progettata sulla base dei residenti ma utilizzata, in periodi ristretti dell’anno, anche per fruizione turistica o (generalmente negli stessi posti) l’interferenza nell’uso idropotabile tra uomini e animali è spiccata. Vi sono sicuramente gestioni dove la disponibilità di risorsa idrica, la gestione oculata delle reti favorita dall’alta densità abitativa lenisce fenomeni di malcostume fruizionale, mentre vi sono territori il cui delicato equilibrio ha bisogno di comportamenti civili da parte dell’utenza. Comportamenti adeguati aiutano, se non altro, a usare meno acqua e ad avere un adeguato risparmio in bolletta ma, più in generale, contribuiscono al mantenimento di condizioni di equilibrio nel sistema soprattutto in quelle aree non interconnesse per limitazioni morfologiche.
SERVONO COMPETENZE NON FRAMMENTATE
La gestione del servizio idrico integrato secondo i criteri le-
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gali e regolatori (e non quindi secondo le regole che qualcuno ritiene di potersi dare autonomamente) necessita di competenze di alto livello nei settori dell’energia, della chimica, della biologia, dell’idraulica, della digitalizzazione, della simulazione economica e finanziaria ecc. Competenze che non possono essere frammentate in mille gestioni ma garantite dal gestore o anche attraverso contratti di rete che assicurano elevate competenze all’interno di aziende che collaborano stabilmente. Un sistema complesso come quello della fornitura del servizio idrico integrato ha bisogno di personale competente a tutti i livelli; è anacronistico pensare che si possa affrontare il tema come nei tempi passati con approssimazione e affidandosi alla buona volontà dei singoli. Sono molti e complessi i temi che si intrecciano nella gestione del servizio e nella sua rendicontazione alle autorità di regolazione nazionali e regionali che, come indicato, hanno il compito di tutelare l’interesse dei consumatori e degli utenti; per affrontare temi complessi servono competenze specialistiche di base che si vanno formando sul campo con l’acquisizione di un know-how specifico.
SERVIZIO IDRICO INTEGRATO ED EQUO
Non possono più essere tollerati, in un sistema di gestione equo, allacci non censiti, uso improprio della risorsa, scarico di acque reflue senza adeguati permessi e/o di qualità diversa da quella per la quale si ha l’autorizzazione. Un sistema di gestione equo, che prescinde dalla natura giuridica del gestore (pubblico, misto, privato, S.p.A., S.r.l. o azienda speciale) dovrebbe essere un obiettivo trasversale che permette di “caricare” sulle singole utenze il prezzo corretto del servizio senza distorsioni legate a una non proporzionale ripartizione degli oneri di servizio. L’equità nella ripartizione dei costi deve prescindere dal modello organizzativo con il quale la politica vuole connotare le aziende di gestione, e dovrebbe essere la principale preoccupazione del legislatore, mentre, al contrario, si leg-
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ge (forse maldestramente) nel modello legato all’acqua pubblica quello della deregulation a favore, non del servizio, ma dei furbetti che di fronte a maglie allentate pensano di poter non pagare l’acqua. Quando ci si lamenta del fatto che la tariffa è troppo alta andrebbero compendiati nel ragionamento, legittimo, tutti gli elementi di alterazione della “normalità” che incidono sulla stessa: • abusivismo ed elusione, • prelievi non controllati, • perdite (non solo tecniche), • morosità. Anche in questo caso un discorso semplicistico non aiuta a risolvere le problematiche strutturali del settore ma, piuttosto, a coniare slogan “similelettorali” che non aiutano ad andare alla radice del problema. Non sono poche le aree del Paese in cui il servizio idrico è considerato dovuto a prescindere dal pagamento dello stesso; il mancato pagamento genera una spirale degenerativa che fa rapidamente peggiorare le cose. Se tutti non pagano, coloro che lo fanno si trovano gravati di maggiori oneri (per quantità non controllate, per mancati pagamenti, ecc.) e l’incremento probabile di tariffa genera una disaffezione al pagamento che genera un incremento della morosità e una spirale continua di peggioramento. Rendersi conto del servizio fruito e apprezzarne la qualità è un primo elemento di coerenza che il cittadino utente deve maturare al fine di dialogare correttamente con il gestore che,
a sua volta, deve essere in grado di rispondere alle sollecitazioni laddove vi siano inefficienze o problematiche.
CONSIDERAZIONI FINALI
La gestione dell’acqua in Italia è indubbiamente sotto controllo pubblico sia per la presenza nel capitale sociale di quasi tutti i gestori di partecipazioni pubbliche ma, anche e soprattutto, perché vi sono autorità di regolazione indipendenti che governano il sistema. Certamente è un sistema che può essere migliorato (come tutte le cose di questo mondo) ma che non deve essere smantellato sull’altare del tornaconto politico. Occorre guardare all’effettivo interesse dell’utente nel medio periodo e non a quello elettorale immediato; smantellare il sistema in essere aprirebbe una voragine gestionale di difficile controllo in un momento storico dove è invece necessaria una continuità gestionale importante per far fronte ai cambiamenti climatici che ci si trova ad affrontare. Probabilmente non è intervenendo sul modello di governance che si fa l’interesse degli utenti ma piuttosto rafforzando la regolazione in essere che costituisce garanzia di terzietà, uniformità e rigore interpretativo. Le tesi sono tutte legittime se suffragate da dati oggettivi e da progetti gestionali definiti ex ante; parlare di acqua pubblica in modo demagogico rischia di creare danno e non beneficio all’utenza, un danno difficile da recuperare successivamente. *Montagna 2000 S.p.A.
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EFFICIENZA AL TOP CON LA NUOVA TURBOSOFFIANTE IL DEPURATORE DI MONTICHIARI, A UN ANNO DALL'INSTALLAZIONE DELLA TURBOSOFFIANTE TURBOMAX, TRACCIA UN BILANCIO DEI RISPARMI ENERGETICI, CON L'OBIETTIVO DI RISPARMIARE ANCORA di Bruno Vanzi
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n Italia la depurazione delle acque viene spesso affidata a depuratori sottodimensionati o inesistenti, con la conseguenza che il nostro Paese è stato deferito alla Corte di Giustizia Europea. Il caso di Montichiari, alle porte di Brescia, rappresenta invece una situazione paradossalmente opposta. Il depuratore della cittadina, infatti, fu realizzato negli anni '80, con l'obiettivo di servire una popolazione di 40mila abitanti equivalenti. L'impianto nasceva infatti in un'area in forte espansione economica, oltre che a ridosso del centro fieristico e dell'aeroporto. La crisi economica, la scelta di alcune aziende di installare i propri depuratori e le mutate strategie sovracomunali in tema di servizio idrico hanno però ridimensionato il carico che oggi raggiunge il depuratore di Montichiari. L'impianto è infatti chiamato a trattare i liquami, civili e industriali, provenienti da 18mila abitanti equivalenti. Una situazione solo apparentemente ottimale. L'essere sovradimensionato comporta infatti un maggior consumo energetico, con sprechi non tollerabili da una moderna gestione, particolarmente attenta a ridurre i consumi energetici, ma anche a massimizzare il rispetto ambientale.
FUNZIONALI, MA POCO EFFICIENTI
Negli ultimi tempi, dopo gli interventi strutturali degli anni 2009-2010, l'attenzione dei tecnici si è focalizzata sulla vasca di ossigenazione. Il processo, infatti, non era ottimizzato e, dati alla mano, i consumi risultavano superiori rispetto a quelli di altri impianti limitrofi. Per questa ragione, in una prima fase, è stato sostituito il sistema di diffusione dell’aria: invece del sistema a eiezione sono stati installati dei diffusori sul fondo della vasca. Una scelta che ha migliorato la situazione, ma che era solo propedeutica all'intervento più significativo: l'installazione di una nuova soffiante. Per spingere l'aria nella vasca di ossigenazione, infatti, erano utilizzate due macchine di grossa taglia, che venivano accese, alternativamente, in funzione delle esigenze di processo.
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“Le soffianti esistenti - spiegano i tecnici dell’impianto di Montichiari - erano sovradimensionate e non gestibili in automatico. Quindi, per contenere i consumi, erano state temporizzate, con accensioni alternate in base al carico in arrivo. Si trattava, quindi, di una gestione semi-automatica, con tutti i limiti che questo comporta, e con risultati non ottimali dal punto di vista del processo. L'operatore, infatti, si poteva basare solo su pochi elementi di processo e sui dati rilevati in uscita. Una modalità che, ovviamente, comporta il rischio di interventi tardivi e che riduce l'efficienza della macchina”.
SOLO LA VELOCITÀ CHE SERVE
A fronte di consumi decisamente superiori rispetto ad altri impianti limitrofi, nel 2017 venne deciso di individuare una soluzione capace di eliminare gli sprechi e, al tempo stesso, di garantire l'eccellenza del processo. Le acque depurate, infatti, vengono scaricate nel vicino torrente Chiese e devono comunque rispettare i limiti di legge già ampiamente conformi. Nella ricerca della soluzione ideale, i responsabili del depuratore hanno concentrato l'attenzione sulle eccellenze di mercato. Le scelte del gestore sono infatti ispirate dalla convinzione che l'impiego delle più moderne tecnologie porti benefici ambientali ed economici anche nel breve periodo. L'attenzione si è così focalizzata sulla turbosoffiante Sanitaire TurboMAX, distribuita in Italia da Xylem Water Solutions. Una macchina che, al termine di una gara tra diversi fornitori, ha proposto le caratteristiche ideali per l'impianto di Montichiari. La soffiante di nuova generazione è infatti caratterizzata dall'impiego di un motore ad alta velocità sincrono a magneti permanenti. Una caratteristica che consente di avere, oltre a un'elevata efficienza energetica in un ampio campo operativo, anche una sensibile riduzione del peso e dell’ingombro del motore e della soffiante stessa. Ma la vera svolta è legata alla possibilità di gestire in modalità automatica la velocità del motore stesso ottenendo una
vera misura della portata d’aria fornita con una precisione del 3%.
SOFFIANTE E MIXER LAVORANO INSIEME
A un anno dall'installazione della TurboMAX, con potenza di 100 hp e che ha sostituito una precedente soffiante, i risultati sono stati addirittura superiori alle aspettative: “Abbiamo riscontrato una riduzione dei consumi energetici pari al 30% - spiegano i tecnici - che va addirittura oltre i valori che avevamo ipotizzato con gli specialisti di Xylem. Il ROI, quindi, sarà inferiore ai 5 anni stimati inizialmente”. Un simile risultato è frutto, oltre che dell'elevata efficienza del motore a magneti permanenti che caratterizza la TurboMax, anche di una sempre più puntuale gestione dell'impianto di ossigenazione. Un'attività alla quale hanno lavorato, in stretto contatto, gli specialisti dell’impianto di Montichiari e di Xylem, chiamati a individuare il settaggio ottimale della soffiante stessa, che opera in sinergia con il mixer ad alta efficienza Flygt 4530, distribuito sempre da Xylem. In questo modo, il PLC che gestisce l'impianto è in grado di equilibrare il funzionamento del mixer e della soffiante in funzione delle effettive esigenze del processo. In pratica una volta definito il set point ottimale, il sistema è in grado di regolarsi automaticamente. Così, quando la richiesta di ossigeno porterebbe la soffiante sotto i 12.000 giri al minuto, questa si porta in modalità “Idle”, una specie di marcia in “folle” con minimo consumo elettrico, senza spegnersi ma restando pronta a rientrare in azione in modo immediato. In questo caso entrano in azione i mixer 4530, che continuano a operare sinché riescono a garantire un'adeguata miscelazione della biomassa. Poi, quando i valori di ossigeno scendono sotto un’altra soglia prefissata, i mixer si arrestano ed entra nuovamente in funzione il motore della soffiante TurboMAX.
L’aria insufflata dal fondo deve essere ottimizzata in base alle esigenze di processo
L’introduzione della turbosoffiante TurboMAX ha consentito di abbattere del 30% i consumi energetici
RISULTATI ANCORA MIGLIORABILI
Avere a disposizione una macchina caratterizzata da queste prestazioni ha garantito un notevole risparmio energetico, ma sta creando anche nuove opportunità di ottimizzazione, alle quali lavorano gli specialisti. L'apporto di liquami all'impianto di Montichiari è infatti costante nel corso dell'anno. Ma il processo di depurazione è ovviamente influenzato dai parametri ambientali. Per questa ragione i tecnici dell’impianto stanno studiando ulteriori possibilità di contenimento dei costi. Con il supporto degli esperti di Xylem, infatti, vengono attualmente valutati i trend dei consumi in funzione delle temperature e delle precipitazioni. Inoltre, sfruttando alcune delle vasche presenti come bacini di raccolta in caso di precipitazioni, dovrebbe essere possibile ridurre ulteriormente l'impiego della turbosoffiante, la cui gestione intelligente offre ancora margini di risparmio. “Senza dimenticare - conclude il gestore - la silenziosità della macchina. Una caratteristica che ci permette di operare agevolmente all'interno del locale tecnico in cui è installata. Grazie alla sua affidabilità, in un anno di funzionamento non ha mai richiesto interventi di manutenzione e non ha mai inviato falsi allarmi”.
Tutti i valori della TurboMAX possono essere monitorati e gestiti dagli operatori in locale o da remoto
Tutti i dati di funzionamento sono disponibili sul sinottico della sala di controllo
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UN IMPIANTO DI TRATTAMENTO ACQUE PER LA CENTRALE ELETTRICA CON LA RIQUALIFICAZIONE DELLA CENTRALE TERMOELETTRICA DEL GRUPPO A2A NEL MESSINESE, CHE SORGE IN UN LUOGO LONTANO DAI CENTRI ABITATI E PRIVO DI FOGNATURE, È STATO NECESSARIO PROGETTARE UN IMPIANTO DI TRATTAMENTO E DEPURAZIONE DEI REFLUI CIVILI di Raffaele Ravaioli*, Alessandro Bonci** e Sebastiano Gagliolo**
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ell’ambito della riqualificazione della ex centrale termoelettrica ENEL di San Filippo del Mela (ME), con la conversione dell’impianto a olio combustibile a polo integrato di energie rinnovabili, l’azienda A2A Energie Future S.p.A. di Milano ha commissionato anche la ristrutturazione delle abitazioni e degli uffici annessi alla centrale. La struttura sorge lontano dai centri abitati, in una zona non urbanizzata e priva di servizi essenziali come le fognature. Si è resa quindi necessaria l’installazione di un impianto di trattamento e depurazione dei reflui civili per lo scarico finale in acque superficiali, in conformità ai parametri del D.lgs. 152/2006 tab.3 allegato 5. La Gazebo S.p.A. si è occupata di progettare, installare e collaudare l'impianto di depurazione dei liquami di origine civile con le opere annesse e tutte le attrezzature che lo compongono. Nella progettazione è stata rivolta particolare cura all’eliminazione di qualsiasi fonte di odori molesti, utilizzando particolari sistemi atti a minimizzare le emissioni gassose in atmosfera. Le scelte adottate sono state ispirate a soluzioni
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tecniche di sicuro affidamento rivolte a ridurre l'impiego di personale per la conduzione, nonché gli oneri stessi di gestione. Lo scheletro dell’impianto è costituito da una batteria di vasche monoblocco prefabbricate in calcestruzzo armato. La classe di esposizione del calcestruzzo impiegato è XA2 (Ambiente aggressivo per attacco chimico) che secondo la UNI 11104, prevede un massimo rapporto A/C di 0,50, una classe di resistenza minima del calcestruzzo di C32/40 e un dosaggio minimo di cemento di 340 kg/m3. Gazebo progetta, produce e installa da oltre 50 anni impianti realizzati con vasche prefabbricate monoblocco in C.A. Per rispettare tutti i parametri necessari, per migliorare gli aspetti legati alla impermeabilità e durabilità del calcestruzzo e per soddisfare anche le proprie necessità produttive come ad esempio la movimentazione rapida degli elementi, utilizza un calcestruzzo di classe C50/60 confezionato con un cemento ad alta resistenza ai solfati (secondo la UNI 9156) di Tipo I 52,5 N - SR5 prodotto da Buzzi Unicem S.p.A. presso lo stabilimento di Vernasca (PC). Con la parte legan-
te c’è l’introduzione dell’additivo iperfluidificante MasterGlenium ACE 440 e l’accelerante X-SEED 100 della BASF. Una ulteriore aggiunta di fumo di silice è indispensabile per migliorare l’impermeabilità del calcestruzzo. L’impasto ha una consistenza autolivellante con una classe di spandimento SF2 (da 660 a 750 mm) e la parte di aggregato è un frantumato di diametro max pari a 12 mm.
FUNZIONAMENTO DELL’IMPIANTO DI DEPURAZIONE
Sulla base delle esigenze, è stato individuato un trattamento del tipo “biologico a fanghi attivi ad aerazione estesa”. Tale sistema di depurazione risulta impiantisticamente molto compatto (vengono utilizzate vasche prefabbricate monoblocco in C.A.) e consente di raggiungere un elevato e costante rendimento depurativo con la massima semplicità di conduzione. Gli ampi margini di sicurezza mantenuti nell'individuazione dei parametri dimensionali, consentono all'impianto di depurazione di sopportare punte di carico organico e idraulico superiori al 15-20%, senza che avvengano disfunzioni ai processi biologici operanti all'interno dell'impianto. In definitiva, il progetto proposto si caratterizza per i seguenti aspetti: • compattezza planimetrica; • facilità di conduzione-gestione; • costi di manutenzione e gestione ridotti; • sicurezza e continuità di esercizio per l'alto grado di affidabilità delle apparecchiature previste; • assenza di inconvenienti di tipo igienico-ambientale quali spruzzi, nebulizzazioni dei liquami e odori, grazie al sistema di aerazione adottato (a micro-bolle). Schematicamente un impianto di depurazione a fanghi attivi è costituito da varie sezioni di trattamento che consentono di ottimizzare il processo biologico di depurazione. Il sistema si sintetizza nelle seguenti sezioni di depurazione: • Sedimentazione primaria - ha la funzione di trattenere tutti quei corpi solidi sospesi sedimentabili allo scopo di ridurre il carico organico in ingresso al trattamento biologico. Inoltre blocca quei corpi solidi fini non biodegradabili che sarebbero fonte di intasamento per le sezioni di trattamento successive, riducendo così i rischi di interventi straordinari a carico della gestione. • Accumulo e equalizzazione - subito a monte dell'impianto biologico viene prevista una vasca di raccolta per l'omogeneizzazione dei liquami in arrivo che poi saranno rilanciati alle successive fasi con portata e carico costante. La portata verrà controllata mediante un apposito misuratore di portata elettromagnetico. Il rilancio a portata costante avviene tramite un sistema di pompaggio dotato di elettropompe di tipo sommergibile e il comando per l'avviamento automatico delle stesse è assicurato da regolatori di livello a galleggiante; è previsto inoltre un elettro-miscelatore sommerso che consente di omogeneizzare i liquami accumulati. • Denitrificazione e aerazione liquami - questa fase rappresenta il cuore dell’impianto dove avvengono quelle
trasformazioni che consentono di abbattere gli inquinanti organici e azotati. La denitrificazione permette di abbattere i nitrati presenti nel refluo da trattare, nel comparto è presente un miscelatore sommerso. La fase di aerazione sarà dimensionata in modo tale da far innescare il processo biologico di depurazione che, tramite l’immissione controllata d’aria a micro-bolle (tramite soffiante a canale laterale + diffusori), innesca una reazione batterica (fanghi attivi) tale da abbattere gli inquinanti presenti nel refluo. • Sedimentazione, ricircolo e ispessimento fanghi - è costituita da un sedimentatore statico tipo Dortmund a sezione tronco-piramidale. In questa sezione i fanghi provenienti dal trattamento precedente di aerazione, vengono fatti decantare sul fondo della vasca mentre il liquido chiarificato e depurato viene scaricato tramite canalina perimetrale di sfioro. Il fango dal fondo della vasca di sedimentazione può essere in parte ricircolato alla sezione di aerazione o di denitrificazione per mezzo di una pompa idropneumatica ad aria. Infine il fango di supero eccedente viene estratto e accumulato in apposita sezione d’ispessimento per poi essere spurgato/ smaltito periodicamente da società autorizzate. • Disinfezione liquami - questa fase è finalizzata alla rimozione degli organismi patogeni che non sono stati precedentemente eliminati e viene condotta tramite l’utilizzo di apposito reagente (acido peracetico); si compone di una pompa dosatrice elettromagnetica a membrana, di un serbatoio di stoccaggio e di una vasca munita di setti divisori a labirinto che favoriscono il contatto tra il liquame e il mezzo disinfettante. L’impianto risulta pulito, silenzioso e inodore tanto da poter essere ubicato anche nei pressi dei comparti abitativi. *Buzzi Unicem S.p.A., **Gazebo S.p.A.
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SOLUZIONI E TECNOLOGIE PER IL MONITORAGGIO DI PFOA E TOC IN ACQUE CONTAMINATE LE STRUMENTAZIONI DISTRIBUITE DA TQ TECHNOLOGIES FOR QUALITY PER IL MONITORAGGIO E LA QUANTIFICAZIONE DEI CONTAMINANTI NELLE ACQUE REFLUE, DI FALDA, SUPERFICIALI E POTABILI di Paolo Moggio*
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nche se la superficie del pianeta Terra è ricoperta dal 71% di acqua, la porzione potabile potenzialmente disponibile è solo lo 0,008%. Per di più questa piccolissima frazione è distribuita in modo ineguale sul pianeta ed è destinata a calare con il passare degli anni. La popolazione mondiale è in continua crescita e il consumo d’acqua aumenterà di pari passo. Le attività umane sfruttano gli oceani, i fiumi, i laghi e le falde provocando un impoverimento della loro qualità. La maggioranza delle sostanze inquinanti derivano dallo scarico di liquami provenienti da attività industriali e civili. Ogni sorta di sostanza chimica, dai farmaci alla carta, plastica e ogni altro rifiuto che viene scaricato dal WC rappresenta una fonte di inquinamento. Ma anche molte sostanze distribuite volontariamente nell’ambiente per proteggere il territorio o migliorare le coltivazioni, quali i fertilizzanti o i diserbanti, attraversano il terreno e si accumulano nelle falde acquifere. Segue poi l’inquinamento da accidentali sversamenti di petrolio e dei suoi derivati che vengono contrastati spesso con altri agenti chimici, anch’essi inquinanti, per ridurre gli effetti acuti di questo tipo di contaminazioni locali. Per il futuro non esiste altra soluzione che quella di sviluppare una coscienza globale, più sensibile alla protezione del nostro pianeta, che consideri prioritaria la prevenzione e il monitoraggio in tutte le situazioni di rischio ambientale, ovunque esista una qualsiasi attività umana. Anche in assenza di emergenze è bene monitorare tutti i parametri ambientali, possibilmente in tempo reale, per poter agire tempestivamente in caso di necessità. TQ Technologies for Quality, con il suo costante impegno nella ricerca di nuove strumentazioni e tecnologie, vuole contribuire al miglioramento della qualità dell’ambiente. Oltre alla fornitura di strumentazioni utili al controllo della qualità dei prodotti industriali e delle loro materie prime, propone apparati all’avanguardia, a volte unici, per il moni-
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toraggio di alcuni parametri fisici e chimici di interesse ambientale. Tra questi, il contenuto di TOC (Carbonio Organico Totale), AOX (Alogeni Organici Assorbibili) e AOF (Fluoruri Organici Assorbibili) rappresentano parametri fondamentali per la valutazione di inquinamento delle acque reflue superficiali o di falda.
INQUINAMENTO DA PFOA
L’inquinamento di origine antropica, ovvero riconducibile ad attività di tipo industriale o a insediamenti urbanizzati, si traduce in un trasferimento di sostanze o complesse miscele di natura chimica organica e/o inorganica nelle acque superficiali o in quelle di falda. Tali sostanze possono persistere in molti casi per lunghi periodi nelle acque reflue. Alcuni fenomeni sono correlati a un utilizzo incontrollato di sostanze chimiche nel passato e al loro smaltimento senza alcuna regolamentazione. Recentemente si è posta molta attenzione sull’inquinamento da parte di composti perfluoro-alchilici nelle acque e nei terreni del Veneto, i cosiddetti PFAS o PFOS. Il monitoraggio e la quantificazione dei singoli PFAS avvengono tramite metodiche analitiche complesse, che prevedono una cromatografia liquida e rivelazione con spettrometro di massa a quadrupolo. Con questa configurazione si riescono a distinguere i singoli componenti come PFBA, PFPeA, PFOA, PFNA, PFBS, PFOS e molti altri. Tale metodo analitico risulta però lungo, dispendioso e molto complesso. Al contrario è invece molto più semplice quantificare uno o più parametri somma. Il Fluoro Totale che comprende quello organico e inorganico può essere suddiviso anche in quello Estraibile (da un solvente - EOF) o Adsorbibile (da un materiale adsorbente, come il carbone attivo - AOF). Quest’ultimo parametro, AOF, contiene tutti i principali composti che costituiscono i PFAS. La quantificazione degli AOF è quindi
una misura di screening per valutare il livello di inquinamento di un campione acquoso e prevedere ulteriori accertamenti con tecnica LC/MS, se necessario.
LE SOLUZIONI DI MITSUBISHI CHEMICAL ANALYTECH DETERMINAZIONE DEL FLUORO TOTALE TECNICA ANALITICA C-IC
Gli analizzatori elementari della casa giapponese Mitsubishi Chemical Analytech, distribuiti in esclusiva da TQ Technologies for Quality, sfruttano una tecnologia innovativa per la misura del Fluoro OrganicoTotale Adsorbibile, basata sulla tecnica C-IC, ovvero combustione piroidrolitica e cromatografia ionica. La tecnica C-IC, che coincide con l’apparato AQF-2100, si basa sulla combustione di un campione all’interno di una fornace contenente due tubi di pirolisi, uno esterno e l’altro posizionato al suo interno. Nella porzione iniziale del tubo più interno, i campioni vengono degradati termicamente in atmosfera inerte di Argon. I prodotti di pirolisi gassosi giungono quindi al tubo esterno dove vengono finalmente combusti con una miscela di O2 e H2O. Lo zolfo e gli alogeni presenti nel campione si trasformano rispettivamente in SOX, alogenuri di idrogeno e alogeni gassosi che saranno intrappolati in una soluzione acquosa, assorbente. Il liquido contenente i composti in esso assorbiti, viene successivamente iniettato nel cromatografo ionico, in maniera automatica. Nello specifico, per l’analisi di Fluoruri Organici Totali Adsorbibili è necessario eseguire una minima preparazione del campione acquoso, come da metodo UNI EN ISO 9562:2004. Prima il campione viene acidificato, per rimuovere gli alogeni inorganici, poi si effettua una filtrazione su una cartuccia di quarzo contenente carbone attivo. La cartuccia in quarzo verrà inserita nel tubo di pirolisi, dove avverrà la combustione piroidrolitica dei composti organici, e successivamente l’analisi in cromatografia ionica. Calibrando opportunamente il cromatografo ionico è possibile determinare oltre all’AOF (Fluoro Organico Adsorbibile), anche tutti gli altri alogeni, ovvero AOCl (Cloro Organico Adsorbibi-
le), AOBr (Bromo Organico Adsorbibile) e AOI (Iodio Organico Adsorbibile). La somma di questi parametri fornisce come risultato l’AOX (Alogeni Organici Adsorbibili). Tali parametri è possibile determinarli su diversi tipi di matrice, come acque di scarico, di falda, superficiali e potabili. L’accoppiamento a un cromatografo ionico (IC) permette la quantificazione del Fluoro, con recuperi del 99%, a bassi ppm, come si vede nella tabella seguente.
Sample
F (ppm)
Recovery (%)
NaBF4/water
100
99.2
NaF/water
100
99.1
Sample
F (ppm)
Average (ppm)
Sample A
10.1, 10.3
10
Sample B
5.8, 6.3
6
Con la stessa analisi è quindi possibile la determinazione di altri elementi quali, tutti gli alogeni, l’azoto, lo zolfo, il fosforo, sotto forma di anioni.
DETERMINAZIONE DI TOC TECNICA ANALITICA COMBUSTIONE - NDIR
Nell’acqua il carbonio è presente sotto forma di specie inorganiche e di specie organiche che si possono distribuire tra la fase disciolta e quella in sospensione. Nelle acque destinate al consumo umano, oltre alla determinazione del contenuto di composti a base di cloro, derivanti da processi di disinfezione, si va a valutare anche il contenuto di carbonio organico totale. Il carbonio totale (TC) è dato dalla somma del carbonio organico totale (TOC) e da quello inorganico (IC). Il TOC si può distinguere nel DOC (carbonio organico disciolto), che rappresenta la frazione organica di carbonio che passa attraverso una membrana filtrante, e il POC, ovvero il carbonio organico particolato, che rimane sul filtro. Inoltre, viene classificato come VOC il carbonio organico volatile, cioè la frazione organica di carbonio che può essere rimosso dall’acqua tramite strippaggio con gas in determinate condizioni. Infine, con NPOC si classifica il carbonio organico non purgabile, cioè la frazione
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non riuscendo a gestire i solidi sospesi a causa di possibili intasamenti richiedono la filtrazione. Ma così facendo il parametro che si determina sarà il DOC (carbonio organico disciolto). L’apparato Mitsubishi TOC-310V è l’unico che riesce a determinare il TOC poiché non richiede il passaggio su filtro. Inoltre, il TOC-310V permette di determinare anche tutti gli altri parametri come TC, IC e NPOC, così come il contenuto di azoto totale (TN). Il TOC-310V è conforme al più restrittivo test al mondo, quello della determinazione della cellulosa (suspended matter) secondo il metodo Europeo EN1484 (ISO 8245) e ai metodi ISO 8245 (UNI EN 1484:1999), EPA 415.1, EPA 9060A, Standard Methods 5310, ASTM D7573, JIS K0101, JIS K0102, JIS K0557.
CONCLUSIONI
di carbonio organico non volatile rimanente dopo una fase di strippaggio. La soluzione innovativa di Mitsubishi Chemical Analytech per la determinazione del TOC è rappresentata dallo strumento TOC-310V. La particolarità che rende questo strumento unico riguarda il sistema di campionamento, brevettato, che permette l’iniezione di campioni contenenti solidi sospesi senza il bisogno di fare prima una filtrazione. Infatti, molti strumenti
TQ Technologies for Quality ha la possibilità di fornire diverse soluzioni per la determinazione di TOC, TC, AOX, AOF grazie agli apparati di alta qualità prodotti dalla Mitsubishi Chemical Analytech. Il software di gestione di questi strumenti è molto intuitivo e rende queste analisi fattibili in laboratori di controllo qualità così come in laboratori gestiti da enti di controllo e ricerca. TQ Technologies for Quality dispone di unità dimostrative che saranno visionabili a Rimini, in occasione di Ecomondo 2019, Pad D4 stand 055. *TQ Technologies for Quality S.r.l.
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LA METAMORFOSI DELLA EX NORD OVEST L’AREA DI SERVIZIO DI FERRARA, È STATA RECENTEMENTE TRASFORMATA DA ECOINERTI CON UNA DEMOLIZIONE “SU MISURA” SENZA INFASTIDIRE LE ATTIVITÀ COMMERCIALI E IL TRAFFICO FERROVIARIO di Maeva Brunero Bronzin
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er chi proviene da fuori città, la cosiddetta Nord Ovest è dal 1930 un’area molto conosciuta dagli abitanti di Ferrara. Sorta durante l’epoca fascista come stazione di servizio per automobili e autocarri, aveva capannoni adibiti a officina e manutenzione e una parte destinata ad albergo di sosta. Nel corso degli anni ‘60 e ‘70, dismesse le funzioni di stazione di servizio, è divenuta un bar pasticceria aperto 24 ore su 24, particolarmente frequentato. Negli anni successivi, tolti i panni anche del bar pasticceria, si è trasformata in hotel, con il nome di Albergo Nord Ovest, che ha chiuso a causa della crisi nel 2008. L’area è stata successivamente abbandonata, fino a che il gruppo Lidl ha deciso di acquistarla per realizzare un supermercato. Godendo di notevole interesse dal punto di vista storico artistico, la committenza ha deciso di abbattere solo le numerose strutture poste dietro l’edificio principale ma di non demolire il fabbricato sulla strada per riutilizzarlo, abbassandolo però di un piano. L’azienda contattata per portare a termine la demolizione è la Ecoinerti srl di Ferrara, azienda nata nel 2006 in seguito alla scissione di Andrea e Matteo Pancaldi, padre e figlio, da un’altra società attiva nel movimento terra, nella demolizione e nel riciclaggio, di cui Andrea Pancaldi è stato socio e legale rappresentante per 25 anni. La Ecoinerti è molto conosciuta
sul territorio ferrarese perché, oltre a disporre di un centro autorizzato di recupero, trattamento e lavorazione dei rifiuti derivanti da costruzione e demolizione, non è nuova a interventi difficili come la demolizione dell’area Ex Stayer e del complesso delle Ex Carceri, sempre a Ferrara, o lo zuccherificio di Porto Tolle, portati a termine negli anni precedenti. La rimozione dell’ultimo piano dell’ex Albergo Nord Ovest è stata affrontata dopo aver eseguito uno studio preliminare della struttura per valutare le possibili soluzioni che permettessero di non danneggiare i piani sottostanti. Andrea Pancaldi ci racconta che “le soluzioni fattibili erano due: la prima, che abbiamo scartato, era quella di operare da dentro la struttura con macchine piccole e demolire dall’interno. L’altra soluzione, che abbiamo adottato, era quella di utilizzare macchine con braccio lungo e procedere con cautela alla rimozione del piano superiore. Inizialmente abbiamo fatto un puntellamento del primo e secondo piano per sostenere la parte debole dell’ultimo piano adibita a solaio in modo da poter depositare del materiale e poi ci siamo lanciati nella sfida”. Il cantiere di demolizione è stato terminato in tempi brevi in quanto il committente aveva necessità dell’area rapidamente. La Ecoinerti ha provveduto inizialmente ad abbattere tutte le strutture che insistevano vicino al fabbricato principale per
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permettere alle macchine da demolizione di avvicinarsi all’edificio da abbassare. Le difficoltà maggiori riscontrate sono state la vicinanza a edifici commerciali, grandi strade di comunicazione e la ferrovia che, grazie all’abilità della società, non hanno mai dovuto interrompere il servizio. Rumori e polveri sono stati contenuti grazie agli accorgimenti compiuti. La parte più difficile della demolizione è stata l’abbassamento del piano e gli spazi ridotti per la movimentazione delle macchine, nonché la scarsa visibilità che è stata risolta grazie al montaggio di telecamere sui bracci degli escavatori. “Dato lo spazio molto stretto e lungo - racconta Matteo Pancaldi - abbiamo pensato di mettere una macchina davanti e una dietro e lavorare in sinergia. Uno sosteneva la struttura, mentre l’altro tagliava con la pinza il calcestruzzo. La struttura portante del tetto, realizzato in opera, era in calcestruzzo ed era sospesa lateralmente sui due muri, per cui abbiamo dovuto fare attenzione che non cadesse e andasse a minare la stabilità degli altri piani. Le pareti armate e i laterizi di tamponamento dei muri li abbiamo presi con i grapple facendoli cadere verso l’esterno. Grazie a questo lavoro minuzioso e di precisione poco alla volta, in una settimana, abbiamo tolto il piano, poi alla fine abbiamo fatto anche pulizia. Abbiamo montato la benna con la telecamera e piano piano siamo riusciti, stando molto leggeri, a far cadere le macerie all’esterno. Per noi è stata una sfida importante e una grande responsabilità”. Demolire non avendo una perfetta visibilità richiede notevoli doti in quanto è necessario “ascoltare” le vibrazioni dell’escavatore. “Utilizzare le telecamere - conclude Andrea Pancaldi - all’inizio non è stato facilissimo perché la prospettiva è diversa da quella dell’occhio umano, ma alla fine abbiamo fatto un ottimo lavoro”. Le macerie generate dalla demolizione, circa 2000 m³ di inerti, sono state riutilizzate in loco per le opere di costruzione successive alla demolizione. La ex Nord Ovest continua la sua metamorfosi e domani si risveglierà supermercato.
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PER UN’ECONOMIA CIRCOLARE INDUSTRIALE L’IMPIANTISTICA DI FILIERA DI PROSSIMITÀ NEL TERRITORIO GESTITO DA VALLE UMBRA SERVIZI di Moreno Marionni e Walter Rossi*
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egli ultimi anni la componente più seguita dei sistemi di gestione integrata [1] è stata la fase di raccolta, impegnando i gestori nell’incremento delle quantità raccolte in maniera differenziata e nell’ottenere flussi di maggiore qualità in termini di riduzione dei materiali non conformi, oltre a una ridefinizione della logistica. Un sistema al fine di essere valutato come efficace ed efficiente è osservabile dal risultato finale in relazione allo sforzo prodotto e delle risorse impiegate; nel sistema dei rifiuti sicuramente è la chiusura del ciclo della filiera che è un indice importante di tale efficacia (l’umido e verde trasformato in compost/ biometano, le plastiche in nuovi polimeri effettivamente utilizzabili, valorizzazione degli scarti non recuperabili in nuovi materiali ecc.). La chiusura dei cicli si ottiene con l’impiantistica che in diversi territori italiani risulta essere l’anello debole. L’interruzione dell’ultimo anello pur in presenza di elevati livelli di raccolta differenziata porta a un mantenimento di una linearità dei processi o costringe a soluzioni emergenziali con i costi conseguenti. Valle Umbra Servizi S.p.A. è una multiutility che nasce nel 2001, dalla fusione delle due Società del territorio Valle Umbra Sud facenti capo ai due principali Comuni di Spoleto e Foligno (ASE Spoleto S.p.A. e ASM S.p.A.), a cui sono seguite altre fusioni quali il Consorzio Servizi Ambientali e Centro Ambiente S.p.A. Valle Umbra Servizi S.p.A. è soggetto gestore dei servizi idrici, energetici e ambientali nei comuni dell’Ambito Territoriale Integrato Umbria n. 3 (ora AURI Umbria subambito 3). La struttura Societaria adottata “Multiservizio" permette di sfruttare sinergie industriali, economiche e finanziarie tra le varie aree di business. Valle Umbra Servizi in ottica di filiera gestio-
“Quelli che s’innamorano di pratica sanza scienza, son come ‘l nocchiere, ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada. Sempre la pratica deve essere edificata sopra la bona teorica” Leonardo nale, nella sua strategia ha cercato di applicare ed estendere il principio di prossimità (e autosufficienza) [2] per gestire i principali flussi di rifiuti prodotti secondo una scelta di maggiore economicità, sostenibilità e affidabilità nella garanzia della continuità dei servizi e chiusura dei cicli a livello locale. In queste pagine si rappresentano brevemente le tre principali esperienze di impiantistica di filiera del proprio territorio: • Filiera Frazione Rifiuti Organici (umido e verde): impianto finalizzato alla valorizzazione del rifiuto organico (Biodigestione e compostaggio per la produzione di fertilizzanti e biometano); • Filiera Frazioni Rifiuti secchi e RUR (Rifiuti Urbani Residui – ex Rsu Indifferenziati): impiantistica di filiera di valorizzazione delle frazioni secche (carta, plastiche-metalli, vetro, legno ecc.) e minimizzazione degli scarti (RUR – TMB trattamento meccanico biologico); • Filiera Emergenziale Macerie (Rifiuti inerti): impianto di filiera frazioni inerti finalizzata alla valorizzazione delle macerie nella gestione emergenziale del terremoto occorso nella regione Umbria del 2016 (Valnerina, Norcia).
b.
c.
d.
erobica della frazione organica umida (FOU-Forsu), biometano utilizzabile nella rete di distribuzione locale di gas naturale gestita da Valle Umbra Servizi; migliorare la qualità del compost ottenuto dalla frazione organica dei rifiuti mediante il processo di digestione anaerobica che produce, dal digestato, compost di qualità; rispettare il principio di prossimità, mantenendo il trattamento delle frazioni raccolte in forma differenziata all'interno del territorio dell'ambito; utilizzare l'attuale sito dell'impianto di selezione e compostaggio, baricentrico rispetto al bacino dell'ATI3, senza
FILIERA FRAZIONE RIFIUTI ORGANICI
La realizzazione dell’impianto è frutto di un project financing dove la società Asja Ambiente Italia S.p.A. ha realizzato e gestisce in conformità alle normative europee e nazionali vigenti il nuovo impianto permettendo di: a. produrre, mediante la digestione ana-
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Figura 1. Il settore Igiene Ambientale del gruppo Valle Umbra Servizi
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Figura 2. Il territorio gestito da Valle Umbra Servizi (Auri sub-ambito 3 Regione Umbria) con circa 160.000 abitanti, 22 Comuni e circa 90.000 ton/anno di rifiuti complessivi da gestire
dover individuare nuove localizzazioni, sfruttando così al massimo le sinergie di sistema e le funzionalità logistiche. L’impianto è da intendersi come un sistema impiantistico complesso costituito da due diverse sezioni di trattamento. Una sezione di produzione di biometano: sezione di digestione anaerobica per la produzione di biogas e la sua successiva purificazione per ottenere biometano da immettere nella rete del gas naturale e up-grading con sistema a membrane. Una sezione di compostaggio: sezione con sistema a biocelle destinata alla stabilizzazione aerobica dei rifiuti per la produzione di ammendante compostato misto ai sensi del D.lgs. 75/2010.
FILIERA FRAZIONI RIFIUTI SECCHI E RUR
Nell’area impiantistica di Casone (Foligno) è presente il vecchio impianto di Trattamento Meccanico Biologico che mantiene attualmente la funzionalità per il trattamento del rifiuto indifferenziato e lo stoccaggio di alcune frazioni differenziate (vetro, ingombranti, spazzamento stradale ecc.). Il Rifiuto Urbano Residuo (RUR - RSU indifferenziato) in ingresso alla linea di selezione
Figura 3. Impianto TMB di Casone (Foligno) nello stato di progetto aree esterne
viene infatti opportunamente suddiviso in due frazioni principali: • sovvallo (frazione secca) che presenta ancora possibilità di recupero in termini di materia ed energia (CSS Combustibile Solido Secondario) oltre allo smaltimento in discarica; • sottovaglio (frazione umida da selezione meccanica) che viene inviato a biostabilizzazione. È prevista la realizzazione di un progetto di adeguamento e miglioramento funzionale al trattamento meccanico biologico (TMB) finalizzato alla valorizzazione delle frazioni secche e la minimizzazione degli scarti. Il progetto di revamping prevede, in aggiunta alla già esistente linea del trattamento RUR-RSU, l’introduzione di due nuove linee integrate di trattamento delle frazioni secche derivanti dalla raccolta differenziata quali carta/cartone e plastica/lattine. Il progetto consente di mantenere l’attuale area impiantistica adeguandola all’attuale scenario di riferimento regionale [3] che prevede il raggiungimento del 72,3% di raccolta differenziata entro il 2020 e migliorando al contempo le performance di recupero di materia. Le linee di lavorazione saranno caratterizzate da un elevato grado di automazione dei processi di trattamento e da una buona flessibilità così da saturare la capa-
L’IMPIANTO DI FOLIGNO IN NUMERI Sito impianto: Comune di Foligno | Località Casone Regione Umbria Superficie interessata: circa 3,9 ha Capacità di trattamento in entrata: FORSU: 40.000 t/a - Verde: 13.500 t/a Produzione oraria di biometano: 499 Sm3/h di biometano Produzione annua biometano: 4,2 mln Sm3/a (fabbisogno annuale di 2380 famiglie o 533 veicoli) Produzione annua di compost: 15.000 t/a Processi: Digestione anaerobica - Compostaggio - Upgrading biogas Tecnologia digestione: Digestore semi-dry - plug-flow - termofila Tecnologia upgrading: Permeazione Membrane
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cità produttiva dell’impianto con vantaggi in termini di recupero di materiali, riduzione degli scarti da destinare a smaltimento finale sia in quantità che volume e costi di gestione soprattutto se, come da previsioni si verifichi una diminuzione del rifiuto indifferenziato a favore del differenziato. Pertanto la nuova impiantistica di valorizzazione della filiera delle frazioni secche e RUR prevede: • Linea integrata valorizzazione RURRSU indifferenziati al fine di effettuare il trattamento meccanico biologico TMB a flussi separati continuando l’invio della frazione organica a stabilizzazione, mentre la frazione secca (sovvallo) subisce un ulteriore processo di recupero di materia e riduzione volumetrica degli scarti; • Linea integrata di valorizzazione carta e cartone; • Linea integrata di valorizzazione raccolte plastiche e metalli.
FILIERA EMERGENZIALE MACERIE
Tra i soci di Valle Umbra Servizi S.p.A. sono presenti i Comuni dei territori che hanno subito i principali danni dal terremoto del 2016 (Norcia, Cascia, Preci). Pertanto la Regione Umbria alla luce dell’esperienza già maturata da VUS S.p.A. nel terremoto del 1997 e in relazione al rapporto con i Comuni colpiti ha affidato la rimozione, selezione, trattamento e recupero delle macerie cosiddette pubbliche della normativa speciale emergenziale. VUS ha accettato questa sfida e ha adempiuto alla rimozione e al trattamento al 31 dicembre 2018 delle 100.000 tonnellate affidate e gestito il deposito di oltre 130.000 tonnellate di terre. Nel mese di agosto 2019 è stata incaricata di rimuovere e trattare altre 53.000 tonnellate di macerie pubbliche. Lo scopo è quel-
lo di fornire un servizio certo ai Comuni terremotati, eseguire con correttezza e sicurezza le operazioni di trattamento e recupero in un territorio allora privo di strutture adeguate alla gestione di tali volumi di rifiuti. L’impianto di deposito principale e trattamento è stato realizzato con impiantistica mobile presso una ex-cava dismessa sita in loc. Misciano di Norcia su una superficie di circa 40.000 mq. Un altro deposito con sole finalità logistiche di circa 6.000 mq è stato realizzato in loc. Castelluccio di Norcia a 1600 m di altitudine. Il processo di recupero inizia a monte del conferimento e abbiamo le seguenti fasi del sistema integrato messo in atto che è seguito da un processo di tracciabilità di tutte le attività messe in atto dalla rimozione al materiale recuperato: verifica dell’assenza di materiali pericolosi, raccolta presso i siti di rimozione e preselezione (logistica e prima selezione); deposito in aree dedicate presso il sito di Misciano, selezione e trattamento/vagliatura, analisi e controllo del processo aggregati riciclati recuperati (marcatura CE dei materiali e test ambientali). Al fine di quantificare le prestazioni meccaniche offerte dai materiali è stata attivata una convenzione con il “Laboratorio di Strade Ferrovie ed Aeroporti” VIARIA del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Perugia con sede in Foligno che ha provveduto a tutte le attività necessarie per la certificazione dei lotti prodotti. Qualunque tipologia impiantistica deve poter suddividere il materiale in entrata in almeno tre flussi di materia: materiale lapideo riutilizzabile; frazione leggera (carta, plastica, legno, impurità); frazione metallica. Oltre all’utilizzo di sistemi mobili di frantumazione a mascelle e vagliatura, si è aggiunta un’ulteriore apparecchiatura costituita da una stazione di selezione manuale mobile Kiverco Recycling plant modello PS122. Si tratta di una stazione di selezione mobile che combina separazione pneumatica, separazione magnetica e smistamento manuale, tutto in un’unica unità compatta: separazione pneumatica integrata per produrre le frazioni leggere, separazione magnetica integrata per recuperare i metalli ferrosi, smistamento da 2 a 6 vani per recuperare pietre, legno, carta, plastica, non recuperabili ecc.
rati nel trattato “Raccolta e usi di Rifiuti e Residui” (Bruttini, 1923) [6], si descrivono le modalità di raccolta, conservazione, trattamento, proprietà e impiego dei rifiuti e dei residui per l’alimentazione dell’uomo e degli animali domestici, per la concimazione e per varie industrie agricole. Naturalmente l’interesse è rivolto al settore agricolo quale settore primario nell’economia dell’epoca. La mancanza di materie prime, conseguente al periodo postbellico della Prima Guerra Mondiale, rendeva economicamente convenienti tali usi. Oggi questa necessità di spingere al riutilizzo e recupero dei materiali è una scelta politica il cui indirizzo deve essere governato da interventi mirati a incentivare un sistema che in tempi di guerra o comunque di scarsità è capace di sostenersi naturalmente. Le quattro direttive del "pacchetto economia circolare" sono state pubblicate in GUUE del 14 Giugno 2018 e dovranno essere recepite dagli Stati membri entro il 5 luglio 2020 con obiettivi ambiziosi e che implicano una impiantistica adeguata in un’ottica di Economia Circolare Industriale: a. rifiuti urbani: entro il 2025 almeno il 55%, entro il 2030 il 60% ed entro il 2035 il 65% di recupero; b. discariche: fino a un massimo del 10% entro il 2035; c. riciclaggio imballaggi: 65% degli imballaggi entro il 2025 e il 70% entro il 2030; questo potrà realizzarsi solo perseguendo la realizzazione di impianti di recupero adeguati e favoriti da una elevata raccolta differenziata a monte dei rifiuti (sia in termini quantitativi che qualitativi), con investimenti in innovazione tecnologica di processo e di prodotto nei nuovi materiali realizzabili, conoscendo anche la destinazione certa degli scarti non altrimenti riutilizzabili (CSS/ discariche). *Valle Umbra Servizi S.p.A.
PER UNA VISIONE DI FILIERA CIRCOLARE
È necessaria una visione di filiera di gestione e recupero dello scarto che si origina dall’utilizzo delle risorse, un approccio sistemico che parte dalla sua minimizzazione all’origine, al controllo durante i processi produttivi, al massimo recupero a valle del flusso di materia/energia. Concetto oggi ripreso ed esteso dal cosiddetto “urban mining” e che riguarda tutte le attività e i processi di bonifica di composti, energia ed elementi da prodotti, edifici e rifiuti generati dal catabolismo urbano (Di Maria, 2013) [4]. Parafrasando la citazione di Leonardo nell’introduzione è riscontrabile nella buona pratica che processi con implicazioni di conoscenze su aspetti chimici, fisici, meccanici e biologici, tradotti in una filiera industriale sostenibile devono essere affrontati con la giusta dose di pragmatismo e non solo teorica. La raccolta dei rifiuti ha due obiettivi principali: l’igiene sanitaria ambientale e la massimizzazione del recupero. Concetti che sono già affermati all’inizio del ‘900 dove i primi trattati di ingegneria sanitaria ambientale (Spataro, 1909) [5] riportavano che il problema tecnico-sanitario comprende due quesiti: a) la raccolta delle materie di rifiuto; b) il loro smaltimento (ndr oggi si direbbe recupero). Per comprendere l’importanza dell’effettivo uso dei materiali recupe-
Figura 4. Piazza San Benedetto da Norcia con la chiesa con i segni dell’evento sismico
Figura 5. Sito di deposito e impianto trattamento recupero inerti di Misciano (Norcia)
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NOTE
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[1] Sistema integrato di gestione rifiuti solidi (Integrated Solid Waste Management). Una definizione di sistema integrato di gestione dei rifiuti solidi (IWM Integrated Waste Management ) è la seguente: “ la combinazione che associa il flusso (la produzione) dei rifiuti (Waste), con la raccolta (Collection), con i metodi di trattamento/recupero (Materials Recovery Facilities) e smaltimento (Landfill), con gli obiettivi da raggiungere sia in termini di benefici ambientali, sia ottimizzando l’aspetto economico (riducendo al minimo i costi complessivi del sistema), che l’accettabilità sociale [Integrated Solid Waste Management IWM: a Life Cycle Inventory AAVV Blackwell 2003]. [2] Le norme del D.lgs. 152/06 che descrivono il principio di autosufficienza (e prossimità) nella gestione dei rifiuti, in particolare per quanto riguarda l’attività di recupero di rifiuti urbani indifferenziati è l’art. 182bis, c. 1, lett. a) dispone “Lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati sono attuati con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali; b) permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti
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stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti”. L’art. 182, c. 3 “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”. [3] Delibera Regione Umbria DGR n.34 del 18 gennaio 2016 e Delibera Giunta Regionale Umbria 1049/2018 del 04/12/2018 [4] Di Maria F., Sordi A., Micale C., Cirulli C., Marionni M., Rossi W. (2013) Urban Mining: Increasing material recovery from Mechanical Biological treated residual municipal solid waste. In: Sardinia Symposium 2013. - Baccini P., Brunner P.H., 2012, Methabolism of the Antroposphere. Analysis, Evaluation, Design. MIT Press pag. 304 “The term urban mining describes the exploration and explotation of material stocks in urban systems for anthropogenic activities…Urban mining is urban geology combined with urban engineering”. [5] Spataro D., (1909) Trattato Generale teorico pratico dell’arte dell’ingegnere: Ingegneria Sanitaria - Provvista dell’acqua e risanamento dell’abitato. La Classificazione delle materie di rifiuto. “Raccolta e destinazione delle materie di rifiuto. Per l'igiene dell'abitato le materie di rifiuto dovrebbero essere allontanate prima che esse comincino a putrefarsi. L'allontanamento dal luogo della produzione non risolve il problema; perché le materie di rifiuto cambiando di sede non cambiano
di natura, e la salvezza d'un luogo può essere il danno d'un altro luogo vicino. Il problema tecnico-sanitario comprende due quesiti: a) la raccolta delle materie di rifiuto; b) il loro smaltimento (oggi si direbbe recupero). Per quel che diremo a proposito dello smaltimento delle immondizie si consiglia oggidì di praticare fin dalle case la divisione dei rifiuti secondo la loro natura. A New-York ad esempio i cittadini devono tenere un recipiente per gli avanzi di cucina e per le materie umide, un altro recipiente per le ceneri e le spazzature della casa, e infine un altro per la carta. Il sistema divisore è consigliato fortemente dai fautori della utilizzazione agricola". [6] Bruttini A., (1923), “Raccolta e usi di Rifiuti e Residui”: “...in mezzo a tali difficoltà era naturale che specialmente nei paesi più bisognosi di derrate e di materie prime, si ricorresse all’utilizzazione di tanti cascami e residui che prima di allora erano totalmente o in buona parte trascurati, anche perché mancava la convenienza economica, che per molti residui esisteva durante la guerra, dopo avvenuta la pace e andata in certi casi diminuendo e per alcuni, è mancata affatto, tanto che la loro utilizzazione è stata ora abbandonata... uno sviluppo tanto straordinario nei paesi dell’Europa centrale, tanto che la Germania divenne il “paese dei succedanei”... e le altre cause negative accennate in principio, hanno obbligato i diversi popoli a cercare tutti i mezzi di immediata attuazione per mettere in valore dei rifiuti e dei residui fino allora poco o punto utilizzati...”.
UNA CALDA ESTATE TRA CANTIERI L’AZIENDA DI DEMOLIZIONI RAD SERVICE È IMPEGNATA SIMULTANEAMENTE SU PIÙ FRONTI. L’AQUILA, GENOVA, BOLOGNA, CUNEO E VICENZA: CANTIERI DIFFERENTI MA DOTATI DI UNA CARATTERISTICA COMUNE, LE ATTREZZATURE TREVI BENNE di Laura Veneri
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bbiamo colto volentieri l’invito di Trevi Benne e RAD Service a visitare un cantiere di demolizione a Vicenza e vedere al lavoro da vicino la pinza da demolizione primaria Trevi Benne. L’area di 12.000 m² in cui sta lavorando la RAD Service è un ex immobile dedicato a officina meccanica e concessionario auto abbandonato da molti anni che è stato acquistato da una primaria impresa di costruzioni per realizzare un centro commerciale. L’abbattimento delle ex aree industriali è uno dei punti di forza dell’azienda di demolizione di Gubbio che dispone di attrezzature e macchinari all'avanguardia per questo tipo di interventi. Inoltre, la competenza e l’esperienza
maturate nei cantieri di demolizione è determinante per affrontare un sito come quello di Vicenza che deve essere terminato in poco tempo. La durata contrattuale del cantiere per eseguire le demolizioni degli edifici e della scarifica dei piazzali è di solo un mese, dal momento che devono iniziare subito le opere edili che avranno una durata di circa un anno e mezzo. “All’opera ci sono un escavatore Doosan 235 con braccio corto, ultimo nostro acquisto - ci illustra Luca Odorici, responsabile commerciale di RAD Service - a cui verrà successivamente affiancato un escavatore Hitachi 240, dotato di braccio lungo da 17 metri per demolire le palazzine”. Sull’Hitachi è
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montata la pinza primaria HC 23P Trevi Benne dotata di booster moltiplicatore di potenza. “Il booster moltiplicatore di potenza è una valvola integrata sul cilindro che permette la moltiplicazione della pressione di entrata di 3 volte” ci spiega Christian Tadiotto, responsabile marketing Trevi Benne Spa. La pressione viene pre-tarata a 250 bar invece che a 350 bar con dei benefici per il consumo del combustibile, di velocità nel circuito apri e chiudi, e nella potenza di serraggio o frantumazione. La valvola entra in gioco automaticamente quando il materiale offre maggiore resistenza. “Quando nella chiusura delle ganasce si affronta del materiale impegnativo
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da demolire, - continua Tadiotto - entra in gioco la valvola che moltiplica la pressione e la pinza demolisce il materiale in un solo colpo. Viene eliminato il classico apri e chiudi che deve fare l’operatore garantendo quindi maggiore produzione oraria e minor consumo”. Oltre al sito di Vicenza, l’azienda ha all’attivo anche altri cantieri, come ad esempio a Cuneo la cartiera Burgo dove da ottobre 2018 sta demolendo 200.000 m³ VxP di fabbricati indu-
striali di diverse altezze: un intervento complesso in quanto oltre alla struttura è stato necessario smantellare e demolire anche tutta l’impiantistica presente all’interno e la totalità dei macchinari dediti alla produzione della carta. Sempre per Burgo, l’azienda sta portando a termine la demolizione di parte della cartiera di Marzabotto, in provincia di Bologna. RAD Service è operativa anche a Genova dove contribuisce alla demolizione
al suolo del Ponte Morandi. L’escavatore da 30 tonnellate, che è in aiuto all’ATI demolitori del Morandi, è dotato di frantumatore girevole Trevi Benne FR 23P anch’esso dotato di booster moltiplicatore di potenza. “A differenza della pinza primaria, il frantumatore girevole può svolgere sia le fasi di demolizione primaria che secondaria - dettaglia Tadiotto. - Primaria perché essendo girevole può lavorare nella fase aerea e secondaria perché aven-
PINZA DEMOLITRICE PRIMARIA HC 23P La valvola Impact BOOSTER, che caratterizza l'intera linea da demolizione PREMIUM, consente di moltiplicare la potenza – intesa come pressione di esercizio dell'escavatore – raggiungendo un picco di 750 bar, entrando in azione in modo automatico quando il materiale da demolire offre una grande resistenza. Numerosi i vantaggi con pressione di esercizio e flusso d'olio inferiori: • consumo del carburante ridotto del 20% • riduzione ciclo apertura/chiusura in 4 secondi • aumento prestazioni di potenza del 25% • minor impatto ambientale
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1 SISTEMA DI LEVERISMO SINCRONIZZATO CONSENTE APERTURA / CHIUSURA SIMULTANEA DELLE CHELE 2 PROTEZIONE CONICA PER PRESERVARE LO STELO CILINDRO DURANTE LA DEMOLIZIONE 3 PROFILO CHELE AD ALTA PENETRAZIONE
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do la ganascia tipica di un frantumatore riesce a lavorare a terra nelle opere di deferrizzazione”. Infine l’azienda è presente con una squadra fissa dal 2009 a L’Aquila in seguito al sisma che ha interessato e devastato l’area. La RAD Service era stata costituita poco prima del sisma, nel 2008 per opera di Eros Radicchi che ha iniziato l’attività con un escavatore e l’acquisto di una cava. Oggi la società vanta 13 dipendenti e 20 mezzi di proprietà. Grazie alla disponibilità della cava destinata allo smaltimento di macerie, l’azienda opera in tempi brevi e con costi certi per risolvere qualsiasi problema di movimentazione della terra. Da 10 anni sta lavorando sul post sisma de L’Aquila demolendo palazzine e strutture danneggiate, quali la ex casa dello studente, e ad oggi ha demolito nell’area più di 500.000 m³ VxP di fabbricati prevalentemente civili ma anche industriali e artigianali. “Abbiamo varie attrezzature Trevi Benne - ci racconta Radicchi, titolare della RAD Service - che sono un grande aiuto in termini di velocità e affidabilità nei cantieri in cui lavoriamo. Anche in questo caso, così come è per il cantiere all’Aquila, le ore giornaliere in cui utilizziamo le attrezzature Trevi Benne sono molte ma si sono sempre dimostrate all’altezza. Inoltre le pinze della serie Premium sono facili da manovrare e grazie al loro Booster mi offrono quell’aumento di potenza e velocità di cui avevo bisogno”.
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L’IMPIANTO PER IL RICICLO DELLA PLASTICA PIÙ EFFICIENTE IN EUROPA È STATO INAUGURATO IN PROVINCIA DI BRESCIA L’IMPIANTO MYREPLAST INDUSTRIES, CHE VANTA UN’EFFICIENZA DI RICICLO DEL 95% di Laura Veneri
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o avevamo anticipato sul numero di Marzo 2019 di Recover e ora finalmente lo abbiamo visto in funzione. È un impianto di riciclo meccanico come pochi quello che è stato inaugurato a Bedizzole. Un impianto che abbraccia più fasi di lavorazione che raramente sono previste insieme, ma che di solito sono compiute da più aziende distinte. La tecnologia presente è basata su tecnologia proprietaria e vanta una percentuale di recupero del 95%. Stiamo parlando dell’impianto NextChem - società del Gruppo Maire Tecnimont - gestito da MyReplast Industries, che con 60 dipendenti e 8 controllate sta portando avanti oltre 20 iniziative tec-
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nologiche per accelerare l’industrializzazione della chimica verde. Maire Tecnimont è una società quotata in borsa a capo di un gruppo industriale internazionale attivo nella fornitura di tecnologia e nelle attività di ingegneria e costruzione per la realizzazione di grandi impianti industriali per la trasformazione delle risorse naturali (petrolchimico e oil and gas). NextChem è un progetto voluto da Maire Tecnimont, che, negli ultimi 5 anni ha investito oltre 50 milioni di euro in oltre 70 brevetti innovativi per la creazione di un portfolio di tecnologie nell’industria dell’energia e della chimica con iniziative mirate a: mitigare le ricadute ambientali delle tecnologie utilizzate
per la trasformazione del petrolio e del gas (Greening The Brown); implementare il riciclo meccanico della plastica, e promuovere il riciclo chimico (Circular Economy); individuare additivi o sostituti del petrolio per la produzione di carburanti e plastiche da fonti rinnovabili, e industrializzare la produzione di bioplastiche (Green Green). Ma torniamo all’impianto. La presentazione è avvenuta lo scorso 27 novembre quando Maire Tecnimont lo ha illustrato come parte del progetto di Green Acceleration. L’impianto di MyReplast Industries si basa su un modello di business economicamente sostenibile, senza ricorso ad alcun tipo di incentivo pubblico, ed è uni-
co in Europa per capacità produttiva, flessibilità di trattamento e qualità del prodotto finito. È in grado di produrre oltre 40mila tonnellate all’anno di polimeri riciclati, trattando varie tipologie di rifiuto plastico in ingresso, prevalentemente nell’ambito del post-consumo industriale (componenti di autovetture, scarti di produzione di packaging alimentare e industriale). Il processo tecnologico di trattamento assicura un prodotto finito - il polimero riciclato - di qualità elevatissima, con un’efficienza di riciclo altissima. Attraverso un approccio innovativo basato sullo sviluppo prodotto, l’impianto di MyReplast Industries migliora le proprietà del materiale plastico in entrata (up-cycling) consentendone il suo utilizzo per manufatti in grado di accedere a mercati “premium” ad alto valore aggiunto. L’approccio seguito da Maire Tecnimont punta quindi a implementare la logica “dal prodotto alla gestione del rifiuto”: partendo infatti dalle esigenze del mercato a valle, l’obiettivo è quello di produrre una materia prima seconda con caratteristiche chimico-fisiche e proprietà meccaniche in grado di colmare l’usuale gap qualitativo tra questa e la plastica vergine (proveniente direttamente dagli idrocarburi di origine fossile). All’inaugurazione a Bedizzole, hanno partecipato molti membri della comunità imprenditoriale e finanziaria, operatori del settore, e rappresentanti delle istituzioni tra cui l’assessore all’Ambiente e Clima della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo, e il sindaco di Bedizzole Giovanni Cottini. Fabrizio Di Amato, Presidente e Fon-
datore del Gruppo Maire Tecnimont, ha commentato: “Grazie alla nostra leadership nella realizzazione di impianti di produzione di polimeri da idrocarburi, con NextChem possiamo svolgere un ruolo da acceleratore dell’economia circolare, contribuendo alla crescita di un nuovo ciclo economico e occupazionale che ha bisogno di visione d’insieme, competenze industriali, e capacità imprenditoriali. In questo campo l’Italia può ambire a guidare la transizione verso la chimica verde grazie alla sua grande tradizione di ricerca, tecnologia e industria”. Pierroberto Folgiero, Amministratore Delegato del Gruppo Maire Tecnimont, ha aggiunto: “Nell’ottica di una nuova economia sostenibile della plastica, l’impianto di MyReplast Industries rappresenta uno step importante nella strategia di Green Acceleration del Gruppo. Applicare le competenze da tecnologi e impiantisti al nuovo business del riciclo meccanico offre, infatti,
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interessanti opportunità in un settore che ha bisogno di industrializzare il ciclo di rigenerazione di questa tipologia di materiali. Ci confermiamo ancora una volta first mover come developer nel settore, dalla fornitura di tecnologia, alla realizzazione di impianti”. L’assessore all’Ambiente e Clima della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo ha dichiarato: “Questo impianto è un esempio molto avanzato di economia circolare frutto del genio degli imprenditori lombardi e dell’utilizzo delle tecnologie più all’avanguardia: adottando soluzioni innovative in questo impianto è possibile riciclare fino al 95% della plastica e produrre una gamma di polimeri riciclati integralmente utilizzabili nella produzione come e al posto della plastica vergine. Questa è la strada giusta - ha proseguito - la strada dell’innovazione che massimizza il recupero. Una strada su cui la Lombardia si è già avviata e che vogliamo diventi il paradigma dello sviluppo di
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ni lombardi ha attivato la raccolta differenziata della plastica, si recupera oltre il 90% della plastica e 226.042 delle tonnellate raccolte sono state avviate impianti di recupero di materia. Ricicliamo il 54%, una percentuale significativamente più alta di quella europea. Sono circa 18 kg di plastica pro capite recuperati nel 2018, dieci volte in più rispetto al 2008”.
LE FASI DELL’IMPIANTO
Le fasi cui sono sottoposti i rifiuti che entrano nell’impianto sono cinque e sono sintetizzabili in: • selezione dei polimeri; • macinazione; • lavaggio; • selezione cromatica; • compounding.
SELEZIONE DEI POLIMERI
questi anni. La nostra Regione, eccellente nel modello industriale tradizionale deve essere eccellente anche nel modello dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare”. Nel mondo si producono oltre 350 milioni di
tonnellate di plastica e ne viene recuperato il 15%. In Europa se ne producono 60 milioni e se ne recupera circa la metà. “In Lombardia siamo ben più all’avanguardia nel recupero delle materie plastiche: il 99,8% dei Comu-
L’impianto di selezione dei polimeri permette il vaglio delle differenti tipologie di polimeri partendo da una miscela eterogenea di rifiuti. L’obiettivo principale di questa sezione è quello di separare i polimeri per famiglia e applicazione e prepararli quindi alle fasi successive di produzione. Nell’impianto di MyReplast Industries sono state unite le più moderne tecnologie di selezione per raggiungere anche il recupero di frazioni che precedentemente venivano scartate e quindi smaltite presso discariche o inceneritori. Per ottenere una resa così elevata, viene eseguita in ingresso una selezione avanzata dei rifiuti plastici, utiliz-
ACCORDO ENI E MAIRE TECNIMONT PER IMPLEMENTARE UNA NUOVA TECNOLOGIA CHE TRASFORMA I RIFIUTI NON RICICLABILI IN IDROGENO E METANOLO Mentre veniva inaugurato l’impianto a Bedizzole, Fabrizio Di Amato, Presidente e Fondatore del Gruppo Maire Tecnimont, dava l’importante notizia della sottoscrizione di un accordo di partnership tra Eni e Maire Tecnimont, attraverso la controllata NextChem, per lo studio e realizzazione di una tecnologia di conversione, tramite gassificazione ad alta temperatura e a bassissimo impatto ambientale, di rifiuti solidi urbani e plastiche non riciclabili per la produzione di idrogeno e metanolo. Eni e NextChem valuteranno sinergicamente dal punto di vista tecnico ed economico l’applicazione della tecnologia, che potrebbe essere realizzata in siti industriali di Eni in Italia. In particolare, Eni ha già manifestato l’interesse a valutare il progetto “Waste to Hydrogen” nella bioraffineria di Venezia, a Porto Marghera, e già realizzato lo studio di fattibilità in collaborazione con NextChem. L’accordo, con il quale Eni è co-developer della tecnologia NextChem, permetterà di applicare concretamente l’economia circolare, dando una seconda vita a centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti non riciclabili attraverso la produzione di prodotti chimici e combustibili, contribuendo così alla sostenibilità ambientale dei siti industriali nell’ambito di un sistema sempre più integrato ed efficiente volto al contenimento e riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera. “Con questa partnership Eni acquisisce una tecnologia fortemente innovativa che, unitamente al grosso patrimonio tecnologico accumulato in decenni di attività di raffinazione, permetterà l’avvio di una concreta economia circolare che dai rifiuti produrrà carburanti a basso impatto ambientale” ha commentato Giuseppe Ricci, Chief Refining & Marketing Officer di Eni. “Questa partnership tecnologica con un leader come Eni rappresenta per noi un risultato importantissimo nel nostro progetto di green acceleration” ha commentato Pierroberto Folgiero, AD del Gruppo Maire Tecnimont. “La transizione energetica richiede l’industrializzazione di nuovi processi di trasformazione e con NextChem siamo posizionati per rispondere a questa crescente esigenza di cambiamento”.
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zando oltre una decina di stazioni con sensori ottici fornite dal leader di mercato Tomra Sorting Recycling, con cui Maire Tecnimont ha collaborato nello sviluppo di tecnologie ottimizzate per i propri processi.
MACINAZIONE
Gli impianti di macinazione, ovvero il ricondizionamento volumetrico e la separazione delle varie tipologie di rifiuti plastici, costituiscono una fase fondamentale per il recupero e la produzione di materia prima seconda (MPS). Operano 4 impianti per la macinazione progettati e costruiti per la lavorazione di tutte le tipologie più o meno grossolane e difficoltose. In uscita dal mulino il materiale macinato viene raccolto e convogliato a un impianto di aspirazione per ripulirlo dalle frazioni leggere e poi passa in una ulteriore sezione attrezzata con separatori magnetici e metal detector per la distinzione di metalli ferrosi e metalli non ferrosi. Il macinato finale
viene quindi raccolto in appositi big bags per potere essere poi destinato alla vendita o ad altre lavorazioni.
LAVAGGIO
L’impianto di lavaggio, costituito da due linee parallele dedicate, ha lo scopo sia di pulire il materiale da impurità che di implementare una separazione qualitativa basata sulla densità intrinseca dei polimeri avviati al riciclo. Le linee dedicate permettono di lavorare in modo specifico varie tipologie di imballaggi riuscendo a ottenere la massima pulizia da etichette e altre impurità che causerebbero problemi all’utilizzo finale del materiale. Le acque di lavaggio, opportunamente convogliate, vengono riciclate passando preventivamente nella vasca di raccolta per allontanare i materiali grossolani. Sul fondo del decantatore tenderanno ad accumularsi i fanghi di processo che saranno filtrati e smaltiti secondo le norme vigenti.
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SELEZIONE CROMATICA
Grazie a un impianto ottimizzato è possibile selezionare un singolo colore o un mix di vari colori creando una miscela ideale per gli utilizzatori finali. L’impianto riesce a selezionare fino a 5 colori in un unico passaggio grazie a un sistema di rilancio del macinato dopo ogni passaggio.
COMPOUNDING
Grazie alla ricerca e sviluppo dell’azienda, nell’impianto di compounding si implementa l’upcycling dei polimeri, producendo granuli con delle caratteristiche fisiche, chimiche e tecniche comparabili ai materiali vergini ottenuti da idrocarburi. MyReplast Industries è in grado di produrre granuli per le applicazioni ad alta tecnicità e di valore aggiunto come i prodotti per l’automotive, i casalinghi, l’elettronica, la logistica, gli imballaggi, il giardinaggio e l’edilizia. Le lavorazioni dell’impianto riducono al minimo la percentuale di scarto, ossia il materiale non più utilizzabile.
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VALUTAZIONE FLUIDODINAMICA NELLA PROGETTAZIONE DEI CONFINAMENTI STATICO-DINAMICI COME LA FLUIDODINAMICA COMPUTAZIONALE PERMETTE DI DIMENSIONARE CON PRECISIONE LE OPERE NECESSARIE ALLA REALIZZAZIONE DEI CONFINAMENTI STATICO-DINAMICI. 2 CASI STUDIO di Paolo Cecchella e Alfio Bazzichi*
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confinamenti statico-dinamici di grandi dimensioni sono sempre più comunemente utilizzati nelle attività di decommissioning di strutture e/o impianti nei quali sono presenti sostanze pericolose e per le quali, durante le fasi di bonifica/demolizione, se ne deve garantire il totale controllo. Questa impostazione è sempre più diffusa: sia per
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la facilità con cui si riescono a reperire estrattori a elevata portata con dei costi competitivi, sia per la crescente richiesta di operare demolizioni di fabbricati parzialmente crollati (e quindi inaccessibili) nei quali alcune componenti pericolose devono essere confinate proprio durante le attività di demolizione. Questo approccio ha portato alla luce la pro-
blematica della progettazione di queste opere provvisionali e, più precisamente, il posizionamento dei sistemi di regolazione dei ricambi d’aria (estrattori e prese d’aria). Il presente articolo illustra i risultati di uno studio fluidodinamico condotto per valutare i movimenti dei flussi d’aria all’interno di un confinamento statico dinamico. Dopo aver spiegato le basi teoriche del metodo, saranno illustrati gli sviluppi di due specifiche applicazioni.
I CONFINAMENTI STATICO-DINAMICI
La normativa impone sempre di più l’utilizzo di tecniche di separazione tra le aree in bonifica e le aree esterne all’intervento, al fine di limitare e/o annullare il flusso di sostanze pericolose verso il personale non addetto all’intervento stesso. Si parlerà, così, di confinamento statico quando si esegue una attività di decommissioning in una camera potenzialmente stagna che impedisce qualsiasi diffusione di sostanza verso l’esterno. In tale caso, al fine di proteggere il personale che opererà all’interno del confinamento statico si tende a prevedere/ garantire un adeguato numero di ricambi d’aria in modo da poter mantenere la concentrazione delle sostanze pericolose sotto un limite di riferimento (in genere definito come il rapporto tra l’efficacia del DPI utilizzato e il TLV della sostanza pericolosa presente [1]). La necessità di assicurare dei ricambi d’aria si associa, inoltre, a un secondo scopo: favorire la depressione tra interno ed esterno della camera garantendo che qualsiasi flusso sia sempre e comunque diretto dall’esterno verso l’interno, non potendo di fatto eseguire confinamenti stagni perfetti. Il sistema dei ricambi d’aria, nel suo complesso, permette di realizzare un confinamento dinamico. Per tale motivo si parla di confinamento statico-dinamico. Nel corso degli anni ’90, periodo in cui si è incominciato a utilizzare questi sistemi di protezione, il calcolo fluidodinamico si limitava a definire la portata degli estrattori come il prodotto tra il volume del confinamento statico e il numero dei ricambi d’aria (in genere definiti dalla norma): Pestrattori=Vconfinamento.nricambi Qualora il numero dei ricambi non fosse noto, è possibile valutare questo parametro considerando che se ρ è l’efficacia del filtro del DPI [%], µ è la concentrazione TLV ammissibile per la sostanza pericolosa [mg/m3], γ è la produzione della sostanza pericolosa all’interno del confinamento [mg/m3h], il numero dei ricambi d’aria deve essere almeno: μ=ρ·γ/nricambi Dalla portata di aspirazione deriva il numero di estrattori in
funzione della potenza elettrica disponibile e della geometria del confinamento in modo da assicurare, il più possibile, un flusso costante tra punto di ingresso [presa d’aria] e aspirazione [estrattore]. La prova fumi e la constatazione della effettiva contrazione delle pareti del confinamento daranno garanzia empirica della buona realizzazione del confinamento. Questo schema semplificato riesce a rappresentare correttamente i confinamenti monodimensionali (in cui uno dei parametri geometrici prevale rispetto agli altri due e al cui interno non ci sono ostacoli rilevanti). Dal punto di vista fluidodinamico parleremo in questo caso di moto laminare. La situazione si complica notevolmente nel momento in cui il confinamento da realizzare diventa più complesso e da moto laminare si passa a moti turbolenti. Come illustrato nella figura possiamo avere confinamenti in cui la forma risulta essere bi o tri dimensionale o, nei casi reali, confinamenti in cui sono presenti all’interno ostacoli (sia pieni che vuoti). Questi introducono fenomeni turbolenti sempre maggiori. Pertanto, il calcolo semplificato non riesce a descrivere compiutamente tutti i fenomeni che si possono verificare all’interno del confinamento e per questo accanto alla valutazione del numero e potenza degli estrattori, la normativa ha introdotto una prova empirica [prova fumi], che mira a verificare che non sussistano situazioni di ristagno nel moto dell’aria all’interno del confinamento durante le fasi di aspirazione. La prova fumi permette di correggere in opera il posizionamento degli estrattori e delle relative prese d’aria. Ciò risulta efficace nei confinamenti piccoli in cui gli aggiustamenti in corsa non incidono sui costi e sui tempi.
I GRANDI CONFINAMENTI STATICO-DINAMICI
Le condizioni fluidodinamiche si presentano sicuramente molto differenti quando si devono realizzare confinamenti di grande dimensione. Le situazioni in cui questa necessità è richiesta sono sempre più frequenti: derivando, in generale, da tutti i casi in cui le fasi di bonifica e quelle di demolizione
MODELLI CFD Una caratteristica distintiva di un modello CFD è il regime delle velocità di flusso (relative alla velocità del suono) per cui è stato progettato. I codici che riproducono flussi ad alta velocità, prossimi alla velocità del suono nel mezzo considerato, devono gestire effetti di compressibilità e onde d’urto. Per basse velocità, invece, è possibile trascurare esplicitamente gli effetti di compressibilità che danno origine a onde acustiche (sonore). Le equazioni di Navier-Stokes descrivono la propagazione di informazioni a velocità basse, paragonabili a quelle in gioco durante un incendio (circa 10 m/s), ma anche a velocità alta, dell’ordine di grandezza di trasmissione delle onde sonore (per aria ferma, 300 m/s). Risolvere una forma discreta di queste equazioni richiederebbe dei passi temporali estremamente ridotti per tenere conto delle informazioni che viaggiano alla velocità del suono, rendendo difficili le simulazioni pratiche. Il codice FDS risolve le equazioni di trasporto in approssimazioni di velocità basse, molto inferiori quindi rispetto alla velocità del suono, tuttavia sufficienti a predire il comportamento del moto del fluido nel caso in oggetto.
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non possono essere disgiunte. Esempi tipici sono strutture parzialmente crollate o gravemente danneggiate per incendi o calamità naturali e nelle quali si presentano una o più matrici di sostanze pericolose. In questi casi immaginare aggiustamenti in corsa del posizionamento degli estrattori e/o delle prese d’aria risulta molto difficile per l’ingombro degli estrattori stessi (si può arrivare anche a 100.000 m3/h) o per la necessità di prevedere strutture provvisionali ad hoc (per esempio per il posizionamento in quota delle utilities o dell’impianto elettrico). Pertanto riuscire a studiare preliminarmente il flusso d’aria all’interno del confinamento in funzione della reale dimensione e degli ostacoli permette di dimensionare con correttezza tutte le utilities necessarie, ottimizzando tempi di realizzazione e prevedendo i costi di realizzazione con maggiore dettaglio. Per riprodurre il moto dell’aria all’interno di un grosso confinamento non è sufficiente una valutazione della sola ΔP tra ingresso e uscita, ma occorre ricorrere ai principi della fluidodinamica.
a parametri costanti. In altre parole si considera un volume di indagine (dominio) e si discretizza in un numero N di elementi su ognuno dei quali vengono definiti i parametri fluidodinamici e gli scambi con i volumi limitrofi a un determinato tempo t. In questo modo è possibile calcolare, per ogni istante t, le caratteristiche fluidodinamiche del fluido [velocità, direzione, temperatura, densità, ecc.]. Nel caso specifico, il codice utilizzato per simulare e determinare i flussi d’aria all’interno di un confinamento staticodinamico è il Fire Dinamic Simulator (FDS). L’FDS è un codice di fluidodinamica computazionale (CFD) realizzato dal National Institute of Standard and Technology (USA). Il codice, concepito per riprodurre gli effetti della combustione di solidi o gas, è in grado di riprodurre il movimento dell’aria e dei fluidi e possiede un’ampia documentazione di validazione per diversi utilizzi. Nel caso specifico il modulo di generazione di energia derivante dalla combustione è stato annullato.
LA SIMULAZIONE FLUIDODINAMICA Continuity
X-Momentum
Y-Momentum
Z-Momentum
Energy
Al fine di studiare il moto fluidodinamico dell’aria all’interno di un confinamento è necessario ricorrere alle rappresentazioni matematiche sviluppate in fluidodinamica (Equazione di Eulero, Equazione di Bernulli, equazione di Navier-Stoks). Qualsiasi sistema si voglia adottare è necessario studiare per il fluido in questione la conservazione di massa, moto ed energia. La non linearità delle equazioni che possono descrivere il moto di un fluido rende di fatto impossibile trovare una soluzione diretta. Si deve ricorrere quindi a soluzioni numeriche tramite appositi algoritmi matematici di discretizzazione, sviluppate in software specifici. Pertanto la risoluzione del moto di un fluido all’interno di un confinamento richiede un approccio numerico abbastanza complesso che non è l’oggetto della presente pubblicazione. Comunque, per semplificare, si cerca di risolvere discretizzando un dominio in volumi, ognuno dei quali è considerato come un elemento
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DUE PRIME APPLICAZIONI
Al fine di applicare i principi sopra esposti, sono state effettuate due simulazioni nelle quali, per ciascuna, il confinamento statico-dinamico è costituito da una tendostruttura atta a contenere un capannone industriale. In un caso la problematica fondamentale è rappresentata da una statica dell’edificio compromessa con la conseguenza che la tendostruttura deve essere indipendente da questa. Nell’altro, invece, la tendostruttura si può appoggiare alle strutture principali del capannone, ma questo presenta al suo interno dei setti che sfavoriscono un deflusso laminare dell’aria. Inoltre, nel primo caso, la sostanza pericolosa da confinare è l’amianto; mentre nel secondo abbiamo sia amianto sia materiale radiologicamente anomalo (TENORM). Complessivamente il primo confinamento, con forma a volta, è lungo 130 m, largo 35 m e alto al colmo 20 m, per una volumetria totale di oltre 70.000 m3, di cui il 65% è posto al di fuori del capannone, mentre il restante 35% è all’interno. Considerando la necessità di 4 ricambi d’aria, il calcolo tradizionale porterebbe a concludere che sarebbero necessari circa 6 estrattori da 50.000 m3/h. La seconda applicazione invece prevede un confinamento di oltre 190 m di lunghezza, 45 m di larghezza e 29 m di altezza. In questo secondo caso la volumetria complessiva è di circa 140.000 m3, di cui l’80% è all’interno del capannone e il
20% è tra il capannone e il telo del confinamento. In questo caso il calcolo laminare porterebbe a prevedere almeno 12 estrattori da 50.000 m3/h. Nelle due figure che seguono sono riportati sinteticamente alcuni risultati delle indagini condotte dimostrando che l’analisi di fluidodinamica computazionale ha permesso di ottenere delle ottimizzazioni nella progettazione dei due sistemi di confinamento.
trollabile con estrattori posti su di un lato del capannone e le prese d’aria dalla parte opposta [flusso laminare]. Mentre per quanto riguarda la zona all’interno sono sufficienti un numero di estrattori minori, uno per ciascun comparto. Si arriva pertanto a dimostrare che si raggiunge l’equilibrio, in cui sono assenti del tutto zone in cui la velocità dell’aria è zero, dopo circa due minuti dall’accensione del sistema. Il numero di estrattori complessivamente è risultato inferiore al numero calcolato con il metodo tradizionale. A puro titolo informativo la prima simulazione ha richiesto una modellazione dei 70.000 m3 del dominio in 874.800 celle, con un tempo di calcolo intorno a 3 giorni per simulazione; la seconda invece ha previsto il ricorso a 4.256.406 celle per i 140.000 m3 di confinamento, con tempo di calcolo di oltre una settimana a simulazione. La differenza nella discretizzazione tra una modellazione e l’altra non è solo giustificabile con il maggiore volume, ma anche per la complessità della geometria.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Nel primo caso esposto, il numero degli estrattori calcolato con il metodo tradizionale non avrebbe portato a un risultato soddisfacente. La presenza di una doppia camera, oltre che un volume vuoto nel quale saranno presenti gli operatori durante le fasi di demolizione, obbliga a posizionare un numero di estrattori maggiore che, come si può evincere dalla figura, favorisce una maggiore velocità (e quindi un maggiore ricambio d’aria) proprio nella zona ove sono presenti gli operatori.
L’utilizzo della fluidodinamica computazionale ha permesso di dimensionare con precisione le opere necessarie alla realizzazione dei confinamenti statico-dinamici per la bonifica e demolizione di due capannoni nei quali erano presenti amianto e materiale radiologicamente anomalo. Il semplice calcolo laminare non avrebbe permesso di analizzare nel dettaglio i comportamenti reali dei moti all’interno dei confinamenti. Lo strumento ha pertanto permesso di ottimizzare il sistema nel suo complesso. I risultati ottenuti nelle prime applicazioni hanno dimostrato che l’applicazione della fluidodinamica computazionale ai grandi confinamenti può rappresentare un innovativo avanzamento nello studio di questa tecnica di protezione. Sono comunque necessari ulteriori approfondimenti tra cui merita sottolineare: • la verifica dell’applicazione di altri codici CFD in questo ambito, al fine di testare se è possibile limitare i tempi di calcolo che, ad oggi, sono notevolmente lunghi; • la simulazione non solo della dinamica delle masse d’aria, ma anche di una ipotetica prova fumi. Questa potrebbe essere schematizzata con l’introduzione di particelle sospese, permettendo quindi di studiarne il relativo moto verso gli estrattori con conseguente valutazione dei tempi complessivi dei ricambi d’aria; • la realizzazione di un simulatore in scala per la taratura e la validazione dei modelli CFD. *Golder Associates S.r.l.
NOTA Nel secondo caso si è riusciti a dimostrare che il macrovolume è di fatto suddiviso in pluri-scomparti fluidodinamicamente indipendenti l’uno dall’altro: il primo è formato dallo spazio interstiziale tra copertura e confinamento, e gli altri dalle zone fra i vari setti che suddividono il capannone. Il calcolo CFD porta a dimostrare che il moto nel primo scomparto è di tipo laminare e pertanto è facilmente con-
[1] In alcune normative europee, infatti, non si definiscono i numeri di ricambi d’aria in funzione della sostanza pericolosa, ma il legislatore ha preferito imporre un criterio per il quale il calcolo del numero di ricambi d’aria deriva dalla valutazione che la concentrazione filtrata all’interno del DPI dell’operatore sia inferiore al TLV della sostanza pericolosa. Pertanto DPI meno efficaci obbligano a maggiori ricambi d’aria; ma DPI sempre più efficaci per l’inevitabile avanzamento delle tecniche di realizzazione, portano a un abbassamento del numero dei ricambi d’aria.
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APPROCCIO DIRECT-SENSING PER LA CARATTERIZZAZIONE DI SITI CONTAMINATI INDAGINE MIP PER INDIVIDUARE LE SORGENTI DI CONTAMINAZIONE E DELIMITARE L’ESTENSIONE DEL PLUME IN UN ACQUIFERO CON PRESENZA DI COMPOSTI CLORURATI di Claudio Sandrone, Andrea Campi, Fabiano Maccari*
L
a definizione dell’entità e dell’estensione della contaminazione da idrocarburi nel suolo e nelle acque sotterranee con metodi tradizionali prevede il campionamento delle matrici ambientali coinvolte e la successiva esecuzione di analisi di laboratorio. Una limitazione significativa di tale approccio è che richiede la raccolta di numerosi campioni in matrici diverse per definire l'intero profilo verticale insaturo e saturo e la ricostruzione della contaminazione nelle tre direzioni; la ricerca di un’elevata risoluzione dei dati, necessaria per la progettazione di interventi di bonifica in scenari complessi, richiede l’aumento della frequenza di campionamento accrescendo conseguentemente in modo sostanziale i costi della caratterizzazione. Un diverso approccio, che utilizza la tecnica di indagine MIP (Membrane Interface Probe), è stato utilizzato per individuare e delimitare un ampio plume di composti clorurati in un sito del Nord Italia. Il sito, oggetto di monitoraggio tradizionale per diversi anni, non è risultato caratterizzato in modo adeguato nel momento in cui è stato richiesto di eseguire interventi di bonifica propriamente detti abbandonando la Messa in Sicurezza Operativa in atto; non erano infatti state individuate in modo chiaro le due probabili sorgenti di contaminazione, aventi caratteristiche differenti (contaminanti primari TCE e PCE/TCE), e anche il plume di contaminazione di composti clorurati non era stato completa-
mente delimitato. Inoltre, il monitoraggio standard condotto negli anni non aveva permesso di caratterizzare la contaminazione anche in senso verticale (l’acquifero si estende da 2 a 10 m di profondità), mentre alcuni campioni di controllo prelevati a differenti profondità hanno evidenziato differenze anche di un ordine di grandezza lungo la stessa verticale. È stata pertanto progettata un’indagine MIP con lo scopo di individuare e delimitare tridimensionalmente le sorgenti di inquinamento e delimitare il plume di contaminazione, al fine di poter procedere con una progettazione dettagliata e puntuale dei successivi in-
terventi di bonifica, nello specifico con In Situ Chemical Reduction (ISCR). La tecnologia MIP è un sistema in grado di riscontrare in corso di perforazione la presenza di Sostanze Organiche Volatili (VOC) clorurate (e non) in modo continuo; essa si basa sul processo di diffusione molecolare delle sostanze contaminanti attraverso una membrana semi-permeabile e si sviluppa secondo le seguenti fasi: 1. infissione mediante macchina perforatrice, con tecnica direct-push, della punta di campionamento lungo tutta la verticale oggetto di indagine (fino a 10 m da p.c. nel caso specifico);
Figura 1. Vista dei tre rilevatori di cui è dotato il sistema MIP. Da sinistra: rilevatore DELCD, rilevatore FID e rilevatore PID
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Figura 2. Esecuzione delle attività di MIP. La sonda del MIP viene infissa con tecnica direct-push e i vapori inquinati sono registrati dai rilevatori FID, PID e DELCD (su unità mobile)
Figura 3. Output forniti dall’indagine MIP in corrispondenza della postazione MIP03, con indicazione delle concentrazioni di composti clorurati per la taratura del rilevatore DELCD
2. riscaldamento
3.
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della punta a temperature comprese tra 80 e 130°C e conseguente mobilizzazione dei contaminanti presenti nelle diverse matrici ambientali (frazione solida, liquida e gassosa); diffusione molecolare del conta minante attraverso la membrana porosa presente nel sensore e trasferimento del contaminante dal sottosuolo alle unità di analisi poste in superficie. Il trasferimento del contaminante avviene attraverso il flusso di un gas inerte in un apposito tubo di collegamento; analisi del gas in superficie median-
te FID (Flame Ionization Detector), sensibile alla presenza di idrocarburi; PID (Photo Ionization Detector), maggiormente sensibile nei confronti degli idrocarburi aromatici; DELCD (Dry Electrolytic Conductivity Detector), particolarmente sensibile ai composti clorurati; 5. registrazione della risposta del sistema in termini di segnale elettrico misurato. In questo modo è pertanto possibile ricostruire una distribuzione semi-quantitativa del contaminante nel sottosuolo; inoltre il sistema è associato a un monitoraggio continuo della conduttività elettrica finaliz-
zato alla contemporanea verifica delle caratteristiche litologiche del sottosuolo indagato (permettendo quindi di evidenziare il raggiungimento del livello impermeabile base dell’acquifero superficiale). Per il sito in esame l’indagine MIP è stata realizzata da BAW S.r.l. in collaborazione con la società tedesca GEO-LOG. In meno di due settimane sono state realizzate 40 postazioni di indagine MIP, con caratterizzazione in continuo da 0 a 10 m di profondità. Sono inoltre stati prelevati 30 campioni puntuali di acqua di falda (3 campioni per n. 10 verticali) per la successiva taratura dei rilevatori, in modo da correlare il segnale elettrico registrato al valore di concentrazione del contaminante presente in sito. Tali campioni sono stati prelevati con la medesima attrezzatura di perforazione, senza pertanto la necessità di installare piezometri di monitoraggio. I vantaggi rispetto ai metodi tradizionali sono significativi. Il profilo MIP continuo riduce il numero di campioni di suolo e di falda necessari per delineare completamente l'estensione delle aree sorgenti e del plume. Inoltre, il MIP raccoglie dati sia in zona vadosa che in zona satura, fornendo informazioni dettagliate sul profilo verticale dei contaminanti e sulle condizioni geologiche in base alla conduttività del suolo; l’insieme delle informazioni ricavate contribuisce in modo determinante allo sviluppo del modello concettuale del sito. In Figura 3 e in Figura 4 si riportano a titolo esemplificativo gli output derivati da due tra le verticali eseguite. In corrispondenza di tali punti sono stati anche prelevati campioni puntuali per la taratura del segnale, i cui valori di concentrazione (espressi come composti clorurati totali) sono riportati nelle immagini. Per entrambe le postazioni di indagine sopra riportate (e per tutte le altre eseguite nel sito) il segnale più significativo è stato quello rilevato dal sensore DELCD, sensibile alla presenza di composti clorurati. È stato osservato un aumento dell’intensità del segnale con l’aumentare della profondità (più evidente in alcune postazioni di indagine rispetto ad altre), comportamento concorde con la natura dei contaminanti in oggetto che, in particolar modo nelle aree di sorgente, tendono ad accumularsi negli strati più profondi dell’acquifero. Gli altri sensori non hanno rilevato segnali significativi, a conferma del fatto che la con-
Figura 4. Output forniti dall’indagine MIP in corrispondenza della postazione MIP08, con indicazione delle concentrazioni di composti clorurati per la taratura del rilevatore DELCD
taminazione nel sito è dovuta unicamente ai composti alifatici clorurati e alifatici alogenati. Nelle due postazioni sopra riportate, non è stato raggiunto il livello impermeabile dell’acquifero (per la presenza di ciottoli di elevate dimensioni a ca. 10 m di profondità); in tali punti non si osservano infatti le variazioni di conducibilità tipiche del passaggio da un terreno permeabile ad uno a maggior componente limosoargillosa. Nelle figure riportate è indicata anche la temperatura della termocoppia allo scendere della sonda nel terreno; tale parametro è da tenere sotto controllo durante l’indagine, in quanto indica la capacità della Probe di mobilizzare e quindi rilevare i contaminanti presenti nel sottosuolo. Un abbassamento della temperatura (generalmente al di sotto dei 100°C) indica la necessità di rallentare la velocità di discesa della sonda (fatto che avviene tipicamente nei terreni saturi più permeabili). L’interpretazione dei segnali dei vari sensori (e dei relativi profili lungo la verticale) viene eseguita, oltre che sulla base dell’esperienza degli operatori e dei tecnici, anche tenendo conto dei risultati emersi dai campioni di taratura, prelevati con la stessa attrezzatura di perforazione a più profondità dell’acquifero. Nello specifico, nelle Figure 3 e 4 viene riportata anche la concentrazione dei composti clorurati (CHCs) rilevata in campioni prelevati a due profondità lungo le stesse verticali di indagine. Tali dati vengono quindi utilizzati per eseguire una ricostruzione 3D (o, come nel
caso specifico, sezioni 2D a diversa profondità della matrice satura) particolarmente dettagliata dello stato di contaminazione nel sottosuolo. La figura seguente mostra le sezioni 2D ricostruite nella porzione Est del sito (utilizzando i dati emersi da 20 postazioni di indagine MIP). Nello specifico, l’indagine MIP condotta ha permesso di individuare due potenziali sorgenti di contaminazione di composti clorurati nel sito, di cui una è rappresentata in Figura 5; tale area è risultata essere una zona utilizzata in passato per lo stoc-
caggio (in serbatoi fuori terra) di alcuni composti clorurati (principalmente tricloroetilene). L’attività condotta ha evidenziato come l’approccio “direct sensing” sia in grado di fornire elementi utili e dettagliati in merito allo stato di contaminazione del sito, con un costo per unità di volume contaminato (inteso come volume del plume contaminato caratterizzato) decisamente inferiore rispetto a un’indagine tradizionale (condotta mediante realizzazione di una fitta rete di piezometri di monitoraggio) in grado di fornire lo stesso dettaglio. Le informazioni emerse dalla campagna di indagine MIP saranno quindi utilizzate per realizzare specifici piezometri di monitoraggio nelle aree ritenute maggiormente critiche e definire le profondità di campionamento dei piezometri stessi, in maniera tale da completare la caratterizzazione del sito. I dati raccolti con il MIP saranno inoltre molto utili per definire la miglior strategia di bonifica, consentendo una progettazione più accurata degli interventi nelle diverse matrici e nelle diverse aree di contaminazione (sorgente e plume), differenziandoli anche in profondità. Gli interventi alla fine risulteranno più efficaci, perché meglio indirizzati sulla contaminazione presente, e i costi ottimizzati. *BAW S.r.l.
Figura 5. Ricostruzione delle sezioni 2D effettuate sulla base dei dati emersi dall’indagine MIP e dai campionamenti di taratura (il colore rosso scuro rappresenta concentrazioni di CHCs dell’ordine di 1000 μg/l)
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LA RISPOSTA TEMPESTIVA COME FATTORE CHIAVE PER LA SALVAGUARDIA DELLE MATRICI AMBIENTALI LE NUOVE TECNOLOGIE ADOTTATE DA PETROLTECNICA PER LA PREVENZIONE DI EVENTI INQUINANTI E L’ABBATTIMENTO DEI COSTI DI BONIFICA di Gabriele Palmieri*
I
l rilascio di sostanze inquinanti, seppur in minima quantità, è spesso causa di fenomeni di contaminazione delle matrici ambientali che richiedono poi complessi ed onerosi interventi di bonifica. La possibilità di poter agire sulla prevenzione consentirebbe un incremento della salvaguardia dell’ambiente oltre a notevoli risparmi dal punto di vista economico. Petroltecnica, da sempre impegnata attivamente nel settore delle bonifiche ambientali, è anche una realtà alla costante ricerca di soluzioni e innovazioni tecnologiche che garantiscano miglioramenti per l’ambiente e per la sicurezza. In quest’ottica e puntando proprio sulla prevenzione dell’inquinamento Petroltecnica ha introdotto nel suo parco tecnologico i due sistemi innovativi SAMIS® system e SAM® system, brevettati da Heureka Ambiente S.r.l. In questo articolo sono descritte caratteristiche e ambiti di applicazione dei due sistemi richiamando anche i recenti casi di applicazione in Italia.
SISTEMA AUTOMATICO PER LA MESSA IN SICUREZZA AMBIENTALE E INDUSTRIALE
Il SAMIS, acronimo di Sistema Automatico di Messa In Sicurezza, è un sistema brevettato totalmente automatico, intelligente e innovativo, per la protezione dei sistemi ambientali e per il risparmio e l’ottimizzazione dei processi industriali. Sia per l’applicazione a tutela dell’ambiente, sia per quella industriale, il principio di funzionamento è il medesimo: il monitoraggio in continuo h24 e il confinamento
con recupero in automatico e immediato delle sostanze disperse. Il SAMIS System si compone di 4 gruppi funzionali: 1. un'unità di rilevamento monitorata a distanza, che trasmette in tempo reale gli allarmi ai responsabili tramite e-mail, SMS o mediante software dedicato. Il sistema di rilevamento viene impostato in base alla sostanza o alla famiglia di sostanze che interessa monitorare rendendo di fatto il sistema SAMIS una sentinella attiva 24/7; 2. un'unità di blocco automatico dell’inquinante; tale unità è configurata in base al tipo di struttura in cui è installato il sistema, siano essi tubi, canali, serbatoi o vasche di disoleazione; 3. un'unità di recupero dei liquidi contaminati e surnatanti; 4. un'unità di attivazione allarmi. Il SAMIS System essendo completamente automatizzato può essere collocato in punti strategici e, oltre a garantire una risposta alla contaminazione in “tempo zero”, garantisce anche la sicurezza per gli operatori evitando l’accesso in ambienti che possono presentare rischi per la salute. Le configurazioni del sistema SAMIS sono molteplici e grazie a un’elevata versatilità di installazione, il sistema è in grado di essere applicato, previo studio di fattibilità, in diversi ambiti. Ultima, in fase temporale, ingegnerizzazione del sistema, è l’applicazione per l’industria in raffinerie e depositi nelle vasche di disoleazione e sedimentazione API, nonché nei
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depuratori e ovunque ci sia la necessità di controllare il processo di recupero di surnatante idrocarburico. In questi casi il sistema interviene verificando la presenza del film idrocarburico attraverso sonde di misura, e attivando il recupero in automatico delle sostanze che potranno essere reimmesse nel processo di produzione, ottimizzando la linea di processo e riducendo i costi derivanti anche dalla perdita delle sostanze; Il SAMIS system è stato inoltre impiegato per prevenire fuoriuscite di idrocarburi dal dreno dei tetti dei serbatoi aerei di un deposito di prodotti petroliferi, salvaguardando in tal modo i bacini di contenimento. Tutte le configurazioni impiantistiche sono realizzabili, attraverso l’esecuzione di uno studio di fattibilità a cui segue la progettazione e quindi la realizzazione dell’impianto. I contesti di applicazione del SAMIS System sono vari e differenti come ad esempio: • aree protette, torrenti e fiumi, • scarichi civili e industriali, • canali di bonifica e irrigazione, • condotte fognarie, • porti industriali e di carico idrocarburi, darsene turistiche, • falde acquifere, • depuratori, • allevamenti ittici, • depositi, raffinerie, distributori.
SISTEMA PER IL MONITORAGGIO DELLE ACQUE FREATICHE
Il sistema SAM, candidato ad essere annoverato tra le Best Available Technolo-
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gies (BAT) nella tutela ambientale, nasce in risposta all’esigenza delle compagnie impegnate in attività di ricerca mineraria e delle società di ingegneria ambientale, di monitorare le falde acquifere, ecosistemi tra i meno resilienti, in quanto recettori ambientali estremamente sensibili e potenzialmente impattabili da attività correlate con tali operazioni. Per questo motivo i player più virtuosi mirano come obiettivo primario a preservare pro-attivamente questi ecosistemi, mentre le Pubbliche Autorità vogliono traguardare il controllo e il rispetto delle norme, prescrivendo, ove necessario, misure più stringenti di monitoraggio e sicurezza. Il SAM è un sistema innovativo, tutelato da proprietà intellettuale, che combina un gruppo di sensori in grado di rilevare e intercettare gli idrocarburi o altre sostanze nocive, con un sistema di allarmi da remoto in grado di allertare il personale a seguito del rilevamento di sostanze indesiderate nelle falde freatiche o ad esempio negli specchi di acqua di porti turistici o industriali. Il funzionamento è molto semplice e, nella sua semplicità, necessita di bassissima energia per il funzionamento (tanto che lo si può dotare di pannelli fotovoltaici e renderlo completamente autosufficiente) e di minima manutenzione. La tecnologia è utilizzabile per monitorare le acque sotterranee e superficiali ed effettuare, attraverso l’utilizzo nel modulo sensori di sonde ad alta performance, analisi qualitative chimico fisiche, evitando l’impiego di personale per il campionamento delle acque. Ma l’importante novità di questo sistema è la funzione di prevenzione dall’inquinamento che è in grado di offrire. Infatti oggi troppo spesso ci si accorge di un fenomeno di inquinamento solo dopo che si manifesta la presenza di effetti sull’acqua; la questione diviene
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più delicata e difficile da verificare se si tratta di acque profonde o difficili da controllare. Conseguenza di ciò è la tardiva messa in sicurezza della matrice ambientale con aumento del danno cagionato, danno che diviene maggiore quanto più tempo trascorre dall’inizio dell’evento di contaminazione. Il SAM previene la diffusione di un inquinamento a valle della sorgente di spill, perché attiva immediatamente gli allarmi da remoto che possono fare attivare le squadre di emergenza oppure, con l’introduzione del gruppo modulare di recupero, attivare automaticamente il sistema di raccolta delle sostanze inquinanti. L’installazione del sistema SAM permette quindi la misurazione in continuo di alcuni parametri fisici, che usualmente vengono misurati con cadenza periodica durante sopralluoghi di tecnici in campo, e in particolare: • livello di falda e sua escursione; • velocità di flusso e temperatura delle acque di falda; • presenza di eventuali sostanze indesiderate o nocive, estranee all’acquifero (esempio idrocarburi); • concentrazione delle sostanze; Il sistema inoltre, nel suo complesso, permette di: • generare allarmi in remoto; • programmare la fase automatica di messa in sicurezza dell’acquifero, attraverso, ad esempio, l’attivazione del pompaggio delle acque contaminate; • ottenere una banca dati dell’andamento delle concentrazioni delle sostanze e dei parametri rilevati, ed effettuare quindi analisi mirate in funzione delle caratteristiche del recettore monitorato. Le applicazioni possono trovare impiego nei sistemi di captazione e controllo degli acquiferi come: • pozzi piezometrici • pozzi di monitoraggio
Parametro
Range
• • •
barriere idrauliche wellpoint acque superficiali
FOCUS TEST
Test pilota eseguiti, attrezzando i piezometri da 4” di SAM system, hanno restituito ottima affidabilità anche per ciò che concerne la misurazione analitica dei fluidi freatici, con l’ausilio di un sistema costituito dal solo gruppo di rilevamento così strutturato: • n. 2 sonde multiparametriche per la misura di temperatura, soggiacenza e concentrazione Crude oil eventualmente presente in falda, dotata di memoria per creare un database significativo; • n. 1 stazione interattiva di acquisizione e archiviazione dati in costante comunicazione con un centro personalizzato di elaborazione dati; In particolare, nella tabella si riassumono le caratteristiche dei sensori presenti nell’installazione sopracitata: Il secondo modulo che può integrare il primo modulo di rilevamento, sarà costituito da: 1. PLC per la gestione della logica di attivazione; 2. gruppo di emungimento automatico; 3. gruppo disoleante e filtrante per le acque emunte; 4. pannello di gestione dell’intero sistema da remoto. Nel settembre 2019 sarà inaugurato presso la darsena turistica di Rimini, il primo sistema SAM realizzato per un porto turistico; è il primo sistema di rilevamento di questo tipo ad essere progettato e realizzato nel mondo. Sarà attivo il primo modulo di monitoraggio e, successivamente, sarà in ausilio il secondo modulo di recupero acque emunte. La darsena di Rimini, per lungimirante iniziativa della sua direzione, si è dotata di un sistema di controllo e prevenzione degli inquinamenti da idrocarburi unico nel suo genere.
CASO STUDIO: SAMIS SYSTEM IN UN PARCO NATURALE
Su richiesta di un’importante Oil company, al fine di tutelare e presidiare i corpi idrici interessati direttamente e indirettamente dallo
Accuratezza
Risoluzione
Temperatura
-5 – 50°C
± 0,1°C
0,01°C
Livello
0 – 200 m
± 0,1 m (da 0 a 50 m)
0,01 m
Parametro OIL - Crude
Range
Limite minimo di rilevazione
0 - 2700 ppb
0,2 ppb
spill idrocarburico che era occorso tempi addietro nella zona, Petroltecnica S.p.A. ha installato nel tardo 2017 il sistema SAMIS nella configurazione canali. La Committenza aveva la necessità, superata la fase di pronto intervento ecologico tradizionale, di mantenere in sito un presidio h24 che garantisse al territorio e alle PPAA un controllo sulle rogge e sui canali naturali dell’area e che fosse in grado di intervenire nel più breve tempo possibile in caso di nuovi riscontri di contaminazione, anche se minimi. La situazione idrogeologica del sito infatti influenzava fortemente la genesi dell’inquinamento, rendendolo di non ordinaria amministrazione. L’impegno del cliente, attraverso i convenzionali metodi di presidio di messa in sicurezza, si traduceva quindi in un importante costo di gestione delle operazioni di messa in sicurezza, senza contare che, anche intervenendo nel minimo tempo possibile, le squadre operative potevano arrivare sul posto solo dopo 1 ora dalla chiamata. Petroltecnica, da sempre attenta al panorama delle best available technology, ha indi-
viduato nel SAMIS la risposta proattiva alle esigenze del suo cliente. Tutti i convenzionali metodi di presidio sono quindi stati sostituiti dal SAMIS System, che dopo un periodo pilota di 6 mesi, guadagnava la fiducia di PPAA
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e Committente. Dopo 12 mesi dall’installazione il risparmio medio sulle attività preponderanti in cantiere, derivante dall’installazione del sistema SAMIS, si è attestato al 75%. *Petroltecnica S.p.A.
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NO RMA TI VA
EDIFICI CONTENENTI AMIANTO: MODALITÀ OPERATIVE UN ESAME DELLA NORMATIVA DAI REGOLAMENTI COMUNALI ALLA LEGISLAZIONE NAZIONALE di Rosa Bertuzzi*
L
’amianto, un tempo molto utilizzato nell’attività edilizia in ragione della sua grande resistenza, è ancora presente in numerosi edifici, destando spesso legittime preoccupazioni rispetto alla sua nocività. Un aspetto problematico riguarda la gestione di tale materiale, la quale incombe in prima battuta sui proprietari degli edifici ma - inevitabilmente - si ripercuote sull’attività dei Comuni che frequentemente si vedono indirizzate segnalazioni (firmate o anonime) della presenza di amianto su edifici privati, spesso in stato di abbandono. In questi casi i Comuni si avvalgono dell’ausilio
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di appositi organi tecnici, ASL o ARPA, per accertare lo stato di conservazione dell’amianto segnalato; seguirà, quindi, l’adozione degli opportuni provvedimenti in base agli esiti dei rilievi tecnici eseguiti. Al riguardo, le procedure adottate dai Comuni vengono spesso disciplinate da regolamenti comunali, i quali fissano anche un apparato sanzionatorio in caso di violazioni delle disposizioni ivi contenute. Tuttavia, il modus operandi seguito dagli Enti locali, al pari delle sanzioni irrogabili, deve risultare conforme alle previsioni fissate dal legislatore nazio-
nale. Ciò conduce a esaminare, seppur in maniera schematica, la normativa in materia di amianto e gli obblighi di rimozione.
GLI OBBLIGHI DI CONTROLLO E DI INTERVENTO
Occorre subito porre una distinzione fra le abitazioni civili e gli edifici (pubblici o privati) in cui si svolge un’attività lavorativa, o aperti al pubblico. Nel primo caso, infatti, gli obblighi che si analizzeranno incombono sul proprietario dell’edificio, mentre nel secondo caso sono a carico del datore di lavoro dell’azienda insieme (eventualmente)
al proprietario dell’edificio, laddove non coincidente con il datore di lavoro. Come noto, poi, in caso di edificio pubblico (si pensi alla sede di un Comune) il datore di lavoro corrisponde, salvo delega, al vertice politico (nell’esempio del Comune, al Sindaco [1]). In presenza di un edificio potenzialmente contenente amianto, si impone anzitutto - in capo al proprietario dell’immobile o al datore di lavoro - una valutazione preliminare dell’effettiva presenza di tale materiale, ricorrendo ad accertamenti tecnici demandati a esperti del settore. Nel caso in cui la presenza di amianto venga effettivamente confermata, deve essere effettuata una valutazione del rischio per la salute dei lavoratori e degli occupanti dell’immobile, la quale tenga conto di molteplici fattori: la consistenza e lo stato di conservazione dell’amianto (compatto o friabile), il suo confinamento, le condizioni di esposizione (sottoposizione a bruschi eventi atmosferici quali piogge o folate di vento), ecc. Dovrà dunque essere elaborato un inventario dell’amianto dell’edificio, in cui venga dato atto della valutazione del rischio eseguita, il quale dovrà essere inviato alla ASL territorialmente competente. Come si avrà modo di approfondire, la rimozione dell’amianto da edifici abitativi non è imposta per legge, ma se dalla valutazione del rischio emerge il pericolo di rilascio di fibre di amianto nell’ambiente, il Sindaco del Comune, a seguito di parere della ASL o attivatosi a seguito di denuncia di cittadini, può ordinare la bonifica dell’edificio dall’amianto. Diversamente, per edifici adibiti a lavorazioni, sulla base della valutazione del rischio e del livello di pericolo per gli impiegati, il datore di lavoro dovrà eseguire interventi di bonifica dell’amianto responsabile del rilascio di fibre. Peraltro, la bonifica non comporta necessariamente la rimozione dell’amianto, essendo possibile procedere anche a incapsulamento o confinamento, in considerazione dei rischi che la bonifica può materialmente comportare per gli occupanti l’edificio (legati, ad esempio, alla dispersione di fibre durante le
operazioni di rimozione). Tali operazioni, ben inteso, possono essere realizzate solo da ditte specializzate e abilitate all’esercizio di tali attività, dopo aver consegnato il piano di lavoro all’ASL competente, la quale può eseguire ispezioni del cantiere. Le operazioni di bonifica, incapsulamento o confinamento, infatti, non possono essere eseguite da una qualunque impresa edile, essendo necessario adottare apposite misure per impedire l’esposizione a fibre di amianto. Il quadro normativo delle descritte operazioni, sulle quali si avrà modo di ritornare, è rappresentato dalla Legge 27 marzo 1992, n. 257 (recante “Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”, di seguito L. 257/1992), la quale rimanda a successivi decreti ministeriali per la rilevazione della presenza di amianto all’interno delle strutture e la pianificazione della rimozione (cfr. art. 12, comma 2), nonché per le normative e metodologie tecniche da applicare negli interventi di bonifica (cfr. art. 6, comma 3). Trattasi del Decreto Ministeriale del 06/09/1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’articolo 6, comma 3, e dell’articolo 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’a-
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mianto”, di seguito D.M. 6 settembre 1994), la violazione delle cui disposizioni è punita con la sanzione amministrativa da € 3.615 a € 18.675 (cfr. art. 15, comma 2 della L. 257/1992).
GLI OBBLIGHI DI COMUNICAZIONE
Come accennato, a carico del proprietario di un edificio è posto un obbligo di caratterizzazione, il quale si impone per qualunque immobile, pubblico o privato, adibito o meno ad attività lavorative, nel quale sia presumibile la presenza di amianto (dunque sicuramente gli immobili precedenti al 1992, anno in cui la L. 257/1992 ha disposto il divieto di utilizzo dell’amianto). Al riguardo, l’art. 12, comma 5 della L. 257/1992 prevede che “Presso le unità sanitarie locali è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici. I proprietari degli immobili devono comunicare alle unità sanitarie locali i dati relativi alla presenza dei materiali di cui al presente comma”. L’omessa comunicazione è punita con una sanzione amministrativa da € 2.582 a € 5.164. Eseguito l’inventario della presenza di amianto, ai sensi dell’art. 12, com-
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vono essere definiti specifici interventi per eliminare tale dispersione o ridurla ai limiti definiti dal punto 2 del D.M. 6 settembre 1994: “Per questo motivo si ritiene che valori superiori a 20 ff/l [fibre per litro di aria] valutati in MOCF o superiori a 2 ff/l in SEM, ottenuti come valori medi su almeno tre campionamenti, possono essere indicativi di una situazione di inquinamento in atto”.
GLI INTERVENTI DI BONIFICA DEGLI EDIFICI PRIVATI: IL RUOLO DEI COMUNI
ma 5 della L. 257/1992 e delle regole tecniche del D.M. 6 settembre 1994, il proprietario dell’edificio deve effettuare una specifica valutazione del rischio di dispersione di fibre di amianto negli ambienti occupati da persone. I risultati di tale valutazione devono dunque essere comunicati all’ASL territorialmente competente; peraltro, si precisa che, in caso di locali adibiti ad attività lavorative, le attività di rilievo dell’amianto dovranno coordinarsi con le previsioni fissate dal D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela dei lavoratori da rischi per la salute e la sicurezza (di seguito, D.lgs. 81/2008). Il proprietario del fabbricato deve pertanto classificare ogni materiale contenente amianto rilevato in una delle seguenti categorie, definite dal D.M. 6 settembre 1994: “materiali integri non suscettibili di danneggiamento”, in questi casi non è necessario un intervento di bonifica ma un controllo periodico delle condizioni dei materiali; “materiali integri suscettibili di danneggiamento”, laddove esista pericolo di rilascio potenziale di fibre di amianto, con l’obbligo di un programma di controllo e manutenzione; “materiali danneggiati”, qualora sussista il pericolo di rilascio di fibre di amianto con possibile esposizione degli occupanti. In quest’ultimo caso è necessaria “un’azione specifica da attuare in tempi brevi, per eliminare il rilascio in atto di fibre di amianto nell’ambiente”. De-
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Al termine delle operazioni descritte si devono definire gli interventi di bonifica del materiale che può causare rilascio di fibre di amianto comportando esposizione degli occupanti dell’edificio superiore ai limiti fissati dal D.M. 6 settembre 1994. In caso di immobili abitativi, come accennato, la L. 257/1992 e il D.M. 6 settembre 1994 non contengono obblighi di bonifica dell’amianto per il proprietario dell’edificio, indipendentemente dalle caratteristiche del materiale contenente amianto e dalla concentrazione di fibre nell’aria. In tali casi, l’obbligo di bonifica di manufatti contenenti amianto può discendere solo da ordinanza sindacale. In particolare, il Sindaco del Comune può adottare specifica ordinanza di bonifica, su segnalazione del cittadino o dell’ASL (alla quale, come sopra indicato, deve venire trasmesso l’inventario dell’amianto presente negli edifici), la quale potrà trovare il proprio fondamento negli artt. 50, commi 4 e 5 e 54, comma 5 del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico degli Enti Locali, di seguito, D.lgs. 267/2000). Al contrario, nel caso di edificio adibito ad attività lavorative, oltre alla possibile ordinanza del Sindaco, vigono in capo al datore di lavoro i precisi obblighi di tutela della salute dei lavoratori di cui al D.lgs. 81/2008, sanzionabili penalmente, che impongono di eseguire la bonifica del materiale contenente amianto a rischio di rilascio di fibre. La bonifica, come detto, potrà consistere nell’incapsulamento, nel confinamento o nella rimozione dell’amianto. Peraltro, indipendentemente dai tempi e dai modi per un eventuale intervento di bonifica, occorre precisare che non
appena venga rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario mettere in atto un programma di controllo e manutenzione per ridurre al minimo l’esposizione degli occupanti. Dovranno pertanto essere definite e attuate misure volte a tenere sotto controllo i potenziali fattori di deterioramento e danneggiamento, verificando periodicamente le condizioni dei materiali. Pure in questo caso, in esito a tali controlli, il Sindaco potrà ordinare la bonifica dei materiali contenenti amianto, laddove si renda necessaria. A seguito degli interventi di bonifica, i cui aspetti tecnici sono disciplinati nel dettaglio dal D.M. 6 settembre 1994, l’ASL competente deve certificare la restituibilità degli ambienti bonificati, ovvero che le aree interessate possono essere rioccupate con sicurezza.
LE ORDINANZE COMUNALI IN MATERIA DI AMIANTO
Da ultimo, occorre interrogarsi sulla competenza ad adottare le ordinanze di rimozione di materiali contenenti amianto, stante l’assenza di una competenza generale del Sindaco. Difatti, soltanto qualora possano trovare applicazione gli artt. 50 o 54 del D.lgs. 267/2000 l’organo competente è il Sindaco. Laddove, invece, la fattispecie rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 192 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (regolante l’abbandono dei rifiuti e i conseguenti obblighi di rimozione) oppure della richiamata L. 257/1992, la competenza è dei dirigenti del Comune. Ma veniamo ad alcuni esempi. Così, sarà da ritenersi illegittima l’ordinanza dirigenziale che ordini la rimozione dell’amianto e la bonifica dello stato dei luoghi di uno stabilimento privato, in quanto la competenza è del Sindaco quale “autorità sanitaria locale” ai sensi dei menzionati articoli del D.lgs. 267/2000 (TAR Piemonte, Sez. I, ordinanza 24 gennaio 2014, n. 64). Al contrario, qualora siano stati ordinati la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti provenienti dallo scarto di edilizia, l’ordinanza deve essere adottata dal dirigente comunale, in quanto rientra nell’ordinaria gestione amministra-
tiva (TAR Piemonte, Sez. II, 14 giugno 2013, n. 766)[2]. Infine, appare necessario soffermarsi sull’importanza dell’istruttoria che deve precedere le ordinanze comunali, al fine di evitare una declaratoria di illegittimità da parte del giudice amministrativo, e sulle misure che possono essere imposte al proprietario di un edificio che presenti manufatti contenenti amianto. Come si è visto, il problema di fondo è infatti rappresentato dalla valutazione sul livello di conservazione e di manutenzione del materiale contenente amianto, in quanto dalla L. 257/1992 e dal D.M. 6 settembre 1994 non deri-
va “un obbligo cogente e generalizzato di rimuovere il materiale contenente amianto già utilizzato negli edifici privati prima dell’entrata in vigore della legge [...], salvo che lo stato di manutenzione del medesimo ne renda evidente l’opportunità” (TAR Toscana, Sez. II, 11 dicembre 2010, n. 6722). Quanto al suo contenuto, poi, l’ordinanza potrà imporre la rimozione di materiali contenenti amianto da un terreno, oppure la bonifica di un edificio nelle parti che presentano materiali contenenti amianto, oppure - ancora - potrà prevedere un’analisi dei manufatti e, in caso di effettiva sussistenza
di amianto, ordinare la bonifica dell’edificio. Ebbene, anche dalla giurisprudenza citata emerge chiaramente come i Comuni, i quali certamente detengono importanti poteri in materia di gestione e rimozione dei materiali contenenti amianto, debbano rispettare la normativa prevista a livello nazionale nell’adozione di Regolamenti e ordinanze comunali, assicurando che vi sia coerenza con gli obblighi (di comunicazione, controllo, gestione e rimozione, ecc.) fissati dalla normativa primaria. *Ambienterosa S.r.l. - Consulenze legali ambientali
NOTE
[1] Al riguardo, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera b) del D.lgs. 81/2008 “Nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice medesimo”. [2] Sul punto, cfr. Piera Maria Vipiana, Amministrazione comunale per ordinanze e bonifica dall’amianto degli immobili: profili procedimentali e contenuti, in https://www.regione.emilia-romagna.it/affari_ist/Rivista_1_2015/Vipiana.pdf
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DIFFERENZA TRA ABBANDONO RIFIUTI E DISCARICA ABUSIVA LA SENTENZA 18399/2017 DELLA CORTE DI CASSAZIONE PENALE È UTILE NELLA CHIARA INDICAZIONE DELLA DIFFERENZA TRA ABBANDONO DI RIFIUTI E DISCARICA ABUSIVA di Cinzia Silvestri*
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prescindere dal contesto applicativo - dal caso sotteso al processo penale che vede la contestazione dell’art. 256 del D.lgs. 152/2006 - è sufficiente ricordare e riportare proprio il dettato della Cassazione in merito, che non richiede commento e fissa il principio secondo il quale: “[…] Veniva conseguentemente affermato il seguente principio di diritto, che va pertanto qui ribadito, secondo il quale 1. è la mera occasionalità che differenzia l’abbandono dalla discarica e tale caratteristica può essere desunta da elementi indicativi quali le modalità della condotta (ad es. la sua estemporaneità o il mero collocamento dei rifiuti in un determinato luogo in assenza di attività prodromiche o successive al conferimento), la quantità di rifiuti abbandonata, l’unicità della condotta di abbandono. Diversamente, 2. la discarica richiede una condotta abituale, come nel caso di plurimi conferimenti, ovvero un’unica azione ma strutturata, anche se in modo grossolano e chiaramente finalizzata alla definitiva collocazione dei rifiuti in loco”. Così precisa con chiarezza la sentenza 18399/2017 Corte di Cassazione in ordine alla differenza tra discarica abusiva e abbandono di rifiuti:
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“Osserva a tale proposito il Collegio che sulla differenza tra discarica abusiva e abbandono di rifiuti questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in due distinte decisioni, di identico contenuto (Sez. 3, n. 42719 del 10/9/2015, Chiaravalloti U., non massimata; Sez. 3, n. 42720 del 10/9/2015, Chiaravalloti P., non massimata), […] Veniva in quell’occasione rilevato, riguardo alla nozione di discarica, che l’art. 256, comma 3 punisce la realizzazione e gestione di discarica abusiva al di fuori dei casi sanzionati dall’art. 29-quattuordecies, comma 1 del D.lgs. 152/2006, e che tale disposizione deve essere letta in correlazione con il D.lgs. 36/2003 recante la “attuazione della Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti”. Nel D.lgs. 36/2003 art. 2 comma 1 lett. g) si rinviene, infatti, una definizione della nozione di discarica, specificandosi che per tale deve intendersi un’area “adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonchè qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”. Aggiunge la richiamata disposizione che “sono esclusi da tale de-
finizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno”, consentendo così, grazie all’indicazione del dato temporale, di distinguere la discarica da altre attività di gestione. Prescindendo dal richiamare le diverse pronunce di questa Corte sulla nozione di discarica, si ricordava anche che si ha discarica abusiva tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato […]. Si aggiungeva che la discarica abusiva dovrebbe presentare, orientativamente, una o più tra le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un’area determinata; eterogeneità dell’ammasso dei materiali; definitività del loro abbandono; degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione. Si ricordava anche come si sia ulteriormente precisato che il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell’area su cui insistono, anche se collocata all’interno dello stabilimento produttivo […]. Si osservava, poi, che le condotte sanzionate dal D.lgs. 152/2006 art. 256 comma 3 riguardano, inoltre, tanto la “realizzazione” che la “gestione” della discarica abusiva, la cui definizione è stata indicata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 12753 del 5/10/1994, Zaccarelli, Rv. 199385), le quali hanno precisato che la realizzazione “consiste nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione, di norma, delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione, ecc.”, mentre la gestione “presuppone l’apprestamento di un’area per raccogliervi i rifiuti e consiste, nell’attivazione di una organizzazione, articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine (come, ad esempio, quelle per il compattamento dei rifiuti) diretta al funzionamento della discarica”. Si rammentava, inoltre, che si è ulteriormente precisato, in un’occasione, come il reato di discarica abusiva possa configurarsi anche mediante un unico conferimento di ingenti quantità di rifiuti che faccia però assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti, con conseguente trasformazione del territorio (Sez. 3, n. 163 del 4/11/1994 (dep. 1995), Zagni, Rv. 200961 non massimata sul punto), precisando anche che questa Corte ha anche chiarito le differenze tra le condotte appena descritte e quelle che configurano mero abbandono di rifiuti, evidenziando la natura occasionale e discontinua di tale attività rispetto a quella, abituale o organizzata, di discarica […]”. *Studio Legale Ambiente
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