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marzo - aprile 2010 anno III numero 8

Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 3 n. 8 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

SEDIMENTI CONTAMINATI: GESTIONE, STRATEGIE DI INTERVENTO E TECNICHE DI BONIFICA

SPECIALE FINANZIAMENTI l’universo finanziario delle bonifiche dei siti contaminati ROTTAMI FERROSI Una panoramica del mercato tra crisi e volatilità dei prezzi ATTACHMENTS DA DEMOLIZIONE Produttività e specifiche tecniche dei frantumatori idraulici

marzo - aprile 2010


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e d i to r ia l e

LA TRISTE STORIA DEL FIUME LAMBRO

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corsi d'acqua di Milano navigano in cattive acque. Le parole di Elio e le Storie Tese ci sembrano ben descrivere la situazione ambientale conseguente all’incidente verificatosi lo scorso 23 febbraio alla raffineria di Villasanta, in Provincia di Monza e Brianza. L’incidente avvenuto sul fiume Lambro riporta all’attenzione di tutti il problema delle aziende classificate “a rischio di incidente rilevante” soggette alla normativa Seveso, così come quello dell’inadeguatezza delle misure di primo intervento in caso di disastri ambientali. Le migliaia di tonnellate di gasolio e oli combustibili che sono state riversate nel Lambro per poi raggiungere il grande Po e il mare Adriatico hanno riportato livelli di contaminazione allarmanti all’interno di un corso idrico che, fin dagli anni ’50, ha visto sui suoi argini un gran proliferare di industrie insalubri, che gli hanno procurato l’appellativo di fiume “altamente inquinato”. Al di là delle responsabilità e delle azioni applicate per contenere l’impatto sull’ambiente, il fatto è che, nonostante le parole rassicuranti sentite in televisione e sebbene l’allarme sia rientrato, la situazione del Lambro, secondo il nostro modesto parere, è ben lungi dall’essere risolta. Una volta esaurito il clamore mediatico e l’emergenza dei giorni scorsi, occorrerà caratterizzare e bonificare il fondo del fiume, intriso di idrocarburi; per queste attività serviranno 100 milioni di euro, secondo le stime del Dipartimento di Riqualificazione Fluviale, struttura interna al Parco della Valle del Lambro. Dunque, da una parte si teme per la fauna, la crescita delle alghe, l’irrigazione di quei campi che producono prodotti made in Italy come il riso, il radicchio e l’aglio bianco, dall’altra ci troviamo di fronte ad un sito contaminato che richiederà uno sforzo a livello regionale e nazionale per scongiurare il rischio connesso all'accumulo di idrocarburi nei sedimenti dei bacini idrografici impattati, inclusi i canali e le rogge che si dipartono da essi. Da operatori del settore, ci auguriamo che la conoscenza dei fenomeni e le tecnologie oggi a disposizione consentano di raggiungere obiettivi di bonifica tali da redimere il Lambro dagli appellativi con cui oggi viene identificato e per garantire ai cittadini della Pianura Padana la tranquillità ed il piacere di poter ancora mangiare i prodotti dell’agricoltura nonché di respirare l’aria nelle vicinanze di quei fiumi e canali. Per un po’ di tempo, però, dovremo dimenticarci delle parole del poeta Francesco Petrarca: “A piè del colle scorre il Lambro, limpidissimo fiume…” Massimo Viarenghi

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TITOLO

8 so m m ario

marzo / aprile 2010

ECO TECNOLOGIE PER L’AMBIENTE BONIFICHE E RIFIUTI

www.ecoera .it

RUBRICHE ecoNews

21 Bonificare costa, non farlo costa di più… il piano strategico di riconversione industriale incentiva i contributi privati sulle aree compromesse

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Vetrina

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ecoappuntamenti

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Libri

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STORIA DI COPERTINA LA COMPLESSA GESTIONE DEI SEDIMENTI CONTAMINATI di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÁ

37 Le maggiori difficoltà che nei prossimi anni dovrà affrontare il mercato della raffinazione analizzate dall’Unione Petrolifera

PROVINCIA DI MACERATA: la gestione delle aree contaminate di Roberto Ciccioli IL MERCATO ITALIANO DEI ROTTAMI FERROSI di Maeva Brunero Bronzin

La demolizione del viadotto Carito sull’autostrada SA-RC con tecniche di collasso controllato e microcariche esplosive

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CAPITALI PUBBLICI E PRIVATI NEL PIANO STRATEGICO PER I SITI INDUSTRIALI CONTAMINATI di Giovanni Squitieri

21

TRACCIABILITà DEI RIFIUTI: QUAL è LA STRADA CHE CI HA CONDOTTO AL SISTRI di Filippo Bonfatti e Michele Rotunno

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ALESSANDRIA: VUOTI DENTRO E “RICCHI” FUORI di Elena Donà

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FABBRICA DELLE IDEE LA PAVIMENTAZIONE STRADALE CHE AMA LA NATURA di Ernesto Boni

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THE BIG EYE IL MERCATO DELLE BONIFICHE NELLA REPUBBLICA D’IRLANDA 33 di Marco Bianchini e Antonio Distante

REPORT

86 interventi normativi su prese di posizione contrastanti legate alla pericolosità dei rifiuti contenenti idrocarburi

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Anno 3 - Numero 8

IL DIFFICILE FUTURO DELLA RAFFINAZIONE di Franco Del Manso

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SPECIALE GLI STRUMENTI FINANZIARI A SOSTEGNO DEGLI INTERVENTI DI BONIFICA di Giorgia Scopece e Saverio Tassoni

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Anno 3 - Numero 8 Marzo - Aprile 2010 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

TESTED FRANTUMATORI IDRAULICI: GLI INSOSTITUIBILI DELLA DEMOLIZIONE SECONDARIA di Costantino Radis

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PANORAMA AZIENDE WASTE HANDLING: MACCHINE FATTE PER LAVORI SPORCHI di Tina Corleto UNA SCUDERIA CHE VINCE PER AMPIEZZA DI GAMMA E VERSATILITà di Maria Beatrice Celino

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Comitato Scientifico: Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Roma) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino)

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Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it

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WORK IN PROGRESS Una biopila a centro strada di Carlo Alberto Saccenti UNA DEMOLIZIONE DI ASSOLUTA PRECISIONE PER IL VIADOTTO CARITO di Andrea Terziano

Collaboratori: Marco Bianchini, Filippo Bonfatti, Ernesto Boni, Luciano Butti, Andrea Campi, Marcello Carboni, Maria Beatrice Celino, Roberto Ciccioli, Franco Del Manso, Naide Della Pelle, Antonio Distante, Elena Donà, Elena Gelfi, Paola Goria, Matteo Millevolte, Umberto Minola, Anna Montefinese, Lido Pellizzer, Elena Cristina Rada, Costantino Radis, Marco Ragazzi, Michele Rotunno, Carlo Alberto Saccenti, Claudio Sandrone, Giorgia Scopece, Giovanni Squitieri, Saverio Tassoni, Andrea Terziano

Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino

PROGETTI E TECNOLOGIE LA BONIFICA IN SITU DI ACQUE DI FALDA CONTAMINATE DA COMPOSTI ORGANOCLORURATI di Claudio Sandrone

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Abbonamenti: Italia annuo € 30,00 - estero annuo € 50,00 copia singola € 6,00 - arretrati € 10,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

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Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL)

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Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori.

BIOGAS: UN PROBLEMA TRASFORMATO IN RISORSA di Matteo Millevolte TECNICHE DI ANALISI PER LA RICERCA DI IDROCARBURI IN TERRENI E SEDIMENTI di Lido Pellizzer

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IDROCARBURI NEGLI AMMENDANTI: CRITICITà E POSSIBILI SOLUZIONI di Elena Gelfi e Umberto Minola

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NORMATIVA LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL DIRITTO AMBIENTALE di Naide Della Pelle IL CONTROVERSO CASO DELLA PERICOLOSITà DEI RIFIUTI contenenti IDROCARBURI di Luciano Butti

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DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali

ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI NEL 2020 IL 70% DEI RIFIUTI DA C&D SARà RIUTILIZZATO?

Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

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PIANO DI AZIONE NAZIONALE E GREEN PUBLIC PROCUREMENT 91

L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


e cone ws

Manfredonia , comincia l a bonifica di Pariti e Conte di Troia Lunedì 21 marzo verrà inaugurato il cantiere per la messa in sicurezza permanente delle discariche site all’interno dell’area industriale della città di Manfredonia (FG). Dopo anni di polemiche e difficoltà, la Corte di Giustizia della Comunità Europea aveva condannato l’Italia nel 2008 a pagare una severa sanzione per il mancato completamento delle bonifiche delle discariche di rifiuti urbani, poi sospesa in seguito all’impegno preso dal Governo di risolvere la situazione entro il 2010. Un anno fa il Consiglio dei Ministri aveva nominato il Presidente della Regione Nichi Vendola commissario delegato per lo svolgimento delle attività di bonifica e ora finalmente potranno cominciare i lavori. Il costo previsto per la bonifica è di circa 82 milioni di euro, di cui 41 saranno finanziati dalla Regione Puglia. Il sindaco del Comune Paolo Campo, presente all’attivazione del cantiere avvenuta il 1° marzo, ha commentato: “Oggi Manfredonia si affranca da un peso e anche da una fama poco gratificante, quella cioè di essere etichettata come sito inquinato di interesse nazionale”.

100 milioni di euro per bonificare il Petrolchimico di Gel a Cento milioni di euro di investimento per la bonifica del Petrolchimico di Gela, dichiarato sito di interesse nazionale nel 2000. E’ quanto annunciato dalla società Syndial, che metterà a disposizione la somma per bonificare l’ex area Isaf in liquidazione e realizzare una centrale fotovoltaica. Il progetto è appena stato avviato e la chiusura dei lavori è prevista entro la fine del 2012. Il programma nello specifico prevede la messa in sicurezza della discarica di fosfogessi, dell’impianto di trattamento del percolato e la realizzazione della centrale fotovoltaica di 5-7Mwp per la committenza di Enipower, che potrebbe fornire un approvvigionamento di energia per circa 3000 famiglie, evitando così di disperdere in atmosfera 5500 tonnellate all’anno di CO2.

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Anno 3 - Numero 8

Contro i danni da petrolio, assicurazione obbligatoria per le navi oltre le 1000 tonnell ate

Il 9 marzo 2010 è entrata in vigore la legge sulla responsabilità civile per danni causati da combustibile navale, come stabilito dalla Convenzione di Londra del 2001, recepita a livello internazionale a novembre 2008. I 19 articoli che la compongono sanciscono le responsabilità del proprietario della nave, del noleggiatore, dell’armatore e del gestore in caso di incidente, garantendo un congruo risarcimento a chi subisce i danni della fuoriuscita del petrolio, di qualsiasi persona fisica o giuridica si tratti, inclusi gli Stati e gli enti politici. L’art. 7 stabilisce inoltre che tutti i proprietari di navi di stazza superiore alle 1000 tonnellate sono tenuti a sottoscrivere un'assicurazione – o un’altra garanzia finanziaria – per coprire la propria responsabilità “per un importo equivalente ai limiti previsti dal regime nazionale o internazionale di limitazione applicabile”. L’autorità responsabile della vigilanza sarà il Comando della Capitaneria di Porto, mentre il Ministero dello Sviluppo Economico avrà il compito di rilasciare i certificati assicurativi che riporteranno tutti i dati identificativi della nave e del proprietario. Una copia del certificato dovrà sempre trovarsi a bordo dell’imbarcazione.

Ricicliadi in Puglia Quindicimila euro per il primo posto, diecimila per il secondo e cinquemila per il terzo. E’ quanto stanziato dal Consorzio ATO Lecce 3 per le Ricicliadi, un’idea originale che premia, tra i 24 consorziati, i tre Comuni che meglio riusciranno ad applicare la raccolta differenziata, dal 1° aprile al 31 maggio. Il podio dei vincitori avrà l’obbligo di reinvestire la somma ottenuta nell’acquisto di attrezzature per la raccolta o in campagne informative per incentivare i cittadini ad adottare un comportamento responsabile. Nell’ambito della stessa iniziativa sarà inoltre organizzato un corso di formazione per 26 ragazzi residenti nei Comuni del Consorzio, per diventare tecnici dell’ambiente, ossia figure professionali incaricate di progettare le prossime iniziative per l’educazione ambientale.


Decreto correttivo per il SISTRI

Un diluvio di e-waste

Il Ministero dell’Ambiente ha varato il decreto correttivo del SISTRI, che è stato pubblicato lo scorso 27 febbraio sulla Gazzetta Ufficiale. Il D.M. è composto di 13 articoli, il primo dei quali sancisce una proroga di 30 giorni per il termine di iscrizione al sistema, altrimenti previsto per il 28 febbraio. La richiesta di proroga era stata presentata più volte dalle associazioni di categoria, che hanno preso atto delle perplessità che serpeggiano fra molti artigiani e piccole e medie imprese, che lamentano un aumento notevole dei costi e un’ulteriore complicazione del sistema, al contrario di quanto immaginato. Oltre alla proroga prevista, che si spera consentirà di fare chiarezza e risolvere gli ultimi passaggi burocratici, le principali modifiche riguardano il numero di ore d’anticipo con cui è necessario comunicare al SISTRI la movimentazione dei rifiuti che, in caso di prodotti pericolosi passano da 8 a 4 per i produttori e da 4 a 2 per i trasportatori; per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi non sarà più necessario comunicare il trasporto in anticipo. Le altre modifiche riguardano la videosorveglianza, che viene estesa anche agli impianti di incenerimento, la definizione di “delegato”, l’adozione specifica delle chiavette USB (relativa alla sola sede centrale, oppure una per ogni unità locale, fermo restando l’obbligo di dotare del dispositivo ogni mezzo adibito al trasporto) e infine i chiarimenti sulla doppia iscrizione conto proprio e conto terzi.

Se i dati raccolti dalle Nazioni Unite sono corretti, nel giro di dieci anni saremo invasi da milioni di tonnellate di pc, televisori e cellulari rottame. Brasile, Cina, India, Messico e Stati Uniti sono i più grandi produttori di rifiuti elettronici al mondo, con cifre esagerate. Ogni anno si producono 40 milioni di tonnellate di e-waste, senza che le attuali tecniche di smaltimento e riciclaggio possano tenersi al passo con la produzione. Sono ovviamente i nuovi mercati in espansione che aumenteranno maggiormente la produzione di rifiuti elettronici: secondo il rapporto dell’ONU l’India vedrà un tasso di crescita del 500% entro il 2020, la Cina del 400%. Il problema maggiore non è rappresentato tanto dalla raccolta differenziata, che si attesta su livelli piuttosto alti data la grande appetibilità economica di questa tipologia di rifiuti, ma dalle successive tecniche di trattamento che, se non effettuate correttamente – o non effettuate affatto – si rivelano estremamente dannose per l’ambiente, a causa del rilascio di metalli pesanti e di sostanze ozono-lesive. Un’ulteriore problema è posto dalle varie legislazioni nazionali e internazionali, spesso lacunose e contraddittorie, che finiscono per rimpallare le responsabilità fra Enti pubblici e imprese senza tener conto dei dati reali.

Caffaro di Torviscosa , approvato il piano di risanamento

Il portale Mother Nature ha stilato la classifica dei quindici luoghi più inquinati del pianeta, allegando alla lista un’impressionante documentazione fotografica. La galleria si apre con lo spaventoso serpente di spazzatura del Citarum, uno dei più importanti fiumi dell’Indonesia: i rifiuti sono talmente tanti che l’acqua sottostante in molti punti non si vede nemmeno più. Seguono Chernobyl, la nuvola nera che copre costantemente la città cinese di Linfen, l’incredibile isola di spazzatura che galleggia nel Pacifico, larga quanto il Texas, i roghi della brasiliana Rondônia, una delle aree più deforestate del mondo, il fiume Yamuna, in India, che raccoglie il 58% della spazzatura cittadina e molte altre. Fra le più sconcertanti c’è la città russa di Dzerzhinsk, con le sue 300.000 tonnellate di rifiuti chimici pericolosi che sono stati conferiti in discarica in più di sessant’anni, dal 1930 al 1998: il risultato è che il numero dei morti ha superato quello dei nati del 260%. Il reportage si chiude con una foto della cintura di spazzatura che circonda la Terra: dei 6000 satelliti lanciati in orbita sono attualmente funzionanti solamente 800. Il resto è spazzatura.

Un passo avanti concreto per la tormentata vicenda della Caffaro di Torviscosa (UD): la messa in sicurezza del sito potrà finalmente avere inizio, come è stato deciso al vertice tecnico indetto a Roma dal Ministero dell’Ambiente. Il piano generale presentato da Gianni Menchini, commissario per la Laguna di Grado e Marano, è stato approvato dalla Conferenza dei Servizi presieduta da Marco Lupo, con soddisfazione di tutte le parti coinvolte. Si attende ora che l’Avvocatura di Stato verifichi le procedure giuridiche del piano stralcio proposto da Marco Cappelletto, il commissario straordinario del polo chimico, che permetterà di dare il via al bando di cessione; la delibera definitiva è prevista per la prossima settimana, ma dalla Caffaro sono fiduciosi: dall’incontro di Roma – a cui hanno partecipato entrambi i commissari, la Regione, le associazioni di categoria e il direttore dello stabilimento – è emerso che i due piani presentati sono perfettamente compatibili.

I siti più inquinati dell a terra: l a cl assifica di Mother Nature

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LA COMPLESSA GESTIONE DEI SEDIMENTI CONTAMINATI Una materia con notevoli ricadute ambientali ed economiche, un problema crescente su scala nazionale, analizzato per ECO da un illustre esperto del settore di Massimo Viarenghi

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sedimenti, ossia tutti i materiali solidi che si depositano sul fondo di un generico corpo idrico, sono la parte essenziale e dinamica del corpo stesso, e ricoprono un ruolo fondamentale, specialmente nelle aree di estuario, dove si concentrano molte delle attività turistiche, commerciali ed industriali, e dove sorgono i più grandi porti nazionali ed europei. La quantità e la qualità dei sedimenti rivestono un ruolo prioritario per la vita degli ecosistemi acquatici e sono una componente fondamentale degli aspetti economici a scala di bacino. Incertezza e controversie hanno fino ad oggi posto in stallo il sistema di gestione dei sedimenti, mettendo molte volte in discussione il sistema di manutenzione dei corpi idrici e delle infrastrutture portuali. In particolare si dovranno trovare in breve tempo soluzioni pratiche ed economicamente perseguibili per quella porzione di sedimenti contaminati i cui effetti possono essere dannosi per la salute e per l'ambiente. Il problema legato alla gestione di questi sedimenti a livello nazionale è molto consistente, sia perché l’Italia è un

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Paese con oltre 7500 km di coste, sia perché parte di queste coste ospitano porti commerciali internazionali. Fonti esperte forniscono dati allarmanti, stimando che a livello internazionale il 5% delle zone costiere e dei corpi idrici nei Paesi industrializzati presentino sedimenti pericolosi per la salute umana e per l'ambiente e che il 10% dei sedimenti sia dannoso per l'ambiente acquatico. L’argomento è alquanto complesso e ha una rilevanza socio-economica notevole sia a livello nazionale che internazionale; cerchiamo di fare chiarezza su queste tematiche analizzando la situazione dei sedimenti in Italia attraverso le parole dell’ingegner Luciano De Propris, esperto tecnico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, specializzato nel campo delle tecnologie innovative e ambientalmente sostenibili per la gestione e il recupero dei sedimenti. Per introdurre questa tematica ci potrebbe spiegare cosa si intende per sedi-

menti ed in particolare qual è la complessità legata alla loro gestione? I sedimenti sono solidi sospesi o depositati che costituiscono l’elemento principale di una matrice, che è stata o è tuttora soggetta ad azione di trasporto da parte dell’acqua. Sono composti da suoli, sabbia, materia organica o minerali che si accumulano sul fondo di un corpo idrico e possono contenere materiali tossici o pericolosi, e che nella loro stratificazione raccontano la storia di ogni sito. La tematica riguarda aree su cui sorgono attività industriali e turistiche diversificate ed economicamente molto importanti su scala nazionale; gestire questi materiali significa quindi affrontare le problematiche relative ai dragaggi portuali, al ripascimento di aree costiere soggette ad erosione, alla gestione del rischio idraulico, alla sicurezza della navigazione, alla manutenzione dei corpi idrici, nonché alla gestione delle centrali idroelettriche ed altro ancora. I temi centrali che ne definiscono la complessità sono riassumibili in tre punti nodali: la vastità delle aree su cui intervenire e di conseguenza gli ingenti quantitativi da movimentare e gestire, i fenomeni molto spesso associati


di contaminazione di tali materiali e non da ultimo la difficoltà di recuperare tali materiali nell’ecosistema o per usi civili. Quando e da dove nasce il problema legato alla gestione dei sedimenti? Fino ai primi anni novanta non si riscontravano grandi problemi nella gestione dei sedimenti se non quelli di tipo infrastrutturale e logistico legati al dragaggio di questi materiali che si accumulavano sui fondali dei corsi d’acqua e dei porti, alla loro ricollocazione tramite lo spostamento degli stessi all’interno dei corsi d’acqua, o al loro sversamento a mare. Negli stessi anni crescono contestualmente, da un lato la sensibilità per le tematiche ambientali e la consapevolezza della compromissione di molti corpi idrici (caratterizzazione dei siti di interesse nazionale) e dall’altro si elaborano le prime linee guida e le prime normative mirate alla tutela e alla salvaguardia ambientale connessa alla gestione di tali materiali. Il problema è direttamente collegato al fatto che la matrice sedimento, durante il processo di trasporto ed accumulo, può entrare in contatto in modo puntuale o diffuso con reflui liquidi e rifiuti solidi di diversa natura, prodotti da attività industriali e urbane, dal dilavamento di suoli in ambito urbano ed agricolo, da sversamenti accidentali o da infiltrazioni. Queste sostanze possono contenere contaminanti quali idrocarburi, pesticidi, metalli pesanti e diossine, che si adsorbono sui sedimenti creando impatti ambientali nocivi e potenzialmente pericolosi per l’uomo, in particolare nei corpi idrici a debole ricambio, dove si formano delle vere e proprie stratificazioni di contaminazione complesse e persistenti, generatesi molte volte in archi temporali anche molto risalenti nel tempo. Da qui nasce il problema, dall’incrocio tra un fenomeno naturale continuo, che è il trasporto solido di questi materiali, e un’attività antropica che produce contaminazioni in natura. Parlando di numeri, cosa significa tutto questo su scala nazionale? Il Ministero dell’Ambiente stima che il 5% circa delle coste italiane ha dei problemi ambientali, per una superficie costiera interessata di circa 60mila ettari. Sono grandi numeri che immediatamente fanno capire l’estensione del fenomeno e l’importanza di interventi mirati alla risoluzione di questa situazione.

Ing. Luciano De Propris esperto tecnico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

Dei 54 siti di interesse nazionale da sottoporre ad interventi di risanamento, ben 27 hanno un perimetro a mare; si pensi ad esempio alle aree di Porto Marghera, Priolo, Bagnoli, Taranto, Brindisi, Gela e Piombino. Se ai 27 siti di interesse nazionale con perimetrazione a mare aggiungiamo tutti i siti potenzialmente contaminati d’ambito regionale e comunale, ma soprattutto i corpi idrici interni, quali fiumi, laghi, lagune e bacini artificiali come il Cengio, il Sarno e il lago Maggiore, capiamo subito la gravità ed il carattere di emergenza che il fenomeno sta raggiungendo. Si pensi, a titolo di esempio, che solo dai fondali portuali di Porto Marghera dovrebbero essere rimossi dai 6 ai 10 milioni di metri cubi di sedimenti: immaginatevi una fila doppia di autocarri che percorre l’intera lunghezza dell’Italia. Esiste una normativa specifica per la gestione dei sedimenti contaminati? La risposta non è semplice, perché anche qui il problema maggiore consta nell'interdisciplinarietà della materia (Infrastrutture e Ambiente) e nella stratificazione normativa intercorsa nel tempo. Per una piena comprensione della tematica occorre anzitutto suddividere la normativa su tre livelli - comunitario, nazionale e

locale - e su ambiti differenti, legati sia al dragaggio per motivi infrastrutturali che al dragaggio per motivi ambientali. A livello Comunitario sono stati emanati dei principi guida sanciti in alcuni Accordi o Convenzioni internazionali, come quella di Londra del 1972 e quella di Barcellona del 1995, che regolano i principi di sostenibilità e salvaguardia per questa materia. Alle Convenzioni internazionali sono seguite in campo ambientale, e sono ancora in corso di definizione per alcune materie, normative comunitarie definite quadro, come quelle per le acque, gli habitat, i suoli e i siti contaminati, nonché quelle per la gestione dei rifiuti. Sulla scia di tali indicazioni si è mossa la normativa nazionale, andando a definire per la tematica connessa agli aspetti ambientali dei dragaggi e alla gestione dei sedimenti (materia trasversale a più normative) riferimenti multipli associati a normative differenti, per ambito di applicazione e per collocazione geografica. A tutto ciò si è aggiunta, in mancanza di una normativa di settore a livello nazionale, una regolamentazione di livello regionale, che provando a dirimere questioni sito specifiche, ha ampliato la difformità e la differenziazione di gestione di tale materia acuendone le difficoltà su scala nazionale. Basti pensare che ad oggi il tema dei dragaggi e della gestione dei sedimenti viene trattato in modo differenziato in porti limitrofi, come Genova e Livorno, o in ambiti lagunari molto vicini, come quello di Venezia e di Marano e Grado. Il problema normativo si traduce in problema gestionale e pratico: quali sono le procedure di gestione adottate in questo campo e le possibili soluzioni da ricercare? La trasversalità dell'argomento e l’esigenza di coniugare tematiche infrastrutturali e ambientali ha reso difficile il recepimento della materia in una normativa unitaria di settore, rendendo tortuoso e suscettibile di interpretazioni l’iter da adottare al momento. E' importante definire quindi procedure e linee guida (normativa tecnica di settore) univoche, semplici e di rapida attuazione, per affrontare questo problema che ha ripercussioni commerciali ed economiche non solo su scala nazionale, ma mediterranea e addirittura globale. Bisogna considerare il materiale proveniente dai dragaggi come una

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risorsa da recuperare e non come un rifiuto tout court, prevedendo da subito un iter adeguato, che valuti la pericolosità del materiale e ne definisca il recupero, a valle degli opportuni sistemi gestionali e/o di decontaminazione. Di pari passo vanno individuate politiche per la riduzione degli apporti inquinanti nei corpi idrici, che renderebbero altresì vani gli sforzi nella manutenzione e nella gestione di tali materiali. Per arrivare a questo, il mondo dei cosiddetti “stakeholders” dovrà adeguare il livello di progettazione e gestione dei sedimenti in base ai principi di sostenibilità globale del sistema. Contestualmente andrà sviluppato e implementato, stimolandone la ricerca applicata, il sistema delle tecnologie innovative per la trasformazione di tali materiali in usi benefici. A tal proposito è utile citare casi nord europei che stanno attuando politiche e progetti finalizzati agli obiettivi sopra citati: il Porto di Anversa, ad esempio, ha recentemente avviato un progetto per la gestione, il trattamento e il recupero dei sedimenti dragati, che interesserà la manutenzione del porto per i prossimi dieci anni. Quali sono a tale proposito le tecniche maggiormente utilizzate per la bonifica ed il trattamento dei sedimenti marini? Negli ultimi anni l’argomento è stato affrontato a livello nazionale ed internazionale da diversi tecnici: in generale si applica il principio delle BAT (Best Available Technology), ossia, caso per caso, si cerca di adottare la più effi-

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ciente ed avanzata tecnologia industrialmente disponibile ed applicabile in condizioni tecnicamente valide, in grado di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.Ad oggi le principali innovazioni tecnologiche in materia di trattamento e gestione dei sedimenti derivano per lo più dall’esperienza maturata nel nord Europa e negli USA. Le tecnologie di trattamento dei sedimenti sono state inizialmente mutuate dalle tecniche di risanamento dei terreni, come quelle della separazione granulometrica, del soil washing, del biorisanamento o del desorbimento termico. Questa associazione con le tecnologie di bonifica utilizzate a terra, se da un lato parte da un consolidato molto sviluppato, dall’altro potrebbe portare a sottovalutare l’esigenza tecnologica, che invece va studiata in maniera approfondita e caso per caso, viste le notevoli differenze tra la matrice suolo e la matrice sedimento. Allo stesso tempo, complementari o alternativi a quest’ultimi, esistono dei sistemi gestionali basati sul refluimento di questi materiali all’interno di idonee strutture di contenimento (casse di colmata dall’inglese Confined Disposal Facili-

ties – CDF) che possono essere temporanee, e fungere da aree polmone e/o come centri di trattamento, oppure definitive, cercando di trasformare con le opportune tecnologie i sedimenti refluiti in materiali da costruzione idonei per le infrastrutture portuali. Come ultima applicazione tecnologica per il trattamento, o ancor meglio per la messa in sicurezza delle aree marine, vanno menzionati i sistemi di capping (ricoprimento), a volte reattivo, che fungono da isolamento temporaneo - e/o trattamento - dei sedimenti contaminati dal resto dell’ecosistema acquatico. In conclusione mi preme sottolineare che per risolvere questo tipo di problemi non esistono né bacchette magiche né sistemi universali; esistono delle progettazioni intelligenti e sito specifiche che sono pronte ad adattare tecnologie innovative e sistemi di gestione dei sedimenti e che minimizzano gli impatti trovando le giuste ricadute economiche, infrastrutturali e di sviluppo economico a scala di bacino. Sempre per non rimanere vaghi, si può citare come esempio reale e attuale il lavoro che si sta conducendo sui canali navigabili di Venezia, dove il Commissario di Protezione Civile nominato per risolvere l’emergenza sta attuando ormai da anni una progettazione integrata che prevede una serie di tecnologie innovative, concordate sul territorio, indirizzate ad offrire delle soluzioni reali, integrate ed economicamente sostenibili, finalizzate al miglioramento globale del territorio sul quale si opera.


Quindi ci sono dei fondi che vengono destinati a questo tipo di interventi? Per quanto riguarda i siti di interesse nazionale c’è un fondo di reparto stanziato su tutti i siti, che deve servire per coprire le spese di tutela ambientale sia a terra che a mare. Sicuramente i finanziamenti statali da soli non sono sufficienti per coprire questo genere di interventi, anche perché le spese per il ripristino ambientale di tali aree molte volte risultano ancora indefinite e troppo dipendenti dai progetti di sviluppo delle aree stesse. Per affrontare il problema in maniera seria e pragmatica andrebbe capovolta la domanda, bisognerebbe da prima condividere i progetti di sviluppo su scala di bacino, e poi lavorare a come finanziare tali interventi coinvolgendo nel progetto tutti i soggetti interessati. Non vedo comunque una soluzione praticabile per risolvere le problematiche del risanamento ambientale delle aree, fino a quando tali criticità non saranno messe in stretta correlazione con quelle di tipo sociale, turistico, infrastrutturale e di sviluppo economico delle aree stesse. A tale proposito bisogna abbandonare l’approccio per compartimenti stagni e vanno invece affrontate politiche di sviluppo e risanamento del territorio su scala di bacino, che coinvolgano tutti i soggetti interessati e tutte le Autorità locali, non da ultimi i soggetti privati. Il ruolo e la preparazione degli Enti di controllo sono fondamentali nei processi di gestione dei sedimenti. Quali sono le iniziative intraprese dal Ministero dell’Ambiente? Si parla molto spesso dei controlli in maniera generalista e aleatoria, quando invece costituiscono un parametro essenziale, specie per una tematica nuova e complessa come quella del risanamento dei corpi idrici e della gestione dei sedimenti contaminati. Un buon sistema di controllo determina molte volte la riuscita di un progetto e la professionalità e la bravura di chi lo esegue è l’elemento cardine su cui contare per un corretto iter tecnico e procedurale. L’ISPRA, nato dalla fusione di APAT, ICRAM e INFS, per conto del Ministero dell’Ambiente e in coordinamento con le ARPA locali, ha investito molto su questa materia e continua a

farlo, costituendo un interlocutore fondamentale per la definizione degli scenari di risanamento dei corpi idrici, in particolare delle aree portuali. E’ una partita importante quella che si giocherà nei prossimi anni: come Ministero dell’Ambiente abbiamo analizzato e quantificato il problema, ed ora sappiamo quali sono le esigenze e le situazioni più urgenti. Per questo si sta lavorando sullo sviluppo di più linee di attività, che riguardano fondamentalmente: la predisposizione di una normativa di settore specifica sulla gestione dei sedimenti, in accordo con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, l’incentivazione di progetti di risanamento e di sviluppo infrastrutturale ed

economico concordati, che attuino forme di finanziamento su scala locale, regionale e nazionale tramite Accordi di Programma specifici, il disincentivo allo smaltimento incontrollato in discarica per i sedimenti movimentati dai fondali, e non da ultimo l’incentivazione a forme di recupero di questi materiali per i principali usi benefici, specie per opere pubbliche con una forma riconducibile al GPP (Green Public Procurement). Approfondimenti normativi e tecnologici accompagnati da ricognizioni di esperienze nazionali e internazionali contribuiranno nei prossimi decenni ad uno sviluppo radicale della materia e del mercato su scala globale.

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PROVINCIA DI MACERATA: la gestione delle aree contaminate Un importante sito di interesse nazionale, numerose situazioni locali ed un territorio di qualità da preservare: questa la situazione dei siti contaminati nel territorio maceratese di Roberto Ciccioli*

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on l’entrata in vigore del D.M. 471/99, che ha definito criteri e modalità per l’attuazione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino dei siti inquinati, è iniziata l’avventura amministrativa della Provincia che ha visto, nel corso degli anni, una rilevante e costante crescita di attività inerenti questa materia. Il territorio della Provincia di Macerata è caratterizzato geograficamente dalla presenza di due importanti valli, quella del fiume Chienti e quella del Potenza, le quali, dalle aree interne si snodano in direzione circa W-E fino al mare Adriatico. Esse conferiscono al territorio una morfologia molto variegata, tipica del paesaggio di queste zone che, da montane passano, nel volgere di alcune decine di km, attraverso un paesaggio collinare di rara bellezza, verso panorami dalla tipica connotazione costiera. Dal punto di vista insediativo il territorio è costellato dalla presenza di numerosi nuclei e borghi con caratteristiche medio-piccole e da pochi centri con popolazione compresa tra 20 e 45mila abitanti, tra cui il capoluogo e Civitanova Marche. Il territorio si contraddistingue per un’antropizzazione diffusa e distribuita, sebbene in maniera non omogenea: lo sviluppo demografico, infatti, ha privilegiato le aree con maggiore accessibilità, quali le zone co-

stiere, le aree pianeggianti lungo gli assi vallivi ed i più importanti nuclei. Queste considerazioni valgono anche per lo sviluppo delle realtà produttive che, seppur modeste in confronto ad altre realtà nazionali, nel tempo hanno dato origine a comparti e filiere industriali che possono essere ritenuti responsabili di alcune delle situazioni più preoccupanti di contaminazione rinvenute nel corso di questo decennio di attività nel disinquinamento del territorio. La situazione rappresentata è il risultato di un periodo decennale, nel corso del quale gli eventi di contaminazione potenziale/effettiva si sono diffusamente manifestati sul territorio, o sotto forma di episodi occasionali e localizzati o come fenomeni pregressi derivanti da attività industriali significative per l’economia locale. Si potrebbe parlare, pertanto, di un doppio binario alla luce del quale esaminare i fenomeni di contaminazione presenti nel territorio maceratese. La prima fattispecie, consiste nella casistica di tutti quei siti di interesse locale per i quali, ai sensi del D.M. 471/99 prima e del D.Lgs. 152/06 poi, sono state attivate le procedure di bonifica. Questi casi fanno capo in generale a tipologie di attività definite e riconducibili ad un ambito abbastanza circoscritto. La seconda fattispecie è ascrivibile, invece, a quella che costituisce la situazione di

contaminazione più preoccupante ed estesa oggi presente nel territorio, a causa della quale è stato individuato, con D.M. 26/02/2003, il sito di interesse nazionale del “Basso bacino del fiume Chienti”. In entrambe le situazioni la Provincia di Macerata è fortemente coinvolta, al di là delle proprie competenze istituzionali, nell’impegno di contribuire attivamente per la soluzione delle criticità, sebbene ciò richieda un dispendio di energie amministrative, tecniche ed economiche molto rilevante e prolungato. E’ noto, infatti, che le attività di bonifica hanno decorsi temporali estremamente prolungati, in quanto basta poco per contaminare un suolo/sottosuolo o un’acqua sotterranea, mentre sono necessari molti sforzi per ricondurre matrici contaminate a condizioni di qualità sostenibili al fine di renderle nuovamente fruibili alla collettività.

i siti di iNteresse locale Nel periodo 2000-2009 sono emerse numerose situazioni di contaminazione che hanno interessato buona parte del territorio provinciale, sebbene la distribuzione non sia uniforme e sia caratterizzata da una prevalenza di eventi nelle aree con maggior presenza di attività industriali e di insediamenti.

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di degradazione degli stessi. In particolare, la persistente presenza di idrocarburi (e MTBE) e di solventi clorurati costituisce la maggiore causa di compromissione delle falde, spesso utilizzate anche per fini idropotabili ed irrigui. Tali eventi, aventi rilevanza a carattere locale, hanno comportato l’avvio di circa 130 approfondimenti istruttori, includendo anche le situazioni di potenziale rischio che talvolta, come in casi di contaminazioni circoscritte, sono state risolte con l'adozione di misure di messa in sicurezza d’emergenza che hanno consentito l’immediato ripristino del sito. Questi fenomeni hanno interessato circa il 60% dei comuni della ProFigura 1. Situazioni di rischio di potenziale contaminazione (2000-2009) vincia, con prevalenza di quelli di maggiori diIn termini quantitativi, la maggiore casistica mensioni in termini di abitanti. Le fasce terriscontrata è quella dei depositi/stoccaggi di ritoriali interessate sono indicate a livello di idrocarburi, comprese le cisterne interrate per incidenza percentuale nel grafico di Figura 2, usi non industriali. Seguono le attività indu- che non tiene conto però del sito di interesse striali, comprese quelle di gestione dei rifiuti, nazionale. Il riferimento principale è costituito gli episodi di sversamento occasionale e poi dalle aree industriali più interessate da attività di seguito gli abbandoni di rifiuti e gli impianti differenziate, ubicate nei comuni con maggiore presenza insediativa e vocazione produttidi discarica (Figura 1). Le tipologie di inquinanti riscontrate sono va. Dal punto di vista geografico la prevalenza quelle tipiche delle aree industrializzate den- è per le zone basso-collinari e costiere, magsamente abitate, con predominanza di idro- giormente attive sotto il profilo produttivo e carburi, metalli, solventi clorurati e prodotti che presentano una maggiore disponibilità in termini di territorio utilizzabile per l’ubicazione delle varie attività. In generale i fenomeni riscontrati, sebbene non trascurabili in termini di concentrazione, non hanno causato fino ad oggi situazioni tali da creare vere emergenze ambientali. Naturalmente in alcuni casi in cui la contaminazione ha interessato le falde sotterraFigura 2. Distribuzione nel territorio provinciale nee, è stata necessaria

Le principali situazioni, origine di contaminazione potenziale/effettiva delle matrici ambientali, derivano da attività di deposito/stoccaggio di prodotti petroliferi, attività industriali attive/dismesse di produzione di materie plastiche, meccaniche e di gestione dei rifiuti, discariche e sversamenti occasionali.

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l’adozione di misure restrittive a tutela della salute pubblica, quali le ordinanze di inibizione all’utilizzo delle acque. Per quanto concerne le tecnologie di bonifica applicate, si evidenzia una linea di tendenza netta nelle scelte effettuate per la messa in sicurezza/bonifica (Figura 3). Nei casi di contaminazione dei terreni sono state privilegiate tecnologie finalizzate alla rimozione fisica dei materiali inquinati, con prevalenza nell’uso dello scavo e smaltimento, mentre più raramente sono state utilizzate tecnologie di capping e/o segregazione dei materiali inquinati o altre tecnologie alternative come l’estrazione dei vapori. In presenza di contaminazione in falda si è verificata un’assoluta preponderanza della tecnologia di estrazione delle acque attraverso il pompaggio e trattamento delle stesse in impianti a carboni attivi. Di rado, quasi esclusivamente in progetti di bonifica di punti di distribuzione carburanti, sono stati previsti impianti che utilizzano tecnologie di strippaggio. In generale le tecnologie di risanamento applicate denotano una larghissima appartenenza ad una concezione classica della bonifica supportata da un’ampia casistica applicativa, che risponde anche alla necessità di tempi certi per il conseguimento degli obiettivi e all’esigenza di garanzie per il riutilizzo o la riconversione dei siti, rispetto ad approccio più evoluto che invece sarebbe in grado di consentire quel salto di qualità nella bonifica dei siti che appare oramai maturo, stante la conoscenza maturata e le esperienze internazionali.

IL SITO DI INTERESSE NAZIONALE DEL “BASSO BACINO DEL FIUME CHIENTI”

Fin dalla fine degli anni ’80 la bassa valle del fiume Chienti è stata interessata da diffusi fenomeni di inquinamento del suolo, sottosuolo e delle falde, a causa della presenza di aziende del settore calzaturiero che hanno utilizzato composti organoalogenati per il lavaggio di fondi in poliuretano e che verosimilmente sversavano i residui di tali processi sul suolo, nel sottosuolo quando non direttamente in falda. Gli inquinanti, costituiti prevalentemente da tricloroetano, tricloroetilene e tetracloroetilene,


hanno contaminato una vasta area di circa 16 Kmq in sinistra idrografica del fiume Chienti, nei comuni di Civitanova Marche, Montecosaro, Morrovalle (Provincia di Macerata) e un'area in destra idrografica di circa 10 Kmq nei comuni di Porto Sant'Elpidio e Sant'Elpidio a Mare (Provincia di Fermo). La situazione ambientale si è rivelata critica in quanto l'inquinamento ha interessato anche pozzi privati e delle centrali di sollevamento di acquedotti comunali, e la gravità della stessa è emersa a seguito di riscontri analitici effettuati in applicazione del D.P.R. 236/88. Nelle falde del territorio sono emerse situazioni di contaminazione inizialmente da nitrati e, in seguito, da tricloroetano. Successivamente, con la modifica dei cicli produttivi, sono state adottate tecnologie che hanno portato alla sostituzione del tricloroetano con il percloroetilene. Tuttavia in seguito la falda è risultata contaminata anche da percloroetilene. La preoccupante presenza dei contaminanti ha portato all’avvio, nel 1997, del monitoraggio costante dei pozzi inquinati, effettuato da ARPAM con finanziamenti messi a disposizione dalla Provincia di Macerata, che ha costituito un prezioso patrimonio conoscitivo fornendo i presupposti tecnici necessari alla comprensione dei fenomeni. La contaminazione, dovuta prevalentemente a composti della classe degli idrocarburi alifatici clorurati, caratterizza buona parte della falda in sinistra idrografica, mentre in destra idrografica l’inquinamento viene riscontrato solo nelle aree più prossime alla foce. Alla luce dello stato di inquinamento emerso, il territorio del basso bacino del fiume Chienti è stato inserito tra i siti individuati dal programma nazionale di bonifica di cui al D.M. 468/2001 mentre con il D.M. del 26/02/2003 è stata definita la perimetrazione del sito che comprende un territorio di circa 26 Km2. Nel perimetro è compresa anche l’area marina con ampiezza pari a 1200 ha che si estende, tra Porto Sant’Elpidio e Civitanova Marche, per una lunghezza di circa 4 km. I Piani di Caratterizzazione, redatti da ARPAM/APAT e da ICRAM per la parte marina, sono stati approvati nel 2005 ed eseguiti successivamente da ARPAM.

L’inquinante maggiormente riscontrato è risultato il tetracloroetilene e, in ordine decrescente, l’1,1-dicloroetilene ed il tricloroetilene, tutti composti cancerogeni. Per fornire la dimensione esatta dei fenomeni, si noti che la presenza dei contaminanti riscontrata anche nei pozzi delle centrali disollevamen- Figura 3. Tecnologie utilizzate to degli acquedotti ed in pozzi privati, ha comportato l’adozione di Parallelamente è stato avviato un percorprovvedimenti urgenti finalizzati alla tutela so amministrativo conclusosi il 07/04/2009 della salute pubblica nonché all’installazione con la sottoscrizione di un Accordo di Prodi impianti di trattamento delle acque unita- gramma tra Ministero, Regione, Province e mente a forme alternative di approvvigiona- Comuni nel quale le parti pubbliche si sono impegnate all’esecuzione degli interventi di mento di acqua potabile. A seguito dei risultati delle indagini condotte bonifica che andranno ad integrarsi con gli dalla parte pubblica nonché dai soggetti ob- interventi posti in essere dai soggetti privati bligati, il Ministero dell’Ambiente ha richiesto obbligati. a Regione Marche, Province, Comuni interes- L’Accordo individua la Provincia di Macerata sati e ad ARPAM la predisposizione di progetti quale soggetto promotore ed attuatore della unitari di bonifica delle acque di falda. Il Pro- bonifica. Poiché la compartecipazione finangetto Preliminare, redatto da ARPAM/Regione ziaria degli enti territoriali non assicurava l’inMarche/Provincia di Macerata, è stato pre- tera copertura degli oneri necessari, le risorse sentato alla fine del 2006 e successivamente mancanti sono state individuate nell’ambito del POR FESR Marche; pertanto, la Provincia integrato all’inizio del 2008.

Figura 4. Veduta aerea della bassa valle del fiume Chienti (Fonte ARPAM)

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L’ambizioso obiettivo è quello del risanamento delle aree contaminate, la restituzione alla libera disponibilità della risorsa idrica, la riqualificazione e lo sviluppo socio-economico delle aree ricadenti all’interno del perimetro del sito di interesse nazionale. Dal punto di vista amministrativo sono state oltre 350 le pratiche trattate, che comprendono sia i procedimenti più complessi relativi alle aree produttive sorgenti di contaminazione, sia quelle aree non industriali incluse nel perimetro per le quali si è resa necessaria l’esecuzione delle indagini volte a verificare l’eventuale presenza di fenomeni di contaminazione delle matrici ambientali.

Figura 5. Perimetro del sito di interesse nazionale “Basso bacino del fiume Chienti” (Fonte ARPAM)

per la realizzazione di barriere idrauliche da posizionare a valle delle sorgenti di contaminazione (hotspot). La tecnologia prevede l’emungimento di acqua sotterranea da convogliare ad uno specifico impianto di trattamento, con il duplice scopo di contenere la diffusione degli inquinanti e favorire la decontaminazione della falda. In totale è stimata l’installazione di 13 barriere idrauliche (per un totale di circa 3,7 km di lunghezza) costituite da oltre 62 pozzi di emungimento delle acque contaminate da inviare ad impianti che tratteranno circa 500.000 mc/anno. Il tempo stimato per l’intervento è di almeno 10 anni. Quanto allo stato di attuazione dell’Accordo, sono in corso le procedure per l’affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva degli interventi. Il progetto dovrà poi essere sottoposto all’ap-provazione del Ministero dell’Ambiente e, successivamente, si provvederà all’affidamento dei lavori di realizzazione. Si stima che l’avvio degli impianti possa avvenire nell’anno in corso. Figura 6. Situazioni di rischio di potenziale contaminazione (2000-2009)

di Macerata si è attivata quale soggetto capofila affinché gli stessi potessero rientrare nell’ambito del relativo Bando di attuazione, che prevedeva specifici finanziamenti per la realizzazione di progetti “integrati”, finalizzati alla bonifica di siti inquinati rilevanti per lo sviluppo del territorio, prioritari ed individuati nella programmazione nazionale. Il progetto prevede la suddivisione del sito in sub-aree distinte in base alla tipologia di intervento ed in relazione ai contaminanti riscontrati. In base alle caratteristiche sito-specifiche e dopo una valutazione tecnico/economica delle tecnologie applicabili, si è optato

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CONCLUSIONI Per fornire un’istantanea di come le problematiche connesse alla bonifica dei siti inquinati abbiano inciso sul territorio maceratese e, quindi, sul suo utilizzo e pianificazione, nella Figura 6 è riportata una mappa d’intensità delle situazioni di potenziale rischio di contaminazione verificatesi tra il 2000 e il 2009. Dall’aggregazione, fatta per comuni, emerge un quadro che descrive una realtà provinciale interessata in maniera non omogenea da tali situazioni e sebbene, come già evidenziato, circa il 60% dei comuni sia stato toccato da tali problematiche, in molti casi queste hanno rappresentato eventi che si sono velocemente risolti e, soprattutto, hanno coinvolto più territori comunali unicamente in rarissimi episodi. Il discorso cambia invece in corrispondenza dei comuni demograficamente ed industrialmente più importanti, fino ad arrivare, nelle colorazioni più accese, all’istantanea dell’emergenza ambientale del sito di interesse nazionale. Tale “fotografia” costituisce un’immagine significativa e fedele delle attuali condizioni: l’obiettivo, da conseguire insieme ai comuni, è quello del continuo miglioramento della situazione generale e, in particolare, di avviare celermente lo start-up del processo di risanamento delle principali emergenze. Questo sarà un anno fondamentale per il raggiungimento di tali obiettivi. *Provincia di Macerata, Settore Ambiente


IL MERCATO ITALIANO DEI ROTTAMI FERROSI Attraverso le parole del Presidente di Assofermet Rottami, una panoramica sull’andamento di questo settore tra crisi globale, volatilità dei prezzi e mercati emergenti di Maeva Brunero Bronzin

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risi economica globale, calo dei consumi, volatilità dei prezzi, mercati emergenti: sono solo alcune delle sfide che chi opera nel mercato delle materie prime ha dovuto affrontare in quest’ultimo anno. La difficile congiuntura economica e le incertezze sul futuro mettono ancor più in evidenza la necessità di cogliere le nuove opportunità

Romano Pezzotti, Presidente divisione Rottami di Assofermet

che offre questo settore in continua evoluzione. L’associazione di riferimento che da oltre 60 anni rappresenta i commercianti di metalli ferrosi e non ferrosi, le imprese del commercio, della distribuzione e della pre-lavorazione di prodotti siderurgici, è Assofermet; attraverso un’intervista rilasciata ad ECO, il Presidente della divisione Rottami, Romano Pezzotti ci illustra la situazione italiana di questo mercato, mettendo in luce le criticità e gli spunti per competere con i nuovi Paesi emergenti. Presidente, in poche e semplici parole, ci potrebbe spiegare in cosa consiste il processo di recupero di un rottame ferroso? In siderurgia i procedimenti più comunemente utilizzati per produrre acciaio possono essere ricondotti a due: l’acciaio ottenuto dal minerale, oppure quello ottenuto dalla fusione dei rottami di ferro. Nel primo caso, lo stabilimento per la produzione è denominato “a ciclo integrale”: questo significa che è necessario disporre di tutti quegli impianti ed attrezzature che consentano la trasformazione chimico-fisica del minerale (ossidi di ferro) in acciaio. Il minerale necessita di un'accurata preparazione e miscelazione con altre sostanze (in particolare con il calcare) per ottenere quella composizione chimico-fisica necessaria per la sua trasformazione.

I metodi di trattamento fanno sì che il minerale e gli altri componenti aggregati siano trasformati in pellets in modo da renderli atti alla preparazione della carica dell'altoforno, all’interno del quale il minerale – sottoposto ad alta temperatura – si trasforma in ghisa (ferro ad alto contenuto di carbonio). All'uscita dall'altoforno, la ghisa viene trasportata all'acciaieria per la trasformazione in acciaio. Il processo per la preparazione dell'acciaio consiste nella decarburazione della ghisa e nell'aggiunta di componenti che consentano di ottenere il grado di durezza e resistenza desiderato. Nella produzione mediante forno elettrico, si produce acciaio attraverso la rifusione dei rottami ferrosi opportunamente preparati e selezionati, senza che siano necessari impianti e macchinari finalizzati alla produzione della ghisa ed alla sua trasformazione in acciaio. Rispetto agli impianti a ciclo integrale, quelli dotati di forno elettrico sono, a parità di prodotto, di dimensioni e valori di investimento minori, permettendo la realizzazione di stabilimenti anche di capacità medio piccola. Il core business legato al riciclo dei rottami ferrosi consiste nel recuperare tutti gli scarti provenienti dall’industria manifatturiera e meccanica (cadute nuove di lamiera, trucioli, sfridi di lavorazione, stampaggi, ecc.) e dalla demolizione di ex siti industriali come raffinerie, zuccherifici e cementifici.

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A questi si aggiungono tutti i rottami provenienti dalla raccolta differenziata e circa un milione e mezzo di tonnellate di automobili rottamate ogni anno in Italia. Qual è il processo industriale che viene seguito nei vostri stabilimenti? Una volta che il materiale è arrivato nei nostri stabilimenti, viene fatta una sorta di selezione per isolare le varie categorie di rottame, sia per forma che per tipologia merceologica. Tutti i materiali in ingresso arrivano all’impianto come rifiuti e, tramite processi di lavorazione controllati che dipendono dalla tipologia di materiale conferito, vengono selezionati per separarli da qualsiasi impurità, come legno, calcestruzzo, gomma o plastica. La fase successiva consiste nella riduzione volumetrica dei rottami (tramite cesoiatura, pressatura e frantumazione), in modo da consentirne l’utilizzo nei forni elettrici. Nei forni elettrici ad arco, il rottame ferroso viene fuso utilizzando l'energia elettrica fornita agli elettrodi e l'energia chimica prodotta dall'insufflazione intensa di ossigeno, carbone e metano, fino alla produzione dell’acciaio. Nella qualità del prodotto finale, assume fondamentale importanza l'accurata preparazione dei rottami utilizzati.

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Si può affermare che la filiera dell’acciaio rappresenti un mercato importante per il nostro Paese, con fatturati e numero di addetti elevati? Assolutamente, questo mercato è molto importante a livello nazionale; la nostra associazione rappresenta circa 1000 aziende virtuose, che sul territorio nazionale recuperano circa 16 milioni di tonnellate di rottami ferrosi e non ferrosi, con un fatturato superiore ai sei miliardi di euro all’anno. La produzione, concentrata principalmente al Nord, ma con installazioni di rilievo anche al Centro e al Sud, occupa decine di migliaia di addetti diretti ed altrettanti sono impegnati nei settori della filiera, dalla raccolta alla demolizione, dalla frantumazione al trasporto fino alle lavorazioni speciali. Ad oggi, tramite forno elettrico, viene prodotto il 65% circa dell’acciaio nazionale, mentre il 35% rimanente deriva dalla produzione con ciclo integrale. Queste percentuali negli ultimi anni non hanno subito grosse variazioni a favore di un ciclo produttivo o dell’altro, confermando una suddivisione pressoché costante nella produzione di questa materia prima. La quotazione dei metalli ferrosi è soggetta a forti oscillazioni in brevi periodi; ci

spiega il perchè di questa estrema volatilità ed i parametri che maggiormente influiscono sulle quotazioni? Per comprendere bene questi meccanismi bisogna innanzitutto identificare il mercato dell’acciaio, perché le materie prime della siderurgia ruotano attorno ad esso. La volatilità che abbiamo avuto in questi ultimi anni va distinta in due tipologie; la prima è quella vista fino a due anni fa ed era la volatilità di un mercato siderurgico drogato, che ha portato nel 2008 in due mesi ad avere aumenti del 300% delle materie prime, arrivando a segnare la fine di un superciclo positivo della siderurgia mondiale. Nel mese di settembre 2008 c’è stato un tracollo di tutti i mercati e da lì è iniziato il vero calvario per tutta la filiera siderurgica e non solo. Prima di questa crisi, la volatilità del mercato era sostenuta da una forte domanda di acciaio nel mondo, che improvvisamente ha dimostrato di non essere in linea con i consumi reali. Con l’ingresso in questo periodo di congiuntura economica negativa, si è creata un’altra volatilità molto più stretta, con quattro mini cicli in un anno e mezzo, che hanno portato i prezzi ad oscillare in modo repentino, con valori di massimo e di mimino nell’arco di soli 40 giorni. Questo andamento è il risultato dei tentativi di risalita del mercato dalla voragine che si era creata nell’intero settore siderurgico; teniamo


presente che la siderurgia mondiale ha chiuso il 2009 con un calo del 20% di produzione e quella italiana addirittura con un calo del 40%. Questi mini cicli hanno condizionato i primi due mesi del 2010 con una domanda crescente di materia prima accompagnata da quotazioni in significativo rialzo; la caratteristica di questi mini cicli si può sintetizzare in “due passi avanti e uno indietro” per il mercato. Gradualmente il settore si sta rafforzando in termini di quotazioni. Per il 2010 prevedo un leggero incremento della produzione siderurgica, che aumenterà la domanda di materie prime. Questo effetto abbinato ai nuovi flussi degli ultimi mesi potrebbe generare forti tensioni sul mercato. Che cosa intende per “nuovi flussi”? Sono previsti dei cambiamenti nel settore del riciclo del rottame? Tutta la filiera nazionale del recupero nel prossimo futuro sarà soggetta a cambiamenti importanti, sia per mantenere competitività nei processi di riciclo e produzione, sia per far fronte alle tendenze dei nuovi mercati. In merito al secondo punto, teniamo presente che l’Italia è sempre stata un importatore netto di rottame, ma nell’ultimo anno si è generato un incremento delle esportazioni. Questa tendenza è stata la risposta degli operatori ad un mercato nazionale confuso e instabile, che ha reso difficile la vendita e la commercializzazione dei nostri prodotti. Di necessità virtù: il mercato nazionale si è rivolto verso Paesi emergenti, che stanno consolidando nuovi canali di approvvigionamento continuativo dall’Italia. Per contro, quando la siderurgia nazionale avrà bisogno di più rottame dovrà confrontarsi con questo fenomeno. I mercati mondiali – e ovviamente quelli nazionali – oggi sono sempre più regolati da Paesi emergenti, come la Cina, l’India, il Pakistan e la Corea. Per restare più vicino a noi, la stessa Turchia è diventata un importante player nel settore siderurgico, con effetti notevoli su tutta la piazza europea. Oggi le nostre imprese si trovano a competere in un mercato globale che viene stimolato o rallentato sempre più da questi Paesi emergenti, che in un anno fortemente negativo come il 2009 hanno visto la loro produzione in aumento.

La vostra filiera si presenta come un gigantesco processo di recupero di scarti, con criticità ambientali assolutamente da non trascurare. Il ciclo produttivo di recupero dei rottami richiede molta energia, tuttavia la potenza impiegata per tonnellata di rottame trattato in 30 anni si è dimezzata, e i risultati che si ottengono ogni anno in termini di efficienza energetica confermano l’enorme sforzo che molti nostri associati stanno facendo per l’ecosostenibilità del settore. L’indirizzo ambientale di Assofermet verso la base associativa è finalizzato a tutelare i principali impatti ambientali (acqua, aria, suolo, polveri, ecc.) sorvegliando l’operatività negli stabilimenti con la Certificazione Ambientale ISO14001 e con processi di lavorazione controllati. Assofermet Rottami lavora anche per affiancare gli associati nell’intraprendere un cammino condiviso di crescita, di professionalità e di etica imprenditoriale, tutto nell’interesse delle imprese, dei cittadini e dell’ambiente; questo è a mio avviso un nuovo modello di rapporto fra l’impresa e la società civile. Un ruolo importante della nostra associazione è seguire con spirito costruttivo e collaborativo, insieme al Ministero dell’Ambiente, tutti gli aggiornamenti normativi; a tal proposito vorrei segnalare che, in merito al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), Assofermet Rottami ha partecipato attivamente alla pianificazione e all’impostazione di questa nuova normativa che cambierà radicalmente il metodo di gestione dei rifiuti e consentirà di far emergere il sommerso ed i traffici illeciti. E’ possibile, per il mercato del recupero, azzardare una previsione sul futuro o l’essere parte di un sistema globale rende impossibile fare pronostici attendibili?

Questa congiuntura negativa per il comparto manifatturiero e meccanico ha generato un drastico calo del gettito del rottame. Oggi c’è un labile equilibrio tra domanda di materia prima da parte dell’industria siderurgica e offerta da parte del commercio da noi rappresentato; un graduale aumento delle produzioni dovrà essere compensato da una maggiore offerta di rottame. Come dicevo in precedenza, i mercati sono comandati da lontano e saranno sempre caratterizzati da oscillazioni importanti dei prezzi. Noi dovremo seguire attentamente la dinamica dei mercati emergenti e definire le nostre strategie considerando i grandi cambiamenti nei flussi delle materie prime nel mondo. Ecco che l’export di rottame rappresenta oggi un’opportunità aggiuntiva per l’imprenditore lungimirante, che può disporre di un’alternativa molto interessante.

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FORREC S.r.l. Via Roma, 85 31023 Resana (TV) | Italia Tel. +39 0423 1996343 | Fax +39 0423 1996345 E-mail: info@forrec.it - www.forrec.it


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capitali pubblici e privati nel piano strategico per i siti industriali contaminati coniugare riconversione di aree compromesse con attrazione di nuovi investimenti privati è l'obiettivo del piano speciale che ha già identificato 26 siti prioritari di Giovanni Squitieri*

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reen economy al palo senza le bonifiche. Così titolava un recente articolo pubblicato sul quotidiano La Nuova di Venezia. L’occasione era data dalla presentazione del IV Rapporto della Fondazione Pellicani, la cui analisi, focalizzata sul futuro di Porto Marghera, potrebbe essere in realtà proiettata anche in una dimensione nazionale. La tesi di fondo che scaturisce dal Rapporto è così riassunta: “la «green economy» rappresenta il futuro di Porto Marghera, ma dei 3 mila ettari di aree inquinate solo 361 ettari sono stati risanati e riutilizzati”. In realtà, sostiene la ricerca, la «green economy» a Porto Marghera è già una realtà, quantificabile in 880 milioni di euro di investimenti. Lo dimostrano i progetti già realizzati, come il primo lotto del parco scientifico e tecnologico Vega, il metadistretto per “l’ambiente e lo sviluppo sostenibile”, la nuova centrale a idrogeno dell’Enel (la prima del genere nel mondo) e l’utilizzo del combustibile da rifiuti per alimentare la centrale Palladio di Enel. E sono ancor di più i «progetti verdi» in attesa di essere realizzati. Progetti che difficilmente potranno vedere la luce se, come oggi, il 90% dei Siti di Interesse Nazionale dovrà essere ancora bonificato. L’esempio di Porto Marghera non è certamente un caso isolato in Italia.

Il territorio italiano è infatti costellato di siti produttivi cresciuti, in numero e diffusione territoriale, in funzione delle successive fasi di industrializzazione del secolo scorso e oggi interessati da pesanti fenomeni di inquinamento e di deindustrializzazione. Secondo il Ministero dell’Ambiente tali siti rappresentano oltre il 3% dell’intero territorio nazionale. Il risanamento ambientale ed il riutilizzo produttivo di questi territori può però verosimilmente realizzarsi solo in presenza di una nuova strategia nazionale che coinvolga Regioni, Enti locali, soggetti economici e sociali interessati. Sono ormai alcuni decenni che l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti sostiene che “nei Paesi industrializzati, il recupero di un’area industriale abbandonata, inutilizzata o sottoutilizzata in cui l’espansione o il recupero stesso sono ostacolati da un inquinamento ambientale, è spesso più facile, economicamente vantaggioso e sostenibile rispetto all’antropizzazione di nuove aree”. In Italia almeno 37 dei 54 Siti di Interesse Nazionale sono potenzialmente interessati da piani di riqualificazione industriale. Se ne è avuta una conferma anche di recente: dall’analisi di contesto, riferita ai 54 Siti di Interesse Nazionale, realizzata nel corso dell’istruttoria per l’attuazione del Piano Strategico Speciale presso il Ministero Attività

Produttive nel 2008, sono emerse le seguenti caratteristiche comuni: • la dimensione media è molto grande; • il livello di infrastrutturazione presente è più elevato rispetto alla media delle altre aree di insediamento produttivo, ed in gran parte sottoutilizzato; • la gran parte dei siti si localizza in prossimità di grandi arterie di comunicazione (autostrade, aeroporti, porti, centri logistici); • un buon numero di siti, eccezion fatta per alcuni ormai riassorbiti nella maglia urbana, non risulta passibile di destinazioni d’uso alterative a quella di aree per insediamenti produttivi (siti industriali); • sono necessari interventi atti ad assicurare l’economicità e l’efficienza dei servizi industriali; • i livelli e la natura dei fenomeni di inquinamento presentano una forte variabilità e necessitano di interventi differenziati. Certamente questo punto non può essere sottovalutato: un’analisi di fonte industriale del 2006, che ha fatto riferimento ai circa 24.150 ettari delle aree industriali comprese nei SIN (per le quali si hanno informazioni attendibili), ha ipotizzato che, al di là della pericolosità dei singoli elementi, la contaminazione deriverebbe: • per circa il 10% da aree con presenza di amianto;

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Siti Prioritari individuati

Interventi di re-industrializzazione

Bonifica ed opere

(progetti già illustrati

di infrastrutturazione

agli enti locali coinvolti)

a carico dell’intervento pubblico

Finanziamenti privati (ML €)

26

9.621,0

• per circa il 12% dall’industria chimica; • per circa il 6% da attività portuali e connesse; • per circa il 10% dall’industria siderurgica e metallurgica; • per circa il 18% da rifiuti; • per circa il 12% dal ciclo legato alla produzione e lavorazione del petrolio e derivati; • per il 32% dalla somma di altre lavorazioni industriali (farmaceutica, ecc.) e da miniere. Il risanamento ambientale richiede senza dubbio uno sforzo straordinario, sia finanziario che tecnologico, senza il quale è difficile ipotizzare un recupero produttivo. A proposito di tale recupero, va sottolineata un’altra indicazione emersa dall’analisi del Ministero dello Sviluppo Economico: solo in pochi casi è possibile attrarre nuovi investimenti e promuovere la riconversione industriale delle aree in assenza di un intervento pubblico che sostenga il processo di complessiva reindustrializzazione del sito. In Italia un approccio simile a quello delle economie industriali più avanzate - in grado di coniugare gli obiettivi della tutela ambientale con quelli della riconversione industriale e dello sviluppo economico produttivo - è stato introdotto dalla normativa ambientale con l’articolo 252 bis del D.Lgs. 152/06. Secondo tale norma, le bonifiche dei siti inquinati di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale dovranno essere affiancate da programmi di reindustrializzazione che potranno prevedere nuovi investimenti produttivi e nuove infrastrutture con elevati standard di efficienza e sostenibilità ambientale, affiancati da attività di ricerca e da sistemi di monitoraggio e controllo della qualità ecologica dei siti. L’art. 252 bis introduce quindi una disciplina speciale per gli interventi di bonifica e ripara-

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Incremento occupazionale diretto

Finanziamento a carico PSS

Co-finanziamento EE.LL.

(ML €)

(ML €)

1.558,2

481,0

(n. risorse) 16.906

zione da realizzarsi nei siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, individuati da un Decreto del Ministro per lo Sviluppo Economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti Stato-Regioni. Appositi Accordi di Programma, che prevedono la partecipazione dei soggetti privati interessati, dovranno inoltre definire il quadro complessivo dell’iniziativa sul sito ed ogni altro adempimento connesso e funzionale per l’attuazione del Progetto Strategico Speciale (PSS). Al fine di coniugare la riconversione industriale con l’attrazione di nuovi investimenti, possono essere ammesse agli accordi le imprese che abbiano intenzione di realizzare un progetto industriale per la produzione di beni e/o servizi nell’ambito del sito industriale inquinato, anche se non ancora insediate nel sito stesso. Per attuare gli obiettivi indicati dall’art. 152 bis D.Lgs. 152/2006, la Delibera CIPE del 2 aprile 2008 n. 61 ha approvato il PSS denominato

“Programma straordinario nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati”, nell’ambito del Quadro Strategico Nazionale (QSN) 2007-2013. Obiettivo di tale Piano dovrebbe essere quello di promuovere interventi integrati al fine di restituire all’uso collettivo e produttivo le aree industriali compromesse dall’inquinamento, attraverso la bonifica e la riqualificazione produttiva ed ambientale delle attività già in essere o l’insediamento di nuove attività produttive, da realizzarsi anche con il contributo finanziario delle aziende interessate. In un primo tempo sono state assegnate al PSS risorse pari a 3.009 milioni di Euro, poi tale cifra è stata “dirottata” nel “Fondo strategico per il supporto all’economia reale del Paese”, gestito direttamente dalla Presidenza del Consiglio. La strategia delineata rappresenta senza dubbio un’opportunità per il Sistema Italia; basti pensare ai primi significativi dati emersi nel corso dell’istruttoria svolta dal Ministero dello Sviluppo Economico (insieme a quello


dell’Ambiente e alle Regioni) per individuare i siti da inserire nel Programma Strategico Speciale: tra le 116 proposte pervenute, sono stati individuati 26 siti prioritari, con i relativi piani di bonifica e riqualificazione produttiva, con i finanziamenti privati disponibili e quelli pubblici ipotizzati. In sintesi il quadro emerso è schematizzato nella Tabella. A fronte di un finanziamento pubblico di circa 2 miliardi di euro, si “libererebbero” risorse private per oltre 9,5 miliardi di euro. Si tratta di cifre irrealistiche? Non proprio. Basti vedere quanto è accaduto in altri Paesi europei o negli Stati Uniti. Da uno studio effettuato su 107 bonifiche di brownfields completate negli USA tra il 1997 ed il 2002, si è constatato che: • ogni dollaro speso dal Governo ha attirato l’antropizzazione di altre aree, potrebbero ospitare attività in grado di creare fino a 2,5 dollari di investimenti privati; 700.000 nuovi posti di lavoro. • sono stati creati complessivamente 22.000 Inoltre dal 1993 sono stati trasferiti ai governi posti di lavoro; ok B DEPURACQUE 240X150.qxp:Layout 1 23-02-2010 9:13 Pagina 1 • le aree rese disponibili, oltre ad evitare locali più di 250 milioni di dollari per la realiz-

zazione di progetti pilota, cofinanziati da capitali privati. *Amministratore delegato S.I.A.P. (Sviluppo Italia Aree Produttive)

impianti per il trattamento del percolato da discarica

L’impianto per il trattamento del percolato che si origina nelle discariche di R.S.U. è stato sviluppato sulla base del know-how e dell’esperienza che Depuracque ha acquisito nel campo degli evaporatori sotto vuoto per il trattamento di reflui altamente inquinanti in oltre dieci anni di realizzazioni applicative in area industriale. Questo impianto risolve in maniera definitiva il problema del trattamento del percolato con una soluzione tecnologicamente avanzata ed economicamente vantaggiosa in termini di costi sia di investimento sia di esercizio. L’impianto comprende normalmente una opportuna sezione di finissaggio del condensato per la rimozione dell’ammoniaca (strippaggio-assorbimento con aria in circuito chiuso) ed un eventuale trattamento di ossidazione biologica a fanghi attivati (processo S.B.R.).

In funzione di specifiche esigenze sono stati eseguiti impianti con sezioni di preconcentrazione e di finissaggio su membrane. I vantaggi sono rilevanti in quanto la tecnologia adottata coperta da brevetto Depuracque: - comporta il trattamento specifico del refluo con effettivo abbattimento degli inquinanti evitando qualsiasi diluizione; - evita i rischi connessi alla fase di trasporto; - consente l’ottimale recupero energetico del biogas; il fabbisogno termico può inoltre essere soddisfatto con il solo utilizzo di acqua calda da raffreddamento dei gruppi di cogenerazione e pertanto ad effettivo costo zero;

- costituisce applicazione della migliore tecnologia oggi praticabile per i reflui ad alto contenuto inquinante; - risolve in maniera definitiva i problemi dello smaltimento del percolato in assenza di emissioni significative in atmosfera. La gamma di normale produzione prevede modelli con capacità fino a 10 m 3/h. Ad oggi sono stati realizzati impianti presso le discariche di: Pescantina (VR), Centa Taglio (VE), Pantaeco (LO), San Miniato (PI), Chianni (PI), Fermo (AP), Rosignano Marittimo (LI), Serravalle Pistoiese (PT), Giugliano in Campania (NA), Monsummano Terme (PT), Jesolo (VE), Peccioli (PI), Malagrotta (RM), Bracciano (RM).


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tracciabilità dei rifiuti: qual è LA STRADA che ci ha CONDOTTO al sistri? Con l’entrata in vigore del D.M. 17/12/09 è partito il conto alla rovescia per l’iscrizione al nuovo sistema di controllo che manderà in pensione FIR, MUD e registri di carico e scarico di Filippo Bonfatti e Michele Rotunno*

I

l progetto di tracciabilità di un rifiuto non è argomento recente. Come noto, già nel 2000 si era parlato di rendere informatizzata la gestione dei rifiuti attraverso l’utilizzo di schede magnetiche (simili a bancomat). Il sistema venne brevettato con il nome di “Check rif”: sviluppato dall'Anpa in collaborazione con Unioncamere, prevedeva che tutti i soggetti professionalmente coinvolti nella gestione dei rifiuti (raccoglitori, trasportatori, gestori di impianti) fossero dotati di appositi apparecchi denominati “Rif-Mat”, uguali a quelli utilizzati negli esercizi commerciali. Produttori e trasportatori avrebbero invece avuto a disposizione una smart-card dedicata al sistema e denominata “Rif-card”. Il progetto è stato poi abbandonato dopo brevi test eseguiti in Campania (progetto “Sirenetta”) e in Umbria. Recentemente il Massachussets Institute of Technology ha perfezionato un sistema di tracciabilità dei rifiuti, finalizzato a seguirne il percorso dopo la produzione. Il sistema si basa su una marcatura elettronica che permette di rilevare la posizione del rifiuto in ogni istante del suo ciclo di alienazione. Il progetto è stato denominato “Trash Track” e prevede che ogni scarto sia dotato di un apposito chip con dispositivo di segnalazione wireless, de-

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nominato “trash tag”, che sfrutta le antenne della telefonia mobile per trasferire il segnale ad un server centralizzato. Tali segnalatori vengono poi rimossi e riutilizzati una volta che il rifiuto è arrivato a destinazione finale. La posizione esatta in cui si trova il rifiuto viene tracciata su una mappa, con relativo calcolo dei tempi che intercorrono tra le tappe del viaggio di alienazione. Allo stato attuale, il progetto elaborato e sviluppato dalla sezione Senseable City Lab del MIT è già stato applicato con ottimi risultati su rifiuti di carta, plastica e RAEE con oltre cinquanta prove identificative dirette dall’ingegnere torinese Carlo Ratti, e verrà testato nelle due città americane di New York e Seattle. Nell’ambito della Green NYC Initiative, il progetto dovrebbe aiutare a realizzare l’obiettivo del completo riciclaggio di rifiuti entro i prossimi vent’anni, migliorando l’attuale quota del 30%. I risultati dei flussi possono essere consultati on-line. Un progetto simile è già stato perseguito attraverso il sistema integrato messo a punto dall’Istituto di ricerca sulle acque (IRSA) del CNR, in collaborazione con il Politecnico di Bari ed il Centro Internazionale Alti Studi Universitari (CIASU). Il sistema prevedeva il mon-

taggio di un’unità transponder GPS/GPRS/ GSM sui mezzi di trasporto dei rifiuti liquidi e solidi, permettendo in questo modo di verificare: luogo di carico, itinerario in ogni istante e luogo finale di scarico e rendendo possibile il controllo di eventuali illeciti ambientali durante il percorso del rifiuto. Il nuovo sistema che SISTRI (acronimo di sistema telematico per la tracciabilità dei rifiuti), definito legislativamente dal D.M. 17/12/09, pubblicato sul S.O. n. 9 della G.U. n. 10 del 13 gennaio 2010, si basa proprio su di un concetto simile, finalizzato alla tracciabilità del percorso dei rifiuti, integrato però opportunamente da altre previsioni tecnicooperative che verranno emanate con apposito decreto, che dovrebbe a sua volta prevedere un preciso quadro sanzionatorio. Il nuovo sistema, che rappresenta una stretta applicazione delle previsioni normative dell’art.17 della Direttiva CE 2008/98, entrerà in vigore a far data dal 13 luglio per il primo gruppo di soggetti coinvolti e consentirà alcune agevolazioni a carico delle imprese, quali l’eliminazione dei formulari di identificazione del rifiuto (ex art. 193 del D.Lgs. 152/06 e smi), dei registri di carico e scarico dei rifiuti (ex art. 190), e l’abolizione del MUD “classico” (ex art. 189). Se i contributi a carico delle imprese


rappresentano inizialmente un onere non di poco conto, si prevede che in un arco di tempo medio–lungo tali costi verranno riassorbiti dai vantaggi che il sistema presenta, tra cui la minore possibilità di errori e quindi di contestazione da parte degli organi di controllo.

LA SITUAZIONE ATTUALE Nel complesso panorama della gestione dei rifiuti, un ruolo di particolare importanza a livello nazionale è stato fino ad oggi rivestito dai Formulari di Identificazione del Rifiuto di cui al D.M. 145/98, dai registri di carico e scarico dei rifiuti di cui al D.M. 148/98 nonché, laddove obbligatoriamente previsto, dal MUD (Modello di Dichiarazione Unica Ambientale) ai sensi della L. 70/94, finalizzato alla conoscenza delle quantità e delle caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto delle attività previste. Da un punto di vista temporale, l’obbligo di ottemperanza a quanto disposto dai suddetti strumenti normativi è rimasto in vigore per tutto il periodo normativo disciplinato dal D.Lgs. 22/97 ed è stato successivamente confermato anche nei dettami del D.Lgs. 152/06 attualmente vigente, con particolare riferimento all’art. 189 (per quanto attiene al MUD), all’art. 190 (per i registri di carico e scarico) nonché all’art. 193 (sul formulario di identificazione del rifiuto). Superati alcuni iniziali problemi di interpretazione riguardo le modalità di compilazione e tenuta dei registri di carico e scarico e dei formulari di identificazione dei rifiuti (per mezzo soprattutto della circolare esplicativa del Ministero dell’Ambiente del 4 agosto 1998), questi documenti hanno per lungo tempo garantito la tracciabilità dei flussi di rifiuti in Italia.

Il SISTRI Il 14 gennaio u.s., è entrato in vigore il D.M. 17/12/09, “Istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 189 del D.Lgs. 152/06 e dell'articolo 14-bis del D.L. 78/09 convertito, con modificazioni, dalla L. 102/09”. Il Decreto introduce il nuovo sistema di controllo SISTRI (istituito dal Ministero dell’Ambiente e gestito dal Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente) che, nelle previsioni del Legislatore, si prefigge di sostituire la tracciabilità fino ad oggi garantita solo a livello cartaceo dal “registro di carico/scarico”, dal “formulario di identificazione” e dal “MUD”, facendo ricorso a dispositivi elettronici, di cui dovranno obbligatoriamente dotarsi i vari operatori del settore, che permetteranno la localizzazione in real-time dei flussi di rifiuti. A regime, tutte le informazioni saranno fatte confluire in un unico server telematico, al quale ogni operatore della filiera dovrà fare riferimento per la comunicazione delle quantità e della qualità dei rifiuti gestiti nonché per il trasporto degli stessi; su quest’ultimo punto il SISTRI prevede inoltre l'adozione di un sistema di tracciamento georeferenziato, funzionante tramite appositi supporti tecnologici da installare sui veicoli. Il nuovo Decreto Ministeriale prevede un iter differenziato di iscrizione al sistema, individuando (art.1): • le categorie di soggetti tenuti a comunicare, secondo un ordine di gradualità temporale, le quantità e le caratteristiche qualitative dei rifiuti oggetto della loro attività, utilizzando i dispositivi elettronici indicati all’articolo 3 del medesimo Decreto;

• le categorie di soggetti esonerate da tale obbligo; • le categorie di soggetti che possono aderire su base volontaria. Per quanto concerne l’operatività del SISTRI, il Decreto ha previsto un criterio di gradualità per le categorie di soggetti obbligati o aventi facoltà ad iscriversi, individuando a tal fine due gruppi di soggetti. Il primo sarà obbligato al rispetto delle disposizioni contenute nel Decreto a decorrere dal 180° giorno dalla data di entrata in vigore (ossia a decorrere dal 13 luglio 2010). Fanno parte del primo gruppo: • i produttori iniziali di rifiuti pericolosi, ivi compresi quelli di cui all’art. 212, comma 8, del D.Lgs. 152/06, con più di cinquanta dipendenti; • le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’articolo 184, comma 3, lettere c), d) e g), del medesimo D.Lgs. 152/06, con più di cinquanta dipendenti; • i commercianti e gli intermediari di rifiuti senza detenzione; • i consorzi istituiti per il recupero e il riciclaggio di particolari tipologie di rifiuti che organizzano la gestione di tali rifiuti per conto dei consorziati; • le imprese di cui all’articolo 212, comma 5, del D.Lgs. 152/06 che raccolgono e trasportano rifiuti speciali; • le imprese e gli enti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento di rifiuti; • i comuni, gli enti e le imprese che gestiscono i rifiuti urbani della Regione Campania; • i soggetti di cui all’articolo 5, comma 10, del Decreto (terminalisti e responsabili degli scali merci nel trasporto intermodale).

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Scadenza per

Scadenza per il

l’iscrizione*

ritiro dei dispositivi

Entro 45 gg

Entro 150 gg

dall’entrata in vigore

dall’entrata in vigore

28 FEBBRAIO 2010

13 GIUGNO 2010

Soggetti tenuti all’iscrizione al SISTRI

• Produttori di rifiuti pericolosi con più di 50 dipendenti • Produttori di rifiuti non pericolosi da attività industriali, artigianali e di gestione rifiuti con più di 50 dipendenti • Gestori di rifiuti e Consorzi • Enti e Imprese che gestiscono i rifiuti urbani nella Regione Campania • Trasportatori di rifiuti speciali iscritti all’Albo Gestori • Trasportatori di rifiuti pericolosi da essi prodotti con più di 50 dipendenti • Produttori di rifiuti pericolosi fino a 50 dipendenti • Produttori di rifiuti non pericolosi da attività industriali, artigianali e di gestione rifiuti tra 11 e 50 dipendenti

dall’entrata in vigore

• Trasportatori di rifiuti pericolosi da essi prodotti fino a 50 dipendenti

AL 30 MARZO 2010

• Produttori di rifiuti non pericolosi da attività industriali, artigianali e di gestione rifiuti fino a 10 dipendenti • Produttori di rifiuti non pericolosi derivanti da altre attività

Tra 30 e 75 gg DAL 13 FEBBRAIO

Entro 180 gg dall’entrata in vigore 13 LUGLIO 2010

Adesione volontaria

• Trasportatori di rifiuti non pericolosi da essi prodotti

A PARTIRE DAL

Nessuna scadenza

12 AGOSTO 2010

* le scadenze dei termini sono state prorogate di 30 giorni ai sensi del Decreto Ministeriale del 15 febbraio 2010.

Il secondo gruppo dovrà conformarsi alle nuove regole a decorrere dal 210° giorno dalla data di entrata in vigore del Decreto (ossia a decorrere dal 12 agosto 2010). Fanno parte del secondo gruppo: • le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti pericolosi, ivi compresi quelli di cui all’art. 212, comma 8, del D.Lgs. 152/06, che hanno fino a cinquanta dipendenti; • i produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’art. 184, comma 3, lettere c), d) e g) del medesimo D.Lgs. 152/06 che hanno tra i cinquanta e gli undici dipendenti. Viene infine lasciata ad un terzo gruppo di soggetti la facoltà di aderire su base volontaria al SISTRI a partire dal 210° giorno dalla data di pubblicazione del Decreto. Fanno parte di questo gruppo: • le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi di cui all’art. 184, comma 3, lettere c), d) e g), del D.Lgs. 152/06 che non hanno più di dieci dipendenti; • le imprese che raccolgono e trasportano i propri rifiuti non pericolosi, di cui all’art 212, comma 8, del D.Lgs. 152/06; • gli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 del Codice Civile che producono rifiuti non pericolosi;

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• le imprese e gli enti produttori iniziali di rifiuti non pericolosi derivanti da attività diverse da quelle di cui all’art. 184, comma 3, lettere c), d) e g), del D.Lgs. 152/06. Preliminarmente all’operatività del sistema, per essere abilitati ad accedere al SISTRI, i soggetti precedentemente indicati devono provvedere ad iscriversi secondo una specifica procedura che prevede la seguente tempistica: il primo gruppo di utenti avrebbe dovuto aderire al sistema iscrivendosi allo stesso entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del Decreto (quindi entro il 28 febbraio u.s.); il secondo gruppo aderisce dal 30° al 75° giorno dalla data di entrata in vigore del Decreto (dal 13 febbraio al 30 marzo 2010); il terzo gruppo può aderire a decorrere dal 210° giorno dalla data di entrata in vigore del Decreto (a partire dal 12 agosto 2010). Lo scorso 27 febbraio, con entrata in vigore il giorno dopo è stato pubblicato in G.U. n. 48 il Decreto Ministeriale del 15 febbraio 2010 che apporta alcune modifiche e integrazioni al Decreto del 17 dicembre 2009, tra cui la proroga dei termini di iscrizione di 30 giorni e l’estensione della videosorveglianza anche agli impianti di incenerimento Se correttamente eseguita secondo le moda-

lità fornite in dettaglio nello stesso Decreto, la fase di iscrizione si concretizza nel ritiro dei dispositivi elettronici ed informatici che consentiranno al soggetto interessato di accedere alla successiva fase di operatività in ambiente SISTRI. *Consulenti ambientali e DGSA ADR di Ecoricerche s.r.l.


ALESSANDRIA:VUOTI DENTRO E “RICCHI” FUORI è arrivata Ecobank ®: la stazione automatica per la raccolta differenziata di bottiglie e lattine, che restituisce bonus per la spesa in cambio dei vuoti di Elena Donà

M

arco, 6 anni: «Io so cos’è. E’ una specie di lavatrice che trasforma le bottiglie e le lattine vuote in soldi. Che però non sono proprio soldi. Sono dei foglietti bianchi che se non li stropicci li puoi usare per comprare tutto quello che vuoi, perfino i Gormiti!». Se fosse proprio così, più che stazioni automatiche la Tradingenia commercerebbe pietre filosofali, ma questo è Ecobank®, visto da un bambino. Che assomigli a una lavatrice un po’ è vero, ma è più slanciato e ha una linea elegante; gli alessandrini portano lì i loro vuoti e in cambio ricevono degli scontrini, che rendono 2 centesimi di euro per ogni bottiglia o lattina. Ecobank® è una macchina che consente di raccogliere e differenziare i contenitori di bevande, raggruppandoli in base alla categoria – plastica PET, acciaio o alluminio – e in base al colore – PET colorato o trasparente – compattandoli e raccogliendoli all’interno di contenitori interrati. Il progetto è di EPT Engineering&Consulting S.p.a. di Bolzano, azienda specializzata in consulenza e progettazione per la gestione integrata del ciclo dei rifiuti, mentre la distribuzione su scala nazionale è riservata in esclusiva alla Tradingenia s.r.l., società sempre bolzanese che commercializza soluzioni tecnologiche e prodotti specifici per la raccolta differenziata dei rifiuti. Per ora Ecobank® è stato sperimentato solo in Piemonte, ad Alessandria e a Valenza che hanno fatto da città-pilota.

Incuriositi dall’idea, siamo andati a verificare i primi risultati di persona, discutendoli assieme a Piercarlo Bocchio, Presidente del Consorzio di Bacino Alessandrino per la Raccolta e il Trasporto degli RSU, che è stato uno dei promotori dell’iniziativa. Dopo aver fermato qualche alessandrino in corsa per carpire informazioni di prima mano (con risultati alterni, e più avanti spiegheremo perché), siamo stati accolti negli uffici del Consorzio, dove il Presidente ci ha raccontato il progetto dall’inizio. “Diciamo che l’idea è partita in collaborazione con la Regione Piemonte. Noi del Consorzio avevamo ricevuto questa proposta dalla EPT S.p.a., ma i costi per l’installazione erano comprensibilmente abbastanza importanti. Così ci siamo rivolti alla Regione, che ha subito colto l’importanza del progetto, soprattutto sul piano della comunicazione, dell’incentivo alla raccolta differenziata, e ha deciso di finanziare il 50% dell’opera, sia per Alessandria che per Valenza. Noi abbiamo messo l’altra metà”. Ecobank® è stato installato da circa otto mesi e nei primi sei sono stati rilasciati in tutto 14mila euro di scontrini, pagati dalle tasche del Consorzio. Se si aggiungono i costi di gestione e la cifra investita in partenza, la conclusione a cui arriva Bocchio è che “non è certo una macchina per fare i soldi, per specularci sopra; è piuttosto un modo per abituare il cittadino alla raccolta differenziata, che si può fare in tanti modi. E’ un esempio che ha il grande pregio di dimostrare la validità di un

sistema che, se realizzato capillarmente nella città, fa risparmiare tutti, e non poco. In più Ecobank® assicura la qualità della plastica, che è il problema maggiore quando si cerca di differenziare”. In effetti il sistema progettato dalla EPT riesce a garantire il 99,9% di qualità pura, contro il 60% di media ottenuto tramite la raccolta differenziata nelle isole ecologiche, dove c’è sempre qualche cittadino poco virtuoso che sotto l’etichetta plastica infila tutto ciò che di non commestibile si può scovare in una casa.

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Piercarlo Bocchio, Presidente del Consorzio di Bacino Alessandrino per la Raccolta e il Trasporto degli RSU

In realtà ad Alessandria anche Ecobank® ha ospitato qualche intruso: rami, palate di terra, qualunque cosa pur di fare peso e cercare di farsi stampare uno scontrino da 400 euro. Ciò che i fantasiosi eco-hacker non sapevano è che i sensori di cui è dotata la stazione sono in grado di leggere l’etichetta delle bottiglie – ecco perché non bisogna staccarla – e non rilasciano nessuno scontrino in assenza

di questa. Qualcuno poi ha anche pensato di scassinare la macchina, pur di portarsi via la preziosa refurtiva che, sorpresa dell’improvvisato ladro, era un rotolone di carta immacolata, largo 6 cm scarsi. “Ma il bello è che c’è anche scritto che non contiene denaro!”. Tentativi di saccheggio a parte, i primi dati sembrano molto incoraggianti: sono già 180mila le bottiglie raccolte ogni mese nelle due città e, se si considera che i costi per la campagna di lancio sono stati ridotti al minimo, il risultato è decisamente positivo. “Siamo molto soddisfatti dell’esperimento, questo è un investimento importante che abbiamo voluto fare sul piano educativo e i cittadini si stanno abituando ad adottare un comportamento responsabile. Però è chiaro che non possiamo installare questo tipo di meccanismo in tutta la città erogando due centesimi a bottiglia, sarebbe impensabile; sia ad Alessandria che a Valenza, sono previste per il prossimo futuro stazioni sotterranee di raccolta, che dovrebbero sostituire i classici bidoni delle isole ecologiche, ed Ecobank® rappresenta un ottimo modo per introdurre il cittadino a questo tipo di conferimento; quando lo stoccaggio inter-

rato sarà a regime, ne saranno avvantaggiati tutti, la gente, le aziende che fanno la raccolta e quelle che gestiscono lo smaltimento. Allora sì che trasformeremo davvero in risorsa il rifiuto che noi abbiamo”. Vero, però nel Nord Europa il metodo delle stazioni automatiche che restituiscono monete o scontrini è una prassi consolidata e funziona. Perché qui non dovrebbe essere praticabile? “Il ragionamento è corretto, ma va visto nella sua globalità. E’ un problema di educazione e di costi, di quanto è disposto a finanziare lo Stato. Noi per ora possiamo cercare di educare la gente alla cultura del differenziare, ma non possiamo sobbarcarci una spesa simile da soli”. Da soli certamente no, ma una soluzione ci sarebbe: le grandi catene di distribuzione avrebbero tutto l’interesse a finanziare le stazioni automatiche, perché garantirebbero una clientela sicura visto che lo scontrino è vincolato alla spesa presso le rivendite convenzionate. E invece latitano. Ad Alessandria soltanto uno ha dato la propria disponibilità, ed Ecobank® è stato installato lì davanti, in via Pietro Nenni. Che non è esattamente centrale. A dirla tutta è proprio un po’ fuori rotta, e se non ci avesse-

Carlo Venturato, direttore commerciale di Tradingenia s.r.l., ha risposto per noi ad alcune domande più tecniche. Ad oggi soltanto la Regione Piemonte ha adottato Ecobank®, ma è facile prevedere una sua prossima espansione. Si tratta di un progetto che avevate in cantiere già da tempo? L’idea nasce dall’esigenza di individuare un sistema di raccolta differenziata di qualità degli imballaggi leggeri per bevande a costi sostenibili e a basso impatto ambientale. Gli obiettivi che ci eravamo posti e che ci poniamo tuttora sono:

• non solo quantità, ma qualità; • selezione automatica per materiale e colore e conseguente compattazione; • minori costi di raccolta; • minori costi ambientali con parallelo incentivo per l’utente; • materiale da avviare direttamente a recupero senza ulteriori costi di selezione. Nel 2003, visitando la Fiera Entsorga a Colonia, abbiamo studiato la tecnologia tedesca applicata alla cauzione sull'imballaggio per bevande e l’abbiamo implementata, adattandola al mercato italiano. Che percorso fanno le bottiglie, una volta inserite nella stazione automatica? Dopo l’inserimento manuale, a cura del cliente, Ecobank® effettua una serie di controlli per verificare che l’imballo sia conforme alle specifiche di conferimento; viene eseguito un controllo sul peso dell’imballo, che deve rientrare in un certo range – questo per evitare che vengano conferite bottiglie non vuote o con materiali estranei all’interno. Passato il controllo sul peso, attraverso uno scanner a 3 dimensioni, la macchina legge il codice a barre presente sull’etichetta di ogni bottiglia e lattina, in modo tale da identificare l’imballo (tipologia, materiale e colore). Dopo aver superato i controlli preliminari, se l’imballo va bene, procede il suo percorso a gravità per la selezione specifica, secondo le due tipologie principali di materiale, PET (trasparente o colorato) o alluminio/acciaio, ben più prezioso, e viene infine compattato e stoccato nei contenitori interrati. La Vostra azienda ha brevettato Ecobank®. Cosa differenzia il vostro sistema dalle stazioni automatiche in commercio in Europa? Ecobank® è unica nel suo genere. Il brevetto copre l’abbinamento Riconoscimento – Separazione – Compattazione – Stoccaggio interrato. Di macchine che compattano ce ne sono altre sul mercato, ma non con le capacità della nostra, che è in grado di operare una raccolta di circa 5.000/7.000 imballi al giorno. Una macchina industriale quindi, che gestisce grandi quantità con efficienza, efficacia ed economicità. Grazie all’elevato grado di automazione, quando ha raggiunto il livello di riempimento dei contenitori interrati di stoccaggio, la stazione automatica invia all’operatore, tramite sms o mail, l’avviso di svuotamento. Il sistema di raccolta diventa finalmente “attivo” ed industriale, con notevoli vantaggi per gli utenti e per l’ambiente.

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ro dato un passaggio in auto dal Consorzio a piedi ci avremmo impiegato almeno tre quarti d’ora. E’ vero che di solito chi porta le bottiglie alla stazione automatica non lo fa a piedi, ma la zona è comunque fuori mano, in periferia. Così va a finire che Ecobank® lo conoscono e utilizzano solo – o quasi – i residenti del quartiere, che fra l’altro è il quartiere Cristo, che dal 2000 al 2005 è stato in gran parte trasformato in un villaggio fotovoltaico. Insomma, un ghetto verde. Solo che il Consorzio più che chiudere gli ambientalisti nelle riserve preferirebbe esportarne le abitudini nel resto della città. Ecco perché l’appoggio dei supermarket più frequentati sarebbe stato fondamentale. “Già. Al momento di realizzare l’impianto, io avevo contattato tutte le grandi distribuzioni presenti sul territorio, chiedendo una collaborazione. In fondo si trattava di spendere mille euro al mese, che per un supermercato di quelle dimensioni rappresenta una spesa più che trascurabile, e oltretutto ci avrebbero gua150x240 Towerlight ads x 2_Layout 1 08/03/2010 14:39 Page 1

dagnato perché la gente sarebbe andata lì a fare la spesa, e non dalla concorrenza. Invece tutti purtroppo, hanno accolto negativamente la mia richiesta”. E perché? “Non saprei, non conosco tutte le dinamiche interne dei grossi centri di distribuzione, sono però sicuro che questa è la strada da percorrere”. Un’alternativa l’aveva fornita anche il Sindaco della città, entusiasta del progetto ecosostenibile, che aveva dato la possibilità di installare Ecobank® in piazza della Libertà, praticamente nel centro di Alessandria. Ma nemmeno questa soluzione può funzionare. “Il centro storico è sicuramente più frequentato, tuttavia questa zona della città è già parecchio congestionata di traffico e non ritengo sia il caso di aggravare la situazione con i cittadini che si fermano sulla strada e magari in seconda fila per scaricare centinaia di bottiglie nella piazza principale. Ribadisco che l’unica soluzione sono i grandi discount. Io rilancio l’appello”.

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la pavimentazione stradale CHE AMA LA NATURA L’ecologia si fa strada con una risposta innovativa alla crescente domanda di materiali eco-compatibili per la realizzazione di pavimentazioni stradali senza bitume di Ernesto Boni*

I

l moderno sviluppo economico di un territorio passa attraverso l’utilizzo di materiali eco-compatibili, privi di qualunque impatto ambientale, e che garantiscano la tutela dell’uomo e dell’ambiente nella realizzazione di strade, parcheggi, piazzali, piste ciclabili e più in generale in qualunque intervento di riqualificazione urbana, di compensazione ambientale o di salvaguardia del paesaggio. Promuovere uno sviluppo sostenibile migliora la qualità della vita di tutti gli attori sociali, riducendo ed ottimizzando l’impiego delle risorse naturali per lasciare in eredità alle generazioni future ecosistemi funzionali. L’asfalto, chiamato anche conglomerato bituminoso, è il materiale maggiormente impiegato nelle pavimentazioni stradali ed è principalmente composto da aggregati e da legante – il bitume – con innumerevoli varianti di miscele.

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Come risposta alle crescenti esigenze di sostenibilità ambientale è stato sviluppato BioStrasse, un conglomerante certificato per la realizzazione di manti stradali contemporaneamente funzionale ed ecologico, ad impatto ambientale zero. Bio-Strasse è un conglomerato a tre componenti, integrato da un indurente di superficie e realizzato a base di prodotti inorganici, che può essere utilizzato per la stabilizzazione, il rifacimento, il risanamento o il trattamento duraturo delle pavimentazioni stradali. Il prodotto agisce sulla conglomerazione intergranulare a livello chimico-fisico, e in tale contesto le cariche minerali selezionate vengono addensate con il legante idraulico, creando un unico strato molto duro e compatto. Tale prodotto rappresenta un’alternativa ecologica alle pavimentazioni tradizionali in bitume, costituite per la maggior parte da scarti

di lavorazione del petrolio grezzo, derivanti dai processi di raffinazione per i carburanti e gli oli lubrificanti. A differenza delle pavimentazioni bituminose che vanno posate a caldo con temperature fino a 200°C, Bio–Strasse consente la posa del manto a freddo, anche in condizioni climatiche rigide che renderebbero difficile – se non impossibile – la posa di conglomeranti di natura bituminosa.


Il sistema è stato appositamente studiato per salvaguardare le esigenze dell’ambiente, degli utilizzatori, e la sicurezza degli operatori durante la posa. L’assoluta compatibilità ambientale del materiale è stata certificata dagli enti autorizzati in ambito UE, che ne hanno accertato la conformità alla normativa europea UNI EN 12504-1; tale caratteristica consente di utilizzare tale pavimentazione anche in zone SIC, ZPS, ZSC (Siti di interesse comunitario, Zone a protezione speciale, Zone speciali di conservazione) o laddove esistano limitazioni all’uso di materiali non eco-compatibili, incontrando inoltre il pieno gradimento delle Soprintendenze ai Beni Ambientali. Tale prodotto consente tra l’altro di realizzare pavimentazioni colorate con una pigmentazione diversa in funzione del contesto ambientale in cui sarà inserita la strada, garantendo omogeneità di colorazione lungo tutta la sezione, sia nel caso in cui si utilizzino inerti di colore specifico, sia nel caso in cui il conglomerato venga realizzato su colorazione a richiesta, grazie all’utilizzo di pigmenti in gel. Al fine di consentire la manutenzione ed il ripristino delle pavimentazioni, il colore viene memorizzato in un database in base alle caratteristiche per poter essere ricreato anche a distanza di tempo, permettendo l’esecuzione di interventi praticamente invisibili.

RESISTENZA AL CARICO Oltre ad essere completamente ecocompatibile, Bio-Strasse presenta diverse caratteristiche che lo rendono più funzionale del calcestruzzo; una di queste è la sua elevata resistenza al carico, testata su diversi campioni sia di laboratorio sia di cantiere, come da specifiche regolamentazioni in vigore. Dai test effettuati è risultato che con un passaggio pari a circa 20 mezzi di varie dimensioni al minuto, lo strato di conglomerato può ridursi di 0,8 mm nell’arco di 30 gg, vale a dire una riduzione inferiore al cm nell’arco di 12 mesi, anche in presenza di condizioni climatiche estreme. Inoltre, tale riduzione può essere ripristinata in modo quasi invisibile, con un piano di manutenzione che non necessita di attrezzature particolari o di personale specializzato.

I VANTAGGI DEL manto stradale ECOLOGICO •

• • • • • • •

Aumento in termini di resistenza a compressione dello strato stabilizzato, che garantisce l’ottimale distribuzione del carico e la possibilità di sopportare, senza particolare danno, eventuali cedimenti del terreno. Drastica riduzione della plasticità/rigonfiamento, caratteristica dei materiali comunemente utilizzati. Drastica riduzione di formazione di polveri. Applicazione possibile anche in condizioni climatiche piuttosto rigide (con l’ausilio di additivi). Ottima resistenza agli agenti atmosferici ed ai fenomeni di gelo/disgelo. Ottima conduzione del calore, rimanendo un materiale completamente incombustibile, quindi con proprietà “taglia-fiamme”. Ottimo effetto drenante, con conseguente forte riduzione di fanghi e pozze, a salvaguardia della sicurezza stradale in termini di acquaplaning. Ottima resistenza alle infestazioni di erba ed alle radici delle piante.

DURABILITÀ E DEGRADO Il manto stradale Bio-Strasse, a differenza del calcestruzzo, non viene intaccato dai solfuri presenti nei terreni argillosi, ricchi di pirite, né tantomeno da cloruri (Cl) e da alcali aggregati (Na+ e K+), grazie all’assenza di armature in ferro e alla percentuale minima di cemento presente all’interno del conglomerato. L’anidride carbonica (CO2), presente nell’acqua di montagna, attacca i carbonati con formazione di bi-carbonati solubili: tale fenomeno provoca il dilavamento del calcestruzzo mentre non causa problemi analoghi con l’utilizzo del prodotto Bio-Strasse.

IRRAGGIAMENTO TERMICO Le variazioni di temperatura che avvengono a cavallo di 0°C causano fenomeni di gelo e disgelo, e finiscono per essere una delle principali cause di degrado del manto stradale. Il prodotto in questione è caratterizzato da un irraggiamento termico molto elevato, che protegge il conglomerato dal degrado. L’insieme di composti con cui è formulato favorisce l’idratazione, la compattezza e lo spolvero superficiale; la presenza di micro-bolle tra le varie componenti degli inerti rende tale manto stradale meno soggetto a variazioni di calore, quindi meno sensibile agli effetti termici rispetto al normale calcestruzzo, tanto da non necessitare di giunti di dilatazione. Le stesse micro-bolle inoltre funzionano da sfoghi per l’acqua di capillarità, quando questa varia di volume. A differenza delle pavimentazioni realizzate con materiali plastici, Bio-Strasse è in grado di tollerare i normali cedimenti del sottofondo, riducendo drasticamente gli inter-

venti di manutenzione della sede stradale. Trattandosi di un materiale caratterizzato da un ottimo effetto drenante, ciò consente di realizzare pavimentazioni permeabili con una gestione sostenibile delle acque meteoriche. La pavimentazione Bio-Strasse è atermica quindi, non accumulando e non propagando calore, permette di realizzare parcheggi e aree di sosta in cui al suolo viene mantenuta la medesima temperatura esterna, eliminando totalmente la problematica delle alte temperature emanate dalle pavimentazioni in asfalto nel periodo estivo. *Responsabile commerciale di F.C.I. Divisione Biostrasse

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iL CASO DELLA STRADA DEI CERVI La Strada dei Cervi, così chiamata perchè nell'area vivono in libertà circa 1500 cervi, è lunga 12 km, si trova nel Comune di Arbus in provincia di Cagliari e collega Montevecchio alla Costa Verde. La zona è sottoposta a stretti vincoli ambientali e paesaggistici da parte della Regione Sardegna, del WWF e di altri Enti preposti alla tutela dell'ambiente. Da un'altezza di circa 500 m s.l.m., la strada scende dolcemente sino al mare, in un paesaggio di straordinaria bellezza. Grazie ad essa, i locali residenti in Costa Verde hanno accorciato di diversi chilometri il tragitto per raggiungere le loro abitazioni. Soprattutto nel periodo estivo, la strada è percorsa dall’intenso traffico degli automezzi dei turisti che alloggiano presso le strutture della zona e si recano sulle splendide spiagge della Costa Verde, ed era dunque indispensabile realizzarla con materiali ad impatto ambientale zero. La Strada dei Cervi è stata la prima pavimentazione stradale realizzata con Bio-Strasse.


th e b i g e y e

Il mercato delle bonifiche nella Repubblica d'Irlanda la creazione di un Soil Treatment Centre per rendere l'irlanda più autonoma nella gestione dei terreni contaminati di Marco Bianchini e Antonio Distante*

Q

uesto breve scritto si pone principalmente due obiettivi: il primo è quello di fornire un’overview sul mercato e sulla relativa legislazione delle bonifiche e della gestione dei suoli contaminati nella Repubblica d’Irlanda; si tratta di un mercato che pur essendo limitato rispetto ad altre nazioni europee – come l’Italia per esempio – e nonostante abbia sofferto gli effetti della forte crisi finanziaria del 2008-2009, offre ancora interessanti opportunità per il futuro, legate ad esempio al miglioramento necessario nella gestione dei flussi contaminati, che ad oggi vengono per la maggior parte esportati, soprattutto verso Germania e Olanda. Il secondo proposito sarà quello di descrivere brevemente l’impianto mobile di Soil Washing che Ballast Nedam, compagnia olandese presente in Irlanda dal 2005, dove si occupa principalmente di bonifiche di siti contaminati, vorrebbe utilizzare per creare un Soil treatment centre sul territorio irlandese; l’idea nasce appunto dall’esigenza di alleviare l’eccessiva dipendenza dell’Irlanda dagli altri Stati europei in materia di gestione del suolo contaminato.

L a legisl azione in Irl anda E’ bene iniziare questa visione d’insieme partendo dalla descrizione della legislazione irlandese in materia ambientale.

L’Irlanda ad oggi non dispone di una specifica legislazione sui suoli contaminati; in realtà, manca anche una definizione statutaria di suolo contaminato, anche se tale lacuna non vieta comunque alla corrente legislazione ambientale (principalmente Water pollution Act del 1977-90 e Waste management Act del 1996) di fornire strumenti utili alla bonifica. La legislazione viene applicata nel campo delle bonifiche seguendo il principio per cui ogni materiale contaminato dalla presenza di inquinanti debba essere considerato alla stregua di rifiuto, e quindi soggetto all’omonima legislazione. Il Water pollution Act viene di fatto impugnato dalle ‘Local Authorities’ che hanno il compito di proteggere la salute pubblica. Facciamo un esempio pratico: nel caso in cui l’inquinante migrando off-site andasse a contaminare l’acqua di falda, le autorità locali richiederebbero ai soggetti privati responsabili di intervenire per risolvere il problema. Anche l’Irlanda, in qualità di stato membro della Comunità Europea, ha recepito la direttiva del Parlamento Europeo sulle discariche di rifiuti del 2003 (2003/33/EC), che fissa i criteri e i parametri per classificare il suolo conta-

minato in inerte, non pericoloso e pericoloso (Inert, Non Hazardous e Hazardous). E’ importante qui menzionare l’EPA (Environmental Protection Agency), l’istituto pubblico indipendente che nasce dal Protection of the Environment Act del 2003, il cui compito è quello di ‘proteggere’ e monitorare lo stato ambientale del territorio irlandese. Un documento di grande interesse pubblicato dall’EPA è il piano quadriennale di gestione nazionale del rifiuto (Waste management Plan 2008-2012), nel quale l’agenzia raccomanda che l’Irlanda operi verso una maggiore autonomia (toward the self-sufficiency) nella gestione del suolo contaminato, questo ove tecnicamente possibile ed economicamente vantaggioso. Queste considerazioni implicano maggiori possibilità rispetto al passato di

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ottenere licenze e permessi per poter avviare un Soil Hub sul territorio irlandese, chiaramente dopo aver trovato un partner sul posto che gestisca una discarica, e dopo aver dimostrato la validità del progetto dal punto di vista tecnico ed economico.

Il mercato dei suoli contaminati in Irl anda Come già accennato nella parte introduttiva, in Irlanda il numero di siti potenzialmente contaminati è significativamente minore che in altri Paesi europei; ciò dipende fondamentalmente dalla sostanziale arretratezza che l’economia irlandese ha sofferto fino agli inizi degli anni ‘90, quando era basata essenzialmente sull’agricoltura e dotata di pochissime industrie. Ad oggi non si è ancora realizzato un censimento nazionale dei siti contaminati che, secondo una stima legata al numero totale di attività che potrebbero esporre i suoli al rischio di contaminazione, dovrebbero essere all’incirca 2000 (Brogan; Risk assessment for contaminated sites in Europe, 1999). Nella maggior parte dei casi le attività collegate alla presenza di siti contaminati, sono desueti impianti per la produzione del gas, discariche chiuse o ancora attive, miniere dismesse, vecchi stabilimenti per la produzione di fertilizzanti, piccoli stabilimenti chimici, cantieri navali, senza dimenticare la filiera del carburante, che da sola costituisce più del 50% del numero totale dei siti contaminati (900-1200), con i terminal per le importazioni

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di petrolio, i depositi e le stazioni di servizio. I volumi di tale mercato li possiamo trovare consultando le tabelle fornite dall’EPA su base annua, dati che fanno parte dei National Waste Reports. Le quantità totali di suolo contaminato gestito variano notevolmente di anno in anno, a seconda della presenza o meno di grandi progetti di risanamento di aree industriali dismesse, principalmente all’interno della città di Dublino: 406mila tonnellate nel 2006 e 449mila tonnellate nel 2008, contro le 143mila del 2007 e le circa 110mila stimate nel 2009. Per dare un’idea migliore, si potrebbe dire che il mercato irlandese si attesta sulle 130150mila tonnellate di suolo contaminato

all’anno, classificato come Non Hazardous e Hazardous; questo dato resta valido in condizioni normali, quindi in assenza di dissesti finanziari, e senza includere i grandi progetti di bonifica e risanamento molto comuni durante gli anni “ruggenti” della tigre celtica, soprattutto nell’area portuale di Dublino. Abbiamo già accennato al fatto che la stragrande maggioranza del suolo contaminato non inerte viene esportato versi altri Paesi europei, con in testa la Germania, e che tale quota ha superato nel 2008 il 90% (dati EPA, www.epa.ie). Al momento su tutto il territorio irlandese esiste una sola struttura abilitata a trattare suoli contaminati da idrocarburi ed è localizzata a Portlaoise, nel cuore del Paese. Controllando ancora una volta le tabelle fornite dall’EPA si può notare come dal 2006 (36mila ton) fino al 2008 (43mila ton) la quantità di suolo trattato all’interno dei confini nazionali sia aumentata solo lievemente, senza quindi dare una risposta pratica alle nuove linee guida fornite dalla stessa Agenzia per l’Ambiente sulla maggiore autonomia necessaria nella gestione dei rifiuti pericolosi. In questo contesto nasce l’idea di Ballast Nedam di attivare un Soil Treatment Centre trovando innanzitutto un partner locale e verosimilmente una società che gestisca una discarica di materiale inerte, ai quali proporre


di noleggiare il proprio soil washing plant (portata annua circa 45mila tonnellate). Tale Soil Hub verrebbe ad essere localizzata in prossimità di Dublino, senza però trascurare nella scelta del sito un altro mercato rilevante per le bonifiche ambientali, che è rappresentato dall’area di Dundalk, situata tra Dublino stessa e l’Irlanda del Nord.

Soil Washing Pl ant Il Soil Washing è una tecnologia di bonifica che si avvale di trattamenti fisici e chimicofisici per rimuovere una vasta gamma di contaminanti da terreni granulari. Il principio alla base della tecnologia è quello di concentrare gli inquinanti contenuti in un terreno nella sua frazione fine (quella che in genere ha maggiore tendenza ad adsorbire e trattenere la maggioranza di inquinanti organici ed inorganici). L’impianto di trattamento utilizza una serie di separatori ed idrocicloni alimentati da acqua che, insieme a polimeri e surfattanti, vengono impiegati per separare la frazione limo-argillosa (grani con diametro <63 µm) dalla frazione a grani più grossi (prevalentemente sabbie e ghiaie). L’impianto inoltre impiega una serie di sistemi di filtraggio e pressatura per separare la matrice limo-argillosa contaminata dall’ac-

qua di lavaggio, in modo tale da ridurre il volume della frazione limo-argillosa stessa e poter riutilizzare l’acqua nel processo. Le sabbie e ghiaie recuperate in uscita dal sistema sono pulite e adatte ad essere riutilizzate/riciclate, mentre il materiale limo-argilloso di rifiuto (filter cake) può essere smaltito in una discarica autorizzata oppure essere recuperato dopo avere subito ulteriori trattamenti. Ballast Nedam dispone di un impianto mobile di soil washing la cui portata, nel caso di trattamento di terreni con almeno l’85% dei grani di diametro maggiore di 63µm, può raggiungere 45.000 t/anno (portata massima di 25 t/ora). Il sistema è adatto per il trattamento di contaminanti che preferenzialmente si legano alla matrice limo-argillosa dei terreni, come ad esempio metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici (IPA), policlorobifenili (PCB), pesticidi ed erbicidi semivolatili non-solubili. La portata di acqua di processo necessaria per il funzionamento dell’impianto è di 5 m3/ ora, dei quali solo 1 m3/ora viene effettivamente immesso in input, poiché la restante quota-parte è costituita da acqua di processo riutilizzata dal sistema. I flussi in uscita dall’impianto prevedono, oltre alla frazione limo-argillosa (filter cake) e

materiale organico contaminati, la frazione di sabbie e ghiaie pulite destinate a nuovi cicli produttivi o ad essere riutilizzate. Le sabbie e le ghiaie sono separate a seconda della loro granulometria in tre distinte categorie: • sabbia con diametro dei grani compreso tra 63 µm e 2 mm; • aggregati con diametro dei grani compreso tra 2 mm e 32 mm; • aggregati con diametro dei grani superiore a 32 mm. La quantità complessiva di sabbie/ghiaie in uscita dal sistema varia tra il 60% ed il 70% del materiale da trattare in ingresso, con una portata in uscita che oscilla tra 27.000 e 31.500 t/anno. Le componenti operative necessarie affinché l’impianto possa entrare in funzione in un centro di trattamento di suoli contaminati prevedono la presenza di un’area di stoccaggio del materiale in input (sono necessari almeno 10.000 m2), dove il materiale venga pesato, classificato e segregato in cumuli in attesa del trattamento, e di un'area da destinare ai materiali in output (7.500 m2). Le superfici selezionate devono essere impermealizzate ed essere dotate di opportuni sistemi di drenaggio. E’ inoltre necessario prevedere l’utilizzo di appropriate misure per evitare l’infiltrazione di acqua piovana all’interno dei cumuli di materiale stoccato. Anche l’impianto di soil washing deve essere installato su di una superficie impermeabile e necessita di un’area complessiva di 2.500 m2.

Conclusione Per concludere, tale centro di conferimento potrebbe “attrarre” suolo contaminato da due principali sorgenti: in primis, il suolo che attualmente viene esportato verso le altre nazioni Europee summenzionate, e poi parte del suolo che viene conferito nell’unico impianto di trattamento (di tipo biologico) esistente oggi in Irlanda, il quale, essendo situato a quasi 100 km da Dublino nella contea di Laois in Portlaoise, ha come svantaggio gli alti costi legati al trasporto su gomma. *Ballast Nedam Ireland (Fotografie di Rene Theunissen)

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IL DIFFICILE FUTURO DELLA RAFFINAZIONE L’Unione Petrolifera analizza le difficoltà che il mercato europeo dell’oro nero dovrà affrontare nei prossimi anni, fra evoluzione del sistema e nuove soluzioni ecocompatibili di Franco Del Manso*

L

’assetto delle raffinerie in Europa e in Italia è stato profondamente modificato nel corso degli ultimi anni per rispondere alle molteplici esigenze ambientali e di sicurezza connesse alle attività industriali e alla mutata qualità dei prodotti petroliferi. Queste profonde trasformazioni però, potrebbero non bastare per contrastare l’attuale situazione di crisi determinata dal mutato contesto economico, dagli squilibri nella domanda e nell’offerta dei prodotti petroliferi e dall’applicazione di rigide normative ambientali in modo unilaterale in Europa. Tra le nuove problematiche – talvolta anche molto critiche – che dovranno essere affrontate dal settore della raffinazione europea nei prossimi anni, ricordiamo: • il crescente squilibrio del rapporto diesel/ benzina nei consumi di carburanti; • la progressiva penetrazione dei biocarburanti nel mercato dell’autotrazione e sviluppo di sistemi di trasporto con tecnologie avanzate (veicoli ibridi, elettrici, ecc.); • la contrazione delle importazioni di benzina da parte degli USA; • la possibile riduzione delle esportazioni di diesel dalla Russia verso l’Europa; • la realizzazione di nuova capacità di raffinazione al di fuori dell’Europa, specificatamente dedicata all’esportazione di prodotti finiti; • l’ulteriore inseverimento delle norme che

regolano la qualità dei carburanti in Europa; • la scomparsa del bunker per uso marina sostituito da prodotti distillati; • la futura qualità del greggio; • l’impatto della Direttiva comunitaria sull’Emission Trading e delle altre normative comunitarie su aria, acqua e suolo. Oggi, oltre ad esprimere una certa preoccupazione, non siamo in grado di prevedere con ragionevole certezza lo scenario futuro della raffinazione. Possiamo però analizzare a fondo tutte le potenziali cause in grado di gene-

rare criticità e complicazioni all’assetto delle raffinerie, per fornire il quadro d’insieme che si presenterà per il settore nei prossimi anni.

Lo squilibrio del rapporto diesel/benzina Pur essendo la capacità di raffinazione europea maggiore dei consumi di prodotti petroliferi, le raffinerie europee oggi non sono in grado di soddisfare la domanda del mercato interno. Negli ultimi anni si è assistito ad un continuo adeguamento degli assetti di raffi-

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nazione, orientandoli verso una sempre maggiore produzione di gasolio e, nonostante ciò, la continua crescita della domanda di gasolio a scapito della benzina determina un persistente squilibrio tra produzione e consumi, a cui fanno seguito importazioni di gasolio ed esportazioni di benzina. La causa di questo fenomeno è fondamentalmente dovuta agli effetti della tassazione (in genere è preferito il diesel alla benzina) che unitamente alla maggiore efficienza dei motori diesel, ha spostato fortemente le preferenze dei consumatori verso queste motorizzazioni. Un riequilibrio del sistema di tassazione dei carburanti potrebbe invertire tale tendenza, anche se gli effetti si avrebbero solo a lungo termine, essendo ormai il parco caratterizzato da una massiccia presenza di auto diesel. Inoltre, gli sforzi della raffinazione per incrementare la produzione di gasolio sono ormai prossimi al livello asintotico, e ulteriori incrementi produttivi sono molto improbabili nel prossimo futuro a meno di nuovi massicci investimenti. Questi fenomeni renderanno le raffinerie più vulnerabili e determineranno un incremento nei costi di produzione dei fuels.

I biocarburanti nel mercato autotrazione Tra le politiche che incideranno marcatamente sulla domanda dei fuels per autotrazione, vi è quella che promuove l’introduzione e lo sviluppo dei biocarburanti; le disposizioni comunitarie che stabiliscono una quota del 10% di energia da biofuel nei trasporti non avranno come unico effetto quello di ridurre i consumi di benzina e di gasolio, ma faranno nascere molteplici interrogativi sull’assetto della raffinazione. Le attuali specifiche dei carburanti e quelle in fase di revisione non saranno infatti adeguate per il rispetto dei target al 2020. Occorrerà probabilmente riformulare gli attuali prodotti petroliferi per consentire miscelazioni più massicce dei biofuels che saranno resi disponibili sul mercato, tenendo presente che questi ultimi dovranno essere “ambientalmente sostenibili” sia in termini di abbattimento della CO2 che di impatto delle colture sul territorio. La qualità dei fuels così formulati dovrà poi essere perfettamente compatibile con le tecnologie motoristiche, sia attuali che di futura generazione.

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Lo sviluppo di sistemi di trasporto con tecnologie avanzate (veicoli ibridi, elettrici, ecc.) contribuirà all’ulteriore contenimento dei consumi di carburanti nei trasporti e, poiché tali sistemi si svilupperanno soprattutto negli USA, saranno i consumi di benzina a risentirne principalmente.

Contrazione USA delle importazioni di benzina La configurazione storica delle raffinerie europee e le modifiche nella domanda dei fuels per autotrazione sta comportando un crescente eccesso di produzione di benzina, allocata principalmente nelle esportazioni verso gli Stati Uniti, che non riescono a soddisfare la propria domanda con la produzione interna. Tale condizione tuttavia è suscettibile di subire cambiamenti anche sensibili nel prossimo futuro, esponendo la raffinazione europea ad una notevole vulnerabilità nei confronti dei cambiamenti del mercato USA. Alla base della contrazione delle importazioni di benzina da parte degli USA ci sono diverse motivazioni: anzitutto la recessione economica avrà effetti importanti sui consumi nei prossimi anni, ma anche l’espansione della capacità di raffinazione delle raffinerie americane produrrà effetti sul bilancio import-export dei prodotti petroliferi. Si tratta di effetti che saranno infine amplificati dalle stringenti misure sull’efficien-

za energetica dei motori, che si sta cercando di implementare già a breve termine. In aggiunta a ciò, in conformità alla legislazione USA, un consistente quantitativo di benzina dovrà essere sostituito da bioetanolo, che si stima possa raggiungere il quantitativo di 80 milioni di tonnellate all'anno entro il 2020. Oltre agli USA, l’Europa esporta benzina anche in Medio Oriente, un altro mercato destinato a contrarsi, in quanto il programma di ampliamento della capacità di raffinazione di quei Paesi intende traguardare l’autosufficienza in termini di consumi di benzina. L’Europa dovrà quindi ricercare nuovi mercati nel panorama mondiale per allocare il suo surplus di prodotto, essendo prevedibile, seppur solo entro certi limiti, una modifica degli assetti di raffinazione per ribilanciare la produzione, limitando la formulazione di benzine.

Riduzione esportazioni di diesel dall a Russia verso l’Europa

Il gap della domanda di diesel in Europa è stato finora colmato dalle importazioni dalla Russia, che sono agevolate dagli incentivi fiscali alla raffinazione nazionale assicurati dal Governo russo. L’attuale crisi finanziaria, però, potrebbe indurre Russia ad applicare nuove tasse sui prodotti, alterando l’attuale convenienza a favore delle esportazioni di greggio


invece che di gasolio. Nel breve termine tuttavia l’Europa, per soddisfare la domanda (probabilmente in calo), potrà contare sull’aumento delle esportazioni di diesel dagli USA e su una maggiore offerta interna, grazie all’entrata in servizio di diversi hydrocracking. Nel medio-lungo periodo comunque, la prevista ripresa dei consumi aggraverà nuovamente il deficit di diesel in Europa, che non potrà essere colmato, a meno di consistenti investimenti nella raffinazione.

da India e Medio Oriente, di benzina negli USA e di gasolio in Europa, potrebbero in ogni caso avere impatti significativi sugli investimenti nella raffinazione europea, deprimendo la produzione interna – con conseguente rischio di chiusura per alcuni stabilimenti – ed esponendo il mercato europeo alla volatilità dei prezzi internazionali dei prodotti finiti.

Costruzione di raffinerie dedicate all’esportazione

Le specifiche dei fuels stabilite in Europa sono le più severe al mondo e sono state definite a seguito di importanti studi condotti congiuntamente dall’industria petrolifera, da quella automobilistica e dalla Commissione Europea. Tale know-how è di tutto rilievo ed andrebbe salvaguardato anche in prospettiva futura, favorendo la possibilità di realizzare nelle raffinerie i nuovi investimenti conseguenti alla continua evoluzione delle specifiche dei carburanti per ragioni essenzialmente ambientali.

A livello mondiale si registra lo sviluppo di progetti di raffinazione specificatamente dedicati all’esportazione di prodotti finiti nelle aree dove esistono sbilanciamenti tra domanda e offerta. India e Medio Oriente stanno operando proprio in questa direzione con numerosi progetti di espansione della capacità di raffinazione e di quella di conversione. Molti di questi progetti saranno realizzati indipendentemente dalla loro redditività, essendo fondati su motivazioni di tipo politico e sociale, e condurranno ad un eccesso della capacità di raffinazione mondiale, con conseguenze anche critiche per la raffinazione europea. Resta da chiarire se tali raffinerie saranno realizzate con assetti in grado di produrre fuels rispondenti alle severe specifiche in vigore in Europa. Le esportazioni

Inseverimento delle norme di qualità dei carburanti

Scomparsa del bunker per uso marina Lo sviluppo di sistemi di trasporto più sostenibili in termini ambientali – come quelli via mare – comporterà nei prossimi anni un incremento della domanda di bunker (NdR: olio combustibile per uso navale). D’altro canto però, le nuove specifiche dell’IMO stabilite allo scopo

di ridurre ulteriormente le emissioni inquinanti delle navi, implicheranno la completa scomparsa del bunker a livello mondiale, che dovrà essere sostituito da combustibili distillati. Questo fenomeno determinerà una richiesta addizionale di distillati, che a livello europeo si collocherà intorno ai 50 Mton/anno, accrescendo notevolmente il deficit di diesel in Europa con pesanti ripercussioni sugli assetti delle raffinerie.

Futura qualità del greggio L’approvvigionamento di greggio in Europa è assicurato per un terzo dal Mare del Nord, per un terzo dall’OPEC e per il restante terzo essenzialmente dalla Russia. La produzione di greggio dal Mare del Nord è in fase di contrazione ormai da alcuni anni e tale trend non potrà essere invertito. Anche gli attuali giacimenti della Russia registrano una progressiva contrazione, anche se in questo caso esistono altre aree in grado di assicurare la continuità degli approvvigionamenti. Ciò che resta comunque inevitabile è la variazione della qualità dei greggi che saranno processati nel futuro in Europa: saranno meno leggeri e a più alto tenore di zolfo, ed imporranno investimenti addizionali per l’adeguamento delle raffinerie. Nel medio periodo sarà necessario iniziare a processare anche i cosiddetti greggi “non convenzionali”, cioè quelli estremamente pesanti del Venezuela o il “tar-sand” del Canada, che richiederanno strutture di raffinazione anche molto diverse da quelle attuali. Questa tipologia di greggi non influenzerà in modo sensibile la raffinazione europea nel prossimo decennio, poiché saranno trattati principalmente negli USA accoppiati ad una tecnologia di “cattura e sequestro della CO2”, liberando in tal modo quantità addizionali di greggio convenzionale per l’Europa. Tuttavia, essendo le loro riserve molto consistenti, questi greggi giocheranno un ruolo fondamentale nella raffinazione nel lungo periodo, quando i greggi convenzionali inizieranno a scarseggiare, rappresentando quindi un elemento da non trascurare nella pianificazione delle attività future delle compagnie petrolifere operanti in Europa.

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r e po rt

Emission Trading e altre normative comunitarie Gli impegni assunti dall’Unione Europea nella lotta ai cambiamenti climatici comporteranno importanti obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra in tutti i settori, incluso quello della raffinazione. Tutte le criticità evidenziate nei punti precedenti sottolineano la forte esposizione del settore della raffinazione europea alla competitività internazionale; gli obblighi derivanti dall’Emission Trading, essendo applicati unilateralmente in Europa, non potranno che amplificare la vulnerabilità dell’industria petrolifera europea nei confronti dei competitors mondiali. La politica ambientale dell’Unione Europea costituisce quindi un fattore di estrema rilevanza nella programmazione futura degli adeguamenti del settore della raffinazione, in particolare perché tali adeguamenti saranno tutti rivolti verso processi ad elevata intensità energetica (hydrocracking e impianti a idrogeno) e quindi con alte emissioni di CO2. L’impatto della CO2 sui costi di raffinazione è stato stimato in circa 2 dollari/barile, valore che incide notevolmente su margini di raffinazione già in declino e che potrebbe indurre le compagnie petrolifere a delocalizzare i futuri investimenti in aree extra UE, libere dagli obblighi dell’Emission Trading. Il settore della raffinazione è soggetto, spesso in modo unilaterale, alla complessa normativa UE su aria, acqua e suolo. Tra le altre, possia-

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mo ricordare la legislazione su: Prevenzione e controllo integrato dell’inquinamento IPPC, Qualità dell’aria ambiente, Regolamento REACH, Direttiva quadro sulle Acque, Bonifiche dei siti inquinati, Direttiva quadro Rifiuti, Danno Ambientale e Direttiva Seveso.

Quale futuro per l a raffinazione? L’industria della raffinazione è e rimane un settore strategico per l’Italia e per l’Europa. La raffinazione è un’industria caratterizzata dalla necessità di continui investimenti di entità molto elevata, i cui ritorni si materializzano solo dopo parecchi anni. La raffinazione in Europa

è ancor più penalizzata nel contesto mondiale, essendo inserita in un mercato contraddistinto da un forte sbilanciamento tra domanda ed offerta, che comporta un notevole surplus di benzina ed un contestuale deficit di gasolio. Le azioni che finora hanno consentito di mitigare tale criticità sono destinate a perdere la loro efficacia nei prossimi anni, esponendo il mercato europeo a rischi crescenti sulla sicurezza degli approvvigionamenti. La politica ambientale comunitaria ed internazionale (CO2, biofuels, bunkers, ecc.) non agevolerà la ricerca di soluzioni favorevoli alla raffinazione europea, soprattutto in conseguenza di azioni unilaterali dell’Europa. Per adeguare il settore europeo della raffinazione alle mutate esigenze del mercato, saranno necessari massicci investimenti, stimabili in non meno di 50 miliardi di euro. La pianificazione operativa di questi investimenti potrà essere effettuata solo mantenendo un’elevata competitività del settore petrolifero sui mercati mondiali. Sono però molteplici i fattori che potranno mettere a rischio tale competitività in Europa: le difficoltà a riallocare le esportazioni di benzina, il possibile incremento di importazioni di prodotti finiti e l’applicazione unilaterale della normativa ambientale e sulla CO2. Le possibili conseguenze per il settore potranno concretizzarsi in un’elevata riduzione della redditività degli investimenti in Europa e, ancora più grave, nella già citata delocalizzazione degli investimenti in aree extra UE.


Il principale obiettivo dell’Unione Europea è quello di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e soddisfare le esigenze dei consumatori. Questi obiettivi possono essere raggiunti solo in presenza di una forte e competitiva industria della raffinazione, in quanto un’industria non competitiva esporrebbe i mercati europei a massicce operazioni di import-export di prodotti petroliferi finiti, con gravi rischi per la sicurezza degli approvvigionamenti. E’ necessario pertanto individuare, attraverso un piano strategico sulla raffinazione, specifiche soluzioni per assicurare la compatibilità tra la competitività delle raffinerie ed il rispetto della legislazione ambientale comunitaria, in particolare quella sulla CO2, per evitare di dover fronteggiare situazioni particolarmente critiche sia sul piano industriale che di sicurezza degli approvvigionamenti energetici. *Responsabile Ufficio ambientale e tecnico di Unione Petrolifera

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spe c i a l e

GLI STRUMENTI FINANZIARI A SOSTEGNO DEGLI INTERVENTI DI BONIFICA Partendo dalla Programmazione Unitaria 2007/2013 un'analisi Regione per Regione degli stanziamenti per il recupero dei siti contaminati di Giorgia Scopece* con la collaborazione di Saverio Tassoni**

G

li interventi di bonifica e di riqualificazione ambientale hanno sempre incontrato forti difficoltà nell’individuare fonti di finanziamento che potessero essere rivolte non solo ai soggetti pubblici ma anche agli operatori privati, in quanto, per quest’ultima fattispecie, vi è il limite posto dal principio comunitario “chi inquina paga”. Tuttavia negli ultimi anni si è registrato uno sforzo da parte dei programmatori pubblici al fine di configurare meccanismi di contributo rivolti anche agli operatori privati, tenuti ad avviare un intervento di bonifica delle aree di proprietà al fine di rimuovere un inquinamento determinato da un soggetto terzo non individuabile. Ciò in ottemperanza di quanto disposto dalla Disciplina degli aiuti di stato a finalità ambientale (2008/C 82/01) che prevede la possibilità di riconoscere aiuti agli investimenti a favore delle imprese che rimediano ai danni ambientali mediante il risanamento di siti contaminati. Tale premessa è d’obbligo per poter affrontare la disamina degli strumenti di agevolazione disponibili sul territorio nella piena consapevolezza che il soggetto privato che ha determinato l’inquinamento delle proprie aree non può ricorrere ad alcun finanziamento pubblico. Il contesto finanziario che destina le maggiori risorse agli interventi di bonifica e riqualificazione ambientale è sicuramente quello della Programmazione Unitaria 2007/2013 che

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fa convergere le risorse comunitarie stanziate a valere sui Fondi Strutturali con stanziamenti aggiuntivi dallo Stato nell’ambito del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS). Rinviando al sito del Ministero dello Sviluppo Economico (www.dps.mef.gov.it) per l’acquisizione delle informazioni di dettaglio sulla normativa che disciplina e regolamenta la materia, in questa sede è importante fornire alcune informazioni chiave che consentano di orientarsi in un universo programmatico e finanziario che può risultare ostico ai non addetti ai lavori. I documenti programmatici nei quali vengono individuate le iniziative da finanziare su base regionale, interregionale e nazionale sono rispettivamente: • Programmi Operativi Regionali (POR), monofondo, predisposti da ogni singola Regione; • Programmi Operativi Nazionali (PON), a titolarità di un’Amministrazione Centrale; i temi trattati sono: “Istruzione”, “Ricerca e competitività”, “Sicurezza”, “Reti per la mobilità”, “Governance e assistenza tecnica”; • Programmi Operativi Interregionali (POIN) che vedono la partecipazione di Amministrazioni Centrali e Regionali; i temi trattati sono: “Energie rinnovabili e risparmio energetico” e “Attrattori culturali, naturali e turismo”. I Programmi Operativi sviluppano i temi prio-

ritari individuati a monte nell’ambito di un documento programmatico definito su scala nazionale - Quadro Strategico Nazionale (QSN) - che ha individuato, tra gli obiettivi prioritari, la tematica del recupero alle opportunità di sviluppo sostenibile dei siti contaminati, anche a tutela della salute pubblica. Gli interventi programmati sui temi individuati dal QSN hanno un peso ed una valenza finanziaria diversa in base all’area geografica di intervento inserita, sulla base delle criticità di crescita e sviluppo, nell’obiettivo “Convergenza” o nell’obiettivo “Competitività”, ossia: • Convergenza (CONV), costituito dalle Regioni che presentano i maggiori ritardi dal punto di vista dello sviluppo economico e sociale e che beneficiano di un maggiore sostegno finanziario; • Competitività Regionale e Occupazione (CRO) costituito dalle Regioni che presentano una situazione meno critica rispetto a quelle rientranti nell’Obiettivo Convergenza ma che necessitano di un incremento di competitività al fine di assicurare uno sviluppo armonioso del territorio. Le Regioni rientranti nell’Obiettivo “Convergenza” (CONV) sono: Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Basilicata (fino al 2010). Quest’ultima infatti viene definita Regione “Phasing out” cioè “in fase di uscita” dall’Obiettivo “Convergenza”.


L’Obiettivo Competitività regionale e occupazione (CRO) interessa le restanti Regioni italiane e precisamente: Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, P.A. Bolzano, P.A. Trento, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta, Veneto e Sardegna che beneficia del sostegno transitorio perché in fase di “Phasing in” (la Regione Sardegna nella precedente programmazione 2000/2006 rientrava tra le Regioni Obiettivo 1, tuttavia con la nuova programmazione 2007/2013 è rientrata nelle Regioni dell’Obiettivo CRO, ex Obiettivo 2, in quanto ha subito il c.d. “effetto statistico”, provocato dall’entrata nell’UE di nuovi Paesi a reddito basso; il reddito pro-capite medio regionale è infatti statisticamente più elevato rispetto al reddito medio europeo, ridottosi a seguito delle nuove entrate. Per evitare una brusca riduzione dei finanziamenti, la Regione Sardegna è stata quindi inserita tra le Regioni che godono del sostegno transitorio, cioè hanno a disposizione maggiori fondi che le permetteranno di adeguarsi gradualmente a rientrare nell’Obiettivo CRO). Rispetto alla dimensione finanziaria, nel ciclo di programmazione 2007/2013 la politica regionale unitaria potrà disporre complessivamente di 124,7 miliardi di euro (dato finanziario indicato nel QSN).

LA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI NEI PROGRAMMI OPERATIVI REGIONALI (POR)

Per ciascun POR regionale sono stati analizzati l’Asse di riferimento e le rispettive misure in materia di bonifica (www.dps.tesoro.it/qsn/ qsn_programmioperativi.asp.), con l’indicazione dello stanziamento finanziario complessivo per Asse, come dettagliato nelle Tabelle 1 e 2. Tale importo complessivo è da suddividere tra le diverse misure (o obiettivi specifici) che compongono l’Asse, quindi solo una parte dell’importo indicato sarà assegnato alle misure di nostro interesse. Tale assegnazione avverrà su base discrezionale a cura della Regione in fase attuativa. In estrema sintesi, anche se non è possibile risalire con certezza numerica all’ordine di spesa relativo ai singoli interventi, è possibile tuttavia individuare:

• le misure previste; • le Regioni che prevedono l’attuazione di interventi di bonifica; • le attività specifiche che si andranno a implementare in quei territori nei prossimi sette anni. Dall’analisi si rileva in generale un notevole interesse rispetto alla tematica delle bonifiche sia per le Regioni Obiettivo “CONV”, che per le Regioni Obiettivo “CRO”. Rispetto agli interventi di bonifica le Regioni hanno riconosciuto priorità alle aree ricadenti nei siti di bonifica di interesse nazionale (SIN) e regionale (SIR), e la maggior parte di esse, ad eccezione della Puglia e dell’Abruzzo, hanno adottato una strategia unica di messa in sicurezza e bonifica delle aree, funzionale ai successivi interventi di rilancio economico (industriale, turistico e dei servizi) dei territori, con particolare interesse al rilancio produttivo in chiave eco-innovativa per la Sicilia. Le Regioni Campania e Sicilia riconoscono come ulteriore priorità di intervento le aree già oggetto di caratterizzazione. Si rileva inoltre come la Regione Calabria abbia differenziato l’utilizzo dei fondi, concentrando le risorse del POR su interventi di bonifica in aree SIR e in aree contaminate da amianto, rinviando ad altre fonti di finanziamento la copertura degli interventi ricadenti in area SIN. Nei paragrafi successivi si elencano le Regioni che hanno inserito nei POR gli interven-

ti di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, specificando, dove presenti, il numero di interventi che intendono realizzare nel periodo 2007/2013; laddove non citate, le amministrazioni regionali non prevedono, all’interno del proprio POR, alcun esplicito riferimento ad interventi di bonifica da realizzare sul proprio territorio. Di seguito, per ciascuna Regione titolare di iniziative specifiche, si riporta una sintesi delle finalità della Misura, inserendo ove esplicitati i soggetti che possono beneficiare dell’iniziativa (pubblici e/o privati) e rinviando alle tabelle per i dettagli.

LE REGIONI OBIETTIVO “CONVERGENZA”

La Regione Campania, rispetto ad una spesa totale relativa all’asse “Ambiente” di circa 2 miliardi di euro, pari a circa il 30% dell’importo totale del POR, intende conseguire entro il 2013 un risultato pari a 150 Kmq di superficie bonificata e recuperata, senza specificare una possibile ripartizione tra ambiti SIN e SIR. Soggetti beneficiari della misura: Regione Campania, Province, Comuni, Enti Parco, Enti gestori delle altre PP.AA., Enti pubblici e territoriali, Consorzi di bonifica e imprese. La Regione Sicilia, con uno stanziamento complessivo pari a 1,6 miliardi di euro per interventi a finalità ambientale, che rappresenta il 24,5% dell’importo totale del POR FESR,

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spe c i a l e

prevede di raggiungere, entro il 2013, un target di superficie bonificata pari a 22.000 ha, dando priorità agli interventi sui 3 SIN di Gela, Priolo e Biancavilla, che nel totale rappresentano una superficie pari a circa 19.000 ha. Soggetti beneficiari della misura: non individuati. La Regione Calabria, rispetto alla scelta di focalizzare le risorse POR solo sui SIR, con uno stanziamento complessivo per interventi ambientali pari a circa 360 milioni di euro, ha in previsione di realizzare i seguenti obiettivi: • 150 siti inquinati caratterizzati; • 45 siti messi in sicurezza e/o bonificati; • 45 interventi di ripristino ambientale; • 6 indagini e analisi; • 60 siti inquinati da amianto caratterizzati; • 60 siti inquinati da amianto messi in sicurezza e/o bonificati; • 8 interventi di bonifica di fondali marini. Si segnala che la Regione Calabria presenta anche un Asse 8 “Città, aree urbane e sistemi territoriali” di importo molto consistente, pari a circa 509 milioni di euro, che rappresenta

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il 17% dell’intero POR, nell’ambito del quale, anche se non esplicitati dalla Regione, potrebbero essere attivati interventi di bonifica in ambito urbano. Soggetti beneficiari della misura: Regione Calabria, Province, Enti locali, Enti e Amministrazioni centrali gestori di servizi con sedi nel territorio regionale, ARPA Calabria, Enti o soggetti concessionari o affidatari o gestori di infrastrutture, servizi pubblici e di pubblica utilità, Università, Enti pubblici di ricerca, centri di ricerca pubblici e privati, Parchi scientifici e tecnologici, Società miste partecipate da Enti pubblici, imprese e loro consorzi. La Regione Puglia ha stanziato, per interventi ambientali, un importo di circa 908 milioni di euro, che rappresenta il 17% dell’intero POR, e prevede l’attivazione di interventi di bonifica, senza però quantificarne l’entità, né la possibile attribuzione in ambito SIN o in ambito SIR. Soggetti beneficiari della misura: Regione Puglia, Enti locali, ARPA Puglia. Infine, la Regione Basilicata, a fronte di uno stanziamento totale sull’asse “Ambiente” pari

a 186 milioni di euro, che rappresenta il 25% dell’intero POR FESR, prevede di realizzare 5 interventi finalizzati alla “messa in sicurezza e recupero alle opportunità di sviluppo delle aree oggetto di contaminazione anche di origine naturale”, senza specificare se saranno relativi ai SIN o ai SIR. Soggetti beneficiari della misura: Enti pubblici territoriali, soggetti pubblici e privati operanti nel settore.

LE REGIONI DEL NORD - OBIETTIVO “COMPETITIVITà REGIONALE E OCCUPAZIONE”

La Regione Lazio su un totale di 189 milioni di euro stanziati in favore di azioni a finalità ambientale, per un importo pari al 25% del POR FESR, ha in previsione di realizzare 50 interventi di bonifica di siti contaminati, la maggior parte dei quali rientranti in area SIN. Soggetti beneficiari della misura: Regione Lazio, Enti locali territoriali, altri soggetti pubblici. La Regione Abruzzo rispetto ad uno stanzia-


POR

ASSE/MISURa

Basilicata (phasing out)

ASSE VII - Energia e sviluppo sostenibile Misura VII.3.2 - Messa in sicurezza e recupero alle opportunità di sviluppo delle aree oggetto di contaminazione anche di origine naturale

Calabria

ASSE III - Ambiente Misura 3.4.1 - Completare la bonifica dei siti contaminati per recuperare alle opportunità di sviluppo sostenibile le aree contaminate, anche a tutela della salute pubblica e del territorio

Campania

ASSE I - Sostenibilità ambientale ed attrattività culturale e turistica Misura 1.2 - Migliorare la salubrità dell'ambiente

Puglia

ASSE II - Uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali ed energetiche per lo sviuppo Misura 2.5 - Interventi di miglioramento della gestione del ciclo integrato dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati

Sicilia

ASSE II - Uso efficiente delle risorse naturali Misura 2.4.4 - Migliorare l’efficienza nella gestione dei rifiuti, sostenendo la nascita di un tessuto produttivo nel comparto del riciclaggio e promuovendo interventi di riqualificazione e risanamento ambientale di grande impatto

STANZIAMENTO TOTALE ASSE

TIPOLOGIA INTERVENto

€ 186.000.000,00

Mappatura e caratterizzazione delle aree oggetto di contaminazione di origine naturale ed antropica e loro messa in sicurezza, bonifica e ripristino attraverso l’utilizzo di tecnologie e metodologie innovative a basso impatto ambientale. Interventi di bonifica di aree contaminate dall’amianto e contestuale recupero all’uso collettivo di siti di proprietà pubblica.

€ 359.788.806,00

Completamento della caratterizzazione dei siti inquinati ad alto, medio e basso rischio, individuati dal Piano Regionale di Bonifica delle Aree Inquinate. Messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati individuati dal Piano Regionale di Bonifica delle Aree Inquinate sulla base delle priorità connesse ai livelli di rischio. Bonifica dei fondali marini sotto costa interessati da abbandoni e depositi di rifiuti, con particolare attenzione alle aree costiere di rilevante interesse turistico e paesaggistico. Realizzazione di indagini epidemiologiche nell’ambito della realizzazione dei piani di caratterizzazione dei siti da bonificare. Interventi di ripristino ambientale di aree interessate da inquinamento diffuso. Potenziamento di tutte le azioni finalizzate all’individuazione delle responsabilità e alla prevenzione e repressione del danno ambientale, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, attraverso un'intensificazione delle attività di monitoraggio e controllo condotte sul territorio dagli Organi competenti.

€ 2.025.000.000,00

Bonifica e riqualificazione per il ripristino della qualità ambientale anche con interventi di recupero degli ecosistemi e della biodiversità dei siti già inseriti nel Piano Regionale di Bonifica, (dando priorità al completamento degli interventi nei Siti di Interesse Nazionale già caratterizzati) e delle aree pubbliche dismesse. Ripristino ambientale delle discariche pubbliche autorizzate e non più attive e/o interventi di sistemazione finale nonché delle discariche abusive su siti pubblici. Decontaminazione di aree e di edifici pubblici caratterizzati dalla presenza di amianto esclusa la mera rimozione di tetti in eternit.

€ 908.000.000,00

Azioni per la realizzazione di interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza, bonifica, ripristino ambientale dei siti contaminati, ivi incluse le aree già utilizzate quali campi di spandimento dei reflui urbani, di proprietà pubblica o su cui si proceda in danno del proprietario con acquisizione del diritto di proprietà; relativamente ai siti contaminati è prevista la priorità ai siti di interesse nazionale e quindi regionale, in accordo con i piani di bonifica.

€ 1.602.203.250,00

Azioni per la realizzazione delle misure di prevenzione, di riparazione, di messa in sicurezza d’emergenza, di messa in sicurezza permanente, di bonifica, di ripristino e di ripristino ambientale dei siti inquinati, comprese le attività di indagine preliminare, di caratterizzazione, di analisi del rischio.

€ 5.080.992.056,00 Nota: Gli importi indicati si riferiscono alla totalità degli obiettivi individuati nell’Asse di riferimento del POR, e non solo agli obiettivi in materia di bonifica della presente analisi. Tuttavia, l’assenza di attribuzione specifica delle risorse a ciascun obiettivo permette alla Regione, in un secondo momento, di modulare tali risorse in base a valutazioni strategiche e di opportunità.

Tabella 1. Regioni Obiettivo “Convergenza”

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spe c i a l e

mento complessivo di circa 111 milioni di euro in favore dell’asse “Ambiente”, che corrisponde a circa il 32% del POR FESR, ha programmato la realizzazione di 12 interventi di bonifica di siti contaminati e di gestione di materiali inquinati, senza indicare se riguarderanno in particolare SIN o SIR. Soggetti beneficiari della misura: Regione Abruzzo. La Regione Sardegna, a fronte di un impegno pari a circa 383 milioni di euro stanziato in favore dell’asse “Ambiente”, che corrisponde a circa il 22,5% dell’importo stanziato in favore del POR FESR, intende caratterizzare una superficie di siti inquinati di interesse regionale/nazionale pari al 15% del totale e si propone di attuare 12 interventi di recupero, messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione e bonifica di aree vaste. Non si indica se questi ultimi riguarderanno aree SIN o SIR. Soggetti beneficiari della misura: non individuati. La Regione Marche rispetto ad un impegno sull’intero asse “Ambiente” pari a circa 46 milioni di euro, che rappresenta circa il 16% del POR FESR, intende realizzare 5 interventi di bonifica di aree e di siti inquinati, coprendo il 50% della superficie dei siti inquinati di importanza nazionale-regionale sul totale da bonificare, senza tuttavia specificare quali e quanti interventi saranno attivati rispettivamente sui SIN o sui SIR. Soggetti beneficiari della misura: Regione Marche, Enti pubblici in forma singola o associata. La Regione Toscana, a fronte di un impegno pari a circa 93 milioni di euro sull’asse “Ambiente”, pari all’8% dell’importo totale del POR FESR, intende attuare 8 progetti per il recupero-risanamento di siti inquinati e/o degradati e di recuperare 5 siti inquinati e/o degradati per una superficie di siti inquinati

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Anno 3 - Numero 8

nazionali/regionali da bonificare pari a 50.000 mq, corrispondente al 4,2% della superficie totale da bonificare. Soggetti beneficiari della misura: non individuati. La Regione Umbria, su un finanziamento totale pari a circa 52 milioni di euro, che corrispondono al 15% dell’importo totale del POR FESR, si pone l’obiettivo di concludere 5 interventi di recupero e riconversione di siti inquinati, per una superficie totale recuperata di siti industriali e di siti inquinati pari a 20 ha. Anche in questo caso non si specifica se si tratti di SIN o SIR. Soggetti beneficiari della misura: Enti pubblici e loro forme associate. La Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, su un totale di circa 35 milioni di euro stanziati per l’Asse “Ambiente”, pari all’11,5% dell’importo totale del POR FESR, intende realizzare un progetto di recupero e di bonifica, senza specificare se sarà relativo a un SIN o ad un SIR, e raggiungere un target di 35 Kmq di superficie oggetto di interventi di messa in sicurezza e 40.000 metri cubi di sedimenti inquinati asportati. Soggetti beneficiari della misura: Regione Friuli Venezia Giulia, Enti pubblici territoriali, Consorzi pubblici, Commissari delegati per le emergenze socio economico e ambientali, Autorità Portuali, Consorzi per lo sviluppo industriale.

La Regione Autonoma Valle d’Aosta, a fronte di un importo destinato all’Asse II “Promozione dello sviluppo sostenibile” pari a 25 milioni di euro, che rappresenta addirittura il 51% dell’importo totale stanziato a favore del POR FESR, nell’ambito dell’obiettivo operativo di “elevare la qualità degli insediamenti urbani, turistici e rurali” si propone di recuperare una superficie pari a 4.000 mq e di realizzare un intervento di riconversione e valorizzazione di aree industriali. Non si specifica tuttavia se tale intervento sarà realizzato in ambito SIN o in ambito SIR. Soggetti beneficiari della misura: Regione Autonoma Valle d’Aosta, direttamente o tramite organismi di diritto pubblico. Infine la Regione Veneto promuove la realizzazione di n. 10 progetti di ripristino ambientale, non specificando se saranno realizzati in ambito SIN o SIR, per un risultato di 238.800 ha di aree recuperate, bonificate o ripristinate. Il finanziamento complessivo dell’Asse “Ambiente” è pari a circa 70 milioni di euro, che corrisponde al 15,5% dell’importo complessivo del POR FESR. Soggetti beneficiari della misura: non individuati. *Sogesid S.p.a. – Direzione Centrale Amministrazione, Finanza e Controllo, responsabile Servizio Studi e Strategie **Sogesid S.p.a.


STANZIAMENTO

Abruzzo

€ 111.201.747,00

Caratterizzazione, messa in sicurezza, messa in sicurezza permanente, bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati pubblici (suolo, sottosuolo, acque superficiali e profonde), secondo i criteri e le modalità previsti nella normativa vigente e dal “Piano regionale di bonifica” e relativi programmi di intervento. Corretta gestione dei materiali contaminati provenienti dalle operazioni di bonifica di siti inquinati, di decontaminazione di scavi e dragaggi dei fondali.

Friuli Venezia Giulia

ASSE II - Sostenibilità Ambientale Misura 2.1 - Valorizzare le risorse ambientali e culturali e prevenire i rischi naturali e tecnologici (settori: Difesa Suolo compresa la difesa coste, Bonifiche, Biodiversità, Turismo sostenibile, Tutela patrimonio culturale)

€ 34.850.000,00

Recupero e risanamento del territorio attraverso interventi di caratterizzazione, di analisi del rischio, di bonifica (ovvero di messa in sicurezza permanente) e ripristino ambientale di siti contaminati di interesse nazionale, nonché investimenti per la riconversione di siti industriali in abbandono da parte di enti pubblici e consorzi per lo sviluppo industriale.

Lazio

ASSE II - Ambiente e prevenzione dei rischi Misura 2 - Prevenzione del rischio ambientale

€ 189.000.000,00

Bonifica dei siti contaminati, con priorità a quelli inclusi nella pianificazione nazionale di bonifica, favorendo tecniche che riducano la movimentazione, il trattamento e la rimozione dei materiali inquinanti nonché il riutilizzo del suolo, del sottosuolo e del materiale di riporto sottoposti a bonifiche, con particolare ruferimento ai siti di interesse nazionale nell’area della provincia di Frosinone e nel territorio del Fiume Sacco.

Marche

ASSE V - Valorizzazione dei territori Misura - Migliorare la sicurezza del territorio attraverso il recupero dei siti inquinati e/o degradati e la prevenzione e la riduzione dei rischi

€ 45.975.440,00

Bonifica e messa in sicurezza permanente dei siti inquinati, con particolare riferimento ai siti sui quali è previsto un successivo recupero e riconversione per usi produttivi dell’area bonificata. Priorità ai siti pubblici individuati dal Piano Nazionale / Regionale delle Bonifiche.

ASSE IV - Ambiente, attrattività naturale, culturale e turismo Misura 4.1.3 - Garantire la riqualificazione produttiva delle aree oggetto di bonifica

€ 382.877.868,00

Bonifica dei siti contaminati, applicando il principio del “chi inquina paga” e coniugando in tal modo la tutela ambientale con lo sviluppo economico del territorio. Si punta a concentrare le risorse sulle aree interessate da progetti di sviluppo e sulle aree industriali e minerarie dismesse, agendo prioritariamente su quelle ad elevato rischio ambientale e sanitario, nonché sui siti di interesse nazionale e regionale, coerentemente con gli obiettivi del Piano di bonifica. Attuazione degli interventi previsti dalla Legge Regionale 16 dicembre 2005, n. 22.

ASSE II - Sostenibilità ambientale Misura - Favorire la riabilitazione dell'ambiente fisico e il risanamento del territorio

€ 93.705.478,00

Realizzazione di investimenti finalizzati ad interventi di bonifica e risanamento di aree industriali inquinate per il successivo insediamento di attività produttive, ovvero per la potenziale fruizione del territorio per scopi turistici o di servizi a favore della collettività. Bonifica di siti interessati da exattività di discarica o mineraria in caso di verificata presenza di danno ambientale con conseguente inibizione del territorio e/o delle sue risorse al fine di un suo utilizzo per attività produttive, turistiche o di servizi a favore della collettività.

ASSE II - Ambiente e prevenzione rischi Misura - Sostegno all'elaborazione di piani e misure volti a prevenire e gestire i rischi naturali e tecnologici, a garantire e valorizzare la qualità ambientale del territorio e gli investimenti per il recupero dell'ambiente fisico

€ 52.217.413,00

Sostegno alle iniziative per il recupero dell’ambiente fisico con riguardo alla riconversione e alla riqualificazione dei siti e terreni pubblici contaminati o abbandonati, in riferimento al Piano regionale di bonifica, e dei siti industriali in abbandono, nel rispetto del principio “chi inquina paga”.

ASSE 2 - Promozione dello sviluppo sostenibile Misura - Elevare la qualità degli insediamenti urbani, turistici e rurali

€ 25.000.000,00

Bonifica dei siti contaminati funzionale al recupero ed alla riconversione di siti industriali dismessi, con priorità agli interventi individuati dal piano regionale di bonifica ad iniziare dai siti di interesse nazionale, e nel rispetto del principio “chi inquina paga”.

€ 69.713.990,00

Nel rispetto del principio "chi inquina paga", l’azione interverrà su aree di proprietà pubblica nel quadro dei piani di bonifica, con priorità per i siti inclusi nel Piano nazionale, qualora non già oggetto di contributi, e finanzierà le seguenti tipologie di intervento: predisposizione di piani, studi, indagini, analisi di rischio finalizzati all’individuazione e alla caratterizzazione di siti inquinati; bonifica e riconversione di siti industriali abbandonati caratterizzati da contaminazione di suoli e/o falde ed ubicati in aree con criticità ambientali; promozione di interventi sperimentali per l’adozione di nuove tecniche di bonifica; bonifica e ripristino ambientale di altre aree storiche e dismesse, oggetto di discariche di rifiuti.

Veneto

ASSE IV - Sviluppo Territoriale Misura 4.4.1 - Attuare piani e programmi volti a prevenire e gestire i rischi naturali e bonifica delle aree contaminate

Sardegna (phasing in)

TIPOLOGIA INTERVENto

Toscana

TOTALE ASSE

Umbria

ASSE/MISURa

Valle d'Aosta

POR

ASSE III - Ambiente e valorizzazione del territorio Misura - 3.1.1 Bonifica e ripristino ambientale di siti inquinati, ivi compresi i siti industriali abbandonati

€ 1.004.541.936,00 Nota: Gli importi indicati si riferiscono alla totalità degli obiettivi individuati nell’Asse di riferimento del POR, e non solo agli obiettivi in materia di bonifica della presente analisi. Tuttavia, l’assenza di attribuzione specifica delle risorse a ciascun obiettivo permette alla Regione, in un secondo momento, di modulare tali risorse in base a valutazioni strategiche e di opportunità.

Tabella 2. Regioni Obiettivo “Competitività regionale e occupazione”

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FRANTUMATORI IDRAULICI: GLI INSOSTITUIBILI DELLA DEMOLIZIONE SECONDARIA Demolizione primaria e poi… secondaria, È in questa fase di lavoro che entrano in azione i frantumatori idraulici: ecco cosa offre il mercato italiano agli specialisti del settore di Costantino Radis

F

rantumare, ridurre in piccoli pezzettini, separare ferro e calcestruzzo, accumulare, ordinare il cantiere, recuperare, trasformare le macerie da rifiuto in risorsa: ecco i compiti dei frantumatori idraulici. Si può riassumere il tutto in due semplici e spesso abusate parole: demolizione secondaria. E’ la seconda fase di un lavoro che segue di pari passo la demolizione primaria effettuata di solito con martelli idraulici e con pinze per calcestruzzo. Alcuni però, quando il lavoro lo permette e le condizioni lo consentono, effettuano già da subito la demolizione primaria con il frantumatore – se questo è girevole – grazie alla sua versatilità e alla possibilità di avere così il materiale già ben separato e pronto al carico fin dalle fasi iniziali del cantiere, con un notevole risparmio di tempo e denaro. Ecco perché dalla loro comparsa i frantumatori hanno avuto un ottimo riscontro sia tra le imprese specializzate nelle demolizioni, che hanno visto innalzarsi notevolmente la produttività nei propri cantieri, sia tra quelle meno specializzate che, con un investimento minimo, hanno potuto così attrezzarsi per effettuare demolizioni controllate, abbandonando

benne, strani “attrezzi casalinghi” e guadagnando in produttività e sicurezza. Rispetto alla pinza i frantumatori presentano ganasce con una superficie di contatto dentata molto estesa, proprio per riuscire a frantumare i

blocchi di risulta delle demolizioni, separando ferro e calcestruzzo. Ovviamente più è ampia la superficie di contatto, più è veloce la frantumazione. L’efficienza della macchina dipende anche, come in tutte le macchine a funzionamento idraulico, dall’impianto e dal suo funzionamento. Forza, velocità e precisione sono caratteristiche che, come le pinze, anche i frantumatori devono avere per riuscire a mantenere elevati ritmi produttivi.

SEPARATI IN CASA Divisi in due grandi gruppi, i frantumatori idraulici si distinguono in fissi e girevoli. La differenza sostanziale consiste nella possibilità o meno di ruotare la posizione di lavoro attraverso una ralla a comando idraulico.

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A prima vista sembrerebbe scontato l’utilizzo di una macchina di tipo girevole, vista l'immediata e scontata versatilità; in realtà si tratta di due macchine concepite in modo sostanzialmente diverso e indirizzate verso impieghi differenti. Il frantumatore girevole è una macchina che si potrebbe definire “per tutte le stagioni”, in quanto può frantumare il materiale demolito da una pinza o da un martello, può effettuare una selezione del materiale stesso e, al contempo, è in grado di effettuare una demolizione se questa non presenta strutture eccessivamente coese. Il frantumatore fisso è invece una macchina “da piazzale”, studiata per frantumare materiale già demolito e posto a terra. Non ha la versatilità del fratello girevole e richiede spazi maggiori per riuscire a effettuare una separazione dei materiali che sia efficace, anche perché l’escavatore deve potersi posizionare nel migliore dei modi per riuscire ad afferrare i pezzi demoliti. Per contro, se si hanno le condizioni di lavoro ottimali, questo frantumatore ha delle produ-

zioni orarie molto elevate, in virtù di ganasce con una superficie di frantumazione decisamente ampia, una velocità di ciclo maggiore e una forza di serraggio molto alta, grazie alla posizione ottimale del pistone rispetto all’angolo di chiusura delle ganasce stesse. Si tratta di due macchine concettualmente diverse: il frantumatore girevole sta a cavallo fra demolizione primaria e secondaria, strizzando decisamente l’occhio alla prima piuttosto che alla seconda, mentre quello fisso è espressamente dedicato alla fase secondaria e trova largo utilizzo nei cantieri in cui la produzione è un fattore determinante. I modelli più interessanti e che hanno subito un maggiore sviluppo sono, neanche a dirlo, proprio quelli girevoli, visto l’impiego sempre più indirizzato verso la fase primaria della demolizione e visto il ruolo di tuttofare che si sono guadagnati sul campo nei cantieri di mezzo mondo. Rispetto alle pinze, espressamente studiate per la demolizione primaria, i frantumatori girevoli devono pagare lo scotto di un peso mag-

giore, che ne limita l’utilizzo con gli escavatori a grande altezza, e di una forma meno slanciata che ne limita l’impiego in spazi ristretti. Per questo motivo i costruttori hanno sviluppato nuovi modelli appositamente concepiti per essere utilizzati al meglio in questo tipo di impieghi, lavorando sull’ottimizzazione dei pesi e sulla forma delle ganasce, che tende ad essere sempre più slanciata e meno ingombrante a vantaggio di manovrabilità, leggerezza e visibilità. Se per le macchine da demolizione primaria come pinze e martelli l’offerta è quanto mai ampia, con gamme di prodotti che partono da modelli molto piccoli adatti per essere installati su mini escavatori o terne, per quanto riguarda i frantumatori, visto il tipo di macchina e l’impiego che se ne fa all’interno dei cantieri, i modelli offerti hanno pesi operativi adatti per essere installati a partire dai midi escavatori. Ciò nonostante il mercato offre una vasta scelta di costruttori e modelli, con la possibilità di soddisfare le proprie esigenze sia operative che di produzione.

CORAZZA Azienda nata nel 1968 a Gaiarine, in provincia di Treviso, Corazza ha nella propria produzione due gamme di frantumatori, di cui una composta da modelli fissi e una da modelli girevoli. La gamma di frantumatori fissi è composta da 4 modelli denominati FK12, FK20, FK25 e FK35. La cifra indica il peso operativo di ogni modello, per cui si parte dai 1.300 kg dell’FK12 fino ai 3.500 kg dell’FK35. L’accoppiamento avviene partendo da escavatori con peso operativo di 12 ton per la macchina più piccola presente in gamma fino alle 50 ton del modello maggiore. Interessanti le escursioni massime in apertura, con 650 mm per l’FK12, 805 per l’FK20, 950 per l’FK25 e infine 1.100 mm per l’FK35. Dalla caratteristica forma a becco, i frantumatori fissi della Corazza presentano una costruzione in acciaio Hardox 400 che ne esalta la robustezza agli sforzi di trazione e, al contempo, all’usura data dalle abrasioni. Il cilindro di manovra delle ganasce è temperato nonché protetto da urti che, in queste applicazioni, sono abbastanza usuali. I coltelli interni sono reversibili e temperati in modo da agevolare il taglio dei ferri per lungo tempo senza bisogno di manutenzione. Le ganasce hanno i denti riportati in materiale antiusura per aumentare la durata tra un intervento di riporto e l'altro. La particolarità dell’impianto idraulico è inoltre data dalla presenza di una valvola moltiplicatrice denominata “Powerforce” che permette di velocizzare i cicli di lavoro e al contempo aumentare le forze di serraggio. La gamma di frantumatori girevoli è invece individuata dalla sigla FG. Anche in questo caso si hanno 4 modelli contraddistinti dalle sigle FG12, FG18, FG24 e FG28. Partendo da un peso operativo di 1.200 kg dell’FG12 per arrivare ai 2.800 kg dell’FG28, i frantumatori girevoli Corazza sono adatti per escavatori con peso operativo variabile fra le 10 e le 40 ton. Di forma slanciata, con ganasce progettate per facilitare anche le operazioni di demolizione primaria, questi frantumatori hanno le medesime caratteristiche dei loro cugini fissi. Anche in questo caso abbiamo quindi una struttura completamente in Hardox 400, cilindro protetto da urti accidentali, coltelli interni reversibili e temperati per il taglio dei tondini in acciaio e denti di frantumazione intercambiabili per facilitare le operazioni di manutenzione in cantiere. La valvola “Powerforce” fa parte della dotazione di serie di queste macchine e si rivela particolarmente utile nelle impegnative operazioni di demolizione primaria.

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INDECO Come tutti ben sanno il costruttore di Bari è nato come produttore di martelli demolitori idraulici, ma da qualche anno ha dato vita a una gamma di attrezzature per la demolizione controllata che comprende anche frantumatori fissi, denominati IFP, e girevoli, denominati IRP. La volontà della casa pugliese è di trasferire anche in questo settore le avanzate conoscenze che sono state sviluppate nella produzione dei martelli idraulici. Nel caso dei frantumatori fissi IFP, la Indeco propone un sistema idraulico dotato di una valvola di rigenerazione che permette di ottenere elevate velocità di ciclo con un'ottimizzazione generale del sistema “escavatore-frantumatore”. la gamma è composta da tre modelli denominati IFP1000, IFP1250 e IFP1350, che hanno un peso operativo compreso fra i 1.700 e i 3.200 kg e sono stati progettati per essere installati su escavatori dal peso compreso fra 16,5 e 50 ton. Le aperture delle ganasce variano fra 800 e 1.010 mm, permettendo quindi di lavorare anche in condizioni non ottimali di demolizione primaria con blocchi di una certa dimensione. Per quanto riguarda i frantumatori girevoli, Indeco propone quattro modelli denominati IRP750, IRP850, IRP1000 e IRP1250. Con pesi operativi compresi fra 1.300 e 3.200 kg sono adatti per essere installati su escavatori da 13 a 50 ton. La rotazione avviene tramite ralla con motore idraulico che permette di lavorare in continuo sui 360° senza alcuna limitazione. Anche in questo caso il sistema idraulico è dotato di una valvola di rigenerazione che permette di compiere cicli di lavoro più brevi, a tutto vantaggio di consumi e produttività generale. La particolarità del progetto Indeco per questo tipo di frantumatori consiste nel design allungato, che permette sia di contenere gli ingombri avendo a disposizione una macchina snella e particolarmente adatta per i lavori di demolizione, sia di ottimizzare le leve della ganascia mobile in modo che il cilindro abbia una minima variazione di forza tra apertura massima e minima, ottenendo così una distribuzione uniforme della forza durante la frantumazione. In questo modo, soprattutto con strutture molto coriacee, le operazioni di demolizione sono più efficaci.

RAMMER Il costruttore svedese è famoso soprattutto per i martelli demolitori idraulici ma fornisce ai propri clienti anche due modelli di frantumatori fissi dal peso operativo di 1.950 e 3.340 kg. Si tratta del RB30N e del RB42N/Q, due macchine adatte per escavatori fra le 18 e le 42 ton di peso operativo con apertura massima delle ganasce rispettivamente di 870 e 1.160 mm. Sono due frantumatori che, pur essendo fissi e quindi indicati per operazioni di frantumazione a terra, sono particolarmente compatti e leggeri in rapporto alle prestazioni dichiarate dal costruttore, permettendo quindi una maggiore agilità in fase di lavoro e limitando il peso in punta al braccio, a tutto vantaggio di equilibrio e portata.

MANTOVANIBENNE L’azienda di Mirandola, in provincia di Modena, è una delle maggiori in Europa tra coloro che producono attrezzature per la demolizione controllata. Presente con una gamma di frantumatori fissi e girevoli, Mantovanibenne punta sulla robustezza e sull'affidabilità dei propri modelli, che derivano da anni di esperienza nel settore e dalla partnership con demolitori di grosso calibro attivi in cantieri impegnativi dove i mezzi del costruttore emiliano sono presenti nelle operazioni più complicate. La gamma di frantumatori fissi è composta da 4 modelli denominati MCP600, MCP800, MCP910 e MCP1000. Con pesi operativi variabili fra 1.000 e 3.800 kg questi frantumatori sono indicati per escavatori con peso operativo compreso fra 10 e 45 ton, coprendo quindi una vasta gamma di applicazioni. L’impianto idraulico di queste macchine è dotato di una valvola chiamata “Powervalve” che permette di ottimizzare i cicli di lavoro conferendo una maggiore velocità. Fanno inoltre parte della dotazione di serie le protezioni del cilindro, dei tubi e di tutti gli organi in movimento, in modo che i ferri o eventuali piccoli blocchi non possano danneggiare la macchina. La costruzione è effettuata tramite robusti acciai particolarmente resistenti alla trazione e all’abrasione e comprende anche le lame interne, sostituibili in poco tempo, per il taglio del tondino in acciaio. A richiesta è possibile avere i denti intercambiabili, in modo da ridurre i tempi di fermo macchina per le operazioni di manutenzione. Per quanto riguarda i frantumatori rotanti Mantovanibenne fornisce la possibilità di scelta fra 5 modelli con peso operativo variabile fra 1.050 e 5.700 kg, che possono essere installati su escavatori dalle 10 alle 60 ton. Denominati RP10R, RP18R, RP25R, RP35R e RP50R, questi frantumatori sono anch’essi dotati di valvola “Powervalve” per velocizzare i cicli di lavoro. La ralla di rotazione è posizionata in modo tale da ridurre il più possibile la distanza con i perni benna dell’escavatore, per cui gli sforzi impressi in fase di lavoro sono ridotti al minimo a garanzia di una maggiore durata del componente. Tutti i tubi di alimentazione sono inoltre integrati in un unico blocco e sono collegati tramite un dispositivo di alimentazione che consente un facile e veloce aggancio e al contempo protegge i tubi da urti o intrusioni accidentali di materiale estraneo. Le ganasce sono dotate di ampia apertura in rapporto alla classe di appartenenza a vantaggio di una maggiore operatività in ogni condizione.

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NPK Il colosso giapponese è importato in Italia dalla Vimatek di Cusano Milanino (MI) e propone al mercato una gamma di frantumatori fissi e girevoli che adotta le tecnologie, decisamente evolute, che hanno reso famose le sue pinze da demolizione. In casa NPK la distinzione fra macchine fisse e girevoli non è così netta come altrove in quanto le due gamme si distinguono in serie G e serie U. All’interno della serie G, composta da tre modelli fissi, il maggiore G30J è disponibile anche con rotazione a 360°. La serie U, di introduzione più recente, è dotata di una bocca di frantumazione di tipo inedito rispetto alla serie G. Si tratta in questo caso di una macchina dotata di un dente centrale di rottura, di due lunghi coltelli di taglio per i tondini posti in contrapposizione uno con l’altro e di rotazione idraulica di serie a 360°. Anche nella serie U, composta dal modello U-21R, vi è la presenza del powerbooster che, con pressioni e portate molto basse, permette di avere forze di serraggio elevatissime. Con la nuova bocca di frantumazione messa a punto con la serie U, il vantaggio del moltiplicatore di pressione è ancora più evidente, in quanto tutta la forza si concentra sul dente centrale con un effetto simile a quello che si ottiene con le pinze. L’U-21R è una macchina del peso operativo di 2.150 kg adatto per escavatori fra 18 e 24 ton. La forza di serraggio che la macchina sviluppa è di ben 190 ton e, grazie al powerbooster, è in grado di lavorare con bassi regimi dell’escavatore, consentendo un notevole risparmio di carburante pur effettuando produzioni elevate. Completano la gamma i frantumatori della serie G che, avvalendosi della stessa tecnologia idraulica, sono in grado di ottenere elevate produzioni con cicli di lavoro velocissimi. Composta dai modelli G-18J, G-26J, G-30J e G-30J-R, questi frantumatori sono adatti per escavatori con peso fra le 17 e le 45 ton.

TREVI BENNE La Trevi Benne ha sede a Noventa Vicentina ed è una delle aziende maggiormente attive nel settore della demolizione primaria e secondaria con una gamma molto ampia di attrezzature specializzate. La gamma di frantumatori fissi, la serie F, è composta da modelli che vanno dai 550 kg dell’F07 ai 3.070 dell’F30ND, passando per i modelli intermedi F12, F18ND, F20RND e F25ND. Si tratta di macchine adatte a escavatori fra le 6 e le 45 ton, che soddisfano anche le esigenze di utilizzatori di mini escavatori che si collocano in alta gamma. La particolare conformazione a becco li rende estremamente versatili nell’impiego a terra, consentendo la demolizione di muri di cinta e strutture verticali in cemento armato a media altezza, di pavimentazioni e solette, con la conseguente separazione del ferro dal calcestruzzo. La posizione del cilindro permette inoltre di mantenere costante la potenza sino al completo serraggio delle ganasce. Le lame per tranciare il ferro e il tondino di armatura sono posizionate in modo da non venire a contatto con il cemento. Il cilindro idraulico è stato rovesciato affinché lo stelo possa lavorare in posizione protetta e lo stesso cilindro inoltre è dotato di alimentazione interna senza alcuna saldatura esterna aggiunta. Le macchine sono fornite di denti intercambiabili imbullonati di serie, per soddisfare la necessità di sostituire i denti consumati direttamente in cantiere, evitando così di dover riportare le punte usurate in officina e accorciando i tempi di manutenzione. E’ stata inoltre cambiata la posizione della valvola moltiplicatrice di velocità per consentire l’accesso diretto dei tubi idraulici. La gamma di frantumatori girevoli FR è invece dotata di 8 modelli con peso operativo variabile fra 920 e 11.450 kg: si tratta quindi di macchine adatte a escavatori fra le 10 e le ben 130 ton di peso operativo. Le caratteristiche strutturali della Serie FR consentono all’operatore di affrontare con un’unica attrezzatura le fasi di demolizione primaria e secondaria. La rotazione idraulica a 360° riduce al minimo le operazioni di spostamento lavorando in precisione e facilitando le operazioni in funzione di pinza mentre, grazie alle ganasce tipiche di un demolitore standard e a due lame intercambiabili disposte per la tranciatura del ferro e del tondino, viene favorita la funzione di frantumatore classico. La presenza di serie dell’innovativo dispositivo idraulico moltiplicatore di velocità consente alla Serie FR di ridurre il tempo di chiusura delle ganasce, aumentando notevolmente la produzione giornaliera. Sono state inoltre apportate delle migliorie strutturali alla Serie FR per rendere queste macchine più potenti e versatili: è stata invertita la posizione di montaggio del cilindro permettendo allo stelo di lavorare completamente protetto ed è stato ridotto l’ingombro totale in lunghezza della pinza, lasciando inalterata la potenza di serraggio delle ganasce, dotate, al pari dei cugini fissi, di denti intercambiabili imbullonati, montati sia sulla serie fissa che su quella mobile, riducendo sensibilmente i costi di manutenzione.

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VTN La VTN ha sede in Veneto, a Caiana di Poiana Maggiore (VI), e opera da anni nel settore delle attrezzature per macchine movimento terra, producendo dapprima benne e poi macchine speciali come pinze demolitrici, frantumatori, cesoie, pinze selezionatrici e benne vaglianti. La gamma di frantumatori fissi della VTN è contraddistinta dalla sigla VF ed è composta da 4 modelli: VF12, VF18, VF22 e VF30, con peso operativo fra 1.100 e 3.360 kg. Adatti ad escavatori fra le 12 e le 50 ton e realizzati per la demolizione secondaria (separazione o riduzione in frammenti di quanto già demolito per facilitarne il carico ed il successivo trasporto), i frantumatori della serie VF hanno nella produttività e nella versatilità i loro principali punti di forza, grazie ad un'ampia apertura delle ganasce, alla grande forza di serraggio ed alla velocità del ciclo di lavoro. Oggi la serie VF si presenta con un nuovo sistema di fulcraggio del cilindro che permette di ottenere un'elevata forza di serraggio, con l’applicazione di serie della valvola rigeneratrice, che consente un aumento della velocità in apertura/chiusura e con denti intercambiabili per la riduzione dei tempi di fermo macchina nella prevista esecuzione dei riporti. Nel segmento dei frantumatori girevoli, invece, la gamma VTN è contraddistinta dalla sigla FP. Forte di 6 modelli con peso compreso fra 1.040 e 7.400 kg, questi frantumatori sono adatti ad escavatori fra le 10 e le 100 ton. Si tratta quindi di modelli per elevate produzioni sia per la frantumazione di materiali da costruzione che per il taglio di eventuali armature interne in materiale metallico. Frutto di un progetto all'avanguardia, si distinguono per la grande versatilità. Le loro caratteristiche consentono infatti, con una sola attrezzatura, di eseguire sia la demolizione primaria, dedicata all'abbattimento di una costruzione ed alla rimozione dei materiali, che la demolizione secondaria, finalizzata invece al riciclaggio, alla separazione o alla riduzione in frammenti più piccoli di quanto già demolito, per facilitarne il carico ed il successivo trasporto. Interamente realizzati in HARDOX 400, acciaio con alta resistenza all'abrasione, tutti i modelli della gamma sono dotati di complete protezioni al cilindro, al gruppo rotazione ed ai componenti idraulici, oltre che di coltelli a disegno brevettato per il taglio dell'armatura metallica interna al calcestruzzo.

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Waste handling: macchine fatte per lavori sporchi Esperienza e professionalità consentono a New Holland di adattare macchine standard ad ogni tipo di impiego per soddisfare al meglio le esigenze del mercato di Tina Corleto

N

ell’ampia tipologia di macchine fornite da un' impresa come New Holland, si vuol fornire un panorama di alcune particolarità tecniche applicate a macchinari realizzati dall’azienda, specifiche per la gestione dei rifiuti (management of waste handling). Il Dott. Marco Ferroni, Responsabile per l'Europa del Prodotto Pale Gommate, ci ha fornito alcuni dettagli circa l’attuale politica di

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supporto ai clienti e sull'offerta di prodotti e servizi costruiti intorno ai requisiti specifici delle loro industrie. Relativamente al settore del Recycling applicato all’agricoltura, in particolare, New Holland mette a disposizione dei suoi clienti una macchina che, per quanto ideata e realizzata per un utilizzo standard, è dotata di optional quali il filtro a carboni attivi e il prefiltro sul filtro dell’aria, oltre ad avere, di serie, particolari ripari che proteggono le parti inferiori sensibili alle differenti infiltrazioni,

una protezione centrale sullo snodo della pala gommata, e infine le protezioni superiori, rinforzi anti-rottura per pannelli ottici, griglie, cilindro di sollevamento, ecc. Relativamente poi alle attrezzature per il biogas prodotto dall’agricoltura, New Holland fornisce macchine realizzate con particolari tecnici integrati direttamente all’interno della struttura del macchinario, progettati fin dalla fase iniziale di sviluppo del prodotto, quali ad esempio un cooling system diverso, modifiche di software,


inserimento di un contatore per la ventola dei radiatori che consente di attivare la ventola anche per piccoli cicli, ecc. Inoltre, le macchine dell’azienda sono dotate di benne specifiche per l’handling di questi materiali, erba, rifiuti di mais e di frumento che vengono compattati con il rifiuto di fieno o di altri mangimi, ed integrati con farine di scarto. In questo modo, nulla viene gettato come rifiuto, ma viene riutilizzato. Un’altra grossa novità dei mezzi New Holland è il battistrada agricolo, inserito su cerchi da 26 pollici, gli stessi su cui si montano le gomme tradizionali; in tal modo si rende il mezzo flessibile all’utilizzo su diversi fronti professionali; questa opzione sarà nel prossimo futuro disponibile e ordinabile direttamente dallo stabilimento. L’azienda sta cercando, negli ultimi anni, di puntare alla semplificazione del processo interno, consentendo così di contenere i costi e razionalizzare le variabili di processo, mantenendo sempre una posizione privilegiata sul mercato internazionale. A proposito di cabine per caricatori gommati, da anni omologate FOPS/ROPS, queste vengono costruite in modo tale che, anche in caso di ribaltamento, sia garantita la protezione dell’operatore all’interno. Vengono, inoltre applicate delle protezioni, come ad esempio la griglia sul parabrezza o le grigliette presenti frontalmente sulla parte bassa della cabina. La New Holland è indirizzata a fornire macchinari di facile gestione e dotati di protezioni progettate in modo da garantire sì la sicurezza del personale ma anche la facilità di utilizzo del macchinario stesso. Non punta a colpire con l’optional di piacevole aspetto, magari

delicato e costoso, ma con sistemi pratici e funzionali all’uso. Alla Fiera Intermat 2009 di Parigi, New Holland ha presentato il caricatore gommato W190B, nella configurazione per il trattamento rifiuti, che sposa agilità e sicurezza grazie alle protezioni supplementari e a caratteristiche che ne migliorano la trazione e la stabilità rispetto alle versioni precedenti. All’interno della prossima fiera tedesca del Bauma 2010, nell'area delle macchine per la movimentazione dei rifiuti, tra le varie attrezzature sarà esposto il modello W170B appositamente studiato da New Holland, con protezioni supplementari per assicurare la massima sicurezza e produttività in ambienti difficili, tipici delle apparecchiature per la gestione dei rifiuti. L’azienda vanta al proprio interno un team di

progettisti e operatori che consente di studiare soluzioni ad hoc per le varie applicazioni industriali; oltre al proprio specifico know how, New Holland è costantemente impegnata a cogliere quanto di meglio è stato realizzato nei Paesi d’oltralpe. Per fare un esempio, dalla Germania arrivano gli spunti per realizzare macchine adatte a qualsiasi tipo di terreno, rivolte a specifici utilizzi (es. le stazioni di biogas sul territorio), che ottimizzano i costi di manutenzione mediante lo studio di soluzioni particolari per ciascun cantiere. Ed è proprio in Germania che l’azienda sta selezionando costruttori di accessori particolari, con i quali collaborare al fine di offrire macchinari sempre più specifici, sicuri e flessibili per i vari settori industriali.

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pa n o r a m a a z i en d e

UNA SCUDERIA CHE VINCE PER AMPIEZZA DI GAMMA E VERSATILITà Finlay Italiana, azienda leader nella distribuzione dei macchinari da frantumazione e vagliatura, presenta la nuova gamma in grado di rispondere a tutte le esigenze del settore di Maria Beatrice Celino

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a sempre Finlay Italiana è un’azienda di distribuzione specializzata in gruppi mobili di frantumazione e vagliatura, ed ormai da parecchi anni è praticamente l’unica che può vantare questa completa settorialità e professionalità. Negli ultimi anni Finlay Italiana ha ampliato, completato e migliorato tutta la sua gamma di prodotti, sia per mezzo dell'introduzione di nuovi modelli, sia attraverso importanti fasi del processo di affinamento, che è sempre in moto. Ciò avviene principalmente grazie alla Finlay Hydrascreens, il marchio più anziano presente sul mercato internazionale dei costruttori di macchine mobili di vagliatura e frantumazione, di cui Finlay Italiana è dealer esclusivo per l'Italia da quasi 20 anni, con ampia soddisfazione dei relativi utilizzatori. Ad oggi la gamma impressiona davvero, per ampiezza e completezza, arrivando a comprendere: • 9 modelli di frantoi, di cui 7 primari e 2 secondari; • 13 modelli di vagli a secco, divisi fra vibranti (10) e rotanti (3); • 6 modelli di vagli con lavaggio, tutti su cingoli, e 11 diverse scelte di macchine accessorie per il recupero delle sabbie (recuperatrici a tazze e cicloni), il lavaggio dei

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ciottoli pesantemente contaminati (sfangatrice) ed il trattamento fanghi; • 3 nastri da cumulo di diversa larghezza e lunghezza, a trasmissione idraulica accoppiata o motorizzati. Tutte le tipologie di macchine sopra elencate sono da tempo presenti anche sul nostro territorio nazionale a dimostrazione che è difficile trovare un’applicazione che non possa essere affrontata con una macchina Finlay. A conferma di ciò, andremo fra poco ad analizzare un po' più in profondità la gamma, dopo aver introdotto alcune considerazioni di carattere tecnico/generale di mercato, che

meglio faranno comprendere la direzione in cui i tecnici della nostra azienda hanno voluto sviluppare la gamma stessa. Il mercato oggi richiede fondamentalmente: • macchine mobili evolute, in grado di svolgere lavori sempre più specialistici, rispetto alla classica frantumazione/vagliatura primaria a scopo di produzione di stabilizzati o comunque di materiali “poveri”; • facilità di utilizzo e conseguente estensiva implementazione di servosistemi e automatismi, dato che ormai il principale campo di applicazione non è più la cava ma il movimento terra, i cui attori hanno


esperienza da vendere su camion e mezzi di scavo, ma hanno ancora un rapporto spesso “conflittuale” con le macchine mobili di frantumazione e vagliatura, sia dal punto di vista dell'utilizzo che della manutenzione; • versatilità di impiego, con speciale riferimento al settore del recycling. Il recycling richiede prevalentemente macchine primarie ed eventualmente di lavaggio in caso di bonifiche; buona parte della gamma Finlay è stata progettata fin dall’inizio con particolare attenzione verso tale destinazione d'uso (vagli sgrossatori 595 ed 883, peraltro già da tempo ampiamente diffusi sul territorio nazionale per questo tipo di applicazioni), mentre le macchine di frantumazione primaria annoverano tra le loro dotazioni diversi accorgimenti strutturali, funzionali e gestionali che le rendono adatte all'uso richiesto. Ad esempio, tutte le macchine hanno la possibilità di variare la risposta dell'unità di frantumazione in funzione di tre diversi tipi di materiale, con preset a scelta dell'utente tramite quadro di comando, fra cui quello specifico per il riciclaggio. Inoltre, prevedono diverse soluzioni per eliminare o minimizzare i problemi causati ai nastri trasportatori dal ferro, sempre molto presente nei materiali di recupero. Le macchine di lavaggio, infine, sono in pratica già di per sé portate al recycling, dato che la particolare mobilità le rende insuperabili nell'affrontare applicazioni temporanee, come ad esempio le bonifiche industriali. Questa caratteristica viene ulteriormente sviluppata dal nuovo gruppo multifunzionale MP300, di cui si parlerà più diffusamente a fine articolo. L'esigenza che invece, fortunatamente, sta scomparendo in modo lento ma inesorabile, è quella dell'uso di macchine primarie per la produzione di inerti fini, che era tanto frequente quanto sbagliata e dannosa, con ovvie conseguenze negative sia sulla qualità degli inerti

prodotti, sia sull'integrità delle macchine stesse, stressate su lavori molto lontani dal loro standard. Con tutte le premesse di cui sopra, i progettisti e gli esperti del marketing hanno finalmente potuto sciogliere i lacci che imbrigliavano lo sviluppo delle macchine mobili. Ecco dunque che, pescando nella gamma Finlay, possiamo tranquillamente costituire una linea di macchine in grado di partire da materiale lapideo di grandi dimensioni ed arrivare a svariati inerti fini selezionati e, all'occorrenza, anche lavati. Il top della gamma è il nuovo primario a mascelle J-1480, una sorta di “mostro” da 72 tonnellate con una bocca di alimentazione da 1400x800 mm. Questa macchina potrebbe essere l'ideale primo anello della catena citata in precedenza: potrebbe ad esempio essere posizionata a fronte cava per ricevere il materiale appena abbattuto. Vale la pena di ricordare che la gamma di frantoi primari a mascelle comprende altri due modelli: J-1175 da 1100x750mm e J-1160 da 1000x600mm, ovviamente di dimensioni via via decrescenti, ma dotati delle medesime caratteristiche operative e progettuali. Come macchine di frantumazione primaria ci sono anche i modelli ad urto (martelli, I-130 e I-130RS, I-110 e I-110RS), da utilizzare in funzione del grado di abrasività del materiale; tali macchine si piazzano all'incirca in parallelo a J-1175 e J-1160 come classe di peso, ma offrono in aggiunta la possibilità di essere usati come secondari, disponendo inoltre di

una versione “RS” dotata di vaglio di ricircolo del prodotto di sopravvaglio integrato alla macchina stessa – in modo da chiudere a quel livello gli stadi di frantumazione, qualora il materiale di partenza lo permetta. Proseguendo nella nostra ipotetica “catena”, a seconda del tipo di materiale e del grado di abrasività, nella scelta della macchina secondaria si potrà spaziare tra le sopracitate macchine ad urto e quelle a compressione (cono, C-1540 e C-1540RS), da posizionare subito a valle del frantoio primario a mascelle. Si opterà per la versione RS nel caso in cui l'applicazione diretta non consenta un elevatissimo fattore di riduzione, mentre si potrà optare per le versioni standard nel caso in cui la “passata” secondaria abbia prodotto materiale fine in quantità sufficiente a soddisfare le richieste dell'utilizzatore. Nulla peraltro impedisce di prevedere un’eventuale frantumazione terziaria, agevolmente implementabile utilizzando la macchina a cono, che fa della versatilità uno dei suoi punti di forza offrendo ben 4 diverse camere di frantumazione (grossolana/medio-grossa/ media/fine). A questo punto non rimane che l'imbarazzo della scelta su quale soluzione di vagliatura adottare, tanto la gamma è articolata. Passando alle macchine della serie 6, quattro modelli (663/683/693/694) tutti di simili

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pa n o r a m a a z i en d e

caratteristiche strutturali ma differenziati per dimensioni, e quindi prestazioni, si hanno a disposizione vagli da 3 a 6 metri di lunghezza e versioni a due e tre piani (694). Questa serie, diretta discendente delle prime macchine che hanno rivoluzionato il modo di intendere la vagliatura mobile e, ad oggi, universalmente affermate già come macchine per uso “stand alone”, si rivelano efficacissime e perfettamente a loro agio nell'essere accoppiate a macchine di frantumazione. Qualora si abbia necessità di vagliature ancora più accurate, la Finlay 984 soddisfa appieno l'esigenza con il suo potente vaglio orizzontale a tre piani di costruzione Cedarapids. All'estremo opposto, se dopo la frantumazione si vogliono semplicemente selezionare materiali di dimensioni ancora grossolane, il design dedicato e la robustezza extra con cui è progettato e costruito l'883 Supertrack fanno di questa macchina la soluzione ideale per tale tipo di applicazione.

Nondimeno, la stessa macchina può essere utilizzata con grande efficacia “a parti invertite”, ossia come sgrossatore primario per alimentare un frantoio, anch'esso primario, eliminando l'eccesso di parti fini. Ma non è certamente ancora finita: se si ha la necessità di lavare gli inerti prodotti, ecco che la stessa Serie 6 offre soluzioni a tutti i livelli, proponendo la versione “con lavaggio” di tutte le macchine della gamma ad esclusione della più piccola 663. Ad un livello ancora più evoluto l'MP300 offre, in un corpo macchina unico, tutto il necessario per lavaggio, sfangatura e selezione di tre prodotti finiti, che possono essere stoccati così come escono dalla macchina stessa (le sabbie previo recupero a mezzo di recuperatrici a tazze o cicloni, anch'esse abbondantemente rappresentate all'interno della gamma), oppure inviati a successiva selezione a secco tramite una delle macchine di vagliatura già citate in precedenza.

Inoltre, come preannunciato all'inizio dell'articolo, questa macchina risulta ideale per applicazioni nelle bonifiche, dove spesso si hanno pesanti contaminazioni di materiale lapideo da parte di fanghi inquinati ad alta adesione: l'MP300, incorporando una potente sfangatrice bialbero e relativo vaglio disacquatore, risponde con la massima efficacia anche a questo tipo di esigenza. Resta da segnalare, fatto non trascurabile, che tutte le macchine di frantumazione Finlay hanno la possibilità di essere dotate, in optional, di apposito software per creare collegamenti dinamici interattivi tra loro, consentendo di farle lavorare in serie come un unico impianto. Va da sé che, al di là di questa “semplice” catena, l'ampiezza e la versatilità della gamma consentono di comporre numerosissime situazioni impiantistiche, e la consolidata esperienza nel settore dei tecnici di Finlay Italiana ne garantirà sempre il migliore sfruttamento possibile.


wor k i n p rog r e ss

Una biopila a centro strada Installato e attivo all’interno di una rotatoria stradale un cantiere di bonifica con trattamento biologico on site dei terreni di Carlo Alberto Saccenti*

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li eventi accidentali connessi al trasporto di merci pericolose rappresentano potenzialmente un impatto importante, in grado di causare danni anche irreversibili alle matrici ambientali e agli ecosistemi naturali. A seguito di un sinistro stradale avvenuto nel 2004, si è verificato lo sversamento accidentale di circa 20.000 lt di gasolio per autotrazione su suolo e sottosuolo. Nel caso in questione, l’incidente è avvenuto in corrispondenza di una grande rotatoria stradale e il liquido sversato ha impattato la sede della carreggiata, la relativa banchina, il suolo ed il sottosuolo in prossimità dell’incidente. Inizialmente sono state effettuate le opere di messa in sicurezza d'emergenza dell'area con escavazione dei terreni maggiormente contaminati e con stoccaggio temporaneo in situ.

Questo stoccaggio peraltro è stato effettuato all'interno della rotatoria stradale stessa, rotatoria avente un diametro di 200 m. A seguito della rimozione del terreno, che ha interessato anche le scarpate stradali, si è dovuto immediatamente ripristinare lo stato delle scarpate stesse, onde evitare interruzioni al traffico veicolare. Ripristinata l'area è iniziato l'iter procedurale per la caratterizzazione dei suoli profondi, delle acque di falda e la gestione di circa 2.000 m3 di terreno stoccato presso il sito. Eseguita la caratterizzazione ambientale ed elaborata la procedura di Analisi di rischio sanitario e ambientale, è iniziata la fase progettuale di bonifica. Gli Enti pubblici coinvolti e le figure professionali incaricate hanno concordato di perseguire la bonifica del sito mediante una duplice tecnologia di trattamento dei terreni: una biopila da realizzare all’interno della rotatoria per la bonifica dei 2.000 m3 di terreno stoccati e un sistema di Soil Vapor Extraction (SVE) per la bonifica dei terreni ubicati al di sotto del piano viario. Inoltre i progettisti hanno previsto che i due sistemi interagissero tra loro al fine di

ottenere un certo contenimento dei costi di gestione e una maggiore velocità di trattamento. La biopila - lunghezza 60 m, larghezza 18 m e altezza 2,90 m - è stata realizzata secondo la pratica progettuale standard ma, nell'ottica del maggiore contenimento dei costi, sono stati adottati alcuni stratagemmi organizzativi. A tal fine, si è per esempio esclusa la vagliatura del terreno che risultava visivamente più impaccato e quindi estremamente difficile da separare, si è inoltre effettuata la vagliatura del restante materiale con scarico diretto all'interno della vasca di contenimento del terreno. La necessità di aerare il terreno è stata espletata attraverso la predisposizione di una linea di insufflaggio aria con unica tubazione microfessurata. L'aria, aspirata dai 21 pozzi di estrazione attraverso 4 soffianti ATEX da 5,5 kW cadauna, viene dapprima deumidificata attraverso un condensatore a spirale, successivamente indirizzata ad un gruppo filtrante di carboni attivi e infine introdotta all'interno della biopila; l'aria passando attraverso la soffiante accumula un notevole calore, che una volta reimmesso nella biopila mantiene costante la temperatura del “gianduiotto” a circa 25°C, accelerando in tal modo l'azione di digestione della fauna microbica sviluppatasi all'interno. Il volume d'aria in estrazione dai camini della biopila viene aspirato mediante “elettrochiocciola” da 17,5 kW, equivalente ad un'aspi-

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wor k i n pro gr e ss

razione di 1.000 m3/h, e indirizzato a cappa filtrante di 2 m3, con successivo scarico in atmosfera. Onde evitare l'introduzione di grosse quantità di condensa all'interno dei filtri ad aria, l'impresa appaltatrice Nekta Servizi s.r.l., in collaborazione con Biglia s.r.l., ha deciso di inserire, nel tratto di tubazione tra la biopila e l'elettrochiocciola, un condensatore capace di trattare notevoli quantitativi d'aria. Per la realizzazione di questo condensatore è stato utilizzato un semirimorchio – botte da 18.000 lt. Le condense provenienti sia dall'impianto SVE sia dall'impianto di biopila vengono convogliate all'interno di un gruppo filtrante per liquidi a carboni attivi e successivamente Fase

Titolo Accantieramento

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stoccate all'interno di un ulteriore serbatoio di accumulo, utilizzato per la miscelazione dei batteri integrativi; in tal modo si riduce al minimo l'apporto di ulteriori liquidi da emungere dai limitrofi pozzi. Si sono così ridotti in maniera esponenziale tutti i costi relativi agli smaltimenti dei liquidi e dei carboni esausti, che normalmente si sarebbero generati se non vi fosse stata un'attenta analisi progettuale iniziale, rivolta all'individuazione della migliore tecnica adottabile considerandone il migliore rapporto costi – benefici, in linea con quanto previsto dal vigente D.Lgs. 152/06. Si è previsto in fase progettuale un trattamento dei terreni in biopila della durata di 12 mesi.

Azioni preliminari

A distanza di circa 7 mesi dall’inizio del trattamento on site, i campionamenti dei terreni effettuati fanno presumere una chiusura del sistema nei tempi previsti. L'impianto di SVE invece dovrà essere mantenuto attivo per un periodo temporale maggiore. In ultimo si sottolinea che il terreno trattato in biopila, una volta verificato il raggiungimento degli obiettivi di bonifica previsti in fase progettuale, sarà utilizzato all'interno della rotatoria stessa per l'innalzamento del piano di calpestio, agevolando in tal modo l'accesso all'area di proprietà dell'ente gestore della viabilità. * Direzione Lavori, SIA s.a.s.

Descrizione di sintesi Installazione cancello di accesso e attrezzature di cantiere Campionamento scarpata esterna e analisi chimica Predisposizione allacciamento elettrico (incluso tunnelling sotto sede stradale) Pulizia e successiva livellazione terreno Realizzazione viabilità di cantiere

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Preparazione area

Realizzazione piazzola per lo stoccaggio frazione fine vagliata (terreno) Realizzazione basamento di calcestruzzo per impianto di vagliatura e stoccaggio frazione grossolana (ghiaia) Movimentazione terreno cumuli esistenti ad impianto di vagliatura Vagliatura terreno (>2cm) con ottenimento di frazione fine (terreno) e frazione grossolana (ghiaia) Accatastamento terreno e ghiaia nelle relative aree di stoccaggio Invio ghiaia ad impianto di recupero previa analisi di classificazione rifiuto Predisposizione base biopila

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Realizzazione biopila

Realizzazione biopila con la frazione fine vagliata

e impianto SVE

Demolizione primo strato piazzola stoccaggio frazione fine e relativo conferimento rifiuti (HDPE) a impianto di smaltimento Realizzazione pozzi SVE Predisposizione piazzale unità di trattamento (SVE e biopila) e posizionamento delle unità Collegamento pozzi SVE e biopila con unità di trattamento mediante tubazioni Pulizia piazzola in calcestruzzo

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Trattamento con biopila e SVE (e relativi monitoraggi)

Monitoraggi post bonifica e sistemazione finale dell'area

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Allacciamento all'alimentazione elettrica Trattamento Monitoraggi durante la bonifica Monitoraggi post bonifica Sistemazione area tramite movimentazione e livellazione dei terreni presenti nella biopila Smaltimento teli in HDPE


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wor k i n pro gr e ss s

UNA DEMOLIZIONE DI ASSOLUTA PRECISIONE per iL VIADOTTO CARITO Sulla Salerno-Reggio Calabria il vecchio lascia spazio al nuovo grazie al perfetto connubio tra diverse tecniche demolitive con mezzi radiocomandati e microcariche esplosive di Andrea Terziano

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mpegnata nell’opera di demolizione di due macrolotti sulla Salerno-Reggio Calabria, dal 2007, General Smontaggi S.p.a. ha completato il 15 gennaio scorso la demolizione del Viadotto Carito sud, commissionato da Pizzarotti S.p.a., utilizzando tecniche diverse e di assoluta precisione. Il viadotto oggetto d’intervento aveva una lunghezza di oltre 476 m ed era costituito da 14 impalcati aventi una luce di 34 m. Ciascun impalcato era formato da 4 travi isostatiche in cemento armato precompresso semplicemente appoggiate alle pile e collegate tra loro da una soletta di 15 cm di spessore e da 4 trasversi. L’intero impalcato a sua volta era sostenuto da 13 pile monolitiche rettangolari con setti aventi spessori di 40 cm ed altezze massime di 32 m. La particolarità dell’intervento era rappresentata non tanto dalle dimensioni del viadotto quanto dalla complessa condizione operativa, che vedeva impegnati i tecnici della General Smontaggi sulla sola carreggiata sud posta ad 1 metro di distanza dalla vicina carreggiata nord, che doveva essere preservata in quanto aperta al traffico. L’esperienza maturata dopo la demolizione di decine di viadotti posti lungo la SARC ha consentito di individuare da subito le migliori

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tecniche di intervento per la demolizione degli impalcati e delle pile. L’ing. Mario Sabolo, direttore tecnico dei cantieri General Smontaggi sulla Salerno Reggio Calabria, ci spiega che “l’intervento doveva essere realizzato in modo assolutamente controllato ed in tempi brevissimi, per consentire alla Contraente generale di realizzare il nuovo viadotto previsto dal progetto di ammodernamento in sovrapposizione alla carreggiata demolita”. Continua Sabolo “la scelta del metodo di demolizione di un viadotto dipende principalmente da due parametri: l’altezza della struttura e le sue condizioni al contorno. Per gli impalcati più bassi del Carito, facilmente raggiungibili dal basso e con altezze non superioni ai 20 m, si è scelto di procedere con mezzo meccanico dal basso, mentre per quelli

centrali, con altezze fino a 32 m circa dal p.c., si procederà dall’alto.Per le pile invece, laddove raggiungibili con il braccio dell’escavatore, si procederà alla demolizione meccanica top down, mentre per le sei centrali, con altezze elevate, si procederà ad un ribaltamento con esplosivo lungo l’asse dell’attuale impalcato”.

Demolizione degli impalcati La demolizione delle campate del viadotto Carito, ad esclusione delle due in prossimità delle spalle aventi altezze modeste, è avvenuta meccanicamente operando con mezzi d’opera esclusivamente dall’alto.

La fase di collasso della trave mediante realizzazione della cerniera plastica


Questa tecnica di demolizione prevede di operare mediante escavatori meccanici radiocomandati posti al di sopra degli impalcati, seguendo una predeterminata procedura di lavoro che porta al collasso ciascuna trave dell’impalcato secondo una sequenza prestabilita in fase di progettazione. In questo modo si ha il grosso vantaggio di poter operare in completa sicurezza direttamente sull’impalcato in demolizione indipendentemente dalla sua altezza, fattore che, in caso di utilizzo di tecniche tradizionali dal basso, diventa vincolante per la scelta dei mezzi operativi. L’escavatore accede all’impalcato da una spalla e procedendo in arretramento svincola le travi di ciascuna campata. L’operazione di separazione avviene in modo continuo frantumando le porzioni di soletta ed i trasversi di collegamento delle travi mediante utilizzo di una pinza montata sul braccio dell’escavatore. Per garantire la stabilità globale dell’impalcato è stata dimensionata la lunghezza della porzione di soletta da lasciare in posto a collegamento delle quattro travi che, grazie a questo

Ing. Mario Sabolo - Direttore Tecnico Cantieri SARC General Smontaggi

accorgimento, rimangono stabili e collegate in prossimità della pila. Terminate le operazioni di indebolimento sulla singola campata, si può procedere con le operazioni propedeutiche al collasso controllato in sequenza delle travi. Per garantire la massima sicurezza durante tali fasi, General Smontaggi ha modificato i mezzi d’opera dotandoli di radiocomando; in questo modo l’operatore oltre ad avere un’ottima visibilità delle aree di lavoro può manovrare a distanza di sicurezza dal mezzo stesso, annullando completamente il rischio di caduta dall’alto in caso di un errore di manovra o di un imprevisto in corso di esecuzione. A questo punto l’operatore posiziona l’escavatore sulla campata successiva a quella in demolizione (al centro della carreggiata), scende dall’escavatore e vi si posiziona a lato, a distanza di sicurezza, ed utilizzando il radiocomando, comincia a frantumare la porzione di soletta e traverso che collega la prima trave dal resto dell’impalcato. Quando la trave risulta completamente sezionata dal resto dell’impalcato si passa alla demolizione dell’anima della trave stessa a distanza di 5 m dal pulvino, in modo da creare una zona indebolita per la formazione di una cerniera di collasso. La cerniera si produce disgregando il cemento armato della trave fino ad ottenere una sezione resistente residua che sia in grado di sostenere il solo peso della trave, offrendo poca resistenza a sovraccarichi verticali aggiuntivi che vengono in seguito impartiti dalla pinza dell’escavatore posizionata sopra alla trave stessa. Con questi accorgimenti il crollo della trave avviene in modo controllato in corrispondenza della zona di plasticizzazione creata meccanicamente, consentendo ai tecnici di prevedere la cinematica del crollo dal suo inizio fino al collasso a terra. L’operazione a questo punto si ripete ciclicamente sulle rimanenti tre travi della campata in demolizione fino al collasso sequenziale di tutte e quattro le travi. Terminate le operazioni si procede in arretramento sulla campata successiva. Utilizzando questo metodo di demolizione, che si basa su di una perfetta sinergia tra uomo, macchine e sequenzialità operative, l’azienda novarese è riuscita a demolire tutte

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le travi senza causare alcun danno alla vicina carreggiata nord che è rimasta aperta al traffico durante tutti i lavori.

Demolizione delle pile Dopo aver demolito le campate del viadotto con l’utilizzo di escavatori radiocomandati, l’intervento è proceduto con la demolizione delle pile. La soluzione scelta dai tecnici di General Smontaggi prevede di inserire delle microcariche alla base di ciascuna pila, secondo un piano di tiro specifico, per formare un cuneo di caduta e provocare la rotazione della pila nella direzione voluta. Per ridurre il consumo di esplosivo e allo stesso tempo predisporre ciascuna pila al crollo nella direzione voluta, sono stati operati alla base della pila 3 aperture lungo i setti, dimensionate in modo da non pregiudicare la stabilità della pila durante le fasi di lavoro previste prima del brillamento delle cariche. Sebbene la direzione di caduta più logica per ogni pila fosse quella in direzione perpendicolarmente opposta alla carreggiata in esercizio, le esigenze operative della Contraente Generale hanno imposto la scelta di direzionare le pile lungo l’asse della carreggiata, diminuendo drasticamente i franchi di sicurezza contro eventuali deviazioni rispetto alla direzione di caduta teorica. Un’attenta progettazione degli indebolimenti delle pile ed un perfetto dimensionamento delle porzioni di cemento armato da demolire con le cariche di esplosivo hanno confermato

Il viadotto Carito al termine della demolizione degli impalcati

la fattibilità dell’intervento in totale sicurezza. Alle 14.08, dopo tre squilli di tromba, sotto gli occhi attenti di centinaia di curiosi le 8 pile alte oltre 30 metri che sorreggevano il viadotto Carito Sud sul tratto della A3 compreso tra Altilia e Grimaldi, sono state abbattute con uno spettacolare effetto domino. Al momento dell’abbattimento le pile rettangolari, che avevano una sezione di 8 metri per 3, si sono ribaltate secondo un “effetto domino” determinato dal ritardo del brillamento di circa un secondo, previsto a progetto, tra le cariche di una pila rispetto a quella successiva. Le due pile lato SA, all’altezza del punto di massima curvatura dell’autostrada adiacente, sono state fatte ribaltare con una traiettoria diversa, opposta alle altre pile, in modo da salvaguardare la viabilità sottostante e garantire allo stesso tempo la sicurezza e la buona riuscita dell’intervento.

Tutto sotto controllo La demolizione controllata del viadotto Carito è stata preceduta da un’attenta progettazione e dal dimensionamento di ciascuna fase operativa sia per gli impalcati che per le pile, “in questi interventi non è ammesso alcun tipo di improvvisazione, tutto deve essere verificato con cura La demolizione delle campate con mezzo meccanico prevede la sepa- perché anche un minimo imprevirazione delle travi mediante demolizione delle solette in arretramento sto potrebbe avere conseguenze

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gravissime per la sicurezza degli operatori e per le opere vicine” sottolinea Andrea De Pasqua, Capo Cantiere. Per gli impalcati sono state effettuate delle approfondite analisi strutturali atte a verificare che le sollecitazioni indotte sull’impalcato durante le varie fasi di demolizione si traducessero in carichi trasmessi al viadotto compatibili con le condizioni di progetto e, soprattutto, che ogni elemento strutturale fosse verificato con i consueti fattori di sicurezza imposti dalle normative vigenti. Per le pile invece sono state eseguite delle simulazioni agli elementi finiti in due fasi distinte, la prima per il dimensionamento degli indebolimenti preventivi nei setti, e la seconda per il crollo e la cinematica nei primi istanti a seguito della detonazione delle cariche. L’operazione ha visto l’azienda impegnata in un intervento di estrema precisione, frutto di un importante studio, culminato con la spettacolare demolizione con l’esplosivo delle pile distanti solo 1 metro dalla campata da demolire. Mario Sabolo commenta così questo spettacolare intervento: “è stata una demolizione a regola d’arte ed è andato tutto come programmato: la vicina carreggiata nord non ha subito neanche una piccola scalfitura ed è stata riaperta pochi minuti dopo l’abbattimento, confermando ancora una volta le eccezionali capacità tecniche ed operative di General Smontaggi”.


Nei prossimi mesi la stessa sorte toccherà ad almeno altri sette viadotti, i più imponenti tra i venti che ricadono nel macrolotto Pizzarotti, e nel frattempo proseguiranno i lavori di ricostruzione della nuova A3. Per gli automobilisti però i benefici si vedranno solo fra 15 mesi: la riapertura del tratto Altilia-Falerna è infatti prevista per giugno 2011.

Un cantiere da record L’autostrada A3 Salerno - Reggio Calabria rappresenta la principale arteria di scorrimento che collega la Sicilia e le estreme regioni meridionali tirreniche alla grande rete autostradale europea allacciandosi al Corridoio 1 che collega Palermo a Berlino. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, è iniziato l’ammodernamento di questa autostrada che, progettata e costruita negli anni Sessanta e Settanta, risulta ora inadeguata rispetto alla mutata quantità di volumi di traffico ed insufficiente rispetto alle modifiche normative; l’ammodernamento prevede importanti opere di demolizione dei viadotti ad oggi in esercizio. Le attività di demolizione appaltate a General Smontaggi S.p.a. riguardano oltre 40 viadotti con altezze, in diversi casi, superiori ai 100 metri e sviluppo maggiore di 200 metri. Le tecniche di demolizione scelte dall’azienda per agire su tutte le strutture sono molto diversificate, in quanto dipendono dal contesto, dalle altezze, dall’accessibilità e dalla vicinanza del nuovo tracciato autostradale: si va dall’abbattimento con microcariche esplosive, alla demolizione meccanica dall’alto mediante mezzi radiocomandati, alla decostruzione con speciali attrezzature di svaro operanti sugli impalcati, alla demolizione tradizionale dal basso con l’utilizzo di escavatori dotati di braccio da demolizione.


p roge t t i e t e cn o log ie

LA BONIFICA IN SITU DI ACQUE DI FALDA CONTAMINATE DA COMPOSTI ORGANOCLORURATI Dalle prove pilota alla progettazione degli interventi: il caso di un’area all’interno di uno stabilimento petrolchimico di C. Sandrone, M. Carboni, P. Goria e A. Campi*

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ll’interno di uno stabilimento petrolchimico è presente un’area dismessa i cui terreni ed acque di falda sono pesantemente contaminati da composti organici clorurati. In tale area sono stati completamente demoliti i fabbricati e gli impianti di produzione di cloruro di vinile monomero mediante cracking dell’1,2-dicloroetano, ed è attualmente in corso la compravendita dell’area, congiuntamente ad altre zone limitrofe sempre interne allo stabilimento.

L’intero stabilimento petrolchimico ospita attualmente diverse società che operano nella produzione di composti chimici. Il sottosuolo del sito ha una permeabilità relativamente bassa e presenta un elevato grado di eterogeneità; la superficie piezometrica si trova ad una profondità di circa 1 m da piano campagna. In seguito alla caratterizzazione dell’intera falda di sito, è stato presentato il progetto preliminare di bonifica, che prevedeva la realizzazione di prove pilota nelle aree in cui erano stati proget-

Figura 1. Impianto mobile utilizzato per la prova in campo di P&T

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tati interventi di bonifica con tecnologie in situ. L’area a cui facciamo riferimento si è rivelata la più interessante tra quelle in cui sono state realizzate le prove, sia per le caratteristiche di contaminazione che per i risultati ottenuti. In essa la contaminazione principale è dovuta alla presenza di 1,2-dicloroetano, che si trova in falda in concentrazioni prossime alla solubilità in acqua: sono state infatti riscontrate concentrazioni medie di 300.000 µg/l, e massime fino a 12 g/l. Per quanto riguarda il cloruro di vinile, le concentrazioni medie in falda si sono attestate intorno ai 500 µg/l e quelle nei terreni intorno a 1 mg/kg. La sorgente di contaminazione è stata individuata in una vasca di contenimento di acque di processo soprassature di 1,2-DCA e CVM, che a causa del proprio deterioramento ha provocato un rilascio prolungato nel tempo. Come previsto dai protocolli concordati con gli Enti preposti al controllo, le prove in laboratorio hanno testato diverse tecnologie di bonifica, ritenute applicabili sulla base di dati di letteratura. Le prove di campo sono state poi realizzate utilizzando la tecnologia che in scala di laboratorio si è dimostrata più efficiente ed in grado di provocare minori impatti sulle condizioni geochimiche della falda. Per il trattamento della contaminazione da 1,2-DCA e CVM in falda, sono stati selezionati per le prove in laboratorio due ossidanti


A queste concentrazioni di reagente, i risultati hanno inaspettatamente dimostrato che l’ossidazione avveniva più efficacemente senza attivazione alcalina. Questo comportamento è stato messo in relazione con l’elevata concentrazione naturale di ferro in falda, che deve aver funzionato come attivatore radicale. Il test di laboratorio per l’EHCTM è stato allestiFigura 2. Configurazione del campo prova per la tecnologia EHCTM to con due reattori, uno contenente il reagente e chimici (persolfato di sodio e un fenton modifi- uno di controllo, dotati di sistema di recupero cato), la riduzione anaerobica in situ mediante dei gas. I risultati hanno dimostrato l’efficacia della riduzione biologica e chimica nel trattaEHCTM e la tecnologia Pump & Treat. Per le due tecnologie di ossidazione chimica mento dei contaminanti; rispetto al persolfain situ, è stata effettuata in laboratorio una to, le reazioni hanno bisogno di un maggiore valutazione preliminare della cosiddetta SOD tempo di attivazione, ma i contaminanti principali sono stati completamente degradati dai (richiesta di ossidante da parte del terreno). Per il fenton modificato non è stata osservata microrganismi autoctoni in meno di 60 giorni. alcuna degradazione dei contaminanti e quin- Per la valutazione del Pump & Treat è stata aldi le prove del reagente sono state interrotte a lestita una prova in colonna. Il flusso d’acqua questo step; con il persolfato di sodio invece, è stato interrotto al 20° giorno, per valutare è stata osservata una degradazione completa eventuali effetti di “rebound”. E’ stata osserdei contaminanti in tempi molto brevi. Con- vata una buona efficienza nella rimozione dei testualmente si è registrato un incremento contaminanti dal terreno, dovuta probabilsignificativo delle concentrazioni di cromo mente alla loro elevata solubilità in acqua. Figura 3. Iniezione di EHCTM VI, che hanno reso necessarie alcune misure Pertanto, dalle prove di laboratorio sono rimediante attrezzatura Geoprobe® sultati efficaci per correttive per gli step successivi. Il test di laboratorio per il persolfato è quindi il trattamento della proseguito con un campione reale di terreno contaminazione presaturo prelevato dal sito con differenti per- sente l’ossidazione centuali di reagente ed attivatore (NaOH); chimica con persolinoltre, sono stati monitorati nel tempo i fato di sodio, la riduparametri principalmente correlati con l’effi- zione con EHCTM ed cienza di trattamento e le concentrazioni di il Pump & Treat, che CrVI. E' stato osservato che l’aumento del è stato considerapH conseguente all’incremento del dosag- to applicabile come gio di NaOH comportava un aumento delle primo step di trattaconcentrazioni di CrVI, senza aumentare la mento – per rimuodegradazione dei contaminanti, che risultava vere le concentragià completa a pH neutro. zioni maggiormente E’ stato pertanto valutato che ad un rapporto elevate – sebbene di 10 gr di reagente per kg di terreno, l’ossi- si sia rivelato non dazione risulta completa e si verifica il rila- sostenibile econoFigura 4. Andamento delle concentrazioni di 1,2-dicloroetano scio minimo di CrVI. micamente come nelle postazioni di monitoraggio interne al campo prova

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Figura 5. Andamento delle concentrazioni di 1,2-DCA nell’area. In nero è evidenziata quella che è stata individuata come sorgente primaria di contaminazione. I riquadri colorati indicano le diverse aree di dosaggio del reagente così come individuate dal progetto di bonifica

unica fase di trattamento. Per i test in campo sono stati selezionati sia il P&T che la tecnologia EHCTM, in considerazione dell’impatto minimo provocato sull’equilibrio geochimico dell’area, e dei costi inferiori per l’applicazione full-scale; con tale tecnologia inoltre, è stato ipotizzato di effettuare il trattamento attraverso un’unica iniezione, lasciando le aree superficiali libere per le attività di riconversione del sito. Per il P&T la prova in campo è consistita nell’emungimento di acqua di falda da un unico pozzo, con trattamento in impianto mobile dotato di colonna di stripping e ossidazione dei fumi in ossidatore catalitico. Per testare la tecnologia EHCTM è stato selezionato un campo di prova di circa 50 metri quadrati di superficie e il test ha interessato un volume totale di terreno saturo di circa 700 mc; in totale sono stati iniettati 6.300 kg di reagente, attraverso nove postazioni di iniezione realizzate con attrezzatura Geoprobe®. L’acqua di falda è stata monitorata attraverso 4 piezometri e sono state effettuate al giorno 110 dall’iniezione 3 perforazioni per il campio-

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namento puntuale di terreni e falda. I risultati osservati nei primi 100 giorni di prova hanno evidenziato una generale diminuzione del potenziale redox in falda, condizione tipica di un ambiente riducente. Le concentrazioni dei contaminanti hanno registrato un andamento decrescente per il primo mese, ma successivamente è stato osservato un incremento. Particolarmente interessante è il comportamento del benzene, che è noto come composto recalcitrante per l’EHCTM: esso mostra per il primo mese un andamento pressoché costante, culminato in un aumento finale, che può essere dovuto probabilmente ad un arrivo di acque maggiormente contaminate dall’esterno del campo prova. È stato perciò supposto che si sia verificato un rilascio di contaminanti dalle piccole lenti a permeabilità inferiore presenti all’interno dello strato principale di sabbia. Si è inoltre osservato lo sviluppo degli acidi grassi volatili in falda, come sottoprodotto della fermentazione del carbonio organico (e pertanto indice della crescita di specie riduttive). Il monitoraggio prolungato ha consentito di osservare una completa degradazione di tutti i contaminanti (al di sotto delle CSR sito specifiche) dopo il 200° giorno di prova; al con-

tempo, il potenziale redox si è mantenuto su valori bassi (-300 – -450 mV) anche a distanza di circa 1 anno dall’iniezione. Analizzando in sintesi i risultati ottenuti, si è resa evidente l’efficacia della tecnologia messa alla prova, che ha permesso di registrare bassi potenziali redox, un incremento degli acidi grassi e la diminuzione delle concentrazioni dei contaminanti, assieme ad una lunga durata del reagente in falda. Si è però osservata inizialmente una distribuzione disomogenea del reagente, che ha portato a ritenere che le elevate concentrazioni iniziali dei contaminanti non siano pienamente trattabili dai microrganismi autoctoni. Sulla base dei risultati ottenuti dalle prove pilota, a gennaio dello scorso anno è stato presentato il progetto per il primo step di bonifica, che prevede l’installazione di un impianto di P&T per la rimozione delle concentrazioni maggiormente elevate. Il progetto è stato approvato nel settembre 2009 a seguito della Conferenza dei Servizi e a breve sarà presentata la pianificazione per il secondo step di trattamento con EHCTM. Il programma dei lavori prevede la bonifica mediante P&T per la durata di un anno, in seguito alla quale potranno essere effettuate le iniezioni di EHCTM. L’obiettivo è quello di conseguire la certificazione di avvenuta bonifica entro il 2013, ottenendo però la fruibilità delle superfici già dal 2011. *TRS Servizi Ambiente s.r.l.


Bioessiccazione dei rifiuti urbani nella produzione di CDR per uso locale Decentramento degli impianti di bioessiccazione per lo sfruttamento centralizzato del CDR: criteri e valutazioni nell’ambito della gestione dei rifiuti urbani di Elena Cristina Rada e Marco Ragazzi*

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no dei principi guida per i Paesi dell’UE è il concetto di gestione dei rifiuti in cui, in primo luogo vi è la minimizzazione nella produzione dei rifiuti, in secondo luogo il riciclaggio e la generazione di energia e, per ultimo, lo smaltimento dei rifiuti senza recupero di materiali e/o di energia. Tecnologie che hanno suscitato interesse negli ultimi anni in questo ambito sono i trattamenti meccanico-biologici (BMT); uno dei flussi in uscita da questi processi, chiamato generalmente CDR (o Combustibile Derivato da Rifiuti), può avere usi industriali, ad esempio come sostituto del carbone. Nel campo della gestione dei rifiuti urbani (RU), uno degli argomenti più discussi è il trattamento della frazione residua, che deve essere gestita anche quando viene effettuata

una raccolta differenziata efficiente. Questa frazione è solitamente chiamata “rifiuti urbani residui” che, dal punto di vista teorico, dovrebbe essere costituita esclusivamente da materiali non riciclabili; in realtà, la separazione in origine non può mai essere perfetta, pertanto la frazione residua avrà sempre una composizione variabile. Una delle opzioni da valutare per il trattamento è la trasformazione in CDR: in questo caso una tipica strategia di smaltimento è la co-combustione in cementificio, in cui la parziale sostituzione del carbone risponde anche ai principi del protocollo di Kyoto, in quanto il CDR è in parte costituito da biomassa. Tra le opzioni possibili per la produzione di CDR, i due schemi di processo adottati più spesso sono presentati nella Figura 1. Il primo si basa sul concetto di flusso separato: una prima vagliatura ripartisce il RU in un sovvallo destinato alla produzione di CDR e in un sottovaglio destinato invece al trattamento biologico; quest’ultimo presenta solitamente troppe componenti di contaminazione per consentire di generare un buon com-

post ed è questa la ragione per cui l’impiantistica si è orientata verso la biostabilizzazione. Più specificatamente, nel settore dei processi aerobici deve essere fatta distinzione tra la biostabilizzazione e la bioessiccazione, che sono spesso confuse o equiparate a causa della loro apparente similitudine. Nella Figura 2 i processi sono schematizzati tenendo conto di umidità, solidi volatili e inerti. La bioessiccazione è stata sviluppata negli ultimi due decenni contestualmente al concetto di trattamento a flusso unico, come mostra la Figura 1. In questo caso la fase principale è quella iniziale di trattamento biologico, in cui viene effettuata la bioessiccazione del materiale trattato. Tutti i rifiuti che entrano nell’impianto vengono introdotti nel reattore aerobico con l'obiettivo di diminuirne il contenuto di umidità, grazie alle reazioni esotermiche biochimiche di ossidazione. Il bioessiccato è facilmente raffinato, in modo da poter estrarre i materiali riciclabili (vetro, metalli e inerti). Il prodotto ottenuto dopo la raffinazione potrebbe essere già classificato come CDR, ma in alcuni casi è necessaria una post-vagliatura per separare le frazioni fini (a basso contenuto energetico) e ottenere così un CDR ad elevata qualità (CDR_Q).

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Questa post-vagliatura è praticamente obbligatoria quando deve essere garantito un potere calorifico inferiore particolarmente alto per il CDR prodotto. La bioessiccazione è generalmente proposta per una gestione decentrata degli RU: alcuni impianti satellite potrebbero generare, infatti, CDR per un uso centralizzato; il decentramento della bioessiccazione potrebbe essere basato sulla presenza di un impianto a piccola scala per lo sfruttamento locale di CDR. Nel presente articolo vengono analizzati e presentati alcuni criteri per valutare la fattibilità di tale strategia (bioessiccazione presso l’impianto con accoppiato un bruciatore per CDR dedicato). I criteri da utilizzare per l'analisi della fattibilità di una bioessiccazione a scala ridotta per usi industriali, avente l'obiettivo di generare calore, possono essere relazionati ai seguenti concetti: • calore necessario all’industria; • costi per il combustibile convenzionale che deve essere sostituito; • caratteristiche della frazione residua di RU per l’area nelle vicinanze dell’impianto; • efficienze attese per la bioessiccazione dei rifiuti riferite alla frazione di RU nell’area di interesse; • valutazione delle caratteristiche del CDR post-raffinazione;

Figura 1. Sistemi a flusso separato e a flusso unico

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• valutazione della quantità di CDR necessaria per la generazione della richiesta di calore; • valutazione della quantità di RU necessaria come input al sistema; • valutazione della popolazione coinvolta per garantire la disponibilità di rifiuti necessari; • valutazione del costo di investimento per il trattamento degli RU; • valutazione dei costi operativi di trattamento degli RU; • valutazione del costo di investimento per il bruciatore di CDR nell’azienda; • valutazione dei costi operativi per il bruciatore di CDR; • analisi di soluzioni integrate termicamente (in caso di domanda di energia variabile); • analisi delle soluzioni integrate per la gestione dei rifiuti (in caso di disponibilità anche di rifiuti speciali); • confronto economico con il caso di adozione di combustibili convenzionali. I criteri presentati in questo documento riguardano le applicazioni d’uso di CDR su piccola scala, quindi l'obiettivo è essenzialmente legato alla generazione di calore - la produzione di energia elettrica necessita solitamente di una scala più grande, poiché l'efficienza della più comune opzione di co-generazione (il ciclo a vapore) è molto bassa su piccola scala.

Di conseguenza, è importante conoscere la quantità di MWhth y-1 necessari per l'impianto in cui avviene lo studio relativo alla sostituzione dei combustibili convenzionali con CDR. È chiaro che la questione non riguarda solo il flusso di calore su base annuale né – osservando più nel dettaglio tale opzione – solo le caratteristiche del calore generato dal CDR, che deve essere comunque compatibile con le caratteristiche del calore necessario per l’impianto industriale. Quando devono essere eseguiti alcuni calcoli con scenari a lungo termine, una delle difficoltà più rilevanti è posta dalla valutazione del costo del combustibile convenzionale per un periodo superiore a dieci anni. Si supponga di decidere di costruire una strategia basata sull’utilizzo di CDR: i tempi per l'attuazione del processo potrebbero essere di due anni, (in realtà andrebbero considerati anche i passaggi preliminari relativi alla progettazione e all'autorizzazione) mentre il periodo di operatività degli impianti a CDR è di circa quindici anni; in questo modo, l'analisi costi-benefici dovrebbe tener conto della dinamica dei costi dei combustibili convenzionali per i successivi diciassette anni, una valutazione praticamente impossibile da accertare, a causa delle notevoli variazioni che subisce tale parametro in breve tempo. Le caratteristiche dei rifiuti urbani residui rappresentano un altro aspetto critico, in quanto la gestione dei rifiuti urbani può cambiare in modo rilevante in assenza di un chiaro piano nella regione in cui l'impianto è situato. In particolare, la strategia e l'efficienza della raccolta


circa. Il fabbisogno di energia garantita nell’impianto industriale. Vi sono alelettrica varia a seconda della cuni dettagli da prendere in considerazione: la tecnologia adottata. generazione di CDR non avviene per 365 giorSu larga scala questi due aspet- ni l'anno, in quanto per almeno un paio di setti rappresenterebbero un punto timane dovrà essere prevista una sosta per le debole nella strategia proposta, operazioni di ordinaria manutenzione. Inoltre, qualora l'obiettivo finale fosse nemmeno l'utilizzo di CDR potrà avvenire 365 ipoteticamente la combustione giorni di fila: nella maggior parte degli impianti di un materiale bioessiccato: si industriali è prevista una sosta di almeno un andrebbe infatti a pagare, in ter- paio di settimane l'anno. Questa sosta pianifimini energetici, per avere meno cata potrebbe essere sincronizzata con la prienergia; ma se invece il pre-trat- ma, ma una corretta progettazione del sistema Figura 2. Comportamento dei RU durante la bioessiccazione tamento della frazione residua è dovrebbe tener conto anche delle situazioni e la biostabilizzazione volto alla produzione di CDR, si sfavorevoli. apre la strada a nuove opzioni, Di conseguenza vi è la necessità di prevedere differenziata possono modificare fortemente le eliminando la contraddizione. un’area di deposito, seppur piccola, per la corcaratteristiche e la quantità di rifiuti urbani pre- Dal punto di vista teorico, un primo calcolo retta gestione di questo aspetto. senti sul territorio. Più in generale, lo sviluppo delle caratteristiche del CDR può essere fatto L'estensione della zona che deve rifornire il economico può aumentare la quantità di rifiuti assumendo come CDR un materiale bioes- sistema può essere facilmente valutata sulurbani generati su base pro-capite e può in- siccato raffinato: una procedura semplificata la base delle caratteristiche della raccolta di crementare il contenuto energetico dei rifiuti a di raffinazione può essere effettuata grazie rifiuti urbani residui. È praticamente obblicausa dell’aumento degli imballaggi. Parallela- alla separazione di metalli, vetro ed inerti. A gatorio adottare preventivamente un chiaro mente, l'attivazione di nuove e più efficaci stra- seconda del valore iniziale del PCI dei rifiuti, piano di gestione degli RU, al fine di consentegie di raccolta differenziata può determinare il risultato di questa separazione semplificata tire la pianificazione di scenari affidabili sia una diminuzione della quantità di rifiuti residui potrebbe essere un CDR con un PCI superio- per il presente che per il futuro. Parlando di a disposizione per il processo. Al fine di limi- re o inferiore a 15 MJ kg-1, valore che potreb- generazione di CDR su bassa scala, la zona tare questo problema, è importante prevedere be essere assunto come soglia per un valido interessata dall'iniziativa è comunque piccoun accordo con le autorità locali responsabili risultato nel caso di semplice utilizzo di CDR la: ciò significa che potrebbe essere vantagdella gestione dei rifiuti urbani. Deve essere in un bruciatore. giosa la presenza di un distretto industriale prestata particolare attenzione nel caso in cui Nel caso in cui vi sia la necessità di aumentare nelle vicinanze di una regione con molti picil processo di bioessiccazione venga proposto il PCI del CDR, è necessario un ulteriore sta- coli centri. in una zona in cui è presente – o sia in progetto dio di post-raffinazione, ma la chiara conse- L'iniziativa non riguarda il comportamento – un sistema di raccolta della frazione organica guenza è un aumento della quantità di residui della popolazione della zona. I criteri di racad alta efficienza: in questo caso, la frazione a discarica. La quantità di CDR necessaria è colta e la comunicazione alla popolazione organica di RU residuo può scendere a dei legata alla quantità di calore che deve essere saranno gli stessi di un approccio convenziovalori che non sono più compatibili con il processo di bioessiccazione. Si prenda in esame l’esempio proposto nella Figura 3. Il caso riportato è riferito ad un’area priva di raccolta differenziata di un Paese europeo; il potere calorifico inferiore del materiale bioessiccato e del CDR aumentano rispettivamente dopo due settimane del 30% e del 44%. Non si tratta di un reale aumento di energia, poiché la massa di combustibile disponibile è inferiore a processo terminato. Questo, infatti, consente una “concentrazione” dell’energia iniziale con un contemporaneo consumo di energia elettrica; generalmente, l'energia disponibile alla fine del processo è inferiore a quella iniziale del 3% Figura 3. Dinamica del PCI durante il processo di bioessiccazione

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nale. La comunicazione con il pubblico sarà più semplice rispetto alla strategia convenzionale (combustione diretta centralizzata di rifiuti urbani residui) e la potenza del bruciatore per CDR, a servizio di un impianto industriale, potrebbe essere molto piccola. I costi di investimento per la costruzione di un impianto BMT non variano molto da Paese a Paese, in quanto le apparecchiature fondamentali sono costruite in poche nazioni e dunque non si registrano variazioni sensibili. Alcune differenze nei costi di investimento potrebbero essere comunque associate ad un diverso approccio in termini di riduzione dell'impatto ambientale. Il processo di trattamento dell’aria esausta di processo può essere effettuato in diversi modi, e di conseguenza con diversi costi: l'approccio più semplice prevede l'adozione di un biofiltro, mentre la soluzione più costosa si basa sull’ossidazione termica rigenerativa. In quest’ultimo caso, ci sono anche forti differenze in termini di costi di esercizio a causa del consumo di metano. Se si considera poi il costo della manodopera nel centro Europa, e lo si confronta con quello di alcune zone dell’Europa dell’est, si possono trovare differenze notevoli, con valori anche cinque volte inferiori.

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Tali differenze incidono fortemente sul bilancio economico, dato che il costo per la generazione di un’unità di energia come CDR è molto diversa da Paese a Paese. Naturalmente i costi operativi per la bioessiccazione sono solo una parte dei costi totali. Tenuto conto della ridotta capacità dei trattamenti meccanico-biologici asserviti ad uno specifico stabilimento, potrebbe essere interessante integrare il personale del BMT con il personale dell’impianto, così da gestire il limitato quantitativo di rifiuti adottando personale part-time. I costi di investimento per la costruzione di un bruciatore a CDR non variano molto in base al Paese: anche in questo caso le macchine principali sono costruite in poche nazioni, e quindi i costi non possono essere fortemente condizionati da un diverso scenario economico. I diversi livelli dei salari per i lavoratori possono incidere su tale voce di costo. Se il bruciatore è costruito in una fabbrica integrata, alcuni costi di funzionamento potrebbero diminuire grazie ad una gestione integrata delle macchine. Si supponga di avere uno stabilimento con un bruciatore a gas naturale: in caso di fluttuazioni nella domanda di calore, una soluzione potrebbe essere basata su di

una costante generazione di calore mediante combustione di CDR in un nuovo bruciatore, e sull’adozione del bruciatore a gas naturale per soddisfare le oscillazioni della domanda. In questo caso l'integrazione semplifica la gestione degli impianti e garantisce un minore impatto ambientale, poiché il CDR bruciato con una combustione costante è meno impattante. Se l'area di interesse è caratterizzata da una significativa generazione di rifiuti speciali con caratteristiche combustibili, l'integrazione dei rifiuti urbani con i rifiuti speciali potrebbe garantire un miglior equilibrio economico: i rifiuti speciali, in alcuni distretti industriali, potrebbero presentare un interessante contenuto energetico (legno, imballaggi, cartone, ecc). L'analisi economica può essere sviluppata in base agli approcci convenzionali di analisi costi-benefici. Alcuni vantaggi possono essere presenti nei Paesi in cui siano messi a disposizione fondi speciali (come i fondi strutturali dell'Unione Europea) disponibili per un co-finanziamento degli impianti. Naturalmente questo non è denaro ricevuto liberamente: devono essere presi in considerazione alcuni limiti di cofinanziamento. *DICA, Università degli Studi di Trento



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BIOGAS: UN PROBLEMA TRASFORMATO IN RISORSA La valorizzazione energetica del biogas per il risparmio delle fonti tradizionali e la limitazione dei gas serra di Matteo Millevolte*

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l controllo del biogas prodotto dalla degradazione anaerobica della frazione organica di una massa di residui solidi è da sempre uno dei principali problemi connessi alla progettazione e alla gestione di una discarica controllata di rifiuti urbani. Per le sue caratteristiche chimico fisiche, il biogas può risultare molto pericoloso per la sicurezza e la salute dell’uomo e dell’ambiente; da qui la necessità e l’obbligo normativo (Allegato 1 comma 2.5 del D. Lgs. 36/03) da parte delle discariche che accettano rifiuti biodegradabili, di dotarsi di impianti per l’estrazione dei

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gas che garantiscano la massima efficienza di captazione ed il conseguente utilizzo energetico. Il biogas prodotto dalla discarica può rappresentare insieme un problema e una risorsa: il prevalere del primo o del secondo aspetto dipende da come si opera, non solo nel corso della vita della discarica, ma anche, in maniera importante, nel periodo successivo all’abbancamento dei rifiuti. Attualmente la produzione di energia elettrica da biogas di discarica rappresenta una delle fonti energetiche di origine rinnovabile maggiormente utilizzate in Italia.

Il biogas è un rifiuto prodotto dalla fermentazione anaerobica metanigena dei rifiuti a matrice organica, individuato con il codice CER 19 06 99 e costituito da una miscela di molti gas differenti; solo alcuni di essi si trovano in percentuali significative (metano, anidride carbonica, ossigeno e azoto) e sono caratterizzati da un forte impatto sugli aspetti riconducibili alla sicurezza antincendio degli impianti e alla tutela dell’ambiente. La captazione e il recupero del biogas costituiscono dunque delle azioni fondamentali per la riduzione dell’impatto ambientale della


discarica poiché, diversamente, il biogas non captato si diffonderebbe in modo incontrollato in atmosfera. La successiva valorizzazione energetica dello stesso biogas fornisce un significativo valore aggiunto all’opera in termini di salvaguardia ambientale, in quanto viene fatto uso di una fonte rinnovabile per produrre energia elettrica (energia nobile) evitando il consumo di combustibili fossili tradizionali quali petrolio, carbone e gas metano, contribuendo complessivamente alla riduzione dell’effetto serra. La formazione del biogas è dovuta alla decomposizione biologica della matrice organica contenuta nei rifiuti, ad opera di microrganismi selezionati. Il processo può essere schematizzato in tre fasi: • Fase 1 - Decomposizione aerobica durante la quale i microrganismi lentamente degradano la parte organica complessa del rifiuto usando l’ossigeno intrappolato durante la fase di deposizione del rifiuto stesso, fino a formare dei composti organici più semplici, CO2 e H2O. • Fase 2 - Decomposizione anaerobica acidogena durante la quale l’ossigeno si è completamente consumato, i batteri cosiddetti facoltativi crescono e decompongono il rifiuto in molecole più semplici come idrogeno, ammoniaca, CO2 e acidi

organici. Questa fase è il primo stadio di decomposizione anaerobica acidogena. • Fase 3 - Decomposizione anaerobica metanigena. Nella terza fase di decomposizione (secondo stadio della fase anaerobica) i batteri metanigeni utilizzano l’idrogeno e gli acidi prodotti nella fase 2 per formare CH4 ed altri prodotti. In questa fase la produzione di metano aumenta rapidamente fino a raggiungere un livello pressoché costante. La fase di decomposizione anaerobica metanigena è quella che maggiormente interessa il processo di valorizzazione energetica del biogas. Il fenomeno di produzione di biogas si attiva infatti tra i tre ed i nove mesi dalla deposizione del rifiuto in discarica, e prosegue per parecchi anni (anche 30/40) secondo una curva che vede la massima produzione nei primi anni ed un progressivo esaurimento, con andamento asintotico, fino alla completa degradazione della sostanza organica (o fino a quando si mantengono le complesse condizioni ambientali idonee al processo). In generale la produzione di biogas è influenzata dalle caratteristiche dei rifiuti e dalle caratteristiche geologiche, ambientali e morfologiche della discarica. In particolare, è necessario valutare la quantità dei rifiuti depositati, il loro tempo di permanenza, la composizione merceologica, la tipologia di eventuali pretrattamenti, l’umidità e il pH. Condizionamenti sulla produzione del biogas possono inoltre derivare: • dalle modalità costruttive della discarica (in generale, in quelle interrate la produzione di biogas è maggiore che in quelle fuori terra);

• dalla tipologia della copertura (le produzioni di biogas sono direttamente proporzionali all’aumentare del grado di sigillatura finale della discarica); • dalle condizioni climatiche; • dal grado di compattazione dei rifiuti; • dalla presenza del percolato e dalla possibilità di un suo eventuale ricircolo. In base al D.M. 05/02/1998 Allegato 2 Suballegato 1, può essere avviato al recupero un biogas di discarica avente percentuale in volume di metano maggiore del 30%, di H2S minore del 1,5%, potere calorifico inferiore sul tal quale superiore a 12.500 kJ/Nm3. L’esperienza di Asja, un gruppo internazionale che dal 1995 opera nel campo dell’ambiente e della produzione di energia da fonti rinnovabili, dimostra che da una tonnellata di rifiuto si possono produrre da 2 a 20 Nm3 di biogas ogni anno, per circa 15-40 anni. In ogni discarica si riesce a recuperare fino al 75% del biogas potenzialmente prodotto. La conversione energetica è pari a 1,7 kWh per ogni metro cubo di biogas. Il biogas pertanto, da rifiuto potenzialmente pericoloso per la salute dell’uomo e dell’ambiente (in quanto esplosivo, fonte di cattivi odori e responsabile dell’effetto serra), diventa un’importante risorsa nel momento in cui viene utilizzato come combustibile per produrre energia elettrica. Si ottiene in questo modo un dupplice vantaggio: risparmio di fonti tradizionali e riduzione delle emissioni dei gas serra responsabili dei cambiamenti climatici. * Responsabile Esercizio Impianti Biogas, Asja Ambiente Italia S.p.a.

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TECNICHE DI ANALISI PER LA RICERCA DI IDROCARBURI IN TERRENI E SEDIMENTI Il problema diffuso dell’inquinamento da idrocarburi del sottosuolo affrontato attraverso una visione di insieme delle procedure di laboratorio più comunemente utilizzate di Lido Pellizzer*

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l presente articolo intende indicare alcune delle tecniche analitiche utilizzate dai laboratori chimici per rilevare la concentrazione e caratterizzare specificamente gli idrocarburi nella matrice suolo, seguendo le indicazioni fornite dai più importanti enti nazionali ed internazionali del settore.

L’attuale legislazione ambientale (D.Lgs. 152/06) prevede limiti di concentrazione per due gruppi di analiti organici: gli idrocarburi leggeri (con numero massimo di 12 atomi di carbonio) e gli idrocarburi pesanti (con più di 12 atomi di carbonio). Il metodo EPA 8015b permette, mediante Gascromatografia (di seguito

GC), di distinguere tra gli idrocarburi C6-C10 e quelli C10-C28, suddivisione che non corrisponde ai range indicati dalla legislazione per distinguere tra pesanti e leggeri. Il metodo inoltre non permette di determinare la concentrazione dei composti più volatili (con meno di sei atomi di carbonio), in quanto l'elevata volatilità

GLI IDROCARBURI Allo stato dell’arte sono stati identificati e classificati oltre 130mila composti idrocarburici. Gli idrocarburi, molecole organiche composte esclusivamente da carbonio e idrogeno, possono essere suddivisi, in relazione al loro stato fisico nelle condizioni di pressione e di temperatura ambientali, in: • idrocarburi solidi o semisolidi: asfalto, bitume, ecc.; • idrocarburi liquidi: petrolio; • idrocarburi gassosi: metano, etano, propano, butano, ecc. Un’ulteriore distinzione può essere fatta in base alle caratteristiche chimiche, per cui si ottengono tre classi principali: • idrocarburi aromatici, strutturati con anelli che li rendono particolarmente stabili; • idrocarburi saturi o alcani, con soli legami C-C, CnH2n+2; • idrocarburi insaturi e tra questi: • alcheni, con almeno un legame C=C, CnH2n; • alchini, con almeno un legame triplo C≡C, CnH2n-2. Gli idrocarburi ciclici non aromatici si dicono, per distinzione dagli aromatici, alifatici. Nel caso in cui lo scheletro carbonioso dell'idrocarburo alifatico non sia lineare ma si chiuda ad anello, si hanno gli idrocarburi aliciclici: • cicloalcani (CnH2n); • cicloalcheni (CnH2n-2); • cicloalchini (CnH2n-4). D’altra parte, gli idrocarburi aromatici si possono dividere, a seconda del tipo di catena, in: • benzene e derivati; • idrocarburi aromatici polinucleati. Esistono in natura varie miscele degli idrocarburi suddetti, con caratteri fisici e chimici intermedi fra una categoria e l'altra.

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fa sì che sia molto improbabile trovarne residui nel terreno. La preparazione del campione per l'analisi viene condotta con tecniche differenti per i due gruppi di idrocarburi: per quelli fino a C10 il metodo EPA 8015b suggerisce l'utilizzo delle tecniche dello spazio di testa (5021), distillazione sotto vuoto (5032) o "purge and trap" (5035 e 5030b), mentre per quelli con più atomi di carbonio, meno volatili, vanno impiegate procedure di estrazione con solvente, con estrattore Soxhlet (metodi EPA 3540c e 3541), sotto pressione (metodo EPA 3545), con ultrasuoni (metodo EPA 3550b), o in fase supercritica (metodo EPA 3560). Gli idrocarburi leggeri e pesanti possono essere determinati, con gli stessi pretrattamenti, mediante GC/MS rispettivamente con i metodi 8260b e 8270c. Gli idrocarburi non volatili possono essere determinati con il metodo EPA 8440, dopo estrazione con il metodo EPA 3560, mediante spettroscopia IR. Il metodo ISO/TR 11046 è dedicato alla determinazione del contenuto di oli minerali mediante IR e GC. Nel metodo si definiscono come oli minerali i composti estraibili dal suolo in 1,1,2-tricloro-1,2,2-trifluoroetano (CFE), che presentano le seguenti caratteristiche: non si adsorbono su silicato di magnesio o ossido di alluminio; assorbono radiazioni con numero d’onda 2925 e/o 2958 e/o 3030 cm-1 nel metodo di analisi mediante IR; hanno tempi

Autocampionatore per GC

di ritenzione compresi tra quelli del n-decano (C10H22) e n-tetracontano (C40H82) nel metodo di analisi mediante GC. Anche con il metodo ISO quindi, la frazione di analiti determinata non corrisponde a quella degli idrocarburi pesanti come definita nella legislazione italiana. Esiste inoltre un metodo ISO per la determinazione degli oli minerali mediante GC (ISO 16703). Il metodo IRSA 22, infine, descrive la determinazione per pesata degli oli minerali estratti con freon o solvente equivalente. Questa tecnica non permette di distinguere frazioni di idrocarburi a diversa volatilità. Nei metodi EPA di pretrattamento e di determinazione, sono riportate procedure di controllo di qualità che si consiglia di eseguire anche se si fa riferimento ad altre metodiche, al fine di verificare l'accuratezza del procedimento seguito. Sono inoltre segnalate le eventuali cause di rischio e le misure di sicurezza da adottare (ad esempio per la manipolazione di reagenti tossici). Per questo numero focalizziamo la nostra attenzione sugli idrocarburi leggeri.

Metodi EPA Gascromatografo

Il metodo EPA 5000 fornisce indicazioni generali sui metodi di preparazione (purge

and trap, spazio di testa, distillazione, ecc.) per l'introduzione di composti volatili nello strumento di misura. Fornisce inoltre informazioni sulle possibili interferenze e sulle misure di controllo di qualità da adottare. Gli specifici metodi di preparazione sono poi descritti più dettagliatamente in singoli metodi EPA (ad esempio EPA 5021, 5032 e 5035). Il metodo EPA 5021 descrive un’analisi automatica in spazio di testa per suoli ed altre matrici solide. Il campione solido è posto in un vial tarato e chiuso con setto al momento del campionamento. Si aggiunge un modificatore di matrice contenente uno standard interno o un surrogato. La vial è posta poi in un apparecchio a spazio di testa a equilibrio automatico che scalda l’intero campione a 85°C mentre lo tiene in agitazione mediante vibrazione meccanica. Un volume noto di spazio di testa è in seguito introdotto automaticamente in un sistema GC o GC/MS per l’analisi dei componenti organici volatili. Il metodo EPA 5032 descrive una tecnica di distillazione sotto vuoto in un sistema chiuso per l’analisi delle sostanze organiche volatili, comprese quelle non estraibili in corrente gassosa, quelle solubili in acqua, i composti organici volatili in soluzione acquosa, le sostanze solide ed i rifiuti oleosi. Il campione è introdotto in un matraccio e poi collegato ad un sistema di distillazione sotto vuoto.

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p roge t t i e t e cn o log ie

La pressione di distillazione resta approssimativamente intorno a 10 torr (tensione di vapore dell’acqua) finché l’acqua non è tutta rimossa dal campione. Il vapore passa poi attraverso un condensatore raffreddato a –10°C o meno e il distillato incondensato è bloccato criogenicamente in un pezzo di colonna di acciaio inossidabile da 1/8 inch, raffreddato alla temperatura dell’azoto liquido. Dopo un tempo di distillazione idoneo, che può variare a seconda della matrice e delle sostanze da determinare, il condensato nella trappola criogenica è desorbito termicamente e trasferito ad un GC, usando He come gas di trasporto. Questo metodo è molto valido per estrarre sostanze organiche da una grande varietà di matrici. Il metodo EPA 5035 descrive un sistema di “purge and trap” per l’analisi delle sostanze organiche volatili che sono estraibili in corrente gassosa da una matrice solida a 40°C. E’ idoneo per suoli, sedimenti ed ogni campione di rifiuto solido di consistenza simile al suolo. Il campione (normalmente 5 g) è posto nella vial di campionamento con la soluzione contenente lo standard interno o il surrogato. Il campione rimane ermeticamente sigillato a partire dal campionamento e durante l’analisi, dato che il sistema di “purge and trap”, chiuso, aggiunge automaticamente gli standards ed esegue il processo di “purge and trap”. Il metodo fornisce dati accurati perché riducendo la manipolazione del campione si minimiz-

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Anno 3 - Numero 8

zano le perdite di sostanze volatili; tuttavia, è necessario un apparecchio di “purge and trap” speciale, che può essere usato anche per la determinazione di benzina nelle matrici solide. I limiti di concentrazione applicabili variano tra 0,5 e 200 µg/kg per campione. In presenza di elevate concentrazioni (>200 µg/kg) o di campioni oleosi, gli analiti vengono estratti con la medesima procedura, ma la loro introduzione nello strumento di misura viene effettuata secondo il metodo 5030b. Il metodo 8015b è utilizzato per determinare la concentrazione di molti composti organici volatili non alogenati e di molti composti organici semivolatili; è applicabile all’analisi degli idrocarburi del petrolio, sia quelli tipo benzina (gasoline range organics, GRO) che diesel (diesel range organics, DRO). Gli idrocarburi tipo GRO corrispondono agli alcani da C6 a C10, che hanno un punto di ebollizione che va da 60°C a 170°C. Gli idrocarburi di tipo DRO corrispondono ad alcani da C10 a C28, il cui punto di ebollizione varia invece tra i 170°C e i 430°C. Il metodo fornisce le condizioni gascromatografiche per l’esecuzione delle analisi sull’estratto ottenuto, secondo le metodiche sopra indicate; viene usato un rivelatore a fiamma (FID) ed è previsto l’uso di colonne capillari. Come precedentemente indicato, la suddivisione tra i due gruppi di idrocarburi non corrisponde esattamente a quella indicata nella vigente legislazione. Per quanto riguarda i composti con meno di sei atomi di carbonio, non considerati in questa metodica, l'elevata volatilità fa sì che sia molto improbabile trovarne residui nel terreno. Il metodo EPA 8260b è idoneo per la determinazione di molti composti organici volatili con punto di ebollizione inferiore a 200°C, che sono introdotti nel gascromatografo con uno dei metodi sopra riportati. I composti da analizzare vengono inseriti direttamente in una colonna “wide-bore” o concentrati criogenicamente su una precolonna capillare prima di esse-

re vaporizzati istantaneamente (flash) in una colonna capillare “narrow-bore” per l’analisi. Viene usato un programma di temperatura e il rivelatore è uno spettrometro di massa (MS); il limite di rilevabilità del metodo per ogni composto può dipendere dallo strumento, dalla scelta dei metodi di preparazione e di introduzione del campione, per cui usando una strumentazione quadrupolare e una tecnica “purge and trap”, il limite è approssimativamente di 5 µg/Kg per i terreni.

Metodi ISO Il metodo ISO 14507 descrive il pretrattamento di campioni per la determinazione di contaminanti organici.

Metodi IRSA Il metodo IRSA 21 (che non permette di distinguere frazioni di idrocarburi a diversa volatilità) prevede un’estrazione con freon 113 o, se questo non è disponibile, con tetracloruro di carbonio. I costituenti di natura bituminosa presenti in alcuni grezzi e combustibili vengono recuperati in modo incompleto. Altro problema di rilevanza significativa è la disponibilità sul mercato di freon (sostanza degradante lo strato atmosferico di ozono) e del tetracloruro di carbonio (sostanza estremamente pericolosa): bisogna quindi sopperire alla difficoltà con solventi alternativi simili, ma che non permettono le stesse performance. Secondo il metodo IRSA 21, per separare gli oli e i grassi di origine animale e/o vegetale dagli oli minerali, si utilizza una colonna impaccata con Florisil, che trattiene le sostanze polari (oli e grassi animali e vegetali). E’ prevista poi la pesa dell’estratto, che avviene dopo la purificazione e l’evaporazione del solvente. L’intervallo di concentrazioni in cui il metodo è applicabile è compreso tra 5 e 1000 mg/kg. Il metodo non si applica agli idrocarburi che volatilizzano al di sotto di 70°C.

bibliografia Proposta di guida tecnica sui metodi di anlisi dei suoli contaminati. CNT TES Centro Tematico Nazionale Territorio e Suolo ARPA

* Chimico industriale


Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Ambientale, Infrastrutture Viarie, Rilevamento - Sezione Ambientale

65° Corso di Aggiornamento in Ingegneria Sanitaria-Ambientale Analisi di rischio sanitaria-ambientale per siti potenzialmente inquinati:

APPLICAZIONI E APPROFONDIMENTI TECNICO-SPECIALISTICI

26-27-28 Aprile 2010 10-11-12 Maggio 2010

Contenuti del corso

La normativa vigente in ambito ambientale conferisce notevole importanza all’analisi di rischio nell’ambito della tematica dei siti contaminati, assegnandole un ruolo centrale sia nella definizione di sito contaminato che nell’individuazione di obiettivi di risanamento sito-specifici. Gli strumenti usualmente utilizzati includono software commerciali o gratuiti, che si differenziano sia in relazione ai modelli di trasporto degli inquinanti contemplati sia all’interfaccia con l’utente. Il corso è validato dall’Ordine dei Geologi della Regione Lombardia per l’Aggiornamento Professionale Continuo (19 crediti per il Modulo I, 3 crediti per ciascuno dei Moduli II, III e IV).

Programma di massima Modulo I

Modulo II

• Concetti generali sull’analisi di rischio • Modelli di lisciviazione e trasporto in falda di inquinanti

• Applicazione, in aula informatizzata, di RISC 4.02 al caso di studio

Martedì 27 Aprile 2010

Modulo III

Lunedì 26 Aprile 2010

• Modelli di volatilizzazione di inquinanti da sottosuolo

(opzionale)

Lunedì 10 Maggio 2010

(opzionale)

Martedì 11 Maggio 2010

• Analisi di sensibilità dei modelli di trasporto di inquinanti nel sottosuolo (lisciviazione e trasporto in falda, volatilizzazione)

• Applicazione, in aula informatizzata, di RBCA Tool Kit 2.5 al caso di studio

• Illustrazione del caso di studio

Modulo IV

Mercoledì 28 Aprile 2010 • Sviluppo del Modello Concettuale per il caso di studio • Tavola rotonda

(opzionale)

Mercoledì 12 Maggio 2010 • Applicazione, in aula informatizzata, di GIUDITTA 3.2 al caso di studio

Docenti

Gli interventi saranno tenuti da relatori appartenenti ai seguenti Enti/Strutture: • Politecnico di Milano (dott.ssa Sabrina Saponaro, ing. Elena Sezenna - tutti i moduli) • Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (ing. Marco Giangrasso -Tavola Rotonda) • Istituto Superiore di Sanità (dott.ssa Loredana Musmeci - Tavola Rotonda) • Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ing. Laura D’Aprile - Tavola Rotonda) • Regione Lombardia (dott. Nicola Di Nuzzo - Tavola Rotonda) • Agenzia Regionale Protezione Ambiente Lombardia (ing. Rocco Racciatti - Tavola Rotonda)

Informazioni ed iscrizione Segreteria del corso Sig.ra Giovanna Foti tel. 02 23996413 fax 02 23996499 e-mail: giovanna.foti@polimi.it www.diiar.polimi.it/amb/istrs.asp

Con il patrocinio di:


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IDROCARBURI NEGLI AMMENDANTI: CRITICITà E POSSIBILI SOLUZIONI Una valutazione sperimentale mette in luce le problematiche relative alla ricerca degli idrocarburi negli ammendanti applicando metodiche analitiche per l’analisi dei terreni di Elena Gelfi e Umberto Minola*

S

empre più frequentemente è richiesta la determinazione degli idrocarburi negli ammendanti verdi e compostati, ma l’assenza di un metodo ufficiale rende i produttori incerti nella valutazione del contenuto di idrocarburi determinato dai laboratori, sia pubblici che privati. Pertanto si è proceduto all’analisi di campioni di ammendanti provenienti da processi e materie prime diverse al fine di evidenziare criticità e possibili soluzioni. In riferimento a quanto previsto per la matrice terreni, si definiscono due famiglie di idrocarburi: C<12 (idrocarburi leggeri) e C>12 (idrocarburi pesanti). Nella trattazione seguente saranno considerati i soli idrocarburi C>12, al fine di individuare le possibili interferenze attribuibili alla matrice. I metodi di analisi degli idrocarburi pesanti nei terreni sono numerosi; in questa sede abbiamo scelto il metodo UNI EN 14039:2005, la norma unificata italiana ed europea, con la quale abbiamo svolto numerosi ring test, ottenendo ottimi risultati. Sono state analizzate tre tipologie di campioni: • ammendante compostato misto proveniente dal compostaggio della frazione organica dei rifiuti urbani; • ammendante compostato verde;

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Anno 3 - Numero 8

• ammendante non compostato proveniente dallo spazzamento stradale. La definizione dei materiali suddetti fa capo alla normativa nazionale (D.Lgs. 217/06 e s.m.i.) che recepisce la direttiva comunitaria in materia. Il metodo UNI EN 14039:2005 è costituito da

Figura 1. Schema dell’esperimento

un’estrazione spinta sotto pressione ad alta temperatura con un solvente adeguato, una fase di concentrazione seguita da una di purificazione, quindi un’altra concentrazione ed un’analisi in gascromatografia-FID.

Prima serie di analisi Sono state estratte due aliquote di ciascun campione (2,5 e 5 g) con ASE (Accellerated Solvent Extraction), poi l’estratto in esano/acetone è stato “lavato” con acqua prima di isolare la sola fase in esano, che è quindi ridotta di volume al rotavapor. L’estratto è caricato su una colonna di florisil (circa 7 g), quindi concentrato ad 1 ml e analizzato in gascromatografia–FID (al fine di valutare eventuali perdite di analita, è stato analizzato in gascromatografia ciascun passaggio preparativo). In Figura 1 è riportato lo schema dell’esperimento eseguito. Già dagli estratti dei vari campioni è possibile formulare le seguenti considerazioni: • le estrazioni effettuate su campioni di circa 5 g hanno presentato al momento dell’eliminazione della fase acqua/acetone un’importante e stabile emulsione; • la purificazione delle varie estrazioni mostra colori diversi a seconda dell’origine del campione: verde oliva per il compostato verde, giallo scuro per l’ammendan-


te proveniente dal FORSU e giallo per il campione proveniente dall’ammendante non compostato. Dalla Tabella 1 è possibile notare come le concentrazioni di idrocarburi ottenute con l’estrazione su aliquote minori (circa 2 g) sono sempre molto più alte della medesima estrazione da 5 g di campione, mentre le concentrazioni degli estratti presentano pressoché gli stessi valori. A questo punto è possibile formulare tre ipotesi: • la quantità di campione ≅ 5 g è eccessiva e non permette un’estrazione efficace; • il campione presenta un’elevatissima disomogeneità; • l’emulsione ottenuta in fase separativa trattiene un’aliquota degli idrocarburi che si ripartiscono nella fase “liquido-polare/ liquido-apolare”. La prima ipotesi è poco probabile in quanto l’ultimo campione (C) presenta lo stesso andamento anche se la v

Campione

Pesata

concentrazione di idrocarburi è piuttosto modesta. La seconda ipotesi sull’ammendante analizzato non pare determinante sui campioni esaminati grazie all’azione di omogeneizzazione in fase preparativa, perché su 6 campioni non si è mai verificata un’inversione di tendenza, e cioè non si è mai verificato il caso che un’aliquota minore contenesse una concentrazione inferiore.

Seconda serie di analisi Un altro aspetto fondamentale in questa analisi è la verifica della capacità di adsorbimento delle sostanze più polari (grassi e oli animali e vegetali). Infatti, se queste sostanze non sono trattenute dalla colonna di florisil, verranno erroneamente quantificate dall’analisi gascromatografica. Una seconda fase dell’esperimento è consistita nel purificare su tre colonne impaccate con quantitativi diversi di florisil lo stesso estratto,

Residuo 105°C

2,62 g a

Ammendante

63,06%

compostato misto 5,0 g

2,42g b

Ammendante

56,49%

compostato verde 4,52g

2,45 g c

Ammendante

60,68%

non compostato 5,19 g

Figura 2. Cromatogramma dell’analisi dell’olio di oliva confrontato con il cromatogramma dello standard degli idrocarburi pesanti

% di recupero

Descrizione (*)

C>12 mg/ml

C>12 mg/kgss

1° frazione purificata

2269,74

3,75

94,0

2° frazione purificata

78,68

0,13

3,2

3° frazione purificata

66,58

0,11

2,8

1° frazione purificata

1846,43

5,88

94,1

2° frazione purificata

78,5

0,25

4,0

3° frazione purificata

37,68

0,12

1,9

1° frazione purificata

738,81

1,01

89,4

2° frazione purificata

51,20

0,07

6,2

3° frazione purificata

36,57

0,05

4,4

1° frazione purificata

364,23

0,93

90,3

2° frazione purificata

15,67

0,04

3,9

3° frazione purificata

23,50

0,06

5,8

1° frazione purificata

538,12

0,8

88,9

2° frazione purificata

40,36

0,06

6,7

3° frazione purificata

26,91

0,04

4,4

1° frazione purificata

244,5

0,77

87,5

2° frazione purificata

22,23

0,07

8,0

3° frazione purificata

12,70

0,04

4,5

del totale

(*) in fase di purificazione si è proceduto alla separazione di 3 frazioni di solvente (esano) che sono state analizzate in GC separatamente così da escludere perdite su florisil di composto ricercato

Tabella 1. Risultati ottenuti dalla prima serie di analisi

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p roge t t i e t e cn o log ie

Campione Ammendante compostato misto

Pesata 2,56 g

Residuo 105°C 56,31%

Descrizione

C>12 mg/kgss

Frazione purificata con 7,5 g florisil

1742,63

Frazione purificata con 10,0 g florisil

2593,91

Frazione purificata con 12,5 g florisil

1893,81

Tabella 2. Risultati ottenuti dalla seconda serie di analisi

volendo verificare se esiste una quantità standard di florisil che possa assicurare l’assenza di grassi. Il valore medio ottenuto in questa seconda serie di analisi è 2076,78 mg/kgss, mentre il valore ottenuto sul medesimo campione (A) nella prima serie di analisi è 2058,08 mg/kgss (Tabella 2). Diversamente da quanto ipotizzato in precedenza, pare che la quantità di florisil sia sostanzialmente ininfluente quando questa è superiore a circa 7 g per un’estrazione con 20 ml di n-esano.

Terza serie di analisi Il metodo ufficiale prevede l’utilizzo del florisil per trattenere gli eventuali idrocarburi funzio-

nalizzati, quindi grassi animali e vegetali. Per propria natura l’ammendante compostato misto proveniente dalla frazione organica dei rifiuti è ovviamente ricco di questo tipo di grassi. Si è svolta quindi l’analisi su di un campione di olio di oliva, trattato come se fosse un campione qualsiasi, ottenendo i risultati rappresentati dai cromatogrammi riportati in Figura 2. Evidentemente, sulla matrice studiata (ammendante) con concentrazioni elevate di composti estraibili, il florisil non è in grado di trattenere totalmente questo tipo di grassi animali e vegetali. Il profilo cromatografico del grasso vegetale non è simile agli standard previsti per gli idrocarburi pesanti; per contro, non si può

escludere negli ammendanti la compresenza di idrocarburi e grassi animali e vegetali.

Conclusioni Alla luce dei numerosi dati ottenuti, riteniamo che il metodo UNI EN 14039:2005 per la determinazione degli idrocarburi nei terreni non sia applicabile in modo diretto alla matrice ammendanti, a causa della complessità e varietà dalle sostanze presenti nella matrice stessa. Riteniamo quindi che i valori ottenuti con questo o con altri metodi ufficiali per l’analisi dei terreni vadano assunti con estrema cautela. *EST s.r.l.

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n o r m at i va

La sostenibile leggerezza del diritto ambientale Due chiacchiere sulla recente sentenza del TAR Torino (1563/09) in materia di energie rinnovabili di Naide Della Pelle

O

rientarsi nei meandri del diritto ambientale e delle fonti di energia è tutt’altro che semplice: fin dalle sue origini, infatti, il diritto dell’ambiente è stato caratterizzato da una perenne precarietà. Secondo Andrea Quaranta, titolare dello studio di consulenza legale ambientale Natura Giuridica, e responsabile del sito www.naturagiuridica.com e del blog EcoBlogico (naturagiuridica.blogspot.com), i motivi sono molteplici: le continue emergenze ambientali, i parlamenti che hanno legiferato in materia di ambiente in modo frammentario e incoerente, non ultime le difficoltà nel definire con precisione alcuni concetti chiave del diritto ambientale a causa delle continue innovazioni tecnologiche, recepite con ritardo dai legislatori. Dunque lo scenario giuridico-ambientale è davvero così desolante? Direi proprio di sì. Lo scopo del diritto ambientale, nel nostro Paese, è consistito quasi sempre nel mettere una pezza all’emergenza del momento, senza mai creare i presupposti per una politica concreta, coerente, condivisa e soprattutto autorevole. Tutto ciò in assoluta mancanza di un disegno unitario.

Le conseguenze non si sono fatte attendere: con gli anni, nonostante il proliferare delle norme “a tutela dell’ambiente”, è aumentato il tasso di incertezza del diritto – causato dalla contraddittorietà e dalla frammentarietà della normativa ambientale, e dalla sua spiccata settorialità – ed è cresciuta la confusione nei rapporti fra le sue diverse fonti, così che si sono moltiplicate sovrapposizioni di precetti e conflitti di competenza. Il famoso “inquinamento legislativo”? Proprio così. Il paradosso è che, spesso, dietro il prescritto rigore formale delle regole generali, si nascondevano ampie possibilità di deroga e di sanatorie, anche a dispetto del diritto comunitario. Questo modo di legiferare ha creato notevoli problemi agli operatori del settore, influendo negativamente sullo sviluppo economico del nostro Paese (frenandolo) e, soprattutto, impedendo un’efficace tutela dell’ambiente. Sebbene negli anni '90 del secolo scorso si fosse aperto un dibattito in dottrina – volto a trovare soluzioni efficaci per ridisegnare l'assetto della normativa in campo ambientale – la situazione oggi non è migliorata. Si riferisce alle polemiche sul cd. “Codice dell’ambiente”? Più che di polemiche, io parlerei di serena conclusione cui si perviene in seguito all’attenta

analisi dei fatti. Lasciando da parte le roboanti affermazioni di principio, volte a sottolineare il presunto progresso della normativa in questo settore, la normativa energetico-ambientale nel nostro Paese è ancora lontana dall’aver trovato una stabilità e una coerenza tali da garantire, in prospettiva, le molteplici sostenibilità: ambientale, energetica, economica, sociale e, in definitiva, anche giuridica. Qualche spiraglio di luce si intravede o è tutto così nero come sembra? Per fortuna esistono oasi felici: mi riferisco in particolare alla giurisprudenza, che negli ultimi anni ha svolto un vero e proprio ruolo di supplenza della legge. In materia di energie rinnovabili, ad esempio, una recente sentenza del TAR Torino (1563/09) ha dimostrato che il diritto ambientale può essere sostenibile, concreto, coerente e allo stesso tempo leggero. Ci spieghi meglio il senso di questa “sostenibile leggerezza” del diritto dell’ambiente…

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n o r m at i va

Leggerezza perché la sentenza appassiona, nonostante si parli di (ma soprattutto si scavi nei meandri del) diritto. Leggerezza, ma non solo: rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e coerenza, le stesse qualità della letteratura care a Italo Calvino. Rapidità perché affronta argomenti complessi in modo essenziale. Esattezza e visibilità, perché è in grado di porre al lettore tutti gli aspetti nevralgici della materia energetico-ambientale. Coerenza, infine, perché i principi che scaturiscono da questa sentenza tengono conto di entrambi i principali interessi in gioco, quello ambientale e quello economico. Detta così suona interessante. E lo è, mi creda. Affrontare temi di grande complessità, fortemente interconnessi fra di loro, ed interpretare il diritto in modo così coerente, funzionale ed equilibrato, non è da tutti i giorni. Parlando di biomasse, ad esempio, è spesso facile cadere in dispute interpretative

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Anno 3 - Numero 8

sterili, dal momento che nel nostro paese esistono molte definizioni di biomassa; a questo proposito, la soluzione fornita dal TAR Torino è innovativa nella sua semplicità e si ispira a nient’altro che a quanto espresso dalla normativa U.E. La normativa comunitaria è stata concepita nell’ottica di incentivare la produzione energetica da biomasse, senza vanificare però la politica comunitaria stessa in materia di gestione dei rifiuti. Le interferenze e le sovrapposizioni fra le due normative sono inevitabili, così com’è naturale che, all’interno del sistema normativo, possano coesistere più definizioni di biomassa, ognuna funzionale ad una determinata disciplina. Di conseguenza, è inutile tentare la ricostruzione di un’unica e universalmente valida definizione del termine, perché tale tentativo si scontrerebbe con la molteplicità di definizioni previste – e tollerate – dal sistema. Proprio per questo occorre contestualizzare e

comprendere a quale fine e in quale contesto la definizione di biomassa debba essere ricostruita, per poter procedere all’individuazione della giusta definizione. Ne deriva la fisiologica possibilità che ciò che in un determinato contesto è soltanto un rifiuto, in un altro possa assumere il valore di fonte rinnovabile di energia. Quasi imbarazzante, per la sua semplicità… Forse, ma se c’è il bisogno di sentenze come questa… Lo stesso discorso, del resto, è stato fatto in tema di sottoprodotto: partendo dall’ottica comunitaria, testé citata, come pensare di coordinare le due politiche (quella energetica e quella sulla gestione dei rifiuti, NdR)? E come conciliare le esigenze di tutela dell’ambiente con quelle economiche? Sviscerando uno dei cinque requisiti considerati indispensabili dalla legge affinché si possa parlare di sottoprodotto, il ragionamento del TAR Torino è ruotato intorno al criterio soggettivo di rifiuto e all’esigenza di non restringere eccessivamente tale concetto. Ciò serve, da un lato per evitare facili elusioni della relativa disciplina, e dall’altro per non ampliare il concetto di rifiuto in maniera esagerata, senza tener conto delle continue evoluzioni delle conoscenze e delle tecnologie, grazie alle quali è possibile riutilizzare tale materiale in modo ambientalmente ed economicamente vantaggioso. Se ho capito bene, occorre maggiore dinamicità nell’interpretazione del diritto. Esatto, proprio perché sovente i concetti giuridici, pur partendo da esigenze concrete, sono troppo statici per rappresentarle. Tornando agli interrogativi di prima: se è vero che la politica di incentivazione delle fonti di energia rinnovabili non può vanificare la politica di corretta gestione dei rifiuti, è altrettanto vero che il coordinamento delle due politiche non si realizza ipotizzando una reciproca esclusione tra il concetto di biomassa, di fonte di energia rinnovabile e di rifiuto. E allora il coordinamento delle due politiche appare possibile se si considera il criterio soggettivo di individuazione del rifiuto, che può garantire e spiegare la loro coesistenza parallela. Tale criterio permette inoltre di concretizzare la no-


Regione Toscana Diritti Valori Innovazione Sostenibilità

mostra-convegno internazionale

zione troppo relativa di rifiuto, che non può e non deve rimanere ancorata ad una “visione intrinseca” del valore dello stesso, senza adattarsi ai molteplici e concreti casi della vita produttiva. Occorre insomma un nuovo sistema che consenta alle definizioni giuridiche di adeguarsi rapidamente alle evoluzioni tecnologiche… Esatto. Il metodo di analisi utilizzato dal TAR Torino a proposito dei sottoprodotti è lo stesso impiegato per le biomasse: occorre passare dall’astrattezza definitoria (testo) all’analisi del caso concreto (contesto). Quindi, così come è possibile che un bene, potenzialmente utilizzabile in un certo ciclo produttivo, si riveli invece concretamente inutilizzabile, è altrettanto possibile che quello stesso bene possa essere utilizzato – come sottoprodotto – in un altro ciclo produttivo. Il suo impiego allora sarà certo, dal momento che colui che ha acquistato il sottoprodotto lo ha già destinato alla riutilizzazione, e quindi il problema del reimpiego sarà nuovamente azzerato.

terrafutura buone pratiche di vita, di governo e d’impresa verso un futuro equo e sostenibile

abitare

firenze - fortezza da basso

28-30 maggio 2010

VII edizione ingresso libero

produrre

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

coltivare agire governare Terra Futura 2010 è promossa e organizzata da Fondazione Culturale Responsabilità Etica per conto del sistema Banca Etica, Regione Toscana e Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. È realizzata in partnership con Acli, Arci, Caritas Italiana, Cisl, Fiera delle Utopie Concrete, Legambiente.

Tirando le somme? Il miope “equilibrio della politica” e quello distorto degli affari impediscono di guardare più in là della polemica contingente – elettorale, legislativa o scandalistica che sia – o dell’emergenza di turno, da tamponare con i soliti strumenti, sempre più inadeguati e figli di un sistema che fa della deroga la regola di vita. Senza un progetto preciso, fondato su presupposti necessariamente condivisi, non ritengo che sia possibile neanche ipotizzare un futuro sostenibile, nel nostro Paese. Per fortuna esistono spiragli di luce, che se non costituiscono certo la panacea di tutti i mali, di sicuro si collocano in un’ottica diversa, assolutamente condivisibile: quella che vede nella mediazione continua, contestualizzata, coerente e visibile, dei molteplici interessi contrapposti, la possibilità di costruire un progetto capace di stare dietro alla rapidità con cui il mondo va avanti.

In collaborazione con Provincia di Firenze, Comune di Firenze, Firenze Fiera SpA e numerose altre realtà nazionali e internazionali.

Relazioni istituzionali e Programmazione culturale Fondazione Culturale Responsabilità Etica via N.Tommaseo, 7 - 35131 Padova tel. +39 049 8771121 fax +39 049 8771199 email fondazione@bancaetica.org Organizzazione evento Adescoop-Agenzia dell’Economia Sociale s.c. via Boscovich, 12 - 35136 Padova tel. +39 049 8726599 fax +39 049 8726568 email info@terrafutura.it

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N ORMATIVA

IL CONTROVERSO CASO DELLA PERICOLOSITà DEI RIFIUTI CONTENENTI IDROCARBURI Rifiuti pericolosi cancerogeni: interventi giurisprudenziali e normativi su prese di posizione contrastanti legate alle concentrazioni di idrocarburi nei rifiuti industriali di Luciano Butti*

C

on la nota Decisione 2000/532/CE, è stato istituito l’elenco europeo dei rifiuti (CER), il quale contiene i codici a sei cifre con i quali sono classificati, in modo armonizzato nei diversi stati membri dell’Unione Europea, i rifiuti pericolosi (contrassegnati da un asterisco) e non pericolosi. La Decisione in Italia è stata attuata con Direttiva del Ministero dell’Ambiente del 9 aprile 2002 e successivamente recepita nell’allegato D alla parte IV del D. Lgs. 152/06. Nella nuova Direttiva sui rifiuti 2008/98/CE del 19/11/08 (da recepire entro il 12 dicembre

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2010) il tema dei rifiuti pericolosi viene affrontato attraverso norme specifiche e di notevole interesse. Si segnalano infatti, in primo luogo, l’art. 17 sul loro controllo e tracciabilità dalla produzione alla destinazione finale, l’art. 18 sul divieto di miscelazione, l’art. 19 sull’etichettatura, l’art. 34 sull’obbligo per le autorità di procedere con adeguate ispezioni periodiche a carico di enti e imprese che producono rifiuti pericolosi (con implicito incentivo ad implementare Sistemi di Gestione Ambientale) e l’art. 35 sui registri di carico e scarico. Di grande importanza è poi l’art. 7 della Direttiva, secondo il quale l’elenco dei rifiuti “è vincolante per quanto concerne la determinazione dei rifiuti da considerare pericolosi”. Questa disposizione, infatti, consente di ritenere superate alcune precedenti interpretazioni, emerse anche in Italia, che sembravano consentire l’individuazione caso per caso, da parte di autorità amministrative o persino dei giudici penali, di nuove tipologie di rifiuti pericolosi, spesso sulla base di una distorta applicazione del principio di precauzione.

LA PERICOLOSITà DEI RIFIUTI CONTENENTI IDROCARBURI Il tema si è fra l’altro proposto negli ultimi anni, con riferimento alla pericolosità o meno dei rifiuti contenenti idrocarburi. Per quanto riguarda questa tipologia, il Catalogo europeo contiene alcune voci specifiche, sempre e comunque “pericolose”, sulla base dell’attività che ha dato origine al rifiuto (e che, pertanto, non necessitano di determinazione analitica ai fini della classificazione) ed altre voci cd. “a specchio”, per le quali l’attribuzione o meno del codice pericoloso al rifiuto dipende dalla presenza, all’interno dello stesso, di determinate sostanze o preparati pericolosi e deve dunque necessariamente passare attraverso un accertamento analitico. Non esistendo norme che definiscano puntualmente la concentrazione limite del parametro idrocarburi, al fine della classificazione come “pericoloso” o “non pericoloso” del rifiuto che contenga tale composto, si doveva fare ricorso - in virtù di quanto previsto dalle citate Direttiva 2000/532/CE e Direttiva Min. Amb. 09/04/02 - alle disposizioni normative in materia di classificazione, etichettatura ed imballaggio di sostanze e preparati pericolosi e, in particolare, alla Direttiva 67/548/CEE e successive modifiche ed integrazioni, la qua-


le, tra le caratteristiche di pericolosità, include anche quella relativa alla cancerogenicità (H7). Il Parere del 28/09/04 n. 45882 dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) stabilì una particolare procedura tecnica finalizzata a determinare la pericolosità o meno dei rifiuti che contengono idrocarburi. Afferma infatti l’ISS che «per poter classificare un rifiuto con presenza di oli minerali di cui non si conosce puntualmente l’origine, con la caratteristica di pericolo “Cancerogeno”, si consiglia di effettuare la ricerca dei “markers” di cancerogenicità» individuati sulla base della Direttiva 67/548/ CEE (idrocarburi aromatici, benzene, 1-3butadiene e benzo[a]pirene): soltanto se essi risultano presenti in concentrazione superiore allo 0,1% (0,001% per dibenzo[a,h]antracene e benzo[a]pirene), il rifiuto deve essere considerato pericoloso. Il criterio tecnico proposto da ISS - e successivamente nella sostanza condiviso anche da APAT (l’Agenzia Nazionale per l’Ambiente e per i Servizi Tecnici) - nel proprio Parere del 06/06/06 n. 16850, venne ribadito dallo stesso ISS e meglio precisato nella Nota del 05/07/06 n. 36565 dove si ribadisce che «la classificazione di un rifiuto industriale come cancerogeno, laddove in tale rifiuto siano presenti residui di idrocarburi, deve essere effettuata determinando nel rifiuto la presenza di marker cancerogeni»; ma aggiunge che «appare eccessivamente conservativa l’applicazione del valore di 1000 ppm (0,1%) di idrocarburi come limite per la classificazione del rifiuto come cancerogeno: tale approccio implicherebbe infatti che tutti gli idrocarburi, indipendentemente dalla loro composizione e provenienza, siano da considerare cancerogeni».

IL DIVERSO ORIENTAMENTO DEL MINISTERO DELL’AMBIENTE

Il Ministero dell’Ambiente, con Nota 19/10/06 n. 20577, considerò non condivisibili le risultanze dei citati documenti tecnici, sostenendo invece un «approccio più conservativo che prevede la classificazione di un rifiuto come pericoloso se la concentrazione totale di idrocarburi è uguale o superiore allo 0,1%». Il pronunciamento del Ministero è stato ripreso e condiviso da diverse Procure della Repubblica e da alcune sedi regionali dell’Agenzia per l’ambiente (ARPA). Su tale base, sono perciò state avviate indagini anche assai pesanti, proprio in relazione alla mancata classificazione come “pericolosi” di rifiuti contenenti idrocarburi in percentuali superiori allo 0,1%. In alcuni casi, sono stati sequestrati impianti di

smaltimento e sono state persino emesse alcune ordinanze applicative di misure cautelari personali. La tesi ministeriale (seguita, come si è detto, da diverse Procure ed Arpa) venne sostenuta sulla base di un generico richiamo al principio di precauzione, effettuato senza tenere conto dei contenuti e delle caratteristiche di tale principio, quali risultano dalla normativa e giurisprudenza comunitarie. Il principio di precauzione è previsto ma non definito nel Trattato europeo. Esso peraltro, correttamente ricostruito, comporta essenzialmente che la mancanza di assolute certezze scientifiche in merito ad una situazione non è di per sé un valido motivo per evitare l’adozione di determinate cautele. Il documento decisivo, da questo punto di vista, consiste nella Comunicazione 2 febbraio 2000 della Commissione, il cui valore è stato anche recentemente ricordato dalla giurisprudenza europea (Tribunale di Prima Istanza, 11 settembre 2002, in causa T-13/99). Orbene, quanto ai contenuti del principio, la Comunicazione in esame opportunamente precisa che: • l’applicazione del principio comunque presuppone un rischio, di livello incerto ma individuato, vale a dire “una preliminare valutazione scientifica obiettiva”, la quale indichi che “vi sono ragionevoli motivi di temere...”; • quando una determinata azione viene considerata necessaria sulla base del principio di precauzione, essa dovrebbe fra l’altro essere: • proporzionale al livello prescelto di protezione;

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N ORMATIVA

non discriminatoria nella sua applicazione; • coerente con misure analoghe già adottate; • basata su un esame dei potenziali vantaggi ed oneri (possibilmente attraverso un’analisi costi/benefici); • soggetta a revisione (e dunque provvisoria) alla luce dei nuovi dati scientifici; • in grado di attribuire la responsabilità per la produzione delle prove scientifiche necessarie per una più completa valutazione del rischio. Ora, di nessuno di questi criteri applicativi del principio di precauzione viene espressamente o anche implicitamente dimostrata la sussistenza nella succinta presa di posizione del Ministero dell’ottobre 2006, che pretendeva di rovesciare gli orientamenti tecnici applicativi da tempo ormai fissati da ISS e APAT. •

LA CONFERMA DEI CRITERI TECNICI STABILITI DA ISS E APAT

L’impossibilità di giustificare, sulla base del principio di precauzione, l’orientamento ministeriale è stata affermata negli ultimi anni tanto da diverse decisioni giudiziarie, quanto da recentissimi interventi normativi. In primo luogo, in termini generali (e non con

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riferimento alla questione qui in esame) la Corte Costituzionale ha ripetutamente avuto occasione di precisare che gli standard elaborati dagli organismi tecnico-scientifici dello Stato prevalgono sulla discrezionalità politica (Corte Cost., 17 marzo 2006, n. 116). Con specifico riferimento alla questione della pericolosità dei rifiuti contenenti idrocarburi, il TAR Puglia ha poi annullato la Nota 19/10/06 n. 20577 del Ministero dell’Ambiente. Nella motivazione di questa sentenza si legge: “laddove, ai fini della classificazione dei rifiuti, la normativa di riferimento va individuata nella Decisione UE 200/532/CE, nella Direttiva MATT del 9 Aprile 2002 e nel D.Lgs. 152/06 parte quarta All. D., secondo la quale un rifiuto è classificato come pericoloso solo se le sostanze pericolose raggiungono determinate concentrazioni, tali concentrazioni vanno predeterminate (e poi riscontrate) ex art. 252, comma 5, del D.Lgs. 152/06 tramite appositi organi tecnici e senza possibilità di interferenze decisionali del Ministero… Nel caso di specie, il Ministero dell’Ambiente non solo ha preso posizioni tecniche in merito alla classificazione dei rifiuti pericolosi in assoluta autonomia rispetto agli organi tecnici, ma anche in contraddizione con le posizioni da questi assunte sul punto... In ragione di tutto quanto fin qui esposto, dunque, l’impugnato provvedimento deve reputarsi illegittimo in quanto immotivatamente contraddittorio rispetto alle descritte valutazioni tecniche e va, per conseguenza, annullato”. Il giudizio di annullamento del provvedimento amministrativo è caratterizzato da una efficacia erga omnes, non potendo l’atto annullato non esistere per alcuni soggetti ed esistere per altri. L’Istituto Superiore di Sanità ha ribadito ed ulteriormente precisato la propria precedente tesi con il Parere n. 203157/5700 del 14/04/09 (che contiene un aggiornamento relativo a un “marker” e importanti osservazioni sull’interdipendenza tra la scelta del metodo di analisi e la definizione dei limiti di legge). Ancor più recentemente, lo stesso legislatore è intervenuto per chiarire (si spera definitivamente) l’ormai annosa questione.

La Legge 13/2009 del 27/02/09 ha infatti introdotto, all’art. 6 quater, in sede di conversione del D.Lgs. 208/08, la seguente disposizione: “La classificazione dei rifiuti contenenti idrocarburi ai fini dell'assegnazione della caratteristica di pericolo H7, «cancerogeno», si effettua conformemente a quanto indicato per gli idrocarburi totali nella Tabella A2 dell'Allegato A al Decreto del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare 7 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 4 dicembre 2008” (Tab. A2, all. A). Il riferimento è alla normativa in materia di caratterizzazione dei fanghi di dragaggio nei siti di bonifica di interesse nazionale, ove, nella parte tecnica relativa alla caratterizzazione del materiale si fa espresso riferimento, per il parametro idrocarburi, proprio a quanto indicato nel parere reso dall’Istituto Superiore della Sanità il 5 luglio 2006, prot n. 36565 citato in precedenza.

CONCLUSIONI Alla luce di quanto descritto nei paragrafi che precedono, si può dunque concludere che la classificazione di pericolosità dei rifiuti contenenti idrocarburi vada oggi effettuata secondo i criteri suggeriti da ISS e APAT, vale a dire ricercando i cd. “marker” e tenendo conto della concentrazione di questi (e non del parametro “idrocarburi totali”). I chiari interventi giurisprudenziali e normativi descritti nel paragrafo precedente dovrebbero infatti finalmente chiudere una vicenda caratterizzata da prese di posizione del Ministero e di alcune autorità giudiziarie, che contrastavano con i pronunciamenti dei massimi organi tecnico-scientifici dello Stato: così ripristinando il principio – stabilito dalla Corte costituzionale – secondo il quale nelle materie tecniche i criteri stabiliti in sede scientifica prevalgono sulla pura discrezionalità politica. Se già gli antichi insegnavano che il potere politico deve rispettare determinate regole, oggi a questo insegnamento si può aggiungere la necessità di non adottare decisioni contrastanti con le evidenze scientifiche. * avvocato (B&P Avvocati) e professore a contratto di Diritto internazionale dell’ambiente presso l’Università di Padova


systems for environmental projects

SostenibilitĂ per una nuova economia Fiera di Padova, 21-24 aprile 2010


a sso ci a z i on e S t u d i Amb ien tali

nel 2020 IL 70% DEI RIFIUTI DA C&D SARà RIUTILIZZATO? Dalla Commissione Europea la Direttiva che prevede obiettivi ambiziosi per il riciclaggio di rifiuti e inerti di Anna Montefinese

L

a Direttiva Europea n. 98 del 19 novembre 2008 in materia di rifiuti interviene per modificare ed abrogare alcune Direttive ormai superate, invitando gli Stati membri a provvedere al recepimento entro il 2010.

In materia di riciclaggio e riutilizzo di rifiuti, l’art. 11 impegna gli Stati membri a “promuovere il riciclaggio di alta qualità ed a istituire la raccolta differenziata dei rifiuti, ove essa sia fattibile sul piano tecnico, ambientale ed economico e al fine di soddisfare i necessari criteri qualitativi per i settori di riciclaggio pertinenti”. Al fine di rispettare le prescrizioni della Direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati membri adottano le misure

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necessarie per conseguire i seguenti obiettivi entro il 2020: • la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali – come minimo – carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine (nella misura in cui tali flussi di rifiuti siano simili a quelli domestici) sarà aumentata complessivamente almeno al 50% in termini di peso; • la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio - incluse le operazioni di colmatazione che impiegano rifiuti in sostituzione di altri materiali - di rifiuti da Costruzione e Demolizione non pericolosi (escluso il materiale allo stato naturale definito alla voce 17 05 04 dell’elenco dei rifiuti) sarà aumentata almeno al 70% in termini di peso. La recente bozza predisposta dai competenti ministeri del governo italiano ha recepito in toto gli indirizzi della Direttiva e certamente la definizione del provvedimento rispetterà i termini per l’attuazione. L’obiettivo imposto per i rifiuti inerti da C&D è particolarmente ambizioso per l’Italia, in quanto la percentuale media che attualmente si riesce a coprire è vicina al 10%, con una grossa sperequazione territoriale tra le Regioni centro-settentrionali e le Regioni meridionali ed insulari. Le attività di trasformazione per il riutilizzo dei rifiuti inerti da C&D subiranno un notevole impulso da queste nuove disposizioni supportate anche dal recente Accordo di Programma in materia, promosso e sottoscritto dal C.N.G., da U.N.I.T.E.L. e da Studi Ambientali

per incentivare il recupero per il riutilizzo dei rifiuti inerti da C&D. Le attività previste dall’Accordo sono fondamentalmente due: • l’adozione di metodi di riciclaggio e recupero dei rifiuti inerti per garantire l’ottenimento di materiali con caratteristiche merceologiche conformi alla normativa tecnica di settore ed agli standard richiesti dalla Circolare MinAmbiente per gli aggregati riciclati, n. UL/5205/2005; • la promozione sul territorio attraverso la “Filiera RI-inerte” della realizzazione di Centri di Raccolta e Recupero di rifiuti inerti da C&D. L’Unione Europea è intenzionata a dotarsi di un’Agenzia ad hoc che controlli la gestione dei rifiuti e l'implementazione della normativa in materia da parte degli Stati membri. Tale suggerimento è stato evidenziato in uno studio promosso dalla Commissione Europea, che sottolinea la necessità di migliorare la gestione dei rifiuti, riducendo l'incidenza dello smaltimento illegale, e di ottenere un maggior rispetto della disciplina, soprattutto in materia di riciclaggio e smaltimento, adottando controlli più severi in relazione alle spedizioni di rifiuti pericolosi. Una migliore attuazione della normativa in materia di rifiuti, oltre ad essere una priorità in sé per la tutela della salute e dell'ambiente, consentirebbe anche una riduzione di circa 200 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra (si pensi al metano prodotto dalle discariche), oltre a condizioni di più equa concorrenza tra le imprese europee.


PIANO DI AZIONE NAZIONALE E GREEN PUBLIC PROCUREMENT Un’opportunità per la Pubblica Amministrazione e uno strumento di responsabilità ambientale di Anna Montefinese

I

l Piano di Azione Nazionale, approvato con D.M. 11/04/2008 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 08/05/2008, ha l’obiettivo di promuovere la diffusione del Green Public Procurement presso gli Enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico e intende favorire le condizioni necessarie per far sì che il GPP possa dispiegare in pieno le sue potenzialità come strumento per il miglioramento ambientale. Già da alcuni anni, amministrazioni pubbliche e filiere produttive di prodotti e servizi si sono attivate per sperimentare le pratiche del GPP. Adottare il Piano di Azione per la Pubblica Amministrazione significa anche predisporre

lo strumento di responsabilità per migliorare l’efficienza ambientale ed introdurre i criteri per effettuare gli “acquisti verdi”. Tali piani dovranno contenere una valutazione della situazione esistente e stabilire obiettivi di ampia portata da conseguire nel triennio, specificando chiaramente le misure da adottare. Una delle misure prioritarie che il Piano di Azione dovrà contenere riguarda gli “acquisti verdi” relativi a beni, servizi e prodotti. Infatti, il D.M. n. 203 del 08/05/2003 prevede che gli Enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico coprano il fabbisogno annuale di manufatti e beni con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato nella

CORSO PER LA GESTIONE DEI RIFIUTI IN EDILIZIA rifiuti inerti da C&D – terre e rocce da scavo – rifiuti attività estrattiva Sono state definite le sedi ed il calendario 2010 dei corsi per “la gestione dei rifiuti in edilizia”. L’entrata in vigore del Decreto Legislativo 03/04/2006 n. 152 (Testo Unico Ambientale) e delle ultime integrazioni ha modificato i criteri gestionali dei rifiuti prodotti dalle aziende del settore edile. Il programma del corso ha recepito le recenti disposizioni in materia di tracciabilità dei rifiuti previste dal c.d. Decreto “SISTRI” ma la normativa è ancora quanto mai complessa e soggetta a controverse interpretazioni. Il corso è rivolto a professionisti del settore e al personale che nelle Aziende gestisce la “problematica rifiuti” ed è strutturato in una parte teorica, rivolta allo studio della legislazione vigente e alla sua interpretazione, e in una parte pratica volta alla lettura delle autorizzazioni e alla corretta compilazione dei documenti inerenti la gestione dei rifiuti. Nello specifico il programma prevede argomentazioni sulla gestione dei rifiuti inerti da C&D, terre e rocce da scavo e sui rifiuti dell’attività estrattiva. Il corso, in linea con i contenuti del Programma per la Formazione Professionale Continua ha ricevuto il riconoscimento per l'attribuzione dei crediti formativi da parte del CNGeGL (Consiglio Nazionale dei Geometri e Geometri Laureati). Le informazioni sul programma, sui costi e sulle modalità per l’iscrizione possono essere richieste contattando la segreteria all’indirizzo mail: info@studiambientali.org

misura non inferiore al 30% del fabbisogno medesimo. Tali beni o prodotti, ai fini del riconoscimento, devono rispettare gli standard richiesti ed essere iscritti nel Repertorio del Riciclaggio tenuto dal Ministero dell’Ambiente. Le Province ed i Comuni devono conformarsi ai principi del Piano di Azione Nazionale integrando nelle procedure di acquisto i criteri ambientali minimi (riformulando capitolati relativi a lavori, servizi e forniture) e promuovendo interventi di efficienza energetica nell’edilizia scolastica. CALENDARIO 2010 15 giugno

Foggia

22 giugno

Bari

29 giugno

Taranto

6 luglio

Cosenza

19 ottobre

Cagliari

20 ottobre

Sassari

26 ottobre

Palermo

27 ottobre

Messina

22 novembre

Milano

23 novembre

Brescia

29 novembre

Torino

30 novembre

Alessandria

13 dicembre

Bologna

14 dicembre

Forlì

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vetrina

L.A.V. UN LABORATORIO DI ASSOLUTA ECCELLENZA

Rispondere alle esigenze delle imprese, provvedere direttamente al monitoraggio, alla determinazione e alla valutazione dei dati, fornire le soluzioni tecnologiche più idonee, rappresenta la missione del L.A.V. La società L.A.V. ha sede a Rimini e presenta un’offerta ampia ed integrata, che si articola sia nell’ambito dei servizi di laboratorio chimico e microbiologico, sia nel campo della consulenza tecnica e legislativa in materia di ambiente, sicurezza nei luoghi di lavoro e igiene degli alimenti. Durante gli ultimi anni la società ha prestato particolare attenzione allo sviluppo del laboratorio chimico con forti investimenti in attrezzature e personale qualificato, posizionando i servizi forniti tra i migliori sul mercato in termini di rapporto qualità/prezzo. Grazie alla continua innovazione tecnologica e alla costante crescita professionale degli addetti, il laboratorio chimico L.A.V. ha oggi raggiunto livelli di eccellenza, offrendo un valido supporto alle aziende che operano nel settore delle bonifiche ambientali. Per garantire l’efficienza e l’efficacia della nostra missione, il laboratorio è accreditato SINAL-ACCREDIA e certificato secondo la norma UNI EN ISO 9001. Affidabilità, professionalità, organizzazione, competenza ed esperienza rappresentano da sempre i valori fondamentali del L.A.V. e saranno ancora alla base di uno sviluppo futuro.

LA LINEA DI STOCCAGGIO FUSTI PROPOSTA DA SALL La particolare e crescente attenzione nei confronti dell'ambiente ha condizionato inevitabilmente le strategie produttive e commerciali di molte aziende. L'opportunità di esplorare nuovi settori è sempre un passaggio importante, in particolare se, unitamente ad una nuova idea di business, si realizzano prodotti e soluzioni che aiutano a preservare e conservare l'ambiente in cui viviamo. Questa in sintesi è stata anche l'esperienza di Sall, azienda di Reggio Emilia leader nella fabbricazione di contenitori metallici la quale, quasi quindici anni fa, ha dato vita alla propria "divisione ecologia", iniziando la propria avventura imprenditoriale anche nella progettazione e fabbricazione di sistemi e soluzioni per lo stoccaggio, la movimentazione e la conservazione di sostanze pericolose o potenzialmente inquinanti. Durante la sua ultima partecipazione ad Ecomondo, lo scorso anno, Sall ha ufficialmente lanciato sul mercato la propria nuova linea di modulcontainer e container con vasca di raccolta a tenuta stagna, appositamente creati per lo stoccaggio all'esterno di fusti e cisternette. Un prodotto dalle molteplici applicazioni, versatile e realizzato secondo standard costruttivi e qualitativi al vertice del settore. Il container offre innumerevoli vantaggi in quanto: • consente di stoccare importanti quantità di sostanze; • lo stoccaggio all'esterno non impone modifiche strutturali ai fabbricati esistenti con significativi benefici economici e logistici; • le elevate possibilità di personalizzazione e di dotazioni accessorie lo rendono ideale per molteplici utilizzi.

NIAL NIZZOLI: UN ESEMPIO DI RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA A Collecchio, in provincia di Parma, verrà realizzato un parco energetico da 2,50 MWp, collocato su un'ex discarica di rifiuti solidi urbani di circa 60mila metri quadrati. Obiettivo del progetto è la valorizzazione di un’area che ad oggi costituisce esclusivamente un costo a carico della collettività. L’energia pulita prodotta contribuirà alla riduzione delle emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra, mentre il meccanismo di incentivazione previsto dal Nuovo Contro Energia consentirà di diminuire i costi di gestione. Il parco energetico offrirà percorsi legati al tema delle energie rinnovabili e del rispetto dell’ambiente, al fine di coinvolgere la collettività e creare costruttive sinergie.

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PeVmedia.com

TREVI BENNE: GRANDI NOVITà PER IL BAUMA

L’azienda vicentina Trevi Benne è alla quinta presenza espositiva al Bauma di Monaco. Esperienze, quelle maturate sinora, fondamentalmente diverse le une dalle altre ma tutte animate dalla voglia di emergere, di valorizzare il continuo lavoro dei propri clienti, di ricercare nuovi dealer ai quali affidare la distribuzione del proprio prodotto e consolidare il marchio “3V”, sinonimo di garanzia e di indiscussa qualità di un’azienda con una profonda passione per il proprio lavoro. La cura nei dettagli, l’attenzione nei particolari, la funzionalità e la qualità dei componenti saranno alcuni degli aspetti che potrete ritrovare nelle attrezzature proposte al salone di Monaco dove verrà presentata l’FR 200, il frantumatore più “pesante” mai prodotto da un’azienda europea. Oltre 21.000 kg. di peso operativo, un’apertura di quasi 2 metri e un’altezza che sfiora i 5 metri, lo rendono indiscutibilmente il frantumatore più imponente e potente mai messo in commercio. Verrà inoltre presentato il nuovo Multi Kit Serie MK, un’attrezzatura polivalente e versatile, costituita da un corpo universale al quale vengono montati diversi kit di demolizione intercambiabili grazie ad un unico ed innovativo sistema idraulico di sgancio rapido. E per gli appassionati di modellismo industriale una sorpresa unica nel suo genere: vi porteremo a rivivere le fasi di decommisioning di uno dei più importanti siti produttivi del Nord Italia con l’esposizione di una fedele riproduzione in miniatura di ben 6 metri, con mini attrezzature al lavoro “3V”. Vi aspettiamo numerosi a Monaco nel Padiglione B3 Stand 303/404!

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E COA P P U NTAME N TI

Monaco di Baviera dal 19 al 25 aprile

2010

Bauma

Ventinovesima edizione per la più grande fiera mondiale dedicata a macchinari e materiali da costruzione e all’industria estrattiva. Il Bauma 2010 si svolgerà a Monaco dal 19 al 25 aprile, presso il New Trade Fair Centre, uno spazio espositivo di 555.000 m² che accoglierà più di 3.000 aziende da tutto il mondo, confermandosi così l’evento chiave del business internazionale. L’edizione 2007 aveva registrato la presenza di 500.000 visitatori da più di 190 Paesi, un numero destinato a crescere anche questa volta. Oltre agli stand delle imprese, il Bauma ospiterà interessanti forum di esperti che aiuteranno i visitatori ad orientarsi nel mercato del settore. www.bauma.de

Padova dal 21 al 24 aprile

Sep

SEP Systems for Environmental Projects, il forum triennale italiano dedicato all’Ambiente, durante quattro giorni di aggiornamento e confronto, affronterà le problematiche più importanti poste dal principio di sostenibilità ambientale, strumento essenziale al rilancio del mercato e delle imprese. Al forum saranno presenti le aziende più attive sul piano della promozione, formazione e comunicazione ambientale, che si confronteranno sui modelli di gestione e sugli investimenti nell’innovazione tecnologica. Questa edizione mette l’accento sul tema Città e Ambiente: dalla gestione dei rifiuti al recupero delle aree dismesse, per ridurre i costi e migliorare la qualità della vita nelle metropoli sempre più inquinate. www.seponline.it

Sustainabilit ylive!

Birmingham dal 20 al 22 aprile

Sustainabilitylive! è una rassegna internazionale dedicata all’Ambiente, che comprende cinque diversi eventi ospitati contemporaneamente nel grande National Exhibition Centre di Birmingham. BEX è il salone delle bonifiche e del recupero delle aree dismesse; ET è la fiera dei macchinari e delle tecnologie per l’ambiente; IWEX è dedicato all’industria che ruota attorno alla risorsa acqua; NEMEX punta invece al settore delle energie rinnovabili; infine SB è il salone dedicato alle industrie che hanno deciso di adottare modelli di gestione ecocompatibili, riducendo sprechi, costi e inquinamento. www.sustainabilitylive.com

Analisi di rischio sanitaria - ambientale per siti inquinati

Milano dal 26 aprile al 12 maggio

La normativa ambientale vigente conferisce notevole importanza all’analisi di rischio nell'ambito della tematica dei siti contaminati, assegnandole un ruolo centrale sia nella definizione di sito contaminato che nell’individuazione di obiettivi di risanamento sito-specifici. Il corso si rivolge a tecnici e funzionari di enti pubblici e privati, a società di ingegneria e studi professionali, alle aziende coinvolte in problemi di contaminazione dei terreni e acque sotterranee, nonché a ricercatori impegnati nel settore delle bonifiche. www.amb.polimi.it

Sol arexpo

Verona dal 5 al 7 maggio

Solarexpo, mostra e convegno internazionale su energie rinnovabili e generazione distribuita, è la fiera leader dedicata alla sostenibilità energetica e alla green economy. L'undicesima edizione propone sette percorsi, i technology focus, dedicati a tematiche energetiche di particolare attualità per creare una sinergia tra espositore e visitatore. Si affianca all’evento espositivo un ampio programma di convegni, seminari, corsi di formazione e appuntamenti speciali. In contemporanea al Solarexpo si terrà Greenbuilding, la mostra-convegno internazionale su efficienza energetica e architettura sostenibile, giunta quest’anno alla sua quarta edizione. www.solarexpo.com

Accadueo

Ferrara dal 19 al 21 maggio

Accadueo è la Mostra Internazionale delle tecnologie per il trattamento e la distribuzione dell'acqua potabile e il trattamento delle acque reflue, un appuntamento di rilevanza internazionale sia per l'importanza degli argomenti trattati sia per il peso economico e merceologico delle aziende presenti. Oltre agli spazi espositivi la rassegna offre un fitto calendario di convegni e seminari tecnici con relatori di rilievo internazionale confermandosi come sede altamente qualificata per rispondere alle esigenze di informazione e aggiornamento professionale degli operatori del settore. www.accadueo.com

Terra Futura

Firenze dal 28 al 30 maggio

Terra Futura è una grande mostra-convegno strutturata in un’area espositiva e in un calendario di appuntamenti culturali di alto spessore, tra convegni, seminari, workshop, e ancora laboratori e momenti di animazione e spettacolo. Nata dall’obiettivo comune di garantire un futuro al nostro pianeta, in questa sesta edizione Terra Futura mette al centro le tematiche e le “buone pratiche” della sostenibilità sociale, economica e ambientale, attuabili in tutti i campi: dalla vita quotidiana alle relazioni sociali, dal sistema economico all’amministrazione della cosa pubblica. www.terrafutura.it

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Anno 3 - Numero 8


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DIREZIONE DEI LAVORI. Appalti pubblici e privati A cura di Orazio Russo e Matelda Grassi

Legislazione Tecnica s.r.l. (pagine 416 – € 40,00) Questa sesta edizione è un utile, se non addirittura indispensabile, strumento per tutti i professionisti coinvolti nell'intricato mondo degli appalti pubblici e privati. Il manuale riassume con schede e dovizia di particolari tutti gli aspetti, sia legali che di forma, inerenti gli incarichi di Progettazione e di Direzione Lavori. In particolare viene ben distinta e resa facilmente comprensibile la normativa sull'affidamento pubblico, mentre per il privato sono descritti con attenzione tutti gli aspetti del Testo Unico dell'Edilizia e le varie possibilità di esecuzione delle opere con D.I.A., analizzando casi specifici e menzionando sentenze di particolare interesse. E' peraltro presente un'accurata modulistica relativa al Testo Unico della Sicurezza del Lavoro. A nostro avviso si tratta di uno strumento importante ed essenziale per tutti i professionisti del settore, utile ad alleggerire di gran lunga l'interpretazione normativa e a facilitare la corretta compilazione dei necessari documenti.

TECNICA DI POLIZIA GIUDIZIARIA AMBIENTALE. Le norme procedurali penali applicate all a normativa ambientale. Edizione 2009 A cura di Maurizio Santoloci

Diritto all’Ambiente - Edizioni (pagine 608 – € 45,00) «Questo libro è un po’ la mia storia. Personale e professionale. “Tecnica di polizia giudiziaria ambientale” è un’idea nata circa 25 anni fa quando, giovane pretore di Sorgogno (Nuoro), impegnato sul campo con gli stivali ai piedi (era il tempo dei “pretori d’assalto”, come qualcuno – per criticarci – ci definiva…), dividendo di giorno con gli operatori di PG del posto azioni di contrasto a bracconieri ed incendiari, la sera ci riunivamo per fare il punto delle situazioni ed impostare un po’ di didattica spicciola». La didattica spicciola di Maurizio Santoloci – oggi magistrato di Cassazione – con gli anni ha assunto ben altra consistenza. Tecnica di polizia giudiziaria ambientale è un manuale storico, che ha già alle spalle una decina di edizioni, la prima delle quali battuta a macchina, corretta con bianchetto, forbici e colla, ciclostilata e distribuita a mano. L’edizione 2009 integra la precedente con duecento pagine in più e due nuove sezioni, dedicate ai reati di inquinamento atmosferico e alla tutela giuridica degli animali. Il manuale è rivolto agli operatori di polizia, agli studenti, agli avvocati, ai tecnici amministrativi ma anche a tutti gli ambientalisti che hanno a cuore la difesa della legalità.

GUIDA AI FINANZIAMENTI AMBIENTALI. Come accedere ai fondi europei? A cura di Maria Adele Camerani Cerizza

Irnerio s.r.l. Edizioni e Servizi Editoriali (pagine 147 – € 22,00) I finanziamenti diretti messi a disposizione dalla Commissione europea per i progetti ambientali interessano diversi ambiti e categorie: sono rivolti ad enti pubblici, imprese, fondazioni, università, organismi di formazione e volontariato, e riguardano obiettivi molteplici, dalla riduzione del traffico stradale alle energie rinnovabili, dalla ricerca tecnologica e scientifica alla tutela della biodiversità. Il manuale, curato da Maria Adele Camerani, esperta di politiche comunitarie nel settore ambientale, accompagna passo dopo passo il lettore interessato ad ottenere il finanziamento, illustrando in modo approfondito le varie possibilità che ha a disposizione e le modalità con cui accedere ai fondi. Erogazione dei finanziamenti, progettazione comunitaria, documenti specifici e programmi ambientali sono riassunti e trattati con grande chiarezza, permettendo di orientarsi attraverso la complessità normativa. La guida fornisce inoltre un’appendice di tre allegati che si rivela molto utile come strumento di indagine sui finanziamenti indiretti, cioè provenienti dall’Unione Europea ma gestiti dalle Giunte Regionali.

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Anno 3 - Numero 8


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marzo - aprile 2010 anno III numero 8

Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 3 n. 8 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

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marzo - aprile 2010


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