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maggio - giugno 2010 anno III numero 9

Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 3 n. 9 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

RIQUALIFICAZIONE URBANA: DEMOLIRE IL VECCHIO PER CREARE SPAZI NUOVI

BONIFICHE E INVESTIMENTI IMMOBILIARI un mercato difficile per i grandi progetti di sviluppo TECNOLOGIE DI BONIFICA Europa e Stati Uniti, strategie d’intervento a confronto COMPRAVENDITA DI SITI CONTAMINATI Orientarsi fra oneri e responsabilità giuridiche

maggio - giugno 2010


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ecologia energia TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ECOLOGIA TESECO viene fondata nel 1984 e sin dal suo esordio opera nel settore ecologico. Recupero della materia, recupero di aree inquinate e produzione energetica da fonti rinnovabili sono i cardini dell’impegno TESECO, da sempre al servizio dell’ambiente. TESECO è interlocutore unico partner ideale in grado di agire con competenza, professionalità e passione nella gestione dei rifiuti speciali e nella bonifica di aree inquinate. TESECO è certificata UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001, OHSAS 18001 TESECO è a Pisa, Torino, Milano, Trieste, Terni, Brindisi e Messina.

TESECO – trattamento rifiuti TESECO è leader in Italia nel settore di trattamento dei rifiuti speciali e delle bonifiche di siti contaminati. L’azienda gestisce, nella propria sede di Pisa, una piattaforma polifunzionale per lo stoccaggio ed il trattamento dei rifiuti speciali e delle acque e dei terreni contaminati tra le più complete ed efficienti presenti nel Paese con l’impiego di impianto di inertizzazione; lavaggio terreni (soil washing); impianto di triturazione e adeguamento volumetrico; impianto chimico-fisico; impianto biologico; laboratori di analisi.

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e d i to r ia l e

RIQUALIFICARE Sì... MA COME?

L

a presenza di un sito di interesse nazionale in un contesto urbano, se da un lato modifica la percezione della situazione ambientale da parte della cittadinanza, dall’altro può rappresentare un’opportunità di sviluppo socio-economico del territorio. Infatti, affrontando in modo sistematico il problema della contaminazione dei suoli e delle acque sotterranee, è possibile migliorare realmente la qualità dell’ambiente e non solo la percezione della stessa. Recita cosi l’ultimo rapporto dell’ISPRA nella sezione dedicata ai siti contaminati di interesse nazionale. Nello stesso rapporto emerge anche la grave problematica della certificazione del territorio con un incremento annuale di 1.500 ettari; in pratica è come se ogni anno costruissimo una nuova superficie pari all’intera città di Milano. Due facce della stessa medaglia: da una parte abbiamo a disposizione migliaia di ettari di suolo contaminato abbandonato, terre di nessuno in attesa di una nuova rinascita urbanistica; dall’altra una fame insaziabile di nuovi spazi per sviluppare le aree urbane che troppo spesso vengono sottratti all’agricoltura e ai pochi spazi verdi rimasti intorno alle nostre città. Il suolo è una risorsa preziosa e limitata che è indispensabile tutelare; oggi gli investitori evitano di costruire nelle aree dismesse perché i progetti di riqualificazione nascondono imprevisti importanti legati alla variabilità di tempi di intervento e costi di bonifica, non compatibili con le esigenze di un investitore che si basano per l’appunto sulla certezza di tali fattori. Riqualificare un’area dismessa e degradata è un’operazione complessa che richiede il confronto di numerosi soggetti pubblici e privati ma che necessita soprattutto di adottare azioni concrete volte ad incentivare la riedificazione di queste aree favorendo lo sfruttamento sostenibile del territorio. Potremmo prendere esempio dai nostri vicini svizzeri che, pur con problemi legati alla densificazione ben diversi dai nostri, nel settembre 2009 presentavano un disegno di legge “Aree industriali dismesse in siti contaminati. Promozione e finanziamento della riqualificazione”: non saremo i primi ad affrontare la tematica, ma non necessariamente dobbiamo essere gli ultimi. Massimo Viarenghi

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TITOLO

9 s o mma r i o

Maggio/giugno 2010

ECO TECNOLOGIE PER L’AMBIENTE BONIFICHE E RIFIUTI

www.ecoera .it

RUBRICHE ecoNews

21 combattere il consumo di territorio e ricompattare la città per un futuro sostenibile: è la nuova urbanistica del PGT di Milano

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Vetrina

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ecoappuntamenti

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Libri

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STORIA DI COPERTINA demolire il vecchio per lasciare spazio al nuovo di Massimo Viarenghi

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ATTUALITÁ bonifiche e sviluppi immobiliari: un difficile connubio 14 di Maeva Brunero Bronzin

42 produrre energia elettrica dai rifiuti solidi urbani, energy crop e trattamento della frazione organica a confronto

innovazione e sostenibilità al cuore della nuova urbanistica di Maurizio Russo

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una sfida per il futuro, ridisegnare Milano a matita verde di Elena Donà

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procedure ed evoluzione normativa nella bonifica dei siti contaminati di M.R. Boni, C. Collivignarelli e F.G.A. Vagliasindi

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comunità sostenibili, si riparte dalle città di Elena Donà

55 demolire una gru di 400 tonnellate e 65 m di altezza in nove giorni: è il cantiere di Calata Paita, l’area portuale di La Spezia

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FABBRICA DELLE IDEE le nanotecnologie applicate al trattamento delle acque approdano anche in Italia di Ivano Aglietto e Michele Marcotti

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THE BIG EYE adeguamento alla normativa comunitaria per le discariche greche di A. Segalini, M. Bergonzoni e E. Kekridou

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REPORT

80 le linee guida della regione piemonte, uno strumento fondamentale per orientarsi nella complicata normativa di terre e rocce da scavo

le scelte sulle tecnologie di bonifica in Europa e USA 36 di L. D’Aprile, D. Darmendrail e J. Reinikainen

SPECIALE digestione anaerobica: da rsu a fonti di energia di Giuliana D’Imporzano

TESTED una pinza per amica, l’alleata nelle demolizioni di Costantino Radis

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Anno 3 - Numero 9

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Anno 3 - Numero 9 Maggio - Giugno 2010 Direttore responsabile: Massimo Viarenghi Direttore editoriale: Tina Corleto Direttore commerciale: Maria Beatrice Celino Coordinamento editoriale: Maeva Brunero Bronzin

PANORAMA AZIENDE dai primi scavi alle energie alternative, 50 anni per l’ambiente di Maria Beatrice Celino

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WORK IN PROGRESS ossigeno e pressione per risolvere il problema delle vecchie discariche di F.W. Budde, P. Chlan, P. Degener e P. Trincanato la demolizione del gigante di ferro di paita di Ivan Poroli i primi in europa a spazzare le strade per ricavarne materiali edili certificati di Ezio Esposito

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Collaboratori: Ivano Aglietto, Elena Antonucci, Walter Bambara, Marco Bergonzoni, Maria Rosaria Boni, Friedrich Budde, Francesco Caridei, Maria Beatrice Celino, Peter Chlan, Carlo Collivignarelli, Laura D’Aprile, Dominique Darmendrail, Peter Degener, Giuliana D’Imporzano, Elena Donà, Ezio Esposito, Angela Garcia Perez, Ezio Giacobone, Federica Gubiani, Elpida Kekridou, Luna Maldi, Michele Marcotti, Pietro Cella Mazzariol, Francesco Montefinese, Quintilio Napoleoni, Marco Pagano, Patrizia Pretto, Ivan Poroli, Andrea Quaranta, Costantino Radis, Jussi Reinikainen, Roberto Ricci, Enzo Rizzi, Maurizio Russo, Andrea Segalini, Paolo Trincanato, Ornella Vacca, Federico Vagliasindi, Federico Vanetti Comitato Scientifico: Daniele Cazzuffi (Cesi spa – Remtech) Laura D'Aprile (ISPRA, Roma) Ennio Forte (Università degli studi di Napoli) Luciano Morselli (Università di Bologna) Andrea Quaranta (Giurista ambientale – Roma) Gian Luigi Soldi (Provincia di Torino) Federico Vagliasindi (Università di Catania) Maria Chiara Zanetti (Politecnico di Torino) Ufficio commerciale - Vendita spazi pubblicitari: Maria Beatrice Celino Tel. 011 7802164 Cell. 335 237390 e-mail: b.celino@deaedizioni.it

PROGETTI E TECNOLOGIE gestione dei sedimenti tra innovazioni e rispetto dell’ambiente di W. Bambara, F. Gubiani, Q. Napoleoni ed E. Rizzi

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Grafica, disegni e impaginazione: PeVmedia - C.so Francia, 128 - 10143 Torino

le biotecnologie applicate ai siti contaminati da cromo esavalente di R. Ricci, P. Pretto, A. Garcia Perez

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Abbonamenti: Italia annuo € 30,00 - estero annuo € 50,00 copia singola € 6,00 - arretrati € 10,00 Per abbonarsi è sufficiente fare richiesta a info@deaedizioni.it

ex fiat avio, la gestione dei materiali di scavo e demolizione di L. Maldi, E. Antonucci e O. Vacca

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l’innovazione nella rimozione di composti organici dal sottosuolo di Francesco Caridei e Marco Pagano

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biofiltrazione in discarica per abbattere il metano di Pietro Cella Mazzariol

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NORMATIVA terre e rocce da scavo, le linee guida della Regione Piemonte di Ezio Giacobone a chi tocca bonificare? di Federico Vanetti strumenti di compravendita per siti (potenzialmente) contaminati di Andrea Quaranta

Stampa: Tipografica Derthona - s.s. per Genova, 3/I - 15057 Tortona (AL) Responsabilità: la riproduzione delle illustrazioni e articoli pubblicati dalla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizzazione della Casa Editrice. I manoscritti e le illustrazioni inviati alla redazione non saranno restituiti, anche se non pubblicati, e la Casa Editrice non si assume responsabilità per il caso che si tratti di esemplari unici. La Casa Editrice non si assume responsabilità per i casi di eventuali errori contenuti negli articoli pubblicati o di errori in cui fosse incorsa nella loro riproduzione sulla rivista. La responsabilità di quanto espresso negli articoli firmati rimane esclusivamente agli Autori. Direzione, Redazione, Abbonamenti, Amministrazione:

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ASSOCIAZIONe STUDI AMBIENTALI Un paradosso tutto italiano nella gestione degli inerti 9 0

DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone 127 10095 Grugliasco (TO) Tel. 011 7802164 Fax 011 4047946 e-mail: info@deaedizioni.it www.deaedizioni.it

Organo Ufficiale dell'Associazione Studi Ambientali L’abbonamento è deducibile al 100%. Per la deducibilità del costo ai fini fiscali vale la ricevuta del versamento a norma D.P.R. 22/12/86 n. 917 artt. 50 e 75. Conservare il tagliando - ricevuta, esso costituisce documento idoneo e sufficiente ad ogni effetto contabile. Non si rilasciano in ogni caso altre quietanze o fatture per i versamenti in c.c.p. Pubblicazione bimestrale Poste Italiane Spa – Sped. in a.p. D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art. 1, c. 1 – registrata presso il Tribunale di Torino il 19 ottobre 2009 al n. 56. Ai sensi del D.Lgs. 196/2003, informiamo che i dati personali vengono utilizzati esclusivamente per l’invio delle pubblicazioni edite da DEA edizioni s.a.s. Telefonando o scrivendo alla redazione è possibile esercitare tutti i diritti previsti dall’articolo 7 del D. Lgs. 196/2003.


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l’amianto di sbitri, 1 milione di euro per l a bonifica mai terminata E’ una situazione insostenibile quella di Sbitri, il villaggio fantasma con le case abusive fatte di eternit nel Comune di Brindisi. L’area era stata oggetto di una lunga indagine per abusivismo edilizio, che aveva portato nel 2007 alla demolizione di una settantina di abitazioni. Il villaggio, però, non è mai stato bonificato una volta per tutte dopo la demolizione, e ora l’amianto sbriciolato è entrato a contatto con l’ambiente. Per evitare la dispersione delle fibre, il materiale era stato incapsulato con una spesa di 50.000 euro, pagati dal Comune di Brindisi, ma poi i contenitori erano rimasti sul luogo, esposti agli agenti atmosferici. Un sopralluogo dei carabinieri fra le macerie ha confermato quanto denunciato dai cittadini, e cioè che le coperture si sono gravemente deteriorate, permettendo il rilascio delle fibre tossiche. Negli ultimi tre anni la rimozione definitiva dell’amianto è rimasta in stallo a causa di un paradossale scaricabarile in merito agli oneri di bonifica: il terreno interessato è infatti di proprietà dell’Agenzia del Demanio - che sarebbe però esonerata da ogni responsabilità, in quanto non tenuta a sorvegliare l’area - e dunque la procedura prevede che il Comune non possa investire denaro pubblico se non agendo in danno, e cioè anticipando l’intera somma per poi rivalersi sul proprietario dell’area, il demanio stesso. L’amministrazione comunale ha ritenuto di non procedere in questa direzione per non creare un precedente pericoloso per possibili rivalse sul Comune in futuro. E così l’amianto è rimasto abbandonato. Per portare a termine la bonifica di Sbitri è necessario un milione di euro. La Regione Puglia ne ha appena messi a disposizione 450.000, che serviranno a rimuovere l’amianto. Lo smaltimento vero e proprio avverrà in un secondo momento, quando l’amministrazione comunale potrà disporre della somma rimanente.

decreto raee, dal 19 maggio uno contro uno Una buona notizia per la gestione dei RAEE, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche: dal 19 maggio di quest’anno è infatti possibile restituire gratuitamente il vecchio elettrodomestico presso il punto vendita in cui viene effettuato l’acquisto sostitutivo, secondo il principio del ritiro “uno contro uno”. La disposizione era già contenuta all’interno del Decreto RAEE pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 29 luglio del 2005 e reso attuativo dal novembre 2007, e finalmente dopo 30 mesi di attesa lo smaltimento gratuito diventa realtà. Il provvedimento punta ovviamente ad au-

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mentare la percentuale di RAEE destinati al recupero, con un risparmio sensibile per tutti, consumatori compresi, e contemporaneamente si spera farà registrare un calo nell’abbandono illecito delle apparecchiature nelle discariche non controllate. A partire dal 19 maggio i distributori avranno 30 giorni di tempo per effettuare l’iscrizione all’apposita sezione dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali e saranno obbligati a ritirare le apparecchiature gratuitamente e ad organizzarne il trasporto presso i centri di raccolta senza alcun costo per il cliente.

stati uniti, le società del petrolio e del carbone attaccano l’epa Battaglia aperta negli Stati Uniti fra consiglieri di Stato e giganti del petrolio: mentre il disastro della British Petroleum resta sullo sfondo e la Shell ha appena ottenuto il via libera per installare nel Mare Artico una piattaforma dello stesso tipo della Deepwater Horizon, una coalizione di industrie del greggio ha citato in giudizio l’EPA, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente americana. Al centro dell’accusa, la nuova normativa che imporrà alle case produttrici di automobili di limitare il consumo di carburante nei nuovi modelli in progettazione. Secondo le compagnie del petrolio si tratta di norme che se applicate in modo estensivo precluderanno completamente le possibilità di lavorare. Ma i petrolieri non sono gli unici ad accusare la politica dell’EPA: la Massey Energy, la società che gestiva la miniera di carbone crollata il mese scorso a Montcoal, West Virginia, ha tentato in ogni modo di impedire l’approvazione della nuova normativa sulla sicurezza in miniera. Il regolamento proposto dall’EPA è stato definito dall’amministratore delegato della società “sciocco come il global warming”.

tre anni al servizio dei piccoli porti Due milioni di euro di budget a disposizione e tre anni di lavoro, fino al 2012: arriva Suports, il progetto finanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nato per aiutare i porti marittimi di piccole dimensioni a migliorare le prestazioni ambientali e ad adeguarsi alla normativa comunitaria. Sono circa 700 i porti sparsi in tutta Europa che non raggiungono il milione di tonnellate di movimento annuo, e che faticano ad intraprendere le pratiche per la corretta gestione ambientale che sono – o dovrebbero essere – già in atto nei grandi porti. Il proget-


to Suports li aiuterà a mettere in atto strategie di sviluppo sostenibile attraverso l’identificazione e la promozione delle migliori tecniche di dragaggio, lo studio dell’impatto delle attività portuali sull’ambiente marittimo circostante, la promozione di mezzi per accrescere la biodiversità della fauna locale - per esempio migliorando la qualità dell’acqua - e l’adattamento degli strumenti di gestione già sperimentati sui porti più grandi, così da poter conseguire le certificazioni ambientali necessarie. Fra i partner del progetto il Seine Maritime County Council, la Fondazione Ecoports, l’Autorità Portuale di Piombino, la Fondazione ANCI Ideali, l’Associazione dei porti della Galizia, l’East Sussex County Council, il Porto di Klaipedia (Lituania), l’organizzazione non governativa MEDSOS, la Daneth di Tessalonica e l’ISPRA.

crime mapping per l’abbandono dei rifiuti Un prestito dalla psicologia investigativa: i fondamenti sociologici e criminologici del crime mapping, la tecnica sviluppata negli anni ’50 dalla Scuola di Chicago ha trovato applicazione anche nella lotta ai reati ambientali: il Comune di Milano ha sperimentato la strategia americana nel corso del Progetto Provincia Pulita, che ha portato alla compilazione della mappatura degli abbandoni illeciti di rifiuti sul territorio. I rilevamenti sono stati eseguiti dalle Guardie Ecologiche Volontarie del-

le Provincie di Milano e Monza e Brianza, che hanno creato un database geografico per l’elaborazione dei dati. L’analisi statistico-centrografica delle informazioni, effettuata tramite ArcGIS e Crime Stat, ha permesso poi di rilevare la presenza di clusters (associazioni non casuali di elementi puntuali) e hotspots (aree di addensamento del fenomeno) per la redazione delle carte tematiche. Sulla base dei risultati ottenuti sarà ora possibile coordinare in modo più efficiente l’attività di vigilanza, riducendo i costi ed aumentando i controlli nelle aree maggiormente interessate. Il metodo sarà presto applicato anche alla costruzione di modelli di analisi dei reati ambientali di tipo seriale: non solo abbandono di rifiuti ma anche bracconaggio, incendi dolosi, inquinamento pericoloso, che saranno oggetto di operazioni investigative volte a prevedere i movimenti futuri dei soggetti criminali.


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vi rapporto ispra: poche bonifiche e troppo cemento nelle città italiane Ogni anno 1.500 ettari di terreno lasciano posto al cemento: è quanto emerge dal rapporto ISPRA sulla qualità dell’ambiente urbano, giunto alla sesta edizione. In assenza di un’attenta pianificazione territoriale il consumo di suolo non accenna a diminuire: invece di riqualificare le tante aree degradate e dismesse presenti nelle città italiane, si preferisce edificare sul greenfield, senza curarsi delle conseguenze. Molte città italiane hanno ormai raggiunto la saturazione, peggiorando pesantemente la qualità della vita di chi la abita. Oltre al consumo di territorio verde, analizzando i dati raccolti dai ricercatori dell’Istituto emerge come il traffico, nonostante il potenziamento dei mezzi pubblici messo in atto in molte città, sia ancora un problema consistente nei centri urbani maggiori, rendendo quasi invivibili città come Milano e Roma. Tra i fattori negativi si segnala ancora il superamento dei limiti previsti dalla legge per le polveri sottili, che hanno lasciato in pace appena sei città lungo tutta la penisola: Bolzano, Trieste, Aosta, Genova, Perugia, Potenza e Cagliari. Bandiera nera per tutte le altre.

scorie radioattive, östhammar il primo deposito al mondo? Potrebbe essere la Svezia il primo Paese al mondo ad ospitare un deposito definitivo per scorie nucleari. Se l’International Atomic Energy Agency darà parere positivo, i lavori per aprire la discarica cominceranno nel 2015, ad Östhammar, in modo da agevolare lo smaltimento della vicina centrale nucleare di Forsmark. Prima di essere tombate le scorie di uranio saranno ossidate, trasformate in pellet e racchiuse all’interno di involucri successivi. Il primo contenitore sarà spesso 5 cm, con scheletro d’acciaio e rivestimento in rame. L’involucro verrà successivamente ricoperto di cemento e sarà interrato in un sito di roccia cristallina circondata da argilla a 500 metri da terra, in tunnel lunghi 250 metri. Una volta riempiti, i tunnel saranno sigillati definitivamente. La quantità totale di scorie che il sito dovrebbe ospitare è stimata ad oggi intorno ai 24.000 metri cubi, ma la cifra è sicuramente destinata ad aumentare, anche in vista della probabile apertura di nuove centrali nel Paese, vincolata per legge alla realizzazione del deposito.

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mud, scadenza rinviata al 30 giugno Le 600.000 imprese che dovevano presentare la dichiarazione ambientale entro il 30 aprile 2010 avranno due mesi in più per completare il modello unico, come stabilito dal decreto firmato dal Consiglio dei Ministri fortemente voluto dal Ministro Prestigiacomo. La richiesta era stata fatta pervenire al Ministero dell’Ambiente dalle associazioni imprenditoriali e il decreto correttivo era già pronto da settimane; l’approvazione era rimasta in stallo a causa del veto posto dal ministro Tremonti, e la situazione aveva creato parecchio caos fra le aziende, visto che la proroga era stata annunciata già da tempo (fra l’altro i nuovi moduli per la compilazione del modello erano stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale soltanto mercoledì… a due giorni dalla scadenza). Nessuna proroga invece per l’adeguamento al SISTRI, e sono in arrivo pesanti sanzioni per i soggetti che non abbiano ottemperato all’obbligo di iscrizione entro il 29 aprile come già precedentemente indicato.

sotto sequestro l’area dell a bonifica dell’ex Mangelli di Forlì Problemi per la bonifica dell’ex Mangelli di Forlì. 6.000 metri cubi di rifiuti pericolosi derivanti dalle attività di risanamento erano accatastati da anni a 100 metri dalla stazione ferroviaria, nell’area di proprietà del Comune, area che ora è sotto sequestro in seguito all’intervento dei carabinieri del nucleo per la tutela ambientale. Da mesi i residenti nella zona avevano denunciato pesanti irritazioni alle vie respiratorie dovute proprio allo stoccaggio del materiale. La bonifica dell’ex industria chimica era stata sospesa nel luglio del 2009 a causa dei ritardi nell’approvazione di una perizia da 1,9 milioni di euro, resasi necessaria in seguito all’aumento della quantità di rifiuti tossici pericolosi che andavano smaltiti nei centri appositi. L’approvazione era però arrivata nel dicembre dello stesso anno e al momento l’amministrazione comunale sta attendendo l’autorizzazione dei Paesi transfrontalieri a cui saranno destinati i carichi da smaltire. Secondo la giunta lo stoccaggio era dunque perfettamente regolare ed eseguito a norma di legge. Sulla faccenda indagherà ora la magistratura, alla quale le autorità comunali hanno promesso collaborazione fin da ora.


primi passi per l a bonifica del sito di stoccaggio provvisorio di Mondragone

Potrebbe cominciare a breve la bonifica della cava di Cantarella, contrada di Mondragone nella Provincia di Caserta. Il sindaco Cenammi e l’assessore delegato Fusco hanno infatti richiesto la convocazione di un tavolo tecnico con lo scopo di stilare un cronoprogramma che permetta di dare finalmente inizio allo svuotamento e alla bonifica della cava, che si trova proprio ai piedi del Monte Petrino. La bonifica della cava dovrebbe essere il primo passo per ripulire definitivamente il sito di stoccaggio temporaneo istituito a causa dell’emergenza rifiuti, che attualmente giace in stato di abbandono, sequestrato dalle autorità giudiziarie dopo essere stato incendiato. La giunta comunale ha inoltre dichiarato che il risanamento dell’area è una priorità assoluta, per la salute dei cittadini ma anche perché il sito si trova a ridosso di un’area molto interessante per i beni culturali e il degrado sta danneggiando pesantemente lo sviluppo turistico locale.

Scade il 1° settembre l a richiesta per i finanziamenti LIFE+ 2010 La Commissione Europea ha pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'UE C 114 del 4 maggio l’invito a presentare proposte per la procedura di selezione LIFE+ 2010. L’avviso riguarda le seguenti tematiche: • LIFE+ Natura e biodiversità • LIFE+ Politica e governance ambientali • LIFE+ Informazione e comunicazione Le proposte di progetto dovranno pervenire entro e non oltre le ore 17.00 del 1° settembre 2010 al Punto di Contatto nazionale (Direzione per lo Sviluppo Sostenibile, il Clima e l’Energia). Le proposte ricevute saranno successivamente trasmesse alla CE entro il 4 ottobre 2010. Il bilancio complessivo per le sovvenzioni di azioni per progetti nel quadro di LIFE+ nel 2010 ammonta a oltre 243 milioni di euro. I beneficiari potranno essere enti pubblici e/o privati, soggetti e istituzioni registrati negli Stati membri dell'Unione Europea. Informazioni e moduli reperibili all’indirizzo http://ec.europa.eu/environment/life/funding/lifeplus.htm.


s to r i a d i co p e rt i n a

DEMOLIRE IL VECCHIO PER LASCIARE SPAZIO AL NUOVO Il presidente di NAD ci illustra lo scenario del mercato immobiliare che guarda alla demolizione come fondamentale strumento operativo per la riqualificazione dei vuoti urbani di Massimo Viarenghi

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iene definito come una grave malattia che da anni attanaglia la nostra nazione: stiamo parlando del consumo di territorio, che nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e un’estensione devastante, strappando oltre 3 milioni di ettari a terreni agricoli e verde, facendo espandere a macchia d’olio quartieri periferici e case dormitorio e svuotando i centri storici. Le amministrazioni stanno prendendo coscienza di questo problema e corrono ai ripari promulgando piani di governo a consumo di territorio zero, privilegiando interventi su aree esistenti oggi abbandonate, i cosiddetti vuoti urbani, sovente degradati e compromessi dal punto di vista ambientale. Un estratto della Carta AUDIS (Associazione Aree Urbane Dismesse) chiarisce molto bene questa tendenza: “Il trasferimento dalle città di un vasto sistema di attività avvenuto negli ultimi decenni, ha progressivamente indebolito i centri urbani impoverendoli di funzioni e persone, causando squilibri territoriali, sociali, ambientali ed economici. La domanda di spazi e funzioni che la città continua a produrre e la necessità di non proseguire con lo spreco della risorsa territorio, rendono evidente come le aree dismesse costituiscano un fattore strategico del processo di rigenerazione e sviluppo della città contemporanea”. In questo contesto, il mercato immobiliare guarda sempre più al decommissioning come

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risorsa per ridare nuova vita a queste aree. Demolire e risanare il vecchio per dare spazio al nuovo; negli ultimi anni sono sempre di più gli interventi edilizi e di sviluppo che vedono impegnate imprese di demolizione nei centri urbani in condizioni operative complesse e delicate. Spazi angusti, altezze elevate, presenza di materiali pericolosi, elevati standard di sicurezza, procedure di controllo, sono solo alcune delle difficoltà da affrontare in un intervento di demolizione che per complessità è del tutto paragonabile ad un intervento di costruzione. Il mercato delle demolizioni in Italia è rappre-

Rag. Maurizio Massaia, Presidente Associazione Nazionale Demolitori

sentato da NAD, l’Associazione Nazionale Demolitori, che da cinque anni raggruppa le più importanti realtà imprenditoriali operanti nel settore; abbiamo intervistato il presidente neoeletto Rag. Maurizio Massaia sui legami esistenti fra questo mercato e il real estate, facendo anche il punto sulla necessità di un rinnovamento normativo atteso ormai da 30 anni. Il real estate e gli sviluppi immobiliari rappresentano un bacino di clienti molto importante per chi demolisce e bonifica? Indubbiamente gli sviluppi immobiliari costituiscono una risorsa di clientela abbastanza rilevante per le attività delle aziende legate all’associazione che si occupano di demolizione e bonifica. Credo sia superfluo sottolineare che lo scenario è cambiato notevolmente negli ultimi due anni a seguito della crisi, cambiamento che ha generato una fortissima battuta di arresto alla maggior parte dei progetti di riqualificazione urbana ed extraurbana. Ci attendiamo in tal senso un cenno di ripresa del mercato e di conseguenza del real estate. Demolire il vecchio per lasciare spazio al nuovo, questi sono gli obiettivi dei nuovi piani di governo del territorio; ritiene che ciò darà un nuovo impulso al settore? Sicuramente demolire il vecchio per lasciare spazio al nuovo è sempre stata la maggior fonte di attività per le imprese del nostro settore. Ritengo che in futuro saranno sempre di più gli interventi che ci vedranno operare in aree


urbane, per due motivazioni: la prima è la tendenza dei nuovi piani regolatori a privilegiare interventi immobiliari e di sviluppo su ex aree industriali inglobate oggi nel tessuto urbano; la seconda è legata al deterioramento del patrimonio edilizio popolare esistente, che inevitabilmente necessiterà di essere sostituito. Riallacciandomi a quanto detto prima, è chiaro che la ripresa economica del settore immobiliare darà nuovo impulso a tutti quegli investimenti di riqualificazione che sono rimasti latenti e che necessiteranno di interventi di demolizione e bonifica prima che si possa procedere alla realizzazione di nuovi insediamenti. Sovente le imprese di demolizione sono chiamate ad operare in condizioni sempre più complesse nel cuore delle città, su grandi altezze e in spazi angusti. Come si affrontano le continue sfide tecniche imposte dal mercato? Le difficoltà che incontrano le imprese di demolizione sono sicuramente sempre più complesse in un settore che è cresciuto di pari passo con investimenti importanti e tecnologicamente avanzati. Come conseguenza è cresciuto notevolmente anche il livello tecnico delle imprese, consentendo di affrontare sfide giornaliere con sempre maggior tranquillità, sia per il personale che per le strutture e i manufatti oggetto di demolizione. Il quotidiano

confronto con problematiche sempre nuove e diverse è stato fin dagli inizi un punto di forza delle imprese di demolizione del NAD; ogni cantiere è diverso dall’altro e ogni attività deve essere affrontata in funzione del contesto all’interno del quale è inserita, sia esso nel cuore di una città o all’interno di uno stabilimento industriale produttivo, o meglio ancora all’interno di un’area dismessa. Le tecnologia a disposizione delle imprese di demolizione, la qualificazione continua del personale e la professionalità dei tecnici consentono di affrontare qualsiasi progetto. La gestione dei rifiuti in cantiere è sempre più complessa e delicata. Come si stanno organizzando le imprese vostre associate? La gestione dei rifiuti di risulta dalle attività di demolizione è sempre stata affrontata da tutte le imprese associate nel rispetto delle normative, e il continuo adeguamento richiesto dalle medesime ha comportato sicuramente un consistente aggravio dei costi nella gestione dei rifiuti. Negli anni le cose sono cambiate moltissimo: una legislazione sempre più severa e complessa ha fatto sì che il settore delle demolizioni e quello della gestione dei rifiuti fossero sempre più strettamente collegati tra loro; siamo passati da una gestione con la semplice ddt (bolla di trasporto) ad una gestione con il formulario di identificazione del

rifiuto inserito all’interno di un complesso sistema che consente la tracciabilità di tutti i rifiuti smaltiti e/o recuperati. Ci troviamo oggi ad affrontare un ulteriore nuovo radicale cambiamento con l’avvento del sistema SISTRI (sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti) a cui tutte le imprese associate si stanno adeguando, come prescritto dal Decreto. A livello nazionale manca una normativa di settore sulle demolizioni, che vengono disciplinate nel solo TU 81/08, riprendendo degli articoli vecchi di 30 anni. Come si spiega questa carenza legislativa? Si tratta di una carenza purtroppo assai rilevante, dovuta al fatto che all’interno del D.Lgs. 81/08 sono stati ripresi e trasferiti integralmente sei articoli dal DPR n. 164 del 1956. Gli articoli di legge citati in tale Decreto e successivamente ripresi nel Testo Unico del 2008 si riferivano ad attività di demolizione edile manuale, che comportavano quindi una gestione delle attività completamente diversa da quella attuale. Oggi le imprese di demolizione lavorano nella quasi totalità dei casi con mezzi operativi di dimensioni molto importanti, con bracci alti speciali da demolizione e con modalità operative innovative. Il NAD si sta muovendo su alcuni tavoli tecnici degli Enti di riferimento per evidenziare l’importanza di un progetto articolato in funzione

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s to r i a d i co p e rt i n a

della complessità dell’intervento – e non di un generico programma, come previsto dalla normativa attuale – ma soprattutto si è posto l’obiettivo di qualificare l’attività di demolizione ottenendo il giusto riconoscimento alla professionalità e alla tecnologia che oggi tutte le imprese associate al NAD mettono in campo giorno per giorno. Ci tengo a sottolineare che raggiungere elevati standard di qualità, sicurezza e tecnologia ha comportato per tutte le imprese importanti investimenti nell’arco degli ultimi decenni e considerando ciò, la carenza legislativa evidenzia la pesante difformità nell’interpretazione dell’impegno che comporta “Demolire e Decostruire” con la D maiuscola. Con la nascita del NAD i soci fondatori si erano posti un obiettivo ben definito: qualificare la demolizione. A distanza di cinque anni, ritenete di averlo raggiunto? Direi che il lavoro fatto fino ad oggi è stato piuttosto consistente. La Commissione Tecnica che ha operato fin dalla costituzione del NAD si è impegnata notevolmente, raggiungendo degli obiettivi importanti, come la realizzazione e pubblicazione di due manuali inseriti all’interno di un progetto che prevede una collana di cinque volumi. Nel primo volume presentato nel 2007 dal titolo “L’Appalto” sono state affrontate tutte le problematiche che incontra una committente nel momento in cui decide di approcciare l’assegnazione di un intervento di demolizione. Si è cercato di concentrare nel testo tutta l’esperienza accumulata negli ultimi 30 anni dagli associati al NAD, realizzando un documento che potesse essere d’aiuto a tutti coloro che devono affrontare la gestione di un appalto. Nel secondo volume, “Bracci alti”, uscito due anni dopo, è stata invece affrontata la demolizione con macchine speciali e bracci da demolizione che raggiungono elevazioni importanti (oltre i 50 metri), con l’obiettivo di regolamentare questa tipologia di intervento, ad esempio raccogliendo e codificando gli elevati standard di sicurezza richiesti dalle difficili operazioni. Attualmente è in fase di stesura il terzo manuale della collana, che affronterà l’argomento “Sicurezza nei cantieri”, volume che verrà presentato entro la prossima primavera.

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Detto ciò, credo che raggiungeremo a breve l’obiettivo definito al momento della fondazione, continuando a fare quello che sappiamo fare molto bene: “Progettare e Demolire” ma con il giusto riconoscimento di una regolamentazione normativa. La vostra associazione è stata chiamata negli anni ad intervenire durante disastri come quello dell’Aquila, dimostrando sempre una grande professionalità e tempi di risposta ridottissimi. Che cosa vi ha lasciato questa esperienza? Un profondo segno tra le imprese NAD. Tra gli scopi associativi è inserita la disponibilità ad intervenire in occasione di calamità naturali, e così abbiamo fatto. Le imprese associate che si sono presentate sul posto con mezzi e uomini nell’arco di 24 ore dalla chiamata della Protezione Civile, si sono trovate davanti ad un disastro di dimensioni terrificanti. L’esperienza ha comunque avuto – passatemi il termine non corretto considerata la circostanza – un riscontro positivo per tutte le imprese che hanno partecipato all’intervento di soccorso, sia per quanto riguarda i tempi di risposta alla richiesta di aiuto, concretizzatisi immediatamente, sia perché pur avendo operato in condizioni assolutamente critiche, lavorando in maniera continuativa per quasi una settimana, sono riuscite comunque nell’intento di salvare la vita della Sig.na Eleonora Calesini. Davanti ad una catastrofe così grande, l’Associazione ha confermato la propria disponibilità, dimostrando organizzazione ed operatività adeguate alla situazione. Quali saranno i nuovi mercati che si apriranno nel prossimo futuro? Mi piacerebbe saper leggere la sfera di cristallo per poter dare una risposta concreta e certa ma come potete immaginare non mi è possibile.Credo però che gli scenari futuri potranno offrire alle imprese di demolizione nuove opportunità logicamente legate al mondo dell’ambiente, al suo recupero e alla salvaguardia, ripristinando e riqualificando territori attorno e all’interno delle città, che hanno subito nell’arco di decenni gravi contaminazioni e realizzazioni oramai vetuste e non più utilizzabili.


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BONIFICHE E SVILUPPI IMMOBILIARI: UN DIFFICILE CONNUBIO GLI OSTACOLI DA RIMUOVERE PER RICHIAMARE GLI INVESTITORI SUI GRANDI PROGETTI DI RIQUALIFICAZIONE, NELL’ESPERIENZA DI CHI, COME IMMIT, GESTISCE CONSISTENTI PATRIMONI IMMOBILIARI di Maeva Brunero Bronzin

L

a società IMMIT nasce a cavallo tra il 2007 e il 2008 all’interno del Gruppo Intesa-Sanpaolo, con l’obiettivo di posizionarsi sul mercato azionario come società di investimento immobiliare quotata (SIIQ). Nel 2008 IMMIT aveva un portafoglio di circa 1 miliardo di euro, senza leva finanziaria, e il parco immobiliare, proveniente da Banca IntesaSanpaolo, era costituito per lo più da immobili non strategici e non strumentali, destinati al

Ing. Fabrizio Longo, responsabile del Dipartimento Project di IMMIT

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mercato retail della clientela della stessa Intesa. In seguito al crollo delle borse dei primi mesi del 2008 la società decise di non proporsi sul mercato in un momento così sfavorevole e preferì cedere l’intero portafoglio a FIMIT SGR – Società di Gestione del Risparmio attiva nel settore dei fondi comuni di investimento immobiliare – che ricollocò gli immobili all’interno del fondo immobiliare Omega, un fondo chiuso e non quotato rivolto ad investitori istituzionali. Al momento della cessione il patrimonio immobiliare era composto da 284 immobili, per una superficie complessiva di circa 420.000 metri quadrati, concentrati prevalentemente a Milano e a Roma. Ad oggi IMMIT continua a gestire il portafoglio del fondo Omega per conto di FIMIT, ricoprendo funzioni di facility, property e project management. Abbiamo intervistato l’ing. Fabrizio Longo, responsabile del Dipartimento Project di IMMIT, il quale si occupa della gestione degli appalti e degli sviluppi dei progetti di investimento e riqualificazione di parte degli immobili del fondo. La situazione è ancora piuttosto critica per il mercato degli investimenti immobiliari e lo è particolarmente per le aree dismesse. Per trovare un investitore disposto ad accollarsi la bonifica di un sito bisogna

essere in grado di fornire risposte certe per quanto riguarda i costi e le tempistiche, cosa che risulta spesso impossibile. La conseguenza è che troppe aree in attesa di bonifica restano ferme, con una perdita economica notevole. Ci conferma questa lettura? Assolutamente. Un problema considerevole del real estate italiano è che, a differenza di quanto accade in altri Paesi e soprattutto nel Nord Europa, manca una differenziazione precisa delle classi di investimento, ossia i cosiddetti asset classes. Purtroppo nel processo intervengono aspetti fiscali, normativi, amministrativi, ambientali e gestionali-finanziari; è tutto un unico insieme complesso di fattori diversi, che spesso si confronta e scontra con la rigidità delle amministrazioni e del sistema fiscale. Personalmente ritengo che il mercato italiano, pur tra mille difficoltà, oggi sia un mercato maturo, su cui si affacciano player strutturati che potrebbero portare investimenti interessanti. Il problema è che oggi quasi tutti gli investitori vogliono immobili nuovi, belli e soprattutto pronti in tempi brevissimi, da cui si possa semplicemente trarre guadagno, utilizzando leva ed equity. Per contro, dal punto di vista urbanistico c’è bisogno di soggetti disposti ad investire milioni di euro su siti


strategici contenenti passività ambientali più o meno importanti. Ovviamente l’investimento su un brownfield deve presupporre un guadagno per l’investitore, al pari di quanto accade con i greenfield. In Italia siamo arrivati a un punto in cui sembra che dire “voglio guadagnare su di un’area compromessa o contaminata” equivalga a “ho ucciso qualcuno”. Ma perché non si capisce che questa potrebbe essere un’opportunità di guadagno per tutti? Prendendo Milano come esempio, le zone a nord est e a nord ovest della città sono piene di capannoni dismessi e vecchie fabbriche abbandonate. Bisognerebbe investire in queste bonifiche, ma nessuno lo fa. Mi collego a quanto ha appena detto a proposito di Milano: non crede che il progetto del PGT, il nuovo piano di governo del territorio, potrà smuovere qualcosa per quanto riguarda gli investimenti nelle aree dismesse? Innanzitutto bisogna vedere se e come sarà approvato. Personalmente, pur senza volermi sostituire in nessun modo a chi ci sta lavorando e si sta impegnando a fondo, temo che l’introduzione del piano porterà nuove problematiche. Come in tutti i nuovi piani, ci sono aspetti estremamente positivi ed aspetti negativi; un aspetto positivo è che sono state individuate alcune zone della città in cui tutto è rimasto fermo per decenni mentre ora potranno essere aperti nuovi cantieri. Ciò che invece mi lascia molto dubbioso è il fatto che si possa semplicemente prendere una superficie che avanza in una certa via e trasferirla altrove. Ci sono punti in cui il tipo di insediamento è caratteristico e rischiare di deturparlo mi sembra veramente una cosa assurda. Con questo non voglio dire che ogni cosa vada conservata com’è, perché stiamo arrivando a delle situazioni folli, con edifici che cadono a pezzi ma guai a chi li tocca. Ritengo che ci voglia un certo equilibrio tra

ciò che è antico e va preservato e ciò che è vecchio e deve essere demolito o ristrutturato integralmente. Io non so cosa potrà fare il PGT, ma tornando al discorso della valorizzazione delle aree dismesse, la cosa importante è che finché le amministrazioni pubbliche non capiranno che per risolvere certe situazioni c’è bisogno di investimenti - e di incentivi che consentano a chi investe di trarre profitto - queste aree non verranno mai valorizzate. In concreto che cosa potrebbe fare l’amministrazione comunale per sbloccare la situazione? Faccio il primo esempio che mi viene in mente: cos’è che non costa nulla, o quasi, al Comune? La superficie lorda di pavimento, l’SLP. All’amministrazione non costa nulla perché i costi di urbanizzazione vengono ribaltati allo sviluppatore, per il quale l’SLP è invece fonte di guadagno. Se un investitore punta su un’area che magari è ambientalmente disastrata e che comporta costi di bonifica altissimi, avere a disposizione incentivi sull’SLP diventa un aiuto fondamentale. Il Comune non ci perde nulla, anzi, ha guadagnato una bonifica e la riqualificazione di un’area, con conseguenti vantaggi sociali in termini di vivibilità e qualità urbana. Prendiamo per esempio aree come quella di Affori: sono aree malmesse, piene di vecchi immobili che però da un po’ di tempo stanno cominciando a trasformarsi grazie anche alla costruzione di nuovi edifici architettonicamente ed energeticamente efficienti; il vecchio che lascia spazio al nuovo. Il rinnovamento di un’area significa nuova densificazione, nuove necessità, nuovi negozi, nuovi servizi, e questo è tanto più importante se l’area di partenza risultava degradata e compromessa.

Dal punto di vista tecnico-operativo, quali sono gli step per valutare l’investimento di un’area da bonificare? Il percorso è semplice: innanzitutto ci sono due modi per mezzo dei quali una società si trova proprietaria di uno “sviluppo”, di un’area dismessa da riqualificare: o perché fa parte di un portafoglio che ha acquistato, o perché se la ritrova in seno in seguito a cessione di crediti; purtroppo, per le motivazioni che ho citato prima, è abbastanza raro che una società lo acquisisca di proposito, perché il guadagno immediato non c’è. Il primo passo fondamentale è realizzare una due diligence, che deve essere di tre tipi: urbanistica, per verificare eventuali gravami sul terreno, legale, per accertare la proprietà, e tecnica per una stima dei costi e dei tempi; ovviamente se si ha a che fare con un brownfield si aggiunge a queste la due diligence ambientale, per la quale ci si affida a società di ingegneria ambientale specializzate, in grado di fare tutte le valutazioni del caso. I nostri uffici rappresentano l’anima tecnica dell’aspetto finanziario: facciamo le prime valutazioni assieme alle società di ingegneria e, bene o male, i costi associati alle varie operazioni li conosciamo.


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Per fortuna abbiamo acquisito una certa dimestichezza nel dialogo e nel confronto con i soggetti che incarichiamo per questo tipo di studi, e che portano risultati in tempi brevi con margini di imprevisto piuttosto bassi. Acquisiti questi dati di partenza si passa ad operare su due tavoli separati: nel primo si analizza cosa si può effettivamente creare sull’area con il relativo costo di realizzo, mentre nel secondo si quantificano le passività ed il costo di bonifica, che spesso è talmente alto da annullare le possibilità di guadagno. Questi sviluppi sono sempre realizzati con un 50-70% dei fondi che provengono da leva finanziaria, quindi prestati dalle banche, che ovviamente pretendono un ritorno dell’investimento abbastanza chiaro e scadenzato; i tempi negli sviluppi sono fondamentali e il mancato rispetto implica un costo in più. E’ ciò che dicono tutti gli operatori del settore bonifiche: il problema sono i tempi, spesso aggravati dalla rigidità burocratica degli enti di controllo, che finisce per danneggiare soprattutto chi lavora nel rispetto delle regole. Vale anche per gli investimenti immobiliari? Altroché. Facciamo un esempio, senza scendere troppo nello specifico: parliamo di bonifiche da amianto di un immobile abbastanza grande ed importante, e quindi stiamo parlando di canoni alti. L’impresa comunica all’ASL che tutto è pronto per le prove necessarie al rilascio di un’area bonificata, e la risposta è “veniamo tra due settimane”. Ma restare fermi due settimane in questo tipo di lavori è insostenibile. Alla fine per un progetto che avrebbe dovuto essere terminato in un mese, se ne possono impiegare anche tre. E questo si traduce in perdite finanziarie. Ci sono amministrazioni competenti che fanno tutto quello che possono, ma in altre realtà non si sa neanche come muoversi, e la cosa più mortificante per il privato cittadino è che non c’è modo di opporsi a questa gestione. Oltretutto la bonifica è la prima operazione da compiere, e il ritardo e l’incertezza ricadono su tutte le altre fasi. Tempistiche di intervento poco chiare si traducono anche in difficoltà di gestione dei contratti delle imprese che intervengono in tutto il processo di sviluppo, dal bonificatore al costruttore.

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In molti casi i tempi di bonifica sono di gran lunga superiori ai tempi di costruzione, e ovviamente si finisce per disincentivare gli investitori, che invece di riqualificare le aree dismesse e degradate, consumano nuovo suolo verde o agricolo. La riprova di quanto detto è che i grandi investimenti in aree dimesse in Italia sono praticamente tutti fermi. Non so cosa accadrà nel prossimo futuro ma bisogna prendere in mano la situazione e dare una sterzata. Lasciando stare i criteri di selezione di base, come scegliete le imprese a cui affidare gli appalti? Uno degli aspetti che personalmente valuto tantissimo in fase di gara è l’approccio che ha l’impresa agli aspetti tecnici e progettuali. Oggi più che mai il mercato ha bisogno di imprese che lavorino bene e che sappiano gestire il complesso panorama tecnico e normativo del settore ambientale; da questo punto di vista bisogna fare un grande applauso alle aziende italiane, perché ne vedo tante che sono molto strutturate e competenti, indipendentemente dalle dimensioni e dall’organico medio. Da questo punto di vista la crisi ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale, epurando realtà non solide e poco professionali a favore di chi punta sulla qualificazione tecnica e sulla soddisfazione del cliente. Nel settore edile c’è il rischio di export che sta investendo tanti altri settori del mercato italiano, in cui per ammortizzare i costi si trasferiscono le attività oltre il confine?

Era successa la stessa cosa al contrario negli anni ’40: la manodopera in Italia costava meno e le cose le facevano fare qui. Ricordo però ciò che mi diceva un mio professore di economia: se io posso comprare una maglietta made in China che mi costa venti volte meno rispetto ad una realizzata in Italia, ma perché non dovrei essere contento di farlo? Per una maglietta. Non per il maglioncino di cashmere, quello non vado a prendermelo made in China. Il principio è: lasciamo fare agli altri le cose che ormai non vogliamo più fare noi e teniamoci l’eccellenza. Per fortuna nel settore edile questo principio è saldo; io ho avuto l’occasione di vivere per un lungo periodo negli Stati Uniti e ho avuto modo di verificare che l’edilizia lì è in gran parte scadente. In Italia ci sono i migliori costruttori del mondo: negli ultimi anni ho visto una crescita di serietà e professionalità incredibile. Chiudiamo con una domanda di rito: sulla base delle vostre esperienze, se la sente di arrischiare previsioni per il futuro? Secondo me il 2010 chiuderà un bilancio ancora negativo, ma credo che da settembre e ottobre si comincerà a vedere qualche movimento. Immaginiamo che il mercato immobiliare sia un mercato vero, con i banchi e i venditori: si può dire che ora comincio a vedere la gente che gira fra le bancarelle; non tirano ancora fuori il portafogli, però guardano, capiscono, e


questo è il preludio alla contrattazione. Un secondo aspetto estremamente positivo è che quello che è successo nel 2008-2009 ha reso il mercato più sottile ma anche più maturo. Nella sostanza i player rimasti in piedi sono tutte società gestite da persone che sanno fare il mestiere. Ci sono un po’ di stranieri che si stanno riaffacciando sul mercato, e non sono i soliti russi o macedoni, arrivano da altri Paesi europei, dall’Africa del Nord e dal Medio Oriente. Sicuramente per ora ci si muove solo verso ciò che garantisce un rendimento abbastanza certo, non verso le grandi aree dismesse; si cercano piccole ristrutturazioni, revamping, ma lavori veri e propri no. Ed è un peccato, perché oltretutto si perde la parte più bella ed entusiasmante del mestiere. Ci sono aree in cui si potrebbero creare zone meravigliose. Piccole città, piccoli paesi che prima tiravano avanti solo grazie a una fabbrica, oggi chiu-

sa, potrebbero continuare a lavorare contribuendo alla rinascita e riqualificazione del loro territorio. Io credo nella ciclicità del mercato: il mercato sarà più maturo, con una domanda meno alta dell’offerta, il che significa

che i prezzi si abbasseranno leggermente e ci saranno nuove opportunità, che potranno essere colte solo da gente seria, che ha fonte di credito e in questi anni è rimasta viva. Io la vedo bene.

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INNOVAZIONE E SOSTENIBILITÀ AL CUORE DELLA NUOVA URBANISTICA LA FORMA DEI FUTURI INSEDIAMENTI URBANI E IL PROGETTO PER LA RIQUALIFICAZIONE DELLE AREE DISMESSE DI SESTO SAN GIOVANNI, FIRMATO RENZO PIANO E MICHEL CORAJOUD di Maurizio Russo*

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a progettazione urbana è ormai strettamente associata, almeno concettualmente, ai principî e alle pratiche della sostenibilità ambientale. Non solo – e non tanto – perché le nuove tecnologie energetiche sono oggi parte integrante della struttura stessa degli edifici (pannelli solari, materiali, tecniche costruttive), ma sopratutto perché la forma dell’insediamento e la sua capacità di accedere ad una molteplicità di risorse presenti e/o prodotte localmente sono i veri acceleratori di un nuovo modello di città. In questo senso il progetto urbano, inteso come pratica morfogenetica degli insediamenti umani, può essere considerato come il trait d’union tra sostenibilità e urbanistica tradizionale. Un primo risultato di questa evoluzione disciplinare è il concetto di “densificazione”, di cui oggi molto si parla. Come è noto, una forma ben delineata e coesa della città può consentire una migliore copertura da parte del sistema di trasporto pubblico, riducendo la necessità di utilizzare mezzi privati. Inoltre, la sovrapposizione o prossimità di funzioni diverse può limitare ulteriormente gli spostamenti a quelli che possono essere effettuati a piedi o in bicicletta, anche a beneficio di una migliore qualità dell’aria. Ulteriore vantaggio della compattezza urbana è la possibilità di

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riservare ampie porzioni di suolo al verde pubblico e attrezzato, oppure di conservare uno stretto rapporto con aree agricole e forestali, vicine o interne alla città. Tuttavia, molti altri vantaggi in termini di risparmio energetico e qualità dell’ambiente possono essere ottenuti agendo sulla forma specifica dell’insediamento con adeguati strumenti di progettazione urbana. Come conferma Dominique Gauzin-Müller, «la scala del quartiere è quella appropriata per applicare le strategie sostenibili, in quanto consente di gestire a livello locale questioni come consumo idrico ed energetico, inquinamento acustico, raccolta differenziata dei rifiuti, oltre a quelle legate alla discriminazione sociale». Tra le principali misure di pianificazione urbanistica finalizzate al risparmio energetico vi è naturalmente quella di «una progettazione del sito che punti ad ottimizzare il guadagno solare passivo, garantendo il passaggio della luce solare incidente e la riduzione delle ombre provocate dagli edifici circostanti». E' proprio questo uno degli accorgimenti utilizzati da Richard Rogers nel progetto per un nuovo quartiere d’affari concepito come insediamento urbano integrato per l’area di Lu Zia Sui a Shangai. «Variando le altezze degli edifici, sole e luce potevano rendere vive le strade, le piaz-

ze ed i viali, malgrado l’alta densità delle costruzioni. La varietà della linea dei tetti dava il massimo valore alle viste ed alla penetrazione del sole negli edifici stessi, riducendo i consumi energetici dell’illuminazione artificiale». Se dunque una corretta configurazione urbanistica rispetto all’irraggiamento solare può ridurre i costi di riscaldamento e illuminazione, un’altrettanto sagace progettazione degli spazi verdi e pubblici può consentire di abbassare i costi del condizionamento estivo. Nel caso della proposta per Shangai, che richiama alla memoria gli schemi ottocenteschi delle cittàgiardino di Hebenezer Howard, un grande parco è collocato al centro stesso del nuovo quartiere, con viali fittamente alberati che penetrano tra gli edifici. «Parchi, giardini, alberi ed altri interventi sul paesaggio significano vegetazione e in estate una gradevole ombra su strade, cortili ed edifici [...]. L’immediato beneficio di una ricca vegetazione urbana – soprattutto se mirata – è di temperare gli eccessi di calore, riducendo in modo sostanziale la dipendenza dall’aria condizionata. Le piante inoltre sono ottimi isolanti acustici, filtrano l’inquinamento, assorbono anidride carbonica e producono ossigeno». Un altro elemento naturale che può essere messo a frutto dal progetto urbano per il rin-


frescamento e il ricambio dell’aria è la corretta esposizione ai venti prevalenti. Anche questo aspetto è stato studiato approfonditamente da Rogers in alcuni progetti, come quello per un edificio pubblico a Nottingham, in Inghilterra, in cui «il profilo aerodinamico del tetto sfrutta i venti dominanti per migliorare l’estrazione dell’aria dall’edificio, riducendo la necessità di ventilazione meccanica». Tale progetto presenta altri motivi di interesse per il modo in cui articola spazi aperti e chiusi – come in un progetto urbano – in rapporto alle condizioni ambientali del sito. Essendo la lunga parcella delimitata da strade rumorose e inquinate su due lati e da un tranquillo canale su un terzo lato, «abbiamo collocato l’edificio rasente alla strada creando un piccolo giardino pubblico lungo il canale. Sistemati gli uffici amministrativi lungo la strada, collocammo gli ambienti per funzioni sociali e comunitarie intorno al nuovo giardino sul fronte del canale». Tra i due edifici è stata inoltre creata «una corte sistemata a verde con l’aspetto di una piccola gola [che produce] anche il microclima capace di condizionare l’aria esterna necessaria per la ventilazione». Altro aspetto molto significativo per il risparmio di risorse ambientali è quello relativo alla gestione idrica degli insediamenti. Anche in questo caso è ancora una volta Richard Rogers a fornirci uno studio esemplare con il progetto per un quartiere di 5.000 abitanti collegato ad un centro universitario di ricerca informatica sulle colline di Majorca, in Spagna. «Il nostro primo passo – scrive Rogers – fu quello di risolvere il problema più ovvio: come rendere autosufficiente questo nuovo insediamento dal punto di vista idrico». La soluzione proposta è un sistema di captazione dell’acqua piovana, riutilizzata per uso domestico, urbano e agricolo. «Una nuova rete di distribuzione forniva acqua alle case e ad un sistema di fontane, canali e laghetti, rinfrescando strade e piazze ed irrigando alberi e piante». Tali flussi, e gli stessi scarichi idrici delle abitazioni – depurati attraverso spazi verdi utilizzati come filtri – sono successivamente canalizzati verso i terreni coltivati. L’insediamento della “tecnopoli” di Majorca elabora il concetto di “compattezza” sviluppando tre villaggi adiacenti di dimensioni pe-

donali e ciclabili in cui «le strade si irradiano dal centro sociale di ciascuna comunità, mentre il complesso si adatta alle dolci pendenze del terreno»: il risultato è un disegno caratteristico a forma di rami e foglie (“branch and leaf”). In definitiva, «gli edifici furono disposti in modo tale da utilizzare appieno gli elementi naturali per ombreggiare e rinfrescare strade e cortili, dando forma all’ambiente costruito in modo che potesse beneficiare di ogni singola favorevole condizione ambientale [e] fare il massimo uso delle risorse locali, in particolare la manodopera [...]. Uno sviluppo sostenibile a queste dimensioni rispecchia in vari modi il processo originario di formazione degli insediamenti tradizionali, dalle città nel deserto ai villaggi di montagna». Oltre ai sistemi definiti “passivi”, anche le nuove tecnologie per la produzione energetica locale esaltano la compattezza degli insediamenti e il metodo del progetto urbano. Si tratta di impianti che sfruttano i vantaggi della prossimità, come nel caso del “teleriscaldamento”, o che utilizzano un ampio spettro di risorse ubiquamente presenti in ambito urbano, come i rifiuti, il sole, il vento o l’energia geotermica. Un esempio di progetto urbano in cui lo sfruttamento energetico di risorse locali è utilizza-

to creativamente per dare forma alla città e al paesaggio è quello di Renzo Piano e Michel Corajoud per le aree industriali dismesse di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Nell’ambito di questo progetto sono previste due fondazioni scientifiche che si occuperanno sistematicamente di energia e ambiente: una dedicata alla botanica diretta dallo stesso Michel Corajoud, paesaggista di fama internazionale, e l’altra dedicata all’innovazione nel campo di energia e trasporti affidata al premio Nobel per la fisica nel 1984, Carlo Rubbia. Esse avranno sede in uno degli edifici di archeologia industriale già in fase di recupero – il laminatoio – che sarà anche sede espositiva per mostre d’arte contemporanea: un luogo destinato a diventare – come è stato ribattezzato – la nuova “Fabbrica di Sesto”, non più dell’acciaio e della modernità ma delle idee e della creatività. Complessivamente, l’obiettivo del progetto di Piano e Corajoud per Sesto è quello di ridurre i consumi energetici del nuovo insediamento di almeno il 30%, e ciò verrà perseguito attraverso un mix di tecnologie strettamente intrecciate con la bonifica dei suoli e con la configurazione del nuovo parco. Il movimento di terra necessario alla bonifica sarà utilizzato per rialzare i due lati del parco verso la ferrovia a ovest e la tan-

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genziale a est, riducendo in questo modo due fonti di inquinamento acustico, atmosferico e visivo. L’acqua della falda freatica, anch’essa inquinata, sarà estratta dal sottosuolo per essere filtrata, ma anche per essere usata come fonte di energia geotermica. Con una temperatura costante di circa 17 gradi, l’acqua di falda sarà avviata in “pompe di calore” capaci di estrarne calore d’inverno e cederlo d’estate. In seguito l’acqua è utilizzata per alimentare alcuni canali, destinati a ricordare la lunghezza delle vecchie fabbriche scomparse. Ma i canali, la cui importanza ludica e ambientale è ben nota, avranno anche la funzione di stabilizzare la temperatura dell’acqua, che potrà dunque nuovamente filtrare nella falda, purificandosi. Un’altra parte dei suoli, in particolare quelli su cui insisterà il grosso del parco, sarà bonificata con tecniche di “phytoremediation”, cioè attraverso l’uso di specie vegetali e funghi sotterranei in grado di smaltire elementi contaminanti: ciò avverrà in simbiosi con la gestione in superficie di prati e alberi. Il calore estratto dall’acqua di falda potrà essere utilizzato, insieme al “solare termico”, per riscaldare acqua ad uso domestico, ma potrà anche essere ceduto alle 10 centrali elettriche di “trigenerazione” disseminate in tutto il nuovo insediamento. Una centrale di trigenerazione non è altro che un generatore di corrente elettrica (in questo caso a metano o biogas) che non disperde il calore risultante dal suo stesso processo ma può utilizzarlo sia per il riscaldamento invernale sia per la produzione di condizionamento estivo (trigenerazione =

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Rifiuti Organici

Riciclo Cibo

Rinnovabile

Energia

città ENTRATE

USCITE

Riduzione Inquinamento e Rifiuti

Beni Riciclo

elettricità + vapore + freddo). Il calore ottenuto per via geotermica può dunque essere utilizzato per aumentare quello disponibile nelle centrali, riducendo l’uso di combustibile. Esattamente come la corrente elettrica, anche il caldo e il freddo possono essere trasferiti nello spazio, purché le distanze da percorrere siano brevi: da ciò derivano i termini “teleriscaldamento” e “telecondizionamento”. L’impianto di Sesto prevede 8 centrali di trigenerazione ben distribuite su tutta l’area per ridurre al minimo la dispersione. Il mix energetico per la nuova area urbana di Sesto, destinata ad accogliere circa 13.000 residenti e 15.000 posti di lavoro, è completato da una quota di “solare fotovoltaico” (ad esempio per l’illuminazione delle fermate di trasporto) e da un possibile utilizzo dei resti organici del parco e dei rifiuti domestici (biomasse) per la produzione di calore o compost. Ai metodi energetici “attivi”, anche a Sesto devono essere aggiunti quelli “passivi” precedentemente accennati: orientamento ottimale al sole e alla ventilazione naturale, ombra stagionale, microclima regolato dal verde (che comprende anche giardini d’inverno e tetti piantumati), bassa dispersione di serramenti ed impianti di distribuzione. In prospettiva, i quartieri possono diventare totalmente autosufficienti in termini di energie rinnovabili sulla base di risorse locali, costituendo circuiti ecologici completi di “metabolismo circolare” produzione/smaltimento/produzione. L’autosufficienza potrà in parte essere anche alimentare: ritorna infatti ad essere considerata di grande importanza l’agricoltura di prossimità.

Rifiuti Inorganici

La forma corretta di questi insediamenti avrà una notevole importanza sul bilancio energetico e la qualità della vita dei cittadini. Infine, il progetto per Sesto non manca di esplorare un altro ambito molto significativo per i consumi e le emissioni inquinanti: quello della mobilità. La città è già servita dalla metropolitana milanese e dalla ferrovia. Per l’area di progetto è previsto un sistema stradale che limiti al massimo il traffico di transito, in modo da consentire una circolazione lenta e limitata nei nuovi viali urbani. A ciò sarà affiancato un sistema innovativo di trasporto pubblico locale basato sulla capillarità e frequenza di piccoli mezzi elettrici o a idrogeno, denominati “Elfi”, progettati da Renzo Piano e Carlo Rubbia. È inoltre ampiamente incoraggiata la circolazione pedonale – supportata da tapis-roulant coperti – e ciclabile. In definitiva, la pianificazione sostenibile richiede una visione fortemente integrata che, oltre a combinare significati simbolici e culturali, intrecci tecniche variegate e risorse locali di prossimità, che solo la scala del progetto urbano è in grado di articolare adeguatamente.

BIBLIOGRAFIA [1] Dominique Gauzin-Müller, Architettura sostenibile, Edizioni Ambiente, Milano, 2003, p. 43. [2] Richard Rogers, Philippe Gumuchdjian, Città per un piccolo pianeta, Edizioni Rivista italiana di Architettura - Edizioni Kappa, 1997, p. 43. [3] http://www.sestosg.net/sportelli/falck/ *Istituto Nazionale di Urbanistica


UNA SFIDA PER IL FUTURO, RIDISEGNARE MILANO A MATITA VERDE RIDUZIONE DEL CONSUMO DI TERRITORIO E DENSIFICAZIONE STRATEGICA ALLA BASE DEL PGT, che fra DIBATTITI e fasi di stallo cerca una nuova urbanistica per una metropoli sostenibile di Elena Donà

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na grande metropoli che sa di campagna, di prati e delle capitali del Nord Europa; una città “che vive nel verde, facile da raggiungere e facile da percorrere”, “che cresce e si sviluppa senza consumare nuovo territorio”. Una città dell’arte, senza ghetti, senza casermoni, in cui le case popolari sono wireless ed ecosostenibili, i trasporti sono veloci e non inquinano. Una città in cui c’è ancora qualche speranza che un bambino impari a riconoscere prima un platano di una borsa di Hermès. E’ questo l’obiettivo del nuovo PGT, il Piano di Governo del Territorio, ed è quantomeno co-

raggioso quando per tutti “Milano” e “ora di punta” sono le coordinate esatte per l’inferno. Il documento, firmato dall’assessore allo Sviluppo del Territorio Carlo Masseroli, è stato presentato per la prima volta alle parti sociali dal sindaco Letizia Moratti, il 17 novembre 2009, dopo due anni di intenso lavoro. In un primo momento tutto sembrava poter procedere in modo spedito; a gennaio i giornali parlavano di una possibile collaborazione fra maggioranza e opposizione e i consiglieri del PD guidati da Pierfranco Majorino presentavano in Consiglio un documento di 15 punti, fra richieste e controproposte, definito “serio e in parte condivisibile” dal capogruppo del PDL Giulio Gallera. Milletrecentonovantacinque emendamenti dopo, è chiaro che qualcosa è andato storto. L’iter di approvazione è in stallo, i lavori ricominceranno soltanto a maggio, dopo l’esame di bilancio. La lista infinita degli emendamenti (di cui 193 provenienti dalle file del centrodestra, ben 1200 dall’opposizione e 2 bipartisan) e le defezioni della stessa maggioranza, che ha fatto saltare per 16 volte su 30 il nume-

ro legale per poter votare, rendono fin troppo bene l’idea delle difficoltà a cui si dovrà necessariamente andare incontro prima che Milano possa finalmente avere il nuovo piano regolatore, che aspetta da trent’anni. Il PGT è stato lanciato dall’assessore Masseroli con lo slogan Milano per scelta, un titolo che sintetizza l’approccio di fondo, come ha spiegato durante il convegno organizzato da Gruppo 24 ore e Nexity lo scorso 23 marzo: “Nel momento in cui ci è stata data l’opportunità di fare il piano per la città, dopo decenni che Milano l’attendeva, abbiamo dovuto scegliere se l’approccio dovesse essere quantitativo (ossia cercare di stabilire quante persone verranno ad abitare a Milano) o qualitativo: il vecchio piano regolatore prevedeva che Milano nel 2010 avrebbe avuto 2.100.000 abitanti, mentre oggi i residenti sono 1.300.000; è un tentativo di previsione su cui sempre ci si accanisce, ma con scarsi risultati, perché è sbagliato il metodo. Chiamare il piano regolatore Milano per scelta vuol dire invece provare ad individuare quegli elementi nello sviluppo della città risolti i quali questa può essere scelta davvero. Da tutti. La grande sfida non è quanti abitanti avremo, ma se Milano sarà prima di tutto scelta, e se questa scelta sarà poi giudicata positivamente da chi la vive”.

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I 15 PUNTI STRATEGICI DEL PGT Oltre il centro, oltre Milano Milano mobile e dinamica

Progettare un riequilibrio di funzioni tra centro e periferia favorendo progetti intercomunali Modernizzare la rete di mobilità in rapporto allo sviluppo della città secondo una logica di rete Incrementare alloggi e soluzioni abitative

Subito casa!

anche temporanee a prezzi accessibili Incentivare la presenza di laboratori

Spazio ai creativi

creativi del terziario propulsivo Valorizzare le identità dei quartieri tutelando

I quartieri di Milano Il mare a Milano

gli ambiti monumentali e paesaggistici Promuovere Milano città agricola, trasformando il Parco Sud nel mare di Milano Connettere i sistemi ambientali esistenti

Milano sempreverde

a nuovi grandi parchi urbani fruibili Ripristinare la funzione ambientale dei

Milano da bere

corsi d’acqua e dei canali di Milano Completare la riqualificazione del

Dopo l’industria Milano classe A

territorio contaminato o dismesso Supportare la politica di efficienza energetica “20-20 by 2010” dell’Unione Europea Diffondere servizi alla persona di

Milano tascabile

qualità, alla scala del quartiere Vivere la città 24/7/365 grazie ad una

Milano città evento I salotti di Milano

politica sulla temporaneità Rafforzare il sistema del verde e la mobilità lenta grazie a spazi pubblici e percorsi ciclo-pedonali

Non facciamo brutta figura! Yes you can!

Alla base del PGT c’è la fondamentale e imprescindibile esigenza di non consumare altro suolo: l’obiettivo è ridurre il consumo di 8 punti percentuali, portandolo dall’attuale 73% al 65%: “Dal 1954 ad oggi la crescita della città è avvenuta ed è stata guidata da Piani che mettevano in gioco l’uso estensivo della risorsa territoriale, generando una città che dal 35% di suolo utilizzato è arrivata fino al 73%, contaminando la quasi totalità delle risorse ambientali di cui godeva. Ad una logica di crescita estensiva abbiamo sostituito una

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Pulizia, manutenzione ed efficienza di servizi e infrastrutture di Milano Tagesmutter, Buono Badante, Buono Casa, Dote Scuola e Ticket Trasporti

logica di rigenerazione dell’esistente, riconoscendo nel territorio una risorsa inestimabile e come tale da salvaguardare”. La riqualificazione dei brownfield è affrontata, seppur in termini generali, nell’art. 2.2.3 del PGT, in cui viene messo l’accento sulla necessità di promuovere una maggior comunicazione fra investitori e amministrazione pubblica, una lacuna che in passato ha spesso impedito la realizzazione di opere importanti, con svantaggi di cui risente la città intera. “Recenti studi mostrano come gli impatti negativi delle aree industria-

li dismesse sulla qualità della vita cittadina si spingano ben oltre i confini del sito stesso. Un efficace processo di bonifica è connesso alla trasformazione dei siti inquinati con il contributo degli investitori privati, poiché spesso le autorità locali non hanno le possibilità finanziarie per recuperare le aree industriali dismesse utilizzando le risorse messe a disposizione dal loro budget”. Per i firmatari del piano la strategia decisiva sarà allora quella di non cristallizzare il PGT ma di venire incontro agli investitori lasciando loro maggior libertà operativa, dopo aver imposto linee d’azione ben precise, che tutelino la quantità di verde pubblico e i servizi necessari. Restando in tema di servizi, un altro punto chiave del piano è il concetto di densificazione, intesa come un consolidamento dei nodi di rete, che mira a costruire una città multicentrica e non più radiale, incrementando sì la popolazione ma concentrandola dove i servizi esistono già: “Il PGT adotta la strategia della densificazione esattamente per rispondere alla politica dei vuoti urbani e per attivare i differenti percorsi di riqualificazione e trasformazione coordinati su tutte le parti della città, dall’implementazione e rivalorizzazione di brani di città fatiscenti, alla riqualificazione di aree sottoutilizzate (aree ferroviarie, zone militari, aree industriali dismesse, ecc.), a trasformazioni incrementali connesse a processi di sostituzione edilizia, a piccole espansioni legate ad obiettivi di riordino (margini di città)” (art. 1.6). Per regolare il meccanismo nei vari ambiti di trasformazione urbana – i cosiddetti ATU – saranno fissati dei coefficienti specifici, così da non stravolgere l’equilibrio delle zone interessate. Se il coefficiente è un numero maggiore di 1, l’area in oggetto potrà vedere la propria volumetria aumentata in proporzione, se invece è minore di 1 significa che l’area è già satura e si cercherà di intraprendere il processo inverso, trasferendo altrove i diritti edificatori. Fra gli ATU selezionati dal Comune per esempio, i coefficienti di densificazione più alti sono il 3,36 assegnato all’area Stephenson – destinata ai grandi eventi e potenziata dalla costruzione di una nuova linea ferroviaria – e il 2,9 della Caserma Montello, la cui vocazione resta ancora incerta, ma che dovrebbe ospitare una zona residenziale e un parco di quartiere.


Per l’assessore Masseroli la densificazione consente oltretutto di porre un rimedio al congestionamento del traffico, uno degli elementi che pesano di più nella valutazione della qualità della vita nella metropoli: “Milano oggi ha un problema grosso: quello della mobilità, che deriva da scelte passate che hanno previsto lo sviluppo della città secondo una prospettiva di espansione che non è stata né preceduta né seguita da un’adeguata infrastrutturazione. L’unica possibilità di mobilità è diventata quella della propria autovettura, e questo ha generato una situazione che ormai è prossima al collasso. Non consumare suolo vuol dire non proseguire in questa direzione, e paradossalmente la densificazione è la strategia che consente di accoppiare l’infrastrutturazione all’urbanizzazione, massimizzando la potenzialità della mobilità attraverso il mezzo pubblico e portando con sé - grazie agli investimenti che ci auguriamo possano essere

Ambiente

portati a termine - la necessaria ricompattazione della città”.Nel documento vengono affrontati ancora, fra gli altri, temi caldi come il verde pubblico, che dovrà aumentare, anche grazie all’introduzione di “epicentri”, “raggi verdi” e parchi periurbani; i NAF, i nuclei di antica formazione, che comprendono beni ambientali, storici, artistici, monumentali e i paesaggi urbani di qualità, per i quali vengono assegnati limiti massimi di intervento; i grandi progetti di interesse pubblico: una lista di quindici trasformazioni urbane da operare nei prossimi anni, dall’area agricola del Parco Sud, che nei piani del Comune dovrebbe essere trasformata in un parco delle cascine, al potenziamento della Circle Line, passando per il contestato tunnel di 14,5 km che dovrebbe collegare l’Expo con la tangenziale est in corrispondenza dello svincolo Forlanini, ovviamente in funzione del 2015. La lista comprende poi diverse aree verdi – il West Park dell’Intrattenimento, il Parco Sport del

Lambro, il filo rosso dei raggi ciclabili – e due boulevard, il Monumentale del Sempione e il Commerciale Buenos Aires-Padova. II punti del PGT che più fanno discutere riguardano il meccanismo di perequazione edilizia (art. 3.3.2), che mira all’acquisizione a costo zero delle aree di interesse pubblico in cambio del trasferimento dei diritti di edificabilità in altre zone della città, e il concetto di “mix funzionale libero”, (art. 3.3.5), con il quale si intende la flessibilità che caratterizza le destinazioni d’uso degli immobili, che vengono liberalizzate, cancellando i vincoli dei precedenti piani regolatori per evitare il fenomeno degli “azzonamenti”. Il rischio di speculazione esiste e da più parti è stata segnalata l’esigenza di prevedere meccanismi di controllo per verificare che tali operazioni non vadano contro l’interesse pubblico, peggiorando la qualità dei servizi proposti e finendo per avvantaggiare soltanto pochi privati, a danno di chi la nuova città dovrà abitarla davvero.

DUE DILIGENCE AMBIENTALI

BONIFICHE DI TERRENI E ACQUIFERI

CARATTERIZZAZIONE SITI CONTAMINATI

BONIFICHE DI IMPIANTI E SERBATOI

PROGETTAZIONE INTERVENTI DI BONIFICA

RICERCA E SVILUPPO NUOVE TECNOLOGIE DI BONIFICA

IMPLEMENTAZIONE ANALISI DI RISCHIO

GESTIONE RIFIUTI INDUSTRIALI

T ecnologie Innovazione

Responsabilità

Sede Legale e Direzione Generale

TRS Servizi Ambiente srl - Località Barabasca, snc - 29017 Fiorenzuola d’Arda (PC) - T. 0523 1811100 - F. 0523 243449 Unità locali

Moncalieri (TO) - Tortona (AL) - Marghera (VE) - Gela (CL) www.trsserviziambiente.it info@trsserviziambiente.it


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PROCEDURE ED EVOLUZIONE NORMATIVA NELLA BONIFICA DEI SITI CONTAMINATI A DIECI ANNI DAI PRIMI INTERVENTI NORMATIVI SULLA BONIFICA ED IL RIPRISTINO AMBIENTALE DELLE AREE INQUINATE, IL WORKSHOP DI ROMA SICON 2010 PRESENTA UN QUADRO DELLA SITUAZIONE NAZIONALE di M.R. Boni*, C. Collivignarelli** e F.G.A. Vagliasindi***

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ino agli inizi degli anni ’80 la percezione della contaminazione dell’ambiente e del territorio nei Paesi maggiormente industrializzati è stata generalmente associata ad incidenti relativamente rari, con conseguenze potenzialmente rilevanti per la salute, anche se di difficile valutazione. Il quadro normativo che ne è scaturito (inizialmente negli USA) è stato sviluppato con l’obiettivo di rimuovere o di confinare in maniera completa la contaminazione. Nel corso degli anni, il numero di siti contaminati o potenzialmente contaminati censiti nei Paesi più industrializzati è cresciuto esponenzialmente, passando quindi da uno scenario ipotizzato riferito a pochi e severi incidenti, ad una realtà tanto complessa da rappresentare un problema infrastrutturale e produttivo a livello nazionale ed internazionale. L’elevato numero di aree contaminate, gli innumerevoli tipi e forme di contaminanti, la stretta dipendenza della dinamica della contaminazione da fattori locali specifici e, non ultima, la multidisciplinarietà della materia rendono dunque le attività di bonifica di siti contaminati un problema impegnativo dal punto di vista tecnico, economico ed organizzativo. In Italia si è resa necessaria l’individuazione dei cosiddetti SIN, siti di interesse nazionale,

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ovvero aree del territorio italiano definite in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti e all’impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, le cui procedure di bonifica sono attribuite al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. La maggior parte di questi siti è costituita da agglomerati industriali come quelli presenti in prossimità di grossi poli petrolchimici, tra cui Brindisi, Falconara Marittima, Livorno, Milano-Bovisa, Piombino, Porto Marghera, Priolo e Gela. I siti contaminati non rappresentano solo la conseguenza di fatti accidentali ed occasionali, ma sono anche il risultato di attività antropiche diffuse e prolungate nel tempo, che hanno inevitabilmente causato il grave danneggiamento di risorse naturali con conseguente compromissione di comparti territoriali e rischio per la salute della popolazione. Lo scenario sopra esposto ha determinato in molti Paesi europei lo sviluppo di strategie mirate alla decontaminazione di suoli ed acquiferi inquinati, che si sono

concretizzate nell’emanazione di appropriati strumenti normativi e nel rapido sviluppo di specifiche metodologie e tecnologie di caratterizzazione, monitoraggio e risanamento. In tal senso l’Italia si è dotata, col D.Lgs. 22/97 (Decreto Ronchi), di una norma generale sui rifiuti, che all’articolo 17 stabiliva i criteri generali per affrontare in maniera organica il problema della bonifica dei siti contaminati. Gli aspetti tecnici sono stati successivamente affrontati, come previsto dallo stesso Decreto Ronchi, dal D.M. 471 del 25 ottobre 1999 “Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati”. Il Decreto Ministeriale ha fornito le definizioni


fondamentali quali “sito”, “sito potenzialmente inquinato”, “sito inquinato”, “messa in sicurezza d’emergenza”, “bonifica”, “bonifica con misure di sicurezza”, “misure di sicurezza”, “ripristino ambientale” e “messa in sicurezza permanente”. Per la prima volta a livello nazionale sono state stabilite le concentrazioni massime ammissibili (diverse in funzione della destinazione d’uso del sito) delle sostanze inquinanti presenti nel suolo, nelle acque sotterranee e nelle acque superficiali (D.Lgs. 152/99 e D.Lgs. 258/00) e sono state regolamentate le operazioni necessarie per il prelievo, la conservazione (in caso di presenza di sostanze degradabili o volatili) e l’analisi dei campioni di suolo e di acque. Il decreto ha imposto inoltre regole precise per la redazione e l’approvazione dei progetti, secondo tre livelli di progressivo approfondimento tecnico (piano della caratterizzazione, progetto preliminare e progetto definitivo). Tali norme ambientali, a seguito delle difficoltà incontrate dagli operatori del settore, sono state in parte modificate e riordinate all’interno del D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale”. Con l’emanazione di questo decreto, il legislatore ha progressivamente spostato la prospettiva della tutela ambientale dal valore delle risorse ambientali al concetto di pericolosità, attraverso l’identificazione concreta delle so-

glie di rischio sito specifiche per la salute umana. E’ stato innovato l’approccio tabellare, ribattezzando con il termine di “Concentrazione Soglia di Contaminazione” (CSC) i valori concentrazione limite ammissibili individuati dal D.M. 471/99, salvo alcune correzioni. Il superamento delle CSC rende obbligatorie unicamente la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito-specifica, consentendo la distinzione tra sito non contaminato e sito potenzialmente contaminato. L’analisi di rischio sanitaria sito-specifica diventa quindi strumento decisionale dello stato di contaminazione e del necessario obbligo di bonifica e di messa in sicurezza, scaturite dal superamento delle “Concentrazioni Soglia di Rischio” (CSR), che rappresentano inoltre gli obiettivi di bonifica da raggiungere. Pur mantenendo le due tipologie di messa in sicurezza già previste dal D.M. 471/99, Messa In Sicurezza d’Emergenza (MISE) e Messa

In Sicurezza Permanente (MISP), la norma ha introdotto una terza tipologia di messa in sicurezza, la Messa In Sicurezza Operativa (MISO), che riguarda gli interventi da mettere in atto in via transitoria in attesa degli eventuali ulteriori interventi da realizzarsi alla cessione dell’attività in esercizio sul sito, predisponendo in tal caso idonei piani di monitoraggio. Da tale approccio scaturisce, in caso di superamento delle CSR, un trattamento differenziato per i siti in esercizio, ove è possibile attuare interventi di MISO con monitoraggio delle matrici ambientali, e per i siti dismessi, per i quali è invece obbligatoria la bonifica o la MISP. Come riportato nel rapporto ambiente 2009 (ISPRA), nei SIN la percentuale di aree svincolate e/o bonificate è ancora esigua e oltretutto riguarda i siti meno complessi, mentre lo stato di avanzamento delle attività di bonifica è piuttosto disomogeneo sul territorio nazionale. Si rileva in particolare una maggiore velocità dei procedimenti per le aree nelle quali sono previsti insediamenti a elevato valore economico (riqualificazione a scopo urbanisticoresidenziale, insediamento di nuovi impianti produttivi). Ciò è in linea con quanto introdotto dal D.Lgs. 04/08 che, all’art. 252-bis (Siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale) prevede un’accelerazione delle procedure di riutilizzo delle aree inquinate da parte dei soggetti privati, un recupero

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produttivo dei siti contaminati a destinazione industriale, il coordinamento delle azioni tra i vari soggetti coinvolti nelle attività di bonifica e nella realizzazione di procedure amministrative più snelle ed il ricorso agli accordi di programma (già sottoscritti per alcuni SIN). Nei prossimi mesi saranno introdotte ulteriori modifiche alla normativa di settore, attualmente in corso di studio. Nonostante i progressi in campo scientifico e tecnologico, in molti casi risulta estremamente complesso individuare interventi che siano sostenibili dal punto di vista economico ed appropriati dal punto di vista del controllo del rischio per l'ambiente e per la salute pubblica, anche in relazione alle tempistiche e all'opportunità di abbinare gli interventi di recupero ambientale ad obiettivi chiari e definiti di recupero funzionale degli stessi, al fine di “generare” le risorse economiche per l'attuazione degli interventi e l'eventuale post-gestione. Con l’obiettivo di fornire un quadro aggiornato su quanto è stato fatto in Italia a dieci anni dall’emanazione della normativa specifica per la bonifica dei siti contaminati, a febbraio scorso si è svolto a Roma il workshop “SiCon 2010 Siti contaminati: esperienze negli interventi di risanamento”, organizzato dai gruppi di Ingegneria Sanitaria Ambientale di tre diverse università: Università della Sapienza di Roma, Università degli Studi di Brescia e Università degli Studi di Catania. Nel corso dell’evento, coordinato da R. Boni, C. Collivignarelli e F.G.A. Vagliasindi, con la collaborazione dell’ANDIS (Associazione Nazionale di Ingegneria Sanitaria Ambientale) e del GITISA (Gruppo Italiano di Ingegneria Sanitaria Ambientale), sono stati presentati 36 contributi che affrontano aspetti di carattere tecnico/operativo, numerosi casi di studio su scala industriale e due tavole rotonde sul recupero funzionale dei siti contaminati e sugli approcci tecnici per la sostenibilità economica degli interventi di risanamento. In particolare, sono stati approfonditi aspetti e problematiche relativi alla normativa, all’analisi di rischio, alla caratterizzazione e alle tecnologie per il trattamento di acque e suoli contaminati ed ad interventi per le discariche dimesse. Al workshop hanno partecipato circa duecento operatori, fra ricercatori e tecnici-operativi

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SITI CONTAMINATI - E sperienze

negli interventi di risan amento

A cura di Maria Rosaria Boni, Carlo Collivignarelli e Federico G. A. Vagliasindi Edizioni CSISA, (pagine 470 - € 60,00) Il volume, edito dal Centro Studi di Ingegneria Sanitaria Ambientale Onlus presso l’Università degli Studi di Catania, raccoglie i trentasei contributi presentati nel corso di SiCon 2010 ed è rivolto a tutti gli operatori del settore. E’ suddiviso in quattro parti: la prima, che comprende sei interventi, fornisce una panoramica sullo stato dell’arte della bonifica dei siti contaminati sul territorio italiano: la necessità di incentivare il recupero ambientale attraverso una nuova normativa, modelli di analisi di rischio, metodi di caratterizzazione, tecnologie per il trattamento delle acque e dei suoli contaminati e procedure di intervento per la bonifica e messa in sicurezza delle discariche. La seconda parte, nove interventi, presenta invece esperienze di messa in sicurezza e bonifica di acquiferi contaminati, per le quali sono state impiegate diverse tecnologie: fra le altre, pump&treat, air sparging, biosparging, micro diffusione di ossigeno puro e smart stripping. La terza sezione, la più consistente con sedici interventi, propone invece una carrellata sulle esperienze di bonifica di suoli e sedimenti, molte delle quali riguardano siti di interesse nazionale: fra gli altri, biopile, isolamento e caratterizzazione biochimica e molecolare, ossidazione a umido, desorbimento termico, trattamenti off site, trattamenti integrati e sediment washing. L’ultima sezione, di cinque interventi, affronta infine la bonifica dei siti di discarica, dall’aerazione in situ alla riduzione dei GHG, attraverso l’esperienza di casi concreti: Alice Castello, ex Montefibre ed ex discarica di Papigno.

provenienti da aziende, università ed enti pubblici, e i punti fondamentali emersi dall’incontro sono riassumibili nell’elenco che segue: • le esperienze maturate immediatamente a valle dell’emanazione del D.M. 471/99 hanno reso necessaria la modifica della strategia di intervento, con il ricorso all’analisi di rischio che, a meno di correttivi tesi ad ottimizzare le procedure, dovrebbe rappresentare un quadro stabile per i prossimi anni; • l’iter autorizzativo di impianti off-site per il trattamento di matrici contaminate è complesso e gli impianti autorizzati spesso trattano flussi ridotti rispetto alle loro potenzialità, poiché si fa sovente ricorso allo smaltimento in discarica; • gli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente su scala industriale spesso richiedono, in fase esecutiva, delle varianti rispetto alle previsioni progettuali; • l’individuazione di chiari obiettivi di recupero funzionale dei siti è di forte stimolo

nello sviluppo degli interventi di recupero ambientale; • è auspicabile il ricorso ad accordi di programma tra soggetti privati ed amministrazioni pubbliche; • risulta fondamentale il continuo confronto, nelle diverse fasi di intervento (caratterizzazione, analisi di rischio, progettazione, esecuzione e direzione dei lavori) tra proponenti delle attività ed enti di controllo; • il supporto della ricerca scientifica risulta indispensabile per il necessario avanzamento tecnologico del settore. Le prossime edizioni del SiCon si svolgeranno a Brescia nel 2011 e a Taormina nel 2012. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.csisa.it o possono essere richieste contattando info@csisa.it. *Sapienza, Università di Roma **Università degli Studi di Brescia ***Università degli Studi di Catania


comunità sostenibili e responsabili, si riparte dalle città edilizia ecoCOMPATIbile, mobilità a basso impatto ambientale, workshop, conferenze e una vasta area espositiva: QUESTO è il programma della settima edizione di terra futura di Elena Donà

S

ettima edizione per Terra Futura, la mostra-convegno dedicata alla sostenibilità ambientale, che si svolgerà alla Fortezza da Basso di Firenze, dal 28 al 30 maggio 2010. “Comunità sostenibili e responsabili” è il tema centrale di quest’anno perché è nelle città che si gioca la partita più importante: un’edilizia energeticamente efficiente e in grado di arrestare il consumo di territorio, una mobilità razionalizzata per incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico, fonti di energia rinnovabili e rilancio dell’agricoltura urbana e periurbana. Queste sono solo alcune delle grandi sfide su cui si confronteranno esperti e professionisti di vari settori nel corso del programma di convegni, seminari e dibattiti previsto dalla tre giorni. L’evento è promosso da Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus per il sistema Banca Etica, Adescoop – Agenzia dell’Economia Sociale, e Regione Toscana, in collaborazione con sei partner esterni: Cisl, Legambiente, Caritas Italiana, Arci, Acli e Fiera delle Utopie Concrete. Oltre alla rassegna espositiva, suddivisa in 13 sezioni a tema per facilitare il percorso dei

visitatori, verranno organizzati workshop, laboratori, forum, conferenze e iniziative speciali, fra cui: la Borsa delle Imprese Responsabili, un ciclo di incontri testa a testa fra professionisti del green business, per favorire l’intreccio di nuove proficue collaborazioni; il Premio Architettura, per la miglior tesi di laurea o dottorato sul tema edilizia sostenibile e per le migliori pratiche green messe in atto dalle pubbliche amministrazioni; Terra Futura per la Scuola, un progetto che coinvolge insegnanti e studenti per sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo dell’educazione sui temi principali della fiera; Terra Futura International, un punto informativo che farà da guida ai visitatori per presentare il panorama di eventi, progetti e normative che interessano l’ambiente a livello internazionale.

• Abitare naturale: l’area dedicata allo sviluppo sostenibile, per creare aggregazione tra le aziende e le filiere edili internazionali. • Azioni Globali: intercultura, pace, diritti umani, volontariato, campagne di sensibilizzazione e finanza etica. • Bio Cibo & Cose: agricoltura biologica e biodinamica, slow food, filiera corta, alimentazione vegetariana, abiti e prodotti naturali. • Comunicare la sostenibilità: un’emeroteca, uno spazio per i media e le case editrici, con mostre fotografiche, dipinti e vignette per raccontare la sostenibilità. • Eco-Idea Mobility: una presentazione di diverse modalità di trasporto ecocompatibili e delle norme vigenti, dei nuovi studi e delle nuove tecnologie disponibili. • Equo Commercio: i prodotti del sud del mondo e una vetrina sui progetti di cooperazione tra istituzioni, associazioni e aziende eticamente orientate. • Itinerari Educativi per la Sostenibilità: un’occasione di incontro con realtà che si occupano di didattica e formazione, per creare sinergie fra pubblico e privato. • La Terra dei Piccoli: una sezione interamente dedicata al mondo dei piccoli e ai loro genitori, con prodotti per l’infanzia naturali ed ecosostenibili. • NuovEnergie: una rassegna completa delle principali novità nel settore delle energie rinnovabili, risparmio energetico ed eco-efficienza. • Reti del Buon Governo: un’area per conoscere i progetti degli enti istituzionali finalizzati alla salvaguardia delle risorse ambientali e territoriali. • Salute + Benessere: campagne di prevenzione e metodi alternativi per la cura e la tutela della salute attraverso medicine complementari. • Turismo Eco & Responsabile: un luogo di incontro e confronto per le più importanti reti nazionali di turismo sostenibile, responsabile e sociale. • TutelAmbiente: un’area dedicata alla salvaguardia dell’ambiente e alla biodiversità, alle pratiche di riciclo e riuso, con laboratori e prodotti innovativi.

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FA B B RIC A DELLE IDEE

LE NANOTECNOLOGIE APPLICATE AL TRATTAMENTO DELLE ACQUE APPRODANO ANCHE IN ITALIA Un nuovo processo di elettrossidazione che utilizza elettrodi in RECAM ®, efficace per la rimozione dalle acque reflue di composti organici e inorganici recalcitranti di Ivano Aglietto e Michele Marcotti*

L

’utilizzo dei materiali nanostrutturati si propone come la nuova rivoluzione tecnologica del XXI secolo in molti campi scientifici e tecnologici, in particolare nei settori dell’energetica e della bioingegneria. Le caratteristiche di alcuni dei più noti materiali nanostrutturati, i nanotubi di carbonio, permettono di realizzare prodotti impiegabili nella riduzione dell’inquinamento delle acque, nell’estrazione e raffinazione di idrocarburi, nella bonifica di terreni contaminati e nello sviluppo di nuovi materiali e soluzioni impiantistiche per la produzione di energia da fonti rinnovabili. La possibilità di utilizzo di nuovi materiali nanostrutturati nel settore ambientale e delle

Figura 1. Il materiale RECAM® allo stato tal quale

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Anno 3 - Numero 9

energie rinnovabili si scontra però con il loro elevato costo, limitandone fortemente l’impiego, specie dove i volumi da trattare sono molto grandi. RECAM® (REactive CArbon Material), nanostrutturato ad elevata reattività e cristallinità basato su miscele di grafene, nanofibre e nanotubi di carbonio, è stato sviluppato dalla società italiana SA Envitech s.r.l. e si presenta come il primo caso a livello mondiale di produzione in quantitativi industriali di un materiale nanostrutturato. RECAM® è un prodotto non combustibile, completamente idrofobo, non infiammabile, stabile e assolutamente non inquinante. Il materiale allo stato tal quale è di fatto un inerte ed ha superato tutti i test di tossicità previsti dal Ministero dell’Ambiente. In Tabella 1 sono riportate le sue proprietà fisiche. Tale materiale viene prodotto a partire da una miscela di grafite, carbone ed antracite con un processo fisico di tipo esotermico che impiega catalizzatori in un particolare reattore a idrogeno. La composizione media di RECAM® risulta la seguente: 99,760% carbonio, 0,016% cloro, 0,023% zolfo, 0,110% ferro, 0,057% silicio, 0,022% magnesio, 0,012% sodio. Non si riscontrano tracce di metalli pesanti.

Allo stato non disturbato, RECAM® è formato da fiocchi che mostrano una struttura cellulare formata da foglie o cuscini cavi, costituiti a loro volta da cellette separate da sottili strati di carbonio granitico. All’interno della struttura sono presenti nanotubi di carbonio, ossia strutture tubolari allungate, ben rifinite ed aperte alle estremità (Figura 2).

Figura 2. Nanotubi e nanofibre di carbonio presenti all’interno della struttura a celle

Quando il prodotto viene compattato, le strutture interne collassano, aumentando la capacità di scambio ma diminuendo la capacità di volume.


Tabella 1. Principali proprietà fisiche del materiale

Parametro Consistenza del prodotto Struttura cristallina Composizione chimica Densità allo stato tal quale Bagnabilità ed angolo di contatto Caratteristiche termiche Potenziale zeta Morfologia e struttura mesoscopica Struttura microscopica Percentuale di nano tubi Superficie specifica Colore Proprietà generali

Valori/Descrizione Polvere/fluff. Trattasi di granuli con struttura allungata del diametro dell’ordine del µm o frazioni. Materiale cristallino, aumenta la cristallinità con la pressione. Legami Sp2 di tipo granitico. 99,98% di carbonio, residui di silicio, ferro, magnesio ed alcali. Non sono presenti tracce di metalli pesanti. 0,025 g/cm3 Materiale idrofobo, con angolo di contatto sempre superiore a 90°. Materiale stabile sino a circa 700°C, dopodiché perde peso fino alla consunzione. Potenziale di neutralità a pH 4,8. Fiocchi con volume molto elevato rispetto alla superficie esposta, lamine sopra i 10 kg/cm2 di pressione. Micropori con diametro a 0,3÷2 nm, costanti con la pressione. Porosità diffuse tra 3 e 100 nm. Dal 5 al 20%. Circa 240 m2/g per il prodotto tal quale, fino a 480 m2/g con pressione di compattazione pari a 2 kg/cm2. Grigio scuro. Inerte, conduttore di elettricità, stabile con sostanze chimiche aggressive, non rilascia sostanze nell’ambiente.

Le forme che si osservano sono sostanzialmente lamelle iso-orientate. Il materiale presenta una sensibilità estrema alla compattazione, sia perché la sua densità relativa aumenta con trend diversi a seconda del regime pressorio sia perché si modificano i parametri cristallografici principali del materiale, oltre che la meso e microporosità. La superficie specifica e la porosità sono condizionate fortemente dal grado di compattazione del materiale. Si osservano due regimi di porosità. Il primo, a basso carico (<11 kg·cm-2), governato dalle porosità distribuite da 2 a oltre 100 nm. Superando i 20 kg·cm-2 si entra in un secondo regime dove le superfici “wide pur pose”, con ampie capacità di assorbimento (ma bassa selettività), vengono progressivamente ridotte e vengono invece incentivate le porosità “cristallografiche”, soprattutto tra 2÷3 nm. La porosità del materiale tende a ridursi a zero ad un grado di densità di circa 2,5 g/cm3. RECAM® presenta una sostanziale stabilità termica sino a circa 500°C, dopodiché comincia a perdere peso sino a ridursi quasi a zero. Il materiale si degrada con una reazione endotermica e perde almeno il 50% in peso a circa 1.000°C. Il prodotto fuso si presenta vetroso con cristallizzazioni minutissime di silicati di magnesio, alluminio, ferro e potassio.

L’aspetto dei fusi è simile ai residui di fusione di argille o di fillosilicati naturali. SA Envitech s.r.l. ha sviluppato un processo di elettrossidazione innovativo che utilizza elettrodi del nanostrutturato RECAM® sia come catodo che come anodo. Il materiale in questione sottoposto a compressione meccanica costituisce un elettrodo che ha le seguenti proprietà: • elevata conduttività elettrica grazie anche alla particolare struttura a celle di grafeni e nanotubi di carbonio; • comportamento da catalizzatore: all’anodo non avviene alcun processo di corrosione dell’elettrodo; • non porta alla formazione di fanghi e sedimenti nella cella di processo; • promuove la formazione di sottoprodotti di reazione ad elevato potere ossidante; • non porta ad incrementi di pH. Le caratteristiche degli elettrodi, realizzati per compressione del materiale, costituiscono pertanto la peculiarità del processo di elettrossidazione e consentono di adottare il processo su larga scala, senza produzione di fanghi.

Figura 3. Foto di elettrodi di RECAM® impiegati nel processo di elettrossidazione

Il processo in esame si presenta come fortemente innovativo nello scenario dei sistemi di trattamento delle acque. L’elettrossidazione con elettrodi di RECAM® potrebbe trovare applicazione per tutti i reflui con elevato carico contaminante, come trattamento a sé stante, oppure come processo che va ad integrarsi in impianti già esistenti, al fine di garantire il raggiungimento dei limiti qualitativi di scarico richiesti. In particolare si segnalano le seguenti applicazioni su cui è stato testato con successo il sistema di trattamento qui proposto: • bonifica acque di falda in caso di contaminazione da cromo esavalente, MTBE, arsenico, boro, idrocarburi policiclici aromatici e oli pesanti;

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FA B B RIC A DELLE IDEE

Tabella 2. Principali parametri che regolano il processo di elettrossidazione con elettrodi di RECAM®

Parametro superficie degli elettrodi spessore degli elettrodi interasse tra gli elettrodi voltaggio amperaggio pH

Considerazioni generali

Range di variabilità

Per mantenere un determinato amperaggio con un voltaggio inferiore occorre, a parità di potenza, impiegare una superficie maggiore degli elettrodi. Influisce unicamente in termini di resistenza meccanica.

1588 cm2/elettrodo 3÷5 mm

Maggiore è la vicinanza tra gli elettrodi, maggiore è la superficie di contatto/scambio per unità di volume e quindi minore è il voltaggio richiesto.

4 mm

Il voltaggio richiesto, a parità di configurazione degli elettrodi, diminuisce all’aumentare Generalmente è nel range dei valori di conducibilità elettrica.

5÷11 V

L’intensità di corrente influisce sull’efficacia del trattamento: all’aumentare dell’intensità di corrente si ha una migliore efficacia del processo.

30÷75 mA/cm2 di elettrodo

Durante il processo il pH rimane pressoché stabile o tende a decrescere a seconda dei Variabile in funzione della tipovalori in ingresso.

logia di contaminanti

Valori elevati di conducibilità elettrica nel refluo garantiscono un corretto passaggio di Deve essere sufficiente per un conducibilità elettrica

corrente e determinano la superficie degli elettrodi che deve essere a contatto con il liqui- corretto passaggio della cordo per garantire il minimo voltaggio necessario a far avvenire la reazione.

rente.

L’ossigeno disciolto diminuisce all’aumentare del voltaggio impiegato in quanto il liquido ossigeno disciolto

diventa sempre più riducente. Una concentrazione adeguata di ossigeno disciolto ga- 2÷5 mg/l rantisce un veloce sviluppo degli agenti ossidanti e facilita la movimentazione degli ioni.

temperatura del refluo

La temperatura incrementa come effetto delle reazioni esotermiche di ossidoriduzione e all’aumentare della intensità di corrente.

40÷75 °C

La scelta del tempo di residenza scaturisce da un corretto equilibrio tra l’obiettivo di portempo di residenza

tare a termine l’ossidazione dei contaminanti e la necessità di contenere i costi energetici. Grazie alla configurazione di flusso in continuo brevettata da SA Envitech, è possibile

4÷7 minuti

ottenere efficienze di trattamento elevate con contenuti tempi di residenza. La presenza di un campo magnetico esterno modifica alcune proprietà dell’acqua (viscocampo magnetico

sità e tasso di vaporizzazione) incrementando l’efficienza di processo. Tali cambiamenti variabile sono associati ad una maggiore forza dei legami degli atomi di idrogeno.

Figura 4. Cella di elettrossidazione con elettrodi di RECAM® per il trattamento di refluo da tintoria

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Anno 3 - Numero 9

• trattamento reflui di processi industriali per concerie, cartiere, tintorie, galvaniche e caseifici; • altre applicazioni di rilievo riguardano percolati di discariche, acque di sentina e trattamento emulsioni oleose. L’elettrossidazione dei contaminanti si esplicita attraverso due approcci distinti: ossidazione indiretta, in cui un mediatore viene generato per via elettrochimica per attivare l’ossidazione, e ossidazione diretta anodica, mediante la quale i contaminanti vengono degradati sulla superficie dell’anodo. L’ossidazione diretta anodica viene sviluppata attraverso la conversione e la combustione elettrochimica. Durante la conversione elet-

trochimica i composti organici vengono solo parzialmente ossidati, mentre con la combustione elettrochimica vengono completamente mineralizzati in anidride carbonica e acqua. In presenza di elettrodi di RECAM® le principali reazioni che hanno luogo nella cella di elettrossidazione sono le seguenti: (all’anodo) 2H2O(l) → 4H+(aq) +O2(g) + 4e- (1) (al catodo) 4H2O + 2O2(aq) + 4e- → 2H2O2 + 4OH- (2) Inoltre, quando il potenziale dell’anodo supera 1,51 V si produce ozono: H2O + O2(aq) → O3 + 2H+ + 2e- (3) Durante il processo si generano pertanto vari agenti ossidanti quali ossigeno, ozono e pe-


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Figura 5. Cella di elettrossidazione con elettrodi di RECAM® per un impianto di trattamento del percolato, con efficienze di rimozione del COD > 90%

rossido di idrogeno, oltreché cloro libero e radicali liberi come ClO•, Cl• e OH• in presenza di una concentrazione significativa di cloruri nel liquido sottoposto a trattamento. Nell’applicazione a reflui con significativa concentrazione di cloruri si verificano le reazioni di seguito riportate. All’anodo: 2Cl- → Cl2 + 2e- (4) 6HOCl + 3H2O → ClO3- + 4Cl- + 12H+ + 1.5O2 + 6e- (5) Mentre al catodo: OCl- + H2O + 2e- → Cl- + 2OH- (6) e conseguentemente in soluzione: Cl2 + H2O → HOCl + H+ + Cl- (7) HOCl → H+ + OCl- (8) contaminante organico + OCl- → sottoprodotti → CO2 + Cl- + H2O (9) Il processo risulta inoltre particolarmente efficace per la rimozione dei composti azotati e dell’ammoniaca. In condizioni ideali, in presenza di una concentrazione elevata di cloruri, si verifica l’ossidazione dell’ammoniaca che potrebbe portare teoricamente ad una completa conversione in N2. In particolare, la rimozione dell’ammoniaca risulta per opera dell’ossidazione indiretta per mezzo di HOCl: 3HOCl + 2NH3 → N2 + 3H2O + 3H+ + 3Cl- (10) 3HOCl + 2NH4+ → N2 + 3H2O + 5H+ + 3Cl- (11) 4HOCl + NH4+ → NO3- + H2O + 6H+ + 4Cl- (12) 2HOCl + OCl- → ClO3- + 6H+ + 4Cl- (13) L’ossidazione diretta e indiretta dell’ammoniaca in presenza di OH- e Cl- avviene con le reazioni: 2NH3 + 6OH- → N2 + 6H2O + 6e- (14) 2NH3 + 6Cl → N2 + 6HCl + 6e (15) Nelle Figure 4 e 5 vengono illustrate due celle di elettrossidazione realizzate, la prima per un refluo di tintoria e la seconda per il trattamento del percolato di discarica. L’ampia gamma di contaminanti che può essere oggetto di trattamento, l’assenza di produzione di fanghi e i ridotti costi di gestione comportano benefici sia in termini di bilancio ambientale sia in termini di riduzione dei costi, se confrontati con i tradizionali processi di elettrocoagulazione che impiegano elettrodi di metalli o altri materiali. *SA Envitech s.r.l.

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th e b i g e y e

ADEGUAMENTO ALLA NORMATIVA COMUNITARIA PER LE DISCARICHE GRECHE INTERVENTI DI MESSA IN SICUREZZA E Ripristino ambientale della discarica per rifiuti solidi urbani DI KERAMOTI, ATTRAVERSO MODELLI DI STIMA PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS E PERCOLATO di A. Segalini, M. Bergonzoni e E. Kekridou*

I

l presente lavoro analizza da un punto di vista tecnico e normativo la discarica di Keramotì, in località Nea Karya (Grecia), interessata da un intervento di ripristino ambientale per l’adeguamento alle normative comunitarie. L’impianto di smaltimento di rifiuti solidi urbani è stato attivato nel 1984 ed è rimasto attivo fino ad agosto del 2007. Tuttavia, la semplicità dell’impianto e la mancanza di vere e proprie infrastrutture, oltre all’assenza di sistemi di raccolta del percolato e del biogas, hanno obbligato il Comune di Keramotì ad avviare un importante progetto di ripristino ambientale per adeguarsi alla normativa comunitaria di settore. La pregressa gestione dei rifiuti, pressoché priva di opere strutturali, infrastrutturali e di monitoraggi ambientali, ha reso necessaria la progettazione e la realizzazione di moltissime opere al fine di adeguare la discarica alle nuove disposizioni normative comunitarie. Per l’area è stato predisposto un progetto di ripristino ambientale in grado di soddisfare i requisiti tecnici minimali, garantendo inoltre la sicurezza della discarica stessa. Tale progettazione si inserisce in un più ampio contesto che prevede la revisione su tutto il territorio greco dei siti di smaltimento rifiuti,

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Anno 3 - Numero 9

così come stabilito dal protocollo Greco KYA 11418/17-11-1997 “Costituzione ambiti di progettazione e programmi generali per la gestione dei rifiuti solidi”. Solo attraverso un’attenta analisi dello stato di fatto e dei nuovi requisiti richiesti è stato possibile definire analiticamente e tecnicamente le linee progettuali da sottoporre alle autorità competenti per la loro approvazione e successiva realizzazione. La gestione della discarica è di competenza del Comune di Keramotì; la sua superficie, pari a circa 8.136 m2 è ricompresa all’interno del territorio comunale. Nella zona limitrofa è presente una rete stradale che comprende sia strade provinciali che rurali e nell’area circostante si trovano inoltre diversi pozzi ad uso irriguo poiché la maggior parte del territorio è a vocazione agricola. La discarica è stata aperta nel 1984 ed è rimasta in esercizio fino ad agosto 2007, data in cui sono iniziati i primi lavori di ripristino ambientale. Inizialmente non era dotata di nessun tipo di infrastruttura, ed era presente solo una strada di accesso quale diramazione della strada rurale. In particolare non c’erano recinzioni, cancelli d’ingresso, attrezzature per la pesatura dei camion di rifiuti, né per la gestione delle acque piovane, del biogas o del

percolato, né tantomeno sistemi di impermeabilizzazione del fondo o delle scarpate. Anche le misure di scurezza per la protezione contro gli incendi erano pressoché inesistenti, affidate esclusivamente alla strada presente attorno alla discarica, che funzionava come zona tagliafuoco. L’altezza massima del cumulo dei rifiuti era pari a circa 2 m, con un’altezza media di 1,5 m. La pendenza della superficie superiore del rilievo dei rifiuti variava tra l’1% e il 2%. Il trasporto dei rifiuti verso la discarica avveniva con mezzi privati e la natura dei rifiuti presenti era così costituita: • 50% inerti di demolizione/costruzione; • 30% rifiuti urbani; • 20% rifiuti di origine vegetale. In riferimento alla legislazione greca, che prevede l’assegnazione di un punteggio alle discariche definito in funzione di diversi parametri tabellari, tale discarica risulta avere un punteggio pari a 75, ovvero appartiene alla seconda categoria, per la quale sono previste immediate misure di messa in sicurezza e ripristino (tabella 1). Dopo avere analizzato dettagliatamente il sito sono stati identificati gli interventi prioritari per la messa in sicurezza e l’adeguamento normativo, che sono: • risagomatura morfologica del corpo della discarica;


Categorie

Priorità per le misure

Voto

1

Necessario prendere subito delle misure

≥90

2

Necessario prendere subito delle misure

70 – 89

3

Necessario prendere delle misure

30 - 69

4

Non è necessario che si prendano delle misure

0 - 29

Tabella 1. Categorie di valutazione delle discariche nel territorio greco

• regimazione idraulica delle acque piovane; • costruzione di un strato drenante per il percolato; • costruzione di un strato di impermeabilizzazione; • opere impiantistiche per la gestione del percolato; • opere impiantistiche per la gestione del biogas; • capping finale; • piantumazione e sistemazione a verde dell’area; • piano di monitoraggio ambientale del sito.

Modelli di stima dell a produzione di percol ato L’obiettivo prioritario nella gestione delle discariche è minimizzare l’impatto ambientale che deriva dallo smaltimento dei rifiuti. Come abbiamo visto precedentemente, il biogas e il percolato sono i principali e maggiori inquinanti generati durante l’attività di una discarica controllata, perciò devono essere progettati a riguardo efficaci sistemi di trattamento e smaltimento. Per poter dimensionare con la maggior precisione possibile questi sistemi di trattamento in fase di progettazione, bisogna elaborare una stima della quantità di inquinanti che la discarica genererà in fase operativa e in fase di post-gestione; per fare ciò si devono utilizzare modelli previsionali certi e verificati, affinché non si generino problemi di smaltimento difficilmente risolvibili durante l’attività della discarica. Il percolato è il liquido prodotto dal dilavamento dei rifiuti ad opera delle precipitazioni e delle infiltrazioni ed è un elemento altamente inquinante, caratterizzato da concentrazioni di COD e azoto ammoniacale di due ordini di grandezza più elevate rispetto ad un

liquame di fognatura urbana (COD= 1-10 g/l; N-NH4= 0.5-2 g/l). Teoricamente dovrebbe iniziare ad accumularsi sul fondo della discarica solo dopo che i rifiuti hanno raggiunto le condizioni di saturazione ma, a causa di vie preferenziali e disomogeneità presenti nel monte rifiuti, può succedere che tali condizioni vengano raggiunte localmente, anche se la capacità del cumulo non è stata ancora globalmente saturata. Una semplice stima, molto approssimativa, può essere fatta come percentuale della precipitazione meteorica annua e varia dal 5 al 20% per discariche chiuse fino al 40-50% per discariche ancora aperte; si tratta però di un metodo molto incerto poiché non tiene conto di diversi fattori, come l’umidità del corpo rifiuti, il drenaggio superficiale o il processo aerobico, il quale contribuisce – seppur in maniera ridotta – al consumo d’acqua. Inoltre tale metodo non considera i fenomeni che avvengono in discarica, per esempio la produzione di percolato che aumenta nel tempo o l’infiltrazione dell’acqua che tende a riempire i vuo-

ti e ad essere assorbita dai rifiuti nella prima fase di operatività. Per una stima più attendibile della produzione di percolato è necessario effettuare un bilancio idrologico della discarica, considerando i contributi in ingresso e in uscita. Le componenti che intervengono nel bilancio di massa sono: • l’acqua che entra dalla superficie, cioè l’acqua piovana che percola; • l’umidità presente nei rifiuti, che è assorbita dall’atmosfera o dalle precipitazioni (il contenuto di umidità varia al variare delle stagioni, rendendo necessari test durante diversi periodi); • l’umidità del materiale di copertura dipende dal tipo di materiale usato e dalla stagione; la quantità massima di umidità, che può essere contenuta, è definita capaci-

33


th e b i g e y e

tà di campo o field capacity (FC) ed è la quantità di liquido che rimane nello spazio dei pori soggetto alla spinta di gravità; • l’acqua persa attraverso il biogas, cioè l’acqua usata durante la decomposizione anaerobica della parte organica dei rifiuti; • l’acqua persa come vapore acqueo di cui è saturo il biogas; • il percolato. La quantità di acqua inglobata dai rifiuti e dal materiale di copertura è definita dalla FC: la quantità potenziale di percolato è la quantità di umidità all’interno della discarica che eccede la FC. La FC è stimata con l’equazione:

dove W è il carico del cumulo di rifiuti per lo strato in oggetto. Il risultato fornisce la quantità di acqua disponibile nello strato considerato e nell’intervallo di tempo considerato. Per determinare se si forma il percolato si confronta la FC della discarica con la quantità di acqua presente e se la FC risulta minore si formerà percolato. Per effettuare il bilancio di massa è possibile utilizzare un’equazione più immediata, che tiene conto di tutti gli apporti idrici: L = P – R + R* - ET + J + Is + Ig + (∆Us - ∆Uw) ± b dove L: volume di percolato P: pioggia

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Anno 3 - Numero 9

R: ruscellamento superficiale R*: ruscellamento superficiale da aree esterne alla discarica ET: evapotraspirazione Is: infiltrazioni d’acqua da acque superficiali Ig: infiltrazioni d’acqua da acque sotterranee ∆Us: variazione del contenuto d’acqua dei materiali di copertura ∆Uw: variazione del contenuto d’acqua dei rifiuti b: produzione e consumo d’acqua dovuto a reazioni di biodegradazione aerobica e anaerobica.

Modelli di stima per l a produzione del biogas La gestione del biogas, in virtù dell’elevato potenziale che può avere in termini di impatto ambientale, è una delle attività più importanti del ciclo di smaltimento. Il metano e l’anidride carbonica sono i costituenti principali del biogas e sono prodotti durante la decomposizione anaerobica della sostanza organica e delle proteine presenti nei rifiuti smaltiti in discarica, che vengono inizialmente trasformati in zuccheri, successivamente in acido acetico ed infine in metano e anidride carbonica. La decomposizione anaerobica ha luogo in assenza di ossigeno ed è un processo complesso, nel quale le condizioni ambientali e non giocano un ruolo fondamentale. Tra i fattori ambientali più importanti sono da considerare:

• il contenuto d’acqua del rifiuto; • la presenza e distribuzione dei microrganismi; • la concentrazione di nutrienti; • la composizione merceologica e la pezzatura media dei rifiuti; • il pH e la temperatura all'interno del cumulo di rifiuti; • l'eventuale infiltrazione di acqua. Tra i fattori non ambientali: • profondità dello scarico controllato; • modalità di deposito dei rifiuti; • materiali di copertura. Esistono diversi modelli di biocinetica studiati per un calcolo della produzione relativa di biogas (m3/anno). E’ evidente che l’estrema variabilità dovuta ai fattori sopra elencati e la difficoltà di avere dati esatti di partenza per l’elaborazione sono tali da rendere questi modelli molto imprecisi. In linea di massima si può affermare che un modello previsionale della produzione di biogas in discarica sia normalmente costituito da una parte di carattere stechiometrico e da un'altra a carattere biochimico-cinetico. Il sottomodello stechiometrico ha come dati di entrata principali la composizione merceologica dei rifiuti posti in discarica controllata, mentre i dati in uscita sono costituiti dalla quantità di carbonio organico gassificabile, dalla quale è possibile poi calcolare la quantità massima di biogas producibile dalla degradazione dell'unità di massa di rifiuto. Il sottomodello biochimico descrive invece l'evoluzione temporale del processo di gassificazione del carbonio organico disponibile tramite le costanti di degradabilità, tenendo conto di alcuni parametri quali il contenuto di acqua, la pezzatura media e la temperatura. La struttura appena descritta caratterizza la maggior parte dei modelli più diffusi, tra cui: • PALOS VERDES Model; • SCHOLL CANYON Model; • SHELDON-ARLETA Model; • MGM EMCOM Model; • EPA Model; • BIO 5. In estrema sintesi è tuttavia possibile individuare alcuni parametri fondamentali che sono alla base di un modello previsionale per la produzione di biogas:


• contenuto di carbonio organico e sua frazione gassificabile; • cinetica di degradazione della frazione organica; • umidità; • tempo di generazione; • tempo di ritardo iniziale. Bisogna considerare inoltre che risulta praticamente impossibile replicare in una discarica le condizioni di “bioreattore ideale” presupposte dai modelli. Per questo motivo i modelli più attendibili sono quelli di tipo misto che riuniscono informazioni sia di carattere teorico che pratico. Tali modelli, pur partendo da un algoritmo matematico, vengono testati direttamente sulle discariche e in base ai dati ottenuti vengono continuamente aggiornati e “tarati”.

CONCLUSIONI Trattandosi di una discarica di rifiuti esistente da quasi 25 anni, gli aspetti progettuali di adeguamento tecnico sono di particolare

complessità, considerando il fatto che la maggior parte delle opere andrebbero realizzate prima della messa a dimora dei rifiuti. Per contro il vantaggio di agire su un’opera esistente è che tutti i modelli previsionali di produzione del biogas e percolato possono essere opportunamente tarati, conoscendo le effettive quantità prodotte nel sito. In conseguenza di ciò si è proceduto con la modellizzazione del corpo della discarica, con lo scopo di definire con la massima accuratezza i diversi parametri e fattori ambientali necessari ai successivi calcoli progettuali. L’utilizzo di modelli specialistici ha permesso così di stimare le quantità di percolato e biogas prodotti dalla discarica. Va inoltre sottolineato come la possibilità di produrre energia elettrica sfruttando il biogas

prodotto rappresenti una risorsa locale di particolare interesse. La realizzazione di tutti gli interventi previsti dal progetto ha permesso non solo di soddisfare le esigenze normative comunitarie ma, soprattutto, di ridurre l’impatto ambientale locale, garantendo maggior tutela e sicurezza all’intera discarica. *Università di Parma


r e po rt

LE SCELTE SULLE TECNOLOGIE DI BONIFICA IN EUROPA E STATI UNITI GESTIONE SOSTENIBILE DEI MATERIALI PROVENIENTI DA SITI CONTAMINATI. ESPERIENZE EUROPEE E STATUNITENSI A CONFRONTO: RIUTILIZZO COME POSSIBILE SOLUZIONE? di L. D’Aprile*, D. Darmendrail** e J. Reinikainen***

I

n Italia la crescita industriale degli anni ’60, avvenuta nella totale assenza di normative e controlli ambientali, ha lasciato una pesante eredità: vasti insediamenti industriali nei quali le attività produttive succedutesi nel tempo hanno compromesso in modo quasi irreparabile l’utilizzo delle risorse naturali. Sono questi i “mega-siti” contaminati che occupano oltre il 3% dell’intero territorio italiano e circa 170.000 ettari di aree a mare. La bonifica dei mega-siti rappresenta per l’Italia un’emergenza ambientale; attraverso vari atti normativi sono stati identificati e finanziati gli interventi su 57 mega-siti cosiddetti di Interesse Nazionale, ovvero siti per i quali, in considerazione della rilevanza socio-economica, paesaggistica, culturale e della gravità dello stato di compromissione delle matrici ambientali, la procedura di

bonifica è di competenza dello Stato, attraverso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che ne finanzia anche, in parte, le attività di bonifica. Le tecnologie di bonifica in situ, non richiedendo la rimozione delle matrici contaminate, consentono di evitare le problematiche relative alla gestione dei materiali rimossi. Tuttavia si deve rilevare che purtroppo ad oggi in Italia il ricorso a tali tecnologie di bonifica è piuttosto limitato ed è invece massiccio l’impiego del trattamento/conferimento off site delle matrici ambientali contaminate. Il ricorso a “dig-and-disposal” o “pump-and-treat” è particolarmente frequente nei casi in cui le tempistiche richieste per gli interventi sono molto brevi (ad es. investimenti immobiliari), vigendo la convinzione che l’applicazione di tecnologie di bonifica in situ comporti comunque

tempi più lunghi per la conclusione degli interventi. In proporzione alle volumetrie interessate dalla contaminazione, la gestione dei materiali provenienti da siti oggetto di bonifica (suolo, sedimenti, acque) diventa un aspetto cruciale e un fattore condizionante per la bonifica delle aree. Nel presente articolo si prende spunto dai risultati di un questionario promosso dall’International Committe on Contaminated Land (ICCL), recentemente pubblicati sul sito del comitato (http://www.iccl.ch/meeting_helsinki. html) per presentare un confronto tra le pratiche di gestione dei materiali provenienti da siti contaminati in alcuni Stati membri dell’Unione Europea e negli Stati Uniti d’America. In Tabella 1 si riportano schematicamente i dati principali relativi ai trattamenti applicati nei vari Paesi.

AUSTRIA Sulla base dei dati pubblicati dall’ICCL (ICCL 2009), tra il 1989 e il 2006 sono state utilizzate tecnologie di bonifica in situ nel 46% dei casi (la percentuale indica anche gli interventi di pump-and-treat, 23%, e le barriere fisiche, 22%) e tecnologie di tipo on site nel restante 10% (4% biopile e 6% copertura superficiale). La quantità di terreno escavato annualmente è di circa 22 milioni di tonnellate. Di tale quantità di terreno, circa 800.000 tonnellate sono considerate “suolo contaminato”. La maggior parte del terreno contaminato escavato è trattata per via biologica, conferita in discarica oppure trattata per via chimico-fisica. L’incenerimento è applicato in misura decisamente inferiore. Le modalità di gestione e di riutilizzo del terreno contaminato rimosso ed eventualmente trattato sono definite all’interno del “Federal Waste Management Plan” del 2006, che costituisce un riferimento normativo e delinea, in base agli accertamenti analitici, 4 categorie principali ai fini del riutilizzo: • A1: riutilizzo senza limitazioni (anche in aree ad uso agricolo); • A2: riutilizzo con limitazioni; • A2-G: riutilizzo con limitazioni in prossimità di falde acquifere; • riutilizzo in siti con caratteristiche similari, nel caso di elevate concentrazioni di fondo.

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Anno 3 - Numero 9


BELGIO F iandre Il 60% degli interventi di bonifica effettuati tra il 1996 e il 2008 è stato condotto mediante escavazione e conferimento in discarica/trattamento ex situ. Esistono delle linee guida per la gestione e il riutilizzo dei terreni scavati che tengono conto di criteri di sostenibilità economica: se il costo del trattamento supera quello dello smaltimento in discarica, si ritiene che il terreno non possa essere sottoposto a trattamento. Esistono sul territorio, ad iniziativa di privati, “banche del suolo” che registrano domanda e offerta di terreni. Le analisi vengono sempre eseguite, con l’unica eccezione rappresentata dagli scavi di meno di 250 m3 in siti in cui non si svolgono/non si sono svolte attività potenzialmente inquinanti. Per il riutilizzo del suolo vengono applicati i seguenti criteri di massima: • il suolo scavato può essere riutilizzato all’interno dell’area catastale interessata dagli scavi se presenta concentrazioni pari o inferiori all’80% dei limiti di bonifica previsti per l’uso del suolo. Al di fuori dell’area di scavo il suolo deve essere conforme ai limiti per l’utilizzo senza vincoli. Il suolo scavato non conforme può essere utilizzato come materiale da costruzione qualora ne possieda le caratteristiche in termini di concentrazione e cessione; • al di fuori della zona di lavoro catastale, il suolo scavato con concentrazioni al di sopra dei valori per il riutilizzo senza vincoli può essere ancora utilizzato, ma a condizione che non presenti rischio di contaminazione per le acque sotterranee e che, nel caso in cui le concentrazioni superino i criteri di bonifica per la destinazione d’uso residenziale, il terreno sia trattato prima del riutilizzo.

V allonia Le tecnologie di bonifica in situ e on site sono utilizzate esclusivamente nei siti contaminati di maggiore estensione. Nei punti vendita carburanti, che rappresentano la tipologia di siti contaminati più diffusa, circa il 90% degli interventi sono condotti mediante scavo e smaltimento off-site. I trattamenti più frequentemente applicati per il suolo contaminato scavato sono quelli di tipo biologico, in misura minore i trattamenti di tipo chimico-fisico. In generale il terreno scavato è considerato un rifiuto e viene pertanto gestito sulla base di quanto previsto dalla disciplina sulla gestione dei rifiuti (pericolosi e non pericolosi) e delle relative linee guida. Sono in corso di elaborazione delle linee guida specifiche per la gestione dei terreni scavati, che avranno come obiettivo principale la definizione delle condizioni per il recupero del terreno non bonificato e bonificato.

DANIMARCA In Danimarca solo il 5% del terreno contaminato è trattato mediante tecnologie in situ. La quantità di suolo scavato è di circa 5 milioni di tonnellate per anno. Circa il 10-30% del suolo scavato è riutilizzato e/o trattato. Le principali tipologie di riutilizzo sono la costruzione di strade e di barriere antirumore. Il suolo non contaminato scavato non è soggetto a particolari norme o regolamenti; attualmente la possibilità di riutilizzo dei suoli è valutata sulla base dei test di cessione ma la legislazione danese è in fase di revisione e molto probabilmente i test di cessione verranno abbandonati a favore di misurazioni delle concentrazioni sulla matrice solida. Vengono imposti limiti sulla scala dei progetti in cui il suolo contaminato viene riutilizzato.

FINL ANDIA Sulla base della documentazione amministrativa relativa ai procedimenti di bonifica approvati dal 2005 al 2008, oltre il 90% degli interventi è basato sull’escavazione e conferimento in discarica/trattamento del terreno. La quantità annua di terreno contaminato scavato riferita ai dati del periodo 2005-2008 è pari a 1,5 milioni di tonnellate. I terreni contaminati e non contaminati provenienti da attività di bonifica vengono in genere gestiti nell’ambito della normativa rifiuti, tuttavia il terreno per il quale non vi è sospetto di contaminazione, può essere gestito senza necessità di ulteriori analisi o permessi. Allo stesso modo il suolo che presenta concentrazioni di contaminanti al di sotto dei valori di riferimento previsti dalla normativa sui siti contaminati può essere riutilizzato senza particolari limiti. In altre situazioni il riutilizzo può essere consentito previa elaborazione di un’analisi di rischio sito-specifica. Sono in corso di elaborazione linee guida per il riutilizzo dei rifiuti che prevederanno criteri differenziati sulla base dei livelli di contaminazione. Probabilmente il recepimento della nuova Direttiva Rifiuti (2008/98/EC) e i relativi criteri per i sottoprodotti influenzeranno le scelte operate per il riutilizzo dei terreni non contaminati o sottoposti a trattamento.

GERMANIA In Germania nel 2006 la quantità annua di suolo scavato è stata di circa 140 milioni di tonnellate, di cui 4.440 di rifiuti pericolosi. In generale, i suoli scavati non vengono gestiti come rifiuti se rimangono nel sito di produzione, pertanto viene data priorità alle tecnologie in situ e on site. Spesso però il conferimento in discarica si rivela economicamente più competitivo. Esistono dei riferimenti normativi per il riutilizzo dei terreni nei riempimenti e sono in preparazione criteri per il riutilizzo come materiali da costruzione. Le informazioni sui flussi di rifiuti, ivi inclusi i terreni scavati, sono raccolte dall’Agenzia Federale per la Statistica. Al momento sono in corso di elaborazione criteri per il riutilizzo dei terreni che stabiliranno livelli di concentrazione di riferimento per il suolo e test di cessione a protezione della falda.

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r e po rt

ITALIA In Italia non esistono dati ufficiali sull’applicazione di tecnologie in situ o ex situ. Da una stima preliminare è possibile valutare intorno al 70-80% del totale i casi di applicazione di interventi ex situ (on site, off site), per lo più riconducibili a scavo e smaltimento in discarica. Nel 20-30% dei casi sono state applicate tecnologie in situ/on site, tra le quali ossidazione chimica e bioremediation. Tra le tecnologie ex situ applicate con una certa frequenza occorre menzionare il soil washing e la solidificazione/stabilizzazione. La percentuale di terreno contaminato riutilizzato in seguito all’escavazione non supera il 30%. Il terreno scavato contaminato viene in genere gestito come rifiuto, a meno che non venga riutilizzato internamente al sito di origine. Il riutilizzo in situ del terreno non contaminato è consentito previa esecuzione di test di cessione e di monitoraggi delle acque di falda. Se il materiale da riutilizzare è classificato come rifiuto, viene caratterizzato seguendo la metodologia della norma UNI 10802 ed eseguendo i test di cessione previsti dalla normativa rifiuti, oltre alle analisi di tipo chimico e/o geotecnico volte ad accertare la compatibilità con il sito di destinazione. Se il materiale da riutilizzare non è classificato come rifiuto, per la caratterizzazione si applicano le metodologie previste dalla normativa sui siti contaminati. L’analisi di rischio non è utilizzata per valutare la possibilità di riutilizzo dei materiali ma può essere utilizzata per valutare eventuali deroghe rispetto ai criteri di accettabilità dei terreni in discarica.

OLANDA La normativa olandese sulla gestione dei siti contaminati mira a massimizzare il riutilizzo del suolo, spinto al 90%. Del rimanente 10% di suolo da bonificare, circa l’80% viene scavato e conferito in discarica (30%), oppure trattato ex situ (70%). Le tecnologie in situ vengono applicate nel restante 20% dei casi. In Olanda sono numerosi i disposti normativi e le linee-guida che riguardano la gestione del suolo contaminato scavato ed esistono inoltre un registro nazionale sull’uso del suolo e una “Banca del Suolo”. I principi guida della normativa sulla gestione del suolo possono essere riassunti in due espressioni: • “standstill” - il suolo riutilizzato dovrebbe essere di qualità uguale o superiore a quella del suolo del sito di destinazione; • “fit-for-use” - la qualità del suolo in posto dovrebbe corrispondere alle caratteristiche necessarie per il suo uso corrente e/o futuro. Tali principi vengono applicati anche al riutilizzo dei terreni: le modalità di riutilizzo vengono accuratamente controllate, per ogni specifico uso, attraverso la realizzazione di campionamenti e analisi certificate, sotto la supervisione degli enti di controllo. Occorre sottolineare che la normativa olandese sul suolo è in corso di revisione: in particolare verrà applicato il concetto di “Soil Service”, più ampio di quello di “Soil Function”, pertanto potranno essere previsti differenti obiettivi di bonifica e/o modalità di riutilizzo nella stessa area.

SPAGNA Non sono disponibili statistiche in merito all’applicazione delle tecnologie di bonifica e alla quantità di suolo scavato valide per l’intero territorio spagnolo. La Spagna ha una normativa sui siti contaminati (Regio Decreto 9/2005) che prevede anche obblighi per la bonifica del suolo contaminato scavato. In particolare i proprietari dei siti in cui si sono svolte attività potenzialmente contaminanti devono fornire un rapporto sullo stato del suolo i cui contenuti sono determinati dalle Autorità Competenti Regionali.Non esistono linee guida specifiche per determinare se un suolo è riutilizzabile.

P aesi B asc hi Anche se non sono disponibili dati ufficiali, le stime fornite dall’IHOBE, società pubblica per la gestione dell’ambiente del governo basco, riportano che l’escavazione e il conferimento in discarica sono applicati nel 95% degli interventi e solo nel 2% dei casi sono state utilizzate tecnologie in situ. Solo una piccola parte dei terreni contaminati scavati viene trattata in impianti off site, mentre la maggior parte finisce in impianti di incenerimento. L’ammontare totale di terreno scavato per il periodo 2005-2008 è di circa 3,2 milioni di tonnellate. Le stime disponibili per il periodo 1998-2007 riportano il valore di circa 90 milioni di tonnellate di suolo non contaminato scavato. Il suolo scavato viene considerato rifiuto e se proviene da siti contaminati può essere riutilizzato solo off site, previa verifica della compatibilità delle concentrazioni di sostanze inquinanti con le concentrazioni di fondo del sito di destinazione. L’applicazione on site è valutata caso per caso previa autorizzazione del Dipartimento dell’Ambiente.

SVEZIA Da uno studio finanziato nel 2006 dall’EPA Svedese è emerso che la strategia di bonifica maggiormente applicata è l’escavazione con conferimento in discarica (88% dei casi). La maggior parte dei materiali contaminati sono trattati per via biologica mediante compostaggio. La Svezia ha una propria normativa sulla gestione dei rifiuti e l’EPA Svedese sta elaborando dei criteri per il riutilizzo dei rifiuti (e quindi dei terreni contaminati) nelle costruzioni e come copertura delle discariche. L’aspetto più importante nella gestione dei materiali è l’assoggettabilità alla disciplina dei rifiuti. Nelle linee guida di prossima pubblicazione l’EPA Svedese indicherà anche i criteri da seguire per l’utilizzo dei materiali nelle costruzioni, fornendo concentrazioni limite di riferimento.

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Riutilizzo del terreno

Tipologia di Interventi Quantità (%) In situ: 46% (inclusi pump-and-treat e barriere fisiche) Austria

On site: 10% (4% biopile, 6% copertura superficiale) Ex situ (rimozione): 44%

Belgio – Fiandre

Riempimenti, strade, barriere 72% del terreno

antirumore, coperture di discariche,

contaminato riutilizzato

rimodellazioni paesaggistiche, riempimento di cave

In situ: 30%

75% del terreno riutilizzato tal

Materiale da costruzione,

Ex situ: 60%

quale, 5% dopo trattamento e 20%

barriere antirumore, riempimento

Confinamento delle matrici contaminate: 10%

come materiale da costruzione

di vecchie cave

Tecnologie in situ/on site utilizzate solo nei siti Belgio –

di grandi dimensioni. Il 90% degli interventi

Vallonia

su punti vendita sono condotti mediante scavo e smaltimento in discarica

Danimarca

Modalità

Il suolo contaminato scavato non può essere riutilizzato tal quale. Oltre 50% riutilizzato dopo trattamento

Se non presenta livelli di contaminazione residua è utilizzato nelle costruzioni civili, per riempimenti o rimodellamenti paesaggistici

In situ: 5%

10-30% del suolo scavato

Costruzione di strade,

Ex situ (prevalentemente scavo e smaltimento): 95%

è riutilizzato e/o trattato

barriere antirumore

Circa 90% del suolo è riutilizzato. Il Finlandia

In situ: <10%

terreno poco contaminato (l’80%) è

Barriere antirumore, costruzioni,

Ex situ (escavazione e conferimento in

utilizzato senza ulteriori trattamenti.

riempimenti, rimodellazioni

discarica/trattamento del terreno): >90%

Meno del 10% del terreno

paesaggistiche

scavato è conferito in discarica I suoli scavati non vengono gestiti come rifiuti Germania

se rimangono nel sito di produzione. Viene data priorità alle tecnologie in situ e on site

Italia

In situ/On Site: 20-30% Ex situ: 70-80%

Circa il 58% del terreno scavato è riutilizzato tal quale o trattato <30% di terreno riutilizzato

Costruzione di strade, riempimenti, barriere antirumore Sottofondi stradali, realizzazione di coperture per discariche Sviluppo di aree residenziali

Olanda

In situ: 20%

90% del terreno viene riutilizzato

o industriali, realizzazione di

Ex situ: 80% (30% discarica, 70% trattamento)

(solo il 10% bonificato)

strade, barriere antirumore, coperture per discariche, dighe

Spagna

In situ: circa 2%

– Paesi

Ex situ (escavazione e conferimento

Baschi

in discarica): > 95%

30-50% riutilizzato tal quale

Nel sito di origine per

<10% riutilizzato dopo trattamento

riempimenti e rilevati

In situ: 10% Svezia

Ex situ (prevalentemente escavazione e

20% riutilizzato dopo trattamento

conferimento in discarica): 88%

Coperture di discariche, costruzioni, sottofondi stradali

Superfund Sites U.S.A.

In situ: 27% On site: 61%

15-30% del terreno riutilizzato

Riempimenti, rilevati, coperture giornaliere, capping

Ex situ (scavo e smaltimento in discarica): 41%

Tabella 1. Quadro sinottico sulla gestione e il riutilizzo dei materiali provenienti da siti oggetto di bonifica

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U.S.A . Anche i dati relativi agli U.S.A. sono stati presentati nell’ambito delle attività dell’ICCL. Dall’esame delle attività condotte all’interno dei “Superfund Sites” (Siti di Interesse Nazionale statunitensi) è emerso che nel 27% degli interventi sono state applicate tecnologie in situ, per il 61% si è fatto ricorso ad interventi di trattamento/contenimento/smaltimento on site, mentre nel 41% dei casi i terreni scavati sono stati trattati o conferiti in depositi controllati off site. Occorre sottolineare che le elevate percentuali di interventi ex situ sono giustificate dall’esistenza, nei siti superfund, di numerosi casi di contaminazione da PCB e metalli pesanti, che presentano notevoli difficoltà di trattamento e rendono più semplice ed economico il conferimento in discarica. Il terreno scavato è, in generale, gestito come rifiuto (pericoloso o non pericoloso) sulla base dei livelli di contaminazione e dell’origine del suolo. I terreni classificati come rifiuti pericolosi devono essere trattati fino a raggiungere i requisiti definiti dagli standard (Universal Treatment Standards specificati nel RCRA, Resource Conservation and Recovery Act). I terreni non classificati come rifiuti pericolosi vengono gestiti e riutilizzati sulla base di criteri fondati sull’analisi di rischio. Le linee guida applicabili al riutilizzo del suolo sono simili a quelle applicabili per il suolo in posto: entrambe le categorie devono rispettare gli obiettivi di bonifica per la specifica tipologia d’uso. Tali obiettivi possono essere definiti come livelli di riferimento oppure calcolati attraverso un’analisi di rischio sito-specifica. In genere si tende ad utilizzare i livelli di riferimento prestabiliti per interventi urgenti o di ridotta estensione. La tipologia di controlli che vengono effettuati per il riutilizzo del terreno dipendono dalla tipologia del riutilizzo stesso e dalle caratteristiche delle eventuali strutture connesse all'impiego (strade, edifici, ecc.). Gli obiettivi di bonifica, i controlli e i monitoraggi saranno strettamente correlati a tali fattori.

Analisi dei risultati e osservazioni conclusive L’analisi sinottica dei risultati presentata in Tabella 1 consente di effettuare le considerazioni di seguito riportate. • Tipologia degli interventi: l’applicazione di tecnologie in situ in Europa è piuttosto modesta, soprattutto negli interventi di bonifica che hanno come fine ultimo investimenti immobiliari. Pur non essendo disponibile il dato percentuale della Germania, che rimane probabilmente il Paese europeo con la più elevata percentuale di applicazione di tecnologie in situ, occorre osservare che in alcuni casi (ad esempio l’Austria) il confinamento fisico e/o idraulico è equiparato alle applicazioni in situ. In questo senso rimane ancora piuttosto marcato il “gap” con gli U.S.A. che vedono, anche negli interventi complessi dei Superfund, un ricorso predominante a tecnologie in situ/on site. Il dato italiano è assolutamente in linea con la media europea. • Quantitativi di terreni riutilizzati: le quantità di terreno riutilizzate nei Paesi europei sono in media più elevate rispetto al dato statunitense. In alcuni Paesi a condizionare questo trend è sicuramente la mancanza di territorio disponibile per l’espansione urbanistica ed industriale (es. Paesi Bassi, Belgio, Finlandia) oppure le politiche mirate al riutilizzo dei brownfield (Germania). Il dato italiano si colloca sicuramente nella

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Anno 3 - Numero 9

fascia bassa dei Paesi europei, denotando una scarsa propensione al riutilizzo del suolo, anche se bonificato. • Modalità di riutilizzo dei terreni: le modalità di riutilizzo più “estensive” si riscontrano nei Paesi in cui le quantità di terreno riutilizzate sono particolarmente elevate. • Requisiti per il riutilizzo dei terreni: pur applicando la normativa europea in tema di rifiuti, alcuni dei Paesi presi in considerazione hanno sviluppato criteri ad hoc per la gestione dei materiali provenienti dai siti oggetto di bonifica, allo scopo di favorire il riutilizzo in situ dei terreni e quindi velocizzare le attività di risanamento/riqualificazione ambientale. Anche negli U.S.A. i terreni contaminati rimossi vengono gestiti come rifiuti; tuttavia, ai fini del riutilizzo, viene favorita l’applicazione estensiva dell’analisi di rischio sito-specifica. • Elementi di successo: l’analisi effettuata dall’ICCL mette in luce che i principali elementi di “propulsione” delle politiche di riutilizzo sono legati alla presenza di un quadro normativo non troppo rigido, nel rispetto della normativa comunitaria, di strumenti tecnici adeguati (approccio BAT/BATNEEC) e registri dell’uso del suolo che garantiscano la tracciabilità dei materiali e quindi rendano possibili i controlli istituzionali. Sulla base di quanto discusso nei punti precedenti si può concludere che in Europa l’applicazione delle tecnologie di bonifica in situ

è ancora piuttosto limitata, pertanto il ricorso massiccio ad interventi di rimozione ha portato molti Paesi ad incentivare il riutilizzo dei terreni scavati, pur nel rispetto delle indicazioni della normativa comunitaria sui rifiuti. La disomogeneità a livello europeo dei criteri da applicare per il riutilizzo dei materiali provenienti da siti oggetto di bonifica potrebbe portare non solo a notevoli differenze tra le strategie di bonifica adottate dai diversi Stati Membri, ma anche, per i Paesi nei quali il riutilizzo non viene adeguatamente incentivato per via normativa, l’allungamento dei tempi di bonifica, con conseguenze ambientali e sociali negative senza tralasciare l’aumento dei costi a carico degli operatori pubblici e privati. Infine è necessario osservare come, anche in assenza di linee guida specifiche a livello europeo, lo scambio di informazioni e di esperienze tra Paesi membri rappresenti un aspetto importante nella gestione dvelle problematiche ambientali.

Ringraziamenti Si ringraziano per i dati relativi all’Italia la Dott.ssa Rosanna Laraia, Responsabile del Servizio Rifiuti dell’ISPRA e il Dott. Andrea Lanz, Servizio Rifiuti dell’ISPRA. *Servizio Interdipartimentale per le Emergenze Ambientali, ISPRA **Common Forum Secretary, BRGM ***Finnish Environment Institute, Center for Consumption and Production



spe c i a l e

DIGESTIONE ANAEROBICA: DA RSU A FONTI DI ENERGIA RINNOVABILE UNA COMPARAZIONE TRA IMPIANTI DI PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA MEDIANTE TRATTAMENTO DELLA FRAZIONE ORGANICA DEGLI RSU ED IMPIANTI ALIMENTATI AD ENERGY CROP E SOTTOPRODOTTI di Giuliana D’Imporzano*

L

a gestione dei rifiuti secondo le Direttive Europee e secondo la normativa italiana si conforma ai principi di massimo recupero dei materiali e di energia; energia che si configura, nel caso di materiale biodegradabile, come da fonte rinnovabile. La Commissione Europea ha predisposto nel 1998 un Libro Bianco che indica nella promozione e nello sviluppo delle FER (Fonti di Energia Rinnovabile) un obiettivo comunitario strategico da perseguire per “motivi di sicurezza e diversificazione dell’approvvigionamento energetico, protezione dell’ambiente e coesione economica e sociale”. Lo sviluppo delle FER, oltre a ridurre la dipendenza energetica, dovrebbe consentire l’adempimento degli impegni presi con l’approvazione del protocollo di Kyoto. In questa linea programmatica si inseriscono le politiche di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili, tra cui la parte biodegradabile dei rifiuti urbani (L. 244/07 c.d. Legge finanziaria 2008, L. 222/07, D.M. 18/12/2008). La digestione anaerobica come sistema di recupero energetico dei rifiuti ad alta umidità (es. FORSU, UR 75-80%) presenta un rendimento energetico più interessante rispetto a pratiche quali l’incenerimento: infatti la separazione del combustibile gassoso (biogas ad alto contenuto di metano) dall’ac-

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qua contenuta nella biomassa consente un recupero dell’energia netta in ingresso al sistema di valorizzazione energetica pari al 70%, mentre i sistemi di combustione diretta della biomassa umida, considerando la perdita di energia per essiccare la biomassa prima della combustione, consentono recuperi di energia netta in ingresso al cogeneratore pari al 30-35%. Il trattamento del rifiuto umido (FORSU in primis e scarti dell’agroindustria o della grande distribuzione organizzata) con il sistema della digestione anaerobica presenta i minori impatti in termini di potenziale di generazione di gas

climalteranti, di acidificazione e di potenziale di eutrofizzazione (Sonesson et al 2000). Premesso questo è interessante andare a quantificare qual è la reale produzione di biogas della FORSU e compararla con altre matrici disponibili sul territorio e attualmente utilizzate per la produzione di biogas in impianti dedicati. I rifiuti organici evidenziano una producibilità di biogas per unità di sostanza secca nel range delle Energy crop, colture dedicate alla produzione energetica. In particolare la FORSU evidenzia una produzione media in scala di laboratorio compresa tra i 450-550 m3/tonss.

Figura 1. Biogas prodotto (lab test) da diverse matrici per unità di sostanza secca (dati Di.Pro.Ve)


Impianto A

Impianto B

Impianto C

Potenza installata di generazione elettrica

1 MW

1 MW

0,5 MW

Quantità (ton/anno)

30.000

38.000

23.000

Tipologie di materiali usati

FORSU

Liquame, colture energetiche,

Liquame, colture energetiche,

sottoprodotti

sottoprodotti

Efficienza impianto (BMY1)

87%

93%

84%

Efficienza impianto (BMY2)

88%

93%

88%

Tabella 1. Dati relativi al monitoraggio di tre diversi impianti di trattamento (dati Di.Pro.Ve.)

Alcalinità tota-

AGV/ Alcalinità totale

Impianto

pH Log[H+]

NH3 (mg l-1)

AGV (mg CH3COOH l-1)

A

7,5 ± 0,2

1.773 ± 64

3.117 ± 1.772

10.363 ± 1.197

0,30

B

8,1 ± 0,3

2.573 ± 48

2.515 ± 1.704

10.727 ± 2.275

0,23

C

7,9 ± 0,1

1.908 ± 62

1.257 ± 234

9.619 ± 750

0,13

D

8,1 ± 0,5

576,0 ± 22

2.400 ± 300

14.200 ± 1.100

0,17

le (mg CaCO3 l-1)

Tabella 2. Parametri chimici determinanti per il buon funzionamento del reattore: valori di reattori in condizioni metanigene stabili (dati Di.Pro.Ve.)

Quanto si esprime questa potenzialità nell’impianto di scala reale? Studi del Dipartimento di Produzione Vegetale, con monitoraggio di tre impianti di scala reale (tabella 1), hanno dimostrato con due diverse procedure di calcolo (figura 2) che la potenzialità espressa in impianto era pari

all’85-93% di quella teorica verificata in laboratorio. Le procedure di calcolo hanno considerato in un caso la differenza tra il potenziale di generazione di metano delle matrici in ingresso (BMPIN) e quello del digestato in uscita (BMPOUT), mentre nell’altro è stata confrontata la produzione media realmente riscontrata in impianto nel periodo di osservazione (SMP) con quella teorica misurata in laboratorio delle matrici in ingresso (BMPIN). L’efficienza di conversione in metano degli impianti è funzione del tempo di ritenzione del materiale nel reattore

anaerobico. Tale fattore, la lunghezza del tempo di ritenzione, è spesso in contrasto con gli interessi di un impianto di trattamento, dove se una tonnellata di rifiuto può fruttare circa 50-60 euro per la retribuzione dell’energia elettrica prodotta, talvolta può essere ancora più interessante la tariffa di trattamento (es. 90 euro/ton), e risulta quindi più conveniente ridurre i tempi di ritenzione in impianto ed avere più quantitativi trattati. Altri fattori che influenzano l’efficienza di conversione in metano sono i parametri chimicobiologici, legati ai carichi organici applicati al reattore (pH, alcalinità, ammoniaca, concentrazione di acidi grassi volatili). In tabella 2 sono riportati i principali parametri di processo di quattro digestori operanti in

Figura 2. Procedure di calcolo utilizzate per valutare l'efficienza dell'impianto nella produzione di biogas. BMY Bio Methane Yeld (resa metano), BMP Bio Methane Potential (produzione di metano determinata in laboratorio), SMP Specific Methane Potential (resa specifica di metano prodotto in impianto full scale)

43


spe c i a l e

condizioni di ottima stabilità, monitorati dal Di.Pro.Ve. Il fatto che i parametri rientrino in un range ottimale garantisce una buona performance di processo, come si è visto con i due metodi di calcolo (figura 2). Ragionando ora sulla parte economica e prendendo come base i tre impianti presentati (tabella 1) si possono proporre alcune considerazioni. L’impianto che prevede il trattamento di FORSU per produrre biogas, rispetto agli altri due impianti alimentati ad Energy crop e sottoprodotti, dimostra un costo di produzione dell’energia pari a -0,117 euro/kWh; gli altri due impianti tradizionali a Energy crop presentano invece costi pari a 0,09 e 0,12 euro/ kWh (la tariffa di conferimento del rifiuto del caso studio è di 70 euro/ton). Nel caso di una retribuzione dell’EE senza incentivo, solo l’impianto A avrebbe ancora un margine di guadagno positivo (tabella 4), ovvero 0,21 euro per kWh prodotto e circa 0,03 euro per tonnellata di materiale trattato. Considerando invece lo scenario in cui la FORSU avesse una tariffa di smaltimento di circa 21 euro/ton, ovvero il minimo per coprire i costi di smaltimento in discarica degli scarti che non possono essere avviati alla digestione anaerobica (10-15% della FORSU in ingresso), il costo dell’energia elettrica prodotta sarebbe pari a circa 0,10 euro/kWh, ancora decisamente conveniente rispetto alla produzione di energia elettrica con Energy crop (0,16-0,20 euro/kWh).

COSTS

Plant A

Plant B

Plant C

Organic materials supply costs

k€ a-1

324

596

218

Management/maintenance costs

k€ a-1

596

240

160

k€ a-1

409

380

267

Total annual cost

k€ a-1

1329

1216

645

Total specific cost

€Mg-1

29,4

31,5

28,4

Depreciation charge (15 years, interest 5,5%)

Tabella 3. Bilancio economico degli impianti considerati

CASE 2

Plant A

Plant B

Plant C

Income from EE*

k€ a

-1

593

781

309

Profit margins (per year)

k€ a

-1

1336

-219

-248

Unit profit margin (per kWhEE)

kWhEE

0,211

-0,026

-0,075

Unit profit margin (per m3 of biomethane)

€Nm-3CH4

0,747

-0,093

-0,267

€Mg-1

0,030

-0,006

-0,011

Unit profit margin (per Mg of treated material)

-1

* no incentive on EE (price = 93,7 €MWhEE-1)

Tabella 4. Bilancio economico degli impianti considerati, in uno scenario senza incentivo dell’energia elettrica

Conclusioni La produzione di energia elettrica da FORSU attraverso la digestione anaerobica si presenta come il più efficiente sistema di conversione dei rifiuti umidi in energia. La FORSU ha una produttività energetica specifica per unità di sostanza secca comparabile con le tradizionali Energy crop, largamente usate per la produzione di biogas. L’efficienza di processo, ovvero la quantità di biogas prodotta in impianto rispetto a quella teorica producibile, è un importante fattore di successo del sistema. L’efficienza di processo oltre che ai tempi di ritenzione del materiale nel digestore è legata alla buona conduzione operativa del sistema

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Anno 3 - Numero 9

e alla stabilità dei parametri chimici (pH, alcalinità, ammoniaca, concentrazione di acidi grassi volatili). L’analisi dei dati fa emergere un costo di produzione dell’energia pari a -0,117 Euro /kWh per l’impianto che prevede il trattamento di FORSU per produrre biogas, rispetto a costi

di 0,09 e 0,12 Euro/kWh per gli altri due impianti alimentati ad Energy crop e sottoprodotti, confermando così la redditività di tale impianto anche nello scenario di retribuzione dell’energia elettrica senza incentivo. *Università degli Studi di Milano


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UNA PINZA PER AMICA, L’ALLEATA NELLE DEMOLIZIONI Una carrellata sui principali modelli di pinze presenti sul mercato, per mettere in luce le caratteristiche tecniche in rapporto alla tipologia dell’escavatore di Costantino Radis

Q

uando si parla di demolizione si parla di pinze. La possibilità di operare in modo controllato, di non sollecitare oltremodo i mezzi di supporto, di essere selettivi, ha decretato il successo di questo utensile, ormai abitualmente utilizzato anche sui miniescavatori, con la stessa frequenza del martello idraulico. Le pinze nascono in Giappone nei primi anni ’70, per far fronte all’esigenza di demolire strutture complesse con pilastri di notevoli dimensioni, e poi si diffondono in tutto il mondo, giungendo in Italia per la prima volta nel 1983: da allora non esiste impresa di demolizione grande o piccola che possa farne a meno. Da non confondersi con il frantumatore, la pinza è composta da due chele con un’impronta molto ristretta, con uno o due fulcri di rotazione e un’apertura comandata da uno o due cilindri idraulici. Orientabili tramite una ralla a comando idraulico o elettrico, le pinze per il calcestruzzo sono

uno strumento prodotto ormai in modo massivo per venire incontro alle esigenze di ogni tipo di impresa, da quella generalista a quella che fa della demolizione la propria professione quotidiana. Questo attachment è dunque concepito per le demolizioni più delicate e di precisione permettendo all’operatore di muoversi agilmente nell’abbattimento di strutture in cemento armato e nella rimozione dei materiali a rilevanti altezze. Queste attrezzature, consentono non solo di controllare le diverse fasi della demolizione di strutture in cemento armato, ma anche di eliminare efficacemente rumorosità e vibrazioni. Una vasta gamma di modelli presenti sul mercato rendono le pinze estremamente versatili per qualsiasi tipo di escavatore dai mini ai maxi. I dati caratterizzanti queste attrezzature, indipendentemente dal produttore, sono principalmente: • la forza di chiusura, legata essenzialmente alla portata del sistema idraulico dell’escavatore;

CATERPILLAR Forte dell’esperienza maturata da Verachter, Caterpillar presenta la gamma di frantumatori VHC dalla linea particolarmente affusolata, in grado di lavorare in demolizione primaria e di coprire le esigenze di escavatori dal peso operativo oscillante fra le 15 e le 65 tonnellate. Sono dotati di un unico cilindro posizionato a 90° rispetto alla chela, in modo da mantenere inalterata la forza di rottura, di rotazione continua su 360° e di coltelli smontabili e reversibili.

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• l’apertura delle ganasce e di conseguenza la massima dimensione del pezzo lavorabile; • il peso dell’attrezzatura che condiziona la dimensione del braccio su cui andrà ad essere montata ed il peso dell’escavatore. In una sintetica carrellata, che non pretende di essere esaustiva, abbiamo cercato di riassumere i principali prodotti presenti sul nostro mercato.


CORAZZA L’azienda di Gaiarine (TV) ha una gamma di attrezzature che spazia dalla movimentazione forestale fino all’estrazione lapidea. Non potevano quindi mancare delle linee di prodotto specifiche per la demolizione, fra cui troviamo una linea multifunzione della serie MP dedicata agli escavatori da 10 a 40 tonnellate. Costruite in acciaio Hardox 400, sono pinze comandate da un cilindro temperato e protetto con carter per ogni chela; il sistema è inoltre dotato di valvola Powerforce che aumenta la velocità di esecuzione del ciclo di lavoro. Per quanto riguarda i miniescavatori da 1,5 a 5 tonnellate vi è la linea PK, contraddistinta dalla presenza di un’elettrovalvola di deviazione che permette di far funzionare l’utensile con l’aggiunta di un impianto elettrico, sfruttando un solo impianto idraulico di norma già esistente sulla macchina di supporto.

DEMOTER Con sede a Rivoli (TO) la Demoter propone, oltre ad una vasta gamma di martelli idraulici, un’interessante varietà di pinze denominata HC, per mini-midiescavatori con un peso operativo fra le 2 e le 10 tonnellate. Si tratta di utensili dotati di singolo pistone ortogonale, quindi con un’elevata forza di spinta che rimane invariata nelle fasi di chiusura delle chele, e con la possibilità di installare su richiesta un moltiplicatore di pressione che aumenta le prestazioni. La rotazione è idraulica a commutazione elettrica.

FRANK-CO L’azienda di Bitonto (BA) produce una gamma di pinze denominata FRP, con modelli che coprono una fascia di peso per escavatori dalle 3 alle 38 tonnellate di peso operativo. Si tratta di attrezzature con struttura completamente in Hardox, dotate di due cilindri di comando di grande sezione, e di chiusura e apertura rapide per cicli di lavoro veloci.

INDECO Il costruttore barese, famoso per la sua ampia gamma di martelli, non ha voluto rimanere indietro nemmeno nella demolizione primaria, proponendo sul mercato i multiprocessori della serie Multi 850 e Multi 750. I due modelli sono adatti rispettivamente ad escavatori dal peso di 20-36 tonnellate e di 16-19 tonnellate. Si tratta di macchine con due cilindri protetti di grande sezione, a fulcro unico, dotati di coltelli intercambiabili e utilizzabili su entrambi i lati.

ITALMEK L’azienda di Nuvolento (BS) produce cesoie, frantumatori, pinze e benne. Per quanto riguarda le pinze della serie IP, i modelli coprono una fascia di peso per escavatori da 2 a 35 tonnellate. Si tratta di attrezzature evolute, su cui viene installata una valvola di accelerazione denominata “Speed booster system”, che garantisce cicli di lavoro molto rapidi. Le chele, dotate di lame interne per il taglio del tondino, sono montate su due fulcri e, a seconda delle versioni, i cilindri di comando sono singoli o doppi. La rotazione idraulica continua è di serie, ma sui modelli più piccoli è possibile sostituirla con quella meccanica.

MANTOVANI BENNE Il costruttore di Mirandola (MO), di tradizione e fama consolidata nel settore della demolizione, produce una gamma specifica di pinze denominata CR, che copre una fascia di peso per escavatori da 2 a 130 tonnellate. Dotate di doppio perno di fulcraggio, sono pinze molto robuste - a rotazione idraulica (disponibile per modelli a partire dai 1450 kg) o meccanica a seconda delle esigenze– e con la possibilità di installare degli allargatori di sezione per effettuare dei piccoli lavori di frantumazione. Oltre alla serie CR, Mantovanibenne propone anche la serie MS: si tratta di un’attrezzatura composta da una struttura principale, che costituisce il corpo macchina, su cui è possibile applicare diverse tipologie di gambe da adattare al tipo di lavoro che si deve effettuare: kit pinza, kit frantumatore, kit cesoia, kit lamiera, kit combi-cutter ed un kit recycling. La fascia di peso coperta interessa escavatori fra le 12 e le 160 tonnellate, a seconda che venga installato al posto benna o posto braccio.

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tested

NPK Il costruttore giapponese distribuisce i propri prodotti in Italia tramite la Vimatek, storica azienda specializzata nella vendita e assistenza di macchine per demolizione e per il calcestruzzo. NPK ha una solida tradizione nel campo della demolizione, con linee che spaziano dai martelli alle cesoie, ai frantumatori e alle pinze. Per quanto riguarda quest’ultima linea di prodotti, l’offerta è ampia: la serie S presenta modelli adatti a escavatori da 2 tonnellate fino a mezzi da 55 tonnellate. Le pinze NPK si distinguono per la presenza del sistema di spinta a mezzo booster che garantisce prestazioni elevate. Il peso limitato, le basse portate di olio e le aperture della bocca molto grandi in rapporto al peso sono altri punti forti di queste macchine.

PROMOVE L’azienda di Molfetta (BA) propone due modelli di pinze, la CP200 e la CP1500, andando a coprire la fascia di escavatori 2-4 ton e quella 14-21 tonnellate. Entrambi i modelli sono a fulcro unico e hanno doppi cilindri di comando. Il modello maggiore rivela una natura da multisistema: è infatti possibile sostituire le chele in tempi brevi, trasformando la pinza in una cesoia.

RAMMER Il costruttore nord europeo, al pari di altri illustri concorrenti, è maggiormente conosciuto per i martelli idraulici. Tramite la Rammit S.p.a. di Ariccia (Roma) propone al mercato italiano le pinze della serie RD, installabili su escavatori da 3 a 35 tonnellate. Sono macchine multisistema, con un fulcro in grado di spostarsi durante la fase di chiusura delle chele, garantendo la massima forza possibile a ganascia completamente aperta.

SOOSAN Il costruttore coreano si affaccia sul mercato italiano forte dei consensi che stanno ottenendo i suoi martelli idraulici importati e distribuiti da CMO2. La gamma bassa è composta da pinze per escavatori da 3 a 8 tonnellate, mentre per quanto riguarda la gamma alta presenta modelli di tipo Multisystem, per escavatori con un peso operativo compreso tra le 17 e le 40 tonnellate.

TREVI BENNE L’azienda di Noventa Vicentina (VI) è uno dei costruttori più noti del settore demolizione. Produce una vasta gamma di cesoie, frantumatori, pinze e attrezzature per il movimento terra. Nel caso delle pinze la gamma proposta è molto ampia: la serie HC è disponibile in dieci versioni, con pesi operativi degli escavatori variabili da 2 a ben 130 tonnellate. Le chele sono dotate di coltelli interni per tagliare il tondino e la rotazione è idraulica continua. Le prestazioni sono di tutto rispetto, con aperture e forze di serraggio molto elevate anche in forza di una gamma estesa a modelli di escavatori di peso notevole.

VD-VERDELLI La serie di pinze prodotte da VD-Verdelli copre una fascia di peso per escavatori da 1,4 a 80 tonnellate. Si tratta di attrezzature dotate di un solo fulcro e con singolo pistone ortogonale. Le chele, dotate di lame per il taglio del tondino, si contraddistinguono per la forma particolare che favorisce l’operazione, impedendo che il tondino fuoriesca dalla sede della lama. La forma è molto slanciata, a tutto vantaggio della manovrabilità, aiutata anche dalla rotazione continua a 360°.

VTN EUROPE Situata a Cagnano di Pojana Maggiore (VI), è un’azienda specializzata nella produzione di pinze e frantumatori. La gamma di pinze, denominata PD, offre 11 modelli che coprono la fascia di escavatori da 1,5 a 50 tonnellate. Tutte dotate di rotazione idraulica – sostituibile con quella meccanica sui piccoli modelli - le pinze PD sono costruite con acciaio Hardox 400, hanno cilindri protetti e una forma particolarmente snella, soprattutto tenendo conto della presenza dei doppi cilindri.

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DAI PRIMI SCAVI ALLE ENERGIE ALTERNATIVE, 50 ANNI PER L’AMBIENTE DEMOLIZIONI, BONIFICHE, AUTOSTRADE, RIFIUTI SPECIALI E LABORATORI DI RICERCA; COSMO GRUPPO NON SI FERMA E IN CANTIERE C’E’ GIA’ UN IMPIANTO DI COGENERAZIONE ALIMENTATO A BIOMASSE di Maria Beatrice Celino

I

l Gruppo Cosmo, fondato 50 anni fa da Gino Cosmo e oggi gestito dai suoi figli, è uno dei gruppi imprenditoriali leader negli scavi, nelle demolizioni edili, nella stabilizzazione dei terreni e nel trattamento e recupero dei rifiuti speciali. L’azienda veneta – che ha i propri stabilimenti a Noale, in provincia di Venezia – ad oggi è ripartita in tre divisioni: Cosmo Scavi, specializzata nella realizzazione di strade e autostrade, Cosmo Ambiente, per il recupero dei rifiuti speciali – in particolare materiale da demolizione e terreni da bonifica – e CRS, specializzata in analisi chimiche e geotecniche. Abbiamo fatto due chiacchiere con Claudio Cosmo, titolare dell’azienda, che ci ha raccontato i punti di forza del gruppo e i progetti per il futuro. Ci può parlare delle origini della vostra azienda e della sua evoluzione sino ad oggi? Il nostro gruppo nasce nel 1960 dal lavoro e dalla volontà di mio padre, nonché dalla presenza discreta e costante di mia madre, e si è sviluppato grazie ai loro insegnamenti, all’impegno di noi fratelli e a quello di tutti i nostri collaboratori. Per chi come noi non si ferma mai e guarda sempre al futuro, non è semplice voltarsi e ripercorrere il cammino che ci ha

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portato ad essere qui a festeggiare 50 anni di presenza sul mercato. Inizialmente ci occupavamo di attività agricola, aratura, livellamento campi e qualche scavo. Negli anni ‘80 abbiamo acquistato i primi macchinari all’avanguardia, escavatori rotanti gommati e cingolati necessari per far fron-

Claudio Cosmo, titolare di Gruppo Cosmo

te alle sempre maggiori richieste da parte di nuove committenze e da lì non ci siamo più fermati. Quali sono i settori nei quali Gruppo Cosmo opera attualmente e su quale dimensione territoriale? L’evoluzione delle esigenze locali e territoriali ha portato a nuove, continue ed importanti commesse e di conseguenza ad un passaggio da committenze private a collaborazioni con imprese edili e pubblica amministrazione. Siamo riusciti a specializzarci nella realizzazione di scavi, strade, autostrade, demolizioni, stabilizzazione di terreni, bonifiche ambientali e recupero di rifiuti speciali. Negli anni ’90 abbiamo deciso di fare un investimento tecnologico che ci ha permesso di aprire nuovi orizzonti nel campo ambientale; è stata una svolta molto importante, su cui ancora oggi puntiamo molto. Abbiamo infatti creato un impianto tecnologico di recupero rifiuti speciali che si estende su un’area di 60.000 metri quadrati, di cui 15.000 coperti. Non mi sento presuntuoso quando penso che oggi il nostro impianto è uno dei migliori presenti nel Veneto. Quali ritenete siano i vostri punti di forza e le competenze che siete in grado di mettere in campo? Il rinnovamento e la dinamicità, la possibilità


di garantire ai nostri clienti nuove tecnologie e nuove prospettive. Naturalmente abbiamo anche la fortuna di avvalerci di ottimi collaboratori, tecnici, ingegneri, geologi qualificati e, non da meno, possiamo contare su fornitori che da sempre consideriamo nostri partner. Quali sono gli interventi e le realizzazioni più significative effettuate recentemente? Abbiamo realizzato parecchi interventi che riteniamo importanti, ma l’ultimo in partico-

lare è stato per noi una grande sfida, anche considerando la tempistica serrata che dovevamo rispettare. Si tratta del Passante di Mestre, un’opera di grandissimo rilievo sia a livello locale che nazionale e unica nel suo genere: 32 km di autostrada di cui 18 realizzati da noi in soli 4 anni, in uno dei territori più densamente abitati dell’Italia settentrionale. Le difficoltà non sono certo venute a mancare ma ce l’abbiamo fatta.

Quali progetti avete per il futuro? I nostri progetti futuri saranno ancora in ambito ambientale; abbiamo la forte consapevolezza che bisogna garantire il futuro ai nostri figli, dai quali l’abbiamo ricevuto soltanto in prestito. Per cominciare, investiremo nella produzione di energia alternativa, attraverso un impianto di cogenerazione alimentato a biomasse. Le sfide come vede non vengono mai a mancare.


wor k i n pro gr e ss

OSSIGENO E PRESSIONE PER RISOLVERE IL PROBLEMA DELLE VECCHIE DISCARICHE UN SISTEMA DI BIOINSUFFLAZIONE PER LA STABILIZZAZIONE AEROBICA DELLE DISCARICHE, LA DECONTAMINAZIONE IN SITU E IL TRATTAMENTO BIOMECCANICO DEI RIFIUTI di F.W. Budde*, P. Chlan*, P. Degener* e P. Trincanato**

A

ncora molti decenni dopo la chiusura, le discariche continuano ad emanare gas maleodoranti che talvolta possono rivelarsi tossici o esplosivi. Inoltre, l’acqua che filtra attraverso la discarica è carica di contaminanti organici e rappresenta un pericolo per le acque di falda sottostanti. La causa di tutto ciò va ricercata nella decomposizione anaerobica dei rifiuti organici, che avviene in modo molto lento e rilasciando sostanze indesiderate. Uno dei principali prodotti della decomposizione è il metano, un

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Anno 3 - Numero 9

gas serra esplosivo estremamente dannoso per l’atmosfera. Per contro, la decomposizione aerobica è molto più veloce e decisamente meno problematica per l’ambiente, poiché essenzialmente produce soltanto acqua e anidride carbonica. Per poter sostenere le condizioni aerobiche all’interno di una discarica è necessario introdurre aria arricchita con l’ossigeno, facendo in modo che la distribuzione risulti uniforme, per assicurare una concentrazione di ossigeno sufficiente ad attivare i microrganismi su tutta la massa di rifiuti.

L a tecnologia Biopuster ® Questa tecnologia è unica perché, a differenza degli altri sistemi che utilizzano l’insufflaggio continuo a bassa pressione, Biopuster® crea un’iniezione ad impulsi, con una pressione che varia fra i 3 e i 6 bar. Il sistema è composto essenzialmente da due reti di tubazioni parallele. La rete di iniezione è costituita da un compressore d’aria collegato alle lance di iniezione, mentre la rete di aspirazione è composta da una pompa collegata alle lance di aspirazione. L’aria compressa passa dall’unità compressore attraverso le tubazioni di pressione fino al Biopuster®. Il cuore del sistema è una valvola di ventilazione ad alta velocità che crea onde di pressione, che vengono dirette dalle lance verso la massa di rifiuti. E’ inoltre possibile aggiungere acqua e nutrienti per agevolare la degradazione microbica. Nel frattempo le lance di aspirazione estraggono l’aria proveniente dai rifiuti in decomposizione, che viene convogliata in una rete di tubazioni separate fino ad un impianto di trattamento a valle del quale viene reimmessa in atmosfera. L’impianto è costituito da biofiltri, o da filtri a carbone attivo dove richiesto. Per ovviare ai rischi causati dalla presenza di gas metano altamente infiammabile, la rete di tubazioni e le pompe sono dotate di componenti a prova di esplosione.


Un sistema di controllo centrale ottimizza le operazioni, adattandole alle condizioni sul campo: i livelli di ventilazione e di aspirazione possono infatti essere modificati, così come la concentrazione di ossigeno presente nell’aria. La rete di lance di iniezione e di aspirazione è strutturata secondo una maglia regolare e la distanza fra una lancia e l’altra dipende dalla composizione e dalla profondità del materiale che deve essere trattato; se la discarica ha una profondità maggiore di 12 metri, sarà preferibile utilizzare una configurazione multipiano, in cui due lance di diversa lunghezza vengono posizionate l’una accanto all’altra per assicurare che la quantità di ossigeno sia sufficiente per il trattamento dell’intero spessore della discarica. L’intero sistema viene installato in container che possono essere trasportati e posizionati rapidamente e senza difficoltà.

Monitoraggio del Processo Le concentrazioni di metano e di biossido di carbonio vengono misurate a intervalli regolari per mezzo di un rilevatore di gas durante tutto il processo di trattamento. Per mantenere sotto controllo la “respirazione” dei rifiuti – parametro fondamentale per valutare il successo dell’operazione – vengono analizzate anche le quantità di ossigeno presenti nell’aria iniettata e in quella aspirata, la temperatura di quest’ultima e, se necessario, anche i gas odorosi, quali l’idrogeno solforato e l’ammoniaca. Inoltre, è possibile implementare tecnologie specifiche per analizzare i composti organici volatili (COV), gli idrocarburi clorurati (CHC), gli idrocarburi aromatici (BTEX), il monossido di carbonio (CO) e il mercaptano.

Stabilizzazione dell’odore e sicurezza sul l avoro

Per stabilizzare completamente gli odori e garantire la sicurezza dei lavoratori, il trattamento Biopuster® impiega 4 o 6 settimane, vale a dire il tempo necessario a portare i rifiuti a una condizione aerobica stabile. A trattamento terminato il cattivo odore sarà contenuto e non ci sarà più alcun pericolo di esplosione; la discarica potrà dunque essere aperta senza alcun rischio per il personale e inoltre molte delle complesse misure di protezione normalmente richieste non saranno più necessarie. Un ulteriore vantaggio derivante dall’applicazione della tecnologia è che durante il processo i rifiuti vengono asciugati, permettendo di ridurre notevolmente i costi di trasporto.

Stabilizzazione in situ e bonifica La stabilizzazione in situ delle vecchie discariche e dei terreni contaminati è molto diversa dalla stabilizzazione degli odori. Sul lungo periodo il trattamento in situ mediante Biopuster® può raggiungere un’avanzata degradazione aerobica dei rifiuti organici, così da rendere la discarica biologicamente stabile per il futuro. Dopo il trattamento non si registrano significative emissioni di gas, e le contaminazioni causate dal percolato sono notevolmente ridotte. Il trattamento può anche essere applicato per la bonifica in situ di terreni contaminati da sostanze organiche, eliminando le emissioni pericolose attraverso la decomposizione biologica, oppure può essere utlizzato come sistema di contenimento degli inquinanti prima di effettuare il trattamento vero e proprio.

Rimozione sicura dei rifiuti conferiti in discarica in seguito alla stabilizzazione dell’odore tramite trattamento Biopuster®

Il trattamento biomeccanico dei rifiuti Un’altra area di applicazione della tecnologia Biopuster® è il trattamento meccanico-biologico (BMT) dei rifiuti solidi urbani “freschi” e non trattati. Al fine di minimizzare l’impatto ambientale e la successiva manutenzione delle discariche, i rifiuti necessitano di essere trattati prima del conferimento in discarica. Il BMT è un metodo economico per il trattamento degli RSU, e Biopuster® può essere utilizzato come un sistema di ventilazione estremamente efficiente per agevolare la decomposizione aerobica. Questo processo può essere utilizzato per trattare i rifiuti urbani e i rifiuti assimilabili agli urbani, i liquami e il percolato delle discariche. Durante la decomposizione, i rifiuti raggiungono temperature che sfiorano gli 80°C, e ciò significa che anche i materiali più resistenti possono essere degradati dai microrganismi. Dopo 15 – 20 settimane, il prodotto è in gran parte biologicamente stabilizzato e igienizzato.

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wor k i n pro gr e ss

Applicazione del trattamento ad un terreno contaminato da rifiuti inquinanti

L a storia dell a tecnologia La tecnologia Biopuster® è stata sviluppata da tre società austriache (Bilfinger Berger Baugesellschaft m.b.H., Porr Umwelttechnik GmbH e G. Hinteregger & Söhne Baugesellschaft 150x240 Towerlight m.b.H.) ads x 2_Layout 1 08/03/2010 Page 2 fra il 1989 e il 1990, per13:56 la manutenzio-

ne dell’area su cui si svolgeva l’EXPO di Vienna. In seguito alla realizzazione del progetto, le tre società si fusero in un unico gruppo di ricerca, l’Arge Biopuster. Fino ad oggi il gruppo ha utilizzato il sistema brevettato in moltissimi progetti sparsi per il mondo. Sul mercato italiano il rappresentante esclusivo è Demont Ambiente s.r.l. di Mestre (VE) che ha scelto di essere partner di Arge Biopuster dopo aver sperimentato personalmente il funzionamento del sistema. Oggi l’azienda sta iniziando ad impiegare tale tecnologia in diversi cantieri di bonifica ambientale, in particolare nei risanamenti di vecchie discariche o nei siti contaminati sui quali nel corso degli anni sono stati costruiti manufatti. L’azienda è intenzionata a rafforzare ulteriormente la collaborazione con i tecnici di Arge, incrementando l’utilizzo del Biopuster® su larga scala e proponendosi a soggetti pubblici e privati per risolvere problematiche relative alla messa in sicurezza di vecchie discariche di rifiuti urbani e assimilabili.

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Inoltre, si ritiene di poter intervenire, sempre con detta tecnologia, anche in una fase preliminare di gestione di rifiuti urbani, prima della loro messa a dimora in discarica. * ARGE Biopuster ** Demont Ambiente s.r.l.

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LA DEMOLIZIONE DEL GIGANTE DI FERRO DI PAITA TEMPI DA RECORD E TECNICHE DI DECOSTRUZIONE AFFINATE PER LA DEMOLIZIONE DI UNA GRU DI CALATA DA 400 TONNELlATE ALTA 65 METRI di Ivan Poroli*

N

el marzo del 2010 la società Montalbetti S.p.a. è stata chiamata per un importante intervento di demolizione all’interno dell’area portuale di La Spezia, in collaborazione con Demolscavi s.a.s. Nell’ambito del nuovo assetto logistico del porto mercantile della città, l’autorità portuale ha indetto una gara di appalto per la demolizione dei silos dell’ex Italiana Coke che si trovano fronte mare del molo di Calata Paita. Oltre agli aspetti tecnici della demolizione dei silos, realizzati in cemento armato, l’attenzione dei progettisti dell’impresa affidataria si è concentrata sulle particolari criticità presenti nella demolizione della gru portuale al servizio dei silos. Si tratta di un’imponente struttura denominata “a cavalletto zoppo” poiché la parte verso terra della gru non appoggia sul terreno tramite un cavalletto in carpenteria metallica, ma risulta vincolata a un binario in quota disposto sulla struttura del silos. La gru aveva un peso complessivo di 400 tonnellate e raggiungeva la quota di 65 metri dal terreno. Sulla struttura metallica principale erano montati un argano semovente della portata di 15 ton con sbraccio verso il mare di 32 m e un sistema di tramogge, nastri e coclee per il caricamento di vagoni ferroviari o in alternativa dei silos. Grazie alle ruote montate alla base del cavalletto principale e del cavalletto zoppo, la gru aveva la possibilità di traslare lungo la banchina su specifiche rotaie, su due linee

di binari ferroviari tuttora in esercizio. La struttura, costruita negli anni 70, è stata fermata e disalimentata nella classica configurazione di riposo, con il braccio a mare in posizione verticale bloccato da appositi fermi meccanici; tale condizione comporta un elevato sviluppo

Disposizione dei mezzi prima della demolizione

in altezza, fino alla quota di 64 m dal piano campagna. La presenza del binario ferroviario ancora attivo ha fortemente condizionato la tempistica di esecuzione dei lavori: la necessità di usare il binario per il transito delle merci ha spinto infatti la committenza a richiedere tempi di intervento ridottissimi per limitare al massimo il periodo di interdizione delle linee ferroviarie. Montalbetti S.p.a. ha accettato la sfida mettendo a disposizione la propria tecnologia, l’esperienza di oltre 40 anni di attività nel settore delle demolizioni e attrezzature all’avanguardia, impegnandosi a concludere il lavoro di demolizione della gru in 9 giorni consecutivi. Per poter eseguire il lavoro nei tempi previsti e garantire gli elevati standard di sicurezza necessari per questo tipo di operazioni, lo staff tecnico di Montalbetti ha effettuato accurate analisi del processo per arrivare a determinare la migliore tecnica di demolizione. In fase di progettazione, visti i vincoli presenti, si è deciso innanzitutto di eseguire una decostruzione progressiva anziché una demolizione con abbattimento

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Trave reticolare a terra

controllato mediante microcariche. Durante la progettazione esecutiva si è optato per l’applicazione di due tecniche di decostruzione: la prima del tipo top-down eseguita su macrocomponenti utilizzando una gru semovente di elevata portata (400 ton) e piattaforme sviluppabili con altezze operative fino a 65 m; la seconda del tipo down-to-top, eseguita da terra sollevando l’intera parte di struttura rimasta dopo l’applicazione del primo metodo ed effettuando la demolizione di piccoli elementi con un abbassamento progressivo della struttura stessa. Le scarse informazioni circa i pesi unitari dei singoli componenti hanno influenzato signi-

ficativamente la complessità della progettazione, dal momento che oltre a definire nel dettaglio la sequenza delle operazioni di decostruzione, è stato necessario effettuare una stima il più possibile precisa – ma nel contempo cautelativa – dei pesi degli elementi da rimuovere individuando anche le tecniche per le imbracature ritenute più idonee e sicure. Terminata la fase progettuale e presentati i necessari documenti per approvazione da parte delle autorità competenti, è stato finalmente aperto il cantiere. Per prima cosa ci si è concentrati sulla rimozione del braccio a mare, che costituiva una delle principali criticità in quanto le elevate

masse in gioco e l’altezza del punto di imbracatura rendevano impossibile la rimozione del componente nella sua interezza; si è deciso così di suddividere la struttura in 3 sottoinsiemi, e la sfida consisteva soprattutto nell’individuare i tagli e la sequenza di demolizione più idonea a garantire durante tutta la fase di taglio e sollevamento la stabilità strutturale delle parti che costituivano il braccio e che venivano man mano sezionate. Dopo aver eliminato il braccio mobile, la demolizione è proseguita con la rimozione del ponte scorrevole con la relativa benna, la sala argani (del peso complessivo di circa 90 ton, sollevata in un’unica soluzione) e il portale superiore verso il lato mare. Tutte le operazioni di taglio e sollevamento si sono svolte con regolarità e celerità secondo la sequenza programmata. Gli operatori hanno lavorato da una piattaforma montata su carro con un’altezza massima operativa di 65 metri attrezzata con un braccio pieghevole (jib) che consentiva un agevole raggiungimento delle posizioni ove dovevano essere effettuati i tagli della struttura. La presenza di vento, così comune nelle località di mare, ha influenzato i lavori solo per una mezza giornata in cui, a causa del superamento dei limiti stabiliti, sono state sospese le attività in quota. Le valutazioni derivanti dall’analisi statica della struttura hanno permesso di eseguire la rimozione dei componenti fino alla quota di circa 15 metri dal piano campagna in piena sicurezza. Oltre questo limite non era più pos-

Sequenza delle operazioni di decostruzione

prima sezione del braccio mobile

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seconda sezione del braccio mobile

terza sezione del braccio mobile


Sollevamento della struttura con l'utilizzo di due gru

sibile garantire le caratteristiche di rigidità e conseguente staticità e si è quindi proceduto tagliando con cannello ossipropanico le parti strutturali superiori, le travi reticolari che irrigidivano le vie di corsa del carro scorrevole e sostenevano la cabina argani. Infine, la struttura (composta dalla sezione di scorrimento sul binario dei silos, il cavalletto verso il lato mare e due grosse travi composte che univano e irrigidivano il tutto) è stata decostruita fino alla quota di 15 m da p.c. In questa condizione operativa l’analisi statica non permetteva più alcun tipo di “decostru-

sollevamento del portale lato mare

zione” in opera della gru; occorreva, pertanto, procedere non più con una tecnica di decostruzione del tipo top-down ma risultava più opportuno applicare una filosofia di demolizione diametralmente opposta cioè down-totop, demolendo con operatore non più sulla piattaforma ma a terra e abbassando progressivamente la struttura. Per attuare questa tecnica di demolizione occorre ovviamente che la costruzione da demolire non poggi a terra ma venga mantenuta in sospensione e progressivamente abbassata, man mano che ne vengono sezionante le varie

sollevamento della trave reticolare

parti. La parte rimanente è stata quindi sollevata e ruotata per permettere agli operatori a terra di eseguire i tagli da una posizione “comoda” e soprattutto sicura. La manovra è stata effettuata utilizzando due gru della portata rispettivamente di 200 e 400 ton, che hanno permesso si sollevare la struttura da terra e di ruotarla di 90° sulla banchina. L’utilizzo sincrono di due gru in rotazione è un’operazione molto complessa e richiede grande esperienza e pianificazione. Due operatori con cannello ossipropanico hanno sezionato porzioni verticali del cavalletto, di circa 2 metri ciascuna, mentre un escavatore si occupava di rimuovere il “pezzo” per permettere poi alle gru di abbassare progressivamente la struttura fino a farla toccare terra. Quando anche le strutture orizzontali sono arrivate alla quota del piano campagna è stato possibile liberare le gru di sollevamento e procedere alla demolizione meccanica delle restanti parti. La manovra di rotazione e il progressivo abbassamento della struttura con il metodo “down to top” sono riuscite perfettamente. La corretta applicazione di queste tecniche di demolizione, unite all’esperienza e alla professionalità degli operatori hanno permesso di raggiungere in piena sicurezza l’obiettivo della demolizione completa del “gigante” di Calata Paita in 9 giorni consecutivi. Un cantiere ben organizzato per la riduzione dimensionale dei rottami ed il loro caricamento ed evacuazione hanno completato l’opera, riducendo l’impatto ambientale della demolizione sulle altre attività limitrofe; ricordiamo infatti che il molo di Calata Paita è rimasto comunque operativo per tutta la durata del cantiere, con attività di movimentazione e trasporto merci e con la presenza di tutti i servizi collaterali. A fine lavori il raggiungimento degli obiettivi è stato verificato dal servizo qualità interno alla Montalbetti S.p.a. e dalla società affidataria; l’analisi dei dati ha confermato la qualità e la correttezza del progetto con piena soddisfazione del Ciente e della Direzione Aziendale. *Montalbetti S.p.a.

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I PRIMI IN EUROPA A SPAZZARE LE STRADE PER ricavarne materiali edili certificati UN PROGETTO ITALIANO: GRAZIE AD UN IMPIANTO INNOVATIVO I RIFIUTI PROVENIENTI DALLA PULIZIA DELLE STRADE VENGONO TRATTATI E RECUPERATI PER PRODURRE GHIAIA E AGGREGATI DA COSTRUZIONE di Ezio Esposito*

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rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade costituiscono circa il 5% dei rifiuti urbani totali prodotti, convenzionalmente conferiti nelle discariche di RSU. Oggi però un’innovativa tecnologia di Ecocentro Tecnologie Ambientali, società del Gruppo Esposito di Bergamo, consente di trattarli ottenendo materiali di qualità, certificati CE, da riutilizzare nel settore edilizio. Ecocentro Tecnologie Ambientali è convinta che i rifiuti non siano un problema e che, se opportunamente trattati, possano trasformarsi in un’importante risorsa. Ne è una dimostrazione tangibile l’innovativo impianto realizzato dalla società, primo in Europa, in grado di

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trattare i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e di recuperarne circa il 70% in materiali edili certificati come ghiaia e sabbia. Coperta da due brevetti nazionali e da un brevetto europeo e autorizzata in regime ordinario, la struttura è in grado di trattare circa 30.000 tonnellate/anno di rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade, dalla pulizia delle caditoie e dall’eliminazione delle sabbie dei depuratori. Le sezioni principali di cui si compone l’impianto sono quelle di stoccaggio, separazione e vagliatura, lavaggio e separazione granulometrica, trattamento acque di lavaggio e disidratazione fanghi.

Nella sezione di stoccaggio i rifiuti vengono conferiti con autospazzatrici, autospurghi e automezzi con cassoni e da qui, con l’ausilio di macchine operatrici, vengono inviati alle successive fasi di trattamento. Nella sezione di separazione e vagliatura vengono eliminati preliminarmente i rifiuti grossolani e leggeri mediante il passaggio da un vaglio stellare appositamente progettato che consente, grazie all’azione di scuotimento esercitata, di separare anche l’eventuale frazione inorganica adesa a foglie e rifiuti misti, quali lattine, bottiglie, plastica in genere, aumentando in maniera significativa l’efficienza di recupero complessiva.


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buoni frutti Il cuore dell’impianto è rappresentato dall’unità di lavaggio, appositamente studiata per il trattamento dei residui della pulizia stradale, nella quale il rifiuto subisce un lavaggio in controcorrente e dove avviene la separazione tra frazione organica e inorganica. La frazione di dimensione inferiore viene inviata ad una seconda fase di lavaggio per la separazione successiva, quella delle sabbie dal limo, effettuata tramite idrociclone e classificatore a spirali. Le acque di lavaggio sono poi inviate ad una sezione di trattamento per la rimozione degli inquinanti prima dello scarico in fognatura entro i limiti previsti dalle normative vigenti. L’80% circa delle acque depurate viene rimesso in circolo nell’unità di lavaggio e riutilizzato per il trattamento dei rifiuti in ingresso. Il 60% circa del materiale in uscita dal processo di trattamento è costituito da sabbia, ghiaino e ghiaietto, che rispettano quanto previsto dal D.Lgs. 152/06 e le norme tecniche di settore per il relativo utilizzo di aggregati cementizi e aggregati bituminosi, e sono certificati CE ai sensi della Direttiva 89/106/CEE (2+) da organismo esterno accreditato. Oltre a distinguersi per la notevole valenza ambientale, l’impianto attua i principi contenuti nelle Direttive Comunitarie, Regionali e Provinciali e permette alle amministrazioni pubbliche di ridurre i costi di smaltimento, contribuendo contestualmente al raggiungimento delle percentuali di recupero previste dalle normative vigenti e in particolare dagli obiettivi dell’art. 205 del D.Lgs. 152/06. Attualmente è in fase di installazione un nuovo impianto in provincia di Prato che entro fine anno sarà in grado di trattare e recuperare il 70% dei rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade, come avviene già a Milano per AMSA S.p.a. (Gruppo A2A) e a Liscate, con l’impianto realizzato per conto del Corsorzio Est Milanese (Cem), ma anche a Bergamo in Ecocentro Soluzioni Ambientali s.r.l. e a Brescia dove è stato realizzato un impianto per conto della società Asm, oggi A2A. Recentemente infine il Gruppo Esposito si è anche aggiudicato due gare d’appalto per la realizzazione dello stesso tipo di impianto in Emilia Romagna e in Friuli Venezia Giulia.

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* Gruppo Esposito

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Gestione dei sedimenti tra innovazioni e rispetto dell’ambiente L’applicazione della stabilizzazione di massa nella gestione dei fanghi di dragaggio per coniugare esigenze infrastrutturali e tempistiche di intervento contenendo l’impatto ambientale di W. Bambara*, F. Gubiani*, Q. Napoleoni** e E. Rizzi*

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ell’ambito della gestione dei sedimenti provenienti dagli interventi di dragaggio delle aree portuali, sono sempre più importanti la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie volte al recupero ed alla valorizzazione dei fanghi di dragaggio. Ad oggi, in alternativa all’oneroso conferimento in discarica, la soluzione è rappresentata dalla gestione dei sedimenti all’interno di strutture di conterminazione o di vasche di colmata. Pur rappresentando la soluzione apparentemente più agevole, il semplice refluimento dei fanghi di dragaggio all’interno delle vasche di colmata non permette per molti anni lo sviluppo e l’insediamento delle attività economiche ed industriali nelle aree portuali. In questi ultimi anni è stata sviluppata una nuova tecnologia volta alla risoluzione delle citate problematiche: la stabilizzazione di massa. Allo stato attuale, molti porti del bacino Mediterraneo e più in particolare del Nord Europa, vista la semplicità nell’applicazione della tecnologia ed i vantaggi in termini economici (costi di intervento e tempi realizzazione), stanno procedendo adottando tale soluzione. La stabilizzazione di massa costituisce un metodo rapido ed economico per consolidare terreni e fanghi di dragaggio con agenti leganti.

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Il processo di stabilizzazione di massa L’applicazione del processo di stabilizzazione di massa, contestualmente alla risoluzione delle problematiche strutturali mediante il miglioramento delle caratteristiche meccaniche dei materiali sciolti, garantisce il raggiungimento di ottimi standard ambientali, fissando chimicamente e/o isolando strutturalmente le eventuali sostanze contaminanti. Le possibilità ed i principali miglioramenti offerti dall’applicazione della stabilizzazione di massa sono molteplici e riguardano: • l’aumento della resistenza meccanica dei terreni; • il miglioramento delle caratteristiche di deformabilità dei suoli (riduzione dei cedimenti); • l’aumento della rigidezza dinamica dei suoli; • la bonifica delle matrici ambientali contaminate. In relazione alle esigenze di progettazione e di realizzazione dell’intervento, la tecnologia può essere impiegata ipotizzando sempre soluzioni flessibili e sito-specifiche. In particolare, la semplice stabilizzazione di massa può essere applicata in combinazione con la stabilizzazione a colonne o con ulte-

riori tecnologie opportunamente individuate. I notevoli vantaggi tecnico-economici offerti dalla stabilizzazione di massa hanno permesso di “trasferire” l'ormai consolidata applicazione dai terreni ai fanghi di dragaggio. In particolare, la gestione dei sedimenti oggetto degli interventi di dragaggio si adatta perfettamente al nuovo riferimento normativo promulgato per disciplinare gli interventi nei siti di bonifica di interesse nazionale, il comma 996, art. 1 della Legge Finanziaria 2007, che emendando l’art. 5 della Legge 84/94 modifica le procedure all’interno dei siti di interesse nazionale. Il comma 996 introduce un concetto innovativo; consente infatti di svolgere le operazioni di dragaggio legate all’approfondimento ed alla bonifica dei fondali prevedendo in maniera circostanziata i possibili recuperi. Tale innovazione che trova specifiche e precisazioni nel successivo decreto applicativo, il D.M. 7 novembre 2008, garantisce agli operatori del settore una linea guida precisa e ben descritta, dalla caratterizzazione al recupero di detti materiali con particolare attenzione alla soluzione rappresentata dalle strutture di contenimento o vasche di colmata all’uopo progettate e realizzate. Tale passaggio risulta di fondamentale importanza perché eliminando fattori di incertezza procedurale garantisce del-


le tempistiche oggi più che mai importanti, potendosi avvalere di un iter istruttorio e decisorio da concludersi nel termine di 60 giorni. In questo contesto la tecnologia di stabilizzazione/ solidificazione all’interno di vasche di colmata e strutture di conterminazione risponde esattamente a tali dettami, coniugando al meglio il concetto di recupero del materiale e considerando il sedimento non più come “rifiuto” ma valorizzandolo come “risorsa”, nel massimo rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e risparmio economico. L’applicazione della tecnologia di stabilizzazione di massa all’interno della struttura di conterminazione permetterà, in tempi rapidi, la trasformazione della colmata in una nuova area disponibile per lo sviluppo della portualità. Tra gli ulteriori vantaggi offerti dalla stabilizzazione di massa applicata ai fanghi di dragaggio si possono citare: • rapidità d’esecuzione; • beneficio economico sia in termini energetici sia in riferimento al recupero dei materiali; • eliminazione dei costi di trasporto del materiale da trattare e dei costi di conferimento in discarica controllata; • diminuzione dell’impatto ambientale legato all’inquinamento provocato dai mezzi per il trasporto del materiale stesso; • eliminazione dei costi dovuti all’impiego di materiali provenienti da cave di prestito in compensazione/sostituzione delle volumetrie conferite in discarica.

Descrizione dell’attrezzatura L’equipaggiamento utilizzato si basa sulla tecnologia messa a punto dalla ALLU e prevede una strumentazione composta da tre unità: • Power Mix (PM) – l’unità di miscelazione/ omogeneizzazione, allestita su un escavatore; • Pressure feeder (PF) – l’unità di alimentazione della miscela di leganti; • Data acquisition and control system (DAC) – l’interfaccia tra la macchina operatrice ed il materiale da stabilizzare; controlla e registra in continuo l’intero processo di stabilizzazione all’interno dei lotti da sottoporre a trattamento.

In tutte le attività di gestione e movimentazione dei sedimenti, la strumentazione ALLU può essere impiegata come rivolta cumuli per i processi di degradazione delle frazioni contaminate, come l'attivazione enzimatica o il biorisanamento. Inoltre, grazie al continuo sviluppo della strumentazione, è possibile abbinare le unità di iniezione e miscelazione dei leganti (PF e PM) con sistemi di iniezione di ulteriori reagenti, quali ad esempio: • sabbia, per conferire maggiori capacità meccaniche al materiale da trattare; • acqua, per garantire una corretta idratazione al processo di stabilizzazione; • particolari classi di agenti, per regolare eventuali meccanismi di interferenza con i reagenti impiegati.

Progettazione e realizzazione dell’intervento

La progettazione di un intervento si basa sulle seguenti fasi principali: • caratterizzazione dei sedimenti da trattare (granulometria, inquinanti presenti, TOC, pH, solfati e carbonati, acidi umici e fulvici); • prove di laboratorio per la scelta e la qualifica della miscela di leganti, nonché degli opportuni dosaggi; • studio della logistica per la gestione dei sedimenti; • adattamento della tecnologia alle esigenze del cantiere (profondità di trattamento, natura dei sedimenti, grado di contaminazione, condizioni ambientali, ecc.); • esecuzione di un campo prove per la verifica delle caratteristiche finali in sito; • definizione ingegneristica dell’intervento con le opportune scelte geotecniche e ambientali. Ogni intervento di stabilizzazione di massa è preceduto da una campagna di caratterizzazione iniziale per definire le caratteristiche chimico-fisiche del sedimento da sottoporre al trattamento. Sulla base dei risultati della caratterizzazione dei sedimenti e delle proprietà meccaniche da conferire al materiale trattato, verrà predisposto uno studio, il mix design, propedeutico all’individuazione del tipo di mi-

scela e del dosaggio ottimale dei leganti (kg di legante su m3 di sedimento), da miscelare opportunamente con i sedimenti presenti all’interno della vasca di colmata. La fase di mix design, oltre a dover garantire le rese in termini geotecnici ed ambientali, risulta importante per la definizione del costo dell’intervento. Pertanto, quest’ultimo parametro sarà fortemente dipendente dalle caratteristiche chimico-fisiche del materiale da stabilizzare, dalla campagna di prove preliminari e dal tipo di intervento. Per caratterizzare il comportamento meccanico e la risposta del materiale trattato, viene programmato un set di prove con miscele diverse tra loro, con lo scopo di esplorare le variazioni di risposta in un ampio spettro di dosaggio e qualità dei leganti. Nelle diverse miscele, individuato il tipo di cemento, varieranno le percentuali di leganti impiegate ed il quantitativo di miscela utilizzato per m3 di sedimento da trattare. Successivamente, il mix design prevede la preparazione di provini da sottoporre a test di compressione ad espansione laterale libera (ELL), per seguire l’evoluzione della resistenza meccanica nel tempo.

Figura 1. Strumentazione impiegata per la stabilizzazione di massa

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Figura 3. Stabilizzazione di massa in vasche prefabbricate (trattamento ex situ)

Sempre in riferimento alla progettazione dell’intervento, riveste particolare importanza il continuo sviluppo del mix design, la ricerca per l’impiego di nuovi leganti sempre più performanti, sia in termini di resa meccanica che ambientale, e l’implementazione della strumentazione ALLU. Lo sviluppo della tecnologia permetterà, in funzione delle diverse casistiche presenti nelle realtà portuali, di adattare in maniera ottimale il processo in funzione delle necessità del committente. In relazione alle possibilità di impiego della tecnologia ALLU sui fanghi di dragaggio, possono essere distinte due differenti situazioni: • stabilizzazione in situ: i sedimenti dragati vengono refluiti direttamente all’interno della vasca di colmata. Per permettere di controllare in maniera ottimale i parametri di processo, l’area da sottoporre a trattamento viene suddivisa in lotti funzionali di circa 25 m2 ciascuno. La logica della stabilizzazione di massa in vasca di colmata consiste nel trattare un’area e nel poter “avanzare” con i mezzi su di essa per stabilizzare il lotto successivo. L’avanzamento sul materiale stabilizzato viene garantito dalla posa di uno strato di separazione in geotessile non tessuto e da uno strato di ricarica in tout-venant di cava di spessore adeguato; • stabilizzazione ex situ: i sedimenti dragati

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Figura 2. Stabilizzazione di massa in vasca di colmata (trattamento in situ)

vengono trasportati via bettolina e collocati a terra all’interno di vasche prefabbricate opportunamente impermeabilizzate. In funzione delle caratteristiche del materiale, in una fase successiva potrebbe essere prevista una vagliatura propedeutica alla rimozione dei trovanti. Successivamente i sedimenti vengono sottoposti al trattamento di stabilizzazione, rimossi dalle vasche di stoccaggio temporaneo e collocati in via definitiva presso il sito di destinazione finale (es. cassoni cellulari in c.a.). In riferimento alle modalità operative individuate, viene quindi programmato un campo prova volto alla verifica dell’ottenimento delle caratteristiche finali in sito e all’ottimizzazione ingegneristica dell’intervento.

Verifica finale efficienza di trattamento e raggiungimento degli obiettivi

Per la verifica in opera del trattamento di stabilizzazione è fondamentale eseguire un programma di prove orientato al controllo delle profondità di trattamento, dell’effettiva distribuzione omogenea del legante e dell’idoneità del comportamento della colmata come piazzale portuale. Vengono programmate delle perforazioni a carotaggio continuo, delle prove DPSH (Dyna-

mic Probing Super Heavy) ripetute in differenti campagne e delle prove di carico su piastra con doppio ciclo di carico. In particolare, ai fini del collaudo dell’opera come piazzale portuale, la prova di carico su piastra costituisce il test più significativo, consentendo di confrontare il modulo di deformazione del materiale consolidato con il valore atteso di progetto. In riferimento alla verifica dei parametri ambientali, viene programmata una campagna di caratterizzazione volta alla determinazione analitica dei parametri critici durante la quale vengono prelevati campioni per l’esecuzione di test di cessione. Inoltre, in funzione della destinazione d’uso del piazzale e di una possibile restituzione agli usi legittimi delle aree sottoposte al trattamento di stabilizzazione di massa, potrà essere elaborata un’analisi di rischio sito-specifica.

Costi e conclusioni Il costo del trattamento di stabilizzazione si attesta tra 25 e 55 €/m3. La variabilità del costo dipende fortemente dal tipo di leganti e dal quantitativo impiegato, nonché dalla logistica del cantiere. Tale costo fa sì che la stabilizzazione di massa possa essere una tecnologia concorrenziale, soprattutto se confrontata con le soluzioni che prevedono dei costi di gestione in discarica, un approv-


ne di massa sono legati all’organizzazione del cantiere: non è prevista l’installazione di un impianto di trattamento, ma l’attrezzatura necessaria alle attività potrà lavorare direttamente sulla vasca di colmata all’interno della quale sono refluiti i sedimenti, senza interferire in alcun modo con le attività dello scalo marittimo e Figura 4. Rappresentazione grafica delle fasi del ciclo ex situ soprattutto senza richiedere grandi aree per l’orvigionamento di materie prime da cave di ganizzazione del cantiere. prestito e dei costi per il consolidamento e La semplicità della strumentazione impiegata la successiva trasformazione delle vasche di permetterà inoltre di avere degli iter autorizzativi molto più snelli rispetto a quelli previsti colmata in nuovi piazzali. I principali vantaggi offerti dalla stabilizzazio- per i classici impianti di trattamento e/o recu-

pero. Un altro vantaggio fondamentale è rappresentato dalla tempistica dell’intervento; la stabilizzazione di massa applicata ai fanghi di dragaggio consente infatti di sottoporre al trattamento i sedimenti anche contestualmente alle operazioni di dragaggio stesse permettendo l’applicazione della tecnologia su vasche di colmata all’interno delle quali il refluimento dei sedimenti è stato completato, ma anche in strutture in fase di realizzazione. Pertanto, in funzione del basso impatto ambientale legato ai bassi consumi energetici, ai limitati approvvigionamenti di materie prime, alle emissioni sonore ed ai trasporti, è possibile inquadrare la stabilizzazione di massa tra le Best Available Technologies (BAT). *I.CO.P. S.p.a. **Università di Roma La Sapienza, Dipartimento Idraulica, Trasporti e Strade

Interventi in scal a reale Sono numerosi gli interventi di stabilizzazione effettuati in diversi Paesi europei e non solo. In particolare, il ricorso a questa tecnologia è piuttosto frequente nei Paesi del Nord Europa quali Norvegia, Svezia e Finlandia, dove tale tecnologia ha avuto origine, registrando applicazioni sia in ambito strutturale che ambientale. PORTO DI TRONDHEIM - Il processo di stabilizzazione di massa è stato impiegato per il trattamento di 11.000 m3 di sedimenti portuali dragati dal fondo del porto stoccati precedentemente all’interno di una vasca di colmata. I sedimenti sottoposti a trattamento risultavano contaminati da PCB, IPA, TBT e metalli pesanti. PORTO DI VUOSAARI - L’applicazione del processo di stabilizzazione di massa ha riguardato attività strutturali e di recupero ambientale. La gestione in vasca di colmata ha previsto il trattamento di circa 500.000 m3 di sedimenti all’interno di un’area di circa 110.000 m2 (con una profondità media pari a 5 m). In riferimento alle applicazioni strutturali, in un lotto adiacente al porto la stabilizzazione di massa degli strati superficiali è stata abbinata al processo di stabilizzazione colonnare degli strati sottostanti. PORTO DI VALENCIA - E' stato realizzato un nuovo piazzale portuale, con un’estensione di 50.000 m2, partendo dalla stabilizzazione di massa dei sedimenti marini dragati nell’area marino-costiera antistante il porto e successivamente refluiti all’interno della vasca di colmata. La nuova area portuale è stata adibita come banchina porta container. LA MADDALENA - La vasca di colmata dell’ex Arsenale Militare rappresenta la prima esperienza in Italia di applicazione del trattamento di stabilizzazione di massa sui fanghi di dragaggio. La realizzazione della vasca di colmata ha permesso la gestione dei sedimenti dragati consentendo al tempo stesso la sua trasformazione in un piazzale portuale con il conseguente recupero dell’area occupata dalla struttura di conterminazione e l’acquisizione di nuove aree disponibili per lo sviluppo del nuovo porto turistico. I tempi di realizzazione della nuova banchina sono stati molto rapidi: il nuovo piazzale infatti è stato realizzato in soli quattro mesi.

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Le biotecnologie applicate a siti contaminati da cromo esavalente la biotrattabilità delle matrici inquinate ne determina l’applicabilità: test in microcosmo per definire le dinamiche del risanamento e test in campo per le variabili sito specifiche di R. Ricci, P. Pretto e A. Garcia Perez*

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a bonifica di un sito contaminato può essere condotta attraverso svariate tecnologie di trattamento, a seconda della tipologia della contaminazione e delle condizioni sito-specifiche. La società Biosearch Ambiente s.r.l., con sede presso l’Environment Park di Torino, si occupa di biotecnologie ambientali applicandosi nella gestione degli impatti negativi causati dalle attività produttive e commerciali, nel tentativo di coniugare l’individuazione delle soluzioni a più elevata compatibilità ambientale con costi sostenibili. Una volta accertata la natura e l’origine dell’inquinamento, nonché le condizioni geologiche e idrogeologiche del sito, la società mette in atto un percorso conoscitivo finalizzato alla determinazione della biotrattabilità delle matrici contaminate.

CROMO ESAVALENTE Tossico, mutageno, cancerogeno Solubile, mobile nella falda Inquinante ambientale Lim. Conc. = 5 µg/l

Figura 1. Riduzione del Cr(VI)

Vengono generalmente perseguite due specifiche fasi di lavoro: • Fase 1 - Test in microcosmo, volto a riprodurre in laboratorio la situazione presente in campo, per definire le dinamiche di biorisanamento possibili e valutarne gli effetti; • Fase 2 - Test pilota in campo, eseguito in un’area limitata del sito oggetto di studio, con le modalità di bonifica definite nella Fase 1, opportunamente adattate. Questa fase consente lo studio e l’approfondimento delle ulteriori variabili che dovranno eventualmente essere affrontate con l’applicazione dell’intervento su larga scala che, in questo modo, potrà essere più puntuale ed efficace rispetto agli obiettivi di bonifica prefissati. Nel presente documento viene descritta l’ap-

plicazione pratica di tale approccio che, partendo da una problematica assai diffusa e ad elevato rischio, quale la contaminazione da cromo esavalente di un sito industriale, ha portato alla messa a punto di un sistema di risanamento in situ che, come di seguito decritto, ha consentito di raggiungere gli obiettivi di qualità ambientale previsti dalla normativa. Il cromo è uno dei metalli pesanti più utilizzati in ambito industriale ed è impiegato in vari settori (metallurgico, chimico, tessile, ecc.). Il cromo esiste in diversi stati di ossidazione, tra cui i più comuni sono le forme +3 e +6. Il cromo esavalente è considerato uno dei più importanti e pericolosi inquinanti ambientali, perché tossico, mutageno e cancerogeno; grazie all’elevata solubilità in acqua (1,67*105 mg/l) esso è in grado di migrare ed estendersi in ampie zone dell’acquifero.

CROMO TRIVALENTE Meno tossico Meno solubile Naturale nell’ambiente Lim. Conc. = 50 µg/l

Figura 2. Fase di test in microcosmo

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Grandi quantità di cromo esavalente, sotto forma di cromati, sono rilasciate nell’ambiente in seguito ad attività come la cromatura dei metalli, la conservazione del legno, la produzione di pigmenti. La forma trivalente è molto meno tossica, meno solubile in acqua e quindi meno mobile negli acquiferi sotterranei, dove si trova sia sotto forma di specie cationica, che tende ad adsorbirsi alla matrice solida, sia come precipitato, relativamente insolubile quale il Cr(OH)3 (Rai et al., 1987). In seguito ad un evento di contaminazione, nella matrice inquinata si innescano processi di selezione naturale che consentono la sopravvivenza delle sole specie microbiche capaci di convertire il cromo esavalente in cromo trivalente. Il sistema di biorisanamento, pertanto, è basato sulla stimolazione delle specie autoctone selezionate, tramite l’iniezione di ammendanti organici definiti in maniera sito specifica, che aumentano la biomassa e ne attivano il metabolismo. In particolare, il processo di detossificazione del cromo esavalente (cfr. Figura 1), avviene secondo due modalità:

• via diretta, tramite produzione di enzimi appositi; • via indiretta, tramite prodotti secondari del metabolismo microbico. Sulla base di quanto sopra esposto, è stato affrontato un importante caso di contaminazione di un sito collocato nel Comune di Torino, in cui gravava da oltre dieci anni un inquinamento da cromo esavalente falda, con concentrazioni nell’ordine di circa 500 µg/litro.

TEST IN MICROCOSMO Il test in microcosmo riproduce su scala ridotta la situazione presente nell’ambiente. L’acqua contaminata, prelevata direttamente dal sito oggetto di intervento, è stata immessa in bottiglie di vetro sterili e chiuse con tappo a tenuta munito di setto perforabile. La preparazione del campione è stata eseguita in atmosfera controllata di azoto; la conduzione del test è avvenuta a temperatura costante, corrispondente a quella della falda. I microcosmi sono stati ammendati con diverse miscele di macronutrienti, micronutrienti ed altri elementi biodegradabili, atti a stimolare la crescita della microflora autoctona in grado di favorire la detossificazione dei contaminanti. Periodicamente sono stati misurati i parametri di concentrazione degli inquinanti e la crescita microbica tramite conta MPN (Most Probable Number). Nella Figura 3 di seguito riportata, è rappresentato l’andamento della concentrazione di cromo esavalente e cromo totale nel corso della prova. Tra le diverse linee allestite, il campione trattato denominato MIX1 ha dato il migliore risultato in termini di detossificazione; nella linea MIX1 è stata verificata la riduzione completa del cromo esavalente dopo soli cinque giorni, dato confermato anche in presenza di una contaminazione spinta ad oltre 2000 µg/litro, ottenuta con aggiunte successive (indicate dalle frecce).

TEST IN CAMPO Figura 3. Risultati del test in microcosmo: confronto tra il campione non trattato (Bianco) e quello trattato (MIX1)

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Anno 3 - Numero 9

In un’area definita all’interno del sito di intervento, di circa 3000 mq

Figura 4. Rappresentazione dell’area di esecuzione del Test in Campo (area tratteggiata in blu)

(Figura 4), corrispondente alla zona di acquifero maggiormente contaminato, è stato eseguito il test in campo. A seguito di uno specifico studio idrogeologico dell’area individuata, sono stati definiti i punti di iniezione (evidenziati in giallo ) e i punti di monitoraggio (Pz11, Pz12, Pz5). Sulla base dei risultati del test in microcosmo, la miscela di sostanze a migliore effetto detossificante (MIX1), tramite determinate procedure, è stata periodicamente immessa in falda; in un periodo di tre mesi sono state eseguite complessivamente sei iniezioni. Nel grafico seguente è rappresentato l’andamento della concentrazione di cromo esavalente nei tre piezometri di monitoraggio (Pz11, Pz12, Pz5), posti a valle in senso idrogeologico rispetto alla linea di iniezione. Come evidenziato dal grafico in Figura 5, in


tutti e tre i punti di monitoraggio, compresi in un raggio di circa 150 metri dalla linea di iniezione, è risultata una riduzione completa del cromo esavalente in soli tre mesi di trattamento; nei cinque mesi successivi, il monitoraggio ulteriore ha confermato la stabilità del sistema e l’assenza di fenomeni di “rebound” in falda.

CONCLUSIONI In presenza di un sito contaminato da cromo esavalente, le attività di bonifica attualmente applicate sono in gran parte rappresentate da operazioni di messa in sicurezza d’emergenza che, nella maggior parte dei casi, divengono permanenti.Tali sistemi, rappresentati ad esempio da barriere fisiche e/o sistemi di pompaggio e trattamento della falda contaminata (Pump&Treat), sono attività molto costose e, di fatto, non risolvono il problema, ma lo rimandano nel tempo. L’eccellente risultato determinato nell’ambito della sperimentazione nel caso specifico ha consentito di prevedere

l’applicazione della tecnologia sull’intera area interessata dal fenomeno d’inquinamento, permettendo la risoluzione della problematica ambientale con un costo di gran lunga inferiore rispetto alle alternative di intervento adottabili e con un impatto ambientale praticamente nullo. Tale tecnologia, applicata nel caso specifico per il risanamento di un sito conta- Figura 5. Risultati del test in campo minati da cromo esavalente, può essere definita a tutti gli effetti, come la insaturo, potrà essere integrato con altre tecmigliore soluzione tecnologica possibile a nologie, come la fitoestrazione, consentendo costi contenuti (BATNEEC – best available la completa bonifica della parte superficiale technology not entailing excessive costs). Il dell’insaturo ed annullando completamente il metodo, che è stato sperimentato con suc- livello di rischio sanitario e ambientale. cesso anche in altri contesti inclusa la detos*Biosearch Ambiente s.r.l. sificazione del cromo esavalente nel terreno

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ex fiat avio, la gestione dei materiali di scavo e demolizione LA RIQUALIFICAZIONE DELL’AREA SU CUI SORGERà LA NUOVA SEDE DELLA REGIONE PIEMONTE TRA ATTIVITà DI CARATTERIZZAZIONE E GESTIONE DeI RIFIUTI di L. Maldi, E. Antonucci e O. Vacca*

L

’area torinese un tempo occupata dagli stabilimenti della Fiat Avio, delimitata dalla linea ferroviaria Torino-Genova, dal Lingotto e dalle vie Nizza, Canelli, Farigliano e Passo Buole, sarà oggetto di una serie di interventi di riqualificazione urbana, frutto di un accordo tra l’amministrazione comunale, la Regione Piemonte e la società Rete Ferroviaria Italiana. La variante urbanistica interessa una superficie territoriale complessiva di 315.000 m2, di

cui 193.000 m2 circa di proprietà regionale e 122.000 m 2 di proprietà R.F.I. La trasformazione comprenderà l’attuale impianto sportivo Oval (95.000 m2), il nuovo palazzo uffici della Regione Piemonte (58.000 m2), un nuovo complesso residenziale (61.480 m2), un parco pubblico (25.500 m2) ed una serie di attività terziarie, commerciali e ricettive (65.500 m2). Il nuovo impianto urbanistico-architettonico prevede inoltre strade, sottopassi, parcheggi interrati pubblici e privati ed una stazione ponte ferroviaria. La realizzazione del nuovo palazzo uffici della Regione Piemonte e delle opere di urbanizzazione annesse comporterà la demolizione di circa 54.000 m3 di locali interrati e strutture di fondazione dei vecchi fabbricati industriali Fiat Avio e lo scavo di circa 680.000 m3 di terreno, macerie di riporto e conglomerato bituminoso, su una superficie pari a circa il 30% dell’inteMasterplan progettato dall’architetto Massimiliano Fuksas (fonte Regione Piemonte) ra area.

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Anno 3 - Numero 9

INDAGINI DI CARATTERIZZAZIONE e interventi di bonifica EFFETTUATi SULL’AREA

L’area ex Fiat Avio è stata oggetto di una serie di campagne di caratterizzazione, finalizzate alla definizione di interventi di messa in sicurezza/bonifica, aventi come obiettivo le concentrazioni massime ammissibili fissate dalla normativa (ex D.M. 471/99) per suoli ad uso industriale. Le campagne d’indagine ambientale condotte sono consistite in indagini geofisiche (tomografie elettriche di resistività, indagini elettromagnetiche e rilievi georadar) ed indagini geognostiche (sondaggi, pozzi di monitoraggio della falda superficiale e analisi chimiche di laboratorio su campioni di terreno e di acqua di falda). Sulla base dei risultati ottenuti è stato redatto ed approvato dal Comune di Torino nel 2006 il progetto definitivo di bonifica del suolo e sottosuolo dell’area in oggetto. Le tecnlogie di bonifica individuate nel progetto approvato comprendono: • trattamenti quali bioventing, biopile e vagliatura meccanica in cantiere, per i terreni sui quali è possibile raggiungere gli obiettivi di bonifica: vagliatura nel caso di presenza di soli metalli, biopila o bioventing nel caso di contaminazione da soli idrocarburi;


• rimozione e smaltimento presso impianti esterni autorizzati per i terreni nei quali la contaminazione accertata è stata tale da non ritenere possibile il raggiungimento degli obiettivi di bonifica mediante trattamenti di decontaminazione. Alla data attuale, nell’area di pertinenza della Regione Piemonte risulta completato circa il 50% degli interventi di bonifica in progetto. Sono stati effettuati tutti gli interventi previsti nelle aree in cui sorgerà il nuovo palazzo uffici della Regione Piemonte e le opere di urbanizzazione annesse, mentre risultano ancora da completare alcuni interventi previsti nelle aree adiacenti. Nel periodo marzo 2008 – maggio 2009 è stata eseguita un’ulteriore campagna di caratterizzazione dell’area con sondaggi geognostici, analisi chimiche di laboratorio, analisi granulometriche e test di cessione su campioni di terreno, cui ha fatto seguito l’analisi di rischio sito-specifica ai sensi del D.Lgs.152/06 e s.m.i. per le aree soggette al cambio di destinazione d’uso da industriale a residenziale/ verde pubblico.

STIMA DEI VOLUMI DI MATERIALI DI SCAVO E DEMOLIZIONE E LORO CLASSIFICAZIONE

Nell’ambito della progettazione delle nuove opere previste, la Golder Associates s.r.l. di Torino ha esaminato le possibili modalità di gestione dei materiali derivanti dalle attività di demolizione e scavo relative al Lotto 1 “Urbanizzazioni di infrastrutturazione generale della Zona Urbana di Trasformazione” e al Lotto 3 “Nuovo Palazzo per Uffici Regione Piemonte”. Sulla base dei progetti edilizi presentati, è stato stimato un volume di materiali di scavo a fini edilizi complessivamente pari a 734.000 m3, di cui circa 54.000 m3 corrispondenti a strutture interrate e di fondazione che devono essere ancora demolite, e circa 680.000 m3 di terreno, che è risultato conforme ai limiti fissati dalla normativa vigente per suoli ad uso industriale/commerciale. Quest’ultimo volume comprende al suo interno il volume di macerie di riporto (inerti in genere), che risulta pari a circa 92.000 m3, e il volume di conglomerato

bituminoso, pari a circa 4.200 m3, come stimato sulla base dei risultati della caratterizzazione svolta. I materiali derivanti dalla demolizione dei plinti e dei locali interrati dei precedenti fabbricati ad uso industriale saranno classificati e gestiti come rifiuti, in conformità con la normativa vigente (D.Lgs. 152/06 come modificato dal D.Lgs. 04/08, Legge 13/09, D.M. 05/02/98 e s.m.i., D.M. 03/08/05). Sulla base di quanto rilevato nel corso delle indagini ambientali, si prevede che in fase di demolizione e scavo delle macerie di riporto vengano prodotti i seguenti rifiuti (elenco esemplificativo non Planimetria con ubicazione delle indagini ambientali e geotecniche necessariamente esaustivo): 17 eseguite e delle aree di bonifica 01 01 – cemento, 17 01 07 – miscugli di cemento, mattoni, mattonelle e cera- IDENTIFICAZIONE DELLE miche, diverse da quelle di cui alla voce 17 01 MODALITà DI GESTIONE 06, 17 04 05 – ferro e acciaio, 17 09 04 – rifiuti All’impresa che si aggiudicherà l’appalto dei misti dall’attività di costruzione e demolizione, lavori spetterà la scelta della modalità di ge17 03 02 – miscele bituminose. stione dei materiali inerti derivanti dalla dePer quanto concerne il terreno derivante dalle molizione dei locali interrati e delle strutture operazioni di scavo, la normativa vigente pre- di fondazione dei fabbricati preesistenti, delle vede che questo debba essere gestito come macerie di riporto e del conglomerato bitumirifiuto, a meno che non si possa dimostrare noso. Le possibili alternative sono: il rispetto di tutte le condizioni di cui all’art. • gestione diretta come rifiuti e quindi smal186 del D.Lgs. 152/06 così come modificato timento o recupero presso impianti esterni dal D.Lgs. 4/08 e dalla Legge 13/2009. Nel autorizzati; caso specifico dell’area di pertinenza della • riutilizzo in sito o fuori sito previo trattamenRegione Piemonte, poiché essa è stata ogto in cantiere mediante impianto mobile di getto di un intervento di bonifica, ancorché recupero di rifiuti non pericolosi autorizzacompletato, non risulta essere soddisfatto il to ex art. 27 e 28 del D.Lgs. 22/97 e s.m.i. punto e) dell’art. 186: “sia accertato che non o ex art. 208 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i. provengono da siti contaminati o sottoposti Gli eventuali rifiuti con codice CER 17 09 03* ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V saranno gestiti separatamente dal resto dei della parte quarta del presente decreto”. Di materiali e smaltiti senza trattamento presso conseguenza, tutto il terreno derivante dagli un impianto esterno autorizzato. scavi dovrà essere classificato e gestito come Nel caso in cui sia scelta la prima soluzione, rifiuto, in analogia con i materiali derivanti dal- i materiali saranno allontanati mediante autole demolizioni. Considerato che la bonifica già carri autorizzati al trasporto di rifiuti e conferiti completata ha consentito il raggiungimento presso impianti esterni autorizzati per le opedei limiti fissati per suoli ad uso commercia- razioni di recupero o smaltimento secondo i le/industriale, il terreno derivante da attività codici CER definiti. Sono stati pertanto indidi scavo potrà essere identificato col codice viduati gli impianti esterni di trattamento auCER 17 05 04. torizzati (CER 17 01 01, 17 01 07, 17 09 04 e

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Planimetrie delle aree dei Lotti 1 e 3 soggette a scavo e calcolo dei volumi di inerti e asfalto

17 03 02) in provincia di Torino con capacità di trattamento superiori alle 30.000 t/anno. Nel caso in cui si decida per la seconda soluzione, i rifiuti inerti derivanti dalle operazioni di demolizione e scavo (CER 17 01 01, 17 01 07, 17 09 04 e 17 03 02) saranno gestiti mediante l’impiego di impianti mobili autorizzati. La caratterizzazione dei rifiuti ai fini della verifica di recuperabilità prevederà test di cessione ai sensi del D.M. 05/02/98 e s.m.i. nonché la caratterizzazione ai sensi della Circolare del Ministero Ambiente 15 luglio 2005, n. 5205. In questo caso, in ragione dei quantitativi previsti (maggiori di 10 t/giorno) occorrerà avviare per gli impianti mobili di recupero una procedura di verifica ai sensi della L.R. n. 40 del 14 dicembre 1998, così come modificata dalla Deliberazione del Consiglio Regionale n. 21134747 del 30 luglio 2008. Pertanto, dovrà essere presentata alla Provincia di Torino (Servizio Valutazione Impatto Ambientale e Servizio Gestione Rifiuti e Bonifiche) e ad ARPA Piemonte una specifica domanda, corredata di relazione tecnica, autorizzazione dell’impianto mobile al recupero di rifiuti da demolizione ex art. 27 e 28 del D.Lgs. 22/97 e s.m.i. o ex art. 208 del D.Lgs. 152/06 e deroga al rumore rila-

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Anno 3 - Numero 9

sciata dal Comune di Torino. Dopo il conseguimento del nulla osta da parte della Provincia di Torino (entro 60 gg dalla presentazione della domanda), sarà necessario effettuare campagne di monitoraggio acustico ai fini della verifica di congruenza con lo studio previsionale di impatto presentato. L’impresa avrà anche facoltà di scegliere le modalità di gestione del terreno derivante dalle attività di scavo, classificato come rifiuto, tra le seguenti possibilità: • trattamento in cantiere mediante impianto mobile di recupero di rifiuti non pericolosi autorizzato, da cui si ottiene materiale riutilizzabile in sito o fuori sito con documento di trasporto, previo test di cessione ai sensi del Decreto 5/2/98 e s.m.i. nonché caratterizzazione ai sensi della Circolare del Ministero Ambiente 15 luglio 2005, n. 5205, che ne verifichino la recuperabilità; • riutilizzo in sito come materiale di riporto per rinterri e riempimenti; • conferimento ad impianto di recupero esterno autorizzato; • recupero diretto nell’ambito di attività autorizzate con procedura semplificata (ad esempio realizzazione di sottofondi stradali, ecc.);

• impiego per recuperi ambientali (ad esempio in attuazione di progetti di recupero ambientale di cave autorizzate); • conferimento ad impianto di smaltimento esterno autorizzato. Considerata la produttività di un impianto mobile (500-800 m3/giorno) in rapporto alle volumetrie di scavo previste per i Lotti 1 e 3 (680.000 m3) e considerate le superfici di cantiere disponibili per l’installazione di impianti mobili (di fatto limitate alla futura area a parco), è evidente che anche prevedendo una pluralità di impianti non sussistono le condizioni per una gestione completa con impianto mobile dei terreni scavati. In aggiunta, il volume stimato per tutti i rinterri di progetto dei Lotti 1 e 3 è pari a circa 110.000 m3, nettamente inferiore alle potenziali disponibilità. Pertanto la maggior parte dei terreni scavati dovrà essere allontanata dal sito come rifiuto, secondo una o più delle modalità sopra elencate. Gli impianti di trattamento esterni hanno una capacità ricettiva annuale limitata, in genere inferiore alle 100.000 t/anno, che può essere garantita solo in caso di acquisto anticipato della volumetria autorizzata. Sono stati quindi individuati gli impianti esterni di trattamento autorizzati (CER 17 05 04) in provincia di Torino con capacità di trattamento superiori alle 20.000 t/anno. Il recupero diretto nell’ambito di attività autorizzate con procedura semplificata potrà essere perseguito solo nel caso in cui i tempi di realizzazione delle opere specifiche (ad esempio la realizzazione di rilevati per autostrade, ecc.) coincidano con quelli previsti per i Lotti 1 e 3. I recuperi ambientali sono ritenuti la scelta ottimale, in quanto le volumetrie di terreno derivanti dalle attività di scavo sono spesso compatibili con quelle richieste nei progetti di recupero. E’ stata pertanto condotta una ricerca dei possibili siti con operazioni di recupero già autorizzate, in grado di ricevere le volumetrie prodotte. L’impresa che si aggiudicherà l’appalto dei lavori avrà l’onere di verificare la disponibilità dei diversi siti di destinazione individuati. *Golder Associates s.r.l.


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L’innovazione nella rimozione di composti organici dal sottosuolo Due casi di applicazione per Smart Stripping ®, l’innovativa tecnologia per interventi di messa in sicurezza e bonifica in presenza di contaminanti volatili e semivolatili di Francesco Caridei e Marco Pagano*

S

mart-Stripping® è una tecnologia di bonifica in-situ specifica per interventi di messa in sicurezza e risanamento di acquiferi e suoli contaminati da composti organici (principalmente idrocarburi e composti organo clorurati), che consente interventi conformi alle indicazioni degli allegati tecnici del D.M. 471/99 e del D. Lgs. 152/06. Il sistema è stato validato mediante impianti pilota e full scale ed è oggetto di brevetto europeo n. 08171445.3 presso EPO di Monaco, con rivendicazione della priorità italiana n. MO2007A000391 depositata il 13/12/07 da 3000 s.r.l. La tecnologia è adatta alla bonifica di siti destinati al deposito, alla trasformazione e alla distribuzione di idrocarburi e composti organoclorurati. In particolare la tecnica può essere efficacemente applicata ai punti vendita di carburanti, agli aeroporti e alle industrie meccaniche, chimiche e plastiche. Su scala reale la tecnologia mostra ottimi risultati, garantendo l’estrazione dei contaminanti volatili e semi-volatili VOC e SVOC (quasi tutte le benzine, solventi ed additivi organici come l'MTBE) dal sottosuolo saturo e insaturo, mediante un sistema di trattamento a ciclo chiuso, che impedisce l’emissione dei contaminanti stessi nell’ambiente circostante.

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La bonifica delle acque sotterranee avviene innescando il trasferimento dei contaminanti dalla matrice liquida (zona satura) alla matrice aria (zona insatura); tale trasferimento è provocato dall’insufflaggio di aria introdotta nel sottosuolo fino alla base dell’acquifero contaminato: in questo modo si consente lo strippaggio in sito delle acque sotterranee, e quindi la separazione degli inquinanti dall’acqua. I composti inquinanti, volatili e semi-volatili, si trasferiscono verticalmente fino all’interfaccia tra la zona satura ed insatura del sottosuolo, dove sono recuperati per mezzo di specifica aspirazione dell’aria interstiziale. Gli insufflaggi nella zona satura e le aspirazioni nella zona insatura possono essere verticali od orizzontali (vedi figura 1 e 2).

sioni in atmosfera di solventi organici aromatici in acqua superficiale di 0,054 ton/anno; per il solo benzene la riduzione è nell’ordine di 0,017 ton/anno, mentre la riduzione degli

Innovazioni apportate dall a tecnologia di bonifica Smart Stripping ®

La tecnologia Smart Stripping®, in confronto con i sistemi di bonifica Pump & Treat, Air Sparging e Soil Vapor Extraction risulta operare con un impatto ambientale inferiore. Infatti, per quanto riguarda gli impianti monitorati, è stata rilevata una riduzione di emis-

Figura 1. Schema di funzionamento impianto Smart Stripping® verticale


Caso di studio 1: impianto full scale in raffineria dismessa Ubicazione

Nord Italia

Periodo

Febbraio 2008 – Giugno 2009 Raffineria petrolifera dimessa /

Tipologia sito

acquifero sabbioso – ghiaioso

n. pozzi Smart Stripping

6

n. pozzi monitoraggio

6

n. sonde gas

3

Distanza pozzi bonifica/monitoraggio

tra 2,5 e 5,5 m

Profondità media falda

10,0 m

Spessore acquifero

5,0 m

Concentrazione iniziale

Benzene: 6.000 μg/l ; Idrocarburi tot: 10.000 μg/l

Concentrazione giugno 2009

Benzene: 1 μg/l; Idrocarburi tot: 350 μg/l

®

Figura 2. Schema di funzionamento impianto Smart Stripping® orizzontale

Figura 3. Volume vapori trattati e quantità composti organici estratti mediante l’applicazione dello Smart Stripping® nel caso di studio 1 (periodo febbraio 2008 – giugno 2009)

Figura 4. Volume vapori trattati e quantità composti organici estratti mediante l’applicazione dello Smart Stripping® nel caso di studio 2 (periodo aprile 2008 – giugno 2009)

Tabella 1. Dati principali relativi all’applicazione dello Smart Stripping® al caso di studio 1

idrocarburi nelle acque di scarico è stata misurata nell’ordine di 1,375 ton/anno. La riduzione del consumo di acqua, ovvero la quantità di acque sotterranee che possono essere depurate direttamente in falda senza diventare rifiuto, e/o essere scaricate nei corpi idrici superficiali o in fognatura si è rivelata di 67.890.000 ton/anno. E’ stata riscontrata anche una notevole riduzione della durata degli interventi di bonifica, pari al 30% in confronto alla tecnologia Soil Vapor Extraction. Inoltre, nel caso delle misure di messa in sicurezza di emergenza, siccome questa tecnica non necessita di autorizzazione per le emissioni in atmosfera e/o per lo scarico in acque superficiali e/o in fognatura pubblica da parte delle Autorità preposte, la durata degli interventi si riduce di 3 - 12 mesi a seconda degli Enti pubblici coinvolti. Si tratta di una tecnologia di bonifica che risulta più economica, più efficiente e con un impatto ambientale inferiore rispetto alle altre tecnologie, ed ha apportato le seguenti innovazioni: • applicabilità ai siti contaminati con pozzi o piezometri di monitoraggio preesistenti, che presentano le maggiori anomalie, con evidente risparmio economico e migliore gestione della tempistica in caso di messa in sicurezza di emergenza;

• applicabilità senza limiti di profondità, ma con i massimi vantaggi economici entro 10 m dal piano di campagna (sono inoltre possibili le applicazioni orizzontali); • semplicità di installazione; • abbattimento dei costi di bonifica fino al 50% rispetto agli interventi tradizionali; • ciclo chiuso, che non comporta emissioni in atmosfera e/o in acque superficiali e/o fognatura, contrariamente agli interventi di bonifica tradizionali; • visualizzazione on-line in tempo reale delle condizioni operative del sistema e della quantità di contaminanti estratti mediante un sistema di telecontrollo remoto.

Caso di studio 1 La tecnologia SmartStripping® è stata applicata in una raffineria dismessa con acquifero sabbioso e ghiaioso contaminato da idrocarburi totali e da idrocarburi aromatici. Sul sito era attivo un impianto Pump & Treat che, malgrado vari anni di attività, non aveva conseguito risultati soddisfacenti in una specifica area. L’applicazione della tecnologia SmartStripping® in 16 mesi di attività ha consentito di ridurre i valori di concentrazione degli idrocarburi aromatici e degli idrocarburi totali rispettivamente da 6.000 μg/l a 1 μg/l e da 10.000 μg/l a 350 μg/l.

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Caso di studio 2 La tecnologia SmartStripping® è stata applicata in un punto vendita carburanti con acquifero a sabbie prevalenti contaminato da idrocarburi totali, MTBE e BTEX. Inizialmente l’intervento di bonifica prevedeva l’istallazione di un impianto Pump & Treat, modificato in Pump & Stop dopo che le Autorità avevano negato il permesso di scaricare le acque in seguito al trattamento. Le acque estratte dal sottosuolo venivano pertanto stoccate in sito e conferite in un impianto di trattamento per lo smaltimento, aumentando notevolmente i costi di bonifica L’impianto Pump & Stop è stato sostituito con un impianto SmartStripping® e in 18 mesi di attività i valori di concentrazione degli idrocarburi totali, MTBE e BTEX, sono diminuiti rispettivamente da 2.000 μg/l a 46 μg/l, da 6.000 μg/l a 72 μg/l, e da 100 μg/l a <0,23 μg/l. * 3000 s.r.l. - Ecosurvey

Caso di studio 2: impianto full scale in un punto vendita carburanti Ubicazione

Italia centrale

Periodo

Aprile 2008 – in corso

Tipologia sito

Punto vendita carburanti/acquifero sabbie prevalenti

n. pozzi Smart Stripping

2

n. pozzi monitoraggio

4

n. sonde gas

4

Distanza pozzi bonifica/monitoraggio

tra 10 e 12 m

Profondità media falda

1,5 m

Spessore acquifero

5,5 m

®

Idrocarburi tot: 2.000 μg/l; Concentrazione iniziale

MTBE: 6.000 μg/l; BTEX: 100 μg/l

Concentrazione giugno 2009

Benzene: 1 μg/l; Idrocarburi tot: 350 μg/l

Tabella 2. Dati principali relativi all’applicazione dello Smart Stripping® al caso di studio 2


BIOFILTRAZIONE IN DISCARICA PER ABBATTERE IL METANO Un’analisi dei risultati ottenuti attraverso la sperimentazione del sistema geCO 2® nella degradazione del biogas per mezzo dell’ossidazione operata dai batteri metanotrofi di Pietro Cella Mazzariol*

U

no dei problemi ambientali riguardanti il conferimento e lo smaltimento dei rifiuti in discarica è l’emissione di sostanze inquinanti. La fermentazione anaerobica che degrada la frazione organica contenuta nei rifiuti solidi urbani (RSU) dà origine a produzione di biogas composto principalmente da metano, anidride carbonica ed altri composti. La produzione di biogas nelle discariche di RSU è quindi un problema serio, in quanto il metano contenutovi, se rilasciato in atmosfera, contribuisce attivamente all’incremento del riscaldamento globale. Inoltre, il metano associato all’anidride carbonica (altro componente del biogas da discarica) possiede un potenziale di riscaldamento globale (GWP, Global Warming Potential) 21 volte superiore a quello della sola anidride carbonica (Defra, 2007, Stachowitz W. H., 2003). In una gestione oculata e sostenibile, il biogas ricco di metano (concentrazioni dal 40 al 60%) può essere vantaggiosamente avviato alla cogenerazione per la produzione di energia elettrica. Col passare del tempo, la frazione organica contenuta nella discarica diminuisce gradualmente, così come la concentrazione del metano contenuto nel biogas. Nel momento in cui le percentuali di metano scendono al di sotto del 25%, la cogenerazione o la combustione in torcia non sono più possibili se non con l’aggiunta di ulteriore combustibile fossile (gas di rete).

Tale condizione può verificarsi ad ogni stadio in un periodo temporale di 50 anni. In verde di vita della discarica ed in particolare: sono segnate le quantità di biogas che sfug• nelle prime fasi di coltivazione, dove le gono al recupero energetico e all’ossidazione concentrazioni di metano e le quantità di in torcia. biogas prodotto sono basse; E’ evidente che la fase dell’efficace abbatti• durante le fasi di normale attività, in zone mento del biogas (zona in giallo) è concendove non si raggiungono produzioni di trata negli anni di attività della discarica ed in biogas idonee alla cogenerazione; quelli immediatamente successivi alla chiu• nelle fasi finali di cura della discarica dopo sura, mentre l’emissione si protrae per circa la sua chiusura. un secolo con quantità certamente decreIn questo contesto si inseriscono altri meto- scenti ma non trascurabili. di di abbattimento del metano contenuto nel Due aziende italiane Entsorga Italia S.p.a. e biogas (con CH4<25%). CO2balance s.r.l. hanno avviato un programLa letteratura scientifica è infatti ricca di ri- ma di ricerca e sviluppo al fine di fornire un ferimenti riguardo l’ossidazione del metano, prodotto idoneo a trattare il biogas a concencome per esempio quella biologica, che risulta essere oltre che economica anche efficace come la biofiltrazione (Stachowitz, 2003; Micheli et al, 2003), utilizzata nel sistema geCO2® proposto da CO2balance Italia s.r.l., che ben si inserisce nei diversi stadi di vita delle discariche. Nella figura 1 è evidenziato il ciclo di Figura 1. Grafico riportante il ciclo di produzione del biogas in un periodo tempoproduzione del biogas rale di 50 anni

75


p roge t t i e t e cn o log ie

Unità odoCampione

rimetriche (O.U./m3)

Efficienza di abbattimento (%)

Unità odorimetriche (O.U./m3)

2006

Anno Biogas in

Efficienza di abbattimento (%)

Unità odorimetriche (O.U./m3)

2007

Efficienza di abbattimento (%) 2008

4.300

------

840

------

1200

------

Uscita unità 1

30

99,3

40

95,2

54

95,5

Uscita unità 2

110

97,4

160

80,9

91

92,4

Uscita unità 3

86

98,0

110

86,9

64

94,7

Uscita unità 4

48

98,9

180

78,6

91

92,4

ingresso

Tabella 1. Risultati delle indagini olfattometriche (anni 2006, 2007, 2008)

trazioni di metano inferiori al 25%. Questo programma ha visto la nascita del geCO2®, un sistema di biofiltrazione modulare ad alta efficienza (figura 2). La biofiltrazione è un processo biologico di

abbattimento degli odori e di molteplici molecole contenute nella corrente gassosa, come il metano, operato da una flora microbica attraverso una reazione di ossidazione. In base ai dati di applicazioni e sperimentazioni da noi effettuate, le portate di biogas che possono essere inviate al sistema geCO2® possono essere comprese fra i 30 e i 150 Nmc/h. La colonia microbica necessaria per la biofiltrazione si sviluppa in particolare sulla superficie di un opportuno supporto naturale, il letto filtrante, attraverso il quale ® viene fatta circolare la Figura 2. GeCO2 installato nella discarica di Orbassano TO corrente da trattare. Il letto filtrante è costituito da miscele di matrici biologicamente attive ed appositamente studiate per facilitare lo sviluppo metabolico delle colonie. La sostanza odorigena in fase gassosa viene assorbita dal materiale filtrante e degradata dalla flora microbica, che la usa come nutriFigura 3. Esemplificazione del processo ossidativo del metano operato all’interno mento insieme a parte del materiale filtrante del materiale filtrante

76

Anno 3 - Numero 9

stesso. Per l’attività biologica viene utilizzato anche l’ossigeno presente nella corrente gassosa in ingresso al sistema geCO2® (il sistema è infatti aerobico). In seguito all’attività metabolica dei microrganismi, vengono quindi rilasciati anidride carbonica, acqua, composti inorganici e biomassa. In modo analogo ai composti organici ricercati più frequentemente, anche il metano subisce l’azione degradativa della popolazione microbica metanotrofa selezionata all’interno del materiale filtrante, che opera il processo ossidativo esemplificato in figura 3. Il grande vantaggio del sistema è il bassissimo costo operativo, che si limita alla supervisione del processo. Il consumo energetico è limitato al funzionamento della strumentazione di controllo ed il collegamento di rete può essere sostituito da un piccolo pannello fotovoltaico. Quanto descritto è stato oggetto di un’approfondita campagna sperimentale di studio, che si è svolta nel corso di circa tre anni. Le attività sperimentali eseguite prevedevano il monitoraggio dei principali parametri operativi, che sono: • portata e temperatura del biogas, mediante anemometro e sonda termometrica portatili; • temperatura del letto filtrante, mediante sonda termometrica portatile; • stato di colonizzazione microbica delle matrici; • concentrazione di metano a monte e a valle del sistema di abbattimento, mediante sonda multiparametrica portatile.


Figura 4. Grafico riportante i dati di monitoraggio del sistema geCO2® durante la sperimentazione

Tutte le attività di monitoraggio delle concentrazioni di metano in uscita dal sistema di abbattimento venivano eseguite mediante l’utilizzo di una cappa (realizzata in conformità alle linee guida per impianti di compostaggio emanate dalla Regione Lombardia, BURL del 16 aprile Biogas Observation

flow/unit (m3/h)

2003 n. 7/12764), opportunamente posizionata sopra il telo filtrante in modo da eliminare ogni possibile influenza dell’aria ambiente. I risultati della sperimentazione sono stati condivisi con la sezione rifiuti e bonifiche della Provincia di Torino e presentati al Simposio di Sardinia del 2009 e durante il Convegno dell’ISWA di Lisbona del 2009. Di seguito verranno riassunti gli aspetti salienti dei risultati ottenuti.

Abbattimento degli odori L’abbinamento tra matrice filtrante e telo semipermeabile ha permesso di ottenere elevati abbattimenti dell’impatto odorigeno del

CH4 inlet (% v/v)

CH4 outlet

Observa-

(% v/v)

tion

biogas stesso. Le indagini olfattometriche, eseguite secondo quanto descritto dalla norma UNI EN 13725:2004, hanno evidenziato livelli di abbattimento generalmente superiori al 90% delle unità olfattometriche in entrata, come mostrano le tabelle 1 e 2. In tutte le campagne analitiche effettuate i valori di emissione si attestano ben al di sotto del limite comunemente considerato di 300 UO/Nmc.

Monitoraggi periodici del sistema La verifica del corretto funzionamento dei sistemi geCO2® è stata condotta, oltre che per mezzo della stima di efficienza nell’abbattimento del metano, mediante misurazioni periodiche della temperatura dei letti filtranti e del loro stato di colonizzazione microbica. Biogas

flow/unit (m3/h)

CH4 inlet

CH4 outlet

(% v/v)

(% v/v)

1

50,00

11,80

2,70

21

64,00

8,60

1,20

2

47,00

12,10

1,70

22

70,90

8,30

2,90

3

42,00

9,70

0

23

70,35

9,00

3,20

4

45,00

10,90

0

24

64,00

7,60

2,00

5

40,00

10,80

2,20

25

69,10

7,60

1,50

6

45,00

10,90

2,80

26

124,80

9,40

2,40

7

57,00

11,20

2,50

27

121,18

9,20

2,10

8

27,00

13,50

1,60

28

109,78

9,60

3,60

9

21,00

10,80

1,10

29

128,41

6,60

1,70

10

25,00

11,60

1,00

30

134,56

6,10

1,80

11

51,00

11,30

0

31

143,24

9,40

2,40

12

51,00

11,20

0

32

144,69

9,20

3,40

13

51,00

10,40

1,90

33

107,07

9,60

3,30

14

54,00

10,40

2,10

34

130,58

6,60

1,40

15

60,00

10,40

1,50

35

117,92

6,10

2,40

16

52,00

9,30

3,20

36

97,67

9,40

1,20

17

41,00

13,00

1,30

37

97,67

9,20

3,30

18

60,00

11,10

2,50

38

81,03

9,60

3,80

19

57,00

11,30

2,70

39

66,74

6,60

1,50

20

79,00

9,40

2,30

40

122,81

6,10

2,80

Tabella 2. Portata di biogas,concentrazione di metano in ingresso e in uscita (valori istantanei del periodo 2005-2007)

77


p roge t t i e t e cn o log ie

Campione

Flusso di Biogas (m3/h)

CH4 in ingresso

CH4 in uscita

(% v/v)

(% v/v)

Minimo

108,88

3,70

0,20

Massimo

141,07

8,70

2,60

120,02

5,46

1,10

Media (35 osservazioni)

Tabella 3. Portata di biogas e composizione biogas in ingresso e uscita minima, massima e media misurata nell’anno 2008 e 2009

Tutti i sistemi monitorati hanno evidenziato andamenti simili delle temperature, in diminuzione nel periodo invernale ed in ripresa a partire dal mese di marzo. Per quanto riguarda la colonizzazione microbica, né dal punto di vista della carica batterica né della carica micetica si avvertono sintomi di avvelenamento della matrice filtrante causati dall’influente gassoso. L’evoluzione della consistenza delle popolazioni microbiche sembra indicare una selezione a favore della componente batterica (di cui fanno parte i microrganismi metanotrofi). Per quanto riguarda il percolato prodotto dai biofiltri, le analisi hanno rivelato una bassissima presenza di inquinanti.

Efficienza di abbattimento del metano Dai risultati sperimentali ottenuti si evincono degli eccellenti livelli di abbattimento del metano, osservabili nella tabella 2. Le condizioni di lavoro dei sistemi di abbattimento erano variabili, ed in particolare:

• le portate di biogas variavano tra 21 m³/h e 143 m³/h; • la concentrazione di metano in ingresso variava approssimativamente tra il 6,10% ed il 13,50%; • la minima concentrazione di ossigeno rilevata è stata di 11,0% v/v, quella massima di 18,2% v/v (valori medi 14,0% v/v), mentre i livelli di biossido di carbonio si sono attestati tra il 3,2% v/v e il 10% v/v (valori medi 7,36% v/v). In queste condizioni, l'ambiente aerobico nel materiale di biofiltrazione necessario per la corretta attività dei batteri metanotrofi è stato garantito. Si riportano in tabella 2 i dati di monitoraggio del sistema geCO2® durante il periodo di sperimentazione. Gli stessi dati sono riassunti nella figura 4. Sulla base delle misure effettuate, è stato possibile individuare una relazione tra le portate di biogas alimentate ai sistemi geCO2® e la capacità di degradazione del metano, mentre la prosecuzione dei rilievi ha permes-

Previsioni di riduzione delle emissioni di CO 2 eq

Utilizzando i dati sperimentali ottenuti, è stato possibile stabilire una correlazione lineare tra le portate di biogas e l’efficienza di degradazione del metano: Performance CH4 degradato = -0,0016 * il flusso di produzione di biogas (m3/h) + 0,8845 [Equazione 1]. Attraverso tale equazione, si è ottenuta una proiezione della funzionalità del sistema in termini di sequestro di CO2eq e quindi di CO2eq non emessa in atmosfera (tabella 4).

Flusso di biogas

Metano in ingresso

Performance di

(m3/h)

(% v/v)

Degradazione del CH4

Sperimentazione

75

9,6

76

663

1^ ipotesi

50

15

80

726

2^ ipotesi

100

15

72

1308

3^ ipotesi

150

15

64

1746

4^ ipotesi

150

25

64

2909

5^ ipotesi

280

25

44

3678

Tabella 4. Proiezione di prestazioni del sistema su base dell’Equazione 1

78

so di valutare meglio la funzionalità del sistema nel tempo (figura 5). Dal grafico riportato in figura 6 si evince la diretta correlazione tra le portate di biogas fornite alla massa filtrante e l’efficienza di abbattimento. Inoltre, considerando i valori assoluti di metano in entrata e in uscita delle unità di trattamento, risulta chiaro come, indipendentemente dal tasso di produzione di biogas, a valori di concentrazione più elevati di metano in ingresso corrisponda anche una maggior degradazione dello stesso (in termini assoluti), per singola unità di tempo. Questo indica una mancanza di saturazione della capacità di trattamento del sistema e conseguentemente non si riscontra una diminuzione dell’efficienza nella degradazione del metano. I livelli di degradazione misurati negli ultimi anni (2008 e 2009, tabella 3), hanno inoltre confermato l'efficacia della riduzione delle emissioni di metano.

Anno 3 - Numero 9

ton di CO2eq/anno Risparmiate


Figura 5. Regressione lineare di produzione di biogas vs efficienza del flusso di CH4 degradato (i valori della singola unità) - r = 0,56

Figura 6. Correlazione tra la quantità di metano in ingresso e la quantità di metano degradata

Conclusioni In ultima analisi, si è dimostrato che mediante l’utilizzo di geCO2® è possibile operare in modo sicuro ed efficiente la depurazione del biogas prodotto dalle discariche, riducendone così l’impatto ambientale. Il sistema inoltre presenta vantaggiose mobilità e modularità, che consentono di dimensionarlo per soddisfare le effettive esigenze di trattamento e ciò garantisce la facile collocazione nei pressi del sistema di captazione del biogas. GeCO2® si rivela essere un’ottima soluzione alternativa ai sistemi convenzionali per il trattamento del biogas da discarica povero di metano. Un ultimo aspetto certamente importante è che, a seguito dell’accredito ai sensi del regolamento VCS (Voluntary Carbon Standard) delle Nazioni Unite, l’impiego del sistema consente di ottenere i certificati VER (Voluntary Emission Reduction) per la riduzione della CO2. Il primo progetto, ad oggi ancora in corso, presso le discariche del Torrione a Pinerolo (TO), di Bairo Canavese e di Colleretto Giacosa ad Ivrea (TO) comporterà una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra pari a 41.994 t di CO2eq durante il periodo 1 ottobre 2005 – 30 settembre 2015. I certificati di riduzione della CO2 di tipo VER verranno resi disponibili sul mercato ed acquistati dalle aziende che vorranno ridurre il loro impatto ambientale in termini di emissioni di gas ad effetto serra. *Entsorga Italia S.p.a.


N ORMATIVA

TERRE E ROCCE DA SCAVO, LE LINEE GUIDA DELLA REGIONE PIEMONTE APPROVATO IL TESTO CHE FORNISCE UN INQUADRAMENTO UNIVOCO PER IL TERRITORIO PIEMONTESE CON L’OBIETTIVO DI SALVAGUARDARE L’AMBIENTE E DI FACILITARE LA GESTIONE DI TALI MATERIALI di Ezio Giacobone*

L

a disciplina relativa alla gestione delle terre e rocce da scavo, introdotta inizialmente dal D.Lgs. 22/97 ora abrogato, ha subito negli anni numerosi interventi legislativi, resisi necessari anche a seguito dell’apertura di più di una procedura di infrazione comunitaria nei confronti della Repubblica Italiana per non corretta trasposizione della disciplina UE in tema di rifiuti. Il riferimento normativo per la gestione delle terre e rocce da scavo è l’articolo 186 del D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale”, che fornisce i criteri e le modalità di utilizzo delle medesime, qualora classificate come sottoprodotti, prevedendo l’assoggettamen-

80

Anno 3 - Numero 9

to delle stesse alla disciplina dei rifiuti nel caso in cui il loro utilizzo non rispetti le condizioni stabilite dal predetto articolo. L’emanazione del D.Lgs. 04/08, in vigore dal 13 febbraio 2008, recante nuove disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 152/06, a cui è seguita l’ulteriore modifica apportata dall’articolo 8 ter del D.Lgs. 208/08, convertito con modifiche nella Legge 27 febbraio 2009, n. 13 “Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente”, ha formulato una nuova disciplina della materia. L’Amministrazione regionale, in considerazione del ruolo di programmazione, indirizzo e controllo ad essa spettante nell’ambito delle materie oggetto di conferimento agli Enti locali (art. 3 L.R. 44/2000), al fine di uniformare sul territorio l’applicazione delle disposizioni in materia e di proporre indirizzi e direttive condivise, ha redatto le “Linee guida per la gestione delle terre e rocce da scavo”, approvate con Deliberazione della Giunta regionale n. 24 – 13302 del 15 febbraio 2010. Il testo delle linee guida, della d.g.r. ed i relativi moduli sono pubblicati sul sito della Regione Piemonte all’indirizzo http://www.regione.piemonte.it/ambiente/bonifiche/ doc_spec.htm.

La redazione di linee guida a livello regionale si è resa necessaria, a causa dei non pochi problemi evidenziati nel primo periodo di entrata in vigore della nuova disciplina, per fornire un inquadramento univoco per il territorio, sia amministrativo/procedurale che tecnico, con l’obiettivo di ottenere la massima salvaguardia ambientale ed agevolare l’applicazione delle norme da parte degli operatori, pubblici e privati, e degli enti di controllo. Vista la complessità della materia trattata, l’entrata in vigore è stata prevista a partire dal 60° giorno successivo alla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, avvenuta il 4 marzo 2010 (B.U.R. n. 9) a cui potrebbe seguire un’eventuale revisione al termine di un primo periodo “sperimentale” di applicazione della durata di 6 mesi. Tali linee guida potranno quindi utilizzarsi a far data dal 3 maggio 2010. Il testo delle Linee Guida è suddiviso in quattro capitoli: • “Inquadramento normativo”; • “Origine ed utilizzi delle terre e rocce da scavo”; • “Procedure amministrative per l’utilizzo”; • “Riutilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce da scavo”. Sono inoltre presenti sette allegati: uno de-


scrive il contenuto degli elaborati richiesti per i progetti di riutilizzo, un altro il comportamento in caso di destinazione ad impianti che effettuano il riutilizzo delle terre e rocce al di fuori della normativa sui rifiuti, quattro sono modelli di dichiarazioni e l’ultimo contiene il modello del documento di trasporto. L’utilizzo delle terre e rocce da scavo può avvenire solamente in assenza di contaminazione e se le stesse hanno ottenuto la qualifica di sottoprodotti. Possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati qualora rispettino le condizioni previste dalla normativa. La progettazione preliminare prevista consente di ampliare il quadro di conoscenza della qualità ambientale dei siti e di ottimizzare l'utilizzo delle terre e rocce da scavo aventi caratteristiche proprie dei materiali di cava, considerando che la razionalizzazione dell'uso comporta indubbi vantaggi anche sotto il profilo logistico ed ambientale. Le linee guida si applicano ai materiali di scavo naturali: sono dunque esclusi i materiali di origine antropica, quali ad esempio detriti da demolizione, residui di scarifica stradale, calcestruzzi, ecc. Per consentire di ottimizzare l'utilizzo dei materiali deve essere redatto un progetto, a cura del proponente, che sia preliminare all’impiego delle terre e delle rocce. Uno dei punti caratterizzanti delle linee guida è proprio l’introduzione della figura del proponente, che rappresenta il committente dell’opera nella quale si produce il materiale ed è il soggetto che presenta il progetto all’Autorità competente per consentire la verifica dei requisiti di utilizzabilità. Poiché la rispondenza del materiale scavato alle caratteristiche determinate in fase progettuale è responsabilità del produttore, prima della movimentazione è necessario che lo stesso confermi le indagini analitiche svolte preliminarmente, e che le implementi solo se lo ritiene necessario.

La necessità di garantire la tracciabilità dei materiali è stata affrontata introducendo una dichiarazione di inizio lavori, una dichiarazione di avvenuto utilizzo delle terre e rocce da scavo (affinché si possa verificare che i materiali abbiano avuto un utilizzo conforme al progetto approvato), ed un documento di viaggio sul quale siano indicati, tra l’altro, il luogo di partenza e quello di arrivo. Con il progetto di riutilizzo si garantisce altresì la compatibilità con il sito di destinazione, garanzia di salvaguardia degli aspetti ambientali. Al fine di assicurare, con un minimo set di parametri da indagare, che il materiale non sia contaminato, è stata prevista un’apposita procedura per la verifica delle caratteristiche chimiche e chimico-fisiche valutate mediante sondaggi preliminari, le cui risultanze devono essere utilizzate in fase progettuale. Le procedure semplificate per siti ubicati in aree residenziali e/o agricole che non siano mai stati sottoposti ad utilizzi diversi, e per i quali la produzione di terre e rocce da scavo non superi i 2.500 metri cubi di materiale, consentono la sola verifica della compatibilità con il sito di destinazione, accompagnata da una dichiarazione di assenza di contaminazione sottoscritta dal proponente. Resta salvo il principio secondo cui al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito durante le operazioni di produzione di terre e rocce, devono essere immediatamente avviate le procedure previste dal Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/06 che riguardano la bonifica di siti contaminati. In caso di aree in cui vi sia un superamento dei limiti tabellari di cui all’Allegato V, Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/06, at-

tribuito a valori di fondo naturale o alla presenza di inquinamento diffuso, è consentito il riutilizzo del materiale nell’ambito dello stesso sito o in altro sito compatibile individuato, a patto che il riutilizzo sia suffragato da appositi studi da realizzarsi a cura del proponente e che questi siano validati da Arpa Piemonte. In caso di riutilizzo in altro sito compatibile, lo studio dovrà riguardare sia l’area di scavo che quella di destinazione finale. La verifica di compatibilità dovrà comunque essere sempre approvata dalle Autorità competenti. Qualora studi concernenti la valutazione dei valori di fondo naturale o di inquinamento diffuso per aree determinate siano approvati dalla Regione Piemonte, detti studi costituiranno il valore di riferimento ed il proponente sarà sollevato dall’onere di produrre un elaborato specifico. Particolare attenzione è stata posta alla problematica relativa alla ricezione di terre e rocce da scavo provenienti da siti ubicati in aree al di fuori del territorio piemontese. In tali casi spetterà al Comune in cui è ubicato il sito di destinazione verificare la tipologia del materiale in arrivo. Per i residui provenienti dall'estrazione di marmi e pietre non impiegati o non utilizzati all’interno dell’area estrattiva o sue pertinenze, così come per i residui di lavorazione di pietre e marmi derivanti da attività nelle quali non vengono usati agenti o reagenti che non siano naturali, la norma nazionale prevede l’equiparazione alla disciplina dettata per le terre e rocce da scavo. Fatto salvo quanto previsto dal D.Lgs. 117/08, per quanto riguarda i materiali residui dell’estrazione di marmi e pietre, il produttore di tali materiali, nel caso voglia utilizzarli come terre e rocce da scavo, dovrà effettuare un’analisi chimica rappresentativa del prodotto, che dovrà essere

81


N ORMATIVA

acquisita dal proprietario del sito di destinazione e consegnata all’Autorità competente, accompagnata da una relazione a firma di professionista abilitato che accerti la conformità del materiale. Non sono state previste limitazioni di utilizzo per terre e rocce da scavo la cui concentrazione di inquinanti rientri nei limiti di cui alla

colonna A della Tabella 1 dell’Allegato V al Titolo V della Parte IV del D.Lgs. 152/06. Sono invece previste limitazioni di impiego nel caso in cui la concentrazione di inquinanti sia compresa fra i limiti di cui alle colonne A e B della Tabella 1, o per i terreni agricoli entro i limiti di cui alla colonna A e i limiti di cui alla Tabella LAB della L.R. 7 aprile 2000 n. 42.

La norma nazionale consente l’utilizzo di terre e rocce purché sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica. Per quanto concerne i siti per i quali la Provincia ha provveduto al rilascio del certificato di completamento degli interventi di bonifica, raggiungendo l’obiettivo delle Concentrazioni Soglia di Contaminazione, la movimentazione è consentita. Ne deriva che invece non è consentita la movimentazione di terre e rocce da scavo provenienti da siti bonificati alle Concentrazioni Soglia di Rischio. Per opere soggette a VIA e/o AIA, nel caso in cui sia esclusa la fase di valutazione, il progetto di recupero dovrà essere presentato all’atto della richiesta del permesso di costruire. Per le opere soggette a tale permesso o a DIA, la proposta di utilizzo deve essere presentata unitamente alla richiesta del titolo abilitativo edilizio e deve essere autorizzata dal Comune nel quale viene realizzata l'opera che produrrà i materiali. Per lavori pubblici non soggetti a VIA, AIA, permesso di costruire, DIA (comma 4 art. 186), la proposta di utilizzo deve essere autorizzata dalla stazione appaltante. Tutti gli atti dovranno essere inviati al Comune in cui è ubicato il sito di produzione, qualora non sia già autorità competente. Nel caso in cui il Comune del sito di destinazione non coincida con quello di produzione, l’ente titolare del procedimento acquisisce il parere anche del Comune di destinazione convocando eventualmente una Conferenza dei Servizi ai sensi della legge 241/1990. Per il riutilizzo nello stesso sito di produzione è richiesta una dichiarazione del proponente che attesti che il sito non è contaminato né sottoposto ad interventi di bonifica, e che non si è verificato nessun evento in grado di contaminarlo. Inoltre, sulla base di quanto previsto dall’art. 6 della L.R. 42/2000, nel caso di dismissione di un sito industriale/commerciale, qualora l’attività pregressa possa far presupporre una potenziale contaminazione, si rende necessaria la caratterizzazione di terre e rocce. In ultimo, se la nuova destinazione d’uso prevede limiti più restrittivi, si dovrà procedere ad una verifica della compatibilità con questi nuovi limiti. * Direzione Ambiente - Regione Piemonte

82

Anno 3 - Numero 9


A CHI TOCCA BONIFICARE? Un solo sito per tante imprese: il punto di vista giuridico nel delineare il quadro delle responsabilità quando diversi operatori si succedono in un sito produttivo di Federico Vanetti*

U

n aspetto particolarmente critico in materia di bonifiche è rappresentato dalla difficoltà di individuare il responsabile della contaminazione in caso di successione di diversi operatori in un sito produttivo, soprattutto rispetto alle contaminazione storiche. Occorre innanzitutto premettere che l'inquinamento è inquadrato nella categoria degli illeciti permanenti, ossia fintanto che perdura lo stato di contaminazione, sussiste l'illecito e, quindi, l'obbligo a bonificare. Tale inquadramento ha permesso di applicare la più recente e specifica normativa in materia di bonifiche anche alle contaminazioni c.d. "storiche", ossia quelle il cui evento causativo è avvenuto

prima dell'entrata in vigore di tale normativa. Poiché, dunque, una contaminazione "storica" richiede comunque oggi l'intervento da parte del soggetto responsabile, assume rilievo fondamentale riuscire ad individuare correttamente tale soggetto. In caso di successione di imprese che hanno operato nel sito, tale individuazione può risultare particolarmente difficile. Il problema non è solo tecnico, ma anche giuridico: e da un lato, è affidato ai tecnici il compito di "datare" la contaminazione al fine di ricondurre l'evento inquinante al soggetto che allora gestiva l'area (sempre che l'evento sia stato causato da tale operatore), dall'altro, tale operazione non sempre è sufficiente ad

individuare colui che oggi è obbligato alla bonifica. Da un punto di vista giuridico, infatti, occorre altresì verificare come i diversi operatori si siano succeduti nella gestione del sito e, quindi, se l'obbligo a bonificare sia stato trasferito da un operatore all'altro. Tale ulteriore approfondimento è importante, non solo per regolare i rapporti tra i privati, ma anche per impostare correttamente la procedura di bonifica ai sensi del D.Lgs. 152/06, specialmente quando avviata d'ufficio dagli enti con la notifica dell'ordinanza ex art. 244 del citato decreto legislativo. Tale ordinanza, infatti, nel rispetto del principio "chi inquina, paga" su cui si fonda l'intero impianto normativo del D.Lgs. 152/06, deve essere rivolta necessariamente al soggetto responsabile. La notifica al proprietario incolpevole è unicamente finalizzata a permettere a questo di intervenire volontariamente nella procedura onde evitare la bonifica d'ufficio, con conseguente apposizione dell'onere reale sull'area ai sensi dell'art. 253 del D.Lgs. 152/06. Pertanto, nel caso in cui diversi operatori industriali si siano succeduti nella gestione di un sito produttivo, l'eventuale ordine di bonifica non può essere rivolto indiscriminatamente all'ultimo gestore o al proprietario del sito, ma deve essere individuato il gestore o i gestori che hanno causato o contribuito alla contaminazione. L'ultimo gestore potrà essere chiamato a bonificare solo nel caso in cui l'obbligo sorto in capo ai predeces-

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ge n one r mrat i co i va

sori sia stato trasferito in capo a questo. Pertanto, al fine di accertare se tale passaggio di responsabilità sia effettivamente avvenuto, occorre verificare se il cambio di gestione del sito sia stato concordato attraverso la compravendita del complesso immobiliare con subentro di un distinto soggetto giuridico, ovvero se sia avvenuto attraverso vicende societarie quali fusioni, incorporazioni, acquisto di partecipazioni. Nel primo caso, il nuovo proprietario del sito non potrà essere ritenuto responsabile per le contaminazioni causate dai precedenti operatori, in quanto lo stesso è un soggetto nuovo e indipendente che non è subentrato - salvi specifici accordi contrattuali - negli obblighi del venditore del complesso produttivo. Nel secondo caso, invece, sarebbe intervenuta una successione a titolo universale con conseguente trasferimento di tutti gli obblighi, anche quelli di bonifica, in capo al successore. Compiuto tale primo distinguo, occorre comunque comprendere entro quali termini sia trasferibile l'obbligo di bonifica. Sul punto è intervenuta anche la giurisprudenza amministrativa a fornire utili chiarimenti. Il TAR Lombardia, con sentenza n. 1913/2007, pronunciandosi proprio su un caso di successione di imprese nella gestione di un sito produttivo, ha affermato che gli obblighi trasferibili da una società all’altra (successione tra imprese, nel caso considerato dalla sentenza, per incorporazione) sono solo quelli sorti prima dell’atto di incorporazione, momento in cui avviene l’estinzione del soggetto incorporato. Rispetto alle bonifiche, dunque, il Tribunale lombardo ha ritenuto che nessun obbligo a bonificare potesse ritenersi sorto prima dell'entrata in vigore della normativa posta a tutela del suolo e sottosuolo e che, quindi, nessun obbligo potesse essere stato trasmesso prima di tale data a seguito di successione universale tra imprese. La sentenza citata, quindi, prendeva posizione rispetto alle contaminazioni storiche e, seppur confermando la validità dei principi stabiliti dalla giurisprudenza amministrativa rispetto alla contaminazione quale illecito permanente, escludeva comunque l'obbligo di bonificare un sito afflitto da una contaminazione storica, nel caso in cui tale obbligo fos-

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se sorto successivamente all'estinzione del soggetto che aveva causato la contaminazione. La sentenza del TAR è stata poco dopo oggetto di riforma da parte del Consiglio di Stato (n. 6055/08), che, pur confermando le conclusioni raggiunte in primo grado (esclusione dell'obbligo del successore di dover ottemperare all'ordine di bonifica ex D.Lgs. 22/97), ha fornito importanti chiarimenti e distingui. Il Giudice di seconda istanza, infatti, ha riconosciuto che un obbligo a risarcire il danno derivante dalla contaminazione poteva, invero, sorgere anche anteriormente all'entrata in vigore della L. 349/89 (o comunque delle prime normative poste a tutela del suolo), in quanto l'inquinamento rappresenta comunque una condotta illecita ai sensi dell'art. 2043 c.c., a cui consegue - per l'appunto - un obbligo a risarcire, anche in forma specifica, il danno arrecato. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha precisato che il presupposto giuridico per l'emissione dell'ordinanza di bonifica da parte dell'amministrazione comunale traeva origine dall'art. 17 del Decreto Ronchi (ora art. 244 del D.Lgs. 152/06), norma speciale in materia di bonifiche, che - ad avviso del Collegio giudicante - non discendeva ("continuità normativa") dalla generale responsabilità aquiliana, ma vivrebbe di vita propria. La decisione di secondo grado chiarisce che "anche ponendo a confronto l'art. 17 con il plesso normativo composto dagli artt. 2043, 2050 (considerata l'obiettiva pericolosità dell'attività industriale di produzione di coloranti) e 2058 (sul risarcimento in forma specifica), le differenze tra gli istituti rispettivamente disciplinati sono talmente numerose e tanto profonde, da non consentire la formulazione di alcun giudizio di continuità tra le stesse". Tra le maggiori differenze, la decisione mette in evidenza che l'art. 17 del D.Lgs. 22/97 postula sempre un procedimento amministrativo, che tale procedimento è attivabile anche solo in caso di pericolo di contaminazione (e,

quindi, non richiede necessariamente l'accertamento del danno) e che la norma in esame costituisce, almeno inizialmente, un obbligo di attivazione e non tanto - o meglio non immediatamente - di ripristino. Pertanto, sulla base di tali differenze, la sentenza in commento conclude ritenendo che non possono essere stati trasmessi gli obblighi sorti ai sensi del Decreto Ronchi, qualora la successione tra imprese sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore di tale normativa. In realtà, il Consiglio di Stato, pur non entrando nel merito della questione, lascerebbe intendere che nei confronti dei successori sia addebitabile, invece, una generica responsabilità per danno ingiusto, con conseguente obbligo di ristorazione del danno stesso. Secondo il Collegio giudicante, infatti, tale obbligo sarebbe sorto prima dell'incorporazione della società che aveva posto in essere la condotta illegittima e, quindi, sarebbe stato trasferito in capo al successore. La conseguente azione di risarcimento, tuttavia, esula dalle competenze del giudice amministrativo, avendo natura prettamente civilistica e non coincide con le ordinanze di bonifica emanate ai sensi del Decreto Ronchi (oggi D.Lgs. 152/06). Alla luce delle indicazioni fornite dalle due sentenze sopra richiamate, emerge che l'obbligo di bonifica è trasmissibile in caso di successione di imprese, ma bisogna distinguere tra l'obbligo al risarcimento danni per fatto illecito (ossia per quelle contaminazioni causate prima dell'entrata in vigore della normativa a tutela del suolo) e l'obbligo di seguire la procedura


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amministrativa ex D.Lgs. 152/06 (per quelle contaminazioni più recenti). Questo distinguo assume rilievo soprattutto per gli enti locali che devono avviare la corretta azione nei confronti del responsabile o del suo successore. Sotto altro e diverso profilo, occorre considerare anche il caso in cui la contaminazione sia stata provocata e aggravata nel tempo da diversi operatori che, tuttavia, non sono succeduti giuridicamente l'uno all'altro. Si pone, dunque, il problema di comprendere se tra questi soggetti esista una responsabilità solidale a bonificare il sito ovvero se ognuno sia tenuto a contribuire alla bonifica solo pro quota. Sul punto, il TAR Toscana, pronunciandosi in sede cautelare, aveva limitato la responsabilità dell'ultimo soggetto che aveva operato sul sito, rilevando che "non tutto l'inquinamento sia attribuibile alla ricorrente, atteso il succedersi nel tempo di più soggetti, a vario titolo, nel sito in questione" (TAR Toscana, ordinanza cautelare nel ricorso n.r.g. 1545/2002). Tale pronuncia seguiva l'impostazione dell'art. 18 della L. 349/89, secondo cui "nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale", previsione oggi abrogata. Altra parte della giurisprudenza (TAR Veneto, sent. n. 2174/2005 e Cass. Civile n. 5421/200), invece, ha riconosciuto una responsabilità solidale tra i vari soggetti responsabili che hanno contribuito alla contaminazione. Tale orientamento, tuttavia, sarebbe limitato al solo caso in cui diversi soggetti abbiano contribuito ad unico evento contaminante (gestendo ad esempio - lo stesso impianto da cui è originata la contaminazione). Viceversa, qualora la contaminazione dovesse essere ascrivibile a più eventi diversi tra loro, gli operatori coinvolti risponderebbero ognuno a seconda del rispettivo contributo. Quanto appena illustrato evidenzia chiaramente la necessità di impostare con le dovute cautele l'acquisizione di siti produttivi o di società proprietarie di siti produttivi adottando le opportune misure tecniche e giuridiche volte ad evitare di assumere la qualifica di responsabili della contaminazione con ogni conseguente obbligo di bonifica ovvero a limitare il rischio di vedersi addossati oneri per illeciti compiuti dai venditori o dai precedenti gestori del sito. Con il presente contributo, dunque, si spera di aver riepilogato chiaramente, seppur in modo sintetico, il quadro delle responsabilità delle società che si succedono nella gestione di un sito produttivo rispetto agli obblighi di bonifica.

BIBLIOGRAFIA F. Fonderico "L'evoluzione della Legislazione ambientale", www.giuristiambientali.it A. Quaranta, "La bonifica dei siti inquinati: regime della responsabilità solidale o parziaria?" www.giuristiambientali.it L. Prati, "Il danno ambientale e la bonifica dei siti contaminati" - Ipsoa F. Vanetti “Bonifiche: successione tra imprese e inquinamenti storici (TAR Lombardia sent. n. 1913/2007)” - Ambiente e Sicurezza - Ipsoa * Avvocato in Milano (DLA Piper)

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STRUMENTI DI COMPRAVENDITA PER SITI (POTENZIALMENTE) CONTAMINATI Oneri di bonifica, strumenti giuridici e due diligence per districarsi nella complessa realtà della compravendita di brownfield trovando l’equilibrio tra contrapposti interessi di Andrea Quaranta*

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el numero 2 della rivista Eco del 2009 ho affrontato il tema relativo alla responsabilità nella compravendita di siti contaminati. In quella sede – parlando di uno degli obiettivi principali del Testo Unico Ambientale, l’armonizzazione delle discipline della bonifica e del danno ambientale – sottolineavo che proprio le difficoltà di risolvere i rilevanti profili di contrasto tra le due discipline (con riguardo, in particolare, all’applicazione delle norme nel tempo e al regime di imputazione della responsabilità)

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creano ricadute di non poco conto e importanti risvolti pratici, nella compravendita di siti contaminati. Per questo motivo mi addentravo in una disamina sulle responsabilità del proprietario di un sito contaminato a causa di inquinamenti verificatisi in epoca anteriore all’acquisto dell’immobile, evidenziando che alla contorta scrittura delle norme da parte del nostro legislatore, si aggiunge la difficile interpretazione da parte della giurisprudenza, che non si attesta su posizioni uniformi. In alcune pronunce, infatti, i giudici affermano la presunzione di responsabilità del proprietario di un sito contaminato, mentre in altre escludono che l’evento possa essere imputato, a titolo di responsabilità oggettiva, in capo al proprietario dell’area che non abbia, in alcun modo, concorso alla produzione dell’evento. Nella compravendita dei siti contaminati, strettamente correlato al tema delle responsabilità dell’inquinamento è quello relativo alle garanzie e alle clausole da

inserire nei contratti di compravendita dei siti (potenzialmente) contaminati: la normativa in materia di bonifica dei siti inquinati, introdotta dall’art. 17 del Decreto Ronchi e dal D.M. 471/99, ha avuto infatti importanti riflessi sia sulla prassi commerciale, sia sulla patologia dei contratti aventi a oggetto il trasferimento di siti inquinati. I motivi sono essenzialmente due: da un lato, la diretta correlazione esistente tra i livelli di inquinamento dei siti e la possibile destinazione d'uso degli stessi; dall’altro, e soprattutto, l’“ambulatorietà” degli obblighi relativi al sito, che seguono il bene cui ineriscono anche quando questo sia uscito dal patrimonio del soggetto responsabile dell'inquinamento. Tale ambulatorietà comporta la necessità di individuare, con esattezza, i rimedi legali di tipo privatistico utilizzabili da coloro che siano subentrati nella titolarità di siti inquinati e che possano vedersi pregiudicati nel proprio patrimonio a causa della contaminazione degli stessi. Questo discorso vale anche dopo l’entrata in vigore del “Testo Unico Ambientale” che, com’è noto, ha modificato radicalmente la disciplina sulle bonifiche: in particolare, ha sostituito la definizione di “sito inquinato” con due nuove figure, quella di sito “potenzial-


mente inquinato” e quella di sito effettivamente “contaminato”.

Le principali modifiche nell a disciplina dei siti contaminati

In relazione agli aspetti rilevanti nel caso in esame il c.d. “Testo Unico Ambientale” ha introdotto i seguenti principi innovativi: • l’accertamento di parametri soggettivi di colpevolezza in capo all’inquinatore: nel nuovo regime, diversamente da quanto previsto dal Decreto Ronchi, manca un esplicito riferimento a forme di contaminazione “accidentale”. Di conseguenza, si è sostanzialmente passasti da un sistema di responsabilità oggettiva ad un diverso sistema di imputazione di responsabilità, fondato sull’accertamento di parametri soggettivi di colpevolezza in capo all’inquinatore; • l’identificazione del parametro “analisi di rischio sanitario ed ambientale sito specifica”, correlata all’analisi “sito specifica degli effetti sulla salute umana”, derivante dall’esposizione prolungata all’azione delle sostanze presenti nelle matrici ambientali, da condurre sulla base dei criteri elencati nell’All. 1 alla Parta Quarta; • l'operatività dell'onere reale e del privilegio speciale immobiliare sul sito, ora disciplinata dall'art. 253 del D.Lgs. 152/06, il quale stabilisce che gli interventi previsti per la bonifica del sito costituiscono onere reale sui siti contaminati, ma si precisa che ciò avviene solo qualora tali interventi vengano effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'art. 250, e che tale onere reale viene iscritto soltanto a seguito dell'approvazione del progetto di bonifica, e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica; • la distinzione tra CSC (concentrazione soglia di contaminazione) e CSR (valori di concentrazione soglia di rischio) ai fini della classificazione del sito rispettivamente come potenzialmente contaminato o come contaminato. La nuova disciplina, infatti, come accennato, ha sostituito la definizione di “sito inquinato” con due nuove figure, quella di sito “poten-

zialmente inquinato” e quella di sito effettivamente “contaminato”: l’attribuzione delle qualifiche, da cui derivano specifici obblighi e trovano applicazione differenti procedure, dipende dai due livelli distinti di contaminazione, sopra accennati: le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e le concentrazioni soglia di rischio (CSR). Le CSC rappresentano solo una soglia di allarme, superata la quale il responsabile è obbligato: • a porre in essere tutte le misure di prevenzione e quelle di messa in sicurezza d’emergenza necessarie, dandone immediata notizia al Comune e alla Provincia competenti; • a presentare alla Regione il piano di caratterizzazione e, successivamente, sulla base dei risultati della sua esecuzione, il documento di analisi di rischio del sito. Solo se da quest’ultima dovesse risultare il superamento delle CSR, scatterebbe l’obbligo della messa in sicurezza e della bonifica dello specifico sito. Proprio quest’ultimo aspetto impone di prevedere, all’interno dei contratti di compravendita stipulati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs .152/06, specifiche clausole che regolino l’ipotesi in cui, durante la fase di redazione del documento di analisi di rischio – che nella pratica dura molto più dei sei mesi scanditi dalla legge, anche per colpevoli lentezze burocratiche dell’amministrazione – il titolare del sito potenzialmente inquinato trovi un acquirente, interessato al terreno, e disposto ad accollarsi

gli eventuali oneri di bonifica. Come valutare, in questi casi, il prezzo, nell’attesa di sapere se il sito sarà oggetto, o meno, di interventi di bonifica? Ma, soprattutto, con quali strumenti giuridici “tutelare il venditore”? Parlo di tutela del venditore tra virgolette, per sottolineare il paradosso di tale domanda, che sorge tuttavia spontanea quando ci si confronta con un sistema imperniato sulla tutela dell’acquirente, vuoi perché ignaro della reale situazione di inquinamento del sito, vuoi perché, specie oggi, dopo l’entrata in vigore del Testo Unico Ambientale, si trova ad acquistare un sito potenzialmente inquinato senza aver valutato adeguatamente la possibilità di doverlo successivamente bonificare.

l'onere di bonifica come passività ambientale nell a compravendita di siti contaminati

Come accennato alla fine del precedente paragrafo, non sempre il trasferimento della proprietà immobiliare viene preceduto da due diligence (letteralmente: “diligenza dovuta”, il termine identifica il processo investigativo che viene messo in atto per analizzare valore e condizioni di un'azienda, o di un ramo di essa, per la quale vi siano intenzioni di acquisizione o investimento) ambientali, volte ad accertare il reale stato di contaminazione degli stessi e i connessi rischi legali. Allo stesso modo, molto spesso non vengono contrattualmente previste esplicite pattuizioni dirette a dirimere l'insorgere di vertenze legali, legate alla con-

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dizione ambientale dei beni trasferiti. La due diligence e le specifiche pattuizioni contrattuali rappresentano, invece, due imprescindibili strumenti, volti a regolare nel dettaglio la compravendita di siti contaminati, o anche solo potenzialmente contaminati. Si tratta di due strumenti complementari, poiché non sempre la due diligence può essere effettuata in modo completo, né può, da sola, soddisfare l’interesse delle parti in relazione alla situazione ambientale del bene oggetto di alienazione. Come contemperare dunque (al netto degli eventuali oneri reali gravanti sull'area, che ex lege seguono le vicende del sito), le diverse esigenze dell’acquirente – che ha interesse ad escludere o limitare l’assunzione del rischio ambientale – con quelle del venditore, il quale, al contrario, al verificarsi di eventuali responsabilità ambientali tende ad escludere o a limitare possibili rivalse nei suoi confronti da parte dell’acquirente, specie nel caso in cui, come accennato nel paragrafo precedente, quest’ultimo è a conoscenza di una potenziale contaminazione del sito oggetto di compravendita? Normalmente, l'equilibrio tra questi contrapposti interessi viene contemperato in sede precontrattuale o contrattuale, mediante il ricorso a strumenti di varia natura: la due diligence appunto, e una serie di altri strumenti giuridici, come patti di manleva, il rilascio di garanzie finanziarie pro acquirente o le garanzie di conformità. La due diligence – tipico strumento precontrattuale – è volta a verifi-

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care le reali condizioni ambientali del sito e a rilevarne possibili vizi di conformità, consentendo alle parti di acquisire piena consapevolezza del rischio ambientale connesso al sito oggetto di compravendita e a parametrarne il prezzo nel miglior modo possibile. La due diligence – normalmente condotta dall'acquirente (buyer due diligence), stante il preminente interesse di quest'ultimo all'identificazione del rischio ambientale in via propedeutica alla negoziazione del prezzo – può articolarsi in due fasi: la prima, necessaria, è quella volta alla verifica delle condizioni ambientali del sito attraverso l'analisi dei documenti e l'acquisizione di informazioni dai soggetti coinvolti nella conduzione del sito; la seconda, la cui esistenza dipende dall’esito della prima è volta alla verifica delle condizioni del sito sulla base di prelievi e campionamenti. Se la due diligence ha avuto un esito positivo, le parti possono procedere alla stipulazione dell'accordo preliminare o definitivo. Tuttavia, le normali disposizioni in tema di compravendita non sempre sono in grado di regolamentare in modo soddisfacente le problematiche connesse alla circolazione di siti (potenzialmente) contaminati, specie nel caso in cui – come ho evidenziato – le parti abbiano, all’esito della due diligence, consapevolmente valutato l’impatto economico degli eventuali oneri di bonifica gravanti sul sito oggetto di trasferimento. Di conseguenza, è opportuno inserire all’interno del contratto specifiche pattuizioni, volte sostanzialmente:

• ad ampliare, da un lato, le garanzie e gli obblighi previsti dalla legge a carico del venditore (garanzie atipiche come i patti di manleva, utilizzati per allocare il rischio ambientale sul venditore); • limitare o escludere le garanzie a favore dell’acquirente, limitando le responsabilità del venditore nei confronti di quest’ultimo in relazione allo stato di (potenziale) contaminazione del sito oggetto di compravendita (nella prassi, sovente si inseriscono clausole che fissano limiti massimi entro i quali l’alienante si impegna a tenere indenne l’acquirente, oppure franchigie entro le quali l’acquirente si addossa integralmente le conseguenze economiche negative che dovesse subire). In ogni caso, la validità di tali clausole deve essere vagliata caso per caso. In definitiva, nella compravendita di siti contaminati, che oggi – come spesso sottolineato nelle pagine di questa rivista – rappresenta un nodo cruciale nella gestione sostenibile dell’ambiente, occorre un certosino lavoro di ricerca dell’equilibrio fra le contrapposte esigenze dell’acquirente e del venditore, e fra queste e quelle ambientali (maggiore è la quota dei brownfield compravenduti, maggiore è la tutela indiretta dei greenfield): un obiettivo che solo una consulenza legale ambientale è in grado di raggiungere. * Consulente legale ambientale di www.naturagiuridica.com


Agenzia dell’Ambiente e della Gestione dell’Energia


gsso a e ne ci r i co a z i on e s t ud i am b ien tali

UN PARADOSSO TUTTO ITALIANO NELLA GESTIONE DEGLI INERTI MENTRE IL NORD EUROPA RICICLA IL 90% DEI RIFIUTI PROVENIENTI DA DEMOLIZIONI E COSTRUZIONI, L’ITALIA NON SUPERA NEANCHE IL 10%, CONTRAVVENENDO ALLA NORMATIVA IN VIGORE di Francesco Montefinese*

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econdo i dati riportati nell’ultimo rapporto ISPRA sulla produzione dei rifiuti in Italia, la voce più consistente è rappresentata dagli inerti. La produzione annuale è stimata intorno ai 50 milioni di tonnellate, mentre la percentuale avviata al recupero si attesta sul 10%. Il confronto dei dati con alcune realtà dell’Unione Europea crea imbarazzo per la scarsa abitudine al recupero e la spregiudicata attività estrattiva del nostro Paese. Sembra infatti che l’Italia sia rimasta bloccata al concetto ormai superato secondo cui scavare ed estrarre sarebbe più facile e redditizio. L’ultimo Rapporto di Legambiente conferma dati avvilenti: 6.000 cave in esercizio e circa 10.000 abbandonate. Migliaia di fianchi di colline e di montagne che restano piaghe aperte e in alcune Regioni si insiste ancora sull’estrazione fluviale. L’attività estrattiva si concentra maggiormente in Puglia, con 25 milioni di metri cubi annui, in Lombardia, 23,6 milioni, e nel Lazio, con 19,2; la somma dei tre dati rappresenta la metà del quantitativo totale estratto in Italia e malgrado ciò il canone di estrazione richiesto è estremamente basso o del tutto inesistente, come nel caso della Puglia. Le alternative esistono e funzionano: in Da-

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nimarca, da oltre 20 anni, il problema è stato risolto con una politica di tassazione che arriva a far pagare 50 euro a tonnellata per buttare in discarica gli inerti con il risultato che il 90% di questi viene riciclato. In Italia avviene il contrario. Porre rimedio è solo questione di indirizzo e controllo; basterebbe incrementare l’attività di recupero dei rifiuti inerti ed applicare e far rispettare la normativa in vigore: dal Testo Unico Ambientale, che ha regolamentato e stabilito le norme sulla gestione dei rifiuti, al D.Lgs. 203/2003 (c.d. Decreto 30%), che ha introdotto l’obbligo per la Pubblica Amministrazione di coprire i propri fabbisogni con almeno il 30% di prodotti provenienti da recupero. I rifiuti inerti recuperati, conformi agli stan-

dard della Circolare MinAmbiente 5205 del 15/7/2005 ed iscritti al Repertorio del Riciclaggio, possono essere utilizzati nel settore edile-stradale ed ambientale in sostituzione dei materiali naturali per la realizzazione di: • corpo di rilevati di opere in terra; • sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali; • strati di fondazione delle infrastrutture di trasporto e di piazzali civili e industriali; • recuperi ambientali, riempimenti e colmate; • strati accessori (anticapillare/drenante); • calcestruzzi con classe di resistenza Rck < 150. Il recepimento della Direttiva 2008/98/CE del 19/11/2008 impone il raggiungimento entro il 2020 di una percentuale di recupero in termini di peso pari al 70% dei rifiuti prodotti. Raggiungere questo obiettivo permetterà agli stati membri e sopratutto all’Italia, di incrementare notevolmente la produzione di aggregati riciclati da destinare al riutilizzo, di evitare l’abbandono e il degrado di milioni di tonnellate di rifiuti e di dimezzare l’attività estrattiva, destinandola esclusivamente alla produzione di materiali con lavorazioni più nobili, quali sabbie, calcestruzzi, asfalti, ecc. Così facendo riporteremo solo vantaggi. *Responsabile Programma RECinert


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dieci: versatilità e potenza in ogni campo

DIECI s.r.l. progetta e costruisce elevatori telescopici dal 1982 e vanta una notevole esperienza nel settore edile e agricolo, con una crescente conquista dei mercati, grazie alla capacità di interpretare e soddisfare le molteplici esigenze della domanda. La produzione DIECI è articolata in 4 macro-categorie: elevatori telescopici (a braccio fisso e rotanti), autobetoniere, dumper e macchine speciali. Attualmente la produzione è orientata verso il telescopico: l’azienda produce oltre 110 modelli, abbinati a 30 telai, proponendo continuamente sul mercato nuove idee e soluzioni per edilizia e agricoltura. Versatilità e flessibilità operativa sono le caratteristiche primarie delle macchine DIECI: potenza, dimensioni compatte, fluidità di movimento, semplicità di utilizzo e accorgimenti tecnici ad hoc rappresentano la garanzia per eseguire un gran numero di lavori. Longevità e robustezza rendono inoltre i prodotti DIECI leader di mercato: perfetti per garantire buone performance, tutti i mezzi sono progettati per vivere a lungo, grazie all’adozione di particolari accorgimenti tecnologici e alla componentistica di qualità (le macchine montano solo pezzi originali delle migliori marche), oltre a un’esperienza pluriennale dell’azienda. Notevole è anche l’attenzione per l’aspetto della sicurezza. Tutte le macchine sono dotate di speciali dispositivi di controllo. Infine, il Centro Ricerche & Sviluppo di DIECI è costantemente impegnato nello studio delle migliori soluzioni sotto l’aspetto estetico ed ergonomico: il risultato finale è un concentrato di design e comfort. Tra i tanti modelli, presentiamo l’elevatore telescopico a braccio fisso ICARUS: si tratta di una famiglia di macchine particolarmente indicate per i grandi lavori nei settori dell’edilizia e dell’industria, grazie alle caratteristiche di robustezza, potenza e sollevamento. I 6 modelli della serie (30.16 – 35.13 – 38.14 - 40.14 – 40.16 - 40.17) possono sollevare da un minimo di 3.000 kg a un massimo di 4.000 kg raggiungendo un’altezza di sollevamento di 17 m. I telescopici Icarus montano un motore Iveco Nef TA 74 Kw (101 Hp) o TA 93 kw (Tier 3, 127 Hp). L’Icarus 40.17 ha una portata massima di 4.000 kg, un'altezza di sollevamento di 16,90 m, uno sbraccio massimo di 12,70 m, e un peso a vuoto di 12.000 kg. Le dimensioni sono: 6.240 mm di lunghezza, 2.340 mm di larghezza e 2.490 mm di altezza. La velocità massima, grazie al motore Iveco Nef da 93 Kw (127 hp), raggiunge i 40 km/h.

jcb festeggia i 65 anni con una nuova livrea per tutte le macchine

In un mercato affollato e fortemente competitivo, la capacità di rendere visibile e chiaramente identificabile il proprio prodotto è senza dubbio un fattore strategico, soprattutto quando l’offerta è, almeno in apparenza, ampia e non sempre distinguibile con chiarezza. Ed è proprio alla luce di queste considerazioni che JCB, ben conscia dell'importanza di un’immediata identificazione sul mercato, ha intrapreso un’operazione di rebranding delle proprie macchine. Una livrea chiaramente riconoscibile, di forte personalità e facilmente distinguibile rappresenta infatti il primo biglietto da visita di un’azienda, la chiave di volta della sua visibilità e identificabilità sul mercato. Elemento portante di questa nuova operazione di marketing del costruttore britannico è l’apposizione sulla livrea delle proprie macchine di una nuova scritta JCB con un carattere distintivo in bianco su sfondo nero che da oggi diventa elemento visibile e caratterizzante dell’intera gamma d’offerta. Lo storico logo rappresentato dalla scritta JCB in una losanga su sfondo giallo che contraddistingue l’azienda fin dai suoi esordi sarà ovviamente presente all’interno della livrea e continuerà ad essere elemento identificativo di JCB su tutti i supporti promozionali. Tim Burnhope, Group Managing Director delle aree Sviluppo Prodotto e Operazioni Commerciali, in proposito ha dichiarato: «Questa nuova livrea, che segna idealmente il traguardo dei 65 anni di attività di JCB, si caratterizza per una veste fortemente rinnovata e di maggiore impatto visivo. La strategia di branding che abbiamo inaugurato con l’inizio del 2010 centra in questo modo gli obiettivi che ci siamo proposti: incrementare la visibilità del marchio JCB sulle macchine, conferendo loro al tempo stesso una personalità e un look più moderni». L’introduzione del nuovo branding è stata avviata a gennaio di quest’anno su alcune linee di prodotto: ad inaugurare l’iniziativa è stata la gamma di sollevatori telescopici agricoli, seguita in rapida successione dal nuovo midiescavatore 8085 e, successivamente, dalle linee degli escavatori cingolati e gommati e dei rulli Vibromax. L’aggiornamento della nuova livrea delle macchine JCB è culminato con il BAUMA di Monaco, dove ogni macchina era esposta in fiera con la nuova veste.

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bilancio positivo per simex al ritorno dal bauma 2010

Si è conclusa da poco la settimana cruciale dell’anno per il settore del movimento terra: quella della Fiera Bauma a Monaco di Baviera. Come sempre Simex ha partecipato all’esposizione con uno sforzo organizzativo molto importante, al fine di poter promuovere al meglio le proprie attrezzature, sia quelle da più tempo conosciute ed apprezzate sui mercati internazionali (fresatrici e ruote scavatrincea in testa), sia le ultime progettate dall’ufficio ricerca e sviluppo di San Giovanni in Persiceto, da sempre vero cuore pulsante dell’azienda. Per la prima volta Simex si è presentata all’appuntamento con una doppia area: la prima, l’esposizione statica, all’interno del padiglione B3, dove sono state esposte tutte le attrezzature attualmente in commercio; la seconda, l’area demo, è stata installata fuori dal padiglione C4, dove ha lavorato per tutta la settimana una benna frantumatrice Simex CBE40 montata su un escavatore da 25 tonnellate, che ha catturato l’attenzione di molti visitatori. Nell’area demo, inoltre, è stata posizionata l’intera gamma delle frantumatrici da escavatore Simex CBE, dalla più piccola, la CBE10, fino all’impressionante Simex CBE50, che sarà destinata perlopiù a mercati d’oltreoceano, viste le dimensioni (basti pensare alla capacità a raso: 1,80 metri cubi!). E’ stato molto apprezzato anche lo spazio catering all’interno dello stand Simex, un momento conviviale per i clienti, pensato per conciliare l’esigenza di riservatezza con quelle del palato. D’altronde la qualità italiana trova da sempre nella cucina una delle sue massime espressioni! Nonostante gli inevitabili disagi che hanno dovuto affrontare gli espositori e i visitatori della fiera, a causa dell’eruzione del vulcano islandese, si può dire che lo sforzo sostenuto ha portato buoni risultati: un numero di contatti probabilmente inferiore rispetto a quelli del 2007, ma di qualità quasi certamente superiore. Simex dà appuntamento a tutti i clienti all’edizione 2013 del Bauma!

pompe hydra cell, tecnologia non convenzionale

La Wanner International Ltd, fondata nel 1985 è l’organizzazione europea di Wanner Engineering Inc., la compagnia di Minneapolis che progetta e realizza, tra le altre, il sistema di pompe non convenzionali Hydra Cell, senza tenute meccaniche dinamiche, particolarmente utili nelle discariche con rifiuti interrati. Nei sistemi impiegati nei perimetri delle discariche, il liquido di abbattimento odori deve essere erogato ad alta pressione attraverso erogatori spray su lunghezze di diverse centinaia di metri. Ci possono essere fino a 400 erogatori, posti a una distanza di 1,5 metri l’uno dall’altro. L’ambiente di lavoro può essere acre e pieno di polvere, ma la pompa deve lavorare in modo affidabile fino a 24 ore al giorno, secondo la direzione del vento. Nelle discariche con rifiuti interrati si tende ad utilizzare pompe a pistone, scelte comunemente dai progettisti per la loro capacità di pompaggio ad alta pressione. Tuttavia le pompe a pistone hanno tenute meccaniche potenzialmente usurabili, e in una discarica di questo tipo diventa difficile operare in continuo, a causa dei frequenti guasti. Le pompe Hydra Cell sono invece progettate per un lavoro ininterrotto a 70 bar, sono di grande affidabilità e consentono di gestire quasi tutti i tipi di liquido. Grazie ad un design non convenzionale, i liquidi vengono pompati da membrane flessibili, idraulicamente bilanciate, che separano il liquido pompato dalla zona meccanismi. Le pompe possono quindi gestire liquidi puliti o riciclati, soluzioni chimiche e anche contenenti solidi abrasivi. Inoltre, la struttura compatta e semplice riduce il peso, i costi e semplifica notevolmente la manutenzione.

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E COA P P U NTAME N TI

2010

EDA Spring Conference 2010

Varsavia dal 27 al 29 maggio

L’EDA, European Demolition Association può contare fra i propri iscritti più di 1.000 imprese di demolizione provenienti da tutta Europa, che si radunano due volte all’anno per le assemblee generali, una in autunno e una in primavera. Durante gli incontri agli operatori del settore viene fornita la possibilità di aggiornarsi sulle tecnologie più innovative e di confrontarsi sulle diverse normative nazionali, allacciando contatti importanti e favorendo le collaborazioni internazionali. L’edizione 2010 verrà ospitata a Varsavia e sarà l’occasione per inaugurare i prossimi tre anni di presidenza dell’italiano Giuseppe Panseri. www.eda-demolition.com

Terra Futura

Firenze dal 28 al 30 maggio

Una grande mostra convegno strutturata in un’area espositiva suddivisa in 13 sezioni a tema e un calendario di appuntamenti culturali di alto spessore, tra seminari, workshop, laboratori e momenti di animazione e spettacolo, pensati per intrattenere anche i più piccoli. Il filo conduttore di questa settima edizione è la città: “Comunità sostenibili e responsabili”, per sottolineare la necessità di una presa di coscienza pubblica e privata che si concretizzi in politiche amministrative e scelte quotidiane ecocompatibili per salvaguardare davvero la qualità della vita e del territorio. www.terrafutura.it

SAVE Energy, SAVE Water, SAVE the Pl anet

Sofia dal 3 al 5 giugno

Prima edizione per la fiera internazionale dedicata al mondo dell’ecologia, che ruota intorno a tre temi centrali: efficienza energetica, acqua e tecnologie di depurazione, gestione dei rifiuti e riciclaggio. All’evento saranno presenti autorità locali, amministratori pubblici, tecnici, investitori e imprenditori, che potranno scambiarsi idee ed esperienze e creare una solida rete di contatti internazionali. La manifestazione è stata organizzata per dare un contributo concreto a chi opera nel settore ambientale, un mercato in continua crescita nel Sudest dell’Europa. www.viaexpo.com

Milano dall’8 al 10 giugno

Eire

Sesta edizione per il più importante evento italiano dedicato al real estate, che nei suoi 35.000 mq di esposizione raggruppa 350 espositori provenienti da oltre 50 Paesi del mondo. La fiera ospiterà più di 14.000 operatori fra società di consulenza, studi di architettura e ingegneria, imprese di costruzioni, investitori, sviluppatori e tante altre categorie. Per l’edizione 2010 sono in programma oltre 110 incontri, forum, conferenze e seminari che avranno per protagonisti gli espositori e gli esperti del settore, per favorire contatti e nuove collaborazioni e concretizzare azioni di marketing territoriale. www.italiarealestate.it

Environord

Lille dall’8 al 10 giugno

Una grande esibizione dedicata all’ambiente, con un fitto programma di conferenze e più di 200 espositori, che avranno modo di presentare i prodotti più innovativi delle aziende di settore e le ultime soluzioni tecnologiche messe a disposizione dai ricercatori. Gli argomenti chiave affrontati nel corso degli incontri riguarderanno la gestione dei rifiuti, il riciclaggio, la bonifica dei siti contaminati, la gestione delle acque e le energie alternative. L’edizione del 2009 si è conclusa con più di 5.000 visitatori provenienti da 15 Paesi e per quest’anno è atteso un incremento del 20%, una percentuale che si è rivelata costante nelle ultime edizioni. www.salon-environord.com

Madrid dall’8 all’11 giugno

Tecma

Quindicesima edizione per la biennale internazionale dedicata all’urbanistica e alle tecnologie per l’ambiente. Alla vasta rassegna espositiva si affiancano forum, conferenze e laboratori interattivi, che daranno ai visitatori la possibilità di testare personalmente i prodotti più innovativi proposti dalle aziende. Fra le tematiche principali affrontate nel programma di conferenze, la costruzione di strade e servizi, la gestione dei rifiuti solidi, la termovalorizzazione, la tutela e il recupero degli ambienti naturali e il trattamento delle acque. www.ifema.es

Hillhead

Buxton dal 22 al 24 giugno

Hillhead - Quarrying, Recycling, Heavy Construction è uno dei più importanti eventi internazionali dedicati al mondo dell’industria estrattiva, del riciclaggio degli inerti e del movimento terra: un appuntamento che attira ogni anno migliaia di visitatori da tutto il mondo. Uno dei principali punti di forza della manifestazione è la location scelta, suggestiva e originale: la fiera viene infatti organizzata in aperta campagna, all’interno dell’area di lavoro della cava di Tarmac Hillhead, permettendo così alle aziende presenti – più di 450 nell’ultima edizione – di dare una dimostrazione pratica dei macchinari e delle attrezzature presentate. www.hillhead.com

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libri

IL SISTEMA DI TRACCIABILITà DEI RIFIUTI A cura di Rosa Bertuzzi

Buffetti Editore (pagine 208 – € 18,00) Uno strumento di grande utilità per orientarsi fra le nuove norme imposte dal D.M. del 17 dicembre 2009, che ha introdotto il SISTRI, il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti completamente digitalizzato. Il testo del decreto viene qui proposto in versione integrale, completo di tutte le schede e gli allegati, ed è preceduto da un’introduzione pratica e sintetica che chiarisce la tempistica, gli obblighi di iscrizione e i relativi adempimenti – specificando quelli abrogati dal Decreto - le modalità di consegna del dispositivo elettronico e gli oneri economici a carico delle aziende, ripartiti per categorie: produttori, trasportatori, demolitori, rottamatori, frantumatori, impianti di incenerimento per rifiuti pericolosi e non, impianti di trattamento, discariche e altri ancora. L’ultima parte della sezione introduttiva è invece dedicata alle norme che interessano alcune tipologie particolari di enti e imprese, come gli imprenditori agricoli e le associazioni imprenditoriali.

LA DISCIPLINA DELLE TERRE E ROCCE DA SCAVO. LE MODALITà PER UNA CORRETTA GESTIONE A cura di Linda Collina e Mario Sunseri

Irnerio s.r.l. Edizioni e Servizi Editoriali (pagine 145 – € 22,00) Il volume offre una panoramica sulla normativa che regola la complicata gestione delle terre e rocce da scavo, generalmente destinate allo smaltimento – spesso economicamente oneroso e non sempre necessario – ma soprattutto focalizzando l’attenzione sulle possibilità di riutilizzo in veste di sottoprodotti, rispettando tutti i parametri previsti dalla legge; accanto alla normativa nazionale (D.Lgs. 152/06), gli autori trattano nello specifico le normative regionali più consistenti e strutturate, e cioè quelle che interessano Veneto, Liguria, Sicilia, Umbria e Provincia Autonoma di Trento, fornendo in allegato una raccolta di giurisprudenza e gli stralci normativi di riferimento. Il manuale si apre con un’introduzione dedicata al panorama europeo e nazionale, per poi passare ai regolamenti degli enti locali, che vengono analizzati nello specifico, con tabelle che riassumono l’iter amministrativo, indicazioni in merito ai valori limite per le analisi ambientali e i diversi comportamenti da adottare a seconda della casistica presentata. L’ultima sezione è invece dedicata agli elementi operativi: progetti e procedure di riutilizzo, caratterizzazione e accertamento qualitativo, ogni fase è descritta con cura e in modo esaustivo, per una corretta gestione dell’intero processo.

RICICLO DEI RIFIUTI Analisi del ciclo di vita dei materiali da imball aggio A cura di Lucia Rigamonti e Mario Grosso

Dario Flaccovio Editore s.r.l. (pagine 286 – € 34,00) “Riciclo dei rifiuti” è il risultato delle ricerche svolte dai due autori presso la Sezione Ambientale del DIIAR di Milano, che avevano come obiettivo principale la creazione di uno strumento che aiutasse le amministrazioni pubbliche a scegliere le strategie più efficaci in materia di raccolta differenziata e riciclaggio dei rifiuti. Il volume ha un taglio prettamente tecnico e propone criteri di valutazione oggettivi. Dopo un primo capitolo introduttivo che presenta i dati della produzione e gestione dei rifiuti sul territorio nazionale si passa direttamente al cuore del lavoro, con una lunga sezione dedicata ai fondamenti e all’applicazione della LCA, l’analisi del ciclo di vita e una panoramica approfondita sulla produzione primaria e secondaria dei materiali da imballaggio (acciaio, alluminio, vetro, legno, carta e plastica) che segnala le migliori tecnologie adottate per il riciclaggio e le criticità da risolvere per ogni categoria. I risultati delle analisi delle diverse attività di riciclo sono esposte dettagliatamente negli ultimi capitoli. Il volume è inoltre corredato di una curiosa galleria di immagini a colori che raccoglie ventisei fotografie di materiali inviati al riciclo e dei prodotti ottenuti: un bel finale.

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PeVmedia.com

ecologia energia TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ECOLOGIA TESECO viene fondata nel 1984 e sin dal suo esordio opera nel settore ecologico. Recupero della materia, recupero di aree inquinate e produzione energetica da fonti rinnovabili sono i cardini dell’impegno TESECO, da sempre al servizio dell’ambiente. TESECO è interlocutore unico partner ideale in grado di agire con competenza, professionalità e passione nella gestione dei rifiuti speciali e nella bonifica di aree inquinate. TESECO è certificata UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001, OHSAS 18001 TESECO è a Pisa, Torino, Milano, Trieste, Terni, Brindisi e Messina.

TESECO – trattamento rifiuti TESECO è leader in Italia nel settore di trattamento dei rifiuti speciali e delle bonifiche di siti contaminati. L’azienda gestisce, nella propria sede di Pisa, una piattaforma polifunzionale per lo stoccaggio ed il trattamento dei rifiuti speciali e delle acque e dei terreni contaminati tra le più complete ed efficienti presenti nel Paese con l’impiego di impianto di inertizzazione; lavaggio terreni (soil washing); impianto di triturazione e adeguamento volumetrico; impianto chimico-fisico; impianto biologico; laboratori di analisi.

TESECO – Bonifiche Presente con i propri cantieri in tutta Italia TESECO costituisce un punto di riferimento insostituibile per il trattamento di aree contaminate con assoluta certezza della qualità e affidabilità del lavoro svolto, nel rispetto dei limiti tabellari imposti dalla normativa. Proponiamo alla committenza due diligence ambientale e analisi del rischio; indagini ambientali; bonifiche suolo e sottosuolo; gestione delle emergenze ambientali; global service ambientale; lavori a mare; riqualificazione ambientale.

WWW.ECOERA.IT

TESECO Bonifiche da amianto TESECO affianca i clienti nelle operazioni di censimento della presenza di amianto in siti produttivi, strutture edili e navali, redige la mappatura del sito ed i progetti di bonifica, esegue gli interventi di messa in sicurezza o rimozione dei materiali e la loro sostituzione.

TESECO Energia TESECO è partner unico e qualificato in tutti i passaggi necessari per semplificare, ottimizzare e garantire alte prestazioni a chi scelga le potenzialità energetiche fotovoltaiche. L’azienda si pone come interlocutore capofila per la progettazione, realizzazione e gestione di centrali a biomasse per la produzione di energia elettrica, garantendo controllo e logistica nella scelta dei combustibili.

TESECO Sistema Integrato Qualità Ambiente Sicurezza Oggi TESECO è in grado di offrire la sua consulenza per l’ottenimento e il mantenimento delle certificazioni in base alle esigenze dell’azienda, in conformità alle normative vigenti e secondo i canoni:

... informazione e visibilità hanno nuovo PESO

UNI EN ISO 9001 • UNI EN ISO 14001 • OHSAS 18001 Il servizio di consulenza TESECO si arricchisce con l’offerta di corsi di formazione su Qualità, Ambiente e Sicurezza in grado di soddisfare ogni tipo di committenza.

Sede Legale, Direzione Generale, Tecnica e Operativa Via C.L. Ragghianti, 12, Pisa. Tel. 050 987511 - Fax 050 987575

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maggio - giugno 2010 anno III numero 9

Poste Italiane Spa - Sped. in a.p. - D.L. 353/2003 conv. in L. 46/2004, art.1, c.1 - CB-NO/Torino – Anno 3 n. 9 DEA edizioni s.a.s. Strada del Portone, 127 - 10095 Grugliasco (TO)

RIQUALIFICAZIONE URBANA: DEMOLIRE IL VECCHIO PER CREARE SPAZI NUOVI

BONIFICHE E INVESTIMENTI IMMOBILIARI un mercato difficile per i grandi progetti di sviluppo TECNOLOGIE DI BONIFICA Europa e Stati Uniti, strategie d’intervento a confronto COMPRAVENDITA DI SITI CONTAMINATI Orientarsi fra oneri e responsabilità giuridiche

maggio - giugno 2010


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