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simona geri

Il digitale mi ha dato la fama, ma i nuovi progetti sono tanti.

Ci sono wine influencer, molto seguiti dai millennials (solitamente loro coetanei) e, dall’altra parte, pochi autentici comunicatori del vino che fanno di autorevolezza ed esperienza il proprio biglietto da visita. Questi ultimi sono ricercati da cantine e consorzi, corteggiati da agenzie di relazioni pubbliche e uffici stampa talvolte più delle grandi firme rispettate da decenni: riescono a raccontare il vino in modo accattivante, immediato e professionale. Simona Geri, toscana d.o.c., fa parte di quest’ultima categoria ed è stato per noi un piacere incontrala ed intervistarla a Verona durante Vinitaly 2023.

Come ha iniziato il suo percorso da esperta di comunicazione digitale nel mondo del vino e come si è evoluto nel corso del tempo?

“Io non nasco dal mondo vitivinicolo ma papà è di Castagneto Carducci, i nonni con un enoteca all’ Isola d’Elba, il ristorante... insomma il vino è stato sempre una passione proprio perché sono cresciuta a Pane e Supertuscan!

Per passione sono stata folgorata, un bel po’ di anni fa, dalla Croce di pietra che segna il Romanee Conti, una tenuta in Borgogna, ed è stato in quel momento che ho deciso di fare il corso di sommelier sempre e soltanto per pura passione.

In quel periodo lavoravo in una società di trasporti e logistica come responsabile amministrativo e della sicurezza: il destino ha voluto che l’azienda per la quale lavoravo fallisse e la mia ricerca per un nuovo lavoro raccogliesse testimonianze di stima sì ma nessun nuovo incarico perchè, nonostante l’ ottimo curriculum che avevo, mi si diceva che i costi per assumermi erano alti rispetto ad una persona più giovane, etc. Quindi ho cominciato per caso allora la mia odierna professione: mi sono messa sui social, ho cominciato a scrivere di vino ma, attenzione, solo quando ho preso il diploma di sommelier AIS.

Le aziende hanno cominciato a contattarmi, a volere che assaggiassi i loro vini, ad invitarmi in cantina, a partecipare ad eventi enogastronomici ...ed eccomi qui”.

Cosa ricorda dei primi periodi di questo nuovo lavoro?

“Non avevo la mentalità imprenditoriale, visto che ho sempre lavorato come dipendente, ma mio marito ,di professione commercialista, mi ha convinta a buttarmi nel mondo della libera professione.

Mi misi in mano ad un’agenzia di comunicazione che doveva prendere Simona (me) e trasformarla in format digitale, senza peraltro stravolgerla: già allora io volevo essere la stessa come mi si vede a casa oggi.

Si è creato un blog e contemporaneamente la mia società ‘The Winesetter’: agli esordi non mostravo il volto ma solo le bottiglie perché non mi sentivo a mio agio.

Per me l’inizio non è stato semplice: hanno iniziato a chiamarmi nei press tour dove ero l’unica che lavorava nel digitale (gli altri erano tutti della carta stampata) e posso dirle che sono stata accolta con diffidenza, quasi non mi salutavano e non mi rivolgevano la parola, spesso guardandomi dall’alto in basso, indistintamente uomini e donne. Stavo sempre nel mio, come si suol dire; nel tempo ho trovato degli amici giornalisti, anzi uno in particolare, che è stato uno dei primi che ha creduto in me, e che mi ha rivolto la parola dicendomi ‘Non ti preoccupare vedrai piano piano che poi ci fanno l’abitudine’. Di mese in mese cresceva il numero dei follower però, ci tengo a sottolinearlo, non facevo solo quello: da allora ad oggi ho continuato a studiare, ho preso l’attestato di operatore eno-turistico, ho cominciato a studiare per il Wine & Spirit Education Trust (WSET) che è il leader mondiale nella formazione dedicata a vini, distillati e sak (per ora mi sono fermata al secondo livello a causa di impegni lavorativi che mi portano spesso lontano da casa), ho continuato ad andare per cantine e a degustare, perché se non bevi non degusti e non ti evolvi. Io, deve sapere, compro tanti vini, e sono una che non lavora gratis: non accetto le bottiglie in cambio di lavoro. Prima di qualsiasi collaborazione assaggio i vini e, se mi piacciono, si comincia e si fa un lavoro fatto come si deve, perché il digital marketing è un lavoro che necessita di mesi, il Winelovers ha bisogno di tempo per conoscere una realtà, i post/spot servono a poco. Se penso che i vini non siano consoni o non rientrano nei miei parametri, resta la riservatezza tra le parti. Dico davvero tanti ‘no’ mi creda, e ormai in tanti lo sanno: magari a molto persone non sto simpatica per questo, però la mia forza è anche quella. Devo riconoscere che Il digital è aumentato in maniera esponenziale durante il Covid, visto che senza l’organizzazione di eventi e degustazioni, era l’unico mezzo di divulgazione”.

A cosa serve un esperto di comunicazione digitale e quanto il medesimo può aiutare una cantina ad emergere?

“La puoi aiutare innanzitutto se si fa un piano editoriale, perché ci sono i piani editoriali anche nel digitale, a medio e a lungo termine: per fidelizzare il Winelover devi fargli vedere la cantina, fare le degustazioni che io faccio sempre a casa in totale tranquillità in tre step (prima di capire e di fare una scheda tecnica ci metto quasi un giorno e mezzo, ma mi sento corretta nei confronti di chi mi dà quel vino da valutare) e poi, piano piano, si procede con i piani editoriali ovvero i vini vanno divulgati con logica e continuità (da un minimo di tre mesi a un anno, solitamente). Si deve parlare poi con un linguaggio semplice, senza tecnicismi perché al Winelover dell’estratto secco, dell’acidità, della malolattica non gliene frega niente. Certamente c’è anche quello più esperto e durante le masterclass mi piace coinvolgere le persone, sentire cosa ne pensano, perché voglio anche capire i gusti di chi mi sta davanti sennò va a finire che faccio solo un elogio a me stessa, che non è il caso. Noi siamo dei mezzi per veicolare il vino cioè dobbiamo essere umili, umiltà che purtroppo nel nostro mondo comincia sempre più a latitare”.

Qual è quindi il suo approccio alla comunicazione nel settore del vino?

“Diretto, spontaneo, con educazione, con rispetto perché bisogna essere rispettosi verso chi produce vino e anche verso il vino, perché ci vogliono investimenti e sacrifici in questo settore dove nulla è improvvisato e lasciato al caso”.

Perché secondo lei le cantine scelgono di investire sui comunicatori anziché mettere un’inserzione su una rivista?

“Direi perché con internet è tutto più immediato e quindi ci troviamo davanti ad una comunicazione più veloce. Ma, attenzione: il problema è uno solo ovvero che le cantine degli uffici stampa spesso non capiscono nulla e si affidano a gente senza scrupoli che compra follower. Nessuno si prende la briga di guardare l’engagement rate, nessuno chiede dati: perché è inutile che uno abbia 200.000 follower e poi 300 like su un post. Qualcosa non torna”.

Quali sono le attività che trova più calzanti con il suo profilo e che ritiene più vincenti nel settore vinicolo?

“Penso di essere una persona semplice ed elegante; non credo di essere pesante nei contenuti e di arrivare in maniera diretta al mio pubblico. Poi, a dire il vero, ho due motti: uno me l’ha insegnato il mio caro babbo ‘Ricordati sempre che con la gentilezza conquisterai il mondo’ e penso che sia una cosa fondamentale e poi ‘la vita va, non ci si deve lamentare, calici in su’. Il bicchiere va visto sempre mezzo pieno. So essere sempre molto ironica, gioco molto su me stessa, penso ci sia gente che ne sa molto più di me di vino perché se lei mi chiede ‘Mi dice tutte le doc della Toscana?’ non me lo ricordo però se le dico io questo vino è buono stia sicuro che questo vino buono lo è”.

Il suo è un lavoro, non un hobby: ci racconta qualche esempio eclatante di collaborazione con aziende che le hanno dato grande soddisfazione e qualche aneddoto?

“La mia più grande soddisfazione è stato quando ho cominciato a collaborare con Merano Wine Festival perché ci sono sempre andata da wine lover e quando entravo nel Kurhaus non c’era volta che non dicessi ‘quanto mi piacerebbe collaborare con questo evento’. Si dice in Toscana ‘il maiale sogna la ghianda’ e io dissi a qualche mio amico ‘vedrai che un giorno ce la fo’, perché sono molto decisa come carattere: quando poi mi hanno chiamata, prima come media partner, e poi Helmuth mi ha voluto in giuria, per me è stato un’ immensa soddisfazione. Alla stessa stregua quando Querciabella, che produce il mio vino italiano preferito, il Batar, nella persona di Sebastiano Cossia

Castiglioni, il proprietario dell’azienda, m’ha chiamata per scrivere le note tecniche dei vini sul sito di Querciabella; ma anche quando il ‘The Times’ di Londra mi dedicò un articolo come una delle comunicatrici digitali italiane del vino”.

Tutti possono pensare di poter essere wine influencer, pochissimi sanno davvero come si spostano le scelte e si dà vita ad un trend per i consumatori. In un settore in estrema espansione dove oggi ci si confronta con sommelier, influencer, giornalisti e giovani appassionati di vino quali sono i suoi elementi di differenziazione?

“Io non ho mai chiesto in vita mia una bottiglia a una cantina: infatti dico a tutti che se si trova una mia mail o un mio messaggio dove c’è una mia richiesta di bottiglie regalo uno Champagne P2 1998 Dom Perignon. Non mi propongo mai alle aziende ma sono loro che cercano me e questa, ne sono convinta, è la mia forza. Non lavoro solo per denaro: ho detto no a un gruppo molto importante, di cui ovviamente non faccio il nome, perché non era sulla mia linea, e ne vado fiera. Sono diretta e sono anche molto solitaria perchè per lavorare bene ho bisogno di concentrarmi e di isolarmi”.

Quali devono essere le caratteristiche che fanno di un esperto di comunicazione digitale nel settore vino un professionista?

“Prima di tutto chi fa questo lavoro deve fare esclusivamente questo nella vita: il part time non esiste. Si deve avere un account professionale e ci deve essere, inizialmente, un’agenzia che ti segue. Serve investire dei soldi, sponsorizzarti, ti devi far vedere, devi fare contenuti di qualità, le foto vanno scelte e devono essere impattanti, i video devono essere studiati e di qualità: questo porta alla professionalità.

Il mio percorso mi ha portato un po’ nel mezzo di questo mondo perché il digitale spesso mi serve come vetrina in quanto faccio anche altre cose: le carte dei vini, le masterclass, collaboro per i branding aziendali, etc. Il punto di forza rimane il non improvvisarsi.

E’ inutile che le aziende mandino i vini a gente che fa di secondo o terzo lavoro il bloggerino ogni tanto: non serve assolutamente a nulla, sono soldi buttati.

Perché non è che se fai un post automaticamente vendi. Spesso ci si sente dire: ‘Oh fammi il post che voglio vendere tante bottiglie’ e io rispondo ‘Allora non hai compreso il mio lavoro’: purtroppo non si capisce ancora l’importanza di certa comunicazione, quella vera. Siamo lontani, si sta cominciando ma c’è ancora troppa ignoranza”.

Esperto di comunicazione digitale nel vino ed enoturismo: come si coniuga?

“Molto bene perché oggi vedo con molto piacere che la maggior parte delle aziende, oltre ad offrire la degustazione di vino, fa l’ospitalità: abbiamo dei territori fantastici in Toscana, in Veneto, in Campania, in Sicilia. Puoi mettere di tutto insieme al vino: il cibo, la storia, la cultura, la natura.

Pensi ai francesi: in Borgogna ai nomi di molti paesi corrisponde una denominazione e questo risale a molto tempo fa, sono stati geniali”.

Il suo vino preferito?

“A parte il Batar, adoro uscire dalla comfort zone e provare sia vini nuovi italiani che del resto del mondo”.

Il suo sogno nel cassetto, se c’è n’è ancora qualcuno legato ai progetti che ha?

“E’ un po’ un paradosso: il digitale mi ha dato la fama però vorrei allontanarmi in maniera graduale con il tempo perché mi richiede veramente tanto, troppo impegno: ho 500 messaggi al giorno e io rispondo a tutti, dalla signora che va a far la spesa a quello che vuole fare il corso di sommelier. Richiede davvero tanto tempo. Vorrei fare quindi altre cose e altri progetti che ho bene in mente, anche e soprattutto all’estero: c’è un bel progetto in evoluzione, però stiamo zitti, non si dice niente per scaramanzia”.

Nella vita privata so che è un’amante degli animali: quindi quando non parla di vino cosa fa?

“Mi dedico alla mia casa, mi piace stare in famiglia con mio marito e mia figlia e adoro stare con i miei gatti. Dopo aver viaggiato molto per lavoro faccio pochissima vita mondana e sto molto tra le mie mura domestiche, dove mi piace ascoltare la musica da morire, dove mi piace leggere e dove... non amo molto cucinare”.

Nessuno è perfetto Simona Geri, ma per il resto davvero un sentito “Chapeau”.

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