Marco Giamprini | Thesis | 2019

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LA RICOMPOSIZIONE DEL PAESAGGIO COLLINARE

la stazione a monte della vecchia funivia Bologna - San Luca

Marco Giamprini




Alma Mater Studiorum - UniversitĂ di Bologna Scuola di Ingegneria e Architettura Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Ingegneria Edile-Architettura

Marco Giamprini

Relatore: Prof. Arch. Matteo Agnoletto Correlatore: Prof. Ing. Luca Guardigli A.A. 2017 - 2018 Sessione III


tesi di laurea in architettura e composizione architettonica II


indice CAPITOLO 1 - PREMESSA

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1.1

introduzione

11

1.2

analisi

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1.3

urban room

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CAPITOLO 2 - FUNIVIA

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2.1

la funicolare per San Luca

23

2.2

la funicolare per San Michele in Bosco

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2.3

la funivia “Bologna - San Luca”

31

2.4

stato di fatto

53

CAPITOLO 3 - PERCORSO

83

3.1

il Raumplan

85

3.2

la discretizzazione del Raumplan

91

3.3

la traiettoria di Koolhaas

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CAPITOLO 4 - ARCO

99

4.1

arco in storia dell’architettura

101

4.2

arco come matrice

105


CAPITOLO 5 - PROGETTO

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5.1

definizione dei volumi

117

5.2

schematizzazione delle piante

121

5.3

soluzioni progettuali

127

5.4

analisi materica

145

5.5

approfondimento costruttivo

149

5.6

elaborati grafici

161

CAPITOLO 6 - EPILOGO

195

6.1

conclusioni

197

6.2

fonti bibliografiche

199

6.3

fonti fotografiche

201

6.4

fonti sitografiche

203

APPENDICE - FOTOGRAFIE STATO DI FATTO

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RINGRAZIAMENTI

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1.1 introduzione I dati raccolti dall’Istat parlano di oltre 700 mila edifici non utilizzati nel territorio italiano. Negli ultimi anni la disciplina architettonica ha imparato a confrontarsi con questo problema tramite interventi di recupero e riqualificazione del dismesso. Questo per combattere allo stesso tempo un’altro grande problema che riguarda il nostro paese, ovvero il consumo di suolo. Infatti i rapporti annuali realizzati dall’Ispra e dal Servizio Nazionale per la Protezione dell’Ambiente indicano un’aumento dell’ artificializzazione del territorio sempre in crescendo. In un momento in cui il tema della sostenibilità occupa un ruolo centrale all’interno del processo di progettazione, è fondamentale fissare il presupposto per cui il nuovo costruito è la prima insostenibilità. Questo tema acquista ancor più importanza nel momento in

cui riguarda un contesto

contemporaneamente di valore storico e ambientale, come il Colle della Guardia. Attraverso questo lavoro si vuole porre all’interno della ricomposizione del dismesso l’importante compito di recuperare anche il paesaggio, trattando la riqualificazione dell’esistente sotto l’aspetto architettonico ma anche funzionale. In un contesto fortemente naturale, dominato dalla presenza del Santuario della Madonna di San Luca, non si può prescindere da un’intervento che comporti il coinvolgimento della grande massa di persone che quotidianamente si reca in cima alla collina. Pertanto questo progetto pone nella ricomposizione della vecchia stazione, lo strumento per rinnovare e recuperare un luogo simbolo della città, intervenendo con coerenza nel rispetto del contesto esistente.

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1.2 analisi La stazione di arrivo della vecchia Funivia Bologna-San Luca, si trova sul Colle della Guardia, a poche decine di metri dal Santuario della Madonna di San Luca. Questa zona ha visto cambiare le sue caratteristiche con l’avanzare del tempo, soprattutto nel XX secolo, quando è passata da zona meramente campestre a zona facilmente raggiungibile proprio grazie alla costruzione della funivia nel 1930, per poi finire per diventare una zona raggiungibile esclusivamente a piedi o attraverso mezzi di trasporto su ruote nel quarantennio successivo. Questo cambiamento, ha portato alla dismissione dell’esercizio della funivia, che venne occupata temporaneamente da piccole società e radio negli immediati anni successivi al ’70, giungendo però ad un graduale abbandono dell’immobile, che ormai da 40 anni non ha più una destinazione d’uso, si voglia per l’ampiezza o per la complessità, per la datazione della struttura o per l’ubicazione dell’edificio. In un’ottica di riuso del dismesso, tema molto attuale ed al centro delle attenzioni quotidiane, sembra necessaria la rilettura di un luogo a cui i bolognesi sono segretamente affezionati e che per un breve periodo ha portato Bologna ad essere il riferimento dell’innovazione del trasporto meccanico in Europa. Visitando l’area salta subito all’occhio come la maggior parte dell’affluenza sia dovuta al movimento turistico che coinvolge il santuario della Madonna di San Luca. Il turismo porta costantemente ogni anno una grande mole di persone al santuario, classificando Bologna all’ottava posizione fra le città italiane più visitate ogni anno.

Fig 1.2.1 - La funivia per San Luca negli anni ‘30

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I dati del 2017 indicano che gli arrivi si assestano sul milione e mezzo circa (in costante aumento rispetto agli anni precedenti). Al contempo tuttavia, si evidenzia quanto le potenzialità del luogo non siano sfruttate a pieno. Infatti le aree circostanti la basilica di San Luca presentano un’offerta di strutture ricettive, di ristoro ma anche attrattive, pressoché nulla, esaurendosi con l’unico ristorante sulla via principale e nessun offerta ricreativa. Ci si trova in una situazione alquanto paradossale visto che spesso e volentieri la visita al monumento viene preceduta dalla lunga camminata che percorre il lungo portico di San Luca superando un dislivello di 220 m, al termine della quale il visitatore è portato ed invogliato alla sosta. Da tali considerazioni risulta come il flusso di turisti e locali in visita, che porta vita all’area di interesse, possa essere nuova linfa per rigenerare e revitalizzare un luogo storico della città. E’ però di fondamentale importanza precisare che l’attività turistica presso il Colle della Guardia può definirsi, con relativa sicurezza, composta in parti uguali da visitatori provenienti da fuori città e da “passeggiatori autoctoni”. Questo aspetto è contemporaneamente confortante e provocatorio: è giusto e possibile che un polo turistico fondamentale della città di Bologna, come il Santuario della Madonna di San Luca, non presenti intorno a sé alcuna attività che arricchisca l’offerta? Tale mancanza rende sterile la grande massa turistica che ogni anno sale il colle per visitare la Basilica di San Luca. l visitatori si trovano costretti ad organizzare la loro visita nell’arco della giornata senza poter godere a pieno delle potenzialità e della ricchezza del luogo.

Fig 1.2.2 - Santuario della Madonna di San Luca negli anni ‘60

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1.3 urban room L’obiettivo consiste nel recuperare l’ex stazione a monte della funivia, rendendola appetibile ed utile alla questione di revitalizzazione e di riuso dell’area circostante. Il progetto originale di Ferretti, oltre all’esercizio della funivia, prevedeva infatti un intervento di urbanizzazione dell’area coinvolta, attraverso la costruzione di botteghe e di un viale alberato. L’intenzione del progetto è quindi rivisitare la proposta progettuale originaria in chiave moderna. E’ consolidato come la bottega di souvenir possa coinvolgere il turista, ma in tal maniera non si offre una vera alternativa al visitatore. La volontà è di coinvolgere in ugual modo il visitatore e il cittadino, creando un luogo a disposizione di tutti. Un Urban Room è uno spazio urbano. E’ uno spazio pubblico, plurifunzionale, sempre aperto. E’ un centro di raccolta, un posto dove le persone possono occupare il loro tempo libero, ma anche dove è possibile assistere a concerti, esposizioni e mostre. E’ uno spazio che mira a restituire in maniera simbolica significato ed importanza agli spazi pubblici, incoraggiando e promuovendo la comunicazione e la condivisione. Gli spazi pubblici nel XXI secolo sono diventati frutto della frenesia della vita odierna, quindi luoghi dove la mobilità è l’unica opzione disponibile, dove non si ha più il tempo di presenziarvi in alcun altro modo.

Fig 1.3.1 - Modello di studio sul concetto di Urban Room, Mossessian Architecture

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Il concetto di urban room nasce dalle preziose ricerche in campo architettonico e sociale effettuate dallo studio Mossessian Architecture. Si tratta di studi approfonditi che mirano al recupero dei luoghi pubblici nel loro significato fisico e collettivo, ponendo l’immobilità come scelta prioritaria del modo in cui può essere vissuto uno spazio pubblico. Si tratta di ricercare i caratteri di un luogo che ne garantiscano la possibilità di vivere un senso di benessere con gli altri, dove incontrare, vedere, condividere con la comunità diventa un valore di fondamentale importanza. L’obiettivo finale è quindi riportare in auge quello che una volta grazie al suo ruolo era un luogo per la città, vestendolo di una nuova funzione rivisitandone la storia. Quello che era un edificio chiaramente dinamico, diventa un luogo di sosta, incorporando le attività mancate all’origine al suo interno. Nasce l’idea di un urban room fortemente votato alle arti, ripescando il concetto di bottega e plasmandolo nel contemporaneo, creando quindi un centro di condivisione ed esposizione per artisti.Colore, suono, movimento: tutta l’eccitazione della celebrazione e gioia condivisa e risate per le strade del passato si nutre del presente e si riversa nelle generazioni future. L’architettura può stabilire un dialogo tra passato e presente, pubblico e privato, creando uno spazio sostenibile per la crescita delle comunità.

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L’architetto ha il difficile compito di bilanciare le esigenze delle diverse persone che vivono in uno sviluppo e riconciliare la struttura esistente con le esigenze attuali. La connessione tra progetti sostenibili di successo è concettuale e si collega strettamente al nuovo approccio all’ambito pubblico sviluppato da Mossessian Architecture. (Mossessian Architecture)

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2.1 la funicolare per San Luca Alessandro Ferretti nacque il 14 Marzo 1851 a Fabbrico (RE). Da sempre appassionato ai problemi legati alla questione dei trasporti in ambito montano, si laureò in Ingegneria Meccanica presso l’Università di Bologna e operò individualmente ideando soluzioni tecnologiche e promuovendo progetti di impianti di risalita laddove le condizioni orografiche suggerivano la loro costruzione. Il suo nome è tuttora ascritto infatti fra quelli dei più importanti “funicolaristi” italiani, avendo realizzato impianti da nord a sud su tutta la penisola. Intorno al 1880 si pubblicava a Bologna una rivista specializzata in ingegneria ed agricoltura, dal titolo “Giornale d’Agricoltura, industria e commercio”, diretta proprio dall’ingegnere Alessandro Ferretti, il quale trasferitosi a Bologna cercò di promulgare le sue audaci ed innovative idee. In particolare lavorava con impegno sul progetto che prevedeva la costruzione di una funicolare che collegasse il Meloncello al santuario della Madonna di San Luca. In attesa di studiare un progetto definitivo di tale mezzo di trasporto alternativo, aveva progettato e stava sperimentando un prototipo, della stessa portata, nei pressi di Torino e precisamente al Colle dei Cappuccini di Mondovì. L’intenzione di Ferretti era quella di attuare la stessa idea anche a Bologna. Studiò quindi un meccanismo simile a quello del monte dei Cappuccini con la prospettiva di unire in un sistema funicolare la città e il santuario. Prima di giungere ad una proposta definitiva Ferretti esaminò accuratamente il tracciato, misurando ogni singolo tratto con una nutrita squadra di collaboratori. Sarebbe stata un’innovazione che, se fosse andata in porto, avrebbe portato grande beneficio

Fig 2.1.1 - Funicolare al Colle dei Cappuccini di Mondovì

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economico e turistico alla città di Bologna. Per raggiungere tale obiettivo iniziò a scrivere e pubblicare sulla sua rivista, lunghi articoli inerenti proprio alla funicolare, descrivendo al dettaglio il funzionamento di quest’ultima con tanto di disegni tecnici muovendosi negli ambiti più ricercati della città, avvicinando persone facoltose che lo potessero affiancare nell’impresa, istituendo una vera e propria società per azioni. Ferretti propose un progetto che, per essere al massimo della produttività economica e turistica, si allontanasse il meno possibile dall’andamento delle strade ordinarie già presenti, affiancando il portico monumentale. La funicolare quindi partiva dal Meloncello seguendo la strada comunale inizialmente dal lato del portico per poi passare dal lato opposto a circa metà tragitto, dove con un opportuno manufatto doveva passare sotto il portico stesso, per poi correre per 350 metri con sede propria. Infine si riallacciava alla strada comunale per fare stazione subito dopo la polveriera, dove già era superata la pendenza massima della strada. La stazione di arrivo in sommità della linea doveva essere una sola, e contenere i locali tecnici compresi di motore, magazzini, uffici, abitazioni del personale, sala d’aspetto e un caffè-ristorante dal quale poter godere dello stupendo panorama sulla città, sulla valle del Reno e sul santuario di San Luca. In attesa che il movimento economico di Bologna recepisse il suo progetto, Ferretti si occupò di creare un gruppo di lavoro e, con questi, di illustrare il suo studio attraverso incontri tecnici, utilizzando con dettagliata proprietà di linguaggio e competenza, la possibilità di un impresa che

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non solo avrebbe dato lustro e valore alla città, ma allo stesso tempo, sarebbe stata fonte di inestimabile guadagno. Fu così che molti facoltosi bolognesi versarono la propria quota. Nacque un “Comitato promotore per la funicolare San Luca” che si costituì in forma provvisoria, cercando di allargare il cerchio con un intensa propaganda e attraverso l’istituzione di una sottoscrizione pubblica. Ciononostante, sebbene i numerosi appelli, i bolognesi non risposero alle chiamate dei promotori. Le quote raccolte non correvano al passo desiderato e non si arrivò quindi al contributo minimo che avrebbe significato l’inizio dei lavori. Tuttavia Ferretti non si diede per vinto e chiamò in causa autorità e ulteriori personalità facoltose senza però ottenere consensi. Fu quindi nel maggio 1885 che il Comitato Promotore si dichiarò sciolto e di conseguenza vennero annullate le sottoscrizioni ottenute.

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2.2 la funicolare per San Michele in Bosco Della funicolare si tornò a parlare nell’ottobre dello stesso anno, quando Ferretti ebbe il suo momento di gloria per l’avvio della funicolare di Mondovì e colse l’occasione dell’Esposizione Emiliana del 1888, per proporre una nuova funicolare che dai Giardini Margherita saliva a San Michele in Bosco, iniziando una fitta corrispondenza con il relativo Comitato Esecutivo. Propose un’installazione temporanea per il nuovo impianto e, dopo non pochi problemi, ottenne il permesso di partire con i lavori di insediamento. Un mese prima dell’apertura dell’Esposizione, Ferretti consegnò il lavoro terminato per il collaudo definitivo. L’idea dell’ingegnere e dei suoi collaboratori era di utilizzare la funicolare per San Michele in Bosco come trampolino di lancio per ottenere la fiducia per altre lavorazioni future, fra cui il progetto per San Luca. L’esperimento dell’Esposizione ottenne un grande successo, sia tecnico che economico, tanto che stimolò Ferretti (mentre era ancora in atto la manifestazione), a tentare nuovamente il colpo per l’opera più ardita: la funicolare per San Luca. Con il ricavato della recente esperienza, ritornò così alla carica presso il Municipio per una sovvenzione, o quanto meno un contributo economico, per portare a termine il suo intento, ma anche l’ultimo sollecito andò a vuoto. L’ingegnere continuò però ad insistere rivogendosi direttamente al Ministero dei Trasporti che gli concesse di allungare la licenza già concessa per l’Esposizione fino al termine dell’anno 1889. Si mise quindi al lavoro e nell’Agosto del medesimo anno fu pronto per il grande esperimento. L’inaugurazione ufficiale avvenne domenica 19 Agosto 1889.

Fig 2.2.1 - Funicolare per San Michele in Bosco, fotografia d’epoca

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Fu un grande successo e nonostante l’imminente scadenza della concessione, questo lo consolava per il prossimo futuro. In cuor suo l’ingegner Ferretti pensava e sperava che una volta fatto funzionare e collaudato l’impianto, il Comune, la Provincia e gli organi di Stato lo prendessero in considerazione per mantenere l’impianto stesso fisso e a durata per sempre nel tempo. Nel novembre 1889, quando chiusero i cancelli dell’Esposizione, si mise in atto lo smantellamento di tutti gli edifici che si erano eretti in forma provvisoria, compresa la funicolare che portava a San Michele in Bosco. A Ferretti rimase solamente la funicolare per San Luca, concessa dal Ministero per tutto il 1889. I primi di maggio dello stesso anno accadde però un imprevisto: la funicolare, causa freno difettoso, subì un arresto che non causo danni a persone, ma generò un notevole spavento. Una parte della stampa, quella che da sempre si era schierata contraria ed avversa alle idee proposte da Ferretti, cominciò ad attaccarlo pubblicamente. Questo avvenimento e le conseguenti accuse mediatiche nei suoi confronti, portarono Ferretti a rinunciare definitivamente alla sua personale missione. L’ingegnere abbandonò definitivamente l’impresa prima ancora della scadenza della concessione, smontando la funicolare e scomparendo da Bologna.

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2.3 la funivia “Bologna - San Luca” Ferruccio Gasparri nacque a Bologna il 29 Marzo 1889, da Silvio Gasparri ed Adele Bacchelli. Il padre possedeva e gestiva una grossa segheria fuori porta Lame, adiacente vi era un’officina meccanica di uno dei fratelli, nella quale il giovane Ferruccio ebbe modo di scoprire e coltivare la propria passione per la costruzione e per la meccanica. Nel 1916 si arruolò volontario nell’esercito e fu inviato al fronte nel reparto di artiglieria sul Monte Grappa. Alla fine del conflitto fu congedato col grado di capitano. Si iscrisse quindi alla facoltà di Ingegneria di Bologna, dove avvenne il primo incontro con Leandro Arpinati, anch’egli matricola, destinato poi a diventare dal 1921 al 1933 indiscusso capo del movimento fascista bolognese. Il patriottismo di Gasparri uscì rafforzato dall’esperienza della guerra e ciò lo spinse a frequentare ambienti di ex combattenti che, delusi per la cosiddetta “pace mutilata” rivendicavano un ruolo più incisivo nel governo del paese. Fu in questi ambienti che Gasparri ebbe modo di incontrare e legarsi in solida amicizia a Bruno Biagi, altra futura figura di spicco nell’ambito del fascismo bolognese. Nel 1920 maturò definitivamente la sua adesione al fascismo, iscrivendosi al fascio di Bologna e partecipando nel 1922 alla Marcia su Roma. Il 10 novembre si laureò in Ingegneria Civile e nel 1923 si iscrisse al sindacato ingegneri, cominciando subito ad esercitare la professione. I primi anni lavorativi di Gasparri furono dedicati prevalentemente alle costruzioni edili, continuando parallelamente la sua attività politica. Divenne fiduciario del gruppo rionale “Meloncello” che gli consentì di consolidare i rapporti con Arpinati, divenuto nel frattempo primo Podestà di Bologna.

Fig 2.3.1 - Locandina seconda inaugurazione 1950

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Proprio in quest’ambito trovò i primi sostenitori all’idea della Funivia per San Luca. Prima di giungere al suo scopo però, Gasparri fondò una società al fine di trovare i fondi necessari per l’esproprio dei terreni e per la costruzione dell’impianto. Insieme ad alcuni colleghi quindi istituì la S.A.C.E.F., “Società Anonima Costruzione Esercizio Funivie”, e nominò presidente l’amico Podestà di Bologna Leandro Arpinati e successivamente Bruno Biagi. Quest’ultimo era un personaggio molto introdotto fra i ministeri ed ottenne ben presto numerose agevolazioni e prestiti per la società. Biagi e Gasparri si mossero bene anche in città, sondando banche, istituzioni private ed associazioni di commercianti allo scopo di ottenere nuovi finanziamenti. Dal 1928 al 1930 ottennero anche il sostegno dei giornali locali, allargandosi anche all’Avvenire d’Italia, di fede cattolica, ottenendo quindi anche il supporto da parte della curia, che raggruppava un’estesa area di tessuto economico-industriale. La propaganda funzionò in maniera eccelsa e la società fondata da Gasparri raccolse in breve tempo i fondi necessari per avviare il progetto, nel quale rientrava anche il coinvolgimento della zona del Colle della Guardia, prevedendo un ufficio postale, un ristorante e botteghe, oltre a rimboschimenti ed un riassetto stradale. In merito alla Funivia, era prevista una stazione di partenza sulla strada per Casalecchio. La linea era composta di sole due campate, di 750 e 650 metri, divise da un unico pilone di 25 metri d’altezza, con un’altezza massima dal suolo di 80 metri nel tratto finale. La costruzione dell’impianto era mancante solo del nulla osta dell’ufficio tecnico del Comune per l’approvazione definitiva e l’inizio dei lavori. Venne quindi inviato un lungo elaborato descrittivo di tutte le parti che componevano il progetto:

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DESCRIZIONE GENERALE DELL’IMPIANTO La Funivia per accedere al Colle della Guardia dove sorge il Santuario è del tipo così detto a “va e vieni”, per trasporto di materiali e di persone ed è essenzialmente costruita da due funi portanti, distanti ml. 5.00 l’una dall’altra ai due estremi, e ml. 7.00 in corrispondenza del sostegno intermedio, da una fune traente e relativa fune di zavorra. Il percorso è rettilineo e la distanza orizzontale fra il punto di partenza e quello di arrivo è di circa ml. 1360: il dislivello da superare è di ml. 221, quindi la pendenza è di 0.1625 e la distanza inclinata di m. 1382. Un solido pilone in cemento armato, alto m. 25.00 sullo zoccolo di fondazione, interrompe la tratta delle funi circa a metà del percorso, e perciò l’impianto è costituito da due tesate pressoché di uguale lunghezza. In fregio alla via Nazionale Porrettana, di fronte all villa Pardo, su un appezzamento di terreno di estensione mq. 5300, [...], sorge la stazione a valle della Funivia decoroso fabbricato di gradevole aspetto, costituito da 3 piani oltre un parziale piano ammezzato ad uso di abitazione del personale che sarà addetto all’esercizio. La stazione a monte, o motrice della Funivia sorge sui terreni di proprietà della S.A.C.E.F. [...]. Essa è costruito a mezza costa e consta di un terreno a livello, del piazzale e di un piano a livello di arrivo dei vagoncini, di un piano superiore dove sono ricavati uffici e locali ad uso bar e trattoria, e di un piano sotto tetto adibito ad abitazione del personale addetto.

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DESCRIZIONE PARTICOLAREGGIATA DEI TERRENI, FABBRICATI, MANUFATTI, MATERIALI, FISSO E MOBILE, E MACCHINARI. STAZIONE A VALLE O DI RINVIO. [...] copre un area di 203 mq. su pianta pressoché rettangolare, ed è costituito da un piano terreno, di un parziale piano ammezzato, di un primo piano e di un parziale piano sottotetto. E’ solidamente costruito con una struttura mista di cotto, di calcestruzzo e di cemento armato ed è finito decorosamente sia all’estero che all’interno [...]. SOSTEGNO INTERMEDIO [...] a metà del percorso è stato costruito un sostegno intermedio, costituito da un pilone di cemento armato eretto su un robusto zoccolo di fondazione. Alla base il pilone ha una pianta quadrata di m. 8.40 x 8.40 e per m. 18.00 circa di altezza e rastremato presentando a tale quota una sezione di m. 3.00 x 3.00 tale sezione si mantiene fino alla sommità cioè fino alla quota di m. 25.00 sullo zoccolo di fondazione. E’ costituito da pareti di calcestruzzo armato di 24 cm di spessore. La piattaforma superiore che la la larghezza uguale allo scartamento delle funi, cioè di m. 7.00 è sostenuta da robuste mensole pure in cemento armato e su di essa sono collocate 2 scarpe di appoggio delle funi portanti

Fig 2.3.2 - Stazione a Valle

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STAZIONE A MONTE O STAZIONE MOTRICE [...] Il fabbricato che sorge sul terreno descritto, adibito a stazione motrice della funivia, oltre che dai locali strettamente necessari a tale uso, è costituito da altri locali destinati ad uso pubblico per bar e trattoria, e da due abitazioni per il personale di servizio. Esso è costruito a mezza costa e copre complessivamente un’area di mq 200 compresa la tettoia di arrivo dei vagoncini.[...] E’ costruito in struttura muraria, con solai in ferro e sotto in legname. PIANO SEMI-INTERRATO: Consta di una tettoia sotto cui arrivano i vagonetti adibiti al trasporto, di una sala d’aspetto, con annesso locale di distribuzione biglietti, e gabinetti di decenza, di cantina e gabinetti di servizio del bar-trattoria, di un locale ad uso del personale addetto alle macchine e di un deposito per i lubrificanti. PIANO TERRENO: Comprende ancora tettoia di arrivo, oltre a due locali ad uso bar e trattoria, nonché un ampio locale dove è collocato il macchinario che si eleva anche al piano superiore da descriversi Posteriormente a detto locale, oltre ai due corridoi dove sono gli ancoraggi delle funi, è ricavata la cucina per il bar e trattoria.

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Fig 2.3.3 - Pilone centrale


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PRIMO PIANO: Nella parte prospiciente il Santuario è ricavato un locale da adibirsi a trattoria, oltre a due salette a servizio del bar. Nella parte residua, oltre alla sala del macchinario motore, sono ricavati due uffici e un ripostiglio, uno degli uffici è dotato di terrazza ricavata sopra gli ancoraggi delle funi ed a parte della cucina del bar. La scala che serve di accesso agli uffici ed al piano sottotetto è esterna, lungo la parte ponente. PIANO SOTTOTETTO: E’ completamente adibito ad abitazione del personale ed in esso saranno ricavati due appartamenti [...], uno di 3 camere, cucina, ripostiglio, bagno w.c. e corridoio di ingresso, l’altro di 2 camere, cucina, w.c. e locale di passaggio.

Fig 2.3.4 - Stazione a Monte

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STAZIONE A MON


EX STAZIONE A VALLE

PILONE CENTRALE

NTE

200 METRI


I lavori di appalto per la costruzione in materiale ferroso, furono affidati ad una ditta di Bressanone particolarmente specializzata in questo tipo di attività, “Le officine Meccaniche di Bressanone”, che portò avanti i lavori con una lentezza esasperante causa disagi di ordine economico, ed alla fine del 1929, dovette cessare l’appalto a causa un dissesto di ordine finanziario interno alla società. Gasparri non si perdette d’animo e completò l’opera già iniziata con altra ditta. La data di inaugurazione della funivia slittò al 14 maggio 1931, con la celebrazione di inaugurazione in presenza del Ministro Ciano e del Sottosegretario Arpinati. Nei primi mesi dall’apertura si contavano già 200.000 viaggiatori. La fama che ottenne la funivia si estese anche fuori città, e divenne una delle funivie più famose per velocità e sicurezza. Tuttavia, con il passare degli anni, gli incassi si rivelarono insufficienti a pareggiare le spese di gestione, in quanto le risorse erano impiegate per estinguere gradualmente le spese d’impianto e quindi per saldare i debiti contratti, in particolare modo quello con la Cassa di Risparmio di Bologna, con scadenza fissata per il 29 Settembre 1935. La SACEF quindi ricorse per l’ennesima volta all’aiuto del Comune (offrendo in cambio un’ipoteca pari ad un valore parziale dell’immobile), che si trovò costretto a correre in soccorso della società, pur di evitare di dover assumere in virtù di un’eventuale ipoteca, la gestione dell’impianto, per il quale non era né idoneo né attrezzato. Al contempo non era possibile tantomeno sospendere un’attività di pubblico interesse. Nonostante gli ulteriori sforzi economici, la funivia non ebbe pace. Infatti durante una delle normali corse quotidiane una delle fune portanti cedette, minacciando di lasciar cadere a valle

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uno dei carrelli. La società si vide costretta, conseguentemente a tale avvenimento, a sospendere immediatamente il servizio. Il paese in quegli anni verteva in un particolare momento di crisi economica. Il Governo attuale ricorreva all’abbattimento di cancellate e la raccolta di altro materiale quale ghisa e acciaio pur di reperire materiale metallico per le sue operazioni. La conduzione della funivia si rivolse allora direttamente al “Commissario generale delle fabbricazioni di guerra”, minacciando la sospensione dell’esercizio se non avesse provveduto all’occorrente acciaio necessario per le funi, sollecitando il Podestà di Bologna a ricoprire un ruolo di tramite fra le due parti. Nel giro di una settimana la funivia ricevette il materiale richiesto e fece ripartire l’esercizio. In aggiunta a ciò, al fine di poter garantire una buona manutenzione dell’impianto, la Società domando al Comune un ulteriore contributo economico per un periodo di 34 anni, da estinguere con versamenti rateali. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale però la situazione si fece più complicata. Nel luglio del 1943 cominciarono i bombardamenti sulla città che qualche mese più tardi colpirono anche la zona della stazione di partenza, danneggiandone il funzionamento ed obbligando la conduzione a sospendere il servizio. L’edificio fu poi riadattato alla meglio per ospitare le truppe tedesche, che ne approfittarono per segare i cavi di sostegno della tratta ed appropriarsene durante la ritirata verso Nord al fine di costruire ponti temporanei. Subito dopo la fine della guerra la funivia tornò agli onori della cronaca. La SACEF infatti ne approfittò per compilare la domanda riguardante i danni di guerra, correlata da tutti i danni subiti

Fig 2.3.5 - Stazione a Monte, vista dal santuario (pagina precedente)

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sia dai bombardamenti, sia dalle operazioni di sciacallaggio che videro i furti di porte, serramenti, vetri, ecc., ottenendo grazie a sopralluoghi da parte di funzionari del ministero il risultato sperato. In aggiunta a ciò la società si premunì di chiedere un contributo a fondo perduto al Ministero dei Trasporti per la riattivazione di un servizio che rientrava a tutti gli effetti sotto la categorizzazione di servizio pubblico. Alla luce di ciò, e del fatto che sembrava che il finanziamento non tardasse ad arrivare, la SACEF si rivolse all’attuale Sindaco Giuseppe Dozza per procedere alla riattivazione della Funivia Bologna-San Luca. Il problema risiedeva però nel reperire le funi di acciaio, tanto che i nuovi pezzi erano stati richiesti addirittura in Francia e i tempi furono notevolmente lunghi. Si arrivò alla primavera del 1949, quando il Resto del Carlino esordì con un articolo intitolato “In primavera la funivia ci riporterà a San Luca”. Tuttavia questo non avvenne perché i materiali vennero bloccati alla dogana, arrivando infine nel giugno del medesimo anno. Mentre la società si adoperava alla riattivazione della linea sostituendo cavi e macchinari, parallelamente si procedeva alla trasformazione degli edifici secondo nuovi criteri. La stazione a monte venne ingrandita rispetto alla sua prima struttura ed abbellita con terrazze, ampie finestre, rivestiture in legno ed altri dettagli di carattere alpino. Venne riaperto e rinnovato il bar-ristorante con una grande sala estiva molto luminosa ed una più intima per la stagione invernale, con le pareti rivestite in legno. Al piano superiore vennero ricavate cinque camere da albergo con bagno annesso. Nel seminterrato era previsto un albergo diurno, mentre al piano terra dovevano aprire cinque negozi, una gelateria, una tabaccheria ed una bottega d’arte. Il progetto prevedeva anche la realizzazione di un grande

Fig 2.3.6 - Pilone centrale

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viale alberato in sostituzione alle bancarelle che costeggiavano la strada prima dell’intervento, che però non venne mai realizzato. La funivia rientrò in funzione per il pubblico la domenica dell’8 Aprile 1950, il giorno prima di Pasqua. Nei primi tempi la folla prese d’assalto la funivia tanto che la direzione dovette far intervenire le forze pubbliche pur di regolare il flusso dei viaggiatori. Furono dei giorni di grande soddisfazione per la Società e Gasparri, che rivedeva dopo lunga attesa la sua creatura riprendere vita. I passeggeri si soffermavano anche nei negozi all’interno delle stazioni e i ristoranti erano sempre pieni. Nell’Ottobre del 1952 si verificò il primo incidente all’interno dell’impianto. Era una nebbiosa mattina e, durante la consueta manutenzione dei cavi, un operaio precipitò dal tetto di un vagoncino della funivia mentre verificava il funzionamento delle ruote che tenevano fissata la cabina alla fune di trazione. I problemi per la funivia non finirono qua. Infatti negli anni successivi, forse per paura o forse per l’evoluzione del trasporto automobilistico, il pubblico dei passeggeri diminuì sensibilmente, tanto che a fine anno, in sede di bilanci, la società registro numerose voci in rosso. Ogni anno che passava, l’affluenza verso il colle andava scemando nel numero di passeggeri, e con essa il conto degli incassi tanto che negli anni successivi le perdite assunsero momenti di calo troppo veloci. Basti pensare che prima della chiusura nel 1944, su 14 anni di esercizi, se ne contarono solo 2 attivi economicamente. Ad appesantire la situazione fu un altro guasto tecnico, ovvero la rottura di una fune zavorrata,

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che per essere sistemata richiedeva un ulteriore esborso di denaro. Tale spesa portò alla società un danno notevole. Nel 1955 il passivo diceva 8 milioni di lire, nel 56 superava il capitale sociale che all’epoca valeva 22.725.000 lire, prima di venire ridotto per destinare la differenza a coprire le perdite di esercizio e le spese di manutenzione. Ma la sfortuna continuava ad accanirsi sulla povera creatura di Ferretti. Ad aggravare ulteriormente il quadro fu l’intervento dell’Ispettorato Generale della Motorizzazione civile, che nella consueta visita ventennale di controllo dell’impianto, si trovò di fronte a forti inadeguatezze dell’impianto stesso e soprattutto nel rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza dei passeggeri. Non era un ostacolo insormontabile, se non fosse per la situazione economica già critica della società, che non era in grado di sostenere tale impegno. Sarebbe bastato un contributo esterno, ma nemmeno il Comune al momento era in grado di sostenerla. Nel 1971, anno della scadenza della concessione quarantennale, la SACEF chiese al Comune di riconoscere alla Società stessa gli anni di inattività dovuti a cause belliche, cioè il fermo dal 1944 al 1950, per un totale di 5 anni, 6 mesi e 18 giorni. Richiesta che il Comune accolse, dando in poche parole un’ulteriore, forse ultima, speranza. La direzione della società in crisi passò nelle mani del principale azionista Gino Pardera, noto in città per la sua popolarità nella gestione di alcune sale da ballo. Ma il problema del funzionamento della funivia era oramai di dominio pubblico e si paventava il pericolo di una chiusura, se non fossero intervenuti enti locali o finanziatori esterni alla Società. Il commendatore Pardera si rivolse al Comune, offrendosi di cedere il servizio alla loro gestione.

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Richiesta però che venne respinta, in quanto gli oneri in gioco erano davvero troppo elevati, senza considerare la spesa per i lavori di ammodernamento degli impianti ancora non effettuati. La stessa offerta venne inoltrata successivamente all’Azienda Tranviaria, senza però ottenere consensi nemmeno su questo fronte. Le trattative seguirono per il breve periodo successivo, fino al 26 Gennaio, giorno in cui Gino Pardera, concessionario della SACEF, dichiarò di non avere intenzione di rinnovare l’impegno, proponendo una cessione gratuita al Comune e successivamente all’azienda Tranviaria, che entrambe rifiutarono. La Società si prese quindi carico di informare il Comune che, con data 7 Novembre, sarebbe cessato il servizio della Funivia Bologna-San Luca per termine del periodo di concessione, e che avrebbe proceduto successivamente allo smontaggio degli impianti che potessero costituire, anche da spenti, un pericolo per le persone. Il 7 Novembre 1971 cadeva di domenica, il titolo del Resto del Carlino parlava chiaro: “Da domani ferma la Funivia di San Luca”.

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2.4 stato di fatto Lo stato attuale della stazione a monte della vecchia funivia di San Luca è il risultato dell’esposizione al corso del tempo. Gli eventi atmosferici hanno infatti portato alla degradazione del solaio di copertura, costituito da travi e tavolati lignei. In alcuni vani del sottotetto era presente anche una controsoffittatura in incannucciato che a causa delle infiltrazioni è marcita crollando. Nel corso dell’ultimo decennio inoltre, le grandi nevicate invernali hanno causato il collasso del sistema di tralicci metallici eretti esternamente alla funivia. Il peso della neve ed il forte vento hanno portato al cedimento del traliccio più esposto, che per effetto domino si è portato dietro i restanti, causando gravi danni alla struttura quali crollo di solai e di una parte di muratura esterna. Le infiltrazioni di acqua e l’umidità hanno provocato l’ossidazione delle parti metalliche, specialmente nei solai laterocementizi. La conseguente formazione di ruggine ha generato il distacco dell’intonaco e di parte del calcestruzzo mettendo a nudo parte dei solai ed accelerando il processo di degrado dell’intera struttura. Il graduale abbandono della stazione, a partire dagli anni ‘70, ha poi reso l’edificio un facile bersaglio per sciacalli e vandali, che hanno depredato la struttura denudandola di tutta la componente di arredo e ha causato il danneggiamento di finestre e porte, tanto che la proprietà si è vista obbligata ad intervenire con opere provvisionali tuttora presenti. La stazione si presenta quindi in condizioni piuttosto fatiscenti, che hanno portato quindi alla decisione di intervenire radicalmente “svuotando” l’edificio e mantendone solamente la struttura, permettendo di ripensare gli spazi congiuntamente al volume di espansione.

Fig 2.4.1 - Traliccio crollato che ha portato al collasso di solaio di copertura e di piano

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prospetto nord est


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prospetto nord ovest


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prospetto sud ovest


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prospetto sud est


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piano seminterrato


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piano terra


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piano primo


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piano secondo


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copertura


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ERCORS


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3.1 il Raumplan Adolf Loos nacque a Brno nel 1870. Studiò dal 1890 al 1893 presso Dresda per poi intraprendere un viaggio di formazione attraverso gli Stati Uniti che lo trasformerà radicalmente. La sua esperienza si concluse a Vienna, dove si stabilì aderendo alle avanguardie artistiche europee, scoprendo e dichiarando apertamente il suo amore per l’architettura e formano una rivista, di cui uscirono solamente due numeri, dal titolo Das Andere (L’Altro). Nell’affrontare l’approccio architettonico tipico di Loos è necessario compiere prima una breve riflessione sul percorso di evoluzione progettuale che vede confluire nella realizzazione della Casa Müller a Praga una serie di tematiche che rappresentano per l’architetto un preciso filone di ricerca. Si può, in primo luogo, individuare nell’edificio Goldman & Salatsch in Michaelerplatz a Vienna il germe di quella maniera di combinare la spazialità della figura pura con l’articolazione dell’alzato, in cui differenti quote corrispondono a precisi momenti del vissuto. Questa relazione si sviluppa, in questo caso, tutta all’interno: la scala è l’elemento-guida che suggerisce il percorso, ed invita il visitatore a scoprire gli ambienti ai livelli superiori, i quali sono a loro volta articolati in una serie di dislivelli parziali e concatenati.

Fig 3.1.1 - Villa Müller, Adolf Loos, 1930

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“In generale fino ad ora la principale preoccupazione degli architetti era la costruzione delle facciate e la disposizione dei pilastri interni. La pianta veniva risolta piano per piano proiettato su una superficie, quello che casualmente rimaneva fra i pilastri lo si chiamava “spazio”. Da sempre si aveva la volontà di mettere in relazione gli spazi fra loro, ma nessuno aveva mai pensato di farlo in un’altra direzione. Accade così che nelle abitazioni ci sia una sequenza di spazi collegati. A teatro troviamo gallerie o annessi dell’altezza di un piano collocati uno sopra l’altro, che comunicano apertamente con uno spazio principale e ampio. Loos capì come l’angustia del palco fosse sopportabile soltanto perchè si poteva guardare nel grande spazio e applicà quindi questa intuizione all’architettura residenziale. Attraverso Adolf Loos venne alla luce un nuovo e superiore concetto di spazio: la libertà di pensiero nelle tre dimensioni, la progettazione di spazi collocati a livelli differenti, senza il vincolo di piani tutti alla stessa altezza, la composizione degli spazi idealmente connessi in una totalità armonica e indivisibile e una struttura che pianifica l’economia dello spazio. A seconda della loro funzione e della loro importanza gli spazi possono avere non solo grandezze, ma livelli e altezze differenti. In questo modo Loos può creare a parità di mezzi costruttivi più spazio abitabile. Così , infatti, in un cubo con le stesse fondamenta, con lo stesso tetto e le stesse mura perimetrali vi può trovare posto un numero maggiore di spazi.” (H. Kulka, Prima monografia su Adolf Loos. 1930)

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Nasce il Raumplan, una soluzione di progettazione tridimensionale mediante una progettazione bidimensionale sul piano della sezione senza perseguire canoni precisi e ben delineati, bensì attraverso una dinamica ragionata ad hoc, considerando lo spazio nell’interezza delle sue possibilità. Gli ambienti vengono quindi plasmati a seconda della funzione e l’incastro tra i vari volumi che si generano comporta la variazione di livelli fra i piani. Tale idea di strutturazione tridimensionale permette l’ottimizzazione della distribuzione degli spazi interni, generando una differente ricezione dinamica della spazialità dell’abitare. Il Raumplan raggiunge il suo apice nel 1930 con Villa Müller, portando a compimento un processo di sperimentazione durato per tutto il precedente ventennio e partito dall’edificio Goldman & Salatsch in Michaelerplatz a Vienna. Lo spazio viene caratterizzato, anche all’interno di una stessa stanza, dal mutare in altezza dei livelli di calpestio, indicando il cambiamento di una funzione o la simbolica importanza di una determinata area:

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“La mia architettura non è concepita per piani, ma nello spazio. Di un edificio non progetto i piani, le facciate, le sezioni. Propongo gli spazi. Per quanto mi riguarda, non esiste alcun piano terra, primo piano. Per me esistono soltanto spazi contigui, senza soluzione di continuità, stanze, terrazze. I piani si fondono e gli spazi si relazionano gli uni con gli altri.” (Adolf Loos, registrazione stenografica di una conversazione a Plzen. 1930)

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3.2 la discretizzazione del Raumplan L’utilizzo del Raumplan non si esaurise all’esperienza di Adolf Loos, bensì viene spesso ripreso in epoca moderna come modello spaziale da seguire per proporre un’alternativa tuttora originale alla classica ripetizione di piani orizzontali. Inoltre è una tecnica che ben si adatta alla necessità di risolvere un eventuale dislivello del terreno. L’architetto spagnolo Alberto Campo Baeza raccoglie la sfida del Raumplan e lo applica per risolvere il problema del declivio naturale, creando una movimentazione di volumi che si ripete in altezza fino a deterinare la distribuzione spaziale di tutto l’edificio lavorando con una pianta quadrata di 12x12 m divisa in quattro quadrati di 6x6, sollevando i piani di base quadrato per quadrato, con un semplice movimento elicoidale. Si ottengono spazi a doppia altezza che si intersecano tra loro, producendo una diagonalità che segue uno sviluppo a spirale lungo la direzione verticale. Ogni due spazi doppi si ha un collegamento diagonale spaziale o visivo. Lo schema produttivo è reiterato: i volumi vengono posizionati salendo in altezza e ruotando di 90 gradi rispetto ad un asse centrale alla pianta iniziale, ottenendo una concatenazione diagonale di tre spazi a cavatappi. Una volta ottenuto il risultato finale e realizzate le relative aperture, risulta evidente il movimento della luce naturale al suo interno, costante durante tutto il giorno grazie alla forte permeabilità.

Fig 3.2.1 - Modello di studio per Cala House, Alberto Campo Baeza

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In questa opera il meccanismo del Raumplan definito da Loos viene discretizzato ed organizzato secondo una semplice ed elementare ripetizione di operazioni e parametri fissati, che permettono la generazione di spazi di notevole qualità, a differenza dell’applicazione originaria dove l’accostamento dei volumi veniva studiato per singolo elemento. Il progetto e gli studi di Campo Baeza illustrano come la chiave del Raumplan “moderno” risieda nella semplificazione e nell’utilizzo della ripetizione seriale di istruzioni basiche che portano all’origine delle forme e dei collegamenti.

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3.3 la traiettoria di Koolhaas Dall’analisi del Raumplan si evince come la scelta di dimensionare diversamente gli spazi a seconda della funzione derivi dal fatto che gli spazi stessi assumono importanza prioritaria all’interno dell’edificio. Ne deriva che il percorso è subordinato agli spazi, svolgendo quindi un ruolo secondario rispetto ad essi, elmento cardine della progettazione. Si può quindi facilmente ricondurre questa differenziazione ad un semplice tema di assegnazione di priorità diverse fra percorso e spazio. Rem Koolhaas ha analizzato questo tema sotto diverse declinazioni nel corso della sua attività. Nel 1992, per esempio, con lo schema studio per due biblioteche a Jussieu, riconfigura il layout tipico della biblioteca, manipolando i piani attraverso un percorso continuo che si snoda a tutta altezza, generando spazi connessi direttamente e indirettamente fra loro. Ma l’esempio più interessante, se confrontato con il Raumplan, è la trattazione del percorso e degli spazi utilizzata in Netherlands Embassy. Il concetto fondamentale alla base di questa architettura è quello che Koolhaas chiama “la traiettoria”, ovvero un percorso che può essere considerato come la continuazione dello spazio esteriore di accesso e che attraversa il volume con un movimento serpentino. Durante il suo sviluppo verticale la “promenade koolhaasiana” genera un condotto continuo, irregolare, di altezza e larghezza variabili, agganciandosi agli ambienti di risulta. In tali spazi viene “incastrato” il programma funzionale dell’edificio, fra il percorso ascendente e la superficie perimetrale.

Fig 3.3.1 - Promenade illustrata nel modello delle due librerie a Jussieu, OMA

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Nell’Ambasciata dei Paesi Bassi il percorso ascensionale si emancipa dal resto dell’edificio, convertendosi nel suo spazio principale: uno spazio incanalato al quale tutti gli ambienti funzionali vengono subordinati, assumendo quindi il ruolo prioritario. Si può notare come la cosiddetta “traiettoria koolhaasiana” non sia altro che l’inversione di priorità dei concetti del Raumplan. Infatti, nella teoria loosiana gli spazi venivano modellati secondo la necessità e la destinazione d’uso. Al contrario nella trattazione della traiettoria di koolhaas vediamo come sia il percorso ad assumere la priorità all’interno dell’edificio. Infatti esso si modifica, si plasma liberamente nello spazio variando le sue dimensioni a piacimento, mentre gli spazi di risulta andranno ad essere occupati dalle destinazioni d’uso progettuali. E’ interessante provare ad immaginare la promenade koolhaasiana come il ribaltamento del Raumplan, considerando gli elementi fondamentali della progettazione come percorso e spazio, uno l’opposto dell’altro. Bianco e nero. Per questo motivo l’idea di progetto intende concentrarsi sulla contrapposizione dei due metodi architettonici, partendo dal raumplan dello stato di fatto e terminando con la traiettoria di koolhaas.

Fig 3.3.2 - Promenade illustrata nel modello della Netherlands Embassy a Berlino, OMA

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arco in storia dell’architettura

L’architettura è un linguaggio, e come tale trasmette dei messaggi. Come tanti altri elementi costruttivi, l’arco fa parte del suo vocabolario di segni visivi, cambiando di significato a seconda del contesto di utilizzo. I primi impieghi della struttura ad arco risalgono all’epoca dei sumeri. E’ infatti possibile trovare nei resti dello Ziqqurat di Ur, un portale ad arco in mattoni locali, risalente al III millennio a.C.. Ma la prima cultura tecnica che consapevolmente impiegò la tecnica dell’arco fu quella etrusca. Di lì venne assimilata in modo originale dai Romani e applicata in modo estensivo dalle costruzioni civili, fino ad assumere un ruolo celebrativo simbolico della civiltà romana: l’arco di trionfo. Dal mondo romano il testimone passò al mondo arabo, che rielaborò in modo sapiente l’arco generando l’arco a sesto acuto e le volte e cupole da esso derivato. Successivamente la tecnica dell’arco fu ereditata dal mondo cristiano continentale, che nel periodo dello stile gotico espresse tutte le potenzialità più ardite che erano già implicite nell’arco a sesto acuto. Esso divenne lo strumento per concepire grandi cattedrali in cui la leggerezza e la verticalità delle strutture potesse esprimere la mistica religiosità di quei secoli. Nel rinascimento, dal ‘400 in poi, gli architetti riscoprono il linguaggio dell’architettura romana, ridisegnandone gli archi per imitarli e capirli. Gli artisti del rinascimento avevano però nuovi significati da esprimere. Per esempio nella chiesa di sant’Andrea a Mantova, Leon Battista Alberti usa una particolare combinazione di archi trionfali internamente e esternamente, al fine di rendere unitario lo spazio dell’edificio attraverso un susseguirsi fluido e continuo di superfici curve.

Fig 4.1.1 - arco in chiave contemporanea, Tama Art University Library, Toyo Ito

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Dalla fine dell’800 gli archi continuavano a venire usati nei porticati delle città, ma tale soluzione costruttiva non comunicava più originalità, gli archi erano diventati artifici retorici. Durante più di 3 secoli e mezzo la parola arco aveva esaurito tutti i significati possibili. Un tentativo riuscito di restituire significato all’arco è stato fatto nell’epoca moderna da Louis Kahn. Kahn utilizza spesso le strutture ad arco nelle sue opere. Ma lo fa con cognizione di causa. Kahn infatti lo studia e riscopre nelle sue origini, quindi nella sua funzione costruttiva. La struttura ad arco è una naturale conseguenza dell’uso dei mattoni, e non vi è architrave naturale differente dall’uso dell’arco. Da quel momento, grazie a Louis Kahn, l’arco in mattoni ha ritrovato la sua importanza nella semplicità del suo essere una struttura fondamentale correlata alla tecnica costruttiva in mattoni. Un innovativo approccio all’arco si ha invece con Le Corbusier. La passione per l’utilizzo del cemento armato, porta l’arco ad uscire dai suoi schemi classici, proprio quelli che ne avevano determinato la nascita, ovvero le necessità costruttive legate all’uso del mattone. Archi come quelli proposti da Le Corbusier a Chandigar, proiettano l’arco in una nuova epoca costruttiva. Sono chiaramente archi con funzione statica ma non imitano più le forme dell’arco tradizionale e si spingono verso nuove configurazioni grazie all’utilizzo del cemento armato. Infatti non si parla più di struttura a conci bensì si tratta di una struttura monolitica. Tale caratteristica ha permesso all’arco di trovare nuovi significati all’interno dell’architettura moderna e contemporanea. Tale possibilità è stata poi ulteriormente ampliata con l’avvento dell’acciaio per costruzione.

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Le nuove prospettive decantate dall’utilizzo del cemento armato si sono trovate notevolmente ampliate, ne è forse l’esempio più estremo l’arco monumentale di Eero Saarinen a St Louis del 1965. Al giorno d’oggi ci si trova infatti davanti ad una duplice possibilità nell’utilizzo dell’arco. La chiave di Kahn, quella che è definibile come più conservativa, è utilizzare l’arco nella sua usanza originale. Questo garantisce di non cadere nella banalità. L’arco è nato come soluzione costruttiva e finché utilizzato come tale non sarà mai banale e scontato. Parallelamente l’avvento del cemento armato come materiale costruttivo e la sua applicazione nei vari elementi architettonici, apre all’arco nuovi scenari. La scelta non è più solo costruttiva ma anche estetica. E’ il caso di Toyo Ito, o di Oscar Nyemeier. L’arco esce totalmente dai suoi schemi originali, conferendo ora dinamicità alla struttura, facendosi portavoce di leggerezza e movimento.

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4.2 arco come matrice All’interno dell’architettura bolognese, l’arco è una figura costantemente presente. Lo si trova nei palazzi medievali e rinascimentali, nelle sue diverse declinazioni, nelle porte al centro città, e nei portici in successione. L’applicazione più celebre è quella nel portico di San Luca. Qui l’arco viene utilizzato in successione in maniera sempre uguale per scandire lo spazio. Leggende metropolitane raccontano che le arcate del portico, che inizia dall’arco Bonaccorsi in via Saragozza e termina in corrispondenza della basilica di San Luca, con i suoi 666 archi, rappresenti il serpente, ovvero il demonio, la cui testa viene schiacciata dalla Madonna, simboleggiata dal Santuario in cima al Colle della Guardia. Questa leggenda è messa in discussione dalla scelta di conteggio degli archi, per cui si hanno versioni differenti che contano dai 658 ai 666 archi a scandire il percorso. La certezza è che l’arco come elemento architettonico è protagonista assoluto per tutto il percorso, e lo si ritrova con differenti applicazioni sia internamente che esternamente anche nella Basilica di San Luca. Sicuramente come richiamo, l’arco viene riproposto durante la progettazione della funivia. Si nota infatti come le finestre siano arcuate, mentre internamente si trova un piano le cui aperture sono costituite da archi sottili. Emerge evidentemente quindi come la scelta progettuale per la stazione a monte della funivia di San Luca sia un mix fra un’architettura alpina e il tradizionale linguaggio architettonico bolognese, supportato dal ripetuto impiego dell’arco.

Fig 4.2.1 - Stazione a monte, stato di fatto

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Il portico di San Luca è il più lungo al mondo e misura 3796 metri, salendo per 300 metri. La sua costruzione è dovuta alla Madonna col Bambino, alla quale è intitolato il santuario sul Colle della Guardia. La storia locale racconta che la primavera del 400 fu particolarmente piovosa, mettendo a dura prova i raccolti tanto che i cittadini bolognesi si affidarono alla Madonna portandola in processione. Appena l’icona della Madonna di San Luca entrò in città, il 5 Luglio del 1443, la pioggia di colpo cessò. Da quell’episodio ogni anno venne ripetuta la processione dal santuario fino a Bologna e nel corso del tempo si decise di realizzare un portico per proteggere i fedeli in processione. Tale portico venne realizzato tra il 1674 e il 1721 con l’aiuto di molti cittadini che si adoperarono nella costruzione in prima persona. Il portico, in particolare il tratto collinare che va dal Meloncello alla basilica, presenta una scansione precisa e ripetuta su tutta la lunghezza, ad eccezione dei nodi di incontro con la strada. Longitudinalmente la scansione alterna vuoti da 2.70 metri a pieni di 2 metri, ai quali corrispondono rispettivamente archi e piedritti e riempimenti. Si tratta di archi a tutto sesto, quindi la curvatura dell’arco è generata da una circonferenza di diametro pari alla distanza fra i piedritti, 2,70 metri, e imposta a 3 metri. Le misurazioni hanno permesso quindi di identificare la matrice costruttiva secondo cui è stato realizzato il portico. Tale matrice sarà la chiave del linguaggio utilizzato, che andrà a discretizzare lo spazio nell’intervento di recupero sull’ex funivia.

Fig 4.2.3 - Estratto del portico di San Luca

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SCALA

RIPETIZIONE ORIZZONTALE

RIBALTAMENTO

SOTTRAZIONE

RIPETIZIONE VERTICALE

PIENO/VUOTO

SOVRAPPOSIZIONE

ADDIZIONE


La geometria è uno strumento che è sempre servito da supporto alle costruzioni dell’uomo. Si può dire che la composizione architettonica è praticamente sempre costruita su forme geometriche più o meno complesse. Partendo dallo studio di una figura geometrica derivata come l’arco, si studiano le sue evoluzioni nelle due e tre dimensioni secondo semplici operazioni geometriche, al fine di determinare una matrice compositiva organica e rendendo sempre leggibile l’arco stesso.

PIENO/VUOTO

ESTRUSIONE

ROTAZIONE AL PIEDRITTO

ROTAZIONE ALLA BASE

RIPETIZIONE IN PROFONDITA’


Lo studio dello spazio parte utilizzando il concetto di simmetria, grazie alla quale si riporta ordine alla volumetria dello stato di fatto. La zona danneggiata da precedenti crolli interni viene rimossa, ripristinando la simmetria sia in volume che sul prospetto principale, ovvero quello che si rivolge al santuario. L’ex tettoia viene inglobata dal nuovo volume e riflessa dal lato opposto. Stesso discorso per quanto riguarda la zona ex bar/gelateria. In tal maniera si nota come il volume considerato si espande verso il terreno in declivio verso nord ovest e verso nord est. Vengono poi effettuati gli elongamenti volumetrici necessari dettati dalle necessità dovuti al declivio naturale del terreno, ottenendo il volume oggetto di intervento. In particolare si può notare come l’espansione nel terreno retrostante la funivia sia in parte interrato. In questa maniera vengono alla luce i due elementi di interesse alla base del progetto: le direzionalità. La prima è quella che richiama la naturale funzione della funivia, ovvero l’affaccio sulla valle del Reno, verso la città di Bologna. La seconda invece rafforza la connessione con l’altro elemento di interesse, il santuario della Madonna di San Luca. Queste sono due punti fondamentali attorno ai quali verte il progetto. Stabilito il volume, si procede con i primi interventi. L’arco descritto precedentemente è la matrice del progetto. Avremo quindi un differente utilizzo dell’arco durante la fase di progettazione. Alla luce delle attuali condizioni dello stabile, si è deciso di mantenere solamente l’involucro esterno rivolto a San Luca, così da avere internamente un volume unitario su cui intervenire.

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5.1 definizione dei volumi Lo studio dello spazio parte utilizzando il concetto di simmetria, con la quale si riporta inizialmente ordine alla volumetria dello stato di fatto. Le zone danneggiate da crolli e marcescenze interne vengono rimosse, ripristinando la simmetria sia in volume che sul prospetto principale, ovvero quello che si rivolge al santuario. L’ex pensilina di arrivo delle cabine viene inglobata dal nuovo volume e specchiata sul lato opposto. In ugual modo si è operato per quanto riguarda la zona ex bar/gelateria. Si nota come il volume ora considerato si espanda verso il delivio a nord ovest e nord est. Per garantire una coerenza dal punto di vista compositivo, vengono effettuati gli elongamenti volumetrici necessari dettati dalle necessità dovute alla naturale pendenza del terreno, ottenendo il volume oggetto di intervento. Si può notare come l’espansione nel terreno retrostante la funivia sia in parte interrata, richiamando la spazialità della struttura originaria. Emergono così i due elementi di interesse alla base del progetto: le direzionalità. La prima è quella che richiama la naturale funzione della funivia, ovvero l’affaccio sulla valle del Reno, verso la città di Bologna. La seconda invece rafforza la connessione con l’altro elemento di interesse, il santuario della Madonna di San Luca. Mentre la prima avviene tramite il richiamo e la riproposizione su tutta la profondità del volume della pensilina, la seconda invece è garantita dalla planarità originaria della terrazza del prospetto principale.

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Alla luce delle attuali condizioni dello stabile, si è deciso di mantenere solamente l’involucro esterno rivolto a San Luca, ovvero la parte meglio conservata, ottenendo così un volume unitario su cui intervenire. Stabilito il volume, si procede con i primi interventi. L’arco descritto nel capitolo precedente è la matrice del progetto. Questo, attraverso le operazioni compositive elencate, andrà a generare la struttura dei volumi appena determinati. Si avranno quindi differenti utilizzi dell’arco a seconda dello scopo. Lo stesso arco viene ripreso anche in fase compositiva e di finitura. Si interviene inizialmente sulla direzionalità Nord Est - Sud Ovest. Utilizzando l’operazione di scala si procede adattando la matrice alle dimensioni del volume, ottenendo il primo ordine di archi di luce 6 metri e sezione dei piedritti 50x50 cm. Le particolari condizioni geometriche del volume permettono di ripetere l’ordine di archi appena descritto sul resto dello spazio tridimensionale, ad eccezione dell’ex pensilina di arrivo delle cabine dove viene mantenuta l’altezza originaria inferiore al resto dell’edificio. Attraverso quindi delle semplici successioni in profondità e rotazioni attorno ai piedritti dell’arco ottenuto, si crea una maglia regolare di archi e pilastri. E’ bene specificare che gli archi, per scelte architettoniche e strutturali, si presentano con estradosso piano, al fine di garantire la possibilità di un solaio di copertura piano. All’interno di tale spazio si andrà quindi a divincolare il percorso.

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5.2 schematizzazione delle piante Secondo i caratteri della “traiettoria” di Koolhaas, il percorso è libero di divincolarsi e variare le sue dimensioni a seconda delle necessità all’interno dell’intero spazio tridimensionale. A seguito degli studi teorici di Mossessian Architecture sul concetto di urban room, è apparso come la necessità di spazi di raccolta e di sosta sia essenziale all’interno di tali strutture. Tuttavia si pone anche il dubbio su come tali spazi debbano essere progettati: lo scopo è che gli spazi di percorrenza e di sosta siano conviventi, per garantire il concetto di condivisione tema centrale della ricerca. L’obiettivo del progetto quindi è che gli spazi siano in costante comunicazione, che le funzioni siano contemporanee e non separate fisicamente. Il percorso si svilupperà esattamente come la traiettoria di Koolhaas ma in una chiave più partecipativa ospitando le funzioni stesse, coerentemente con le caratteristiche necessarie di un urban room. Stabilita la struttura principale si è studiato lo spazio generato, cercando di determinare la soluzione più funzionale. Per garantire ciò si è proceduto ad una schematizzazione dello spazio ottenuto precedentemente. Tramite la ripetizione di archi si è stabilita una maglia di quadrati regolari di 6x6 metri, separati l’un con l’altro delle dimensioni dei piedritti, quindi 0.5 metri. La regola è stata ripresa per aver una maggior libertà nello schema, suddividendo quindi ulteriormente lo spazio in quadrati di 2.5x2.5 metri, mantenendo la distanza costante di 0.5 metri.

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schema piano terra


La realizzazione di un urban room per artisti non può prescindere da un grande open space dove dare spazio alle opere più grandi e più pesanti, ma anche dove nessun elemento si pone come freno alla condivisione fra visitatori ed artisti. Per questa ragione il piano terra si presenta a pianta libera. Ogni elemento architettonico presente si presta totalmente alla funzione scelta. I muri perimetrali a contatto con il declivio, fungono da elemento di chiusura e da superficie a disposizione delle opere artistiche visuali. La presenta del declivio insieme al rispetto della forma della presistenza, comporta la materializzazione di alcuni volumi parzialmente interrati e defilati. Per cui a tali spazi vengono attribuite funzioni di servizio, quali servizi igienici, locali tecnici, ascensore, deposito e magazzino. Il progetto si articola su tre livelli di cui si è appena descritto il piano terra, definibile come a quota 0 metri: è il ricavato di operazioni compositive sul volume di partenza. Il piano superiore, si trova a 4m rispetto al precedente e mantiene il livello della zona esterna dell’ex gelateria, riportandolo all’interno e comunicando direttamente con essa. Il secondo piano, a 8,70 metri rispetto al piano a quota 0 metri, a sua volta conferma il livello dell’originaria entrata alla funivia. La schematizzazione ha poi permesso di dare corpo ai piani, ricordando le necessità di un urban room e rispettando il morfema compositivo scelto. L’arco infatti ritorna nella configurazione planimetrica attraverso l’operazione geometrica di rotazione alla base, creando un percorso continuo ma dalle dimensioni sufficienti per garantire le necessarie zone di sosta.

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schema piano primo


schema piano secondo 125


piano terra 126


5.3 soluzioni progettuali La traiettoria descritta dall’utilizzo dell’arco in pianta, garantisce un movimento continuo. L’intenzione attraverso tale scelta è quella richiamare direttamente un elemento caratterizzante della funivia, ovvero le cabine. Le cabine di trasporto passeggeri effettuavano numerosi viaggi al giorno da monte a valle, reiterando il percorso. La reiterazione del percorso è stata trasportata in progetto tramite la realizzazione di un percorso obbligato per piano. L’intenzione è appunto quella di richiamare il tragitto dei passeggeri attraverso l’esercizio, ma anche quella di permettere al visitatore di poter godere delle esibizioni e delle esposizioni artistiche una alla volta, pur permettendo sempre una potenziale visione d’insieme. Per questo i piani primo e secondo sono pensati per essere fortemente trasparenti. Si tratta di strutture appese al solaio di copertura tramite un sistema di barre metalliche, che vuole rimandare direttamente alla sensazione di trovarsi sospesi nel vuoto che suscitava il viaggio in cabina. Queste passerelle sono costituite da una intelaiatura metallica che compone sia la pavimentazione che il sistema di parapetti, tamponate da reti metalliche e lamiere stirate, per garantire contemporaneamente sicurezza e trasparenza. Il sistema di passerelle sospese è compositivamente nato dal ribaltamento dell’arco utilizzato, volendolo riproporre sotto una forma diversa, accostandolo in veste di elemento considerabile leggero e di elemento pesante ed imponente come la struttura portante in cemento armato. E’ bene specificare che nella passerella sospesa l’arco svolge una funzione prettamente estetica, infatti lo si trova come elemento di parapetto senza alcuna funzione portante.

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piano primo 128


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piano secondo 130


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La schematizzazione della pianta in quadrati di 2,5x2,5 metri, ha permesso oltre che la definizione dei percorsi, anche la suddivisione delle facciate e l’organizzazione degli spazi performativi ed espositivi annessi al percorso stesso. La scansione regolare di 2,5 metri richiama le proporzioni utilizzate nel portico che conduce al santuario della Madonna di San Luca. Per uniformità compositiva si è scelto di dare la stessa forma ai prospetti dell’espansione e riproporla anche nella zona simmetrica rispetto al volume centrale, ovvero l’ex gelateria. Si ottiene quindi una succesione di archi di ordine secondario, ovvero dimensionalmente scalati rispetto alla successione strutturale. In questa maniera si ha un fronte regolare e coerente, garantendo la conformità visiva nel contesto. La stessa scansione di archi di ordine inferiore viene riproposta sugli altri 2 prospetti del volume di espansione, dove il prospetto che si affaccia ad ovest viene lasciato più aperto per permettere di godere costantemente del particolare contesto paesaggistico in cui ci si trova. Internamente invece la stessa schematizzazione permette, successivamente alla definizione delle facciate, di stabilire la localizzazione delle zone espositive e performative. Queste, come accennato, saranno distribuite all’interno del percorso ed evidenziate tramite un rialzo volumetrico. Infatti la schematizzazione permette di individuare all’interno del percorso una zona di area 2,5x2,5 metri, che andrà divisa in parti uguali fra percorso e zona espositiva/performativa. Dividendo quindi ancora l’area in quattro parti uguali, si otterrà una zona di passaggio adiacente alla zona riservata all’artista con la quale è anche compresa una seduta per il visitatore.

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L’area destinata all’artista sarà rialzata rispetto alla pavimentazione e trattata con una superficie chiusa, per garantire una priorità visiva all’esposizione. Lateralmente ai “palchetti” il parapetto a forma di arco scompare e la tamponatura a rete metallica continua fino al solaio di copertura. Questa scelta assicura l’artista e permette di rendere facilmente riconoscibili, nell’intero spazio tridimensionale, le aree adibite ad esposizione/performance. Richiamando ancora la schematizzazione, si può vedere come la ripetizione dell’elemento quadrato si riproponga esternamente sull’affaccio nord est generando al contempo la zona di discesa al piano terra e delle zona esterne a disposizione degli artisti ma anche dei visitatori, creando delle ampie sedute, arricchite dal panorama naturale e dalla vista sulla valle del reno. In copertura, raggiungibile tramite una grande scala a spirale che richiama la vecchia scaletta a chiocciola, si trova ancora la ripetizione dei quadrati che generano anche qua zone relax e sedute a servizio del piccolo punto bar/ristoro previsto in sommità. Questa area può essere infatti pensata anche per ospitare eventi di inaugurazioni ed aperitivi, forte dello spettacolare panorama offerto, grazie anche al tetto verde espansivo scelto per ridurre l’impatto visivo dell’inserimento nel contesto naturale.

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prospetto nord est


1:250


prospetto nord ovest


1:250


prospetto sud ovest


1:250


prospetto sud est


1:250



5.4 analisi materica Lo studio morfologico è stato accompagnato in maniera parallela da una ricerca materica. Solitamente l’obiettivo di tale approfondimento è quello di impedire un utilizzo improprio di colori e materiali all’interno di un contesto già definito, per non creare disequilibri. Studiando l’esistente ed il contesto è facile estrarre un ventaglio di possibilità dettate da richiami storici e di tinta. L’utilizzo del laterizio è al centro dell’architettura bolognese, linguaggio caratteristico che rimane ben leggibile per tutto il portico di San Luca fino al santuario. Stesso discorso vale anche per gli intonaci, celebri per il loro utilizzo a Bologna, in scale di colorazione che variano dal giallo al rosso. Studiando la vecchia stazione, si nota come tali dettami vengano richiamati e fortemente utilizzati nello scheletro costruttivo. Le relazioni storiche parlano di una struttura in muratura portante, confermata anche dallo stato di conservazione che ha portato al distacco dello strato esterno di intonaco mettendo a nudo l’apparecchiatura muraria. Al suo interno però si trovano anche setti in cemento armato, con l’obbiettivo di fungere da ancoraggio per le funi metalliche a sostegno delle cabine. I solai sono stati realizzati in latero-cemento, ad’eccezione del solaio di copertura ligneo. Un’ultimo materiale utilizzato è il ferro, che componeva la struttura portante della pensilina poggiando su alti pilastri in cemento armato e completava la struttura di ancoraggio delle funi. Esternamente l’intero edificio era intonacato di un color giallo-beige, utilizzato in egual maniera nelle superfici coperte del portico di San Luca. Alla luce delle informazioni estratte dall’esistente, i materiali ferrosi ed il cemento armato vengono accreditati di un ruolo estetico di prim’ordine, inversamente al loro utilizzo comunque nascosto

Fig 5.4.1 - Pensilina di arrivo delle cabine, stato di fatto

145


dalle murature esterne. L’intervento di riproposizione del volume esistente viene trattato con una superficie metallica ossidata, per evidenziare la nuova forma, ad eccezione dello zoccolo di base. Di controparte, la nuova espansione con tanto di archi strutturali a nord ovest, viene trattata completamente in cemento armato, sia per questioni estetiche che statiche, richiamando il materiale metallico nelle finiture delle aperture e nell’organizzazione interna degli spazi. Quindi dalla ricerca materica si definisce il perchè dell’uso dei materiali ed anche la palette di colori che andrà a caratterizzare l’intero progetto.

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CALCESTRUZZO

RGB: 127, 145, 155

INTONACO

RGB: 241, 224, 94

ACCIAIO OSSIDATO

RGB: 218, 119, 54 147


148


5.5 approfondimento costruttivo I piani su cui si sviluppa la funzione dell’edificio non sono canoniche strutture a solaio bensì si tratta di passerelle appese. Come visto in precedenza la natura compositiva dell’edificio si può scomporre in parte strutturale e parte funzionale. La parte strutturale è quindi composta dalla maglia di pilastri ed archi in cemento armato ad estradosso piano. L’orditura secondaria in travetti di calcestruzzo armato con riempimento in laterizio forato andrà a sostenere le passerelle. Affinchè questo sia possibile è necessario che l’elemento appeso non comporti un peso importante. La parte funzionale invece può definirsi coicidente con la struttura appesa, quindi presenta come unico requisito fondamentale la leggerezza. Nel pensare tale impianto le attenzioni si sono concentrate intorno al nodo principale, ovvero quello di svuotare le passerelle sia per questioni legate appunto al peso proprio, sia perchè come spazio performativo/espositivo potrebbe richiamare un flusso importante di persone, sia per garantire la massima trasparenza fra gli spazi. Quindi in primis si è posta l’attenzione sullo studio di una struttura il più leggera possibile. Le necessità di tipo compositivo, hanno portato subito all’esclusione dell’utilizzo di ulteriori materiali. seppur leggeri come il legno. Per questioni di leggerezza e di coerenza compositiva rispetto alle preesitenze si è quindi ricorso all’utilizzo dell’acciaio, che trattato tramite ossidazione per assumere un colore simile alla ruggine presente nello stabile originario, ben si sposa con l’utilizzo del cemento armato. Inoltre, permette di creare uno scheletro strutturale che facilmente si autosostiene e rispetto al cemento armato, molto più leggero.

149


pianta strutturale

1:50


La definizione di un modulo ripetibile, all’interno di uno schema costante come la struttura di archi e pilastri in cemento armato, ha permesso di facilitare le operazioni di studio delle passerelle. Il primo passo è stato quello di individuare la struttura di solaio. Le passerelle si sviluppano per un’ampiezza di 2.80 metri e per una lunghezza che si snoda sulla superficie disponibile. Si tratta di quindi di un modulo di area superficiale pari a 2.80 x 6.00 metri ripetibile longitudinalmente. La dimensione maggiore viene coperta utilizzando dei profilati metallici UPN300, uno per lato. Ortogonalmente a queste vengono disposte delle IPE160 con interasse ogni 3.00 metri, rispettando il filo superficiale tramite sagomatura delle ali superiori. Queste vengono fissate alle UPN tramite dei profilati ad L delle dimensioni di 80x60x6 millimetri ed imbullonate. Per garantire ulteriormente un comportamento d’insieme della passerella si inserisce un sistema di controventi incrociati, con innesti in corrispondenza dell’incastro descritto in precedenza, ma sulla metà inferiore libera delle UPN. La luce di 2.80 metri delle IPE viene infine ridotta attraverso l’utilizzo di una trave rompitratta, sempre delle IPE, che vengono imbullonate ancora con un sistema di profilati metallici ad L.

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Una volta definito lo scheletro strutturale, il quale presenta caratteristiche di leggerezza notevoli rispetto ad una soletta piena, si procede a determinare il sistema di pavimentazione. Lo schema di upn e ipe divide l’area del modulo in 4 sottoaree che rispecchiano l’organizzazione schematica delle piante vista in precedenza. Per scelte di natura funzionale e spaziale, una di queste quattro aree presenti ora nel modulo, viene delegata alla funzione espositiva/performativa, mentre le altre rimangono come zone di sosta o di percorso. La differenziazione fra le due tipologie di spazio viene affidata al materiale ed all’altezza. Lo spazio dedicato all’artista viene posto ad un livello più alto rispetto a quello di calpestio, per richiamare il rapporto fra spettatore ed autore della performance. Al contempo è reso riconoscibile anche sotto il punto di vista materico. Infatti i “palchetti” vengono trattati con una lamiera piena ossidata, mentre il resto della pavimentazione della passerella è completato da lamiere stirate a maglia romboidale da 44x18 millimetri. Viene trattato in maniera simile il sistema di parapetti. Questi si sviluppano su uno scheletro autoportante ad archi rovesciati, costituito da elementi metallici della sezione di 1x5 centimetri, connesso tramite tassellatura alla struttura in cemento armato e saldatura alle UPN300. A seconda di dove si trovi il “palchetto”, il telaio si sviluppa o meno fino al solaio di copertura. La tamponatura del telaietto metallico avviene attraverso l’applicazione di una rete metallica a maglia romboidale da 60x30 millimetri.

153


upn - ancoraggio

1:5


Una volta determinata la composizione strutturale della passerella e del relativo parapetto, si è studiato nel dettaglio il sistema di ancoraggio che permette al complesso di essere appeso al solaio di copertura. Il sistema è piuttosto semplice e ruota attorno alla ripetizione in corrispondenza di ogni nodo UPN-IPE, di una barra metallica Ø20. Agli estremi della barra sono saldate due piastre in acciaio rispettivamente con un duplice foro. Questo elemento si inserisce, a livello della passerella, all’interno di una forcella composta da due piastre metalliche poste in verticale e saldate ad un’ulteriore piastra ortogonale ad esse, ma sempre in verticale. Tale elemento è a sua volta saldato in posizione esterna all’UPN. La barra e la forcella metallica vengono infine connesse l’un l’altra attraverso imbullonatura, che presenta una buona resistenza allo sforzo di taglio che si viene a sviluppare. Il nodo fra ancoraggio e trave di copertura si comporta in maniera simile, con la differenza che la forcella metallica che accoglie la barra è fissata alla trave attraverso un sistema di barre filettate e bulloni, e la giunzione è protetta da un carter profondo 20 centimetri all’interno del solaio. Impostato il sistema di sostegno della passerella, si è proceduto ad inserire degli elementi che impedissero lo sbandamento e quindi l’eccessiva sollecitazione del sistema. Le passerelle vengono quindi rese solidali ai pilastri attraverso l’inserimento di due barre filettate. Queste sono predisposte durante la fase di allestimento delle armature per essere poi imbullonate alle UPN già forate in precedenza.

155


pilastro - upn

1:10


pilastro - upn

1:10


ancoraggio - trave

1:5




5.6 elaborati grafici Nel capitolo degli elaborati grafici vengono raccolti i prodotti finali del progetto. Si tratta di piante, prospetti, sezioni e viste dove convertono gli studi morfologici e materici. Questi vengono inseriti nel contesto di appartenenza in una chiave graficamente evocativa alla quale è affidato il fondamentale compito di far risaltare la componente fortemente naturale che contraddistingue il luogo. Allo stesso tempo si è posta anche l’attenzione sulla comunicazione visiva fra San Luca e il nuovo progetto riguardante la funivia, relazione obbligata fra le uniche due architetture di rilievo del colle. Le piante e i prospetti si concentrano sull’esplicazione del trattamento degli spazi dal punto di vista bidimensionale e dell’utilizzo dei materiali. Inoltre vogliono mostrare in maniera chiara e leggibile il rapporto fra il declivio e l’inserimento architettonico. Per quanto riguarda i prospetti e le viste interne al contrario l’attenzione è posta sulla comprensione dei volumi, quindi sull’aspetto tridimensionale. Questi elaborati vogliono mostrare gli spazi nel pieno della loro destinazione funzionale e cercare di spiegare le suggestioni che tale architettura dovrebbe suscitare al visitatore.

161



piante

1:200


piano terra



piano primo



piano secondo



copertura




prospetti

1:250


nord est



nord ovest



sud est



sud ovest




sezioni







prospettive interne


piano primo



prospettiva scale






conclusioni Proiettandoci in un utopistico futuro in cui questo progetto venga realizzato, vedo la ricomposizione della stazione come un primo intervento di riqualificazione e valorizzazione del colle, come un primo passo per portare alla luce l’immenso potenziale nascosto. Mi piace pensare che la nuova stazione possa suscitare nelle persone l’euforia che un tempo comportava il viaggio in funivia. Mi immagino una serie di interventi paralleli, come la creazione di una rete di residenze indipendenti disperse in mezzo agli alberi, sempre sospese come per rispetto del contesto naturale. Lo scopo di questo progetto di tesi non è stato tanto raggiungere il risultato finale, quanto l’affrontare a piccoli passi un tema fondamentale al giorno d’oggi come l’intervento sul dismesso. Ho personalmente intrapreso questo percorso vivendolo come un esercizio di composizione in sintonia con il contesto esistente, effettuando forse alcune scelte azzardate ma sempre con relativa giustificazione. Da sempre ho creduto nell’idea che l’architettura debba in primo luogo essere utile, e solo successivamente concentrarsi sull’aspetto più spettacolare che tale disciplina può garantire attraverso le infinite possibilità morfologiche. Questo progetto non vuole avere alcuna pretesa, ma dimostrare in primis a me stesso che impegno e dedizione possono portare a qualunque risultato, scavalcando fatica e ripensamenti.

197



fonti bibliografiche CAPITOLO 2 - FUNIVIA - Giuseppe Quercioli, Funivia Bologna S.Luca, 1990 - Valeria Roncuzzi, Mauro Roversi, Bologna. Parole e immagini attraverso i secoli, Argelato (BO), Minerva, 2010 - Benedetta Basevi, Mirko Nottoli, Expo Bologna 1888: L’Esposizione Emiliana nei documenti dell Collezoni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Bononia University Press, 2015 - Walter Tega, Lo Studio e la città: Bologna 1888-1988, Bologna, Nuova Alfa, 1987 - Marco Poli, Accadde a Bologna: la città nelle sue date, Bologna, Costa, 2005 - Gresleri, Bernabei, Zagnoni, Bologna moderna 1860-1980, Bologna, Patron, 1984 - Tiziano Costa, Bologna in cronaca: notiziario cittadino dall’anno Mille alle soglie del Duemila: mille anni pubblici e privati, Bologna, Costa, 2014 - Paolo Ferrari Agri, Sei minuti di panorama: La Funivia Bologna-San Luca e il suo costruttore Ferruccio Gasparri, in “Il carrobbio. Rivista di studi bolognesi”, 1996 - Fabio Formentin, Paolo Rossi, Storia dei trasporti urbani di Bologna, Cortona, Calosci, 1998 - Ferruccio Gasparri, La funivia Bologna-San Luca, Bologna, Stab. poligrafici riuniti, 1933 CAPITOLO 3 - PERCORSO - Adolf Loos, Parole nel vuoto, Milano, Adelphi, 1972 - Max Risselada, Raumplan versus Plan Libre: Adolf Loos and Le Corbusier, Rizzoli Intl Pubns, 1988 CAPITOLO 4 - ARCO - Roberto Dulio, Oscar Niemeyer. Il palazzo Mondadori, Electa Mondadori, 2017

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fonti fotografiche CAPITOLO 1 - PREMESSA Fig 1.2.1 - Museo della B.V. di San Luca (BO) Fig 1.2.2 - web, fonte sconosciuta Fig 1.3.1 - web, Mossessian Architecture CAPITOLO 2 - FUNIVIA Fig 2.1.1 - web, http://www.rblatorre.it/ Fig 2.2.1 - Biblioteca Sala Borsa (BO) CAPITOLO 3 - PERCORSO Fig 2.3.1 - Bibliteca dell’Archiginnasio (BO) Fig 2.3.2 - web, https://forum.volabologna.it/ Fig 2.3.3 - web, https://forum.volabologna.it/ Fig 2.3.4 - web, https://forum.volabologna.it/ Fig 2.3.5 - web, www.pieroingenni.it Fig 2.3.6 - web, https://forum.volabologna.it/ CAPITOLO 4 - ARCO Fig 3.1.1 - web, http://socks-studio.com/ Fig 3.2.1 - web, https://www.campobaeza.com/ Fig 3.3.1 - web, https://oma.eu/ Fig 3.3.2 - web, https://oma.eu/ CAPITOLO 5 - PROGETTO Fig 4.1.1 - web, http://www.toyo-ito.co.jp/ Fig 4.2.1 - fonte personale Fig 4.2.2 - fonte personale

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fonti sitografiche CAPITOLO 1 - PREMESSA - http://statistica.comune.bologna.it/cittaconfronto/turismo-0 - https://www.bodiocenter.com/zesteat/ - http://avadhshilpgram.in/ - http://dasandere.it/il-riuso-urbano-come-elemento-imprescindibile-per-le-periferie/ - http://www.mossessian.com/process/urban-room/ CAPITOLO 2 - FUNIVIA - https://forum.volabologna.it/viewtopic.php?t=1393 - http://www.pieroingenni.it/funivia.php CAPITOLO 3 - PERCORSO - http://www.vg-hortus.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1636:adolf-loos-ca sa-mueller&catid=13:studi-storici&Itemid=15 - https://www.edilia2000.it/Adolf-Loos-a-Praga-Viaggio-reportage-n-6_5-2-8383.html - https://www.campobaeza.com/cala-house/ - https://www.archdaily.com/781211/raumplan-house-alberto-campo-baeza - http://www.zeroundicipiu.it/2011/05/05/percorso/ - https://oma.eu/projects/tres-grande-bibliotheque - https://oma.eu/projects/zentrum-fur-kunst-und-medientechnologie - https://wordsinspace.net/shannon/2012/09/07/koolhaass-libraries/ - https://oma.eu/projects/netherlands-embassy - https://oma.eu/projects/jussieu-two-libraries CAPITOLO 4 - ARCO - http://www.raiscuola.rai.it/articoli/l-arco-il-linguaggio-dellarchitettura/8222/default.aspx - http://www.toyo-ito.co.jp/WWW/Project_Descript/2005-/2005-p_11/1-800.jpg - https://www.archdaily.com/806115/ad-classics-master-plan-for-chandigarh-le-corbusier - https://www.dezeen.com/2007/09/11/tama-art-university-library-by-toyo-ito/ - https://www.ignant.com/2018/09/27/oscar-niemeyers-favourite-masterpiece-an-abstract-curving-publishing-house-in-italy/

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appendice

stato di fatto


esterno







interno









affacci








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