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La salute del film lacrimale nella chirurgia refrattiva

di Fabio Di Censo

Al giorno d’oggi la chirurgia refrattiva è una delle opzioni più comunemente adottate per il miglioramento permanente della qualità della vista, con la garanzia di risultati eccellenti e un grado di soddisfazione del paziente sempre più elevato. Nonostante i miglioramenti dal punto di vista tecnico e tecnologico in oftalmologia, una delle più comuni e note complicanze post-operatorie della chirurgia refrattiva rimane l’insorgenza della malattia dell’Occhio Secco (DED), causata da un’anomalia iatrogena del film lacrimale. Questa complicanza post-operatoria estremamente comune può variare in incidenza e gravità a seconda della procedura di chirurgia refrattiva eseguita, con un rischio maggiore nel post-operatorio di LASIK segnalato nel 94,8%, nell’85,4% e nel 59,4% dei pazienti rispettivamente ad un giorno, ad una settimana e ad un mese dall’intervento. La malattia dell’Occhio Secco trova una causa molto importante nella riduzione della sensazione corneale post-operatoria anche ad un mese dall’intervento di LASIK, che porta ad un calo della produzione lacrimale e della frequenza di ammiccamento. Il recupero della sensazione corneale può richiedere tempi anche estesi, dalle tre settimane fino ai quattordici mesi, con un completo recupero morfologico dei nervi corneali fino a sei mesi dall’intervento di LASIK ed un recupero completo della densità nei nervi sub-basale e stromale a livelli preoperatori dopo circa cinque anni. Questo quadro può risultare ulteriormente complicato nei pazienti con un disturbo della superficie oculare precedente all’intervento di chirurgia refrattiva. A livello pre-operatorio è diventata buona consuetudine infatti valutare in modo approfondito la presenza di anomalie della superficie oculare del paziente, con una valutazione del film lacrimale, TBUT, colorazione con fluoresceina della superficie oculare e test di Schirmer. I margini palpebrali devono essere inoltre esaminati attentamente per evidenziare la presenza di blefariti e disfunzioni della ghiandola di Meibomio, condizioni che possono predisporre il paziente a cheratiti o infezioni post-operatorie. È invece considerato cardinale nel trattamento della DED post-operatoria la somministrazione frequente di colliri lubrificanti preservative-free, in particolari nei casi di occhio secco lieve e moderato e con una riduzione dello strato acquoso. Tra i numerosi sostituti lacrimali contenenti additivi per supportare la fase di riparazione tissutale post-operatoria, quelli senza conservanti e specialmente quelli contenenti acido ialuronico (HA) 0.15% hanno dimostrato una particolare efficacia nella riduzione della sintomatologia. Questo è possibile grazie alle proprietà ritentive e viscoelastiche dell’acido ialuronico, assieme alla sua capacità di promuovere la guarigione delle ferite dell’epitelio corneale. Non tutti gli acidi ialuronici tuttavia sono uguali in termini di purezza ed efficacia. L’acido ialuronico può essere prodotto in diversi modi, per via biotecnologica, tramite fermentazione batterica, o per estrazione da origine animale. L’acido ialuronico prodotto in via biotecnologica è qualitativamente più puro, il che si traduce in una sensibile riduzione di effetti collaterali legati alla presenza di possibili contaminanti o inquinanti nella formulazione del prodotto. Anche il peso molecolare dell’acido ialuronico gioca un ruolo fondamentale: diversi studi hanno dimostrato come da esso dipende una differente modulazione dei processi cellulari. Mentre l’acido ialuronico ad alto peso molecolare (da 2

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mDa a 1 mDa) possiede proprietà antinfiammatorie, un acido ialuronico a basso peso molecolare può al contrario essere pro-infiammatorio. Uno studio condotto da D’Agostino et al ha dimostrato come la lunghezza delle catene di acido ialuronico risulti essere inversamente proporzionale al tempo necessario per completare un processo di riparazione tissutale. Osservazione doppiata da Camilleri et al, che ha rimarcato come il processo coadiuvato di riparazione del danno corneale è strettamente dipendente dal peso molecolare. L’acido ialuronico in particolare, favorisce la migrazione delle cellule dell’epitelio corneale, un processo non solo mediato dal suo ruolo meccanico protettivo esercitato sulle cellule epiteliali, ma anche dalla sua capacità di attivare i recettori presenti sulle cellule epiteliali corneali. È stato osservato come anche il ginkgo biloba sia molto importante nel contribuire alla reinnervazione del plesso nervoso supepiteliale corneale dopo la chirurgia refrattiva. In uno studio condotto da Bisantis, si è visto come già al terzo mese postoperatorio si registrava un costante aumento delle fibre nervose negli occhi trattati con ginkgo biloba, rispetto a quelli trattati con altre lacrime artificiali. Ad un anno, la concentrazione del plesso nervoso risultava maggiore nel gruppo trattato con ginkgo biloba. Lo studio ha inoltre osservato una ridotta iperreattività cellulare e iperreflettività dello stroma anteriore nei pazienti trattati con il ginkgo biloba. Infatti, la capacità del ginkgo biloba di penetrare nelle cellule e proteggere il DNA nucleare, genera un’azione citoprotettiva nei confronti delle cellule sottoposte a stress fotoablativo, grazie anche alle proprietà antiflogistiche della Ginkgetina, un biflavone contenuto nell’estratto di ginkgo biloba, esso stesso dalle proprietà antiapoptotiche. L’estratto di ginkgo biloba, infatti, contiene procianidine, prodelfinidine e terpeni, capaci di contrastare in modo efficace l’apoptosi cellulare.

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