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LE BARRIERE NON BASTANO
from EyeSee 3/2020
Approfondimenti
LE BARRIERE NON BASTANO L’uso dei dispositivi di protezione individuale come un obbligo sia per il paziente che per il medico per una pratica ambulatoriale in tutta sicurezza.
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CCon la riapertura alle attività difIntervista a Efrem Mandelcorn, feribili nelle cliniche, l’esercizio in
Graduate Faculty Institute tutta sicurezza della professione of Medical Science, dell’oftalmologo è diventata una Università di Toronto, Canada questione di estrema importanza. Assieme all’utilizzo dei DPI, agli accorgimenti sanitari come la disinfezione di mani, ambienti e dispositivi diagnostici, e una più rigida gestione del flusso dei pazienti, il distanziamento sociale è diventato una precauzione necessaria per la salute del medico e del paziente. “Noi oftalmologi siamo sempre stati un un rapporto faccia a faccia con il paziente, a cadenza quotidiana. E questo ci ha da sempre messo in prima linea nel rischio di esposizione a virus respiratori, specialmente con i pazienti asintomatici. All’inizio della pandemia, Per collegarsi tutto quello su cui l’oftalmologo al video, scansionare poteva fare affidamento era la mail codice QR scherina solo per sé stesso e una barriera di plexiglass per fermare i droplets”, afferma il Dottor Efrem Mandelcorn, Professore ricercatore e membro associato della Graduate Faculty Institute of Medical Science, Università di Toronto. Assieme alla collega, Dottoressa Tina Felfeli, Mandelcorn ha pubblicato un’importante Research Letter su Jama Ophthalmology, per sostenere l’importanza assoluta di far indossare gli appropriati DPI anche al paziente. Nella lettera veniva riportata una simulazione condotta dagli autori tra marzo e aprile 2020 in cui veniva esaminato il potenziale spread dei droplets di un colpo di tosse, e quanto lo scudo di plexiglass potesse efficacemente proteggere il medico. “La nostra simulazione ha analizzato l’efficacia delle barriere trasparenti nei dispositivi diagnostici e i risultati hanno dimostrato quanto i droplets possano arrivare a depositarsi sulla slit lamp, sulle pareti e sul pavimento dell’ambulatorio, nonché sui vestiti del medico”, spiega Mandelcorn. Secondo gli autori, per quanto la presenza di una barriera protettiva riesca a bloccare la maggior parte dei droplets, una porzione di essi riesce comunque a raggiungere l’area occupata dal medico, colpendo prevalentemente petto, braccia e spalle. “Questo sottolinea l’importanza di disinfettare attentamente il mac-
Efrem Mandelcorn è professore ricercatore e membro associato della Graduate Faculty Institute of Medical Science, Università di Toronto
di Timothy Norris
chinario e l’area circostante ad ogni uso, nonché di utilizzare DPI monouso, che comprendono anche la presenza di copricapi e copriscarpe oltre ai dispositivi già raccomandati”, osserva Mandelcorn. L’utilizzo della mascherina per il paziente è una comprovata necessità inderogabile per scongiurare una contaminazione di tutta l’area. “Anche quando il medico indossa tutte le protezioni individuali, il rischio di contagio associato alla pratica di visitare un paziente che non indossa i DPI adeguati rimane alto”, osserva Mandelcorn. “I risultati dell’esperimento hanno mostrato chiaramente quanto la mascherina indossata dal paziente riduca in modo sensibile il quantitativo di droplets nell’aria e questo ha definito meglio quanto il rischio sia di gran lunga ridotto quando, oltre al medico, anche il paziente indossa i DPI appropriati”, dichiara. Secondo Mandelcorn, un aumento significativo della sicurezza nella professione medica è rappresentato dalla compresenza nella pratica oftalmologica della telemedicina. “La telemedicina è stata per molti anni una componente essenziale per aumentare l’accessibilità alle cure oftalmiche per una più larga fetta della popolazione. Oggi la telemedicina ha ottenuto un ulteriore riconoscimento come pratica utile per fronteggiare la crisi sanitaria attuale, in quanto capace di raggiungere anche le frange di popolazione più deboli, anziane e vulnerabili al rischio di contagio da COVID-19” afferma Mandelcorn. “Grazie ai recenti sviluppi nelle tecnologie di trasferimento di dati clinici e imaging in formato digitale, e tutti gli altri vantaggi ad essa associati, la teleoftalmologia è diventata una risorsa da tenere assolutamente in considerazione” conclude.
ATLANTE DELLE INFIAMMAZIONI OCULARI E. Miserocchi - G. M. Modorati - F.M. Bandello
Ad un anno dalla pubblicazione della prima parte dell’Atlante delle infiammazioni oculari, che riguardava il segmento anteriore, vede la luce il secondo volume di questo progetto, che tratta delle infiammazioni del segmento posteriore dell’occhio. Negli ultimi anni vi è stato un significativo aumento delle conoscenze di base riguardo forme di uveite posteriore un tempo sconosciute: vari meccanismi immunologi sono stati delucidati e diversi agenti eziologici di uveiti infettive, come quelli della malattia di Lyme o della malattia di Whipple, sono stati scoperti. Ma è soprattutto sul versante clinico che si sono realizzati i maggiori progressi. Le infiammazioni di retina e coroide sono fra le patologie oculari che più di tutte si sono avvantaggiate dei recenti progressi tecnologici in campo diagnostico e terapeutico. L’introduzione e il diffondersi di tecniche diagnostiche come la fotografia wide-angle del fundus, l’OCT ad alta risoluzione e l’angio-OCT, insieme con l’applicazione della PCR nell’identificazione di vari agenti patogeni, ha permesso una più pronta e precisa diagnosi di molte infiammazioni corioretiniche. Ciò è fondamentale in quanto una diagnosi precoce, quando la malattia è ancora in fase iniziale, può permettere di instaurare misure adeguate atte ad evitare il prodursi di danni irreversibili. Sul versante terapeutico poi è stato osservato un fondamentale progresso con le iniezioni intravitreali di vari farmaci che permettono di fornire a quel santuario farmacologico che è la retina una quantità di medicamento non ottenibile con altre vie di somministrazione. Ed infine, l’uso più esteso della vitrectomia via pars plana, oggi eseguita con strumenti molto sofisticati e mini-invasivi, permette di affrontare casi di endoftalmite o talune forme di panuveite altrimenti non aggredibili. L’impostazione di questo atlante ricalca quella del precedente, con una breve descrizione delle varie patologie seguita da un’ampia parte iconografica in cui vengono presentati sia casi scolastici come anche casi meno tipici delle varie forme di uveite. La speranza è che questo secondo volume possa avere lo stesso successo riscosso dal precedente, il che ripagherebbe l’impegno dei vari collaboratori, giovani e meno giovani, che hanno contribuito alla sua realizzazione. Francesco Bandello NOVITÀ EDITORIALE