Trame emerse

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UNIVERSITA’ IUAV DI VENEZIA - FACOLTA’ DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA IN ARCHITETTURA (ordinamento d.m. 24/02/93 e precedenti) ANNO ACCADEMICO 2010/2011

trame emerse un’isola fondaco come laboratorio di cultura nella laguna di venezia

_relatori prof. arch. Valter Tronchin prof. arch. Roberta Albiero _correlatore arch. Giuseppe Biasi _laureando Marco Gaggio matr. 233947


a Valter


a Valter


indice I. introduzione 1. lo spazio dell’architettura

p.1

una disciplina autonoma evento - luogo potenziale di accadimenti apollineo/dionisiaco 2. sulla forma

p.13

la vita delle forme composizione delle forme a. forma come composizione delle parti b. forma come ciò che viene presentato direttamente agli occhi c. forma come unità genetica fine del doppio spazio liscio/spazio striato 3. trame sommerse: venezia cercando venezia

p.27


la sintassi della memoria: barene, ghebi e velme - analisi diacronica la sintassi della memoria: le centurie - analisi sincronica sul sito progettuale 4. temi formali

p.53

aggregare, delimitare e misurare la casa a corte romana la casa fondaco veneziana il fondaco 5. percorso progettuale

p.67

il fondaco dei veneziani Il progetto i materiali bibliografia

p.79


Maurits C. Escher, Metamorfosi I, xilografia, 1937


introduzione

Questa tesi vuole essere un percorso senza tempo che indaga i principi alle origini del fare architettonico e che fa della ricerca stessa mezzo di elaborazione per fissare quei temi di indagine che segneranno il resto della vita, in un momento storico dove queste sembrano essere più che mai dimenticate. Alle origini del fare si sono individuati gli eterni due estremi che alternandosi scandiscono la storia dell’umanità. I caratteri identificati nell’apollineo e nel dionisiaco, le due facce della stessa medaglia che trovano nella loro opposizione una reciproca forza e ragione d’essere. Attraverso queste indagini si è cercato di trovare un equilibrio tra le due nella coalescenza delle forme e nel capire come questi istinti oggi possano convivere contemporaneamente, trovando nel tema della maschera una possibile fusione, dove lo spettatore si confonde con l’attore, in questo parallelismo tra teatro ed architettura che trovano la stessa sintesi nell’evento. Il doppio e la contrapposizione delle coppie antinomiche sono stati temi di ricerca in questa tesi che fondamentalmente non ha una ‘tesi’ da dimostrare, ma si compone di processi che si intrecciano in supposizioni aperte e in domande dagli esiti non ancora scontati.

I


Indagando la forma, tra eidos e morfé, tra vocazione formale e tipo a priori, dove ci si interroga se l’architettura sia la condizione di possibilità di un mondo o il mondo ne sia la condizione di possibilità; e trovando nella forma intesa come unità genetica una sua possibile spiegazione. Da qui l’interesse di cercare nelle origini di Venezia, che rappresenta simbolicamente di per sé l’essenza del doppio (non a caso Venezia è la città del 2, costruita sulla ripetizione cellulare di numeri pari), quei percorsi che si sdoppiano e si sovrappongono tra la sua fondazione ‘classica’ intesa come natura orografica e legata alla laguna e l’altra più onirica e ‘mitica’ (nel senso di mito) legata ai tracciati romani dell’immediato entroterra di cui Wladimiro Dorigo ha dato una chiave di lettura. Il tentativo di fondere questi opposti, è il filo conduttore, sempre in bilico tra quelle esigenze imprescindibili legate all’ineluttabilità della natura e quelle esigenze finalistiche di carattere più umano, alla ricerca di un equilibrio precario. L’ossimoro trova una sintesi anche nella scelta del tema progettuale che cade in un intreccio tra ricerche teoriche, sito e contesto progettuale, nella figura del fondaco come elemento architettonico ibrido dalle molteplici funzioni. Paradigma delle coppie pubblico/privato, aperto/chiuso, stanziale/nomade, deposito/passaggio; il suo ‘recinto’ di aggregazione diventa snodo di scambio e ‘porta’ tra mondi e vettori spaziali altrimenti inconciliabili. II


Questo conduce a ritroso l’indagine alle origini dell’architettura stessa nelle figure della domus e della casa a corte romana, discendenti di quella capanna primigenia che l’uomo costruì per difendersi dall’ignoto, tra dentro/fuori, luce/ombra, giorno/notte, caldo/freddo. Il percorso di indagine è inscrivibile nella figura del cerchio dove gli estremi tentano di ricongiungersi in una visione del tempo non più lineare e diacronica, bensì ciclica. Così nasce anche l’idea del tema funzionale che ‘chiudendosi’ in questa tautologia propone ancora una volta il tema di Venezia, ovvero un fondaco per, o meglio, dei veneziani, intesi come stranieri nella città ormai in mano al turismo. Il fondaco per i veneziani riprende pertanto tutti quei temi legati al concetto di fondaco e li traslittera in una declinazione contemporanea dove lo strumento digitale diventa principale mezzo di comunicazione. Un’interfaccia mediatica, ancora una volta una ‘maschera’, in grado di custodire e allo stesso tempo divulgare la cultura veneziana in una ‘operante storia’ dal finale forse non del tutto scritto.

III



1. lo spazio dell’architettura

una disciplina autonoma

<<I principi sorgono dall’essenza stessa dei mezzi impiegati e i mezzi vengono scelti come conseguenza inalienabile dei principi>> E.N.Rogers “Gli elementi del fenomeno architettonico”

Attualmente l’autonomia dell’architettura, la sua libera espressione, è quanto di meno facile sia possibile raggiungere. La tecnologia, l’urbanistica, l’architettura del paesaggio e il disegno industriale sembrano aver conquistato degli ambiti sempre più specifici e indipendenti, ottenendo risultati dall’indiscussa importanza. L’architettura è il risultato di tutti gli altri domini o, al contrario, sono questi che trovano significato in seno all’architettura? Questa deve farsi spazio nell’ambito di quella che è la sua vocazione primaria, ritornando ad essere soluzione, legante, essenza. Poiché se si rivendica l’interdisciplinarità si rivendica anche, come afferma Gregotti, il valore dell’esistenza delle identità disciplinari dialoganti. Sembra che l’architetto, per affermare la propria autonomia, debba produrre qualcosa di estremo o sbalorditivo, nel tentativo di imprimersi con immagini 1


sempre più forti nella mente del fruitore, correndo il rischio di relegare l’architettura ad una funzione di pura immagine o ancor peggio di marchio di moda. L’architettura può ancora trovare nello specifico delle propria disciplina quegli elementi che la rendano unica rispetto a tutte le altre che da anni ne minano la sua esistenza e ne riducono il suo ambito. Elementi che entrano, come parti, nella composizione di un fatto unitario e che concorrono a formarlo. Quei principi e fondamenti della teoria della disciplina che ne costituiscono la composizione come un’aggregazione allo stesso tempo meccanica di quei fattori imprescindibili, e finalistica di quegli enunciati predeterminati. L’architettura ha delle sue esigenze inevitabili determinate dallo stare nel mondo. Questi fattori costituiscono la base di partenza del suo fare e si possono riassumere in tre principali: la gravità come tramite per la scelta dei materiali nella determinazione della struttura; la luce come elemento fondamentale per la vita degli uomini e fonte di energia; il clima come esigenza di proteggere dal caldo o dal freddo, dalle intemperie, individuando il confine tra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori. Emergenze che trovano una sintesi se si pensa allo “spazio” come materia vera e propria del comporre e riprendendo, per aiutarci in questa descrizione, le 2


caratteristiche identificate da Luigi Moretti1 : forma geometrica (semplice o complessa che sia); dimensione (intesa come quantità di volume assoluto); densità (in dipendenza della quantità e distribuzione della luce che li permea); pressione, o carica energetica (secondo la prossimità più o meno incombente, in ciascun punto dello spazio, delle masse costruttive liminari, delle energie ideali che da esse sprigionano). L’architettura è pertanto, come direbbe Zevi, composizione di spazi, dove lo spazio può essere letto come volume in negativo. Gli altri elementi che agiscono come forze vitali per le scelte formali, si possono riassumere sotto il termine di “struttura”, utilizzando un’altra definizione del Moretti, e sono: i concetti, il pensiero, ovvero le idee dell’architetto e tutto il suo substrato teorico; la storia, il genius loci e le forze legate al sito nel quale si progetta. Poiché la forma è data dalla <<"struttura” nel senso che si assume in logica-matematica cioè di "complesso di relazioni">>2. Si assume il presupposto che, al contrario di una visione lineare di successione tra principio e fine, gli elementi della fenomenologia architettonica sono al tempo stesso causa ed effetto, perché <<rappresentando l’essenza, ne assumono tutta la vitalità>>3 .

Luigi Moretti "Strutture e sequenze di spazi" in Spazio n.7, Roma 1952 Luigi Moretti "Strutture e sequenze di spazi" Spazio n.7, Roma 1952 3 E.N.Rogers “Gli elementi del fenomeno architettonico” p.26 1 2

3

Marc Antoine Laugier, Frontespizio de “Essai sur l'architecture”, 1755


Questi elementi determinano un’autoreferenzialità del fare architettonico dove una forma, una composizione, contiene di per sé la propria giustificazione, diventando essa stessa critica dell’esistente e dove il disegno nel suo processo euristico (dal greco εὑρίσκω, trovare) scopre, nel lento processo di stratificazione dei segni, come può giustificare la propria forma e diventare al tempo stesso progetto.

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

scavo/pianta attacco a terra struttura portante modulo/misura involucro/facciate spazio copertura

Il prof. Valter Tronchin individua 7 elementi costanti per questa grammatica compositiva, riassumendo efficacemente tutti gli aspetti dell’architettura così da far diventare qualsiasi progetto critica stessa della disciplina. Queste sono: lo scavo, inteso sia come atto dell'appropriarsi della terra che come indagine all’interno di sé stessi; l’attacco a terra nell’indagine della pesantezza o leggerezza a seconda del basamento pieno o vuoto; la struttura, come indice di libertà spaziale; il modulo, nella definizione del ‘ritmo’ e della misura alla ricerca di un equilibrio; l’involucro come superficie o pelle dell’edificio sul quale intervenire autonomamente; lo spazio come volume intero con una concreta presenza; la copertura, nella simbolicità del suo gesto come atto del ripararsi.

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evento - un luogo potenziale di accadimenti <<Sono gli uomini che vivono gli spazi, sono le azioni che in essi si estrinsecano, è la vita fisica, psicologica, spirituale che in essi si svolge. Il contenuto dell’architettura è il suo contenuto sociale>> Zevi, Saper vedere l’architettura

L’architettura nasce come esigenza del fare spazio, del mettere ordine e dare un senso allo spazio. Lo spazio in questa maniera diventa identificabile, ed è nella sua identificazione che l’architettura acquista senso, ovvero quando questa inizia a rappresentarsi. Zevi parla di architettura intesa come “vuoti racchiusi”. La prerogativa di questo mestiere è costituire degli spazi tridimensionali all’interno dei quali l’uomo possa svolgere le proprie attività. L’architettura è la “cornice” di eventi che determinano la vita dell’essere umano. L’evento, inteso anche come rito, definisce lo spazio. Così facendo il rito caratterizza un luogo (aver luogo significa proprio accadere, avvenire) che si imprimerà nella memoria di chi ha vissuto quel momento. L’architettura deve essere, quanto più possibile, un luogo potenziale di accadimenti. Accogliendo e valorizzando la predisposizione dell’uomo all’evento, ispirandolo e migliorandone l’esistenza. L’architettura è il teatro della vita. E come tale dovrebbe rappresentare al meglio l’uomo, dando luogo alla materializzazione di spazi che 5

Scena tratta dal cortometraggio surrealista “Un chien Andalou”, di Luis Bunuel (1929). Metafora dell’occhio che tutto vuole vedere.


possano facilitarne le azioni sociali: incontrare, conoscersi, comunicare. La parola teatro deriva dal greco théatron che significa osservare, guardare. Oltre che luogo della rappresentazione di opere o spettacoli il teatro può essere inteso anzitutto come luogo dello sguardo. Il teatro, a differenza delle altre arti, si realizza solo nel momento in cui avviene la messa in scena. Per esistere ha bisogno di essere condiviso nel tempo, tramite la presenza contemporanea di attori e di un pubblico. La stessa cosa accade in architettura dove la partecipazione degli uomini, nella condivisione dell’evento, la fa esistere. Architettura come luogo della “percezione condivisa”. L’evento in quell’esatto momento, lo scenario delle nostre giornate.

Antonin Artaud, il Teatro della crudeltà (1932-37) La "rivoluzione" teatrale di Artaud consiste nel ripudio della tradizione occidentale, in nome di un'azione immediata e violenta della rappresentazione. Una specie di esperienza cerimoniale primitiva, o di esorcismo magico, volto a creare, con la comunione di autore e pubblico, un linguaggio superiore alle parole, capace di liberare l'inconscio e di sovvertire pensiero e logica.

Durante la storia dell’occidente si è cercato di dare espressione a quest’esigenza. Rendendo visibile, attraverso la materia, lo spazio adeguato a rappresentare l’uomo; e con esso tutti quei fattori legati alla contingenza dell’epoca in cui vive. Questo è stato possibile fin tanto che il tempo si è sviluppato in maniera cartesiana-lineare. L’epoca contemporanea ha scardinato definitivamente ogni possibilità di teorie universalmente accettabili. La grande verità odierna è che esistono più verità egualmente valide ed è nella coesistenza di queste che si definiscono nuovi scenari multiversali. L’architetto interviene come un demiurgo 6


attraverso scelte mirate e controllate in grado di intessere nuove trame e sovrapposizioni dagli esiti inaspettati.

apollineo/dionisiaco <<Perché questa città ideale non potrebbe esplicitamente fungere da teatro di profezia e da teatro di memoria allo stesso tempo?>> C. Rowe “Collage City”

La tragedia è una delle più antiche nonché massime espressioni del teatro. Questa definisce un parallelismo tra l’architettura e il suo fine, individuando nella sintesi dei suoi caratteri il tema di ricerca. Apollineo e dionisiaco sono gli istinti opposti, complementari e complici alle radici della civiltà greca. E’ con il testo “Nascita della tragedia” che Nietzsche individua questi due impulsi dominanti, il primo interpreta la razionalità, il secondo la volontà di potenza. Apollo è il dio della serenità e dell’armonia delle cose, in un rapporto ordinato fra i vari elementi e il suo spirito incarna l’esigenza umana di fuggire il caos nella produzione di forme rassicuranti e razionali. Al contrario Dioniso è il dio dell’energia naturale che ciclicamente riappare sulla terra nel susseguirsi delle stagioni, è la spontaneità dell’istinto umano, della vita, del gioco e dell’ineluttabilità. Uno incarna l’arte scultorea e l’altro 7


l’arte della musica, trovando perfetta sintesi nella tragedia. <<Due facce di una medesima sacralità e ritualità che hanno nella sapienza la sua meta essenziale>>4 .

Kasimir Malevic, Quadrato bianco su fondo bianco, 1919, museo d’arte moderna, New York

Kurt Scwhitters, Merzbau, Hannover, 1923-37 <<Nel caos si trova una nuova purezza, tempo e spazio puri. Elementi primari ammettono solo il “linguaggio dell’assenza”. Apollineo e dionisiaco si ricongiungono.>> M. Tafuri, Ordine e disordine, Casabella n. 421, 1977

Secondo Nietzche la creazione del mondo olimpico è l’esigenza di trasporre lo spirito apollineo in un mondo altro che diventi per gli esseri umani al tempo stesso esempio e oggetto del desiderio, al fine di stimolarne la creatività che altro non è che lo spirito dionisiaco. L’atto creativo sublima nell’arte liberandosi dal dionisiaco e mascherandosi nell’apparenza apollinea. L’arte diventa sospensione e fuga dall’individuale fatalità del vivere. Queste considerazioni dividono l’uomo in due soggettività: quella che individua la vita dell’uomo come immutabile e ciclica ripetizione delle esigenze della sua specie, ovvero la conservazione e la riproduzione; dall’altro l’illusione di poter vivere in base a progetti e scelte personali che esulano dalle esigenze primarie della specie. La maschera è l’oggetto ambiguo della sintesi. Da un lato permette di accettare la verità dell’esistenza (spirito dionisiaco), salvaguardandone il mistero della sua profondità; mentre dall’altro rifugge la realtà e aiuta l’uomo ad illudersi di avere possesso della propria vita (spirito apollineo). La contraddizione della condizione umana è per Nietzsche l’essenza della tragedia, che oggi 4

Carlo Sini “Apollineo e dionisiaco” da Archint n°7 1999

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va compresa e accolta. L’accettazione delle regole della natura come liberazione da tutte le illusioni, come liberazione del dionisiaco, nella rinuncia di ogni certezza assoluta. L’accettazione dell’inaccettabile, nell’impossibilità di definire e giudicare la vita interiore, dalla quale non si attinge altro che la maschera. Maschera come frutto della divergenza tra essere e apparire, nell’impossibilità di una coincidenza tra i due. La maschera, nei suoi innumerevoli modi di apparire, è l’espressione libera della creatività dionisiaca. Con la scelta consapevole e controllata della maschera, l’uomo prende possesso dei limiti della propria esistenza. La via dell’alterità come via dell’autoconsapevolezza. La rivincita di Dioniso come capacità di affrontare la caoticità dell’essere, nella riaffermazione dell’equilibrio e dell’armonia tra le due differenti sensibilità del razionale e dell’irrazionale. Ne consegue l’odierna esigenza di un ritorno al mito inteso etimologicamente come parola-racconto, e non del mito sfruttandone solo l’immagine, tentando una rielaborazione della metafisica e del mondo altro. In questo senso si riprende la tragedia greca come inizio della rappresentazione del mito e summa dell’essenza umana. Intesa originariamente come rito sacrificale propiziatorio che avveniva in concomitanza degli equinozi e dei solstizi nell’eterna lotta tra luce e tenebre, giorno e 9

Isa Genzken (1948) "Oil", Padiglione Germania 52^ Biennale d'Arte, Venezia 2007


notte, caldo e freddo, bene e male; per infine trionfare la vita sulla morte. in breve sulla maschera La definizione di maschera esprime la doppiezza del significato di questa parola. L’etimologia è ambigua, come è ambiguo l’uso di quest’oggetto. L’origine latina deriva probabilmente dalla parola màsca che significa ‘strega’ o ‘stregone’, da cui successivamente si è ampliato il significato in ‘fantasma’ o comunque in generale di ‘camuffamento per spaventare’. La seconda origine del termine si ritrova nella parola araba maschara o mascharat, che significa ‘buffonata’, ‘burla’, a sua volta derivante dal verbo sachira, ‘deridere’, ‘burlare’, molto probabilmente importato in Europa durante le crociate.

eisenman/koolhaas <<Portando alle estreme conseguenze i loro ruoli, l'autonomista Eisenman e il verista Koolhaas finiscono per sovrapporsi nel medesimo luogo e cioè quello di un progetto deliberatamente e coscientemente senza speranza, senza futuro, straordinariamente cupo, che abbandona definitivamente la rassicurante maschera del supermodernismo che la critica gli aveva confezionato e si mostra in tutto il suo pessimismo aggressivo>> “Postmodern Oppositions. Eisenman contro Koolhaas” Pier Vittorio Aureli, Gabriele Mastrigli.

Le due origini definiscono i due aspetti concernenti la maschera, i due significati nel tempo sono stati assimilati dal significante della parola determinando così il doppio aspetto della maschera: da un lato l’aspetto primordiale di ‘anima cattiva’ o ‘defunto’ dell’origine latina, dall’altro l’aspetto goliardico e festoso di origine araba. Essenzialmente il simulacro della maschera è stato utilizzato da svariate popolazioni arcaiche al fine di entrare in comunicazione con la divinità, nella convinzione che la maschera alieni dalle convenzioni spazio-temporali umane, dando la possibilità a chi la indossa di liberarsi temporaneamente della propria 10


identità per tramutarsi in quella dell’oggetto rituale rappresentato, proiettandosi all’interno di un mondo ‘altro’, divino, rituale, mistico. La maschera come tramite tra questo mondo e l’aldilà, il mistero della morte che vi si cela dietro. Essa funge da catalizzatore di queste forze soprannaturali degli spiriti al fine di trarne beneficio, in una temporanea possessione da parte della divinità, che agisce attraverso l’uomo che indossa il simulacro. E’ nel contesto greco-romano che la maschera diventa, attraverso l’uso che ne fa il teatro, espressione artistica di questa correlazione tra sacro e profano. La maschera caratterizza il personaggio che l’attore interpreta, ma anche ne evoca la divinità, nella fattispecie Dioniso, a cui originariamente era consacrata la tragedia. Tragedia intesa etimologicamente come rito sacrificale propiziatorio in concomitanza con i cambiamenti astrali degli equinozi o dei solstizi corroborato da danze che interpretavano l’eterna lotta tra il bene e il male, il giorno e la notte, la luce e le tenebre.

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2. sulla forma

la vita delle forme

La parola latina ‘forma’ porta con sé il significato di due termini greci: μορφη [morfé] e ειδος [eidos]. Con il primo vengono identificate le forme sensibili, con il secondo le forme intelligibili. Entrambi i concetti si possono ricondurre a due figure della filosofia greca: Aristotele e Platone. Il primo considera la forma non separabile dal mondo delle ‘cose’ che pertanto è vista in continuo divenire, dove l’atto (forma) torna ad essere potenza (materia) per la creazione di una nuova forma; mentre il secondo la separa dal mondo delle ‘cose’ intendendola come essenza che permette all’intelletto di identificare una forma reale intesa come ‘copia’ imperfetta del suo ideale astratto. L’ideale in divenire di matrice aristotelica permette una visione aperta del concetto di forma contrariamente all’idea platonica che fissa la forma in un ideale immutabile.

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<<nulla è più seducente - e nulla, in certi casi, è meglio fondato - del mostrare le forme sottomesse ad una logica interna che le organizza>> H. Focillon “La vita delle forme” p.15


La forma è narrazione e pertanto necessita di un’utopia estetica, questa può identificarsi nel concetto di tipo nella definizione data dal teorico Quatremère de Quincy: <<La parola tipo non rappresenta tanto l’immagine di una cosa da copiarsi o da imitarsi perfettamente quanto l’idea di un elemento che deve esso stesso servire di regola al modello. Il modello inteso secondo l’esecuzione pratica dell’arte, è un oggetto che si deve ripetere tal quale è; il tipo è, per contrario, un oggetto secondo il quale ognuno può concepire delle opere che non si assomiglieranno punto tra loro. Tutto è preciso e dato nel modello; tutto è più o meno vago nel tipo.>>5 La forma è una vita mobile in un mondo che cambia e ciò che tende a coordinarla e a stabilizzarla sono i principi dell’epoca in cui si manifesta. Questi principi si individuano negli elementi formali e nella misura, in un reciproco sostenersi dove la forma è condizione di un mondo e il mondo ne è la condizione di possibilità. Il ‘volere artistico’ sta nelle variabili di ogni singola opera. Il processo artistico è frutto di un’esigenza psichica, o come direbbe lo storico dell’arte Wilhelm Worringer, del kunstwollen, inteso come bisogno di autoestraniazione per identificarsi intimamente con la sua facoltà di produrre felicità.

5

Q. de Quincy, Dictionnaire historique d’architecture

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L’obiettivo dell’architettura è portare al mondo forme che non esistevano prima <<l’arte stessa crea il mondo>>6 . Il che rende lecita ogni forma di architettura, essendo che nessuna è più corretta o più nobile di altre. Quando nasce una nuova forma architettonica è perché è venuta al mondo una nuova umanità. Secondo Worringer si distinguono due inclinazioni insite nell’animo umano. La prima si manifesta quando la società o il mondo che circonda l’uomo è ostile e instabile ed è la tendenza all’astrazione, come bisogno innato di idealizzare le forme per poterne trarre quiete e stabilità (arte primitiva). Mentre quando l’uomo è riconciliato con la natura questo fa si che produca delle forme dominate dall’impulso dell’empatia, ovvero dove la natura è razionalizzata e controllata (arte classica). Ibridazione di queste due tendenze, senza fonderle, è il gotico in un <<impuro e per così dire inquietante miscuglio tra di esse>>7 dalla potente ‘vitalità inorganica’ spiegata da esigenze storico-spirituali e climatico-ambientali insite nei popoli germanici. La materia impone la sua ‘inclinazione’ alla forma, in quanto le materie comportano un certo destino o, se si vuole, una certa “vocazione formale”.

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La forma come senso del significato, dove il senso è inteso come simbolo, metafisica ed essenza della forma;

6 7

Worringer, Wilhelm “Astrazione e empatia” ib.

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e il significato è funzionale e materiale nella necessità di rispondere a bisogni concreti. Il fascino della forma per capire l’immensità da cui proviene e la stretta relazione con l’infinito. <<L’opera d’arte sta prima di noi, pre-esiste>>8 , il compito dell’architetto è quello di accompagnarla nel mondo dell’apparire. Oggi sembra che la logica del sapere sia stata troppo invasa dalla tecnica, causando la perdita della bellezza intesa come apparire della verità delle cose nella sua convenienza e giustezza. Il fare architettonico ha come scopo la convivenza civile fra gli uomini rappresentando dei valori condivisi dalla comunità. Questa rappresentazione di un’idea metafisica è oggi del tutto assente. Il relativismo sembra diventare paradossalmente verità assoluta e indiscussa dove non esiste più una verità ma infinite verità. La sfida di oggi è un ritorno alle origini in un ripristino della dialettica tra l’oggettività delle regole (la legge) e la libertà dell’individuo. Libertà intesa non come essere liberi ‘da’ qualcosa, ma essere liberi ‘per’ fare qualcosa [heiddeger]; guardando ai grandi pensieri della nostra tradizione da quello Greco a quello Cristiano e quello Tecnico-Scienitifico.

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M. Blanchot “Lo spazio letterario”

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composizione delle forme <<La capacità di trasmettere bellezza della forma è conseguenza di un processo formativo, quando forma e contenuto coincidono, quando ciò che viene presentato ai "sensi" è l'invisibile reso visibile>> V. Tronchin

Per questa parte sono state riprese le definizioni date dal prof. Tronchin, riprendendo delle parti del suo dottorato di ricerca dove il manifestarsi delle forme nel mondo è identificabile in tre famiglie:

I. forma come composizione delle parti:

a. composizione di forme individua gli elementi come singole unità; sono forme che si distinguono autonomamente, mantenendo anche un’autonomia topologica all’interno della composizione: non si individua, infatti, una forma, ma una composizione. (es. villa adriana)

Villa Adriana, Tivoli, 118-138

b. forma come composizione di elementi individua gli elementi come singole unità; sono forme che si distinguono autonomamente, mantenendo anche un'autonomia topologica all'interno della composizione: non si individua, Acropoli di Atene, VII sec. a.C. 17


infatti, una forma, ma una composizione. (es. acropoli di atene)

II. forma come ciò che viene presentato direttamente agli occhi

Frank Gehry, Museo Guggenheim, Bilbao, 1997

a. forma come contorno o profilo di un oggetto la forma come figura, introduce un'importante considerazione soprattutto per l'architettura, e più precisamente nel rapporto tra vicino e lontano, cioè nelle relazioni spaziali tra l'oggetto osservato, l'osservatore e l'intorno; il suo valore è spesso bidimensionale in quanto percependo il suo contorno la figura assume un valore nel suo rapporto con lo sfondo, divenendo quindi una forma che si legge come unità "nel paesaggio" e "con il paesaggio" in cui è collocata. Lo scultore Adolf von Hildebrand la chiamerebbe "forma effettuale" che si coglie da lontano contrapposta alla "forma esistenziale" che invece si coglie da vicino. (gehry bilbao) b. forma a priori La definizione trova origine attorno al pensiero 18


di Emmanuel Kant, il quale sosteneva che "...la forma è definibile come la proprietà dell'intelletto che fa si che esso possa percepire e comprendere l'esperienza...", dove "ciò che viene direttamente presentato ai sensi", ovvero la forma, "vive una vita autonoma con le sue leggi e i suoi principi"9 , in cui il contenuto non interessa se non nel suo manifestarsi attraverso la costruzione della forma oggettuale però predeterminato dal soggetto creatore nella volontà di comunicare un sentire che diventa artistico se interno all'opera stessa.>>

III. forma come unità genetica Qui la composizione non viene nominata ma partecipa alla costruzione della forma in modo subliminale assumendo un ruolo nuovo, e gli elementi vengono sostituiti da azioni-forza che in un continuo processo formativo costruiscono, modellano, trasformano e generano la forma. <<C'è chi è più portato ad usare in pianta il cerchio, il quadrato o il triangolo, come forme regolari di partenza, o chi inizia un progetto lavorando in tre dimensioni, rispettivamente 9

Mazzocut-Mis Maddalena, Forma come destino

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Max Bill, Quindici variazioni sullo stesso tema, v. 14, 1938 L’arte concreta è basata soltanto sulla realizzazione e sull’oggettivazione delle intuizioni dell’artista, rese in concrete immagini di forma-colore, lontane da ogni significato simbolico, da ogni astrazione formale, e mirante a cogliere solo quei ritmi, quelle cadenze, quegli accordi, di cui è ricco il mondo dei colori". L'arte concreta, come l'arte astratta, è non-figurativa ed "aniconica", però non dipende da processi di astrazione dalla natura o da cose viste, ma vuole fondarsi su segni, linee, colori, forme di piena autonomia inventiva.


con la sfera, il cubo, la piramide, deformando il solido stesso. Ci sarà chi è più propenso a non avere delle forme date a priori ma progetta in una continua manipolazione o dei segni che trova nel contesto o delle griglie o di linee curve, rette, spezzate o composte tra loro arrivando ha determinare la forma a posteriori; comunque sia esiste un punto da cui inizia la "vita della forma", la quale troverà lungo il suo percorso continui imprevisti e nuovi incontri che l'atto del comporre dovrà di volta in volta controllare, proporzionare, sbilanciare e restituire una forma nuova ma che appartenga sempre alla propria struttura genetica.>>10

Lars Spuyebroek, Water pavillon, Neeltje Jans, Olanda (1993-1997)

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Tronchin, Valter “Sulla Forma”, dottorato di ricerca

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spazio liscio/spazio striato <<Così la forma, nel gioco delle metamorfosi, va perpetuamente dalla sua necessità alla sua libertà. Questo conflitto, questa dialettica, questa metamorfosi sono, precisamente, la vita delle forme>> Bettini Sergio, Tempo e forma, scritti 1935-1977

Lo spazio liscio e lo spazio striato sono associabili al concetto di spazio nomade e di spazio sedentario. Riprendendo la definizione che ne da il filosofo Gilles Deleuze questi si possono identificare nella spazialità del mare o del deserto per quanto riguarda quello liscio, che sono quegli spazi privi di una organizzazione statale; mentre la geometria e nella sua massima espressione con il tracciato romano, per quanto riguarda quello striato, che sono spazi istituzionalizzati e antropizzati dall’uomo. Entrambi sono le due facce della stessa medaglia, i due spazi esistono in realtà solamente per il loro reciproco sovrapporsi, distinguendosi e limitandosi in un continuo intersecarsi dove entrambi si confondono, attraverso le linee orizzontali e verticali delle mappe del sistema internazionale al fine di ‘striare’ lo spazio liscio. Nello striato sono i punti a determinare i percorsi sui quali si subordinano linee e tragitti. Nel liscio è il percorso che conta, la direzione intesa come un vettore. Il primo è la 21


linea tra due punti, il secondo è il punto tra due linee. Il gotico è ibridazione tra i due spazi. Spazio liscio come “stile” dello stare al mondo, come concezione multiversale dell’esistenza, spazio libero e fatto di affetti più che di proprietà, occupato da eventi più che da cose individuate. Anche se il mondo attuale è completamente striato, non si esclude la possibilità di sentire mondi altri, di vederla cioè “con gli occhi di Dio” [R. Rizzi], attraverso la ciclicità della natura e della sua ineluttabile ripetizione.

<<L'evoluzione della pianta è compresa in 6 stadi di sviluppo, i cui vari passaggi sono scanditi dal ritmo polarizzato della contrazione e dilatazione, secondo un processo che dal seme originario ritorna al seme presente nel frutto ... il primo e l'ultimo stadio si congiungono, esprimendo l'unità del divino e del naturale>> Goethe, Metamorfosi delle piante, p.21

Le scelte progettuali di questa tesi si pongono come fine il tentativo di fondere queste due spazialità, in una visione ciclica dell’esistenza. <<Ogni volta ch’io rifacevo materialmente questo stesso passo, non accadeva nulla; ma se riuscivo a riprovare quello che avevo sentito posando così i miei piedi, ecco di nuovo la visione abbagliante e indistinta mi sfiorava come se mi volesse dire: coglimi mentre passo, se ne hai la forza, e cerca di risolvere l’enigma di felicità che ti propongo. E quasi immediatamente lo riconobbi: era Venezia, della quale i miei sforzi per descriverla e le pretese istantanee scattate dalla mia memoria non mi avevano mai detto niente, e che la sensazione che io avevo avuto una volta su due lastre ineguali del battistero di San Marco mi avevano restituito con tutte le altre sensazioni aggiunte in quel giorno a quella sensazione, e che erano rimaste nell’attesa al loro posto, dal quale un caso improvviso le 22


aveva imperiosamente tratte fuori, nella serie dei giorni dimenticati>>. [M.Proust “Alla ricerca del tempo perduto”]

fine del doppio <<Manifestare palesemente l'eccezione e la regola, far entrare una forza dirompente in un figura statica, sono atti del comporre che si sono esauriti nell'analisi delle opposizioni dicotomiche, ovvero con il riconoscimento di un tutto composito, le cui relazioni tra componenti sono tanto differenziate quanto inscindibili. L'accensione formale relegata a coppie oppositive come, "Ordine e disordine" che è tra l'altro il titolo di un importante articolo di Tafuri o anche il tema del doppio, dell'apollineo e del dionisiaco che strutturava la nascita del dramma della tragedia greca trattata da Friedrich Nietzsche, dai dialoghi di Denis Diderot, a Didascalo e Protopiro di Gian Battista Piranesi, a gran parte dell'opera di Fedor Dostoevskij, all'idea Fissa di Paul Valéry, allo scontro tra il Sole e la Medusa di Le Corbusier, fino al confronto tra i movimenti cartesiani della macchina da presa di Michelangelo Antonioni e le zoommate in movimento di Federico Fellini nel suo mondo onirico, sono opposizioni che appartengono ad un codice binario che trova energia compositiva, oggi, proprio nella sua simultanea coesione degli opposti; tutto nel terzo 23

coalescènza f. [derivato dal latino coalescens entis, part. pres. di coalescere «unirsi insieme»]. · Unione, fusione, saldatura. · In fisica, il fenomeno per cui le goccioline più piccole d’un liquido disperse in un altro liquido non miscibile (per es., goccioline di olio in acqua) tendono a unirsi alle più grandi, fornendo quindi aggregati di maggiori dimensioni. · In linguistica, sinon. di contrazione, fusione di due vocali in una. [fonte dizionario Treccani]


millennio, è formato da elementi che si sono trasformati in azioni/forza che generano indissolubilmente la forma. "Se una forma è destinata a sopravvivere, deve essere in grado di trasformarsi. Questo non sta a significare che una forma debba muoversi, ma piuttosto che un movimento debba passare attraverso la forma tutto ciò che è statico, è condannato a morire. Nulla che vive, può esistere senza trasformarsi. L'abilità di un sistema fluido di mantenere ordine è dovuto alla sua abilità nell'alterare la sua struttura" [Lars Spuybroek].>>11

11

Tronchin, Valter “Sulla Forma”, dottorato di ricerca

24


25


De Chirico, Orfeo trovatore stanco, 1970


trame sommerse: venezia

cercando venezia Venezia rappresenta l’essenza del doppio. Fin dalle sue origini incarna e fonde in sé i caratteri apollinei e dionisiaci, insinuandosi nella linea che separa l’acqua dal cielo. Secondo la tradizione venetica il mito della memoria delle origini è incarnato dalla figura di Orfeo, figura della mitologia greca alla quale <<appartiene la capacità di placare, con i mezzi dell’arte, gli elementi e le forze brute della natura>>12. Orfeo è il mito della parola, nella capacità di influenzare le azioni dell’uomo attraverso le sue doti oratorie. Si fondono pertanto poesia, musica e retorica in una sintesi capace di sedurre chiunque lo ascolti. Orfeo è apollineo nella promozione delle arti, mentre è dionisiaco nel rapporto

12

Concina, Ennio “Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo” p.8

27

<<Venezia è libera e trionfante, svincolata da ogni rapporto di soggezione nei confronti di qualsiasi autorità. [...] Al contrario di ogni altra città - della stessa Roma del resto, il cui sulcus primigenius della fondazione è scavato dall’aratro Venezia è entità urbana non generata dalla terra, né sorta da questa. [...] Venezia non è un’isola, poiché le case edificate nel mare solo impropriamente sono definibili isole e Venezia, appunto, è fondata in alveo maris, s’innalza direttamente dai fondali marini, unico e irripetibile esempio nella storia.>> Ennio Concina, Storia dell’architettura di Venezia dal VII al XX secolo


simpatetico con il mondo naturale del quale possiede un’intima comprensione del ciclo della natura. Il compito di Orfeo è riportare l’ispirazione alla luce del giorno, anche se il suo tentativo è sempre inesorabilmente destinato a fallire. Come il mito racconta, grazie alla magia del suo canto, Orfeo ottiene il permesso di scendere agli inferi al fine di riportare in superficie la perduta Euridice, ovvero l’origine della sua arte, l’ispirazione. In questa discesa al regno dei morti sta l’essenza dell’arte come momento di oblio della vita terrena, dove l’opera si realizza non nel risultato finale, ma nella ricerca intesa come percorso fatto di possibilità ed ispirazione. Il canto di Orfeo è la maschera che si pone come limite e misura nella gestione del desiderio dell’impossibilità di ottenere l’opera totale. La laguna veneta è stata per i primi veneti insediati che rifuggivano le campagne devastate dalle invasioni barbariche, l’inizio della ricerca della realizzazione dell’idea di ‘venezia’. Orfeo è, nei primi testi venetici medievali, <<l’autore dell’idea urbana, del primo costruttore di città e castelli. Il potere divino e sacrale dell’armonia musicale. [...] Fa si che pietra salga su pietra, che così venga edificata la sua città, la prima città della storia. [...] E l’eroe le impone il nome prefiguratore di Neptunia Menia (città delle Nettunie Mura) il cui principio urbano è associato a un elemento marittimo. 28


Questo sta alla base della civiltà e della storia per i costruttori di Venezia>>13 . Venezia è pertanto translatio e ricreatio [concina] nel tentativo di trasferire archetipi ideali attraverso modelli materiali quali l’utilizzo sistematico dei marmi impiegati per le tombe imperiali d’oriente, le policromie, i preziosismi, i cromatismi lapidei dei marmi della Tessalonica e del Proconnesio. Nella continuità del mito di Antenore, colui il quale fondò, una volta scappato da Troia, Aquileia (Aqui Legia, legata alle acque).

<<la storia di un luogo dovrebbe essere la sua “autorealizzazione”. Ciò che all’inizio era presente come possibilità, viene disvelato dall’azione umana, illuminato e preservato in opere di architettura che sono contemporaneamente “vecchie e nuove”>> Norberg-Schulz, Genius Loci, p.18 13

ib. p.8

29


la sintassi della memoria: barene, ghebi e velme analisi diacronica <<Sicché quel variare nel tempo tra lo stato solido e lo stato liquido non ha una sua compiutezza fisica: anche quando l’acqua invade la barena ne emerge la vegetazione, in quella sorta di incertezza dell’essere che rende inquietanti questo genere di luoghi [...] Mutazioni, variabilità, incertezza, ambiguità dello stato fisico si riflettono sulla luce e sui colori che già di per sé mutano nell’arco della giornata>> G. Fabbri, Architetture in luoghi limite, ed. Città Studi (1996)

barena della laguna

La città di Venezia si è formata per aggregazione di diverse comunità minori di veneti provenienti da diversi città dell’entroterra e nate come entità distinte. Questo accadde tra i IX e l’XI secolo, quando le genti si spostarono via fiume cercando rifugio al mare. I futuri veneziani si insediarono in un grappolo di nuovi nuclei abitativi intorno al mercato di Rialto e vicino al palazzo-fortezza detto “palatium” del doge che governava l’intera laguna. Ciascun nucleo sorse su un’isola con uno schema tipico: nella piazza centrale c’era da un lato la chiesa, dall’altro un molo, piccoli cantieri e officine; sugli altri due lati le abitazioni delle famiglie sia umili che benestanti. A Venezia le dimore dei ricchi e dei poveri non furono mai divise così che ricchi e poveri vivevano gomito a gomito. Questi nuclei inizialmente distinti e ciascuno con il loro santo, le loro feste, il loro campanile e il loro mercato, andarono via via 30


unendosi in una rete di collegamenti sia acquei attraverso i traghetti che pedonali con ponti e calli, pur mantenendo ciascuno la loro vitalità individuale originaria. Inizialmente lo sviluppo urbano andò pertanto definendosi con il tessuto a corti come sistema chiuso, di cui l’area attorno S. Giovanni Grisostomo ne è l’esempio più antico ancora conservato, per poi aprirsi con l’affermarsi del potere della città con il tessuto a calli, del quale il quartiere di S.Lio ne è l’esempio. Lo sviluppo urbano procedette non per sostituzione radicale di un tessuto con un tessuto nuovo, ma piuttosto con l’affiancamento di elementi nuovi ai preesistenti. La nuova società non distrugge né disintegra l’ambiente originale, ma trasforma alcuni elementi in nuovi che, puntando al senso dell’insieme, indicano la conservazione degli elementi antichi nel loro senso e nella loro struttura primitiva. L’economia della calle ha trasformato e assimilato in sé l’economia della corte, trasformando la società gentilizia medievale in società mercantile aperta. L’analisi riprende lo studio effettuato da Saverio Muratori che prevede quattro fasi di sviluppo degli insediamenti veneziani: il primo considera le chiese edificate prima della traslazione del dogado da Malamocco alle isole realitine avvenuto nell‘813, il secondo le chiese formatesi nel primo secolo di dogado, il terzo la densificazione 31


delle parrocchie avvenuta durante il IX secolo; e infine la conclusione del moto di colonizzazione dell’XI secolo. Si è considerata la chiesa come elemento architettonico determinante nella moltiplicazione delle cellule insediative nello sviluppo del tessuto urbano che sfrutta le condizioni orografiche lagunari delle poche terre paludose emerse e dei canali navigabili lagunari preesistenti, nel lento processo di bonifica e urbanizzazione.

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Velma è un termine del dialetto veneziano (derivato da "melma") usato anche in ambito scientifico per indicare una porzione di fondale lagunare poco profondo ma comunque normalmente sommerso, che tuttavia emerge in particolari condizioni di bassa marea. Sono per questo prive di vegetazione, a differenzia delle barene che sono sommerse solo durante le alte maree. Traggono origine dai sedimenti trasportati da correnti marine e fluviali che poi si depositano sui fondali bassi. Dal punto di vista ecologico, anche le velme sono particolarmente interessanti, in quanto le forti variazioni di salinità e ossigenazione a cui sono soggette durante le emersioni e le successive sommersioni le rendono un ambiente ancor più selettivo di quello barenicolo. Ad esempio, il substrato (costituito soprattutto da fango e sabbia) offre riparo a policheti e molluschi durante la bassa marea. [Banca dati sulla Laguna di Venezia - Glossario - extra.istitutoveneto.it] I ghebi sono, in dialetto veneziano, i canali minori che attraversano le barena e le velme della laguna Veneta, mettendo in comunicazione le zone più interne alle vie d'acqua principali. I ghebi hanno un ruolo notevole nell'ambito dell'ecosistema lagunare, regolando l'apporto idrico sia durante le alte maree, con funzioni di drenaggio, sia durante le basse maree, permettendo il passaggio dell'acqua anche nelle zone più interne. Contribuiscono inoltre a mitigare l'effetto erosivo che hanno le maree entranti. L'interramento di un ghebo può portare alla formazione di uno specchio d'acqua detto chiaro. L'erosione, dovuta in gran parte all'intervento antropico, ha portato alla progressiva diminuzione dei ghebi e delle loro ramificazioni, con conseguenze disastrose per l'ecosistema e l'esistenza dei ghebi stessi. [Banca dati sulla Laguna di Venezia - Glossario - extra.istitutoveneto.it] La barena, dal veneziano antico baro, terreno incolto, incrociato con arena (sabbia). Piatta isola lagunare perennemente melmosa, con rada copertura erbacea. Le barene sono terreni di forma tabulare tipici delle lagune, che vengono periodicamente sommerse dalle maree. Le barene presentano un suolo pesante, asfittico, scarsamente permeabile di composizione limo-argillosa, definito "suolo salso" per l’elevata concentrazione di cloruri. Le piante che crescono in queste severissime condizioni hanno adottato differenti strategie per sopravvivere: cresce così una vegetazione diversa da quella che possiamo trovare in un prato o in un bosco e che, per la sua caratteristica di vivere in suoli salati, è detta alofila. [Banca dati sulla Laguna di Venezia - Glossario - extra.istitutoveneto.it]

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La sede vescovile: 1. SS. Sergio e Bacco* sull’isola di Olivolo (630-670), poi S. Pietro

Le Rialtine: 4. SS. Apostoli* (630-670) 5. S.M. Formosa* (630-670) 6 S. Zaccaria* (630-670) 7. S. Salvador* (630-670)

3 nuclei dipendenti da questo: La Mendigola: 2. S.Ncolò dei Mendigoli (600~) 3. Angelo Raffaele* (630-670)

La Bragora: 8. S.Martino (inizio VII° sec.) 9. S.Antonin (VII°-IX° sec) 10. S.Giovanni in Bragora*

(630-670) 4 sparse: 11. S.Trovaso 12. S.Pantalon 13. S.Croce in Luprio 774 14. S.Giustina* (630-670) * in giallo le chiese appartenenti alla tradizione di San Magno

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Chiese originarie Pre-Dogali VII-VIII sec. (ovvero prima della traslazione del dogado da Malamocco a Rialto nell’813) Sono 14 in tutto (per un totale di 10-15.000 abitanti) con schieramenti embrionali disposti parallelamente o ortogonalmente la fondamenta, suddivise in tre nuclei principali dipendenti dalla sede vescovile, più 4 sparse. Otto delle chiese citate da Muratori sono le così dette chiese della leggendaria tradizione di San Magno, il vescovo di Oderzo. Secondo la storia quando la città di Oderzo fu invasa dai Longobardi nel 638-39, il suo vescovo, insieme alla maggior parte degli abitanti, si rifugiò nelle vicine isole della laguna veneta - che facevano allora parte della diocesi di Oderzo - e trasferendovi la sede vescovile. La tradizione lo fa fondatore, in un periodo presunto tra il 630 e il 670, per “divina ispirazione”, di otto chiese in quella zona realtina dove sorgerà Venezia.

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Cima da Conegliano, Incredulità di San Tommaso, XVI sec., Accademia di Belli Arti Venezia, san magno a destra


Tra Rialto e San Marco: 1. S.Bortolo (840) 2. S.Zulian (829)

8. A ovest delle Mercerie: 9. S.Paterniano (IX sec.) 10. S.MoisĂŠ (797)

Settore nord: 3. S.Canciano (864) 4. S.ta Sofia (886) 5. S.ta Fosca (873) 6. S.Ermagora e S.Fortunato (810) 7. S.Geremia (813)

A est delle Mercerie: 11. S.Procolo (814) 12. S.Severo (820) 13. S.Lorenzo (854) 8 Sparse: 14. S. Basegio (870) alla Mendigola

15. S.Daniele (820) di fronte san pietro 6 sul lato destro del canal grande: 16. S.Barnaba (809) 17. S.ta Margherita (837) 18. S.Polo (837) 19. S.Simeone Piccolo (sec.IX) 20. S.Silvestro (884) 21. S.Gregorio (884)

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Secolo IX - Nuclei a corti affiancate Chiese formatesi nel I째 secolo di dogado realtino. Struttura lineare quanto mai chiara nella sua ripetizione lungo la fondamenta, struttura pi첫 ricca dei nuclei antichi, con brevi schiere con sviluppo costante disposte ai lati di corti (campi) ortogonali al rio e alternate a calli per un totale di 25-30.000 abitanti.

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X secolo 1. S.Fantin 2. S.Maria del Giglio 3. S.Maurizio 4. S.Angelo 5. S.Samuele 6. S.Vidal 7. S.Benedetto 8. S.Cassiano 9. S.Maria Mater Domini 10. S.Stae 11. S.Simeon Grande 12. S.Giovanni Evangelista 13. S.Stin 14. S.Agostino

15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23.

S.Giovanni Elemosinario S.Giacomo dall’Orio S.Giovanni Decollato S.Vio S.Tomà S.Felice S.Maria Nova S.Chiara S.Andrea

XI secolo 24. S.Giovanni Grisostomo (1080) 25. S.Lio (1054) 26. S.Marina (1030)

27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36.

S.Basso (1076) S.Leonardo (1025) S.M.Maddalena (1025) S.Luca S.Aponal(1043) S.Boldo S.Agnese (1081) S.Ternità (1030) S.Biagio (1052) S.Marta (1018) alla Mendigola


Fino all’anno 1000 - Nuclei a campi quadrangolari Il X° sec. presenta altre 25 nuove parrocchie distribuite con il criterio di un arcipelago ben ritmato sul territorio dell’intera città, soprattutto sui corpi periferici, costituenti un corpo egregiamente distribuito e formato, frutto di un’opera certo pianificata di intelligente e organizzata colonizzazione interna. Non ci sono più tessuti lineari antecedenti, bensì campi quadrangolari con un lato occupato dalla chiesa, il secondo dalle tipiche corti alternate a calli, il terzo con l’edilizia originariamente più importante (famiglie gentilizie) che determino quindi le nuove parrochie coi loro palazzi originari e il quarto lato per l’approdo comune. Totale di 59 parrocchie per una popolazione di circa 40-50.000 abitanti

XI secolo Conclusione del moto di colonizzazione con un totale di 72 parrocchie per circa 70-100.000 abitanti.

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la sintassi della memoria: le centurie analisi sincronica <<Questo lavoro risulta particolarmente importante ed espressivo nel caso di Venezia, in rapporto con i caratteri largamente incompresi del suo tessuto: quegli stessi che avevano reso fin qui impensabile la ricerca, in essa, di un qualsiasi sistema ortogonale o razionale di segni urbanistici>> Wladimiro Dorigo, “Venezia-Origini. Fondamenti, ipotesi, metodi” 1983

Diametralmente opposto e per questo complementare, è lo studio effettuato su Venezia dallo storico Wladimiro Dorigo nel libro “Venezia-Origini. Ipotesi e ricerche sulla formazione della città”. L’analisi ridisegna completamente le <<vicende epocali delle configurazioni geomorfologiche del territorio lagunare>> [Fabbri, Architetture in luoghi limite], facendo riemergere dall’immediato entroterra del veneziano quelle trame agrimensorie, dette anche limitationes, che sarebbero dirette discendenti della centuriazione romana avvenuta ai tempi della colonizzazione della regio X venetia et histria.

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355,68 m. 711,36 m.

1 actus

35,56 m.

355,68 m.

Delle numerose trame agrimensorie identificate, Dorigo raggruppa, per similarità di inclinazione, in 3 principali quelle più significative:

centuria romana

35,56 m.

1 centuria = 400 actus quadratus 1 lato centuria = 711, 36 m. 1 lato actus = 120 piedi = 35,56 m.


Altinum III > detta “equilense” - inclinaz. di 35° rispetto al nord Patavium III > detta “mestrina” - inclinaz. di 22° rispetto al nord Patavium IV > detta “marciana” - inclinaz. di 76° rispetto al nord

Queste sarebbero state fonte di ispirazione per i profughi veneti nella scelta dell’allineamento di molte chiese (soprattutto le più antiche) e successivamente di strade e ‘isolati’ urbani. L’equilense è la trama agricola nei dintorni della città di Altino a nord della laguna Veneta; la mestrina è la trama agrimensoria (ancora visibile) dei territori agricoli che si estendono tra Mestre, Dolo e Camposampiero; la marciana è la trama proveniente dalle terre a sud di Padova; L’analisi utilizza principalmente l’elemento chiesa, oltre che alcune volte canali e campi, come fattore sottomesso alla griglia nel posizionarsi al suo interno, rispettando determinati limiti e marcandone spesse volte i confini tra centuria e centuria.

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Equilense limitatio Altinum III - 35° N Il passo della centuriazione è determinato sull’asse della chiesa di Sant’Andrea della Girada che si fissa a 3/4 del limite del decumano. E’ la più antica, con un totale di 15 parrocchie e una limitata ampiezza nel territorio, comprende la “Trama agraria di Luprio” e si estende per 3 centurie e 1/4 esatte dai confini della chiesa di Sant’Andrea alla chiesa di S. Ternità. Sestier di Castello 1. 2.

S. Ternità fra ca’ di Dio e la calle di S. Domenico

Sestier di Cannaregio 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

45

S. Marziale S. Fosca S. Sofia fra il canale di Cannaregio e S.Lucia (prima del 1315 S.Lucia era di S.Croce) confini calli del Ghetto vecchio monastero S.Lucia Fondamente Nove S. Maria Nova

Sestier di S.Croce (definisce la maglia perfetta del cuore di Luprio) 11. fra S. Stae e il campo delle Beccarie 12. S. M. Materdomini 13. S. Boldo 14. S. Agostino 15. S. Cassiano 16. S. Mattio 17. S. Giacometto 18. San Giovanni Elemosinaro 19. area nord di S.Andrea - è il limes meridionale della centuriazione con tanto di colonne a segnare il confine della città (fonte Nicolò dal Cortivo 1534)

non appartenenti alla trama di Luprio 20. 21. 22. 23. 24.

Rio Marin S. Stin S. Simeone S. Rocco Ponte di Rialto

Sestier di S.Marco 25. 26.

fra S.Vidal, S.Samuele e S.Angelo fra S.Zulian e S.Salvador

Sestier di Dorsoduro 27. 28.

Chiesa della Carità Rio di San Trovaso



Marciana Patavium IV - 76° N Il passo della centuria è determinato dall’incrocio del cardo e del decumano esattamente sulla Porta della Carta tra il Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco. Per un totale di 18 parrocchie e 12 monasteri. Si identifica come reticolo degli insediamenti Marciani, è assente a Cannaregio (eccezion fatta per un piccolo accenno ai SS. Apostoli).

Sestier di Dorsoduro 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

8.

9.

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Chiesa di San Barnaba e Calle Lunga San Samuele l’asse della calle dell’Avogaria, poi Longa, poi del Traghetto Rio Terà Canal e della Scoazzera Chiesa dell’Angelo Raffaele S.Nicolò dei Mendicoli (forse “cason” di Dorsoduro) Fondamenta dell’Arzere (forse cardo scendente da Campalto a 2 centurie e mezza dal palatium) Chiesa di S. Marta, la distanza tra la fondamenta de l’Arzere e la punta di S.Marta è di 15 actus (3/4 di centuria, 532,50m.) I Rii delle Burchielle, Pensieri e S.M.Maggiore (distano 3/4

10.

di centuria dal ponte de l’Avogaria) S.Basilio

Sestier di Castello 11. 12. 13. 14. 15. 16.

S.Anna S.Elena e S.Servolo (a 1 centuria di distanza) S.M.Formosa S.Lorenzo S.Severo S. Isepo e ex-paludo S.Antonio

Sestier di San Marco 17.

18.

Castellum“palatium” (preesistenza bizantina) con annessa chiesa di S.Teodoro (VIII°) La “cason” (tradizionalmente sede tribunalizia bizantina) tra SS.Apostoli e S.Canciano

19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29.

(dista esattamente una centuria (711m) dal “palatium” (cioé dall’affaccio sul canale alla porta della Carta) ed è anch’esso circondato da chiese antiche. San Canciano Sestier di San Polo S.Polo S.Silvestro Sestier di Santa Croce S.Croce in Luprio Purgo (monastero sulle muraglie del castellum bizantino. Sono così 3 le edificazioni castrensi bizantine) VIII°



Mestrina limitatio Patavium III - 22° N Il passo della centuria è dato dall’Arsenale vecchio che segna il cardo sul suo limite occidentale e il decumano dividendo in due la darsena tra l’Arsenale novo e novissimo. Conta un totale di 19 parrocchie e 8 monasteri ed è quella che investe più ampiamente e generalmente delle altre tutto il sedime urbano. Sestier di Cannaregio 1. 2. 3. 4. 5.

Tetrans (ovvero l’incrocio centrale della centuria) del monastero di S.Michele Basilica dei SS.Giovanni e Paolo e Monastero annesso S. Felice S.Marcuola (limitaneo tra 4 centurie) sutura Campo dei Mori

Sestier di Castello 6. 7. 8. 9. 10.

49

S.Provolo (Area di Gemino) S.Antonin (Area di Gemino) S.Giovanni in Bragora (Area di Gemino) S.Biagio (Area di Gemino) Arsenale (fronte occidentale darsena vecchia, la separazione tra la darsena nova e la novissima segue un decumano)

11. 12.

Monastero di S.Daniele Campanile S.Pietro e chiesa SS.Sergio e Bacco (da riconoscere nel vecchio battistero castellano)

Sestier di Santa Croce 13. 14.

S.Giacomo dell’Orio Fontego dei Turchi

Sestier di San Marco 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21.

nucleo S.Salvador S.Bortolomio estensione S.Lio S.Marina Chiesa della Fava S.Vidal S.Stefano

Sestieri di Dorsoduro e San Polo 22.

S.Margherita

23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32.

S.Pantalon Lacus Badovarius (terreni di bonifica tra i Frari e S.Tomà) Ognissanti S.Trovaso S.Agnese S.Vio Rio Terà Foscarini, Rio di S.Vio e Rio delle Torreselle riflettendosi alla Giudecca: fondamenta di S.Biagio, S.Eufemia Monastero della Croce (in isola autonoma poi inglobata nella Giudecca nel XIV) S.Giorgio in isola


sul sito progettuale <<In questa condizione binaria del limite lagunare è anche racchiusa l’eterna conflittualità tra due mondi culturali antagonisti: quello della razionalità e quello dell’intreccio natura-(magia) mito>> G. Fabbri, Architetture in luoghi limite, ed. Città Studi (1996)

La scelta del sito progettuale è determinato dalla sovrapposizione delle due interpretazioni sulla nascita della città di Venezia. La scelta cade quasi obbligata sul cardo più importante della città, ovvero quello che interseca partendo da nord la ‘mitica’ cason dei SS. Apostoli (tradizionalmente l’antica prima sede tribunalizia bizantina), seguito dal palatium, successiva sede dogale, poi trasformatasi nel Palazzo Ducale odierno. Quest’asse determina una sorta di vettore spaziotemporale in espansione verso sud e verso il bacino di San Marco, tagliando in due il sistema chiuso di triangolazione degli elementi Ducale-Salute-San Giorgio che fa del Bacino il centro di una cosmografia mitologica. Continuando la traiettoria a sud la prima velma che si interseca con tale sistema diventa sede del progetto che acquista così una valenza simbolica nel contesto storico veneziano determinando l’apertura ad una nuova possibilità di espansione della città intesa non solo come ampliamento urbano, ma soprattutto come ideale diffusione della propria cultura, storia e stile di vita legato 50


all’acqua. Trovandosi al di là di questa ‘omotetia’ veneziana il cui centro simbolico è il bacino San Marco e rispecchiandosi simmetricamente nello spazio lagunare meridionale. Poiché <<in essa risiede il “segreto” della singolarità e la ragione della verità di Venezia come opera d’arte. Proprio perché la forma di Venezia non è data, per così dire una vola per sempre, ma continuamente si discioglie e ricompone: e a ogni istante, si crea di nuovo entro il nostro tempo: proprio per questo essa non mente>>14

14

S. Bettini “forma di Venezia”1959

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omotetia Sillabazione/Fonetica [o-mo-te-tì-a] Etimologia Comp. di omo- e un deriv. del gr. thetós, part. pass. di tithénai 'porre, collocare' s. f. (mat.) tipo di corrispondenza fra enti geometrici tale che i punti corrispondenti si trovano allineati su rette convergenti in un punto (centro di omotetia).



temi formali

Il concetto di spazio è legato a quello di fare luogo, rendendo visibile il potenziale nascosto. Riprendendo il teorico Norberg-Schulz la caratteristica principale dei luoghi progettati dall’uomo è proprio il radunare (l’evento), inteso come concentrazione e pertanto recinzione. Il luogo è, sempre secondo il teorico, definito da due caratteristiche: lo spazio, inteso come ‘tridimensionalità’ ricollegandolo alle teorie di L. Moretti che se opportunamente combinate produrranno l’orientamento come conseguenza della necessità umana del non perdersi; e il carattere, inteso come ‘atmosfera’, ovvero dove le cose concrete come il materiale, la forma, la testura e il colore trovano la loro essenza nell’ambiente. Queste due caratteristiche si sintetizzano nello spazio vissuto, inteso come sistema di rapporti nella giustapposizione delle “preposizioni” (di, a, da, in, con, tra, sopra sotto, davanti, dietro, prima, dopo). Sintetizzando l’autore si può affermare che l’uomo non ha identità se non si identifica in un luogo. Questo processo di riconoscimento dovrebbe avvenire attraverso tre passaggi essenziali al fine di comprendere come un 53

<<Quando l’uomo acquista capacità di abitare, il mondo diventa un “interno”>> C. Norberg-Schulz, “Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura”


sito naturale diventi luogo: il visualizzare, il simbolizzare e il radunare. visualizzare > come cognizione della natura, l’uomo costruisce quanto ha visto (es. la natura suggerisce uno spazio delimitato, si erige una recinzione; dove questa indica una direzione, si apre un percorso) simbolizzare > come traduzione di un significato esperito attraverso un altro strumento (es. un carattere naturale viene tradotto in un edificio) radunare > riunire i significati nella creazione di un imago mundi, che concretizza il mondo umano (trasportare i significati in un altro luogo, che diventa perciò un “centro” esistenziale) L’esempio del ponte è l’immagina per eccellenza che, seconde Heidegger riassume i 3 concetti trasformando l’ambiente in un tutto unificato. Edificare un ponte mette in luce il significato del paesaggio che si trasforma in luogo attraverso il rito umano dell’attraversamento da una sponda all’altra. <<Fare architettura in modo corretto, di qualità, significa determinare, scovare il Genius Loci [...], dare cioè un’immagine al luogo che diventi rappresentazione di una precisa concezione di essenza già insita in quel luogo>> C. Norberg-Schulz, “Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura”.

Il luogo naturale racchiude in sé elementi già insiti che l’uomo ha disvelato man mano lungo la storia. Sempre secondo Norberg-Schulz la cultura romana fonde in sé le due visioni cosmiche nordiche e mediterranee; ovvero la 54


convinzione dei popoli nordici che la terra ruotasse intorno ad un asse sidereo astratto nord-sud (l’asse cardo - nord-sud dalla stella polare al sud); e la concezione egiziana-greca che immaginava il sole ruotare intorno alla terra (direzione est-ovest / nascitamorte - decumano). La città romana assume coi due assi degli accampamenti - cardo e decumano - gli elementi primari delle cosmologie settentrionali e meridionali.

aggregare, delimitare e misurare <<Non esiste l’uomo primitivo; ci sono dei mezzi primitivi. L’idea è costante, potente fin dall’inizio>> Le Corbusier “Verso un’architettura”

Fare spazio è indissolubilmente legato a tre concetti: il radunare (rituale - evento), il delimitare (limitare - recintare) e il misurare (orientare - ritmare). I tre concetti sono riconducibili ad una delle forme più antiche del fare architettonico: la casa a corte. Questa tipologia abitativa è stata alla base della formazione dei tessuti delle città dell’Europa meridionale, dell’Africa settentrionale e del Vicino Oriente, esprimendo le stesse radici comuni delle civiltà che si sono affacciate sulle rive del Mediterraneo.

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Immagine del tempio primitivo. Da “Verso un’architettura”. Secondo Le Corbusier lo spirito del tempio è lo stesso spirito col quale fu poi costruita la casa.


schema domus romana tipo

Chiusa verso l’esterno come atto del difendere lo spazio contenuto, determina un netto limite tra ciò che è dentro e ciò che è fuori; mentre si apre all’interno in uno spazio accogliente e facilmente identificabile nella corte avvolta da cellule murarie che è al tempo stesso simbolo dell’aggregazione del nucleo familiare e metro per lo spazio circostante. La casa a corte si pone come atto del recingere attraverso la geometria dei suoi confini che delimitano lo spazio di cui si appropria, dove il vuoto della corte interna diventa la misura, ovvero l’elemento organizzatore della struttura e al tempo stesso espressione della sua identità (la parola corte deriva dal greco χὸρτος [cortos] che significa recinto). Una delle sue prime declinazioni è la domus, diffusa fin dall’antichità nel mondo romano e mantenuta a lungo anche in periodo medievale. SI distingue per la sua organica gerarchizzazione dei vani strutturati intorno all’asse accentrante che dall’ingresso conduce al vano principale costituito dal tablinum (il centro degli affari della casa). Nel tempo la domus si trasforma dando vita a numerosi varianti dettate dalla necessità di implementare il costruito all’interno del recinto occupando il perimetro della corte aperta e, soprattutto nelle aree urbane a maggiore densità, la trasformazione sul fronte del percorso pubblico in tabernae, ovvero vani specializzati ad uso commerciale. Man mano la parte 56


adibita all’abitazione diventerà indipendente rispetto alla tabernae così da determinare l’inizio della moltiplicazione cellulare dei nuclei abitati all’interno della domus trasformandola nel tipo plurifamiliare delle insulae, dando origine ad un nuovo tipo edilizio.

Giano è il Dio della soglia, custode del recinto, sorveglia tutto ciò che sta all'interno della casa, non perdendo però di vista quello che accade all'esterno, per questa ragione viene rappresentato con due facce. Il suo nome stesso evoca la porta, in latino ianua, e januarius è il mese che apre l'anno e dà inizio alle stagioni. Giano è il padre di tutti gli uomini, della Natura e dell'Universo, è il dio dell'apertura e dell'inizio, apre il cammino alla luce accompagnando l'attività umana nel corso della giornata. 57


la casa fondaco veneziana “Ogni rito rimanda a una forma [...] si può intendere il rito come punto di unione e di tangenza tra il mondo della forma e quello dell’attività: l’unico punto a partire dal quale può nascere l’architettura” C.Martì Aris Le variazioni dell’identità

La villa di campagna con “torreselle”, prototipo della tipica facciata veneziana, mosaico romanocartaginese, Tunisi, Museo del Bardo

Discendente dell’idea di domus romana, la casa-fondaco veneziana fonde in sé caratteri funzionali e distributivi appartenenti alla classica domus romana, mentre si appropria dell’immagine tipologica di facciata delle ville romane a portico centrale e torreselle di cui l’immediato entroterra e in special modo la città di Altino ne erano ricchi di esempi. Questo permise ai fuggiaschi veneti di mantenere un rimando iconografico con ciò che era andato perso dopo i fenomeni di bradisismo di innalzamento della quota del mare e dell’invasione dei barbari. Marcando visivamente il senso di appartenenza e la continuità con la civiltà romana e cercando un nuovo legame con il mondo bizantino guardando al sopravvissuto Impero Romano d’Oriente.

il Palazzo di Diocleziano, Spalato in una ricostruzione di Francesco Corni. La facciata sul mare del palazzo insieme ad altri esempi come il palazzo di Giustiniano a Costantinopoli sono diventati marchio tipologico e figurativo di molte architetture del tardo impero e poi dei palazzi veneziani. 58


Le case fondaco sfruttano strutturalmente il concetto di recinto della domus per ovviare a quei limiti imposti dai fondali lagunari sui quali si doveva costruire. La casa veneziana si chiude in una compatta scatola muraria intelaiata che ne ben definisce i limiti e al tempo stesso le permette di ergersi mantenendo la propria stabilità.

schema di casa fondaco tipo: a. atrio del piano terreno b. corte, poi androne monumentale con la scala c. scalone per l’accesso al primo piano d. accesso acqueo e. magazzini f. uffici g. salone centrale, ‘portego’ h. alloggi dei dipendenti e servitori tratto da Alvise Zorzi, “Venezia 697-1797. Una città, una repubblica, un impero”

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Quello che nella domus romana si estende orizzontalmente, diventa nel palazzo veneziano una stratificazione verticale di gerarchie anche sociali. Dall’accesso acqueo il piano terra si apre nell’atrio che fa da spazio per il carico e scarico delle merci, sui cui lati si estendono depositi e magazzini. Il primo piano così detto “mesà” (ammezzato) é dedicato agli uffici amministrativi del mercante; il piano nobile è la vera e propria residenza del mercante, o meglio nobil homo veneziano, con il grande salone centrale detto ‘portego’; il piano del sottotetto è riservato ai dipendenti e servitori. La pianta dei diversi piani è per esigenze statiche la ripetizione esatta di quella del piano terra. La corte assume diversi orientamenti, appropriandosi di un angolo del palazzo (Ca’ d’Oro) oppure limitanea alla casa di lato sul canale (Ca’ Vendramin-Calergi) o dietro verso la calle (Ca’ Foscari), poiché per ragioni statiche non può intaccare la ‘scatola’ dell’edificio. Solamente con il consolidarsi del tessuto urbano veneziano lo spazio della corte potrà tornare ad essere cavedio interno al palazzo negli esempi più tardivi come Ca’ Rezzonico o Palazzo Grassi.

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Il fondaco nasce come: luogo di sosta di approvvigionamento dell’acqua di temporaneo ricovero per il viandante di mercato di deposito di circolazione mercantile di servizio postale il fondaco a Venezia A Venezia l’idea di fondaco evolve in due modelli specifici, uno gestito dai veneziani con funzioni di deposito, l’altro concesso in gestione a comunità straniere aventi importanti scambi commerciali con la città. A. tipo di fondaco deposito: Il nuovo fondaco della farina ne è un esempio, costruito nel 1492-93, esso incorpora come funzioni: 1. gli uffici amministrativi 2. la sede del ministero preposto 3. il deposito di stoccaggio 4. il controllo e garanzia di qualità del prodotto 5. un luogo dove si fissa il prezzo e si disciplina la vendita B. tipo di fondaco per le comunità straniere: Il fondaco dei tedeschi è l’esempio più conosciuto, una sorta di ‘duty-free’ ante litteram, esso incorpora come funzioni: 1. il commercio della merce straniera 2. gli uffici amministrativi della comunità ospitata 3. il deposito di stoccaggio 4. gli alloggi temporanei


il fondaco <<Fondaco: la voce, fortemente evocativa, itinerante attraverso il Mediterraneo fino ben oltre il medioevo, e i manufatti che a questa corrispondono, appartengono a lungo alla storia di Venezia, del suo spazio urbano, dei suoi stati da tera e da mar>>. E. Concina, Fondaci

Dello stesso spirito del tempio, della casa, della domus, il fondaco nasce anche dall’idea architettonica di recinto. Recintare non più per proteggere la propria divinità o la propria abitazione, bensì per proteggere beni di uso comune. Fondaco come evocazione di ricchezza e opulenza, il luogo dove transitano merci e le risorse sembrano inesauribili. La parola fondaco deriva dall’arabo funduq (casa-magazzino) a sua volta originata dal greco πανδοκεῖον [pandokeion], che contiene in sé la parola pan - tutto e il verbo dokemai - accogliere. Il fondaco è una sorta di ‘albergo’ che accoglie tutto e la sua storia si intreccia con quella di molti popoli dal Mediterraneo al vicino oriente fin dal V secolo a.C. Assimilabile all’idea del caravanserraglio, la sua presenza è documentata nei grandi sistemi di infrastrutturazione del transito, ovvero nella rete delle principali comunicazioni mercantili e dei flussi di pellegrinaggio, tra la Siria e la Mesopotamia, da Sergiopoli ad Aleppo, da Gerusalemme a Gerico. Il fondaco nasce come luogo di sosta, di approvvigionamento dell’acqua, di temporaneo ricovero 63

pianta del caravanserraglio interurbano di Sergiopolis nella Siria settentrionale, VI° sec.

pianta del ‘han’ (era così chiamato l’antenato del fondaco) di Umm al-Walid nel sud della Siria, VII° sec.


per il viandante e soprattutto di mercato, di deposito, di circolazione mercantile e di servizio postale.

il fondaco vecchio della farina a Rialto, XII-XIII sec, particolare veduta de’ Barbari, 1500

Fin dall’inizio la forma del fondaco è definita in un recinto quadrato che ne contiene sul perimetro i locali adibiti allo stoccaggio della merce, lasciando libero lo spazio centrale che diventa un cortile interno. L’idea di fondaco si evolve nella storia in svariate forme, anche se resta fortemente legato al concetto di deposito merci. Uso che ne fanno soprattutto i veneziani, dapprima con i fondaci in loro possesso nelle città e territori con i quali avevano i maggiori commerci come Costantinopoli, dove le prime tracce sono documentabili già dal X secolo; per poi prendere piede concettualmente anche nella stessa città di Venezia, dove alla fine del XII secolo si istituisce il primo fontego della farina a Rialto, a dimostrazione del fatto che la cultura costruttiva veneziana avesse assimilato il modello di fondaco ad uno specifico tipo di edificio commerciale. Il fondaco della farina non è solo un deposito di stoccaggio, ma è soprattutto il luogo dove si controlla e si garantisce la qualità di quest’ultime, si fissa il prezzo, ne si disciplina la vendita. E’ lo strumento di gestione dell’abbondanza nel grande mito politico di Venezia come fautrice della giustizia. Simbolo di giustezza e del potere commerciale della Serenissima, l’idea di fondaco si compie nel XIII secolo 64


con l’introduzione del suo uso adibito a comunità commerciali straniere. Il fondaco dei tedeschi è una sorta di ‘duty-free’ ante litteram dove la Repubblica può tutelare e controllare popolazioni fluttuanti che ne usano gli spazi dai fini prevalentemente commerciali e dove l’aspetto residenziale è temporaneo. I Fonteghi assumono così una rilevante funzione rappresentativa, maggiore è il prestigio della nazione che lo usa e maggiore è l’importanza e la bellezza architettonica dell’edificio che la ospita e la posizione che questo occupa sulla via acquea. Il fondaco sintetizza in sé il fascino di un oggetto dalle funzioni estremamente versatili, un’opera aperta dai confini immateriali non segnati, il luogo dell’eterotopia.

pianta attuale del fondaco dei Tedeschi, fonte Perocco - Salvadori, Storia di Venezia 65

Eterotopia Il filosofo Michel Foucault individua questa categoria di spazi come l'opposto delle utopie. Sono luoghi aperti su altri luoghi, dove si svolgono funzioni marginali o escluse dalle città,come centri commerciali, prigioni, case di cura, cliniche, cimiteri. Nel terzo principio enunciato da Foucault, si sostiene che l'eterotopia faccia convivere diverse funzioni, che in altro luogo sarebbero incompatibili, come il teatro, nel quale diverse scene si alternano su un luogo altro. Il cimitero, da parte sua, fa parte di quei luoghi dove il tempo assume un valore relativo. Eterotopie sono però anche luoghi dove si conserva il tempo come le biblioteche o i musei. Altre eterotopie sono i villaggi turistici, come luoghi dell’effimero, che illudono di essere altrove, anche se sono uguali in ogni parte del mondo. Queste funzioni sono spesso illusorie e, come nel caso dell'eterotopia originaria della nave, possono nutrire i sogni ed essere per secoli la riserva più grande dell'immaginazione per la nostra civiltà. Il mezzo informatico è forse l’ultima in ordine di apparizione ed è da qui che si può ripensare il concetto di eterotopia.



percorso progettuale

il fondaco dei veneziani Diversamente da come è stato nella storia, il fondaco dei veneziani non è più elemento a sé in un contesto di terra straniera, diventa invece eterotopia ambigua nella laguna di Venezia. Quasi stranieri nella loro città, si è pensato a questo luogo come baluardo della cultura dei veneziani. Posizionato in maniera inquietante, sfacciatamente in linea con piazza san marco e il palazzo ducale, ma facendosi timidamente proteggere tra le isole di San Giorgio e della Giudecca. Tenendo le spalle a questo scenario architettonico millenario, ci si accorge, guardando il fondaco, di come esso si apra su una distesa d’acqua dalle infinite potenzialità. In questi ultimi anni si è visto come numerosi movimenti cittadini abbiano manifestato l’esigenza di esternare queste potenzialità locali, lamentando l’odierna gestione cittadina, la progressiva cancellazione del tessuto locale per via del turismo di massa, l’esodo degli abitanti verso 67

<<nella Serenissima, il nuovo fosse accettato soltanto qualora esso rinunciasse a pretese di assolutezza. Vale a dire, qualora esso fosse disposto a colloquiare con la consuetudo, entrando a far parte di un universo in cui le opposizioni risultino dissolte>> Tafuri, Venezia rinascimento


sede e luogo di incontri per: associazione 40xvenezia social network venessia.com punto di riferimento per dibattiti e incontri dei vari movimenti e comitati nati intorno alla tutela e salvaguardia di Venezia: comitato di salute pubblica a Venezia VeneziaDoc VeneziaLog ultimiverivenexiani luogo per eventi, spettacoli, performance e feste organizzate da associazioni quali: baobab project vivacittà manonuda compagnia teatrale venetiam archivio documentale interattivo: biblioteca virtuale - archivio/deposito digitale documenti digitalizzati archivio di stato cartografia lagunare banca dati lagunare esposizioni interattive multimediali temporanee: sugli argomenti in dibattito artisti che trattano il tema di venezia storia di venezia: proiezioni olografiche interattive software di navigazione virtuale 3D proiezioni senza schermo ologrammi 3D con ricostruzioni architettoniche stage, workshop e attività di studio su venezia per brevi permanenze

la terraferma, oltre che ai pericoli legati all’innalzamento del livello del mare. Questo movimento popolare fatto di incontri tra pensieri e persone è avvenuto principalmente tramite l’utilizzo del mezzo informatico. Social network, blog, ning e siti specializzati hanno permesso in questi anni che la gente si incontrasse sotto il segno comune dell’interesse per la sopravvivenza sia fisica che morale della città. Il fondaco dei veneziani vuole diventare luogo tangibile d’incontro, insieme alla piattaforma informatica, di idee, mobilitazioni, proposte. Un incubatore culturale e fucina di idee nell’ambito della progettazione e dell’azione per stimolare la città attraverso la creatività sociale delle reti. Oltre che luogo della conservazione dalla spiccata vocazione digitale, è luogo per reinventare lo spazio pubblico tra web e territorio. Una sorta di teatro del cibernetico dove lo spettatore, ovvero il cittadino, è chiamato a partecipare attivamente mettendo in discussione sé stesso, costretto a percepire nuove maschere atte a “rendere comprensibile il possibile”. Il teatro nasce infatti su questo presupposto, quello di spostare il senso comune e la nostra percezione del mondo, lo stesso obiettivo che si prefigge il fondaco nella più ampia diffusione dell’informazione locale.

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Come direbbe l’esperto di performing media, termine coniato per definire l’interazione sociale e culturale con i nuovi media interattivi, Carlo Infante: <<Il paradigma elettronico può essere letto come una rielaborazione del concetto di teatro, dove le tecnologie permettono un’interattività degli utenti in tempo reale tale da essere la prova tangibile della possibilità di un tempo e spazio altri, in una riconfigurazione dei ruoli di attore e spettatore che si fondono nella condivisione dell’atto della comunicazione. La maschera si dissolve nel teatro dello spazio-tempo da condividere, dove il corpo è l’estremo luogo dello scontro tra vita e finzioni. Non a caso l’interfaccia grafica di un computer si chiama anche “maschera”, poiché diventa la soglia d’entrata, la porta multimediale, la zona epistempologica di accesso, per un mondo altro, dove si potranno costruire percorsi cognitivi personalizzati che tenderanno ad avvicinare sempre più il pensiero all’azione. Teatro come luogo della simulazione di uno spazio mentale altro, virtuale come luogo della simulazione di uno spazio fisico altro.>>15

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Carlo Infante, Nietzsche, Artaud e il dionisismo oggi, teatron.org

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Il progetto Il progetto, fondandosi sul quadrato, si compone di una maglia di sotto-quadrati dalla dimensione di 8 m. per 8 m. (questi determinano anche la maglia strutturale). I quadrati si ripetono per 7 volte, determinando una lunghezza complessiva di ciascun lato di 56 metri. L’ingombro complessivo dell’area è pertanto di 3136 m2 (Palazzo Ducale ha un ingombro pari quasi al doppio, ovvero 6000 m2). A lato di questo volume, come una copia in negativo, si definisce della stessa dimensione il vuoto della darsena, pensata per accogliere le barche dei visitatori per particolari occasioni di manifestazioni o eventi, che scava nella velma per una profondità di -4,00 metri l’accesso acqueo delle imbarcazioni. Il fondaco si suddivide in più parti determinate dalle sue funzioni che sono: l’auditorio, lo spazio espositivo, la piazza/corte, la biblioteca, la foresteria, le attività commerciali/bazar. Il fondaco si divide in due parti fondamentali, il basamento che si immerge nelle acque sprofondando nella velma fino a quota -4,00 metri sul livello del mare e che contiene, oltre all’auditorio, tutta una serie di servizi di utilità e autosufficienza del fondaco quali la fitodepurazione per la pulizia delle acque prima di essere scaricate in laguna, la cisterna di convogliamento delle acque piovane con apposite macchine per il filtraggio e il 70


riutilizzo dell’acqua, i magazzini di deposito e stoccaggio merci e i locali servizi/caldaie. La sopraelevazione che si erge ad una quota di +7,00 metri sul livello del mare, accoglie le attività di biblioteca, spazi espositivi e il ricovero della foresteria.

auditorio quota -6,00 e +0,00 superficie complessiva 500 mq capienza di 324 posti a sedere 14 file di sedute L’accesso prevede un ingresso posto a quota +0.00 dell’edificio in una hall provvista di bar, guardaroba e servizi igienici. Successivamente si scende attraverso due rampe che costeggiano la cavea dell’auditorio permettendo di prendere visione dello spazio verso il quale si procede. A quota -6.00, ovvero la quota del palco, sono previsti tutti una serie di servizi correlati all’attività quali magazzi, camerini, servizi igienici e collegamenti con i pani superiori. L’auditorio prende luce dal soffitto attraverso 3 ‘pozzi’ vetrati posti a quota +4,00 m. sulla piazza del fondaco. Dalla hall è previsto l’accesso privato agli uffici amministrativi e agli spazi tecnici che gestiscono sia l’auditorio che lo spazio espositivo. 71


spazio espositivo quota +4.00 e +7.50 superficie complessiva 560 mq esposizioni temporanee servizio bar e bookshop E’ la parte più versatile dell’edificio. Uno spazio libero e componibile si apre sulla piazza a quota +4.00 in una grande hall a doppia altezza. La hall accoglie un bar con affaccio e plateatico sulla piazza, affiancato dal bookshop. Il resto degli spazi è adibito ad esposizioni multimediali attraverso l’uso di proiezioni interattive e schermi led multitouch sempre aggiornabili. Il piano superiore è aperto con un ballatoio che permette la vista della hall. Il piano inferiore occupa una superficie di 330 mq., mentre il piano superiore di 230 mq., per un totale di 560 mq.

biblioteca quota +0,00, +4,00 e +7,50 superficie complessiva 1370 mq 64 posti lettura 22 postazioni interattive servizio caffetteria e armadietti 72


E’ il cuore dell’edificio, con i suoi 1370 mq la biblioteca rappresenta la memoria storica e documentale del fondaco grazie al suo archivio digitale in continuo aggiornamento. Gli spazi sono distribuiti su due livelli e avranno due funzioni diverse ma complementari. Al primo livello c’è la biblioteca vera e propria (superficie di 770 mq) con le attrezzature tecnologiche per la consultazione di documenti, carte e materiali d’archivio provenienti dalla digitalizzazione dei patrimoni presenti nelle varie biblioteche della città e posti di lettura; mentre al piano superiore (superficie di 600 mq), il cervello del fondaco, ovvero le sale per incontri, discussioni e decisioni delle associazioni e spazi più riservati per riunioni di carattere più privato. L’ingresso è posto al piano terra, sul quale si affaccia dal piano superiore la caffetteria.

foresteria quota +4,00 e +7,50 superficie complessiva 1200 mq 24 alloggi da 30 mq l’uno 24 posti letto, raddoppiabili fino a 48. La foresteria rappresenta lo spazio per chi avesse necessità di alloggiare per brevi periodi sull’isola, questa è pensata per chi partecipa a stage, workshop o attività di ricerca promossi dal fondaco. La foresteria è 73


autonoma con 1200 mq disposti su due livelli per un totale di 24 alloggi da 30 mq ciascuno e 2 cucine comuni. Dispone di 5 ingressi diversi, uno, il principale, è posto al piano terra e vi si accede da un ingresso privato, gli altri quattro si affacciano sulla piazza al piano superiore. Dalla foresteria si ha accesso diretto sia alla biblioteca che agli spazi espositivi.

attività commerciali/bazar Oltre alle precedenti attività, è stato previsto anche una serie di piccoli bazar (negozi), posti alla quota +0,00 della fondamenta e nella direttrice che congiunge l’accesso acque principale e la darsena alla biblioteca e all’ingresso dell’auditorio, la parte pertanto più di passaggio. Le attività commerciali sono state pensate per vendere oggetti e prodotti nati dalla creatività locale.

corte/piazza Pensata come fulcro del progetto e punto d’incontro, la corte è il luogo dello sguardo con la rampa dalla quale in discesa si può vedere assialmente lo scorcio su piazzetta San Marco.

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I materiali Per continuità storica e logica, il progetto prevede in nuce, oltre al cemento strutturale, l’utilizzo di due materiali per il rivestimento delle due superfici interne ed esterne. Verso l’esterno una membrana di lastre in pietra d’Istria, a sottolineare la continuità materica con la città.

particolare dela facciata in pietra d’Istria del fronte acque del Forte Sant’Andrea, Sanmicheli, metà XVI sec.

Verso l’interno, come una maschera, si appoggia alla struttura della corte e della parete interna della biblioteca, una ‘quinta’ composta di lastre in marmo proconnesio, a sottolineare la continuità simbolica con la città. Si è immaginato questo marmo poiché materiale lapideo principalmente utilizzato nei rivestimenti interni della basilica di San Marco e nella parete esterna dell’angolo del Tesoro. Il marmo tagliato in spessori minimi permette alla luce di passare da un lato all’altro, costituendo una pelle diafana che di giorno illumina i corridoi della foresteria, gli spazi espositivi e gli spazi di consultazione della biblioteca; mentre di notte, con le luci interne, permette di illuminare la corte.

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particolare del muro del tesoro, con il marmo proconnesio, lato porta della Carta, piazza San Marco


autonomia dell’edificio Si è pensato come l’edificio possa essere indipendente e autonomo rispetto alle principali necessità di approvvigionamento di energia e di acqua.

fotovoltaico Il tetto è pensato per essere rivestito con materiale fotovoltaico TECU® Solar System, con il suo principio di funzionamento basato sulla trasmissione diretta del calore che riesce a raggiungere temperature di picco in breve tempo e una rapida attivazione del sistema e accumulo del calore necessario a soddisfare i fabbisogni. TECU® Solar System

La struttura integra al proprio interno un sistema di superficie captante solare totalmente invisibile all’esterno, così da rendere la scelta tecnica pienamente compatibile con la visione e la forma architettonica.

fitodepurazione

dettaglio fitodepurazione orizzontale

Lo spazio che affianca la rampa di accesso alla corte è stata pensata per una vasca di fitodepurazione con sistema a flusso sommerso orizzontale della superficie di 170mq, in maniera tale da non rendere necessario l’allacciamento alla fognatura pubblica. 76


Questa dimensione permette una depurazione equivalente ad un minimo di 42 persone ad un massimo di circa 85 persone presenti stabilmente nel fondaco. Considerata la capienza massima degli alloggi della foresteria di 48 persone, e il quotidiano afflusso dei visitatori, dovrebbe essere più che sufficiente.

cisterna per la raccolta acque piovane Altra possibilità per rendere l’edificio autonomo è una cisterna per la raccolta e filtraggio delle acque piovane, che avverrà attraverso un sistema di convoglio delle acque dal tetto e dalla piazza all’interno del basamento dell’edificio. Basilica Cisterna, Istambul

Riprendendo l’idea di basilica cisterna di Istambul, l’attuale Yerebatan Sarnici, si è pensato ad un involucro di capienza massima pari a 1780 mc d’acqua che considerato l’uso medio giornaliero di 50 litri a persona, corrispondono largamente al sostentamento di tutto il fondaco per lunghi periodi anche di siccità.

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