televisione convergente La tv oltre il piccolo schermo
a cura di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni
CAPITOLO I
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Televisione convergente
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a cura di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni
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SOMMARIO
Introduzione la televisione convergente di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni......................................................................... 11
Sezione I SGUARDI Estensione, accesso, brand Le tre dimensioni della televisione convergente di Luca Barra, Cecilia Penati e Massimo Scaglioni.............................................. 21 produzione convergente Dieci regole per il broadcaster di Luca Barra e Massimo Scaglioni............................................................................ 33 consumo convergente Pratiche, orientamenti e discorsi di Luca Barra e Massimo Scaglioni............................................................................ 57 Quale televisione? Alcune considerazioni di Aldo Grasso................................................................................................................. 79
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Sezione II METODI Oltre il testo Una griglia di analisi desk per i programmi convergenti di Cecilia Penati.............................................................................................................. 85 Convergenza ed etnografia di rete La virtual ethnography nel web televisivo di Luca Barra, Matteo Tarantino e Simone Tosoni............................................. 93 Senza confini di “campo” La fase field della ricerca di Anna Sfardini. ........................................................................................................... 103 HOUSEhold un medium in famiglia. .................................................. di Fabio Introini.............. 110 una famiglia tradizionale. ma con l’iphone........... di Cecilia Penati. ............ 112 trendy ma riflessiva. una coppia giovane. ............... di L.Barra, M.Scaglioni. 114 amici. l’intreccio del consumo di tv......................... di Lorenzo Domaneschi. 116 single. quando cambia il quotidiano (televisivo).di Sergio Splendore........ 118
Sezione III TESTI E CONTESTI Intrattenimento Grande fratello............................................................. di Cecilia Penati. ............. 125 X Factor............................................................................. di Luca Barra. ................... 135 Uomini e donne................................................................ di Stefania Carini........... 147 Chiambretti Night......................................................... di Rocco Moccagatta..... 157 Fiction italiana I Cesaroni.......................................................................... di Cecilia Penati. ............ 169 Tutti pazzi per amore..................................................... di Luca Barra. .................. 179 Squadra antimafia – Palermo oggi............................ di Massimo Scaglioni..... 189 Romanzo criminale........................................................ di Adriano d’Aloia.......... 199 Serialità americana Heroes................................................................................ di Rocco Moccagatta.... 213 CSI: Scena del crimine. ................................................. di Andrea Fornasiero.... 223 Gossip Girl........................................................................ di Matteo Tarantino. ... 235 Mad Men. .......................................................................... di Simone Tosoni. ............ 245
Bibliografia.................................................................................................................... 257 Note biografiche.......................................................................................................... 263 8
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Introduzione
La televisione convergente Aldo Grasso e Massimo Scaglioni
televisione convergente. l’espressione, apparentemente ermetica nel suo tecnicismo, descrive in realtà un processo che sta avvenendo intorno a noi, e di cui noi stessi – spettatori e utilizzatori di media – siamo non soltanto i destinatari, ma spesso i protagonisti. Il mutamento nel sistema dei mezzi di comunicazione, in atto da alcuni anni, è sotto gli occhi di tutti. Sotto la potente spinta della digitalizzazione, oggi facciamo con i media cose un tempo impensate: se desideriamo informarci sui fatti del giorno, un tocco sull’iPad o un click sul laptop ci è sufficiente per visualizzare l’ultima edizione del quotidiano preferito, senza passare dall’edicola; mentre siamo in attesa in un luogo pubblico, o in viaggio, il nostro apparecchio telefonico portatile si trasforma in un terminale per vedere un film; in una serata di “magra” programmazione televisiva troviamo su YouTube i frammenti di quel programma che ci ha divertito o di cui abbiamo tanto sentito parlare da amici e colleghi… Gli esempi si sprecano, e forse sono persino inutili, tanto sono ormai entrati nella nostra vita quotidiana. Convergenza significa, in breve, proprio questo: quelli che prima chiamavamo “mezzi di comunicazione di massa” ora si sovrappongono, si mescolano, si combinano, si piegano con maggiore flessibilità agli usi che decidiamo di farne, ai nostri tempi, ai nostri spazi. La “convergenza dei media” non è, però, un processo solamente tec11
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nologico, o dettato dalla tecnologia. Per allontanarsi da questa visione troppo ingenua e fallace, che fa della tecnica la causa che si ripercuote sui nostri comportamenti (il modo in cui usiamo i media, in questo caso), Henry Jenkins ha coniato l’espressione “cultura convergente”. Considerata l’importanza e pervasività dei mezzi di comunicazione nella società contemporanea, e il fatto che i media non sono solo semplici strumenti, ma piuttosto ambienti in cui siamo immersi, il mutamento in corso è davvero culturale. Riguarda cioè la “cultura” nel suo senso più ampio, antropologico: “un intero modo di vita”, come l’ha definita Raymond Williams. Che la tecnologia, elemento necessario al cambiamento in corso, non sia tuttavia la forza in grado di rivoluzionare comportamenti e “modi di vita” è dimostrato da due semplici considerazioni. La prima consiste nell’osservare che – accanto alla fioritura di tutti questi nuovi modelli di utilizzo dei media – permangono anche quelli più tradizionali, che affondano le loro radici nella storia, prossima o molto lontana, dei mezzi di comunicazione: i giornali fatti di carta si continuano a comprare come uno o due secoli fa, si continua ad andare in sala a vedere l’ultimo film in cartellone pagando il biglietto, la televisione continua a rappresentare il principale passatempo all’interno delle mura domestiche. Quelle che permangono, in fin dei conti, sono alcune esigenze di fondo che, pur mutando nelle forme e nei contenuti con cui vengono soddisfatte, caratterizzano l’uomo mediatico uscito dalla Modernità otto e novecentesca: da un lato, l’esigenza di intrattenimento, cui danno una risposta i prodotti della cultura popolare mediatizzata (romanzi, canzoni, film, programmi televisivi); dall’altro, il bisogno di informazione che (grazie soprattutto al broadcasting, e oggi, naturalmente, anche al web) ha rotto la dipendenza del tempo dallo spazio, per farsi istantanea. Dunque, da un lato, a forgiare l’ambiente della convergenza dei media, e di tutte le tecnologie che essa porta con sé, stanno queste esigenze e, in ultima analisi, le persone in carne e ossa che includono i mezzi di comunicazione nei loro modi di vita. La seconda considerazione deriva dall’osservazione che, nella società capitalistica, anche la più geniale delle invenzioni deve trovare un mercato per diffondersi: deve cioè intercettare o quantomeno generare dei bisogni. L’industria culturale si attiva solo se le sue produzioni sono economicamente sostenibili. Le imprese televisive e cinematografiche americane, per esempio, stanno provando, ormai da alcuni anni, a individuare il modo più vantaggioso per “incorporare” l’indubbio bisogno di utilizzare la rete come ulteriore canale di distribuzione dei loro prodotti. Per creare Hulu – che in cinese mandarino significa “scrigno di beni preziosi”, e che è una sorta di grande contenitore web di testi 12
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mediali, in particolare film e prodotti tv – si sono accordati concorrenti storici come Nbc Universal, Fox NewsCorp e Abc Disney, ma non è ancora chiaro se lo “scrigno” conterrà doni preziosi anche per le major. Perché un modello economico per l’over-the-top tv è tutt’altro che chiaro: in rete c’è grande fame di contenuti audiovisivi, il web può rappresentare un enorme archivio on demand, ma come si regge, alla fine, il sistema, visto che lo spettatore è sì disposto a consumare contenuti, ma molto meno a pagarli (dal momento che esistono anche numerose strade illegali)? E allora, dall’altro lato, a forgiare l’ambiente della convergenza stanno le imprese mediali, con i loro interessi, con le loro strategie e, soprattutto, con la loro capacità – più o meno sviluppata – di inserirsi creativamente e tempestivamente su un terreno in costante evoluzione. Ma cosa sta accadendo, più da vicino, alla televisione? Quali sono, concretamente, le dinamiche che caratterizzano la televisione convergente? E quali esiti possiamo aspettarci? Le risposte non sono semplici. Perché, se spostiamo la lente d’ingrandimento dai media in generale alla tv in particolare (che, pure, con i media, è portata a “convergere”), ci accorgiamo che tutto sta cambiando. Anche se il cambiamento comprende forti elementi di continuità. Mutano, ovviamente, le tecnologie. Il passaggio universale al digitale terrestre – con le sue conseguenze in termini d’offerta, di frammentazione del consumo, di strategie palinsestuali, di costruzione di reti e brand nuovi – è il più consistente cambiamento che la tv ha affrontato negli ultimi venti o trent’anni, anche soltanto per il numero di persone che coinvolge: un’intera popolazione. Ma il digitale terrestre, pur essendo la tecnologia di accesso-base alla tv, non è la sola piattaforma distributiva su cui le imprese televisive possono contare: satellite, Iptv, tv mobile nelle sue diverse accezioni tecnologiche, come pure il web, affiancano forme già consolidate di accesso ai contenuti (si pensi, per esempio, al dvd). Quel che emerge è una moltiplicazione dei possibili percorsi che connettono produzione e consumo: e allora la convergenza significa, in primo luogo, “divergenza” delle piattaforme e dei device con cui si accede ai programmi. Per dirla in altri termini: la televisione (il medium) non contempla più un solo apparecchio di fruizione (il televisore), che pure resta il fulcro delle pratiche di consumo domestico. Mutano, in secondo luogo, non solo le funzioni, ma le stesse identità dei broadcaster, ovvero delle grandi imprese televisive. Il broadcaster è chiamato a considerare e a sfruttare strategicamente la moltiplicazione delle vie d’accesso alla televisione. Deve individuare nuove strade per fidelizzare i propri spettatori, poiché nel contesto iper-frammentato dei consumi televisivi nessuna posizione è garantita. Ha bisogno di in13
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Estensione, accesso, brand Le tre dimensioni della televisione convergente Luca Barra, Cecilia Penati e Massimo Scaglioni*
il processo della “convergenza delle forme della comunicazione” – come lo definisce, già negli anni Ottanta, Ithiel De Sola Pool1 – è diventato oggi, inevitabilmente, oggetto d’attenzione crescente nell’ambito dei Media Studies2 : la precoce intuizione di Pool, in un’epoca ancora sostanzialmente pre-digitale, ha trovato, nel panorama dei media contemporanei, non tanto una realizzazione, quanto un’autentica “esplosione”. La convergenza dei mezzi di comunicazione è la realtà con cui confrontarsi ogni giorno, dal momento che i media si sovrappongono fra loro, si ibridano, trovano alleanze, sono consumati e “ri-forgiati” l’uno attraverso l’altro, per soddisfare esigenze di intrattenimento e di informazione sempre più articolate, attive, dislocate, frammentate. Il fenomeno della convergenza sta mutando radicalmente il panorama dei media e della cultura contemporanea, e affrontarlo significa ripensare gli strumenti concettuali con cui analizzare la comunicazione mediale. Per la centralità sociale, economica e simbolica, la televisione resta il medium tuttora predominante nelle nostre culture, ma la tv è essa stessa investita dalla trasformazione: cambia pelle, innestando tratti innovativi su strutture tradizionali. In un processo che alterna, appunto, mutamento e inerzia, e va a investire tutti gli aspetti del medium: il suo apparato istituzionale, i suoi modelli economici, le testualità e i linguaggi, i modelli di fruizione e, naturalmente, le tecnologie.
* Il capitolo è stato progettato insieme dai tre autori. La stesura materiale è stata così suddivisa: la parte introduttiva è stata redatta da Massimo Scaglioni; il I paragrafo da Cecilia Penati; il II e il III paragrafo da Luca Barra. 1. I. De Sola Pool, Technologies of Freedom, Harvard University Press, Cambridge 1983 (tr. it. Tecnologie di libertà. Informazione e democrazia nell’era dell’elettronica, Utet, Torino 1995); al proposito, si veda anche P. Ortoleva, Mediastoria. Comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Net, Milano 2002. 2. Dopo il seminale lavoro di Henry Jenkins, sono stati pubblicati [segue]
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14. Una lettura delle innovazioni tecnologiche e di sistema si può trovare in F. Di Chio (a cura di), Link. Idee per la televisione, Focus Mediamorfosi, RTI, Milano 2006. Si veda inoltre M. Scaglioni e A. Sfardini, MultiTv, cit. 15. L’ormai classica definizione di flusso televisivo risale a R. Williams, Television. Technology and Cultural Form, Fontana, London 1974 (tr. it. Televisione. Tecnologia e forma culturale, Editori riuniti, Roma 2000). 16. Il concetto è di B. Anderson, Imagined Communities. Reflections on the Origin and Spread of Nationalism, Verso, London 1983 (tr. it. Comunità Immaginate. Origine e diffusione dei nazionalismi, Manifesto Libri, Roma 1996).
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che di interazione con il testo televisivo in un primo tempo priorità di un ristretto gruppo di spettatori appassionati, i fan, il cui rapporto con il testo verte su un sistema di passioni che coinvolge il gioco, la proiezione fantastica, il completamento creativo del mondo d’invenzione. La seconda direttrice di ramificazione testuale è invece costituita dalle estensioni “terziarie”, ovvero quelle grassroots, derivate da una spinta bottom-up e prodotte dall’attività spontanea dei pubblici televisivi e dalle culture di fandom. Questa produzione creativa è spesso stimolata dalla necessità di colmare alcuni spazi vuoti lasciati dall’iniziativa delle istituzioni mediali, o dalla necessità di sopperire alla scarsa presenza di testualità secondaria nei contesti di arrivo di prodotti seriali americani. Le estensioni terziarie ricalcano spesso i percorsi di sviluppo della testualità secondaria, spaziando dal merchandising autoprodotto all’invenzione di universi narrativi paralleli, per esempio attraverso opere di fan art e fan fiction.
– Accesso – La seconda parola chiave utile per l’analisi dei contenuti televisivi convergenti è accesso. Quando si prendono in considerazione le dinamiche dell’accesso si tende di solito a ragionare in termini spaziali, perdendosi in un elenco di piattaforme, offerte e luoghi attraverso i quali è possibile vedere la televisione: il televisore classico, i vari decoder, la televisione fuori dal televisore. L’elenco è lungo, in continua evoluzione ed espansione: il digitale terrestre e satellitare, le schede del dtt pay, l’offerta Sky, il mobile, l’Iptv, i siti web che consentono di vedere la tv in streaming, il peer-to-peer per il download illegale, le web tv, i portali dove scaricare legalmente eccetera. Lo scenario dell’accesso alla televisione cambia spesso, con nuove offerte tecnologiche e commerciali14. Diventa così più utile, nell’analisi dei singoli testi, astrarre rispetto alla molteplicità dei “luoghi” di consumo televisivo, concentrando l’attenzione su un’altra dimensione: quella dei “tempi”. Sembrano infatti emergere alcune temporalità, pattern ora condivisi tra la produzione, la distribuzione e il consumo, ora invece più conflittuali, che ridefiniscono i concetti di testo e, soprattutto, di flusso15, e sanciscono modi differenti di avvicinarsi al testo televisivo, o a insiemi di testi. Sempre più spesso la televisione è vista prima, in una temporalità anticipata. Pur restando centrale il ruolo di rituale sociale condiviso dalla “comunità immaginata”16, si vanno definendo nuove forme di visione in anteprima. Il caso più noto è quello delle serie americane, scaricate 26
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DIMENSIONI DELLA CONVERGENZA Estensione, accesso e brand
PRODUZIONE
OFFERTA
PRODOTTO
RETE
ESTENSIONE
PIATTAFORMA
BOUQUET
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CONSUMO
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BOTTOM-UP
TOP-DOWN
BRAND
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In secondo luogo, il passaggio da una convergenza di superficie a quella profonda va letto nei termini di una progressiva complessificazione e specificazione delle pratiche, non di una loro sostituzione: se uno spettatore “apprende” o passa a modalità più forti di ingaggio con il testo, le estensioni e il brand, queste non cancellano le precedenti pratiche più deboli, ma semplicemente si aggiungono a esse, arricchendo la gamma degli strumenti (vera e propria “cassetta degli attrezzi”) a disposizione del singolo individuo (e magari di uno dei gruppi a cui appartiene) per “guardare la televisione”. Gli individui (può servire ricordarlo, in relazione a un singolo contenuto) si muovono nella piramide in seguito a una serie di spinte contrastanti, che acquisiscono più o meno valore in determinati momenti, e vanno così a influenzare (insieme a fattori esogeni) le specifiche pratiche di fruizione. Due forze si possono considerare interne, dal momento che riguardano direttamente la relazione tra uno spettatore e un testo. Da un lato, così, la fidelizzazione al prodotto, e il conseguente rafforzamento del legame con il suo brand (o il brand di rete, o ancora quello di offerta), spingono l’utente dall’alto delle pratiche superficiali verso il basso, e costituiscono il motore essenziale per “approfondire” le modalità convergenti (proprie, familiari, delle altre reti di relazione coinvolte), passando attraverso il discorso e il gioco e avvicinandosi a consumi più identitari e a pratiche di possesso. Dall’altro lato, invece, si verifica una sorta di rimbalzo, che partendo dal basso si riverbera verso l’alto, investendo l’area intermedia fino a coinvolgere la superficie: pratiche convergenti profonde, limitate sostanzialmente a una nicchia di individui, possono diventare anche parecchio rilevanti quando attivano casi di “ricaduta”, che fanno entrare i programmi (anche attraverso le rielaborazioni grassroots che ne sono realizzate, o le estensioni dedicate ai fan più coinvolti) nei discorsi sociali e mediali più generali, con cui il pubblico più vasto può agevolmente entrare in contatto, più o meno intenzionalmente. Insomma, la fidelizzazione aumenta il legame con il prodotto tv, e fa sì che più gente lo discorsivizzi in qualche modo; allo stesso tempo, maggiori sono gli elementi e i discorsi in circolazione, più probabili sono i rimbalzi e le ricadute su un pubblico più vasto che ancora non conosce il programma, e magari decide così di guardarlo. Altre due forze, invece, sono più esterne: non riguardano la specifica relazione tra i testi e i loro spettatori, ma regolano l’approccio più generale al mezzo e ai suoi contenuti. Da una parte, l’accomodamento spinge verso la superficie della piramide rovesciata: la diffusa tendenza a “ridurre la complessità” predispone a una fruizione di tipo più inerziale e passivo, che porta il pubblico ad adottare un range tutto sommato 72
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DINAMICA DELLA CONVERGENZA Forze esterne e interne
CONVERGENZA DI SUPERFICIE esplorazione/informazione
FIDELIZZAZIONE
ACCOMODAMENTO
VALORIZZAZIONE
INTENSITà
RIMBALZO
AREA INTERMEDIA discorso/gioco
RIMBALZO CONVERGENZA PROFONDA identità/possesso
FORZE ESTERNE
FORZE INTERNE 73
sezione II
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sezione II
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Sezione II
Metodi
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Oltre il testo
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OLTRE IL TESTO Una griglia di analisi desk per i programmi convergenti Cecilia Penati
in una fase storica in cui profondi cambiamenti stanno segnando il sistema dei mezzi di comunicazione, anche lo statuto del medium televisivo è soggetto a importanti ridefinizioni. Nuovi modelli di business si vanno progressivamente imponendo, diversi e più complessi percorsi di consumo prendono forma: anche i linguaggi e le forme testuali sono interessati da considerevoli metamorfosi, espressione di un processo di convergenza estetica1. I programmi televisivi sono infatti sempre più spesso progettati per adeguarsi a un contesto multi piattaforma, in cui l’ampiezza e, al contempo, la frammentazione del panorama d’offerta rendono indispensabile per le istituzioni mediali dar vita a un coinvolgimento profondo e costante con lo spettatore, disegnando un’esperienza immersiva e di contatto con i testi televisivi. Il “testo primario”, il nucleo base di episodi in onda, rappresenta così solo il punto di partenza per ulteriori iniziative, mirate a costruire intorno al programma un’immagine riconoscibile e a permettere al consumatore di entrare in contatto con i prodotti televisivi in modi differenti, più complessi rispetto alla sola visione di un contenuto standard attraverso il device di fruizione tradizionale. Si va così da forme essenziali di coinvolgimento, come i siti web dalla semplice funzione informativa, a pratiche sempre più complesse di ampliamento del mondo narrativo, come le novellizzazioni, i videogiochi, le proposte discografiche. 85
1. M. Scaglioni, A. Sfardini, MultiTv, cit.
Oltre il testo
2. J. Fiske, Television Culture, cit.
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Alla luce di queste considerazioni, il concetto di testo televisivo, insieme a quello delle sue soglie e dei suoi effettivi confini, deve necessariamente modificarsi e ampliarsi fino a includere nuovi elementi, mettendo in discussione e rideclinando anche la nozione di intertestualità televisiva formulata da John Fiske2. Se nuove forme testuali si impongono nel panorama televisivo, devono allora essere ipotizzati nuovi strumenti per studiare la televisione convergente e i suoi prodotti, con le tradizionali categorie di analisi che rischiano di non essere più sufficienti a indagare il funzionamento dei testi “multi-televisivi” contemporanei. L’esigenza di nuovi strumenti di analisi non mette tuttavia in discussione la validità di alcune delle tradizionali categorie di indagine di matrice semiotica e narratologica, anche in considerazione del fatto che spesso le potenzialità di sviluppo convergente dei testi televisivi sono rese possibili proprio dalla loro costruzione narrativa, e in particolare da caratteristiche testuali quali la complessità narrativa, l’ibridazione tra generi, l’ermeneutica perpetuata, l’alta serializzazione orizzontale, la costruzione di mondi d’invenzione iper-dettagliati. Da qui la proposta di una griglia d’analisi desk articolata intorno ai tre principali “campi di forza”: l’accesso, l’estensione e il brand. Griglia applicabile, in forme più o meno articolate, sia a prodotti che presen tano gradi elevati di convergenza (la serialità americana, il reality show), sia a casi appartenenti a generi televisivi più tradizionali, come la fiction italiana (mainstream e di nicchia), l’intrattenimento e persino l’informazione.
– Nuovi strumenti: l’accesso – Il primo campo d’indagine, premessa per le successive osservazioni, è dunque quello dell’accesso. Lo scenario multi-televisivo presenta spesso dei contesti di programmazione non lineari, con le finestre di distribuzione dei programmi dispiegate su differenti piattaforme: quella analogica, il digitale terrestre e satellitare nelle sue duplici versioni, gratuite e a pagamento, la tv online, l’Iptv. Le diverse forme di accesso vanno da programmi molto ramificati, come i reality, con le due “anime” del format disposte su offerta pay e free, a esempi caratterizzati dalla massima linearità: nel caso della fiction italiana mainstream sono previste forme di accesso tradizionali, che sfruttano l’ampiezza di target della tv generalista per proporre i prodotti come potenti macchine narrative, serbatoio di immagini e racconti comuni. La serialità americana presenta un caso molto interessante di moltiplicazione delle finestre di accesso, con una prima sin86
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Oltre il testo
cronizzazione al palinsesto americano per le comunità di fan disposte a visionare online, illegalmente, i telefilm disponibili in parallelo alla messa in onda statunitense, un passaggio pay e una successiva trasmissione su televisione generalista. Lo studio delle diverse piattaforme e finestre di accesso permette dunque di gettare luce sulle differenti strategie con cui i prodotti sfruttano le nuove possibilità di programmazione, e di evidenziare le logiche di disseminazione dei contenuti televisivi nei vari contesti di collocazione disponibili. – Nuovi strumenti: le estensioni – La seconda area di una possibile griglia d’analisi dei programmi tv convergenti è quella dell’estensione. Il sistema della testualità ancillare sviluppata intorno ai prodotti televisivi è un mosaico che può essere ricostruito e catalogato a partire da specifiche categorie, che rendono ragione delle principali logiche e direttrici di diramazione dei prodotti3. Una prima, fondamentale suddivisione permette di distinguere tra le estensioni top-down, concepite e sviluppate dalle industrie mediali intorno ai programmi televisivi, e quelle bottom-up, scaturite dall’investimento passionale dei fan sui prodotti. Entrambe le dimensioni presentano un sistema di espansioni ispirato alle medesime linee di sviluppo, osservabile in modo speculare sia nell’universo del consumo, sia in quello della produzione, che spesso assorbe pratiche e modalità di ingaggio tipiche delle comunità di fandom. Nell’analisi delle estensioni vanno così tenuti in considerazione parametri come la fonte di origine del testo ancillare, il suo stile, le motivazioni che lo legano al prodotto di partenza, l’eventuale collaborazione di brand diversi da quello dell’emittente e della casa di produzione nel processo di realizzazione e il successo commerciale dell’estensione stessa. In un contesto distributivo sempre più articolato e caratterizzato dalla compresenza e dalla sovrapposizione di diverse piattaforme che propongono contenuti televisivi, devono essere in primo luogo considerate le estensioni che moltiplicano le possibilità di accesso al testo primario (accesso multipiattaforma), proponendone di alternative o supplementari alla messa in onda in televisione. Per esempio, attraverso supporti materiali come i dvd, il cui acquisto può diventare espressione di un investimento passionale sul programma che sfocia nel desiderio della sua conservazione e nel collezionismo (soprattutto per la fiction italiana e la serialità americana). O attraverso la visione online sui siti ufficiali delle emittenti, che sempre più spesso si propongono come archivio 87
3. La griglia di analisi delle estensioni è stata ispirata da I.D. Askwith, Television 2.0, cit.
Household
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– household 1 –
Un medium in famiglia Fabio Introini
due delle famiglie tradizionali prese nel campione della ricerca si somi-
1. L’utilizzo di un termine mutuato dal gergo calcistico, con cui si designa il calcio d’inizio che apre il match, si giustifica in virtù del fatto che è stato proprio l’interesse per lo sport il driver per l’acquisto del decoder (in un caso, coadiuvato dagli incentivi governativi).
gliano, oltre che per la composizione del nucleo (quattro persone), per la dotazione tecnologica. Entrambe tendono a saturare l’ampia gamma delle tecnologie dedicate all’entertainment (console, mp3, pc con internet, foto e videocamere). Per quanto riguarda la tv, entrambe hanno optato per il decoder Dtt. L’analogia non riguarda solo il possesso della medesima piattaforma, ma si estende allo stesso processo di domestication e alla sua scansione in due tempi. Nelle narrazioni di entrambe le famiglie, infatti, è visibile una prima fase di “ingresso” (kick-off )1 e una seconda di autentica “attivazione” (take off ). Tuttavia, è solo con l’avvento di Mediaset Premium – significativamente distante nel tempo dall’acquisto del decoder – che le due famiglie iniziano ad apprezzare pienamente la piattaforma digitale e che la sua fruizione prende il volo (take off ). L’immersione nel “nuovo mondo” televisivo, però, non stravolge le abitudini della famiglia quanto a tipologie di contenuto, ma ha casomai l’effetto di potenziare e intensificare il consumo consolidato. A rendere tuttavia opaca la presenza del nuovo dispositivo sono le sue caratteristiche tecnologiche e il vertiginoso moltiplicarsi dell’offerta, questioni con cui entrambe le famiglie sono alle prese e che spesso mettono a dura prova sia i technology sia i content leader. L’ampliamento della gamma di contenuti potenzialmente fruibili attiva inoltre una serie 110
di strategie atte a ridurre la complessità e a rendere più intelligibile la nuova piattaforma. Si evidenziano, in particolare, le dinamiche con cui la piattaforma Dtt fagocita e ingloba la tv analogica, che continua a essere fruita ma nella qualità digitale, percepita come significativamente migliore; e la forte sensazione di novità, ancora vigente, percepibile nel forte ruolo che le identità dei canali pay – perfettamente decodificate da tutti i membri delle famiglie – hanno nel modellare l’accesso, mantenendo il sopravvento sui singoli programmi a eccezione di alcuni rari cult che tuttavia finiscono per diventare “icone” degli stessi canali (Gossip Girl per Mya, Fringe per Steel). Ulteriore indicatore dell’effetto novità è il fatto che il consumo risulta piuttosto eterodiretto dalle trasformazioni dell’offerta: il lancio dei canali tematici di cinema ha modificato le diete di consumo complessive, a favore di un maggiore investimento sui film. All’interno delle dinamiche familiari, la nuova piattaforma non porta a forme di maggiore individualizzazione, ma ha semmai l’effetto di rimettere in gioco le dinamiche aggregative delle famiglie. È a questo riguardo che emerge in maniera più chiara il ruolo dei technology e dei content leader: la loro autorevolezza è pienamente legittimata all’interno dei nuclei e le loro scelte non vengono vissute come imposizione ma come consiglio competente. Si deve tuttavia constatare
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che reality e fiction americana hanno, sulle dinamiche collettive di fruizione, effetti significativamente diversi. Nella famiglia più improntata al consumo del primo genere – e di conseguenza anche di tv generalista – si osserva una maggiore frequenza della visione condivisa dall’intero nucleo. Nella famiglia più fedele alla fiction americana si nota invece una maggiore propensione all’individualizzazione, con avvicinamento anche a dinamiche conflittuali, tuttavia mai deflagranti2. Un ruolo più simile al reality è invece riscontrabile per la fiction italiana. Questo fa pensare che, più che il genere, sia la piattaforma a modellare questo atteggiamento nelle famiglie: se la tv generalista mantiene fede al suo ruolo sociale di zeitgeber (nazionale quindi a fortiori) familiare, il digitale è più vocato alla segmentazione per la sua capacità di decostruire il tempo. D’altronde, proprio la possibilità di costruire palinsesti personali, muovendosi al di là della stretta associazione tra tempi sociali e contenuti televisivi tipica della tv generalista, permette alle famiglie di conciliare individualizzazione e socialità/condivisione all’interno del nucleo; inoltre, il fatto di poter recuperare i contenuti preferiti in altri momenti del palinsesto rende meno pesante la rinuncia a essi per assecondare abitudini e richieste dei familiari. Un aspetto che rende sorprendentemente identiche le famiglie osservate è il basso grado di investimento nelle pratiche convergenti. Il motivo non deve essere cercato nell’assenza di skill indispensabili all’utilizzo della rete. La ragione risiede piuttosto nella centralità che il television set continua a esercitare per la fruizione di contenuti televisivi. Il consumo di tv è significativamente intratelevisivo e autoimplementante: persino la ricerca di informazioni indispensabili a orientare la visione proviene essenzialmente dalla tv stessa, attraverso promo, televideo ed Epg. La spiegazione sembra risiedere nel fatto che tutto il consumo che ruota intorno alla tv deve continuare a garantire – come la tv stessa – il più basso livello “fisico” e cognitivo di acces-
Household
so. Questa tesi trova ulteriore conferma nel fatto che nessuna delle due famiglie è disponibile – neppure nel caso di consumi cult – a fruire di contenuti tv tramite la rete se questo significa avere a disposizione prodotti esteticamente “impuri” o cognitivamente più impegnativi (come per esempio i telefilm sottotitolati o i film recuperati tramite download), o semplicemente dover ricorrere a modalità fruitive penalizzanti, come la visione attraverso il monitor del pc. L’unica deroga a questo habitus è ammessa, coerentemente, proprio quando la rete funziona come dispensatore di repliche, che in tv sono attualmente disponibili per contenuti pay, ma costituiscono merce decisamente più rara per la tv generalista, specie in riferimento ai programmi in diretta o “non-narrativi” come i varietà, i talk show, il cabaret. In questo senso internet funziona come estensione dei canali time shifted, e in sinergia con essi va a costruire un surrogato “povero” della tv on demand, che pertanto si staglia come possibile evoluzione nelle dinamiche del consumo familiare3. La presenza di un’offerta sovrabbondante dispensa insieme benefici e torture. I primi sono connessi all’ampliamento dei possibili consumi; le seconde alle difficoltà che lo stesso incremento comporta in termini di addomesticamento della complessità che, per entrambe le famiglie, sta raggiungendo la soglia critica del caos, rischiando di inquinare lo stesso piacere di una fruizione più ricca. Complessivamente, la “famiglia tradizionale” sembra rimanere tale non solo rispetto alla composizione, ma anche alle abitudini e ai riti che da sempre la contraddistinguono all’interno della nostra cultura. Il consumo convergente non esaspera le divergenze, ma offre nuove possibilità di elaborare strategie o tattiche conciliative per una più efficace intersezione tra i percorsi individuali e la fruizione condivisa, che continua a essere percepita come momento essenziale e distintivo dell’essere-famiglia.
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2. Ovviamente si tratta della constatazione di una semplice correlazione. I fattori in grado di spiegare il medesimo effetto potrebbero essere altri, a partire da quelli più tradizionalmente sociologici, come la differente età dei figli nelle due famiglie. Tuttavia un’ulteriore conferma potrebbe venire dal fatto che anche la famiglia più dedita al consumo di reality, quando si sposta sulla fiction americana – ampiamente frequentata a sua volta – aumenta la segmentazione del nucleo, evidenziando in particolare i sotto gruppi madrefiglia (per Mya) e fratello-sorella (per Steel). 3. Vale la pena sottolineare che, nel computo dei “costi” dell’accesso, l’uso di internet si colloca comunque a un livello più basso della videoregistrazione. Non è un caso che in entrambe le famiglie il vcr è presente ma scollegato dal televisore.
sezione IIi
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Sezione III
Testi e contesti
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Intr attenimento
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Intr attenimento
Intrattenimento
– televisione allo stato puro –
è senz’altro sul versante dell’intrattenimento che la televisione italiana ha sperimentato, in maniera più complessa e compiuta, le opportunità spalancate dalla convergenza mediale. In primo luogo, perché è su questo terreno che si è sviluppato, nell’ultimo decennio, quell’intero macro-genere del tutto inedito (pur “ri-mediato”, a partire da altri generi e matrici) rappresentato dalla reality television. Il Grande fratello – che, nella sua nona edizione, rappresenta un’inevitabile case history illustrata nelle pagine successive – è in qualche modo il figlio di una televisione immaginata già come convergente, multipiattaforma, capace di generare programmi-mondo in grado di diventare brand estesissimi (e talvolta “estenuati”). A fronte di questa spinta all’innovazione dei linguaggi – con l’attitudine del reality a ibridare di sé il resto dell’offerta televisiva –, delle modalità di accesso – con l’idea, connaturata al genere, di costituire un testo così esteso da prevedere, per definizione, modalità di consumo altamente differenziate, fra chi segue avidamente la prima serata e chi “si fa un’idea” con i
montaggi quotidiani o con le parodie – e delle forme stesse di fruizione – che richiedono la partecipazione attiva, talvolta interattiva dello spettatore tele-votante –, il reality resta paradossalmente il genere più tipico della televisione generalista. Perché esso, e più ampiamente l’intrattenimento tv, trae linfa vitale dal suo mettersi in connessione con la società nella sua contemporaneità, nella sua immediatezza. Il reality ha un unico segreto al fondo del suo successo: la capacità di generare discorso. Un discorso perlopiù usa e getta, che funziona se prodotto e consumato all’istante, nel momento della diretta. Perché il reality è televisione allo stato puro, ripiegata per definizione su se stessa, che si infiamma in un attimo e si esaurisce altrettanto rapidamente. Il segreto del reality sta nell’incrociare e saper incarnare temi da poter discutere, che si tratti di un liveblogging che segue 123
Intr attenimento
la messa in onda, oppure di una battuta del giorno dopo davanti alla macchina del caffè. Accanto alla “norma”, rappresentata qui ovviamente da Grande fratello e, secondo logiche un po’ differenti (che prevedono, nel consumo, tanto l’adesione da fan quanto la presa di distanza ironica), da Uomini e donne, sono interessanti anche le variazioni, gli spostamenti. E dunque l’ambizione di X Factor, sia per come è costruito come testo esteso (contiguo all’industria discografica) sia per come viene percepito, è quella di generare un “reality non reality”, un prodotto “di qualità” capace di non esau-
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rirsi nella messa in onda (su cui, pure, si allinea la temporalità del fruitore), ma di produrre effetti (scoprire talenti, mettere in circolo canzoni). Spostandoci un po’ dal genere reality, infine, un programma come Chiambretti Night manifesta la sua analoga forza nell’essere tv allo stato puro, televisione su televisione, anche se poi molte sue virtualità convergenti (legate soprattutto alla funzione di “macchina discorsiva”) vengono frustrate da un’attitudine ancora poco spiccata a farsi prodotto convergente, a estendersi compiutamente sul web, a diventare autenticamente un brand.
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Grande Fratello Cecilia Penati
grande fratello è un processo mediatico multiforme, che ibrida diverse piattaforme e media (da internet alla tv a pagamento, dagli smartphone alla carta stampata), accumula e amalgama linguaggi e generi televisivi, generando parodie, producendo notizie, commenti, racconti paralleli: proprio questo aspetto lo rende spesso più interessante come processo e come generatore di discorso che come programma in sé. Grande fratello può essere considerato come uno dei primi esempi di programmi televisivi integralmente multipiattaforma, con parte del sovrabbondante materiale generato dal reality convogliata sulla televisione generalista free, e parte distribuita dalla televisione a pagamento. A partire dal 2000, dieci edizioni del programma (adattamento di un format Endemol) sono state trasmesse dalla rete ammiraglia di Mediaset, Canale 5, e da diverse piattaforme di pay tv1. Le regole del format sono semplici e conosciute: una decina di concorrenti devono convivere per circa cento giorni in un’abitazione, sotto lo sguardo costante di numerose telecamere posizionate in ogni angolo della casa e attive ventiquattro ore. Tra i sottogeneri del reality, Grande fratello incarna il modello più semplice, centrato sulla convivenza dei concorrenti in uno spazio definito e isolato e sulla loro competizione per il premio finale attraverso il meccanismo delle nomination. Proprio i concetti di sorveglianza e voyeurismo alla base del format spiegano 125
1. Questa analisi si concentra sulla nona edizione del programma, in onda nel 2009. La decima edizione del reality ha visto numerosi cambiamenti: è stato ampliato il sistema delle estensioni predisposte dall’industria mediale, valorizzando gli spazi ufficiali del web e moltiplicando i possibili punti di contatto al testo. Mediaset si è inoltre proposta come distributore esclusivo del programma, convogliando la diretta 24/7 su due canali dell’offerta Premium, con due diverse regie.
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una delle principali retoriche negative sul programma, spesso oggetto di un distanziamento critico perché percepito come “basso” e popolare, anche in opposizione al sottogenere del talent, a cui i concorrenti partecipano per esibire qualche forma di abilità. Le potenzialità convergenti di Grande fratello appaiono profondamente radicate nelle due estetiche che definiscono il programma e ne sanciscono la collocazione su differenti piattaforme. Da un lato, un’estetica realistica, caratteristica della diretta giornaliera, in onda su diverse piattaforme digitali a pagamento. Dall’altro un’estetica spettacolare, espressa nelle occorrenze del programma trasmesse dalla televi sione generalista, come la puntata settimanale in prima serata, le strisce quotidiane con il montaggio degli eventi più significativi, i talk show mattutini e pomeridiani luogo del chiacchiericcio su personaggi e situazioni del reality. L’impressione è che le più recenti edizioni del programma abbiano confermato, pur nella indispensabile connessione tra i due “volti” del reality, la prevalenza della dimensione generalista e spettacolare, almeno per un’ampia parte di pubblico. L’adattamento italiano di Grande fratello ha infatti progressivamente trasformato le caratteristiche del format, avvicinando l’appuntamento in prima serata a uno spettacolo ricco di richiami adaltri generi televisivi (primo fra tutti il varietà tradizionale) e altri programmi forti del palinsesto di Canale 5, come C’ è posta per te, Uomini e donne e La corrida. Il modello di testo convergente che prende forma a partire da Grande fratello è così sancito dalle molteplici possibilità di accesso al prodotto e dalla creazione di un vivace discorso pubblico intorno al pro gramma, più che dalla creazione di un sistema di estensioni ramificato e complesso, come quello che prende vita, per esempio, a partire dai talent show musicali. Le principali estensioni del prodotto nascono in risposta alla complessità e vastità del testo matrice (che copre 24 ore di diretta per 100 giorni) e sono mirate ad amplificare al massimo le possibilità di visione e recupero di frammenti o di episodi, così da permettere allo spettatore di ricostruire una propria enciclopedia di rife rimento sul reality. Grande fratello è un prodotto multiforme e magmatico, che tende a colonizzare, attraverso le sue diverse occorrenze, il palinsesto di Canale 5 e delle altre piattaforme che lo distribuiscono: dalla mobile tv all’Iptv, nessun canale di distribuzione viene lasciato sguarnito, fatta eccezione per la tv online, dove però forme di estensioni “dal basso” provvedono a caricare uno streaming pirata della diretta quotidiana. L’accesso al prodotto è condizionato dalle diverse “anime” del reality, corrispondenti alle due estetiche che definiscono il prodotto: la prima, 126
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GIOCO DA TAVOLO
DVD
VIDEOGIOCO
RIVISTA
LIBRO
COMPILATION
TELEVOTO CONTEST
GF CITY
MERCHANDISING
DIARIO DELLA GIORNATA
VIDEO MEDIASET
SITO UFFICIALE
VIDEOCHAT
CORRIERE.IT
MAI DIRE GF
MAI DIRE GF SHOW
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Grande Fratello Estensioni mediali
LETTURA IRONICA
LETTURA PASSIONALE
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più ampia e generalista possibile, è legata ad alcuni appuntamenti forti e attesi. Su Canale 5 sono trasmessi lo show settimanale di prima serata – che riveste molta importanza nelle logiche di visione rituale e condivisa di Grande fratello e nella definizione del discorso pubblico intorno al programma –, le strisce di montaggio e i talk show che punteggiano il palinsesto del canale nelle diverse fasce orarie e nei diversi giorni della settimana (i contenitori della mattina e del pomeriggio, insieme a quelli del fine settimana), vampirizzati da temi e personaggi del reality. La seconda anima, più di nicchia, è quella del flusso di immagini in diretta dalla casa, in onda 24 ore su 24, e trova spazio sulle piattaforme digitali a pagamento. Il digitale satellitare ha trasmesso la nona edizione in modo quasi ridondante: in primo luogo con la diretta integrale dalla casa sul canale SkyShow, arricchita dalla possibilità di scegliere tra diverse regie e costruire così il proprio percorso di senso nel reality. Poi con le finestre di diretta e i riassunti su SkyVivo e sul canale slave Mediaset Plus, dove il marchio di Grande fratello funziona sia come prodotto catch-up che come rinforzo identitario. Il brand del reality, uno degli appuntamenti storici e irrinunciabili dell’offerta Mediaset, ha rappresentato inoltre un’occasione di definizione del rapporto tra la proposta generalista del gruppo editoriale e quella a pagamento su digitale terrestre, dove la diretta dalla casa è stata convogliata su due canali del bouquet dell’offerta Mediaset Premium. La forza di Grande fratello sta anche nell’aggregare piccole comunità di visione e di gusto, riunite nel consumo rituale dell’appuntamento settimanale in prima serata, che diventa poi oggetto di discussione e commento: spesso la visione del live dalla casa su Sky (con la scelta della regia) non aggiunge, nella percezione degli spettatori, un particolare valore al programma, salvo quello della possibilità di accesso alla casa al di fuori degli appuntamenti di palinsesto tradizionali, in cui il reality funziona come tv di compagnia e sottofondo ad altre attività.
– Letture ironiche, letture passionali – La rete di testi secondari che l’industria mediale ha costruito intorno alla nona edizione del reality risponde bene alla struttura di base del format: Grande fratello vive infatti di una testualità molto ampia e dispersa su numerose piattaforme, e gioca il suo successo su eventi ad alto impatto emotivo che scaturiscono dall’interazione tra il cast dei concorrenti (storie d’amore, liti, amicizie, confessioni e tradimenti). Tali eventi seguono percorsi di sviluppo imprevedibili e sono disseminati piuttosto casualmente entro le ventiquattro ore, moltiplicate per i 128
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sette giorni della settimana, lungo cui si dispiega il programma. Capita così che eventi interessanti avvengano in momenti di bassa attenzione e possano sfuggire allo spettatore. Le espansioni secondarie si or ganizzano dunque principalmente intorno alla necessità di recuperare qualche frammento di narrazione che si è perso nell’ampio flusso di messa in onda, e di rilanciare (anche attraverso pratiche di diffusione virale) temi e valori che possano innescare interesse e discorso, attirando l’attenzione sul prodotto. Inoltre, i paratesti creati dall’industria mediale intorno al programma sfruttano la molteplicità delle chiavi di lettura che accompagna il reality: fra queste, emergono con forza una modalità di coinvolgimento passionale e partecipativo, contrapposta – ma spesso anche associata – a un distanziamento ironico e sarcastico. Ecco allora che la parte più significativa della testualità secondaria mira a costruire per lo spettatore una sorta di enciclopedia, un archivio degli episodi accaduti nella casa, attraverso cui ciascuno può creare il suo personale percorso di senso entro il reality. Va in questa direzione, per esempio, la struttura del sito ufficiale, che propone una cronaca dettagliata degli eventi caldi della casa, rimandando al portale Video Mediaset per la visione dei frammenti più appassionanti del live, del prime time e delle interviste ai protagonisti nei talk show mattutini e pomeridiani. Il tentativo è quello di radicare il programma entro il marchio di Mediaset, convogliando in uno spazio web ufficiale le ricerche online sul programma, e di avvicinare al reality anche utenti che visitano il portale cercando altri contenuti del gruppo editoriale (e viceversa, sfruttando una possibile strategia di promozione incrociata). La seconda direttrice seguita dalla testualità secondaria di Grande fratello è quella che associa l’esigenza di recuperare il materiale narrativo a un filtro comico e parodico. Proprio per questo, l’estensione mediale di maggior successo legata al reality è il programma Mai dire Grande fratello (e successivamente Mai dire Grande fratello show), ideato e condotto dalla Gialappa’s Band, che sfrutta una delle linee interpretative (“lo vedo per guardare le cretinate che dicono”) e permette di aggirare le tradizionali retoriche negative che accompagnano la visione del programma. L’abbinamento del reality tradizionale di sorveglianza e controllo con un programma comico di alleggerimento si è dimostrato una formula particolarmente efficace per l’evoluzione del genere reality in Italia, imponendosi come modello anche oltre Grande fratello (per esempio con Scorie, lo spin-off parodico dei reality di Raidue L’ isola dei famosi e X Factor). Mai dire Grande fratello, nato come controcanto “alternativo” al programma e anche per questo collocato su Italia 1, rete dall’identità più giovane e anticonvenzionale, è stato progressivamente istituzionaliz129
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zato e integrato con il reality e il suo marchio, come ha sancito, proprio nel corso della nona edizione, lo spostamento della trasmissione su Canale 5, a seguire la messa in onda della puntata settimanale. Mai dire Grande fratello funziona come rilancio di temi e situazioni spesso escluse dalla striscia quotidiana o dalla puntata di prime time a causa del loro contenuto più spinto, che acquisiscono poi dimensione virale, assolvendo una funzione determinante nel generare il percorso di successo di un personaggio e provocando un effetto di amplificazione dei discorsi e delle interazioni sociali negli spazi virtuali e reali. A differenza di quanto avviene con il talent show, non è semplice produrre intorno a un reality classico come Grande fratello, estensioni “materiali” rilevanti e di successo. Rispetto alle stagioni precedenti del reality, la nona edizione è stata caratterizzata da un sostanziale disinvestimento in alcune iniziative legate al programma sperimentate in precedenza. È stata per esempio abbandonata la commercializza zione della rivista ufficiale (sostituita al termine del programma da un libro targato Oggi e Visto che ricostruisce la “storia” di tutte le nove edizioni), del gioco da tavola e del videogioco ispirato al format di Grande fratello, così come del cofanetto dvd con la raccolta dei mo menti migliori della stagione, arricchito da momenti extra come provini e confessionali mai andati in onda. L’unica iniziativa editoriale legata alla nona edizione è la compilation di Grande fratello, che però, non presentando punti di contatto con temi ed episodi dell’edizione in corso, risultava poco coerente con la diegesi del programma e quindi con il marchio del reality. È stato poi lanciato alla fine della stagione Gf City, un tour itinerante sul territorio mirato a dilatare l’esperienza di Grande fratello anche dopo la fine dell’edizione e mantenere viva l’attenzione sul prodotto nel periodo di pausa tra una stagione e l’altra. La testualità secondaria sviluppata dalla versione inglese del format, Big Brother, presenta alcune importanti differenze rispetto alle iniziative italiane: le estensioni del reality inglese hanno dato vita a un percorso di successo soprattutto grazie alla loro coerenza di fondo con il programma televisivo. Ne è un esempio l’uso molto più strutturato dello spazio web: a differenza di quanto accade in Italia, il sito uffi ciale del reality, molto ricco di contenuti, si propone come uno spazio vissuto e capace di attrarre gli spettatori, anche grazie a iniziative come il programma radiofonico Big Brother’s Big Ears, in onda due volte a settimana proprio sul sito ufficiale. Strategicamente pianificata è poi la presenza del marchio di Big Brother sui principali social network, uti lizzati anche per fare promozione al programma: profili ufficiali sono presenti su Facebook, StumbleUpon, Bebo e Twitter. Sul sito web di 130
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Discorsi e interazioni sociali
LETTURA IRONICA
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MYSPACE
YOUTUBE
FORUM
BLOG
PORTALI WEB
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X Factor
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X Factor
X Factor Luca Barra
“la musica batte sul due”: con questa frase spesso ripetuta, all’inizio del programma o prima dei break pubblicitari, il conduttore di X Factor, Francesco Facchinetti, cerca di sottolineare il forte legame che c’è tra i programmi musicali e la seconda rete del servizio pubblico, Raidue. Un legame che viene ribadito in altri luoghi del palinsesto, dagli eventi in diretta ai contenitori di classifiche ed esibizioni, ma che insieme viene messo in discussione dalla natura convergente di questi programmi, sempre più brand che trascendono l’identità di una singola rete. Da questo punto di vista, la seconda edizione di X Factor – andata in onda nella primavera 2009, con giudici Simona Ventura, Morgan e Mara Maionchi, vincitore Matteo Becucci, tra i concorrenti Noemi e i Bastard Sons of Dioniso – è un caso interessante. X Factor è in primo luogo un talent show: dodici concorrenti, divisi in squadre, mettono alla prova le loro capacità canore, cercando di dimostrare di possedere quel qualcosa in più, misterioso e innato (il “fattore x”), che solo può trasformare un comune cantante in una star. La scelta del vincitore è affidata in parte al pubblico a casa, attraverso il televoto, e in parte a tre giudici, che oltre a valutare le esibizioni selezionano i concorrenti e, con l’aiuto di vocal coach, seguono come tutor i progressi di una delle squadre. X Factor è un format interna zionale, ideato da Simon Cowell (già giudice in Pop Idol e American 135
X Factor
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Idol), prodotto da SyCo insieme a talkbackThames, società del gruppo FremantleMedia, e alla major discografica Sony BMG, e trasmesso in Gran Bretagna a partire dal 2004. Dal format sono poi nate numerose versioni internazionali, tra cui quella italiana, prodotta da Magnolia (sempre in stretta collaborazione con Sony BMG), in onda con una prima edizione nell’autunno 2008. Il programma gioca sul doppio binario della ripresa della “realtà” – da cui consegue l’estetica fly-on-the-wall del documentario e del reality – e insieme del mito del successo, da ottenere attraverso capacità in parte innate, in parte costruite attraverso il percorso previsto dal pro gramma. Le telecamere inquadrano le varie fasi della scoperta di talen ti emergenti, della costruzione della star attraverso la guida di attenti pigmalioni, quindi del loro lancio sulla scena musicale e del successo che dovrebbe derivarne. La forte dimensione spettacolare si serve delle efficaci metafore della ribalta e del retroscena, del palco e del backstage: il primo oggetto del programma serale (e poi di vari galà e concerti di chiusura); il secondo sviscerato nella striscia quotidiana e nei fram menti “rubati” di eXtra Factor; infine, il primo letto alla luce del se condo durante il talk show del sabato pomeriggio, X Factor. Il processo. A sottolineare la dimensione spettacolare, entrano inoltre in gioco le mitologie musicali. Il programma è investito da una generica atmosfera rock/pop, che ibrida elementi di entrambi: i fumi e le luci del rock, i colori e l’attrattività del pop, brani come Lust for Life di Iggy Pop e il riff di Jimmy Page in Come with me a scandire le fasi del serale e can zoni da heavy rotation radiofonica nella striscia quotidiana. Un giudice, Morgan, diventa simbolo del “maledettismo” rock, insieme glam negli abiti, intellettuale nel modo di porsi, sacerdotale nell’imprimere il suo sigillo su brani e artisti; Mara Maionchi e Simona Ventura inseguono invece il nazional-popolare, prestando attenzione a dimensioni extramusicali quali le storie di vita e a fattori come la possibile “collocazione discografica”. Persino i concorrenti sono presto piegati sugli archetipi di vari generi musicali, o su specifici modelli di interprete: la ragazza hippie, i latini, le ragazze R&B, il teen idol, il gruppo post-punk, la “cantante raffinata” (à la Mina), il rocker/cantautore. Ulteriore topos è infine quello del freak show, sfruttato in modo evidente con l’insistita riproposizione di cantanti stonati e altri “fenomeni da baraccone”, i cosiddetti “talenti incompresi”, scartati durante i provini. Il format si distingue inoltre per l’enfasi, tanto più interessante se in serita nel contesto di una prolungata crisi del settore, sulla messa in sce na dei meccanismi e delle logiche della discografia: un’industria che si rivela sempre più “ibrida” e lontana dal mito, e risulta di nuovo splen dente solo grazie all’intervento del mezzo televisivo, capace di donare 136
TALENTI INCOMPRESI
X FACTOR CARD
COMPILATION
DISCHI DEI CONCORRENTI
ITUNES
SINGOLO BENEFICO
CANZONI DI PUNTATA
CONCERTI
CASTING
CASTING WEB
TELEVOTO
SMS DI COMMENTO
SONDAGGI
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X Factor Estensioni mediali
REALITY
TALENT
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Tutti pazzi per amore
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personaggi, gli attori, lo stile della serie, i tempi e i modi della sua programmazione, ma il ritmo è quello, esterno, delle anticipazioni di puntata e dei comunicati stampa. Anche la centralità di Facebook, rispetto a spazi dedicati come il forum non ufficiale o al pulviscolo dei blog, indica in modo chiaro come, in assenza di spazi istituzionali (ancora una volta, qui la dinamica è di compensazione), i fan si coagulano attorno a piattaforme già usate in precedenza, da virare su nuovi usi: primo fra tutti un social network a bassa “barriera d’ingresso” come Facebook. Solo in alcuni casi, adeguatamente coltivati, il discorso in rete su Tutti pazzi (parallelamente a quello in corso su altri media e nella stessa tv) trova maggiore visibilità. Succede per esempio se la fiction affronta temi di più vasta portata, capaci di legarsi all’attualità e generare dibattiti: così accade quando il prodotto è condannato da un’associazione di genitori, il Moige, ufficialmente per la rappresentazione disinvolta delle relazioni sentimentali e sessuali, ma, credono in molti, soprattutto per la presenza di un genitore che scopre la propria omosessualità (qui la reazione è di “condanna della condanna”, con toni spesso molto accesi); oppure, nella seconda stagione, quando viene affrontato il tema della sieropositività. Ancora una volta, poi, prevale il tema musicale, ponte tra l’interno della serie e l’esterno delle esperienze personali e dei discorsi dei media. La comparsa di canzoni all’interno della puntata, oltre a scatenare il disassemblaggio del prodotto già citato, porta spesso gli spettatori a informarsi sui grandi classici della canzone pop italiana e sugli artisti che hanno inciso le versioni originali dei brani. La fiction diventa un portale d’accesso importante alla tradizione musicale, altrimenti non nota: particolarmente significativo è il fatto che l’attenzione a questi cantanti, “passati di moda” ma ancora ritenuti validi, si concentri nel forum e su Facebook, dimostrando una forte presa soprattutto sul pubblico più giovane, che prima non conosceva – o non conosceva così bene – quelle canzoni e quegli interpreti. Un caso frequente è legato ai Matia Bazar, la passione di Paolo, che con le loro canzoni ritornano più volte nei vari episodi. Ma non mancano numerosi altri recuperi, dai Pooh ad Al Bano e Romina… Tutti pazzi, così, oltrepassa i limiti angusti della fiction italiana e si apre a modi di accesso, circolazione e discorso pienamente convergenti. Tutti pazzi per amore, ma anche per la (sua) musica. O per il dr. Freiss.
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Squadr a antimafia – Palermo oggi
Squadra antimafia – Palermo oggi Massimo Scaglioni
Le tessere continuano a combaciare. Claudia Mares, 1x03.
il poliziesco e il racconto di mafia, la finzione e la verosimiglianza, l’esigenza di una narrazione serratissima, scolpita da continui twist e colpi di scena, e l’ambizione di disegnare l’affresco di un luogo, una città, nella quale s’incrociano le trame della malavita organizzata e le mosse di contrasto delle forze dell’ordine: Squadra antimafia – Palermo oggi rappresenta il tentativo di rinnovare, attraverso innesti e ibridazioni, un filone aurifero nella storia della fiction nazionale. Il testo – una serie breve composta da sei episodi della durata di due ore, in onda in prime time su Canale 5 nella primavera del 2009 (cui seguirà una seconda stagione, l’anno successivo) – prova a fare tesoro della lunga esperienza produttiva di Taodue, al cui marchio si lega fortemente sia per lo stile di scrittura che per le professionalità e i volti coinvolti, con l’aspirazione a costruire un racconto seriale popolare, ulteriormente sviluppabile (“serializzabile”) in successive stagioni. Per le sue caratteristiche e i suoi ingredienti, per come è sviluppato e per i suoi riferimenti a narrazioni precedenti, di cui vuol essere il seguito e l’epigono, Squadra antimafia rappresenta un prodotto fortemente ancorato alla tv generalista, ai suoi standard e ai suoi tempi d’accesso: 189
Squadr a antimafia – Palermo oggi
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mira a capitalizzare l’attenzione su un racconto cadenzato sulla messa in onda settimanale, costruito “in crescendo” sia nell’arco narrativo del singolo episodio (chiuso sistematicamente da un cliffhanger che arpiona lo spettatore alla successiva puntata) sia nella durata della stagione, con un unico plot principale che si dipana progressivamente e va a “esplodere” nel rocambolesco finale di stagione. Il racconto è articolato sulla logica della duplicità e della simmetria, un doppio angolo visuale per fotografare il conflitto fra legge e criminalità: da un lato la “famiglia professionale” costituita dalla Squadra Duomo di Palermo, capitanata dal vice questore Claudia Mares (Simona Cavallari), che arriva – anzi, ritorna – a Palermo da Roma, per seguire l’indagine sulle nuove famiglie di Cosa Nostra iniziata da un collega poliziotto brutalmente freddato da un killer, nel prologo della vicenda, all’aeroporto Falcone e Borsellino; dall’altro lato la “famiglia mafiosa”, sia quella di sangue, rappresentata dagli Abate, anch’essi tornati in città dopo un lungo esilio negli Stati Uniti e denominati “gli scappati”, sia quella allargata dei legami e degli interessi criminosi, costituita dalla “cupola” dei capibastone che vanno riorganizzando Cosa Nostra dopo la cattura di Riina e di Provenzano. Due punti di vista femminili che s’incrociano simmetricamente nel luogo in cui, contemporaneamente, fanno ritorno, Palermo: quello della poliziotta Mares e quello della giovane Rosy Abate (Giulia Michelini), ambiguamente sospesa fra l’inconsapevolezza di appartenente al clan di mafiosi e il richiamo ai doveri della “famiglia”. Mescolare, ibridare, giustapporre e innovare matrici narrative profondamente legate al brand Taodue in un prodotto estremamente “controllato” dal punto di vista della scrittura, votato, come si diceva, alla logica della simmetria nella rappresentazione e nel racconto: Squadra antimafia nasce all’incrocio del filone poliziesco seriale (Distretto di polizia e poi RIS e RIS Roma) e del racconto di mafia (la serie Il capo dei capi e la miniserie L’ultimo padrino, di cui Squadra antimafia vuole esplicitamente essere il “seguito”, pur passando dal piano della “storia finzionalizzata” a quello dell’“invenzione verosimile”). Una continuità con la produzione Taodue segnata, oltre che dallo stile, da elementi di riconoscibilità più immediata (la grafica del logo della serie, che richiama quelli precedenti, e soprattutto i volti principali, quelli di Simona Cavallari, Giulia Michelini e Claudio Gioè, già “capo dei capi”, qui ambiguo alter ego della Mares). Fra poliziesco seriale – cui rimanda l’attitudine a sviluppare il plot di continuità attraverso trame che si concludono, almeno parzialmente, all’interno dei singoli episodi (il rapimento del figlio di un commerciante nel primo episodio, il pizzo richiesto a quest’ultimo nel secondo, 190
Squadr a antimafia – Palermo oggi
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Squadra Antimafia
SITO UFFICIALE
Estensioni mediali
INFORMAZIONI
RIVIDEO
COLONNA SONORA
DVD COFANETTO
DVD EDICOLA
SECONDA VISIONE
TRIVIA (SMS)
GIOCO
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SerialitĂ americana
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Serialità americana
Serialità americana – quando il testo esplode –
la metafora di un testo non solo “esteso”, ma letteralmente “esploso”, si addice perfettamente alla serialità televisiva americana contemporanea. Questa è forse la principale virtù di prodotti televisivi che hanno raggiunto livelli talvolta altissimi di raffinatezza narrativa, capaci non solo di adattarsi, ma persino di forgiare l’ambiente mediale convergente, le sue pratiche e i suoi discorsi. Ma questo rappresenta spesso anche il principale limite o, quantomeno, il “problema da risolvere” per il broadcaster italiano, che si trova fra le mani testi tanto complessi. “Esplosione” significa, letteralmente, un testo che non può più identificarsi nell’insieme degli episodi seriali che vanno in onda, in primo luogo, sul piccolo schermo: il caso di Heroes, illustrato di seguito, rappresenta l’esempio più significativo di un’attitudine all’espansione, all’ibridazione (dall’universo del fumetto a quello della tv, e ritorno), alla generazione di un brand complesso, e naturalmente alla narrazione transmediale (quel transmedia storytelling magnificato da Henry Jenkins come uno dei caratteri di fondo della testua-
lità convergente). Pur in maniera non così mostruosamente vasta e pianificata, anche le altre case history prese in esame – Gossip Girl, Mad Men e CSI – vanno in direzioni analoghe, che segnano il mainstream della produzione seriale contemporanea: una moltitudine di testi ancillari che si accompagnano a quello primario con diverse finalità – promozione, costruzione di un legame più serrato con lo spettatore, necessità di colmare narrativamente il vuoto fra una stagione e l’altra –, una varietà di canali di accesso al contenuto – pur ancorati alla “prima” messa in onda televisiva, sia essa network o cable –, la volontà di non costituire solo dei programmi televisivi ma dei lovemark, marchi tesi a generare legami affettivi e identitari. Nell’“esplosione” del telefilm americano contemporaneo è implicita anche la difficoltà che le reti nazionali hanno a trattarla. Il telefilm, infatti, è letteral211
Serialità americana
mente “esploso” in mano ai broadcaster, che ne hanno sfruttato l’“età dell’oro” – alcune stagioni eccezionali che, grazie alla forza dei prodotti e a un particolare clima culturale, hanno portato a risultati di visibilità e di performance d’ascolto impensabili –, per poi ritrovarsi in difficoltà a gestire tanta raffinata abbondanza, finendo per commettere anche qualche errore piuttosto grossolano. Oggi inizia forse una nuova fase per il genere, almeno dal punto di vista della sua messa in onda naziona-
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le: ai broadcaster si richiede una maggiore attenzione nei confronti dell’“attitudine convergente” dei prodotti seriali, con l’obiettivo di valorizzare, e non invece disperdere, un potenziale capace di catalizzare spettatori molto affezionati. Soprattutto, si richiede una gestione del genere che sia capace di articolare con intelligenza le temporalità della messa in onda, per ridurre gli spazi delle fruizioni illegali e guadagnare un’attenzione per la propria programmazione pay e free.
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Heroes
Heroes Rocco Moccagatta
se, tra qualche tempo, si guarderà retrospettivamente alla cospicua fioritura della serialità televisiva Usa del primo decennio del 2000, con l’intenzione di costruire con il senno di poi una sorta di geografia del fenomeno, alla serie Heroes (NBC, 2006-10) davvero si dovrà rivolgere un’attenzione molto particolare. Ma ci si dovrà soffermare non solo sugli aspetti narrativi e linguistici in senso stretto: da questo punto di vista, la creatura seriale di Tim Kring si limita a trasporre nell’ambito del racconto televisivo strutture, modi, stilemi della narrazione del comic book fumettistico statunitense, fino all’equivalenza ricercata tra inquadratura e vignetta, rappresentando una delle punte più mature delle sinergie in atto tra fumetto e televisione. Anzi, Heroes svela in maniera esemplare il debito fortissimo dell’estrema orizzontalità di racconto del telefilm nei confronti della scansione narrativa del fumetto supereroistico Marvel e DC Comics (titolari delle property creative rispettivamente di Spiderman e Fantastic 4, Superman e Batman): i segmenti singoli fortemente intrecciati tra loro del comic book (“issues”) mimano perfettamente il respiro della serie serializzata, anche nell’abiura quasi assoluta di ogni autoconclusività e nell’organizzazione più ampia in story arc (i cosiddetti “volume” nei quali è ripartita, anche dentro la singola stagione, Heroes). È pertanto pacifico, come si è detto da più parti, che Heroes costi213
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Mad Men Simone Tosoni
tra le serie americane andate in onda negli ultimi anni, mad Men (Matthew Weiner, AMC, 2007-) si segnala per la scrittura ricercata, la regia elegante e i ritmi lenti e introspettivi, centrati più sui dialoghi e sull’approfondimento psicologico dei personaggi che sulla complessità della trama o sull’avvicendarsi serrato degli snodi narrativi. A essere messa in scena è la vita professionale e privata del direttore creativo Don Draper (John Hamm) e di un gruppo di pubblicitari nella New York di un decennio, quello degli anni Sessanta, ricostruito con cura maniacale, tanto dal punto di vista visivo (abiti, design degli oggetti, arredamento delle abitazioni e dell’ufficio), quanto da quello storico e del costume (con i rapporti tra sessi sul luogo di lavoro e le relazioni familiari in primo piano, e i grandi eventi storici a fare da sfondo). Per il taglio cinico e i temi trattati (l’infedeltà matrimoniale e il sessismo, l’omofobia e il razzismo), come pure per l’insistita messa in scena di comportamenti “politicamente scorretti”, primo tra tutti l’abuso di alcool e sigarette, il prodotto risulta destinato a una fascia di pubblico adulto. All’interno di questa, il target individuato è però decisamente di nicchia: il telefilm si presenta orgogliosamente come difficile e raffinato, non disposto a concedere nulla all’espediente accattivante, alla soluzione facile, al colpo di trama (assai di rado, per esempio, le puntate sono raccordate con cliffhanger). Quand’anche a 245
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essere raccontate sono la tragedia o il fallimento esistenziale, il conflitto o le passioni, queste sono invariabilmente trattate con un taglio controllato, e ricondotte con rigore alla coerenza psicologica di personaggi complessi, tra i quali non trovano mai posto le figure dell’eroe o della vittima graniticamente positive. Allo stesso modo, i toni epici, o drammatici, degli avvenimenti (amori e tradimenti, fallimenti e vittorie) risultano sempre smorzati grazie al loro accorto inserimento, volutamente banalizzante, nello scorrere ordinario della vita quotidiana e lavorativa. Semmai, il piacere della fruizione è da ricercarsi altrove: nella verosimiglianza e nella profondità delle psicologie dei personaggi, appunto, ma anche nel riferimento colto, nella messa in scena elegante e cinematografica, nella precisione dei riferimenti storici, nella passione per i dettagli e per le citazioni. In sostanza, Mad Men si propone come una serie che vuole distinguersi per la propria evidente qualità, cercando di trovare posto tra consumi colti e di alto livello. “La tv per chi non ama la tv”, riassumeva con ironia – ma efficacemente – un blog italiano, ma anche una tv, se non elitaria, certo non disposta a indulgere ai desideri di un pubblico generalista. Ed è precisamente questa la scommessa rappresentata da Mad Men: tentare di individuare nuove forme di valorizzazione del prodotto seriale che prescindano dai grandi numeri a livello di pubblico. Si tratta di una scommessa, come vedremo, che non fa perno unicamente sulle appena ricordate caratteristiche testuali della serie, ma anche sulla costruzione di una forte e precisa identità di brand attraverso una strategia di apertura transmediale centrata sull’uso accorto della rete: caratteristiche queste che risultano però almeno parzialmente perdersi nella localizzazione del prodotto per il mercato italiano.
– Mad Men nel contesto americano – Prodotto da Lionsgate Television su un’idea di Matthew Weiner (già sceneggiatore dei Soprano), che ne è anche produttore esecutivo e principale sceneggiatore, Mad Men va in onda per la prima volta nel luglio 2007 in Canada e Stati Uniti sulla rete via cavo AMC: si tratta di un canale specializzato principalmente in prodotti cinematografici, con particolare attenzione ai classici americani, la cui identità di rete risulta dunque perfettamente in linea con il carattere colto e raffinato della serie. La prima stagione ha una media di 900.000 spettatori: nonostante si tratti di un risultato incoraggiante per una rete come AMC, è soprattutto la grande risonanza ottenuta dal prodotto grazie all’apprezzamento entusiasta della critica internazionale a decretarne il successo. 246
MERCHANDISING
ABITI
EVENTI A NEW YORK
APP IPHONE
ITUNES
COLONNA SONORA
DVD
CONCORSI
TWITTER DEI PERSONAGGI
TRIVIA VIDEO
SITO AMC
MAD MEN YOURSELF
DVD
YOUTUBE
SITO FOX
ANTEPRIMA
CONCORSO ROBA DA MAD MEN
Televisione convergente Mad Men
Mad Men Estensioni mediali
ITALIA PAY
CULT
ITALIA FREE
RAI 4
USA
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Mad Men si aggiudica infatti, a vario titolo, diverse edizioni di tutti i più prestigiosi premi internazionali, come il Golden Globe, l’Emmy Award e il SAG Award. Vengono prodotte e trasmesse una seconda stagione (che porta la media degli spettatori a 1.520.000) e una terza (la cui puntata iniziale registra il record di quasi 3 milioni di spettatori), mentre una quarta stagione è in corso. Oltre che su dvd, la serie è poi facilmente accessibile anche attraverso diversi canali telematici, in download o in streaming, come AMCtv.com, Amazon, Surf the Channel, CTV e iTunes. Il prodotto Mad Men non consiste però unicamente nella serie tv: ad accompagnare il lancio e la messa in onda di ciascuna stagione sono infatti, da una parte, una serie di campagne ed eventi, e dall’altra una raffinata strategia transmediale, centrate entrambe sulla valorizzazione del brand di prodotto. Nel primo caso, si tratta per esempio della decorazione della linea sotterranea della Grand Central Station di New York con immagini a grandezza naturale di John Hamm, della promozione attraverso la distribuzione di biglietti da visita della Sterling/ Cooper (l’agenzia pubblicitaria al centro della serie) da parte di attori abbigliati in stile anni Sessanta, dell’organizzazione di feste a tema o dell’allestimento delle vetrine di Bloomingdale secondo lo stile del telefilm: tutti eventi non solo documentati e riproposti all’interno degli spazi ufficiali dedicati in internet a Mad Men, ma anche in grado di riverberare a lungo negli spazi non ufficiali di discussione online, parallelamente alle informazioni sui premi della critica di volta in volta vinti dalla serie. Assieme a tali eventi, vengono lanciati una serie di concorsi, come il You Could Be on Mad Men Video Contest (nelle due edizioni del 2008 e del 2009), che chiama i fan alla realizzazione di brevi video sui protagonisti dello show premiando il vincitore con un walk-on role, o come il Banana Republic Casting Call, in collaborazione con la celebre casa di moda, che premia ancora una volta con un walk-on role (e con un buono da 1.000 dollari) le migliori fotografie di fan vestiti nello stile dei personaggi, utilizzando abiti e accessori creati da Banana Republic. Ugualmente elaborata e attenta è la strategia transmediale che accompagna la messa in onda della serie, con spazi dedicati allo show e ai suoi personaggi aperti su tutti i principali social network, applicazioni iPhone (che danno accesso a dietro le quinte, aggiornamenti, foto, informazioni sulla programmazione), blog e siti ufficiali – tutti rigorosamente nello stile grafico della serie – che mettono a disposizione informazioni e approfondimenti (come foto di scena e storyboard). Una serie di materiali aggiuntivi strizza l’occhio alla dimensione del glamour, del lifestyle rappresentato nella serie e dalla serie, al fascino della sua estetica: è il caso, per esempio, della Cocktail Guide, che in248
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segna a preparare i drink bevuti dai personaggi, dello Sterling/Cooper Portfolio, con le immagini delle campagne realizzate dalla compagnia, o dello Scrapbook, che mostra in modo accurato il design degli oggetti visti o intravisti nei vari episodi. Che si tratti di eventi, concorsi o materiali aggiuntivi, l’operazione è comunque la medesima: costruire Mad Men come un brand forte e riconoscibile, che si faccia contemporaneamente emblema di un periodo storico (gli anni Sessanta) e di uno specifico stile estetico, elegante e ricercato. Non tanto espandere l’universo narrativo della serie rendendolo transmediale, dunque, quanto incarnarlo in un brand inclusivo, ossia capace di accogliere il proprio fan nel mood del mondo narrato, chiamandolo a partecipare alla sua estetica. Si pensi, per non fare in proposito che degli esempi suggestivamente emblematici, ai walk-on role che costituiscono il premio dei principali concorsi legati alla serie, come pure a un’applicazione come Mad Men Yourself, disponibile sul sito ufficiale, che permette agli utenti di costruirsi il proprio avatar in stile Mad Men, scegliendo, oltre a viso e corpo, anche vestiti, accessori e sfondi a tema con cui essere rappresentati negli ambienti virtuali. Tale strategia di tipo inclusivo si accompagna ad almeno tre diverse forme di valorizzazione della serie, che vanno al di là – o comunque si aggiungono – a quella rappresentata dalla quantificazione diretta del pubblico, sia pure fortemente targettizzato come quello di Mad Men. La prima è quella più diretta, centrata sullo sfruttamento commerciale del brand costruito e dei suoi valori: è ciò che avviene con la brandizzazione di oggetti che richiamano (e dunque rinforzano) direttamente l’estetica della serie, come la collana di abiti in stile anni Sessanta di Banana Republic, la collezione di accendini Zippo a tema, la compilation delle musiche del prodotto, o l’edizione speciale della distribuzione della serie in dvd (anch’essa a forma di accendino). Ma è anche ciò che avviene attraverso l’operazione di product placement di cui la serie fa uso massiccio e rigorosamente controllato allo stesso tempo, includendo nel mondo narrato, quali “clienti” dell’agenzia, marchi, prodotti e aziende non solo realmente esistenti, ma ancora ben presenti sul mercato, come Heineken, American Airlines, Kodak, Cadillac, ma anche Lucky Strike. La seconda forma di valorizzazione passa dalla capacità del prodotto di generare discorso, ancora una volta non di tipo “generalista” o sensazionalista, ma sofisticato, selezionato e sostanzialmente contestualizzato all’interno delle medesime enclave socio-culturali che costituiscono il target elettivo del prodotto e del canale. Accanto al discorso di tipo tecnico-estetico, a prevalere in rete è soprattutto quello legato alle tematiche trattate dalla serie, ai fenomeni di costume, agli anni Sessanta 249
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in generale, per il quale l’approccio cinico di Mad Men è reinterpretato sostanzialmente come taglio critico atto a stimolare il confronto. Tale forma di connotazione e strutturazione della produzione discorsiva finisce anzi per rispecchiarsi anche nella testualità terziaria, che condivide con la serie il medesimo piglio sofisticato e urbano: si pensi a casi come Digital Mad Men, che ridoppia alcune scene chiave della serie aggiornandone il linguaggio a quello del marketing hi-tech contemporaneo, a Mad Men Kosher, parodia in chiave ebraica della serie prodotta da Hazon.com, o anche al blog The Footnotes of Mad Men (ora Mad Men Unbuttoned), che approfondisce ed evidenzia particolari stilistici, relativi a moda o design, a partire dal confronto tra alcune foto d’epoca e fotogrammi della serie. Allo stesso modo, si pensi agli omaggi tributati alla serie da altri prodotti di culto, primo fra tutti il remake della celebre sigla iniziale rifatta in stile Simpson. Che si tratti di produzione discorsiva, o di testualità terziaria, quello che conta è il coerente allineamento a un medesimo approccio stilistico: la differenza tra testualità secondaria e quella terziaria tende anzi a ridursi spesso all’“ufficialità” dei siti che le ospitano. È precisamente il carattere inclusivo di Mad Men come brand, la riconoscibilità dei suoi valori, ad attivare sinergie e la cooperazione dei fan, dando vita a un progetto comunicativo che appare, nel complesso, fortemente integrato. La terza, e in fondo principale, strategia di valorizzazione del prodotto è infine la capitalizzazione del valore dell’immagine del brand da parte di AMC. Il brand Mad Men, inteso sia come prodotto e come marca simbolica e stilistica insieme, è infatti in grado di garantire al canale un ritorno di immagine che va ben al di là degli effettivi risultati in termini di ascolto, siano pure questi di un certo interesse e in costante aumento. Non solo Mad Men ha infatti contribuito in modo sostanziale a potenziare la visibilità del canale, rendendola internazionale (per esempio, in occasione del discorso generatosi in relazione ai prestigiosi premi vinti dalla serie), ma ha anche contribuito a connotarlo in quegli stessi termini di qualità e ricercatezza di cui è esso stesso emblema. In questo senso, ogni investimento sullo show, sia in termini di produzione che in relazione alla campagna transmediale che ne accompagna lancio e messa in onda, è anche, almeno in parte, un investimento sull’identità di rete. A risultare complessificati, nel loro insieme, sono gli stessi criteri attraverso cui quantificare il successo del serial televisivo come prodotto. Il suo valore appare infatti sempre più come un intreccio stratificato di fattori non riducibile alla semplice quantificazione del pubblico: dal ritorno di immagine legato al valore culturale alla capacità di intercettare sinergie comunicative, dal posizionamento all’interno di cluster di 250
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Discorsi e interazioni sociali (nel contesto italiano)
USA AMC
ITALIA PAY
ITALIA FREE
CULT prima visione italiana
RAI 4
FILE SHARING
STREAMING
MAGGIORE QUANTITÀ DI DISCORSO
FANSUBBING
FORUM
BLOG
YOUTUBE
TEMPORALITà
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Televisione convergente La tv oltre il piccolo schermo a cura di Aldo Grasso e Massimo Scaglioni Proprietà letteraria riservata · © 2010 RTI ISBN 9788895596129
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Alessia Assasselli si ringrazia per la collaborazione: Gabriella Mainardi. e-mail link2link@mediaset.it sito www.link.mediaset.it blog www.linkmagazine.blogspot.com link · rti Viale Europa, 48 20093 Cologno Monzese (MI)
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L’editore si dichiara disponibile a colmare eventuali omissioni relative a testi e illustrazioni degli aventi diritto che non sia stato possibile contattare. finito di stampare da tipografia negri · bologna · nel mese di settembre 2010
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CAPITOLO I
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convergenza. dopo cultura convergente di henry jenkins, è una delle parole centrali degli ultimi anni. Se ne è parlato molto, ma poco è stato fatto (e scritto) per capire cosa vuol dire davvero e quali sono le sue reali implicazioni. Televisione convergente – frutto di un lungo lavoro di ricerca del Ce.R.T.A., guidato da Aldo Grasso – cerca di colmare questa lacuna, raccontando i cambiamenti nel modo di fare e di vedere la tv attraverso esempi concreti. Il volume parte da tre termini chiave: estensione, accesso e brand. Concetti che stanno modificando sia la produzione televisiva – costretta a fare i conti con la rete e con utenti sempre più smaliziati – sia le pratiche del suo consumo quotidiano. Seguendo numerosi casi di studio – dal Grande fratello a X Factor, da I Cesaroni a Romanzo criminale, da CSI a Mad Men – e proponendo metodi di analisi innovativi, il libro approfondisce i “punti caldi” della televisione di oggi. Nazionale e internazionale. Senza facili entusiasmi, ma con lo sguardo attento di chi sa che la storia del mezzo è a una svolta: con il web e la convergenza, i confini del piccolo schermo sono tutti ancora da scrivere.
Contributi di: Luca Barra, Stefania Carini, Adriano d’Aloia, Lorenzo Domaneschi, Andrea Fornasiero, Aldo Grasso, Fabio Introini, Rocco Moccagatta, Cecilia Penati, Massimo Scaglioni, Anna Sfardini, Sergio Splendore, Matteo Tarantino, Simone Tosoni.
€ 18,00 ISBN 88-95-59612-9