L'uomo che voleva essere pittore - giorgio piacenza Dassu - l'uomo che divenne pittore

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l’uomo che voleva essere pittore

Giorgio Piacenza

Dassu

l’uomo che divenne pittore arte e amicizia nella torino degli anni sessanta



Giorgio Piacenza

Dassu

Torino, 2 ottobre - 7 novembre 2009 Galleria del Ponte


Giorgio Piacenza con Michel TapiĂŠ nello studio di Strada Superga. 1963. (foto F.Aschieri)


l’uomo che voleva essere pittore

Giorgio Piacenza

Dassu

l’uomo che divenne pittore arte e amicizia nella torino degli anni sessanta a cura di Claudio DaprĂ


Questa mostra è stata fortemente voluta dalla famiglia del pittore Dassu. Un particolare ringraziamento alla nipote Marina senza la quale non sarebbe stata possibile.

Dassu riflesso in uno specchio di Franco Assetto. Biella 1967.

Catalogo a cura di Claudio Daprà claudio.dapra@tin.it

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Testi di: Marina Mancini marmalau@libero.it

Pino Mantovani Claudio Daprà

Galleria del Ponte Corso Moncalieri 3 (Gran Madre) 10131 Torino tel+fax 011 819 323 3

Fotografie: Archivio Dassu Progetto grafico: Claudio Daprà

galleriadelponte@fastwebnet.it

Realizzazione e stampa: Graffio, Borgone (To)

La Galleria del Ponte inaugura nel 1989 con la mostra “omaggio a Torino” da allora persegue l’obbiettivo di documentare ed approfondire le vicende dell’arte moderna a Torino nell’arco del Novecento.

studiograffio.it

© Marina Mancini - Edizioni del Graffio


Ciao, DASSU! Sono passati 99 anni dalla nascita di Giorgio Piacenza e 40 anni da quando è morto il pittore DASSU, forse nel rinascimento questi numeri sarebbero stati giudicati importanti parlando di un artista, forse un logico matematico ne trarrebbe ipotesi. Voglio ricordare lo zio Giorgio prima di tutto come era per noi: si andava nei giorni di festa a trovarli nella villa di Superga, il giardino era bellissimo, in fondo, in basso verso la valle, quasi nascosto, c’era lo studio. Lo zio era sempre rintanato lì. Si entrava a salutarlo, ci si fermava poco per non disturbarlo, la pittura per lui era la vita, la produzione artistica era complessa, a volte sembrava scontroso perchè stava molto male e ci metteva in soggezione; sbirciavamo rapidamente il grande studio misterioso pieno di giochi non adatti a noi e poi dovevamo uscire. Solo poche volte, con la zia potevamo impastare la creta, smaltarla con tutti quei colori insperati conservati nelle anfore da farmacista in fila su uno scaffale e poi metterle nel forno e aspettare dopo qualche giorno il miracolo dell’amalgama dei colori. Alcune cose meravigliose che lui faceva uscivano dallo studio, le vedevamo nella villa insieme alla grande collezione di quadri dei suoi amici artisti, ce n’erano anche nelle case di parenti e amici, fece anche qualche mostra, ma lontano e non le abbiamo viste.

Marina Mancini luglio 2009

Giorgio Piacenza con Adriana e Michel Tapié nel giardino di Superga con il “grande ikebana” e la calligrafia di Sofu Teshigahara. 1963. (foto F.Aschieri)

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Ricordo con profonda emozione l’incredibile performance/happening di Sofu Teshigahara che costruì l’Ikebana gigante in quel giardino, ospite, lui e le sue grandi sculture, nel 1963 degli zii Giorgio e Adriana. Dopo la sua morte la zia si è trovata una grande cosa da gestire: la sua personalità e la sua enorme opera lo manteneva vivo, sono state fatte nel tempo diverse mostre, più di quelle a cui è stato presente in vita. Mostre che soprattutto hanno sempre fatto sentire la sua presenza nel ricordo profondo ed affettuoso di quanti l’hanno conosciuto. Questa mostra è diversa: ho trovato delle persone che non lo hanno conosciuto, ma forse riescono a capirlo meglio di noi. Mi stanno insegnando il lungo ed attento percorso da lui intrapreso per diventare pittore, la sua attenzione per il mondo dell’arte antica e moderna, l’umiltà nel chiedere consiglio a quanti riteneva degni di ascolto, la lunghissima e profondissima sperimentazione sulla forma, sulla tecnica e sulla materia dell’arte, la sua modestia nel presentarsi come artista solo quando aveva raggiunto gusto, capacità e professionalità ben superiori a molti che lo facevano per mestiere, solo ora provo a interpretare il suo profondo inserimento nel panorama artistico torinese e mondiale in un periodo denso di polemiche e di novità. Voglio ricordare zio Giorgio industriale, collezionista e mecenate, capace, come ricordava Michel Tapié, di coltivare anche l’arte di vivere e l’amicizia, con questo omaggio al Dassu sperimentatore materializzato in queste opere che vogliamo offrirvi come percorso di un vero artista poco conosciuto, perché schivo ed estraneo, per scelta, al mercato dell’arte del suo tempo, ma che ben rappresenta un tassello nella cultura torinese degli anni ’60 contaminata dall’ “art autre”. La zia Adriana Bechis Piacenza, che ci ha lasciati da poco, ha passato il testimone proprio a me per la cura e la pubblicizzazione dell’intera memoria e collezione, e anche di ciò le sono profondamente grata. Ringrazio il destino che mi ha fatto incontrare al momento giusto e in modo fortuito quelli che sono diventati miei amici, consiglieri e collaboratori competenti nel momento in cui dovevo salvare l’ingente quantità di quadri accatastati in un garage in riva al Po, a rischio per l’umidità provocata dall’alluvione. Ringrazio gli amici Stefano e Fabrizio che ne hanno resa possibile la salvaguardia e la conservazione materiale, Claudio Daprà, entusiasta consigliere, architetto e curioso studioso, Stefano Testa e la Galleria Il PONTE che sono convinti dell’eccezionalità dell’opera di DASSU, il pittore e critico Pino Mantovani che propone un’analisi dell’artista e di quel fecondo periodo artistico e culturale di una Torino aperta al mondo. Ringrazio Anna Guasco che ha fornito materiali utili e scritti del padre Renzo, che fu grande amico dei Piacenza, che ne conservò la memoria e che curò la catalogazione dell’intera opera di Dassu.


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Dassu all’inaugurazione della mostra “Struttura e stile” Galleria d’Arte Moderna Torino 1962 Giorgio Piacenza nello stabilimento TT di Moncalvo.


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Due pagine del diario del 1967 da Giorgio Piacenza Dassu 1988


“Del mio lavoro non ho nessuna sicurezza... Non ho sicurezza, ma solo certezze ... Ho la certezza che il mio lavoro comunque esso sia è autentico, autentica manifestazione di me chiunque io sia. Sono certo che si rivela nel rigore, in rigore faticosamente cercato, mai raggiunto in assoluto... L’autenticità è in sostanza questo rigore... Tutta la mia certezza è gratuita...” (Mario D’Adda, “Settant’anni di vita”,1972. Un altro ignoto autentico artista, separato consapevole senza illusioni).

Felicità e sofferenza per una vocazione Non si può ricominciare che da Renzo Guasco: dal saggio “Ricordi di un’amicizia” pubblicato sulla monografia del 1975 e dall’inedito dattiloscritto (una ventina di pagine fitte) senza né titolo né data, che riporta ampi stralci dai diari, redatti da Giorgio Piacenza su certi taccuini regalatigli dall’amico pittore Wilhelm Wessel nel ‘66. I due scritti di Guasco sono ben distinti, anche se hanno in comune interi brani (il taglia e incolla era tecnica consueta per Renzo). La differenza riguarda innanzi tutto il tono complessivo: il primo scritto già nel titolo insiste sul coinvolgimento personale (ricordi, amicizia); il secondo imposta il commento critico con metodo più oggettivo, puntando sui dati interni al lavoro (intenzioni e informazioni analitiche sui procedimenti) . Una chiave è inoltre rappresentata dal differente utilizzo di due sogni dell’artista. Nel saggio pubblicato, i sogni, rispettivamente del 26 aprile ‘66 e del 23 marzo ‘68, si collocano in sequenza, quasi a conclusione del discorso, e servono a porre i termini di una sensibilità particolarmente intensa, eccitata dalla malattia e dalla sofferenza ma anche regolata da una sublimante maturazione. Nello stesso saggio, Guasco accompagna i due sogni e in un certo senso li chiarisce riportando una annotazione di Piacenza del 30 agosto ‘67, a margine di una visita alla tomba della madre mancata 15 anni prima: “Oggi penso a mia madre con la tenerezza di sempre, ma senza l’angoscia. Sento che il desiderio di realizzare qualcosa di mio deve tener conto di queste sensazioni. Amore - Affetto - Amicizia - sono le sole cose in cui ho sempre creduto e che oggi sento vicine perché sono dentro di me”. Sarebbe dunque dal cortocircuito tra sensazioni intimamente elaborate e desiderio di realizzare “qualcosa di mio” che scaturirebbe la necessità di un lavoro non descrittivo, non illustrativo di contenuti o concetti “anteriori all’esecuzione dell’opera e distinti da questa”, autosignificante, tanto che la convinzione faticosamente acquisita della capacità rivelatrice dell’operare esclude l’accompagnamento verbale (l’ultima annotazione dedicata alla pittura è del 29 ottobre 1967). Nel dattiloscritto inedito, i due sogni sono invece distanti nel rispetto della cronologia (ci sono di mezzo circa due anni). Consapevole dell’importanza della scelta, lo stesso Guasco

Pino Mantovani

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sottolinea: “Avevo pensato, in un primo momento, di pubblicare [i due sogni] uno di seguito all’altro, isolandoli dal resto del diario; poi ho preferito lasciarli al loro posto [cioè all’interno del diario, in mezzo a ben diverse annotazioni tecniche]. E’ bene che due pagine così sconvolgenti, ma anche così diverse, siano separate da un lungo intervallo”. Il fatto che nel testo della monografia i due sogni siano avvicinati, fa supporre che esso costituisca una prima versione del commento all’opera di Dassu, e che il dattiloscritto ne rappresenti lo sviluppo, accantonato per qualche motivo (per esempio, la scelta per la prima monografia di una presentazione specialmente umana e psicologica, rimandando ad occasione successiva un discorso analitico, propriamente critico); a meno di immaginare una terza redazione del saggio, della quale peraltro non esiste traccia, o più semplicemente un ripensamento dovuto alla parte che Guasco si trova a coprire nella somma dei contributi originali di Vigorelli e Fagiolo dell’Arco e delle citazioni di Carluccio, Dragone, Tapié, Wirth, sviluppando la bella pagina fragrante d’emozione per la recente scomparsa dell’amico, pubblicata nell’Omaggio del 1970, che insiste sulle valenze spirituali all’origine del lavoro pittorico di Piacenza. La dislocazione dei sogni nei due contesti illumina in modo diverso la vicenda di Giorgio Piacenza. Anche perché tra le citazioni dai diari prevalentemente dedicate a registrazioni di procedimenti tecnici passano nel dattiloscritto alcune dichiarazioni che meritano d’essere commentate. Il 30 aprile 1967, Dassu si interroga sul senso e sulle prospettive che si pone dipingendo con tanta passione. Alle conclusioni che sotto riportiamo, Piacenza arriva a seguito di un casuale commento ai propri lavori e delle reazioni positive o negative delle diverse persone coinvolte. “Io dipingo perché ciò mi consente di isolarmi e ciò facendo raggiungo una situazione di benessere fisico che annulla l’ansia di decidere del mio avvenire. La curiosità di realizzare, con materie che devono essere trattate, idee e combinazioni di colori, mi lascia la possibilità di concentrazione quale non trovo in altre occupazioni”. La considerazione è assai articolata, come era articolata la domanda: 1) perché dipingo, 2) cosa mi propongo facendolo. Senza pretendere di aggiungere nulla, è il caso di sottolineare alcuni passaggi. 1) La pittura, avvicinata quasi per caso come distrazione in un periodo particolarmente difficile, diventa una strategia di separazione non solo dal mondo esterno ma da se stesso o meglio dalla propria dolorosa situazione fisica e psichica; strategia che ricorda certe forme di meditazione orientale, che comportano l’uscita dal corpo individuale impelagato in una realtà immediata e meschina (negativa) e l’accesso ad una dimensione di pacificante universalità. 2) Il benessere fisico-psichico è soprattutto legato all’annullamento del dover essere, nella responsabilità tanto del presente che del futuro. Questa nuova condizione, mentre implica il


superamento del sé, proietta il corpo individuale in un presente assoluto, dove una curiosità sconfinata si apre su sorprese illimitate. 3) In questa dimensione perde senso la banda del fare legata all’etica ed al giudizio di qualità materiale ed estetica. Unico valore quello della libertà: “libertà di fare e di distruggere, di decidere l’indirizzo formale estetico e materico”, di sperimentare il pensiero attraverso l’azione, senza condizionamenti di qualsiasi specie, specialmente d’una riuscita. 4) “La pittura è e deve restare un hobby senza altro scopo che quello di essere il passatempo preferito. Non deve essere coercito da impegni o da giudizi ...”. 5) “Debbo al mio hobby la sopravvivenza alle mie sofferenze di questi anni e chiederò ad esso la possibilità di una serenità maggiore per affrontare le avversità avvenire. Sono convinto che posso assolvere altri compiti se avrò possibilità di rifugio. Il giudizio di estranei, sia da me richiesto, sia casuale deve divertirmi e non influenzarmi e ciò è possibile se questo giudizio è espresso su un hobby e non sull’unica mia attività”. Questi pensieri datano all’aprile/maggio del ‘66, quando ancora Piacenza suppone di dover svolgere due attività parallele: quella del pittore e quella dell’industriale, distinte e collegate; la seconda possibile solo a patto che la prima svolga il compito suo liberatorio, la prima assolta sul piano dell’etica dall’essere accompagnata da un impegno sociale. A distanza di due anni, forse, Dassu (non abbiamo dichiarazioni al riguardo, l’artista ha smesso di scrivere di pittura sui taccuini) avrebbe evitato di usare il termine “hobby”, ma avrebbe difeso ad oltranza l’idea che la pittura dovesse conservare il carattere di divertimento, proprio nel senso letterale di diversione, di allontanamento dall’impegno socialmente più rilevante. Come a dire: restano buone le ragioni, salvo che la parte, rasserenante per altre attività, verso la fine è diventata il tutto, che non serve ad altro che a sé, espressiva in toto di una necessità interiore. Lo sviluppo, intendiamoci, non è senza problemi e dubbi; tracce nei soliti diari. Il 3 giugno ‘67 trovo scritto: “Per la prima volta da molti anni non desidero restar solo nello studio e mi è venuto meno il desiderio di cercar nuovi mezzi per realizzare le mie tele”; e ancora il 27 luglio: “ Forse ho toccato il fondo... Anche questo ultimo rifugio [la solitudine e ciò che genera] si disgrega. E’ forse perduta l’ultima possibilità di equilibrio che la pittura mi ha fornito in questi anni di sofferenza fisica e morale a compenso del nulla”. Non è solo una disperazione esistenziale, è anche una disperazione per così dire storica: tornando dalla Biennale di Venezia, Piacenza dichiara d’essere “sempre più convinto che la sua generazione non ha più alcuna possibilità di esprimersi. Il privilegio di dire cose nuove è riservato ai giovani. E i giovani hanno fatto e creato nuove situazioni che solo essi possono continuare con il ritmo che la nostra società richiede”. Il fatto è che si alternano dubbi sulla serietà del proprio lavoro con periodiche, abbastanza

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sporadiche soddisfazioni. Si rende necessario sistematizzare le ricerche, per esempio datando le opere e perciò tentando di cogliere attraverso la sequenza le costanti e le variabili, così da intuire una identità di fondo. Le poche presenze pubbliche, Dassu le avverte come dispersioni inutili d’energia: la propria declinante energia che deve invece concentrarsi su “quello che veramente è”, rappresentare “quello che veramente sono”, e l’energia che il ricercatore con il suo entusiasmo (massimo pregio e massimo difetto) riesce a scovare, provocare ed esaltare nella materia. E’ il maggio del ‘67 quando Tapié informa l’artista di volerlo includere in un suo prossimo libro come “esponente della metafisica della materia”. In effetti, la materia, per Dassu, è l’altro: l’artista riconosce una immagine nella concretazione di un processo compiuto o interrotto nella metamorfosi drammatica e felice della materia. A parte le soddisfazioni che gli possano venire dalla stima che dimostrano alcuni amici (gli artisti Wessel, Garelli, Assetto; i critici Guasco, Tapié, Carluccio, Dragone), Piacenza è arrivato ad una svolta esistenziale e ideologica, che vorremmo riconoscere nei risultati ottenuti nel biennio conclusivo, quando, ribadisco, la scrittura perde il valore tanto di registrazione metodica delle esperienze fisico/chimiche quanto di sia pure saltuaria elaborazione del proprio pensiero sulla pittura. La svolta è rappresentata - è ancora Guasco a suggerirlo con la sua solita intelligenza e discrezione - dal secondo sogno (sabato, 23 marzo 1968) dove risulta chiaro che l’uomo Piacenza ha rovesciato il senso, così angosciosamente avvertito nel primo sogno, della perdita di controllo del tempo. Così egli conclude il racconto del sogno: “Avevo capito, per la prima volta, quanto avevo vissuto, con spirito giovane, la mia esistenza”; e questo lo rende felice. Se meno di un anno prima, di ritorno da Venezia, aveva fortemente dubitato di poter fare qualcosa, perché la ricerca è dei giovani, adesso sa di essere sempre restato giovane, per i quarant’anni che è sopravvissuto ai primi 17, e perciò di aver diritto e di potere. In termini concreti di essere soggetto dominante non oggetto passivo della materia e delle sue metamorfosi: picassianamente, di essere uno che non cerca, trova. Infatti, nell’ultimo periodo quello che colpisce sono alcuni aspetti del lavoro, che, non assenti prima, non erano peraltro centrali. 1) Il fatto che tutte le sperimentazioni finora condotte rifluiscano nel lavoro presente come un dizionario finalmente e pacificamente posseduto, un dizionario aperto però, e non depositato in un codice definitivo. 2) Un repertorio di segni di una lingua remota e ignorata che attraverso il corpo di chi la utilizza assume un senso possibile, che lo spettatore - a cominciare dal primo spettatore che è l’autore stesso - riesce ad attivare attraverso la propria partecipazione. 3) Da una parte, il gioco degli assemblaggi diventa più che mai ricco e “divertente”, perciò stesso rivelatore; dall’altra, chi imposta il gioco con le sue regole e chi ne partecipa in modo


convinto risolve il senso in una necessità sempre più stringente e chiara a se stessa. 4) In questa direzione, acquista valore sempre più marcato l’ultimo intervento dell’artista (determinante anche per la lettura: esso specialmente consiste nelle tracce automatiche e labirintiche che coinvolgono gli elementi come si diceva spesso assunti per frammentazione da altri lavori e rimescolati come in un azzardo dadaista. Valore analogo assumono le stesure cromatiche (di nuovo pittoriche), che servono a dividere e collegare, che insomma partecipano al processo di organizzazione, almeno in ipotesi, delle parti convocate da differenti contesti. 5) Il metodo del “décollage”, che per qualche tempo aveva comportato una esclusiva centrata localizzazione, ora si complica al punto che, se non esistesse un soggetto oggettivamente significante, porterebbe alla autodistruzione finale. Questa è la giovinezza - individuata individuale potenza costruttiva - che il “vecchio” artista ha riscoperto con immenso piacere. Le ultime considerazioni ci riportano sull’inizio: le scelte di Giorgio Piacenza sono ben inserite nella storia di quegli anni, sullo scorcio dei Sessanta: che un po’ schematicamente si può riconoscere nella storia della crisi dell’Informel, sui due versanti dell’arte e della critica. L’accalorata valenza testimoniale di cui l’Informel era stato portatore, aveva ceduto agli sviluppi ideologici e formali della Pop e dell’Analitico, che a loro volta ponevano drammaticamente la necessità di una scelta tra il discioglimento della forma nei contenuti e l’accentuazione formalista; secondo altra prospettiva tra la vita (sociale) e la separatezza (autoreferenziale) dell’arte. Non per caso, Tapié, a cominciare dalla fine degli anni Cinquanta, aveva tentato di aprire strade differenti e batterne addirittura di contraddittorie (o forse no, quando se ne scoprisse la comune valenza strutturale, riconosciuta nel modello barocco propugnatore a suo tempo, nello stesso tempo, di scienza e follia, di metodo e capriccio) . Drammaticamente un grande coraggiosissimo critico dell’epoca, Carla Lonzi, abbandonò la critica per la militanza politico-sociale, ma anche nella convinzione che agli artisti -consapevoli e responsabili - non servissero più invasive e approssimative didascalie. Anche Renzo Guasco, nella dimensione intimista che gli era propria, sentì la crisi; e quel dubbio che riscontriamo nelle due versioni del commento all’opera di Dassu ne è chiaro esempio: arte come testimonianza portata fino al punto di sparire nella inutilità o utilità solo terapeutica; arte come oggettività conquistata, attraverso un linguaggio còlto nella necessità dell’origine, al di là dell’impoverimento dei codici. Dassu vive a modo suo lo stesso dramma: dopo aver tentato le due strade in apparenza opposte della testimonianza commossa e della fattuale fredda registrazione, riesce, forse, a ritrovare la dialettica fra il caldo e il freddo, a sprofondare così a fondo in sé medesimo da ritrovare l’origine comune comunicante, a riconoscere nell’altro - la materia - una comune natura; in concreto, a vivere nel corpo, nel corpo delegato dell’arte, l’esperienza della separazione e della integrale partecipazione.

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Le fotografie che illustrano questo testo sono state realizzate da Piacenza in PerĂš nella cittĂ fantasma di Puruchuco. 1964.


I due sogni

Giovedì 28 aprile 1966 - Notte - Un sogno angoscioso, forse provocato dal nuovo farmaco ingerito prima di cena, mi è servito di messaggio per chiarirmi l’attuale situazione. Solo in un paesaggio completamente sconosciuto mi domando cosa mi ha portato in quel luogo solitario e il perché della situazione di angoscia, dove fossi diretto e chi io stesso fossi. L’impressione di disperazione era maggiormente evidente perché il luogo, pur essendo di ambiente cittadino, era composto unicamente di qualche albero scheletrito che aveva come sfondo un lungo muro bianco. Le domande che mi rivolgo tendono soprattutto a cercare un chiarimento. Perché e da quando mi trovavo in quello stato di angoscia? Ricordo che ebbi la sensazione terribile di rivivere le decisioni importanti del mio recente passato. Il lavoro - l’operazione - la pittura - ma trasferite in un passato ormai lontano e che da quei fatti, al momento dello stato d’angoscia, mi fosse impossibile ricostruire la successione degli avvenimenti che mi avevano portato in quel sito desolato. L’unica domanda che ho posto ad uno sconosciuto, che il sogno mi ha fatto apparire, è stata: Ho perso la nozione del tempo - Mi vuol dire quanti anni mi attribuisce? La risposta è stata terribile: 80 o forse 81! Una ridda di impressioni spaventose. Il filo della mia esistenza si interrompeva all’età di 56 anni e non ricordavo nulla di un periodo che mi portava di colpo alla tarda vecchiaia. Mi è parso evidente che ero solo al mondo e smemorato. Mi è riapparso il personaggio al quale chiesi di essere accompagnato in questura, e scoprii che al termine del muro l’apparire di case mi fece esclamare- Ma questa è Torino! Ebbi in risposta un segno di assenso. III domanda - Qual è il mio aspetto esteriore? Il personaggio mi toccò il bavero del pastrano e, senza parlare, mi fece capire che ero decoroso. Dopo pochi passi la suola della scarpa destra si scucì e dovetti fare una rampa di scale, sollevando notevolmente la gamba destra per evitare la percussione del lembo staccato contro lo scalino. Il personaggio scomparve all’apparire di un funzionario al quale rivolsi la preghiera di rintracciare il passato. Il funzionario staccò un ricevitore telefonico e in quel momento mi svegliai.

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Sabato 23 Marzo, 68 (Notte) - Sogno- Assisto ad uno spettacolo ed ho a fianco una fanciulla che mi parla e mi confida la sua età - 17 anni - La sua presenza si materializza in un profumo di gioventù fragile e sano. Il suo capo e il suo corpo aderiscono al mio e mi trasmettono un senso di integrità fisica da tempo dimenticata. Mi trovo a camminare avendo a fianco la mia giovinezza e poiché il sogno mi fa arrivare al termine di un sentiero, interrotto da un intrico di arbusti, mi rivolgo alla giovane che ha camminato al mio fianco e chiedo con sincero interesse per quanto ancora avrei potuto rivivere la sensazione di essere ritornato giovane. La risposta mi è stata data con un’altra domanda: da quanti anni hai vissuto i tuoi 17 anni? Erroneamente ho risposto 30, ma poi con sgomento ho realizzato che erano trascorse ben 41 primavere e, forse per vergogna, o per un residuo di assurda civetteria, ho detto quaranta. A questo punto mi sono svegliato felice. Avevo capito, per la prima volta, quanto avevo vissuto, con spirito giovane, la mia esistenza.

Propongo ad uno specialista di interpretare analiticamente questi due sogni: per quanto mi riguarda, ho detto qualcosa usando i suggerimenti di Renzo Guasco.


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Piacenza con il pittore Gruau. Anni ’50.


Ogni quadro del suo iter continuum ha, pur nei legami, una autonomia, ed ogni segno ha un suo vettore; tuttavia, un quadro e l’altro sono tutti tessere d’un inscindibile mosaico, come se il continuum culmini in un unicum; e per impossessarsi appunto dell’«unità» soggiacente ad ogni diverso quadro, era ed è necessario, condizionale, scendere giù nel segreto della sua vita, raggiungendone e quasi violandone la spiritualità. Giancarlo Vigorelli1

L’uomo che voleva essere pittore: Giorgio Piacenza Chi legge il catalogo Tapié un arte autre che Mirella Bandini curò nel 1977, tra notizie e nomi incontra Giorgio Piacenza che ospita, nel giardino della villa di Superga, la mostra delle sculture di Sofu Teshigahara; nei regesti, tra i 55 pittori di 15 nazioni presenti alla Galleria Cortina di Milano nella mostra Espace abstrait - de l’intuition à la formation del 1969, nel sottosistema Métaphisique de la matière-espace il lettore trova un nome: Dassu. Esiste un pieghevole con la copertina calligrafata da Ambrogio Minola: “La bacheca ovverossia Personaggi del Centro internazionale di Ricerche Estetiche, di Franco Garelli per Giorgio Piacenza, Torino 1963”. Nel 1964 a Lima, in Perù, veniva proposta una mostra del “Gruppo WEGAS y Giorgio Da Superga”. Michel Tapié nel 1977 nella Introduction à La Connaissance Esthétique2 scriveva: “Les textes qui suivent n’auraient jamais vu le jour sans l’existance de fait de certaines créations de structures d’espaces abstraits d’artistes que je tiens à nommer avant toute autre chose, dans une liste empiri­quement ordonnée: les oeuvres en question sont les véritables axiomes présidant à cette introduction à une esthétique autre, post-dada.3 a) L’architecte catalan Gaudi, le logicien Bertrand Russell, le com­positeur Edgar Varèse

Claudio Daprà

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Tapié, Piacenza ed Adriana a Superga. 1963

et le poète Ezra Pound. b) Hofmann, Miro, Domoto Insho, Teshigahara Sofu. c) Clyfford Still, Pollock, Motherwell, David Smith, Lee Kras­ner, Kline, Wols, Mathieu, ...d) Donati, Tàpies, Piaubert, Yoshihara, Wessel, Castel, Damian, Crippa, Dassu, Wagemaker, Laganne, Schumacher, Gallizio...”. Tapié nel 1970 scriverà: «Dassu existe et existera comme artiste, il est représenté dans la collection du Centre d’Esthétique, j’ai emmené de ses oeuvres autour du monde, montrées aux U.S.A. et au Japon avec les Gutaï, je le reproduis dans mes livres; et je continuerai à le faire figurer tant dans des groupes d’ “hypergraphies” que dans des ensembles d’“espa­ ces abstraits”... J’ai aussi connu monsieur Piacenza, dont je m’ honore d’avoir eu l’amitié. Collectionneur des oeuvres audacieuses d’un «maintenant» qui était le sien, il a su intégrer ces oeuvres d’art dans le cadre d’un art de vivre où l’amitié confidentielle trouvait sa profondeur d’épanouissement...” 4. Intorno a questo apparente rebus ruota una vicenda artistica grandemente autonoma e profondamente partecipe di un periodo di sperimentazione ed evoluzione dell’arte, torinese ed internazionale, di profondo respiro e di altissima qualità. Giorgio Piacenza nasce a Torino nel 1910, non ha formazione artistica, studia ragioneria, a 15 anni compagno di classe di Renzo Guasco5 che rincontrerà nel 1962 alla Biennale di Venezia, diventato critico: ne nascerà un’amicizia e frequentazione fondamentale. Guasco sarà affettuoso storico e narratore della vita e della sua attività artistica e schederà la sua produzione. Piacenza nel 1938 fonda la Società AMSA a Torino, con il fratello Gino, chimico, ed altri. Trasferita l’attività a Moncalvo nel 1944, con il fratello la rifonda come TT (Trasformazioni Tessili) che avrà grande espansione. La TT, specializzata nella produzione di camicie, dagli anni ‘50 si porterà all’avanguardia con le prime “non stiro” guardando all’evoluzione delle tecniche e dei materiali e contemporaneamente all’evoluzione della società italiana. L’altro fratello, Mario trasferitosi in Perù nel 1946, crea la “Tecnoquímica” che produrrà anche colori per artisti. Collezionista d’arte si dedicherà alla scultura, nel 1960 fonderà, insieme a Patricio de Almenara, la “Bienal de Arquítectura y PÍntura Peruana” che, come “Bienal de Teknoquímica”, è ancor oggi un importante premio6. Mario sarà fondamentale per l’avventura artistica di Giorgio. Piacenza diresse la rivista di moda maschile Club cui collaborava l’ illustratore e cartellonista francese Renè Gruau7, artista riferentesi aggiornatamente alla pubblicità disegnata dell’anteguerra, conoscitore dell’arte e della calligrafia giapponese. Non sappiamo con certezza quando iniziò a dipingere: una nota, che riteniamo sua, per la


mostra del 1967 a Biella recita: “Attività artistica dal 1938: Pittura ad Olio-Guaches. 1953 Vinil-pitture. - 1963 Plastic-paint e rilievi “plastici”. - 1966, Serie acrilica 1-302.”8 Guasco nega la prima data: nel 1950: “per superare le ore di noia e di forzata inattività, durante la convalescenza di una grave operazione” 9, momentaneamente lontano dal suo lavoro, avrebbe chiesto all’artista torinese Giulio Da Milano, conosciuto alla Mostra del Tessile al premio Spola d’Oro (di cui Piacenza fu promotore) di dare lezioni di pittura a lui ed alla moglie Adriana Bechis. I suoi amici Wessel, Assetto, Garelli scriveranno: “ha dipinto per vent’anni con i mezzi che noi chiamiamo convenzionali; dipingeva quadri che non erano né peggiori né migliori di quelli dipinti dai suoi coetanei delle accademie d’arte: il giovane industriale, dipingeva in tutte le ore libere che poteva strappare al quotidiano lavoro. Visitava musei e gallerie; leggeva libri d’arte e studiava le correnti spirituali del suo tempo. Per un periodo di tre anni lavorò, giornalmente, nello studio del pittore Giulio Da Milano per perfezionare la sua tecnica della pittura ad olio. Dipinse poi, come si dipingeva negli anni tra il 1935 ed il 1945, l’epoca in cui il futurismo e l’avanguardismo, in genere, erano messi da parte a vantaggio di una crescente popolarità per le “belle arti” convenzionali”10. Si riconosce il periodo autodidattico in un gruppo di tele maltrattate: discontinue per tecnica (oli, guazzi, smalti, tecniche miste) e soggetti (paesaggi, paesi, figure, nature morte), instabili stilisticamente: cubismo, post-impressionismo, fauvismo indicano comunque parte-

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La mostra di Sofu nella villa di Superga, Tapié, Piacenza ed Adriana. 1963


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cipazione e conoscenza del mondo artistico torinese a cavallo della Guerra. Rivolgersi a Da Milano nel ‘50 è scelta coerente con quanto da lui già tentato: Da Milano “Troppo trascurato protagonista degli avvenimenti artistici torinesi negli anni cruciali intorno al 1930 11”, francese di nascita, si era formato a Parigi, nel milieu di Montparnasse e dell’École de Paris che è l’origine della corrente torinese rappresentata tradizionalmente dai “Sei di Torino” (Boswell, Chessa, Galante, Menzio, Levi, Paolucci), ma più ampia ed articolata, definita variamente quale “fauve torinese”, “intimisti torinesi”, “Parnassien” o “post impressionisti”12. Per tre anni frequenta lo studio di Da Milano, quasi quotidianamente: la sera dopo cena e nei giorni festivi, frequentazione testimoniata da centinaia di studi su tavola e su tela, da tele impegnative, vicini per soggetto e gusto alle nature morte, ai particolari d’interni che erano allora il principale interesse del maestro. “Molti quadri di Piacenza potrebbero essere esposti, senza sfigurare, accanto ad opere di Da Milano, di Menzio e di altri pittori di quegli anni “dice Guasco che ricorda: “È fuor di dubbio che ad un certo momento egli cominciò ad avvertire che quello che faceva non era in sincronia con il mondo dell’industria in cui operava, con i libri che leggeva, con i suoi interessi profondi e vitali. Già in alcuni quadri dipinti ad olio e con il pennello si avverte questa impa­zienza, questo bisogno d’aria. Sono alcuni suggerimenti accolti da Matisse a rivelarlo, certe accensioni cromatiche fuori regola, una certa impazienza nell’uso dei mezzi tradizionali. Da Milano ricorda che Piacenza un giorno gli fece vedere un libro sulla pittura informale. Da Milano, che sin dal 1934/35 aveva dipinto dei veri e propri quadri informali ante-litteram, rimasti sconosciuti sino a pochi anni or sono, non poteva non comprendere e assecondare le tendenze dell’allievo, ormai amico carissimo.13” Molti piccoli oli della moglie Adriana, più coloristicamente Fauve, seguono la medesima forte lezione di Da Milano. Scriveranno ancora gli amici: “Giorgio Piacenza si era dedicato molto all’attività di­rettiva di un’industria molto specializzata del Piemonte. Ma la sua passione per la pittura non si era affievolita; anzi, la sua naturale disposizione si era trasformata in qualcosa di molto più serio ed impegnativo di un hobby, diventando il contrappeso indispensabile, ormai, al quotidiano training industriale. Cominciò ad interessarsi con sempre maggiore e più attenta partecipazione alla polemica, violenta negli anni cinquanta, pro e contro il figurativo. L’arte astratta lo attrasse; ma questa, in un primo tempo, non conquistò tanto il Dassu pittore quanto il Giorgio Piacenza “amatore d’arte”, ossia il collezionista, attento, di pitture e sculture di giovani artisti giappo­nesi, francesi, tedeschi e italiani”14. Piacenza data al 1953 l’inizio delle “Vinil-pitture”: termine riferito all’uso della colla Vinavil, che negli anni ’50 sostituisce le antiche colle di origine organica. Con l’innovativa materia realizza, molti studi su carta e cartone, dove si sovrappongono materie corpose colate, spatolate, scolpite, diversamente colorate, chiosate, a volte ricomposte: effetti tellurici, medi-


tazioni materiche, piccoli mondi. Una definizione generica per ricerche sempre in evolversi. Gli anni in cui intraprende le sue nuove strade sono cruciali per Torino: Dal 1951 al ‘61 l’associazione “Pittori d’Oggi Francia-Italia organizza sette mostre che riuniscono personali, retrospettive e collettive delle opere dei più affermati pittori contemporanei, e dei giovani emergenti, italiani e francesi: più di duecento artisti che in parte già frequentano la nuova arte informale. Nel 1956 “Tapié inizia a soggiornare, dapprima saltuariamente, a Torino, città che immediatamente ama per la sua vicinanza alla Francia e per la possibilità di isolarsi tra un viaggio e l’altro, dedicandosi ai suoi studi”15. Qui collabora alle mostre della Galleria Notizie di Luciano Pistoi proponendo in Torino l’“Art Autre”. Nel maggio 1959 realizza la mostra “Arte NuovaEsposizione internazionale di pittura e scultura- Ikebana di Sofu Teshigahara” con il Circolo degli Artisti dove più di settanta artisti sono divisi per aree culturali: Europa, America e Giappone. “In concomitanza con Arte Nuova (alla Galleria Notizie) una grande mostra del gruppo Gutai”16. Nell’ottobre, “essendo andato distrutto, per un provvidenziale caso, sotto i bombardamenti del 1942 il vecchio ed inadatto baraccone provvisorio che mal ospitava dal 1895 le nostre raccolte d’arte moderna” inaugura la nuova sede della Galleria d’Arte Moderna. “Contemporaneamente ... nell’apposito padiglione delle temporanee, la grande mostra dei Capolavori di arte moderna nelle raccolte private italiane... ha riunito e presentato ben 286 capolavori di pitture e di sculture dei maggiori artisti contemporanei italiani e stranieri... Quando solo si elenchino i nomi di Sisley, di Cézanne, di Rousseau, di Gauguin, di Picasso, di Braque, di Gris, di Léger, di Matisse, di Rouault, di Chagall, di Soutine, di Klee, di Utrillo fra gli stranieri; di Modigliani, di Carrà, di De Chirico, di Casorati, di Campigli, di De Pisis, di Morandi, di Rosai, di Scipione, di Spazzapan ed ancora di Arturo Martini, di Manzù e di Marini... si può ben affermare che fu questa una delle più complete, ampie ed attraenti rassegne d’arte moderna avutesi in Italia”17. Il giapponese Sofu Teshigahara realizza lo stesso anno nel giardino della Galleria d’Arte Moderna un grande ikebana intitolato Felicitazioni. Nel 1960 la Galleria d’Arte Moderna espone le xilografie di Shiko Munakata: l’arte tradizionale giapponese declinata con il segno dell’incisione espressionista. Quell’anno Tapié inaugura “l’International Center of Aesthetic Research (ICAR), in una magnifica sede del centro storico torinese, in via Basilica 9, in un palazzotto cinquecentesco (dove nel 1578 avrebbe soggiornato Torquato Tasso). Con la fondazione dell’ICAR a Torino - insieme a Luigi Moretti e Franco Assetto, di cui successivamente diverrà presidente Ada Minola - Tapié realizza l’evento più importante del suo iter: la possibilità di presentare, in una

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Giulio Da Milano, Adriana Bechis Piacenza, Pinot Gallizio e Dassu all’ICAR.


esposizione permanente articolata in spazi di tipo museale su due piani, e di puntualizzare in mostre personali, gli artisti che aveva seguito dal 1946 e mediante i quali aveva costruito la teorizzazione dell’art autre, che nel periodo Torinese si evolve, con l’apporto di Moretti, verso speculazioni scientifiche”18. Nel 1962 Tapié con Pistoi cura alla Galleria d’Arte Moderna la mostra Struttura e Stile. La mostra aveva visto la disponibilità di Vittorio Viale per il discorso di Tapié: “Per le idee che la guidano e per la scelta degli artisti e delle opere, è questa una mostra che si stacca alquanto dal tipo consuetudinario delle mostre di un museo; ma in realtà, se una pubblica Galleria d’arte moderna deve essere, come mi pare necessario, oltre che documentazione e scuola, anche palestra e guida, è giusto ed è bene che in essa si considerino tutte le idee, si affrontino e si dibattano tutti i problemi; e questo con tanto più intenso impegno e con tanto più vivo interesse, quando idee e problemi riguardino le prospettive del­l’arte nel futuro, od almeno quelle prospettive che una acuta ed avveduta mente di critico cerca di configurare”19. Nel settembre vi è l’inaugurazione de L’incontro di Torino, alla Promotrice, dove nuovamente erano riuniti artisti europei, americani e giapponesi.

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Il 1959 è l’anno in cui Piacenza si trasferisce nella nuova villa di Strada Superga. Accanto alla villa, in fondo al parco, adatta una costruzione rustica come studio: vero e proprio ritiro dell’artista; spazi di lavoro, forno da ceramica di Adriana, spazi per ricevere gli amici artisti e poi creare una sorta di museo privato. Lo studio sarà il luogo dove altri artisti verranno a sperimentare le sue nuove tecniche. “Vi è una data che segna una svolta importante (possiamo dire, senz’altro, la più importante) nella storia artistica di Piacenza, quella dell’incontro con il pittore e scultore Franco Garelli. Furono Giorgio ed Adriana Pia­cenza a cercare Garelli ad Albisola, nell’estate del 1959. Con Franco Garelli furono subito amici. Da Garelli, Piacenza ricevette soprattutto una lezione di libertà. Agire ed esprimersi liberamente, usando qualsiasi mezzo.”20.

Quando conosce Garelli questi ha già ha una storia complessa. Nato nel 1909, ha esordito come scultore nel 1927 con terrecotte di grandi dimensioni. Frequenta il secondo futurismo torinese e poi Martini e Spazzapan, medico, insegna Anatomia Artistica all’Accademia e poi Figura e Ornato modellato al Liceo Artistico. Conosce il gruppo “Cobra”, in rapporto con il Laboratorio Sperimentale di Alba di Pinot Gallizio partecipa al I Congresso Mondiale degli Artisti Liberi. Dal’50 scolpisce in bronzo, dal ‘54 realizza opere in ferro per assemblaggio e saldatura, pratica la pittura ed il disegno. Nel 1959 lavora a Tokyo e espone a Osaka21. Garelli e Franco Assetto sono i primi artisti che Tapié conosce tramite Spazzapan quando inizia ad essere presente a Torino, Garelli sarà il tramite tra Piacenza e Tapié . “In breve tempo Piacenza conobbe tutti gli artisti che Tapié faceva venire nella nostra città; collezionò le loro opere; di alcuni divenne amico22”. Assetto e Wilhelm Wessel sono gli altri artisti con cui stringerà grande e fondamentale amicizia. Assetto, torinese, più giovane di un anno di Piacenza, studi in farmacia, eclettico, dandy, surrealista, dopo un informale molto personale, poi iniziatore del “Baroque ensembliste”. Frequenta il campo delle “arti applicate” ed è considerato precursore della Pop Art. Espose in Giappone con i Gutaï, per molti anni poi vivrà negli Stati Uniti. Un museo gli è dedicato a Frontino, nel Montefeltro. Wilhelm Wessel, nato nel 1904, ha lavorato sotto la direzione di Kandinsky al Bauhaus, poi grafico in Cecoslovacchia ed insegnante in Turchia, ha viaggiato in oriente, studiato archeologia e pittura, insegnante d’arte dal ’31 al ‘39. Dopo la guerra è attivo come pittore nella natia Iserlohn (Qui un museo è dedicato a lui ed alla moglie pittrice Irmgart Wessel-Zumloh,). Nel 1958 presente alla Biennale di Venezia, negli anni Sessanta andrà a New York, a Lima con Piacenza ed alle Bahamas. Da un iniziale espressionismo, dopo un passaggio alla nuova oggettività e un periodo “pittore di guerra” in Africa ed in Italia, approda all’informale a metà degli anni ’50. Nel ’57 è presente alla mostra


Aktiv-Abstrakt. Neue Malerei in Deutschland, che riunisce i principali protagonisti della scena informale tedesca alla Städtische Galerie im Lendbachhaus di Monaco23. Rigoroso e di forte personalità, meditativo, profondamente critico.“ L’amicizia fra due uomini di nazionalità, for­mazione ed età diverse, fu profonda. Piacenza aveva riposto in Wessel una fiducia totale. Egli era il solo che gli potesse dire quali quadri conser­vare e quali distruggere. Fu lui a regalargli i taccuini ed a consigliarlo di annotarvi tutti i progressi del suo lavoro. “15 marzo 1966 - Arrivo di Wessel che mi regala questo taccuino per le annotazioni. Mi riprometto di compilarlo annotando episodi che riguardano fatti relativi all’attività pittorica ”24. Tra Piacenza ed Adriana, Wessel ed Irmgart nasce una profonda amicizia, frequentazione e intenso carteggio: consigli tecnici, scambi di materiali e di fotografie dei lavori, resoconti di viaggi, di mostre viste, racconti del lavoro di tutti i giorni, pensieri a distanza: “Caro Giorgio aujourd’hui Dimanche! Ça veut dire, tu travail à l’atelier et Adriana et Maria t’attend pour le déjeuner – mais tu ne viens pas, pars que tu es trop occupé par ton travail... ” . “Cher WILHELM, ... Comme toujours ta fantasie de peintre m’a imaginé justement à la place où je me trouve tous les dimanches, c’est-à-dire dans l’atelier, concentré sur mon travail...”. Wessel: “Dans ce Moment, 1 heure-midi-, Maria et Adriana t’attendend dans la maison pour manger, pendent toi – aujourd’hui féte de Dieu -tu t’occupe avec la création, avec la mistère, la methaphisique de la mathière, pappa!25 ”. L’inizio degli anni Sessanta per Piacenza è il momento in cui la salute riprende a declinare. La vita diventa alternanza di lavoro, malattia ed arte. Un cammino tra ospedali, cure, dolori, speranze, che segneranno la sua personalità ed il suo vivo desiderio di diventare pittore. Nel ’62, ’64, ’66 visita la Biennale: Guasco: “Quell’incontro a Venezia..., fu tra i più felici. Ricordo ancora quella specie di febbre che non ci abbandonava mai, mentre giravamo per i padiglioni ed i giardini della Biennale, o sedevamo ai caffè di Piazza San Marco. Era la nostra una compagnia che si scioglieva e si ricomponeva di con­tinuo; ci si perdeva e ci si ritrovava dieci volte al giorno. Mi pare che ci fossero “tutti”, Fontana e Tapié e Stadler, Garelli ed Assetto, e tutti gli americani e i giapponesi e i francesi che pochi giorni dopo, il 18 giugno, avremmo ritrovato a Torino, alla Galleria d’Arte Moderna, per l’inaugu­razione della mostra “Struttura e Stile”... ricordo l’attenzione con la quale rima­neva immobile ad osservare certe opere nei padiglioni della Biennale. Possedeva una rara capacità di impossessarsi delle immagini e del loro significato profondo”26. Straordinaria illustrazione del rapporto con il gruppo che orbitava intorno al critico francese è: “La Bacheca”: “Caro Garelli mi piacerebbe trasformare la libreria barocca del primo piano in una “bacheca” zeppa di ceramiche (tipo quelle che stai facendo a Castellamonte),

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Giorgio Piacenza al lavoro.


ispirate ai pittori, autori dei quadri che ho alle pareti. Cosa ne pensi?”. Un mobile barocco modificato per esporre ventuno sculture ciascuna dedicata ad un artista: Assetto,Teshigahara, Shiraga, Garelli, Onishi, Wessel, Insho, Tàpies, Spazzapan, Ossorio, Mathieu, Yoshihara, Budd, Mukay, Damian, Capogrossi, Morlotti, Fontana, Serpan, le due più grandi sono dedicate a Piacenza e Tapié: wunderkammer dell’Informel, summa della collezione e degli amici. Nel 1963 Sofu “aderendo all’invito dell’International Center of Aesthetic Research darà una dimostrazione di Grande Ikebana e di Calligrafie nel Giardino della Villa Piacenza gentilmente concesso per l’occasione”27. Guasco: “Nei miei quaderni in data 9 giugno 1963: “ieri pomeriggio e sera da Piacenza. Mostre di sculture e Ikebana gigante di Sofu Teshigahara. L’Ike­bana si concluse quasi in uno scherzo, quando Sofu vi innalzò in cima un ombrellone da giardino a spicchi bianchi e verdi. Poi dipinse con un enorme pennello una lunghissima tela distesa sul prato. Cadeva una piog­gia sottile....”28.

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Il 1963 è la data che Piacenza attribuisce ad una svolta tecnica nelle sue opere (1963 Plastic-paint e rilievi “plastici”). Riunisce sotto due definizioni una varietà di sperimentazioni tecniche: i rilievi plastici sono varianti di calchi ottenuti con molti materiali, oggetti, gioielli, monete, fossili... Come Plastic-paint riunisce le varianti di esperimenti che proseguono le Vinil-pitture”. Le tecniche spesso sono compresenti, i calchi sono liberamente inseriti nelle pitture plastiche in complessi spazi cromaticomaterici. “Garelli e Piacenza lavoravano sovente insieme, scambiandosi le scoperte tecniche che, in certi periodi, furono quasi quotidiane. Invenzioni formali e sperimentazioni di nuovi prodotti furono contemporanei.29”. Diretto risultato sono quelli che Garelli definirà, anche con un’apposita etichetta a stampa, come PLAMEC: quadri dove superfici in plastica monocroma si espandono in elementi tridimensionali.

Nell’estate del “1964 si reca con Wessel, Garelli e Assetto a Lima, in Perù, dove vive Mario, uno dei suoi fratelli. Con i tre amici, riuniti nel Gruppo Wegas, espone (cosa che non si sentiva ancora di fare in Italia) alla galleria “Antiquariato” per la rassegna Arte Actual”30. E’ una spedizione assai complessa: il fratello Mario, che nella Tecnoquímica già produceva materiali per artisti (pitture ad olio, a tempera ed acrilici), avendo conosciuto nei viaggi in Italia gli artisti amici di Giorgio, intuiva l’interesse per materiali nuovi, consoni al rinnovamento dell’agire artistico, utili a dipingere con volumi e forti spessori, con solidità e sicurezza potendo anche supportare ed inglobare ogni tipo di colore e pigmento. Aveva già sperimentato nuovi materiali che definiva “pappe”.”31 Mario Piacenza, che promuoveva una serie di mostre dedicate ad artisti europei e sudamericani, invita Garelli, Assetto e Wessel ad esporre a Lima e realizzare parte delle opere nel suo laboratorio con i nuovi materiali 32. Wessel, Garelli ed Assetto per l’occasione formano il “Gruppo WEGAS” dall’acronimo dei loro nomi, la mostra prevista per tre artisti (“Antiquariato è una galleria piuttosto grande nelle cui sale risulta facile presentare tre pittori nello stesso tempo...”33) era programmata per il mese d’agosto. Giorgio Piacenza ed Adriana partecipano gioiosamente alla spedizione per incontrare i parenti nonostante la convalescenza da un grave periodo di malattia: “trovo un album sul quale sono scritte due date: 10 febbraio - 24 marzo 1964. Sulle pagine di questo album sono incollati 124 piccoli lavori, eseguiti per la massima parte con poliestere su cartoncino. Egli li chiamava “rilievi plastici”. Adriana mi dice che in quel periodo era ammalato e non in grado di rag­giungere lo studio. Si limitava quindi ad eseguire lavori di piccolo for­mato, senza uscire di casa”34. In Perù il clima è entusiastico, forse è il fratello Mario o l’autorevolezza di Wessel a convincere Giorgio ad esporre con i WEGAS come “Giorgio Da Superga”, pseudonimo dal luogo dove vive e crea ed omaggio a Giulio Da Milano. Le opere realizzate in Perù con le “pappe” saranno firmate DA SU.


I WEGAS sono presentati in catalogo da testi di Tapié, collettivamente firmano la presentazione di Giorgio da Superga35. Garelli espone “plamec”, bronzi e assemblaggi in ferro come a Torino non aveva osato: parti metalliche di dichiarata provenienza meccanica liberamente assemblati. Assetto presenta rilievi “barocchi” probabilmente realizzati a Lima. Wessel (in catalogo: “Todas las Pínturas han sido ejecutadas con materiales plásticos”) si distacca dal suo rigoroso informale: emergono figure, maschere, segni grafici antichi che saranno presenti e significativi nella successiva attività. DA SU (aveva portato dall’Europa piccole vinilpitture), espone otto “Experimento matérico”, quattro “Investigación plástica” quattro “Metafísica del signo” ed un Mondo raro. Nelle fotografie della mostra i pezzi realizzati in Perù sono di forte rilievo e materici: visioni zenitali di deserti e di antichi ruderi. Dal diario di Adriana: 29/7 Partenza 30/7 Sto scrivendo mentre scendiamo verso Lima EVVIVA WEGAS 3/8 Lavorato tutto il giorno in Tecnochimica per i quadri e i bozzetti. Giorgio ha fatto l’orario unico per Wessel. Proposto a Garelli una scultura per l’aeroporto di Lima. Speriamo bene sab 8 agosto ‘64 ho scoperto il deserto!!! Serata con Enrico Colmenares + Assetto + Wessel per città sepolta poi senza Wessel a sentire il silenzio del deserto. 13/8 Trasporto quadri all’Antiquariato 14/8 Riordinato l’Antiquariato e terminata la mostra. Alle 7 i giornalisti. Si sta delineando un successo anche se di poche persone. Giorgio è felice. 17/8…serata: inaugurazione ufficiale Splendido: gente elegante... Successo completo “Il viaggio in Perù e Brasile lo colpì profondamente e segnò una svolta nella sua arte. Direi però che ne ricevette una rivela­zione spirituale, più che dei suggerimenti formali, che pure sono riscon­trabili nei suoi lavori di un certo periodo. Se confrontiamo i quadri eseguiti a Lima con i piccoli formati dipinti a Torino pochi mesi prima, notiamo che l’ingorgo informale si è improvvi­samente decantato. Le pietre incorporate nei quadri sembrano scandire uno spazio ed un tempo senza confini. Le fenditure ricordano quelle del deserto. Giorgio portò a Torino il ricordo dell’arcana geometria di Puruchuco, delle forme emblematiche e dei simboli indecifrabili del Museo di Paracas, dell’emozione provata un giorno sulla spiaggia brasiliana di Guaruja - era solo ed il tempo sembrava sospeso - quando un cavallo bianco gli si avvi­cinò a lambirgli la mano”36. L’impatto con un mondo ancora molto lontano, antico, in rapida modernizzazione, ricco di me-

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Opere di Garelli e di Dassu esposte a Lima. 1964


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Garelli al lavoro a Lima. Mario Piacenza, Franco Assetto, Adriana Bechis Piacenza, Patricio de Almenara nel deserto peruviano.

morie del passato, di cultura e di immagini per Piacenza e Wessel segnerà i successivi iter pittorici con emozione e ricordo incancellabile. La visione di un’arte “barocca” nella sua arcanità, ricca di simboli, di oro e di colori, la visione del deserto e delle città fantasma è emozionante per tutto il gruppo. Piacenza riporta anche una piccola collezione di importanti pezzi archeologici. Guasco: “Dopo il soggiorno in Perù per più di un anno continuò a lavorare ai rilievi plastici, impiegando tecniche e materiali sempre diversi, inserendo nelle composizioni calchi di monete, di piccole mani, di bassorilievi asiatici, di collane... Nell’aprile del 1966 eseguì i primi décollages o stacchi vinilici. La data dei primi esperimenti è indicata con esattezza nel diario. Il 17 aprile aveva scritto: “Visito la mostra di Bissier alla Bussola e riporto una enorme impres­sione di poesia e raffinatezza” , e il giorno successivo: “18 aprile, domenica — I décollages eseguiti oggi in numero di 5 hanno avuto l’approvazione di Garelli e di Guasco. Garelli ha voluto eseguirne uno ed ha rilevato le numerose novità e possibilità di questo nuovo mezzo”, e una settimana dopo: “24 aprile - Ho perfezionato la tecnica dei décollages...” La tecnica del décollage, descritta in modo elementare, consiste nello sten­dere su di una superficie liscia (vetro o polietilene) in primo luogo i colori che con la tecnica tradizionale si porrebbero sulla tela per ultimi. E dietro questi primi i secondi, e così di seguito. Qualche volta Piacenza usava, oltre ai colori, ritagli di opere precedenti, o piccoli calchi, che venivano incorporati nel quadro. Sull’opera così composta a “rovescio” stendeva uno strato di vinavil e quindi applicava una tela. Parecchie ore dopo, quando colori e vinavil erano perfettamente essiccati, eseguiva “lo strappo”. I colori si staccavano dalla lastra di polietilene e rimanevano fissati alla tela. Lo stacco del quadro era sempre una rivela­zione, anche se l’artista aveva previsto e calcolato ogni effetto. Un po’ come la sorpresa che attende sempre il ceramista quando apre il forno o l’acquafortista quando solleva la prima prova di una lastra. Questo metodo di lavoro che inverte il procedimento consueto richiede una grande forza di immaginazione. Giorgio non l’abbandonerà più nei tre anni in cui potrà ancora lavorare. ...Nella quasi quotidiana consuetudine di questi ultimi due anni con le sue opere mi ha impressionato la fertilità inventiva. Sono rare le ripetizioni ed ancor più rari (e sempre molto tenui) i riferimenti all’opera di altri pittori. Si direbbe che il procedimento che aveva scoperto, e che ogni giorno perfezionava, ne stimolasse la fantasia. E certo che gli consentì di raggiun­gere risultati formali di estrema precisione ed uno splendore cromatico sconosciuto alle tecniche consuete”37. Questi décollage o strappi saranno definiti come Serie Acrilica (“1966 Serie acrilica 1302”), a sottolineare la continua ricerca Dassu li daterà raramente, gli darà un numero progressivo unito con le ultime due cifre dell’anno.


Piacenza esporrà nuovamente nel 1967. Tra l’Operazione Perù del ’64 e le due mostre del ’67, sono successe cose importanti. Torino, che aveva vissuto il momento internazionale di Italia ’61 e si era segnalata in Europa nel 1963 con la Mostra del Barocco Piemontese inaugurando un ciclo di studi e di attenzione per un passato artistico che la cultura del Novecento in parte aveva dimenticato, nel 1965 propone a Torino Esposizione la mostra Gli ori del Perù: il mondo straordinario che i WEGAS avevano conosciuto l’anno precedente. La Pop-art, già arrivata a Venezia alla Biennale, comincia ad essere conosciuta nella galleria Sperone. Tra ‘67 e ‘68 la Galleria d’Arte Moderna, con gli “Amici dell’Arte Contemporanea”, inizia con Le Muse Inquietanti le mostre di Carluccio che rileggeranno l’Arte tra Ottocento e Novecento. Piacenza si interroga sulla sua attività artistica, affrontare una personale è argomento di molte lettere con Wessel: “Stadler et Tapié ont vu mes travaux separatement et ils ont jugé tres interéssants”.“La maladie et sourtout le travail m’ont empeché de devouer beaucoup de temps à la “recherche de la matière” mais des experiences nouvelles ont eté fait quand meme” . Wessel : “ J’ai montré à elle (la critica Hersa Wischer) la petit toile que tu m’as fait cadeau...Elle s’est notée le nom DASSU et s’elle visitera prochain fois en Italie... elle visitera DASSU pour voir son oeuvre”38. Inizia a firmare i lavori “Dassu”. Di Dassu si parla in terza persona: “Dans ces jours nous avons terminé, Adriana et moi, d’encadrer les toiles que tu avais choisi lors de ta visite à Turin et un tas d’autres que j’ai fait depuis de ton depart. Nous avons aussi mis l’atelier dans un ordre complet et nous y avons fait une exposition complete des oeuvres de Dassu. ...l’ami Garelli à exprimé un jugement trés favorable. Il pense que le moment soit arrivé de fair une exposition plus engagée....je n’ai pas aucun envie de reàlizer cette exposition ici en Italie” 39 Wessel: “Je suis heureux que vous avez terminè la question de la prèsentation des petit et grandes toile Dassu.... Et Garelli a raison: Maintenant tu dois parteciper aux exposition a Torino avec tes chef d’oevres... Et il faut commencer en Italie, il faut se presenter la bas.40” “J’ai aussi adjoint une autre photographie...qui reproduit un de mes actuelle “décollages” que M.TAPIÉ a choisi pour l’envoier en Japon où il pense que je pourrai faire une exposition dans les prochains mois du 1967”.41 Le mostre si faranno nel 1977. Una collettiva il 17 febbraio al Circolo degli Artisti di Biella: Specchi di Assetto, Plasticpaints di DASSU, Sculture di Garelli. Mostra coraggiosa: Assetto ripropone gli “specchi”, che aveva esposto l’anno precedente a Torino alla Galleria Fogliato. Così li aveva descritti Guasco: “Quello che Assetto ammira negli artisti-artigiani dell’Art nouveau è la passione per il lavoro, la diligenza, lo scrupolo, che può raggiungere la mania e dare vita a frutti abnormi... Nelle loro cornici Assetto ha riunito tutte le sue esperienze

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Wilhelm Wessel a Lima con il quadro “Fantasma Azul”. Franco Garelli al lavoro a Lima alla TecnoquÍmica con Mario Piacenza.


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Dassu con Franco Garelli, Franco Assetto e Ada Minola negli specchi di Assetto. Biella 1967.


tecniche e le sue invenzioni fantastiche di pittore sur­realista prima, astratto-barocco poi. I cristalli sono di colori differenti, in modo che chi vi si specchia si vede ogni volta diverso e prova l’illusione che sia improvvisamente mutata la luce dell’ambiente...” 42. Garelli espone bronzi, ferri, ceramiche e disegni: le “Macchine” che aveva proposto per la Quadriennale di Roma ed i “Tubi” che aveva l’anno precedente esposto a Venezia alla Biennale. Quarantasette le opere di Dassu: lavori di piccolo e medio formato con titoli ermetici ed evocativi. Carluccio: “... le sue curiosità muovono ancora da sensazioni intensamente accolte, rapprese e compresse su un nucleo di esperienze di natura: un muro, una quinta, un’ora del giorno, una piega dello spirito, forse anche un mito, o una memoria; il momento della loro realizzazione concreta trova l’artista impegnato con tutte le risorse conosciute della tecnica e con altre che inventa. L’uso della sabbia, del poliestere, dello smalto commisti con i medium convenzionali realizzano una straordinaria varietà di fondo. ...L’inserimento di frammenti naturali o di manufatti accentua e dilata sia il campo che la qualità della percezione visiva, e quindi sposta i termini mediati della conoscenza. Sono opere che un contesto variabile di mezzi e di effetti, tiene sospesi tra la pittura e il rilievo colorato; tra l’effusione atmosferica in espansione e la rigorosa definizione strutturale. Esse trovano la loro nota più persuasiva in una serie di note, suggerite dalla tinta e dalla materia, che sono preziose anche quando passano dalla raffinatezza di certe velature violacee e dagli squilli dell’oro, del verde degli smeraldi, dell’azzurro dei lapislazzuli e del rosso delle granate all’ indistinto delle muffe, dei licheni di un muro calcinato e lebbroso, o di una infiorescenza organica. E’ una forte sensazione, che acquisi­sce sovente l’oggettività sensuale di un sigillo e suscita, allora, gli echi sconvolgenti e penetranti di una specie di tattilismo visuale, come un contrappunto, o un controcanto, alla lievità filigranata delle immagini”43. Il mese successivo, a Genova, alla Galleria Liguria in Palazzo Cattaneo Malone, Dassu inaugura il 20, con i pezzi di Biella, la sua prima personale. In catalogo il testo di Carluccio, una nota di Tapié elegantemente calligrafica, una di Garelli (“...Conosco il quotidiano lavoro di Dassu di questi ultimi anni e so il lavoro di prima. Il suo “impegno” ininterrotto ha accumulato centinaia di opere ...da questo lavoro quasi abbagliante, nell’esperienza di ogni giorno arricchita nel cammino delle tecniche nuovissime, una nuova pista si apre nel cammino dell’arte.”), una di Assetto (“E Dassu ha superato anche il suo desiderio di solitudine, di non lasciar vedere i suoi lavori che agli amici e con riluttanza. ...Non m’era mai apparso giusto il suo egoismo o meglio egocentrismo di non comunicare agli altri uomini cosa aveva potuto e saputo realizzare durante tanti anni con le materie plastiche. Ci sono decine di realizzazioni ottenute con materie plastiche differenti e con effetti diversi. ...se è possibile

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Giulio Da Milano con Dassu, Biella 1967


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Dassu, Adriana, Ada Minola, Garelli, Assetto, al pianoforte TapiĂŠ. I dischetti di carta con cui gioca la Minola sono i biglietti di auguri del gruppo GutaĂ?. (polaroid) Superga, Capodanno 1968/1969


vedere oggi il valore artistico di Dassu, non è possibile conoscere la gamma di realizzazioni ottenute con il variare delle sue invenzioni con la plastica...”) 44. Tra 1967 ed 1969 Dassu lavora moltissimo. Prosegue la serie acrilica: décollage progressivamente numerati, nelle fotografie li vediamo nello studio ordinatamente appesi ed archiviati. Inserisce nelle opere segni, lettere, scritte, simboli, scrivendo a Wessel queste le definisce opere Pop. In tre anni produce forse più mille opere. Dubbioso se continuare l’attività espositiva, continua a “sperimentare” e, ormai sicuro delle sue capacità, mette mano al suo archivio, sceglie, ritaglia, ricompone opere definitive sapientemente articolate. Riprende in mano pennelli e matite: è pittore e sopra i calchi ed i décollage stende, sovrappone, incrocia pennellate di colore, segni arcani, simboli, grafismi minuti, graffiti labirintici. Nel ‘67 Michel Tapié aveva voluto opere di Dassu per l’esposizione permanente del “Centro”, aveva anche pensato una sua mostra personale all’ICAR. Nel ‘69 inserisce Dassu tra i 55 pittori di 15 nazioni nella mostra Espace abstrait – de l’intuition à la formation, che inaugura il 2 aprile a Milano: il più importante evento da lui realizzato. In catalogo la riproduzione di una opera doppia: due décollage della serie acrilica sono affiancati sulla stessa tavola sono uniti con un intervento a tecnica mista. Un’idea di Wessel: in un’opera maggiore montare due lavori lontani tra loro: (“29/6/1967 - Nel pomeriggio Wessel sceglie lavori di contrasto per fare tele di maggior formato e mi apre una nuova strada alle creazioni materiche”) 45. Il 23 settembre 1969, dopo un doloroso periodo di malattia, muore nella villa di Superga, dieci giorni prima aveva realizzato la sua ultima opera. “Era quindi consapevole di potere affidare alla pittura il meglio di sé. ... Nessuno di noi poteva conoscere quali fossero i suoi pensieri durante le lunghe ore di solitudine, di insonnia, quando la malat­tia innalzava attorno a lui una barriera che lo isolava da tutti”46.

Nel 1974 e nel 1975 la “Galerie im Hailing” di Göppingen dedica due personali al pittore Dassu. Nel 1975 una personale è dedicata a Dassu alla galleria “Nick Edel” di Torino, l’anno successivo una personale alla “Galleria Beniamino” di Sanremo. Nel 1986 la famiglia dedica una mostra a Dassu nella sua villa di Strada Superga. Nel 1990 personale di Dassu a Piemonte Artistico Culturale in Torino.

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“Fu una visita - e una visione - sinceramente sconcertante. Non riuscivo a capacitarmi che una mappa così folta, gremita, grondante, fosse - non sol­tanto per me, come venni subito a sapere - inedita. Poi, in poche parole sue, e dal racconto (e dai silenzi) di Adriana, mi fu davanti agli occhi, guardando intanto nel cerchio magico dell’opera, il suo destino; e parallelizzando la sua vita e la pittura, non tanto per un’onda d’emozione mia, quanto per tutta una sfida onesta al destino che andavo leggendo via via in ogni sua opera, doppiamente vedevo prendere mag­gior significato, maggior valore, quella pittura rimasta quasi clandestina.” Giancarlo Vigorelli47

“I suoi quadri trasmettono delle profonde vibrazioni emotive, di una intensità e purezza che raramente ho trovato negli artisti contemporanei. Quando tutta la sua opera sarà conosciuta, l’arte del nostro tempo si troverà arricchita di un apporto inaspettato.” Renzo Guasco48

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Dassu: posfazione Il confluire dell’attività di sperimentazione di Picenza/Dassu, e del suo agire come illuminato collezionista e mecenate, nel percorso del progetto/esperimento di Tapié, è fondamentale strumento di conoscenza e riflessione. Questo progetto aveva visto il suo centro spostarsi in Europa e fare base a Torino, città centrale tra Giappone e Stati Uniti, estremi suoi ambiti di azione geografici e culturali. Dassu è partecipe al grande esperimento dell’Informel, esperimento anche umanistico mirato a traghettare l’arte del Novecento europeo verso un’arte “autre” di respiro sovranazionale. Idea che si trasforma: il teorema di Tapié non si risolve in se stesso ovvero nell’Informel, si evolve nella proliferazione di numerose tendenze autonome e loro evoluzione ed adattamento, tanto da imporre il tentativo di riorganizzarle con la logica matematica e lo strutturalismo tramite Luigi Moretti. Nasceranno e si svilupperanno spontaneamente la Métaphysique de la Matière, les Structures de Répétition, les Espaces Intuitifs, l’ Hipergraphie, le Baroque Ensemblist e molto altro. Il lavoro di Piacenza costituisce, per l’ampiezza e linearità delle sue ricerche, per dubbi e pentimenti, una dissezione di una cellula della vasta sperimentazione intorno all’Informel. La ricerca (che come per molti inizia dall’abbandono di un pittura realistica e soggettiva) si struttura mediante la sua collezione, la frequentazione delle mostre e degli amici artisti. Si sviluppa tramite la sperimentazione tecnica ed estetica, tende ad assurgere a ricerca scientifica, come scientifica voleva essere l’analisi e promozione dell’arte del Tapié. La Collezione è Museo privato, momento di conoscenza, incontro, scelta di campo e sarà indicazione par la estenuante analisi e ricerca che lo porterà ad essere Dassu. La Bacheca di Garelli ne è il “manifesto” che è occasione per Tapié di dichiarare: “Si l’acte d’art est essentiellement une totemisation de mythes, le fait de la bacheca Garelli Piacenza y ajoute un autre mythe qui le trascende à une autre puissance: ce mythe est celui de l’amitié. 49” Amicizia per fare arte come concordanza di azioni, trasferimento di tecniche, promozione di pensieri e ibridazione di idee. Atteggiamento che sottende al suo operato come “ricercatore” ovvero al modo in cui si pone nelle sua attività: ricerca come invenzione, espressione ed arricchimento intellettuale personale, come sperimentazione permanentemente condivisa, discussa e sempre sottoposta a critica. L’agire di Piacenza, contradditorio nella sua intima oscillazione tra hobbismo e professionalità, tra privato e pubblico, è superato nell’agire di Dassu, coerente nella estrema ricerca di pura qualità formale ed estetica. La lettura dell’Arte di quest’ Uomo è la grande narrazione di un agire libero.

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Note 1  G.Vigorelli Il “caso Piacenza” in R.Guasco Giorgio Piacenza Dassu, Torino 1975

16  M.Bandini 1997 cit.

2  Michel Tapié: Introduction à La Connaissance Esthétique, Prolégomènes à une pratique de la connaissance logico­passionnelle des structures esthétiques à une puissance qui est aussi celle de la perception artistique des ensembles abstraits. International Center of Aesthetic Research, Torino 1967.

18  M.Bandini 1997 cit.

3  “I testi che seguono non avrebbero potuto vedere la luce senza l’esistenza di fatto di determinate creazioni di strutture di spazio astratto di artisti che voglio nominare prima di tutto in una lista ordinata empiricamente; le opere in questione sono i veri assiomi che danno origine a questa introduzione ad una estetica “altra”, post-dada.” 4  “Dassu esiste ed esisterà come artista, egli è presente nella collezione del “Centre d’Esthétique”, ho portato alcune sue opere in giro per il mondo, esposte in U.S.A. ed in Giappone insieme ai Gutaï, le riproduco nei miei libri; io continuerò a presentarlo sia nei gruppi d’“hypergraphies” come negli ensembles d’“espa­ ces abstraits”...Ho anche conosciuto monsieur Piacenza, di cui mi onoro di aver avuto l’amicizia. Collezionista delle opere audaci di un “presente” che era il suo, egli ha saputo integrare queste opere d’arte in un quadro d’arte di vivere in cui l’amicizia confidenziale trovava la possibilità di svilupparsi profondamente...” in M.Tapiè En Haute amitié in R.Guasco 1975 cit. 5  Renzo Guasco (1910-2004) poeta, critico artistico e letterario. Anch’egli svolse attività professionale (fu dirigente alla S.A.I.) lontana dai suoi interessi culturali. Ha collaborato come critico letterario ed artistico al “Popolo d’Italia”, a “Radiocorriere TV” e a “Europa Letteraria”. La Casa editrice “Dantesca” ha pubblicato vari volumi della sua produzione poetica e critica. 6  Vedi: www.tekno.com.pe 7  Conte Renè Zavagli Ricciardelli Delle Carminate (1909-2004) in arte: Renè Gruau, alias San Secondo, alias Borys 8  Circolo degli Artisti di Biella Mostra Specchi di Assetto Plasticpaints di Dassu Sculture di Garelli catalogo 1967

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9  R.Guasco Ricordi di un’amicizia in R.Guasco 1975 cit. 10  Galleria Liguria Mostra DASSU catalogo Genova 1967 (il testo è la traduzione di quello della mostra di Lima in Perù sostituendo “Dassu” a “Giorgio da Superga”) 11  L.Carluccio in: Circolo Degli Artisti di Biella Mostra Specchi di Assetto... Biella 1967 e Genova 1967 cit. 12  Per Da Milano vedi: Da Milano a cura di M. Rosci e G.Zanasi, Torino 1998, Catalogo mostra Galleria Sant’Agostino. 13  R.Guasco 1975 cit. 14  Vedi nota 10 15  M.Bandini Michel Tapié da Parigi a Torino in M.Bandini, a cura di, Tapié un art autre, Torino 1997

17  Vittorio Viale: Il Museo Civico di Torino 1959-1960, Torino 1960

19  V.Viale in Struttura e Stile, catalogo della mostra, Torino 1962 20  R.Guasco 1975 cit. 21  Per Franco Garelli vedasi: Enrico Crispolti, Sculture di Garelli, Torino,1966. Enrico Crispolti (a cura di), Catalogo della mostra al Circolo degli Artisti Franco Garelli, Milano 1989. L. Trucchi e P.G. Dragone, FRANCO GARELLI, Moderno Ulisse della scultura catalogo della mostra, Galleria Martano, Torino in collaborazione con la Galleria Martini e Ronchetti, Genova 1995. 22  R.Guasco 1975 cit. 23  Per Wilhelm Wessel e Irmgart Wessel-Zumloh vedi: www.villa-wessel.de 24  R.Guasco 1975 cit. I diari sono riportati interamente, per le parti riguardanti l’attività artistica di Piacenza, nel dattiloscritto inedito di Guasco, forse precedente al testo edito del 1975. I diari non sono stati attualmente ritrovati, consistevano come possiamo dedurre da alcune riproduzioni, in taccuini in carta da disegno, regalatigli da Wessel, identici a quelli che vediamo in mano a Wessel in molte fotografie. 25  “Caro Giorgio oggi è domenica! Questo vuol dire, tu lavori nell’atelier e Adriana e Maria ti aspettano per il pranzo – ma tu non vieni, sei troppo occupato dal tuo lavoro. ...” (Wessel lettera a Piacenza, 9 maggio 65) “Caro Wilhelm... come sempre la tua fantasia di pittore mi ha immaginato giustamente dove mi trovo tutte le domeniche, ovvero nell’atelier, concentrato sul mio lavoro.” (Piacenza lettera a Wessel del 12 maggio 1965) “in questo momento, l’una del pomeriggio, Maria e Adriana ti aspettano in casa per mangiare, mentre tu – oggi festa di Dio – ti impegni con la creazione, con il mistero, con la metafisica della materia, pappa!” (Wessel lettera a Piacenza, 17 giugno 1965. Il termine “pappa” si riferisce scherzosamente ai materiali messi a punto dal fratello di Piacenza. Il carteggio tra Wessel e Piacenza è ampiamente conservato, le lettere di Wessel dal 1962 al 1969 in originale, quelle di Piacenza in copia fotostatica dal 1965 al 1969. 26  R.Guasco 1975 cit. 27  ICAR invito sabato 8 giugno 1963 28  R.Guasco 1975 cit. 29  Idem 30  Idem 31  “A proposito delle pappe, dopo tutta una serie di nuovi esperimenti ... non dà il fenomeno dell’ “arrondissement”. Ossia rispetta perfettamente il segno che si voglia dare. Naturalmente si ottiene un effetto strutturato solamente in bianco ed il colore viene applicato successivamente, con olio, gel, smalti, ecc.. L’aspetto finale è ben diverso dal gesso dipinto, perchè oltre alla possibilità di


una struttura più plastica e più ricca, la pappa riceve il colore in forma molto diversa dal gesso o dal cemento, come se fosse la massa stessa con il colore. Questa fase nello sviluppo della PAPPA l’ho potuta confermare, oltre che con le mie prove dirette, con grossi lavori in corso di esecuzione..... un gran murale per l’abside di una chiesa, applicato direttamente su cemento, che sta eseguendo Fernando de Zsyslo, considerato il miglior pittore astratto del Perù ... è molto entusiasta delle pappe e del gel ed ha in progetto una serie di quadri con tale sistema. Un altro pittore ha già preso la mano alla pappa e sta preparando una esposizione. Peccato che il Sig. Tàpies non conosca le pappe, perché avrebbe il mezzo per cui i suoi quadri non cadano a pezzi nei principali musei degli Stati Uniti. ... Anche il metodo della resina perduta é stato migliorato, peccato che non ci sia qui Garelli, perché gli potrei dare dei mezzi nuovi molto divertenti. Per esempio saldare due pezzi di metallo senza saldatura elettrica né autogena Lettera di Mario Piacenza a Giorgio Piacenza, 5 marzo 1964. 32  “Lui il a fait une grande activité sur le plan d’art. Sourtout c’etait lui, qui avait organisé notre exposition. Nous avions travaillé dans son studio, avec son material de coulers etc. Nous lui remercions tant che je lui ai prié d’accepter cette peinture “Fantasma azÚl ” comme souvenir de notre travail chez lui pour tous qu’il a fait pour nous” (Wessel lettera a Piacenza, 3 giugno 1965). (Egli ha fatto un grande lavoro nel campo dell’arte. Soprattutto è stato lui che ha organizzato la nostra esposizione. Abbiamo lavorato nel suo studio con i suoi materiali e colori. Gli siamo grati al punto che l’ho pregato di accettare il quadro “Fantasma azul” come ricordo del nostro lavoro presso di lui per tutto quello che ha fatto per noi).

40  “Sono felice che avete completato la questione della presentazione delle tele piccole e grandi di Dassu... E Garelli ha ragione: adesso devi partecipare alle mostre a Torino con i tuoi capolavori... Bisogna cominciare in Italia, bisogna presentarsi lì.” Lettera di Wessel a Piacenza, 2 settembre 1965 41  “Ho anche aggiunto un’altra fotografia che riproduce uno dei miei attuali “décollage” che il Signor Tapié ha scelto per mandarlo in Giappone dove pensa che potrei fare una mostra nei prossimi mesi del 1967”. Lettera di Piacenza a Wessel, 7 ottobre 1966 42  R.Guasco 1966 cit. 43  L.Carluccio in Galleria Liguria Mostra DASSU, catalogo, Genova 1967 44  Garelli ed Assetto nel medesimo catalogo. 45  Diario di G.Piacenza vedi nota 26 46  R.Guasco 1966 cit. 47  G.Vigorelli 1975 cit. 48  R.Guasco 1975 cit. 49  M.Tapié in La Bacheca ovverossia personaggi del Centro Internazionale di Ricerche Estetiche di Franco Garelli per Giorgio Piacenza, Torino 1963

33  Mario Piacenza lettera a Franco Assetto, 23 maggio 1964. 34  R.Guasco 1975 cit. 35  Galleria Antiquariato, Arte Actual mostra Gruppo Wegas. Wessel Assetto Garelli y Giorgio da Superga, catalogo, Lima 1964 36  R.Guasco 1975 cit. 37  Idem 38  “Stadler e Tapié hanno visto i miei lavori separatamente e li hanno giudicati molto interessanti” (Lettera di Piacenza a Wessel, 23 gennaio 1965) “La malattia e soprattutto il lavoro mi hanno impedito di dedicare molto tempo alla “ricerca della materia” ma sono comunque state fatte delle nuove ricerche” (Lettera di Piacenza a Wessel, 4 marzo 1965). Wessel: “Le ho mostrato (alla critica H.W.) la piccola tela che mi hai regalato... Si è annotata il nome DASSU e se verrà in Italia ...visiterà DASSU per vedere la sua opera” (Lettera di Wessel a Piacenza, 9 maggio 1965). 39  “In questi giorni abbiamo finito, io e Adriana, di inquadrare le tele che avevi scelto durante la tua visita a Torino ed anche molte altre che ho fatto dopo la tua partenza. Abbiamo anche messo lo studio completamente in ordine e vi abbiamo fatto un’esposizione completa della opere di Dassu...l’amico Garelli ha espresso un giudizio molto favorevole..Pensa che sia giunto il momento di fare una mostra più importante... ma non ho voglia di fare questa mostra in Italia” Lettera di Piacenza a Wessel, 23 agosto 1965

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Opere esposte


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N. 1 olio su tavola 50 x 40 (1950/1953)


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N. 2 olio su tela 50 x 36 (1950/1953)


39

N. 3 olio su tela 50 x 40 (1950/1953)


40

N. 4 olio su tela 50 x 40 (1950/1953)


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N. 5 vinil-pittura su carta 25 x 34,8 (1953/1963) N. 6 vinil-pittura su carta 25 x 34,7 (1953/1963)


42

N. 7 vinil-pittura su carta 28 x 18 (1953/1963)


43

N. 8 vinil-pittura su carta 24,4 x 18,1 (1953/1963)


44

N. 9 vinil-pittura su carta 28 x 18 (1953/1963) N. 10 vinil-pittura 17,2 x 22,8 (1953/1963)


45

N. 11 vinil-pittura su carta 24,6 x 34,5 (1953/1963) N. 12 rilievo plastico e plastic-paint su tela 24,3 x 16,5 (post 1963)


46

N. 13 Rilievo plastico e plastic paint su carta 28 x 18 (post 1963) N. 14 vinil-pittura su carta 28 x 18 (1953/1963)


47

N. 15 vinil-pittura su carta 28,2 x 18,2 (1953/1963) N. 16 vinil-pittura su carta 28,2 x 18,2 1964


48

N. 17 tecnica mista su carta 35 x 25 N. 18 vinil-pittura su carta 24,5 x 34,5


49

N. 19 34,7 x 25 vinil-pittura su carta (1953/1963) N. 20 vinil-pittura su carta 34,7 x 25 (1953/1963)


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N. 21 Pittura oggettiva Rilievo plastico e tecnica mista su tavola 60 x 51 (1965/1967)


51

N. 22 Ideogrammi rilievo plastico e tecnica mista su tavola 51 x 60 (1965/1967)


52

N. 23 Sillabato PAPPA? su tavola 23 x 50 (1965/1967)


53

N. 24 rilievo plastico su tela su legno 29,5 x 28,5 (1965?)


54

N. 25 Scritto sull’acqua rilievo plastico, dÊcollage e tecnica mista su tavola 60 x 51 (1965/1967)


55

N. 26 Ricordo insostenibile Rilievi plastici e tecnica mista su tela su tavola 88 x 64 (1965/1967)


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N. 27 rilievo plastico, oro, tecnica mista su masonite 50 x 60 (1965/1967)


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N. 28 rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 50 x 60 1966


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N. 29 Rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 50 x 60 (1965/1967)


59

N. 30 rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 55 x 70 467 (1967)


60

N. 31 rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 43 x 62 (1964 ?)


61

N. 32 Tre ori dĂŠcollage e oro su tela 44 x 50 (1966/1969)


62

N. 33 dĂŠcollage su tela 36 x 41


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N. 34 dĂŠcollage su tela su tavola 54 x 70 (1966/1969)


64

N. 35 Frammento dĂŠcollage e acrilico su tela su tavola 50 x 45 (1966/1969)


65

N. 36 dĂŠcollage, oro e acrilico su tela su tavola 40 x 45 (1966/1969)


66

N. 37 dĂŠcollage, oro e tecnica mista su tavola 51 x 72 (1966/1969)


67

N. 38 Grafito sul rosso dĂŠcollage e acrilico su tela su tavola 47 x 50 (1966/1969)


68

N. 39 dĂŠcollage e acrilico su tela su tavola 33 x 27.5 (1966/1969)


69

N. 40 dĂŠcollage su carta di giornale 65 x 65 (1968/1969)


70

N. 41 Lo scudo di Ulisse (?) rilievi plastici e tecnica mista su tavola 60 x 73 (1967/1969)


71

N. 42 La corazza del Samurai (?) tecnica mista su tavola 100 x 60


72

N. 43 dĂŠcollage e acrilico su tela 53 x 49 (1966/1969)


73

N. 44 dĂŠcollage e acrilico su tela su tavola 48 x 48 (1966/1969)


74

N. 45 dĂŠcollage 27 x 38 5468 (1968)


75

N. 46 calco e tecnica mista su tela 27 x 53 2668 (1968)


76

N. 47 dĂŠcollage su tela 46 x 66 8369 (1969)


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N. 48 dĂŠcollage su tela 54 x 43 (1966/1969)


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N. 49 acrilico su tela 54 x 33


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N. 50 rilievo plastico e plastic-paint su tela 38 x 46 (1965?)


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N. 51 (copertina) dĂŠcollage e tecnica mista su tela 64 x 28 27968 (1968)


81

N. 52 dĂŠcollage su tela 52 x 70 27668 (1968)


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N. 53 dĂŠcollage e tecnica mista su tela su tavola 60 x 42 (1968/1969)


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N. 54 rilievi plastici e decollage, tecnica mista su tela su masonite 100 x 125 (1966/1969)


Le Opere di Piacenza Dassu sono datate solo in piccola parte. Le date presenti sulle opere sono riportate senza parentesi. Le datazioni tra parentesi sono ipotetizzate secondo le tecniche e le testimonianze. Molte opere degli ultimi anni sono numerate con un numero progressivo che termina con le due ultime cifre dell’anno, tali numeri sono riportati con accanto l’anno completo tra parentesi. Le descrizioni delle tecniche si basano su quanto desumibile dall’opera, dalla documentazione, dalle testimonianze e dai periodi. Le tecniche di Piacenza Dassu sono molto varie ed ibride e pertanto non facilmente inquadrabili.

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Dassu accanto ad un dĂŠcollage. Superga 1968. Particolare dello studio del pittore. Superga 1965.


Opere esposte N. 1 olio su tavola 50 x 40 (1950/1953)

N. 8 vinil-pittura su carta 24,4x 18,1 (1953/1963)

N. 15 vinil-pittura su carta 28,2 x 18,2 (1953/1963)

N. 2 olio su tela 50 x 36 (1950/1953)

N. 9 vinil-pittura su carta 28 x 18 (1953/1963)

N. 16 vinil-pittura su carta 28,2 x 18,2 1964

N. 3 olio su tela 50 x 40 (1950/1953)

N. 10 vinil-pittura 17,2 x 22,8 (1953/1963)

N. 17 tecnica mista su carta 35 x 25

N. 4 olio su tela 50 x 40 (1950/1953) N. 5 vinil-pittura su carta 25 x 34,8 (1953/1963)

N. 11 vinil-pittura su carta 24,6 x 34,5 (1953/1963) N. 12 rilievo plastico e plastic-paint su tela 24,3 x 16,5 (post 1963)

N. 6 vinil-pittura su carta 25 x 34,7 (1953/1963)

N. 13 Rilievo plastico e plastic paint su carta 28 x 18 (post 1963)

N. 7 vinil-pittura su carta 28 x 18 (1953/1963)

N. 14 vinil-pittura su carta 28 x 18 (1953/1963)

N. 18 vinil-pittura su carta 24,5 x 34,5 N. 19 34,7 x 25 vinil-pittura su carta (1953/1963) N. 20 vinil-pittura su carta 34,7 x 25 (1953/1963) N. 21 Pittura oggettiva Rilievo plastico e tecnica mista su tavola 60 x 51 (1965/1967) Esposto: Biella 1967, Genova 1967

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N. 22 Ideogrammi rilievo plastico e tecnica mista su tavola 51 x 60 (1965/1967) Esposto: Biella 1967, Genova 1967 N. 23 Sillabato PAPPA? su tavola 23 x 50 (1965/1967) Esposto: Biella 1967, Genova 1967 N. 24 rilievo plastico su tela su legno 29.5 x 28.5 (1965?)

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N. 25 Scritto sull’acqua rilievo plastico, décollage e tecnica mista su tavola 60 x 51 (1965/1967) firma: dassu (sulla cornice) Esposto: Biella 1967, Genova 1967 N. 26 Ricordo insostenibile Rilievi plastici e tecnica mista su tela su tavola 88 x 64 (1965/1967) Esposto: Biella 1967, Genova 1967 Pubblicato in catalogo

N. 27 rilievo plastico, oro, tecnica mista su masonite 50 x 60 (1965/1967) N. 28 rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 50 x 60 1966 firma: Dassu, 66 N. 29 Rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 50 x 60 (1965/1967) N. 30 rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 55 x 70 467 (1967) firma: Dassu N. 31 rilievo plastico e tecnica mista su tela su masonite 43 x 62 (1964 ?) firma: DA SU

N. 32 Tre ori décollage e oro su tela 44 x 50 (1966/1969) Pubblicato in: Giorgio Piacenza Dassu 1989 N. 33 décollage su tela 36 x 41 N. 34 décollage su tela su tavola 54 x 70 (1966/1969) N. 35 Frammento décollage e acrilico su tela su tavola 50 x 45 (1966/1969) N. 36 décollage, oro e acrilico su tela su tavola 40 x 45 (1966/1969) Pubblicato in: Giorgio Piacenza Dassu 1989 N. 37 décollage, oro e tecnica mista su tavola 51 x 72 (1966/1969)


N. 38 Grafito sul rosso décollage e acrilico su tela su tavola 47 x 50 (1966/1969) N. 39 décollage e acrilico su tela su tavola 33 x 27,5 (1966/1969) N. 40 décollage su carta di giornale 65 x 65 (1968/1969) N. 41 Lo scudo di Ulisse (?) rilievi plastici e tecnica mista su tavola 60 x 73 (1967/1969) Al verso vi è un altro intervento a tecnica mista N. 42 La corazza del Samurai (?) tecnica mista su tavola 100 x 60 N. 43 décollage e acrilico su tela 53 x 49 (1966/1969) firma: Dassu

N. 44 décollage e acrilico su tela su tavola 48 x 48 (1966/1969) N. 45 décollage 27 x 38 5468 (1968) firma: Dassu 68 N. 46 calco e tecnica mista su tela 27 x 53 2668 (1968) firma: Dassu 68 N. 47 décollage su tela 46 x 66 8369 (1969) firma: Dassu 69 N. 48 décollage su tela 54 x 43 (1966/1969) firma: Dassu N. 49 acrilico su tela 54 x 33 firma: Dassu

N. 50 rilievo plastico e plastic-paint su tela 38 x 46 (1965?) firma: Dassu N. 51 (copertina) décollage e tecnica mista su tela 64 x 28 27968 (1968) firma: Dassu N. 52 décollage su tela 52 x 70 27668 (1968) firma: Dassu N. 53 décollage e tecnica mista su tela su tavola 60 x 42 (1968/1969) N. 54 rilievi plastici e décollage, tecnica mista su tela su masonite 100 x 125 (1966/1969)

In mostra sono esposte opere degli amici di Dassu: G.Da Milano, W.Wessel e F.Garelli. Tali opere non sono documentate nella schedatura

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Antologia critica

Mostre

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1964 “Arte Actual” Wegas y Giorgio da Superga, collettiva, Galleria Antiquariato Lima Perù. 1967 Specchi di Assetto Plasticpaints di Dassu Sculture di Garelli, collettiva, Circolo degli Artisti Biella, Biella. DASSU, personale, Galleria LIGURIA, Genova. 1969 Espaces Abstraits, Collettiva a cura di M.Tapié, Galleria d’Arte Cortina, Milano. Postume 1974-1975 Giorgio Piacenza - Dassu, personali, Galerie im Hailing, Göppingen (Stoccarda) 1975 Giorgio Piacenza (DASSU), personale, Galleria Nick Edel, Torino. 1976 Giorgio Piacenza “décollages”, personale, Galleria Beniamino, Sanremo. 1986 Mostra nella Villa di Strada Superga. 1990 Giorgio Piacenza Dassu, personale, Piemonte Artistico Culturale, Torino.

Giorgio Piacenza a Puruchuco in Perù.


Dassu La storia personale di Giorgio Piacenza, noto finora con lo pseudonimo di Dassu, che vuol semplicemente dire «da Superga», non è meno lunga e complessa della storia di molti artisti, ma, per un gran tempo, la vocazione alla pittura e l’esercizio attivo alla scuola di Giulio Da Milano, troppo trascurato protagonista degli avvenimenti artistici torinesi negli anni cruciali intorno al 1930, dovevano attuarsi entro i limiti imposti dalle esigenze di una carriera destinata alle imprese industriali; dovevano, cioè, semplicemente costituire la «cosa diversa» da ogni altra quotidiana, l’alternativa volontariamente con­tenuta e compressa, che attraverso il dialogo sempre ripreso con gli amici, l’assiduità alle mostre, le scelte dell’amatore d’artecollezionista, una serie incalzante di assestamenti, di sollecitazioni e di richiami forse anche inconsci, tanto più efficaci perché raggiungevano lo strato remoto di una palpitante disposizione di natura, doveva ineluttabilmente trasformarsi in un impegno che non ha soffocato lo slancio iniziale dell’artista. Lo ha anzi esaltato perché l’ha tolto dall’immobilismo, lo ha fatto avanzare in pari col tempo vivo, lo ha obbligato ad una valutazione scientifica delle risorse tecniche. Le opere di Giorgio Piacenza mostrano questa situazione in modi ancora sfumati perché, mi pare di capire, le sue curiosità figurali muovono ancora da sensazioni intensamente accolte, rapprese e com­presse su un nucleo di esperienze di natura: un muro, una quinta, un’ora del giorno, una piega dello spirito, forse anche un mito, o una memoria; il momento della loro realizzazione concreta trova l’artista impegnato con tutte le risorse conosciute della tecnica e con altre che inventa. L’uso della sabbia, del poliestere, dello smalto commisti con i «medium» convenzionali realizzano una straordinaria varietà di fondo: che ora è brillante, ora opaco; ora liscio, ora granuloso. L’inserimento di frammenti naturali o di manufatti accentua e dilata sia il campo che la qualità della percezione visiva, e quindi sposta i ter­mini mediati della conoscenza. Sono opere che un contesto variabile di mezzi e di effetti, tiene sospesi tra la pittura e il rilievo colorato; tra l’effusione atmosferica in espansione e la rigorosa definizione strut­turale. Esse trovano la loro nota più persuasiva in una serie di note, suggerite dalla tinta e dalla materia, che sono preziose anche quando passano dalla raffinatezza di certe velature violacee e dagli squilli dell’oro, del verde degli smeraldi, dell’azzurro dei lapislazzuli e del rosso delle granate all’indistinto delle muffe, dei licheni di un muro calcinato e lebbroso, o di una infiorescenza organica. E una forte sensazione, che acquisisce sovente l’oggettività sensuale di un sigillo e suscita, allora, gli echi sconvolgenti e penetranti di una specie di tattilismo visuale, come un contrappunto, o un controcanto, alla lievità filigranata delle immagini.

Luigi Carluccio

89 Testo pubblicato in: Catalogo, Specchi di Assetto, Plasticpaints di Dassu, sculture di Garelli (presentazione di L.Carluccio). Circolo degli Artisti, Biella 17 febbraio 1967. Catalogo, Dassu . Mostra Galleria “Liguria”, Palazzo Cattaneo Malone, Genova 20 marzo 1967.


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Dassu con l’archivio dei dÊcollage. Dassu in studio.


Giorgio Piacenza: il chiarirsi d’una vita Il nome di Giorgio Piacenza, così noto nel settore industriale delle confezioni tessili, può apparire stra­namente nuovo nel mondo dell’arte dove ha tuttavia lasciato limpida traccia dell’opera sua. Il fatto è che soltanto il giorno in cui, spintovi da alcuni amici artisti e critici d’arte, si lasciò convincere ad esporre - celandosi peraltro sotto il nome di “Dassu” (che vuol dire semplicemente da Superga)- si ebbe la possibilità di scoprire questo suo segreto impegno poetico e di definirne la personalità nell’am­bito della visione figurativa del suo e nostro tempo. Nella scelta dello pseudonimo c’era intanto certo più la volontà di nascondersi che non l’intento di fornire un’indicazione topografica capace di localiz­zare, a mezza costa del verdeggiante pendio sotto la basilica juvarriana, il suo eremo insospettabilmente operoso. Accanto alla dimora aperta spesso agli amici, ma soprattutto a quelli che, come lui, fossero amatori o cultori d’arte, Giorgio Piacenza s’era costruito, al riparo da ogni occhio men che discreto, lo studio-laboratorio che ha visto nascere una vasta e suggestiva produzione pittorica nella quale una sensibile investigazione di materie anche inedite, ha fatto quasi da stimolo ad una incessante invenzione di forme e colori. Quel senso tutto intimo col quale l’artista ha considerato interi decenni di attività creativa, dovette ve­nirgli dunque non tanto da una sorta di profondo pudore, quanto dal desiderio di evitare qualsiasi frain­tendimento da parte di chi, ignorando il significato e il fervore di quelle giornate di gioioso e sfrenato abbandono agli estri e alle intuizioni d’una ricerca di valori espressivi, avrebbe anche potuto pensare all’hobby dell’industriale pronto a farsi “pittore della domenica” com’egli amò talora dirsi per respin­gere però con una “battuta” una definizione che virtualmente non si sarebbe mai adattata all’uomo che si sentiva del tutto libero e deciso a salvare quella sua libertà d’esser in ogni momento soltanto, ma pie­namente sé stesso. A smentire l’habitus dilettantistico erano d’altra parte ogni giorno, non solo la consapevolezza del suo poetico operare, ma anche una palese vocazione destinata a guidarne le scelte sul filo d’una sempre aggiornata cultura estetica, e un fondamentale mestiere pazientemente acquisito attraverso anni di esem­plare esercizio. Gli era stato maestro, altrettanto paziente e rispettoso della sua personalità, Giulio Da Milano, figura solitaria quanto significativa dell’ambiente artistico torinese intorno al 1930, ch’ebbe il merito di offrirgli un invidiabile apparato tecnico senza mai frenare l’incalzante ed entusiasmante necessità di cimentarsi in nuove esperienze, spintovi da interessi e curiosità sempre vivi per tutto ciò che avrebbe

Angelo Dragone

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Testo pubblicato in: Omaggio a Dassu (Giorgio Piacenza), introduzione di A.Dragone, Torino s.d. (1970).

potuto farsi naturale tramite di estetiche emozioni. Si può quindi notare come soltanto alla luce di questa sua opera di artista, si sia chiarito il senso più vero della vita di Giorgio Piacenza che - essendo stato tra i primi collezionisti torinesi ad essere conquistato dalle ragioni dell’astrattismo - non tardò a sperimentare egli stesso quel poetico bisogno di dar vita (la mano d’accordo con lo spirito) ad una vasta serie di immagini capaci di aiutare l’uomo a superare quel suo stato di disperata e disperante alienazione, fattore primo d’una sempre più profonda angoscia che quasi l’attende. Ecco perché guardando i dipinti di Giorgio Piacenza sembra di sentirvi rifluire - con tutti i suoi magici e suggestivi poteri - l’antica anima dell’uomo-artefice. Le sue mani toccarono via via la sabbia e lo smalto, l’olio e il poliestere, alternando attraverso apposite mascherature strati di colori e stesure vinaviliche, mentre vi incorporavano il frammento naturale o il calco d’una sua impronta, sino ad incastonarvi l’an­tico sigillo peruviano, per farne ogni volta una materia essenzialmente viva e non più peritura, preziosa, e non soltanto per la finezza di certe velature o per gli affioramenti dell’oro in foglia, come di altri toni delicati - dal verde smeraldo al calore delle ocre, dal rosso granata ai luminosi fondi arancio o di lapislazzuli - ma anche per quelle filigranate trasparenze che certe figurazioni vi assumono. Bisogna sottolineare però che per lui la pittura non ha avuto bisogno di conquistarsi un suo spazio vitale se non dentro gli angusti limiti di tempo che l’attività industriale poteva lasciargli, in quanto nella sua più colma espressività, riconfermava l’autentica validità delle proprie forme, in una specie di sbocco naturale di cui oggi offrono già testimonianza stupenda alcune stoffe e confezioni firmate da « Dassu» e realizzate dalle Trasformazioni Tessili. Nelle loro armoniose strutture le opere di Giorgio Piacenza, impaginate con inconfondibile originalità, serbano certe aeree prospettive, ove s’accampano forme misteriose, ma d’una perentoria vitalità; dal­l’impronta profonda d’un simbolo arcano, all’efflorescenza cromatica, confermando l’intima ispirazione tellurica dell’artista nello stesso processo “materico” ch’è stato il tramite preferito cui egli ha affidato il suo lirico messaggio. Le tavole qui riunite intendono offrire non più di pochi esempi dei quali non potrà certo sfug­ gire la suggestiva bellezza. Essi coprono il breve arco dell’ultimo quinquennio della sua attività ar­tistica, passandosi dalle solide tessiture di alcuni dipinti plastici del ‘64 (non immemori forse del fa­scino di certi muri di Tàpies o di certe composizioni dell’amico Wessel) alle sottili ed emblematiche ideazioni che non ignorano neppure le cadenze neofloreali d’un grafico pittoricismo, per definire nelle più fertili stagioni delle sue ultime convalescenze - vissute insieme alla moglie in quell’esaltante risarci­mento creativo - il carattere più profondo ed autentico di questa sua esperienza d’arte, entro una sfera in cui, volgendo la realtà in una magica prospettiva del visibile, si può dire che ogni più essenziale docu­mento di un’umana spiritualità continua a vivere nella maniera più duratura.


La pittura come illuminazione interiore Nulla mi è più difficile del dover scrivere brevemente, e ancora sotto l’emozione della sua scomparsa, di un amico, cioè di una persona di cui non si può parlare in modo approssimativo. Bisognerebbe poter fare un lungo discorso, prendendo le mosse da lontano, cercando di non trascurare e dimenticare nulla; ma questo ora non è possibile. Mi limi­terò a degli appunti. Dato che queste poche righe sono destinate ad accompagnare, con gli scritti di altri amici, le riproduzioni di alcuni quadri di Giorgio, mi sembra importante affermare che egli non era un pittore dilettante. Non era cioè un uomo diviso tra il proprio lavoro di ogni giorno e l’hobby della pittura, ma era invece un uomo doppiamente ricco ed impegnato. (Ci tengo a dirlo, perché anch’io l’avevo considerato per un certo tempo un artista dilettante). Studioso veramente appassionato e competente di problemi finanziari ed economici, di ricerche di mercato e tecniche di vendita, l’esercizio della pittura non costituiva per lui uno sfogo saltuario, un modo per trascor­rere i week-end senza uscire di casa, ma una maggior ragione di vita, forse anche una scuola di metodo. Attento ai continui mutamenti della civiltà, interessato alle scoperte scien­tifiche, ai problemi filosofici e religiosi, non fu per un caso o per capriccio che abbandonò la pittura ad olio per sperimentare le resine, le plastiche e non so quanti altri nuovi prodotti. Anche questo era per lui un modo di rimanere in contatto con la scienza e la tecnica (cioè con la cultura del nostro tempo). Gli erano sempre presenti i concetti di evoluzione e trasformazione. I contatti che ebbe con alcuni artisti giapponesi furono importanti per lui, e non solamente sul piano estetico. Da un viaggio in Perù gli venne la passione per l’arte precolombiana e la predilezione per le forme emble­matiche, per gli ideogrammi e le lettere di alfabeti sconosciuti; il preziosismo cromatico, talvolta persino estenuato nell’impiego dell’oro. Generosissimo, attento ai bisogni altrui, pronto a dare senza calcoli, senza riserve, le malattie che lo avevano colpito gli avevano aperto nuovi orizzonti. Lo avevano illuminato e trasformato, conducendolo a sfiorare il significato ultimo della vita. Nessuno di noi poteva conoscere quali fossero i suoi pensieri durante le lunghe ore di solitudine, di insonnia, quando la malattia innalzava attorno a lui una barriera che lo isolava da tutti. Immagino però che quando lavorava alle sue composizioni, l’altro suo io doveva essergli in qualche modo vicino e che un riflesso delle sue meditazioni (o illuminazioni) debba essersi depositato, sia pure inconsciamente, sulla superficie del quadro. Spetta a noi cercare di leggere e di interpretare questa sigla, alla quale è affidata la parte forse più segreta, inesprimibile in parole, della sua esperienza (o delle sue illuminazioni).

Renzo Guasco

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Testo pubblicato in: Omaggio a Dassu (Giorgio Piacenza), introduzione di A.Dragone, Torino s.d. (1970).


Bibliografia essenziale La Bacheca ovverossia personaggi del Centro Internazionale di Ricerche estetiche di Franco Garelli per Giorgio Piacenza, Torino 1963 Catalogo: Arte Actual. Mostra del gruppo Wegas (Wessel Garelli Assetto y Giorgio da Superga). “Antiquariato” S.A. GalerÍa de Arte antiguo y moderno, Lima (Perù), agosto 1964. Redazionale, Wegas alla GalerÍa de Antiquariato, in “Mundo”, Lima (Perù), agosto 1964. Redazionale, Wegas “El comercio”, Lima (Perù), 12 agosto 1964. L.A.M. Gruppo Wegas “Dominical”, Lima (Perù), 23 agosto 1964. Catalogo, Specchi di Assetto, Plasticpaints di Dassu, Sculture di Garelli (presentazione di L.Carluccio). Circolo degli Artisti, Biella 17 febbraio 1967. Redazionale, Mostra d’avanguardia al Circolo degli Artisti, “Eco di Biella”, 16 febbraio 1967. Redazionale, Al Circolo degli artisti, pittori d’avanguardia. “Il Biellese”, Biella 17 febbraio 1967. A. Dragone, Tre pittori Torinesi in una mostra a Biella. “Stampa Sera”, Torino 18/19 febbraio 1967. P. Pozzi, Echi sconvolgenti e penetranti nelle opere di tre artisti torinesi. “Eco di Biella”, Biella 23 febbraio 1967. Redazionale, Vivace e polemico dibattito su un’arte che sconcerta. “Eco di Biella”, Biella 6 marzo 1967. Redazionale, Polemica sulla mostra di Garelli, Dassu, Assetto. “Eco di Biella”, Biella 6 marzo 1967 M. Maroino, Diciamo pane al pane, “Eco di Biella”, Biella 9 marzo 1967. Catalogo, Dassu (testi di F.Assetto, F. Garelli, M. Tapié, R. Guasco e presentazione di L. Carluccio), Galleria “Liguria”, Palazzo Cattaneo Malone, Genova 20 marzo 1967.

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M. Tapié: Introduction à La Connaissance Esthétique, Prolégomènes à une pratique de la connaissance logico­passionnelle des structures esthétiques à une puissance qui est aussi celle de la perception artistique des ensembles abstraits. International Center of Aesthetic Research, Torino 1967 M. Tapié: Espaces Généralisés. Centro internazionale di Ricerche estetiche, Torino 15 gennaio 1969. Catalogo, Espaces Abstraits, de l’intuition à la formalisation. M. Tapié, a cura di, “Galleria d’Arte Cortina”, Milano aprile 1969. a.d. (A.Dragone), Morto Giorgio Piacenza, industriale e artista, La Stampa, Torino 25 settembre 1969. Omaggio a Dassu (Giorgio Piacenza), introduzione di A.Dragone, Torino s.d. (1970) Redazionale, La boutique “Il Pilota” espone moda e arte. Stampa Sera, Torino 9/10 aprile 1971. R.Guasco Giorgio Piacenza Dassu (A.Piacenza Bechis, a cura di ) Torino 1975 Catalogo Giorgio Piacenza (Dassu), mostra Galleria Nick Edel, Torino 1975 Giorgio Piacenza Dassu (testimonianze di L. Nespolo, F. Clavarino, C. Amico, C. Nicodano, A. Rals, F. Baracco, D. Lombardi, A. Borgialli, G. Apostolo, F. Assetto, S. Foglia ), Torino (1989)


Catalogo Giorgio Piacenza Dassu, mostra Piemonte Artistico Culturale, Torino 1990. Angelo Dragone, A Superga c’era un artista, Stampa Sera, 1990 a.mi. (Angelo Mistrangelo), La fervida stagione di Piacenza la luce, il colore, le idee in una bella retrospettiva, Stampa Sera, 15 gennaio 1990. E.Tolosano, Dassu, la bella avventura di un industriale pittore, Stampa Sera, 15 gennaio 1990. Catalogo, Tapié un art autre, M.Bandini (a cura di), Torino 1997. Critiche apparse sulla stampa tedesca: 1974 Newe Wuettembergische Zeitung. Suedwest Presse. 1975 Newe Wuettembergische Zeitung. Schwaebische Zeitung, Ulm Stuttgarter Nachrichten. Suedwest Presse.

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Per la conoscenza delle vicende dell’Artista sono centrali: Il testo, ricco di memorie e testimonianze, di R.Guasco nel volume Giorgio Piacenza Dassu del 1975 che riporta ampi stralci dei diari di Piacenza. Di questo esiste anche una versione più ampia, dattiloscritta ed inedita, dove sono riportate integralmente le parti dei diari attinenti l’attività artistica. I diari non sono stati ancora reperiti in originale. Il carteggio fittissimo tra Piacenza e Wilhelm Wessel. Sono conservate in originale tutte le lettere e cartoline invate da Wessel dal 1962 fino al 1969 e in copia fotostatica le lettere inviate da Piacenza dal 1965 al 1969.


Finito di stampare nel settembre 2009


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