La fontana di Piazza Garibaldi 1897 - 2017

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Città di Bassano del Grappa

La fontana di Piazza Garibaldi 1897 - 2017 120 anni di storia

Promo Bassanopiù

CITTÀ DI BASSANO DEL GRAPPA


Opera restaurata su iniziativa di Promo Bassanopiù con la collaborazione organizzativa e logistica dell’Associazione Pro Bassano

Restoring Art del Dott. Eugenio Rigoni Rossano Veneto D.L. Renzo arch. Stevan Edito in occasione dell’intervento di restauro 22 Luglio 2017 Grafica e coordinamento editoriale Mario De Marinis Stampa Grafiche Novesi Luglio 2017 Fotografie Mario De Marinis e Laura Donazzan Fotografie storiche Archivio Editrice Minchio


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L’acqua a Bassano

Un breve excursus storico

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Il restauro della fontana di piazza Garibaldi, che in questo mese di luglio torna a offrire i suoi freschi giochi d’acqua ai bassanesi, costituisce anche l’occasione per un brevissimo excursus storico sul tema degli approvvigionamenti idrici in città. In effetti, come ricordano alcuni studiosi fra i quali Giambattista Vinco da Sesso, Giandomenico Cortese e in tempi recentissimi Franco Scarmoncin, dalle cui rigorose ricerche prendono spunto queste note, va subito detto che il rifornimento d’acqua potabile a Bassano e nel suo territorio, fondamentale per la vita di uomini e animali, ha rappresentato per secoli un problema non da poco. Sembra quasi un paradosso, se si pensa che la città è sorta in posizione strategica presso un guado sul Brenta e allo sbocco dell’omonima valle, quasi certamente come avamposto militare a controllo delle direttrici nord-sud ed est-ovest. Eppure, soprattutto in seguito alla progressiva trasformazione da borgo medievale a città, sostanzialmente fino a tutto l’Ottocento, Bassano non ha saputo fornire risposte adeguate - riguardo all’acqua da bere - alle basilari necessità dei suoi abitanti in termini di fornitura e di garanzie igienico-sanitarie. Chiarificatore, per capire la ragione di tali difficoltà, può risultare un rapido sguardo alla geografia del territorio, caratterizzato a nord della città dalla presenza di alcune sorgenti (ai piedi dell’Altopiano dei Sette Comuni e del


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Massiccio del Grappa) e lungo la riva destra, fra le colline di San Michele e Angarano, da un paio di torrenti e dagli affioramenti in località San Giorgio “alle acque”. Una situazione propizia, considerata anche la scarsa profondità della falda acquifera, all’escavazione di pozzi; non altrettanto favorevole, invece, lungo la sponda sinistra del Brenta - ed espressamente riguardo all’abitato di Bassano - a causa della diversa composizione del terreno, molto più drenante, e della maggiore profondità della falda. Una condizione ambientale, dunque, che determinò per secoli (fino alla realizzazione dell’acquedotto) un grave disagio alla popolazione, oppressa da problematiche legate tanto all’approvvigionamento di acqua potabile quanto alla qualità della stessa. Fra i primi pozzi documentati a Bassano figura quello cosiddetto del “Comune”, posto nell’attuale piazzotto Montevecchio e del quale sembra che alcuni ricercatori abbiano recentemente individuato le tracce della canna mediante indagini geo-radar: si presume fosse profondo una trentina di metri e attingesse acqua direttamente dalla falda. E’ quasi superfluo aggiungere che in epoca medievale rivestiva un’importanza capitale e che la sua sorveglianza fosse stabilita non solo per garantirne la pulizia (spesso con scarso successo) ma anche per preservarlo dall’avvelenamento a opera dei nemici. Franco Scarmoncin ipotizza che tale infrastruttura sia stata realizzata tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, ossia nel momento in cui la popolazione “cominciava a organizzarsi in ‘Comune’, con proprie magistrature e ordinamenti ancora legati alla curia di Ezzelino da Romano”. Lo studioso ci ricorda anche che a quell’epoca esistevano già diverse norme relative al suo utilizzo, congiuntamente a quello dei lavatoi presenti in alcune abitazioni e delle cisterne collocate in varie zone del borgo allo scopo di poter intervenire prontamente nel caso di incendi. Dagli Statuti bassanesi del 1295 si evince poi l’esistenza di una fonte a nord dell’abitato, dedicata a San Pancrazio e situata nelle vicinanze di una chiesetta campestre, posta laddove in seguito prese corpo il complesso monastico dei Cappuccini di Margnan. A cavallo fra Tre e Quattrocento, sulla spinta dello spirito imprenditoriale impresso dalla Serenissima, l’incremento delle attività produttive e lo sviluppo dell’agricoltura portarono alla realizzazione di canali e rogge destinati a


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28 novembre 1897 L’acqua del nuovo acquedotto sgorga per la prima volta in piazza Garibaldi con un grande spruzzo.


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fornire forza motrice alle strutture produttive e a irrigare le campagne: un processo iniziato con la conosciuta “Rosta Rosa” e proseguito nei secoli successivi, soprattutto grazie ai lavori di scavo promossi dalle famiglie veneziane che nell’entroterra avevano deciso di investire i loro capitali. Tuttavia, se tali opere di canalizzazione si rivelarono di grande utilità sul fronte economico, legate com’erano alle diverse attività dell’uomo, la fornitura di acqua potabile rimaneva ancora un grosso problema al quale, ovviamente, si cercava di dare risposta. Si sa che nel corso del tempo vennero ideati vari progetti per portare l’acqua nel cuore della città e studiati anche sistemi molto ingegnosi, che però non furono mai realizzati sia per le oggettive difficoltà tecniche di costruzione sia per i non trascurabili risvolti economici. Per contro la manutenzione dei pozzi esistenti lasciava molto a desiderare ed erano frequenti le disposizioni emesse dalla pubblica autorità per pulirli o addirittura ripristinarli. Pratiche destinate a durare diversi secoli, queste, che valevano tanto per quelli pubblici quanto per le strutture poste all’interno di proprietà private (generalmente presso le dimore dei ceti più abbienti). Il loro rifornimento avveniva per via naturale, attraverso le precipitazioni piovose, ma anche grazie al trasporto in opportuni carri muniti di cisterna e condotti, per così dire, da operatori specializzati. E’ certo però che, soprattutto nel corso del XIX secolo, questa situazione cominciava a divenire insostenibile. Al di là degli aspetti pratici, legati cioè all’approvvigionamento, la questione più grave riguardava quelli sanitari: l’acqua utilizzata per il rifornimento dei serbatoi era spesso inquinata e contaminata da agenti patogeni; quella proveniente dai pozzi altrettanto impura (se non peggiore), per la frequente contiguità delle canne con gli scarichi delle acque nere. Nella seconda metà dell’Ottocento la necessità di prelevare l’acqua da fonti sicure, convogliandola in idonee conduttore per distribuirla poi alla popolazione era divenuta davvero inderogabile. Anche se l’idea di costruire un acquedotto era stata proposta a più riprese nel corso dei secoli, senza però mai trasformarsi in realtà, fu solo sul finire dell’Ottocento (in ritardo rispetto a molti altri comuni) che si posero le basi per la realizzazione dell’attesissima infrastruttura. Fu il sindaco Antonio Giaconi Bonaguro ad avviare le


procedure necessarie, affidando all’ingegnere Milani l’incarico di progettarlo. Si decise che l’opera, davvero importante per l’epoca, prelevasse l’acqua presso la sorgente dei Fontanazzi a Cismon del Grappa per portarla in città attraverso tubature d’acciaio. Il 28 novembre 1897 si potè finalmente festeggiare la conclusione dei lavori. Circa un anno dopo, ed esattamente il 9 ottobre 1898 (come ebbe modo di rilevare puntualmente Agostino Brotto Pastega), venne ufficialmente inaugurata la fontana in piazza Garibaldi: un evento che mobilitò una massiccia partecipazione popolare. Andrea Minchio

9 Antonio Lorenzoni, pergamena celebrativa per l’inaugurazione della Fontana, 28 novembre 1897. Collezione privata. L’opera, commissionata dai Consiglieri Comunali, venne dedicata al sindaco Antonio Giaconi Bonaguro.


La fontana neobarocca di piazza Garibaldi inaugurata nel 1898

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La città di Bassano, pur essendo sorta in riva al Brenta, riscontrò sempre insormontabili problemi nel far zampillare l’acqua sulle pubbliche piazze a causa della sua posizione elevata. Nel corso dell’Ottocento, sotto la spinta dei progressi compiuti dalla seconda rivoluzione industriale, alcuni sindaci bassanesi incaricarono esperti ingegneri per portare l’acqua potabile dentro la città senza però ottenere tangibili risultati. Colui che si accollò il problema e che riuscì con grande determinazione a risolverlo fu Antonio Giaconi Bonaguro (1846-1907): il nuovo sindaco di Bassano in carica dal 1889 al 1903. Egli, che era vissuto sin dall’infanzia nell’omonimo palazzo Bonaguro di Angarano, dove gli zampilli d’acqua e le fontane risalivano ancora al Cinquecento, ai tempi dei Veggia, conosceva perfettamente l’importanza dell’acqua, anche in quanto latifondista. Tale consapevolezza lo spronò ad agire con determinazione. Il fratello Matteo inoltre, ingegnere civile, fu suo consigliere nella scelta del professionista adatto allo scopo, che cadde sul celebre ingegnere milanese Enrico Carli. Per incitare i più refrattari all’impresa, nella seduta consigliare del I° ottobre 1895 egli arrivò a promettere solennemente una monumentale fontana a sue complete spese da porsi nel centro di Piazza Garibaldi, laddove si apriva una maleodorante fossa di raccolta di acqua piovana, interrata nel 1766. La titanica impresa iniziò nel 1896 e fu portata a termi-


9 ottobre 1898. Inaugurazione della fontana donata dal sindaco Antonio Giaconi Bonaguro.

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ne in soli undici mesi: nell’estate del 1897 fu completato il monumentale cisternone di Pove e, nel contempo, un reticolo di condutture strinsero affettuosamente Bassano, come «un cerchio di ferro». Il 28 novembre 1897, proprio dove si apriva la stagnante fossa, si elevò uno spumeggiante getto d’acqua, che ricadde su una grande conca lasciando stupefatti gli astanti. L’artistica fontana, promessa dal sindaco Giaconi Bonaguro, però non era ancora pronta. Per realizzarla egli aveva chiamato due celebrità del settore: come progettista dell’impianto idrico, l’ingegnerearchitetto Daniele Donghi dell’Ufficio Tecnico di Padova (1861-1938), specialista del cemento armato e autore di apprezzati manuali di architettura e, come scultori per la parte plastica, i veronesi Carlo Spazzi (1854-1936) e il fratello Attilio, appartenenti a una storica famiglia di scalpellini-scultori specializzata in fontane e monumenti funebri: molto apprezzato fu quello dedicato a Giacomo Zanella a Vicenza. Appare strano però che non si sia ricorso a un artista locale quando, sia a Pove che a Bassano, operavano ancora scalpellini-scultori di grande livello, per non parlare di Giovanni Fusaro (1848-1912): una vera gloria locale, oltre che veneziana. La fontana, concepita al declinare del secolo, in un’epoca di grandi rivisitazioni storiche, si presenta come un’opera chiaramente influenzata dal barocco romano, in particolare dalle fontane di Gian Lorenzo Bernini. Nonostante sia collocata tra i severi monumenti romanico-gotici della chiesa di San Francesco e della Torre Civica, giusto al centro della piazza, la fontana non stride ma si inserisce armonicamente nel contesto urbano, non solo come simbolo conclusivo di una impresa ma anche come emblema di una città ormai di tipo prettamente borghese. A rigore, si sarebbero dovuto riprendere le tipologie delle fontane tardo-medievali o del primo rinascimento, come per esempio la celebre Fontana degli assetati di Perugia scolpita da Arnolfo di Cambio (1277-1281), nella quale il tema dell’acqua è interpretato sia dal punto di vista civico che salvifico religioso. La fontana voluta dal sindaco Giaconi Bonaguro invece non esibisce tematiche simbolico-religiose ma si presenta eminentemente come opera laica, civile e profana, elargita dal Comune per il benessere dei suoi cittadini. La scelta cadde sul repertorio barocco perché, alla fine dell’Ottocento, la tipologia della fontana si identificava ancora con i mas-


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simi esempi romani, non solo in Italia ma nel mondo. Il paradigma di quella bassanese risulta essere la Fontana del Tritone, disegnata da Gian Lorenzo Bernini (1642-’43) su incarico di Urbano VIII per utilizzare proficuamente un ramo secondario dell’Acqua Felice e nell’ottica di una più razionale distribuzione idrica a beneficio del popolo romano. I quattro delfini di Carlo Spazzi sono una ripresa quasi letterale del modello berniniano. Su una gradinata a quattro sbalzi di duro granito di Baveno si eleva la fontana propriamente detta, lavorata in gran parte con il marmo rosato detto Nembro della cave di Sant’Ambrogio Erbezzo di Verona; presenta le quattro piccole vasche di rosa corallo e i quattro grandi catini baccellati di Rosso di Verona. Al centro si eleva un pilastro tronco, poli-sfaccettato, con i quattro sinuosi delfini addossati, sopra i quali sputano acqua altrettante teste antropomorfe dai tratti fauneschi, di pregevole modellato. Nel coronamento terminale, si eleva una colonnina a un solo fuso reggente l’ultimo catino con, al centro, un elemento decorativo a forma di pigna in Rosso di Verona dal quale fuoriesce il nono zampillo della fontana. Sulla lastra, incisa a mo’ di lapide, si legge la seguente ricordanza per i posteri: «Alla sua Patria / Antonio Giaconi Bonaguro / Sindaco di Bassano / donava / XXVIII NOV MDCCCXCVII», ossia il giorno dell’apertura dell’acquedotto e del grande spruzzo sulla piazza ma non dell’inaugurazione della fontana. Finalmente, il 9 ottobre 1898, giornata memorabile, una vera fiumana di popolo si accalcò in Piazza Garibaldi per assistere alla cerimonia dello scoprimento della fontana e della sua inaugurazione. Dopo che fu disvelata e applaudita l’opera dello Spazzi, si procedette come di norma al rito dell’accettazione del dono da parte dell’avvocato Ildebrando Chiminelli, che firmò a nome del Comune e della cittadinanza. Celebrato il brindisi con un buon bicchiere di acqua fresca proveniente dal Cismon, tutta la cittadinanza si trasferì in zona Belvedere-Caffè Italia, dove fu azionata un’altra fontana a una sola vasca, ma con un getto di circa 22 metri. (v. A. Brotto Pastega, Una fontana in piazza per l’inaugurazione del nuovo acquedotto, in «Il Giornale di Vicenza», 16 febbraio 1993) L’acquedotto, contrariamente a quanto ritenuto dai più, non fu pagato dal commendatore Giaconi Bonaguro ma da


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tutti i cittadini bassanesi. Il tanto desiderato avvenimento della fontana fu celebrato con due pergamene (del maestro Giuseppe Lorenzoni e dell’allievo Emanuele Mozzi), da ripetuti articoli giornalistici di respiro regionale e da due cartoline, edite rispettivamente dal «Premiato Stabilimento Antonio Roberti» e dalla Tipografia Silvestrini con incisione di Gaetano Fasoli, recante la rappresentazione del Cisternone di Pove e della fontana di piazza con la data «IX Ottobre MDCCCXCVIII». Agostino Brotto Pastega

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Cartolina commemorativa, edita dalla Tipografia Silvestrini.


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Il Commendatore Antonio Giaconi Bonaguro

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Antonio Giaconi Bonaguro (1839-1907) è stato indubbiamente uno dei sindaci più amati di Bassano della storia moderna, per le opere da lui avviate a favore della cittadinanza e anche per il suo carattere mite. La sua era una tipica famiglia della borghesia terriera, originaria di Piazzola sul Brenta, che si era arricchita con il commercio, ma non per questo egli si sentiva meno bassanese. Nel suo necrologio si scrisse infatti: «Ebbe a meta eccelsa e costante di tutta la vita il bene della sua città natale». Nacque a Bassano il 16 aprile 1839 da Luigi Giaconi Bonaguro e da Angela Tonon, proprietaria terriera, alla quale era stata assegnata una dote di ben 36.200 lire. Il padre Luigi vide accrescere enormemente il suo patrimonio dopo la morte del nobile Giovanni Albertoni (1849), il quale lo lasciò erede, tra gli altri beni, del cinquecentesco palazzo Veggia di Angarano che, da allora, iniziò a essere chiamato Bonaguro. Dopo una prima esperienza in seno al Consiglio comunale, egli ricoprì il ruolo di sindaco dal 1889 al 1903 come esponente liberal-moderato, aperto verso il partito dei cattolici e non dimentico del fratello Giorgio sacerdote. Come «provvido e sapiente amministratore del Comune» caldeggiò opere di decoro e di utilità pubblica, quali la sistemazione di via XX Settembre, il viale del Cimitero comunale, il restauro del Ponte Vecchio, il viale Bonaguro a sud del palazzo (rimasto sulla carta) e la realizzazione dell’Acquedotto di Bassano: il «superbo e perenne monumento» che si concluse con la donazione della fontana «alla Patria». A seguito di sofferta malattia, il sindaco morì a soli sessantanove anni il 25 agosto 1907, trovando sepoltura nella monumentale cappella di famiglia del cimitero di Angarano, dopo il tributo di imponenti funerali civili. Dopo la morte, in segno di riconoscenza, gli fu intitolato il quartiere di case popolari a ovest del Tempio Ossario.


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