Il Canto dei Grilli Che Toglie i Pensieri

Page 1


Copyright Š 2010 by Attilio Fraccaro Editore Bassano del Grappa Grafica & impaginazione Mario De Marinis Illustrazione di Sally Ann Tennant Prima edizione: Novembre 2010

2


Sergio G. Mocellin

il canto dei grilli che toglie i pensieri

Attilio Fraccaro Editore

3


4


Prefazione

Poesia “No’ ‘a sta in paròe, figure o silogismi, no’ in quèo che vedo fora, ma che sento: dipende da che ociài che meto intorno, che i cambia in base a quèo che provo rento”. Come può la poesia stimolare sentimenti ed emozioni sempre nuove e sorprendenti? La risposta in questo libro la dà Sergio donandoci non semplici parole ma profondo sentire. Lo sguardo attento e a volte religioso posto sulla realtà e il suo divenire, ci conduce in queste pagine a riappropriarci di suoni, colori, profumi che convengono al cuore dell’uomo. Arrivano all’anima queste parole e all’anima ricordano cosa vada assaporato nella vita: un silenzio, un tramonto o una timorosa margherita. Con le proprie riflessioni l’autore transita il muro dell’ipocrisia e del perbenismo interrogandosi, a volte col sorriso, riguardo il progresso, internet e persino i ruoli assunti da uomini e donne nel gioco di coppia. Se queste poesie muovono l’interesse, la curiosità, il piacere e la tenerezza di un mondo che appartiene ad ognuno di noi, allora, leggiamole, piano, una alla volta, lasciando che ridestino le nostre stesse emozioni per ritrovaci ad ascoltare anche noi “il canto dei grilli che toglie i pensieri”. Michela Salvato

5


6


A Daniela mia moglie, ai miei figli, alla mia grande famiglia e alla Val Saline, dove ho imparato ad apprezzare e ad amare le cose semplici

7


...Val Saline distesa nel verde...

8


La mia Terra, le Radici

9


...’a casa ‘a serviva apena da querto...

10


Radici Quando torno in Val Saline, tra i pensieri e le emozioni, sento vivi come un tempo l’erba, il cielo, le stagioni.

Quasi ascolto le persone che han vissuto qui felici… come un bere alla sorgente, un ritorno alle radici.

Trovo ancora dietro i sorbi che ha piantato in quantità, sotto l’ombra di ogni siepe, la saggezza di papà.

Sento poi nell’aria e il vento, più giulivo di un ruscello, il cantare della mamma, anche detta il colonnello.

Sento voci di bambini, tardi a sera, allora insonni, che oggi vanno per il mondo fatti quasi tutti nonni.

Ma talvolta qui riuniti, per invito o nostalgia, a scambiarci attese e storie di quel tempo andato via,

di quel tempo antico e duro, tra bisogni e tra sudore, ma che ha fatto di quei bimbi gente forte e saggia in cuore.

Gente grata a questa valle come a un’arca di memoria, ma che a ognuno ha dato un foglio su cui scrivere una storia.

A Lidia che ha la capacità e la sensibilità per coltivare le radici e conservare le memorie di questa nostra grande famiglia.

11


Val de’ ‘e Saine

Vójo tornàr a co’ gero tosàto e vòjo farlo usando do’ rime pa’ racontàre ‘na s-ciànta de ‘a vita che se vivéva in te ‘a Val de ‘e Saìne.

Quanti ricordi se torno on fià in drio: de ‘e corse so’ i prài, dei zughi co’ gnente, de ‘e gare so’ ‘e piante in serca de oséi, de ‘e sere in te ‘a stàea in fiò co’ la xente.

El gera on mondo on fià fora dal mondo con le so’ régole e so’ ocupassión: noàltri se fava, sì, quel che fa’ i altri, ma lo fasévino fora stajón.

Par dir che a scóea se andava d’istà, sensa marénda, in pì anca lontàn, cossì in tél ritorno i sassi par tera i ne paréva de ‘e ciòpe de pàn.

Verso sìe boti se andàva so’ i còi a paràr basso le vache e i vedéi; el sol tramontàva su tuta Cassóea co’ l’avemaria de mìj campanéi.

E, dopo sena, co’ i salti so’ i mari, mi gò ricordi e emossión quasi eterne: sento el profumo del fén rento i barchi, e tuto intorno le lùcioe lanterne,

e po’ ascoltàre co’ i grili ‘e cicàle tute le béstie ‘e paréva sorée, ma soto i pìe gera nostra la tera, nostro quél ciéo cossì cargo de stée.

A quìndese ani paréino tosàti, co’ ‘e braghe curte e on paro de calse, ma se moldéva e segàva co’ i grandi e se imparàva già bàterse ‘a false.

12

Questi i lavori che no’ se scampàva: in primavera a tràr fora el leàme, durante el fén a slargàre i antóni, e ne l’autuno in tél bosco par strame.


Ma s’era lìberi come i oséi, lùlio o genàro, comunque a l’apèrto, come che questi i faséva col gnaro ‘a casa ‘a servìva apéna da qùerto.

No’ gera verso scaldàrla d’inverno, ti te podévi far fogo anca on mese, tanto lo stesso co’ ‘e porte saràe el gato corendo el passava pa’ ‘e sfese.

In sti’ tre mesi, par quanto i durava, on fredo càn te cambiava ‘e sembiànse, sensa che ti te podéssi far gnente el te impestàva anca ‘e màn de buànse.

Ma quanto tempo sol prà a scarujàrse piantài so’ ‘a neve fin quasi a ‘e tiràche, e tuti móji tornàr rento ‘a stàea pa’ sugàr tuto so’ ‘a schena de ‘e vache .

Bastava poco pa’ farne contenti, no’ se sognava de far i milioni, ghemo capìo de prénder da ‘a vita quel che ‘a te ofre, carésse e pestóni.

E ora che in testa i scomìssia esser bianchi no’ sò quante volte so’ andà fora tiro, so’ on po’ maturà, ma a forsa de bote, come in tél bùrcio pa’ farse el butìro.

Sta’ sera intanto col sole che more desméntego el peso de ogni ferita, me sento so’ l’erba e come in preghiera vardo el tramonto e ringràssio la vita.

Piccola valle posta tra il Col Berretta e il Monte Asolone, teatro di epiche battaglie durante la Grande Guerra. Qui l’autore ha trascorso i suoi primi dieci anni. D’inverno poteva capitare che la neve coprisse interamente la casa. La poesia racconta la vita di quel tempo.

13


Val Saline Val Salìne, distesa nel verde, sotto un cielo d’azzurro cobalto, son corona di giorno i tuoi colli e di notte le stelle dall’alto.

I tuoi colli dai dolci profili, sopra i quali ora vola il falchetto, in quegli anni hanno udito soltanto il cannone, il mortaio, il moschetto.

Col Berretta, che ascolti dal vento raccontare le storie di eroi, che a vent’anni, coi sogni spezzati, comandati son morti per noi.

Col Moschìn, Col Caprìle, Asolóne, nomi entrati nei libri di storia: son cent’anni, ma quante ferite lungo i fianchi ne fanno memoria.

E ad oriente, coperto da nubi, s’erge il Grappa su tutti sovrano, dalla vetta la Vergine ancora sta materna a guardare sul piano.

Oggi tu, Val Salìne, ti desti nel tripudio di strida e di canti, la rugiada sull’erba è di perle quando il sole ti sorge davanti.

Poi riprende il lavoro nei prati per tagliare e raccogliere il fieno, senti il ferro che batte la falce, vedi l’erba coprire il terreno.

14

Quando infine la sera discende, ed il buio diventa più fondo, spenta l’eco dell’ultimo strido, questo è il posto più in pace del mondo.


E di notte soltanto la luna sta a spiare, tendendo l’orecchio, quella luna che pare s’arresti sopra il dorso del Colle del Vecchio.

Ogni volta che torno a vederti di restar sento in me quasi un grido: è il ricordo degli anni innocenti, è il calore del primo tuo nido.

Quando nasci in un posto che sia, non importa qual è il suo colore, il sigillo si imprime da dentro e ti resta per sempre nel cuore.

Ora so perché sogni e speranze anche al buio non m’hanno lasciato: porto in me quell’azzurro infinito e il profumo del fieno tagliato,

porto il magico verde dei prati, il frinire dei grilli e cicale, sento il vento fischiare sui colli e il fragore che fa il temporale.

Con la forza di tanti ricordi ho percorso sereno la via, e per questo ti lascio i miei versi che non osano dirsi poesia.

Val Saline è il nome in italiano di Val de’ ‘e Saìne. Questa poesia è l’omaggio che l’autore tributa alla sua valle.

15


Chiesa di S.Giovanni Colli Alti

Ti ritrovo fra i primi ricordi col profumo d’incenso e di cera, sento ancora le voci assonnate delle donne al mattino in preghiera, e continuo a serbare in me l’eco e i rintocchi di quella campana che all’aurora chiamava i malghesi, bianca e piccola chiesa montana.

Dietro ad essi per viottoli antichi camminavo seguendone il passo, avéan mani con calli di ferro e le facce scolpite nel sasso, sulle spalle la sorte indivisa di una vita non facile o piana, pellegrini di attese e speranze, bianca e piccola chiesa montana.

Non so più la misura del tempo ogni volta trascorso nel viaggio: si partiva la notte nel buio e per ore restavi un miraggio, poi a un tratto apparivi davanti, come un gioco di fata morgana, sotto un cielo infinito di voli, bianca e piccola chiesa montana.

E anche adesso che lunghi sentieri ho percorso per quasi una vita, e nel cuore con lieti ricordi porto il segno di qualche ferita, mi sorprendo talvolta a pensarti e odo il suono di quella campana che si spande festoso sui colli, bianca e piccola chiesa montana.

Chiesa costruita sui Colli Alti, alt. 1300 m, località del Grappa, nel 1734. Rifatta com’è oggi nel 1914. E’ la prima chiesa frequentata dall’autore. Per arrivarci alla domenica erano necessarie circa tre ore di cammino. L’unica messa veniva celebrata alle sette del mattino. E allora, per potersi comunicare, vigeva il digiuno dalla mezzanotte

16


Chiesetta del Lepre Chiesetta dei ricordi, nel verde dei miei prati, aspetti ch’io ritorni a rivederti ancor. Ricordo le tue mura, rivedo il campanile, un larice gentile cresciuto accanto a te. Appesa sulla cima la piccola campana suona alla mattina per annunciare il dì;

e quando il sole scende e l’aria si colora, la squilla manda ancora i suoi rintocchi in ciel

a salutar con noi la Vergine Maria: “Ti salutiamo, o Pia, la pace sia con te.”

Chiesetta costruita nel 1951 per desiderio di mamma Teresa Canevéa. Inserita oggi in un complesso più grande, si trova in località Lepre, alt. 1187 m, ai piedi del Monte Asolone.

17


Romano d’Ezzelino Da più di trent’anni sto in questo paese, che sa di storia, d’impresa e natura, e il territorio dal clima cortese la testa ha in montagna e il culo in pianura. Vive una gente qui antica e tenace che qualche volta sa ancora sognare, giorno per giorno, paziente e capace, graffia la vita, conosce l’osare. Gente comunque decisa a vestire tutti i colori dell’arcobaleno, gente che vuole già prima scoprire quale è la meta salendo sul treno.

Stanno sui muri di queste contrade tracce e memorie dei fieri Ezzelini, quasi un frastuono di lance e di spade dei bianchi Guelfi con i Ghibellini.

Senti anche adesso venir dal profondo l’eco sommessa d’opposte passioni: sopra ogni casa un’antenna sul mondo, lungo ogni strada diverse fazioni.

Tanti son gli anni passati da allora, ma pare un tempo non troppo distante, che in certe notti sentir si può ancora l’inquieta Cunizza sul colle di Dante.

Originario da S. Nazario, in Val Brenta, l’autore vive a Romano d’Ezzelino, suo paese adottivo, da oltre 35 anni.

18


S. Nazario Paese che a sera somigli a un presepe con sopra una stella che vigili attenta, le spalle tenute alle rocce del Grappa e i piedi bagnati dall’acqua del Brenta.

Su queste contrade dai nomi di un tempo nei secoli lunghi passata è la storia, sta scritta sui sassi dei tuoi monumenti, e sulla tua pelle più amaro che gloria.

E insieme ricordi di guardie e gendarmi, con il contrabbando a risorsa di base, nell’aria memoria di odor di tabacco che intorno si spande da dentro le case.

Paese di gente che sa la miseria, sa il gusto del sale lontàn dal tuo lido, ma verso il tramonto anche a fare ritorno, al par degli uccelli che tornano al nido.

Sarà che ho vissuto i miei giorni passati lontano e straniero da queste pendici, ma quando ritorno e sto come in ascolto, io sento nel cuore che ho qui le radici.

19


El Sanguanel e el Basaisco Ritorno a che i tempi che mi gero cèo e drìo de ‘na porta scoltàvo, non visto, le storie che i grandi fra lori i contava su del sanguanèl e su del basaìsco.

Che quando i parlava co’ noàltri tosàti de sòito i parlava con molta prudénsa, parché el sanguanèl el podéva èsser sconto de soto al seciàro o de fianco ‘a cardénsa.

E apena el sentiva ripètere el nome de colpo el rivàva, fasendo bacano, par torte ‘a baréta o par n’altro dispeto, che el ‘ndava famoso par esser vilano.

Cossì che ogni volta che a qualche faméja sparìva on arnése, ‘na forca o on restèl, ‘a xente à diseva, col segno de ‘a crose, che rento a che ‘a casa dormìa el sanguanèl.

E i mìj me contava che on dì so’ ‘a giassàra el ghesse sporcà tuta ‘a late e el butìro, e dopo, corèndoghe intorno a me mama, ridesse fa on mato, prendéndola in giro.

E ancora gò in mente che ‘a volta in te ‘a stàea che i grandi i parlava de on qualche putèl, e che me’ zia Beta, tocàndose ‘a pansa, piansèndo ‘a giurava, xè sta’ el sanguanèl.

Nessuni diséva de avérlo mai visto, qualcuno, magari, sbalià par on péo, ma tuti i lo fava pì rosso del fogo, e quanto a statura, pì o meno, on putéo.

20

Da noàltri, so’ ‘l Grappa, abitava in te’ i boschi o rento a ‘e caverne pì fonde de ‘e vàe, e invesse d’inverno, co’ ‘l fredo che fava, la note el dormiva pì spesso so’ ‘e stàe.


Ma alòra viveva in te’ i boschi e so’ i còi con el sanguanèl anca n’altra creatura, che a sera ‘a cantàva par farse scoltàre, e solo a sentirla ‘a metéva paura.

Parché el basaìsco, de questo parlémo, portava le colpe, par tuta la xente, de tute ‘e disgràssie, le rogne e i maeàni, cossì che éa podesse sentirse inocente.

Riguardo a figura, el paréva ‘na bissa, ma drita so’ ‘a testa la cresta de on gàeo, e poco pì grosso del brasso de on omo, con sora a la schena on maròn quasi xàeo.

Nessuni podèva vardàrlo in te’ i oci, che tanto no’ ‘l gheva bisogno a becàrte, e in boca on arsènio cossìta cativo siché el te copàva soltanto a vardàrte.

Chissà da che tempi segreti e distanti co’ ‘a xente ‘e vivéva ste’ due creature, e, soto a sto’ celo, da sempre compagne de on mùcio de sogni e de tante aventùre.

E desso che intanto so’ ‘e nostre montagne el clima o l’ambiente no’ ‘l pare pì quel, insieme a ‘e so’ storie i xé andati anca lori: adìo basaìsco, e adìo sanguanèl.

Il Sanguanèl e il Basaìsco erano due creature che abitavano i boschi e sopratutto le fantasie delle persone di quel tempo. Il primo veniva descritto come un omino rosso (di qui il nome Sanguanel), invisibile e dispettosissimo. Il secondo era un serpentello tozzo, con una cresta di gallo sulla testa e poteva lanciare il suo veleno a distanza. Perciò pericolosissimo.

21


Alpe Madre Se volgi i tuoi passi a salire sui monti, vicino ai Coll’Alti, ove l’erta s’allenta, sereno ti accoglie il rifugio Alpe Madre sui primi declivi che guardano il Brenta.

Sta in mezzo a dei prati verdissimi e piani che il sole dipinge a colori decisi, che pàiono coltri per letto di sposa coi crocchi ad aprile ed a maggio i narcisi.

Vi trovi un ambiente cortese e discreto, che invita alla sosta più lunga che puoi, i piatti hanno il gusto e i sapori d’un tempo: son quelli di Nonna…metti il nome che vuoi.

E ancora se intendi all’amico lontano portare un pensiero, una cosa concreta, oggetti vi sono pensati con arte, scolpiti nel legno o plasmati di creta.

Poi parti e ti resta il ricordo di gente che insieme t’accoglie e sa come servire per darti il ristoro, un momento di quiete in questo incessante tuo andare e venire.

Rifugio sul Col Moschin, vicino ai Colli Alti. Alt. 1270 m.

22


Solagna Chissà se il tuo nome ricorda la ninfa venuta dal fiume a abitare la valle, Solànea qui pose dimora e rifugio: davanti il Cornòn, con San Giorgio alla spalle.

E quel privilegio d’accesso in pianura per lunghe stagioni ti ha fissa a un destino di docile ancella di tanti Signori, i re longobardi, Venezia, Ezzelino.

Ma poi sulla sponda sinistra del Brenta di tutte le chiese maestra e regina per secoli è stata, da prima del mille, l’antica tua pieve di Santa Giustina.

Intanto la storia è passata sul fiume ed alla tua gente, così come a tanti, soltanto l’amaro è rimasto e il subire la sorte infelice di andare emigranti.

Ma adesso se guardi là in alto in Bresagge c’è un arco di pace nel cielo sereno, e sotto la Vergine per ricordare che dietro ogni lampo c’è un arcobaleno.

E ancora ogni giorno dal tuo campanile nell’aria si spande con voce argentina il suono dell’ora ed insieme il ricordo dell’ opera grande del tuo Ferracina.

Paese adottivo della famiglia dell’autore.

23


...andare nel futuro...

24


Silenzi, Natura ed Emozioni

25


...nel silenzio dei monti...

26


Il Silenzio dei Monti Salii in alto, più in alto possibile, sulla cima più sola, nel silenzio dei monti.

Il silenzio dei monti…

E tu sai quante cose racconta il silenzio dei monti, Daniela.

Laggiù dalla valle saliva del fumo. Era denso, saliva e svanì: non giunse a turbare il silenzio dei monti.

Più sotto un torrente scendeva veloce, e scendendo cantava al silenzio dei monti.

Timide e sole, colorate di cielo come occhi di bimbi, le nostre genziane ascoltavano anch’esse il silenzio dei monti.

E là sulla cima, nel silenzio dei monti, potevo sentire il respiro del mondo.

Poesia scritta durante la ferma dopo l’ascensione al Gran Paradiso, alt. 4061 m.

27


La Goccia d’Acqua Cos’è una goccia d’acqua tutta sola? Può essere una stilla di sudore, la lacrima che segna una parola, la perla di rugiada sopra un fiore.

Può esser cento cose, oppur nessuna, ma sempre c’è una storia dietro ad essa che unisce il cielo con la terra bruna, ed è l’essenza della vita stessa.

Talvolta, benedetta come un nume, dai monti nasce cristallina e pura, si unisce ad altre e altre e fanno un fiume per dissetare tutta la pianura.

E se nel suo perpetuo andare e vago s’immette in valle chiusa che la serra, allora si riposa e forma un lago per rispecchiare il cielo sulla terra.

E quando finalmente arriva al mare si chiude appena un altro girotondo, e poi riprende il suo pellegrinare che la riporta ancora per il mondo.

28


Su una Collina Quassù la pace è immensa.

Non si ode che il sussurro della natura, e ovunque è il verde di questa primavera.

Verdi sono i prati, verde è il bosco e verde è l’orizzonte, perché non c’è altro orizzonte che le ultime fronde all’estremità della collina.

E poi la sera. E nella sera il profumo dei tigli, discreto, e il canto dei grilli che toglie i pensieri.

E il silenzio di notte… Quel silenzio che è ovunque, sovrano, che ti porta in un mondo lontano a sognare le cose più belle guardando le stelle.

29


Caminar Ne piàse qualche volta, par strade bianche e prài, su e xo’ pa’ i nostri còi o rento in qualche vàe, andare a caminare co’ on xàino sora ‘e spàe. Scoltàre la natura, li inseti che se ciàma, sentire l’aria fresca, vardare el panorama: e quasi l’impressione de avere ‘na ilusione. E dopo qualche ora, sentài da rente a on muro, contàrse i nostri sogni e andare nel futuro so’ ‘e nùvole de on cielo mai visto tanto azuro.

30

E là sentire come, confusi in meso al verde, che tuti i to’ pensieri el vento li disperde: e stare on fià cossìta a ringrassiàr la vita.


de Matina Stamatina ancora scuro so’ andà fora a caminare, on silènssio pien de atése te ciamàva a meditare.

Sora el querto de ‘na casa solo on merlo che fis-ciava, me pareva che a so’ modo anca lu con mi el pregava.

Poco dopo in medo ai campi xè inissià ‘na sinfonia, e sentà so’ l’erba mója gò ascoltà st’avemaria.

Questo incanto xé andà ‘vanti poco pì de on quarto d’ora, fin che intanto lentamente anca el sol vegnèva fora.

E xé stato in che ‘l momento che gò fato ‘na scoperta: che ‘a natura par noàltri xé ‘na cesa sempre verta.

Gò deciso sta’ esperiensa de ripèterla pì spesso, parché rento a la natura son pì rento anca a me stesso

31


‘a Luna On dì Gesù Bambino, che el gheva xugà fora, no’ ‘l se gà reso conto che fusse passà l’ora.

E l’è ritornà a casa, de corsa col fià corto, scusàrse co’ so’ mama che nol se gera incorto.

El gà vardà i cartoni, e po’ l’è andato a nana, no’ sensa ‘na caressa e on baso de so’ mama.

Ma invésse de dormire, parché el gavéa paura, el gà tacà a tremare pa’ ‘a note massa scura;

e so’ papà nel cièo gà fato ‘na magìa, el gà picà la luna pa’ farghe compagnia.

A Pietro, mio nipotino

32


In Valle Aurina Ho visto un posto qual non vidi mai: in mezzo a un prato un fiume dolcemente portava a valle l’acqua dei ghiacciai, e sopra un cielo azzurro e trasparente.

Scendeva l’acqua al fiume fresca e pura, allegra come bimba divertita, pareva tutta intorno la natura cantare l’inno eterno della vita.

E mentre me ne andavo via dal piano, stupito e grato a questa valle amica, salivo come spinto da una mano da non sentire l’erta e la fatica.

Ignoro se da solo sia capace un posto da trovarsi tanto bello, sarà che dentro al cuore avevo pace e camminavo assieme al mio fratello.

Località Lanher

33


Sotto la Tridentina Lassù, molto in alto, vicino alla vetta, c’è un posto d’incanto, un posto che accade vedere nei sogni, e appena ogni tanto. Da tutti i ghiacciai scendevano rivi cantando dei monti la storia infinita: sembrava un’orchestra che magica suoni, gioioso e perenne, un inno alla vita. Lasciato ho quel posto lasciandoci il cuore, e, come sospinto da mano segreta, con passo veloce son giunto alla meta. Io credo che un posto così tanto bello lo trovi nel cuore soltanto il viandante ch’è in pace col cielo, col proprio fratello.

Tridentina: rifugio verso la Vetta d’Italia

34


Il Vento Da quando Dio iniziò con la creazione sei giorni disse fiat dall’alba a sera; cercò sul calendario la stagione, scoprì che cominciava primavera.

Riempì lo spazio allora dei viventi e li colmò di fremiti e di voglie, coi fiori rese i prati più splendenti e i boschi con il verde delle foglie.

Per qualche tempo dell’estate corse a rifinir qua e là un particolare, poi forse, non si sa, e ripeto forse, si trasferì per riposare al mare.

Tornò in autunno a rivedere il posto, più corte s’eran fatte le giornate, nell’aria odore di castagne e mosto, sui rami foglie gialle e accartocciate.

Decise di sentir le foglie morte se, scosse, un canto dessero o un lamento sorrise e verso il bosco soffiò forte, e in questo modo fu che nacque il vento.

35


Il Temporale Nero divenne il ciel come il carbone e un turbine di vento alzò ogni cosa. Poi ci fu un lampo e un colpo di cannone: tutta la terra intorno parve esplosa.

L’acqua paréa sommerger la pianura, tutto sparì alla vista dietro un velo, e quando l’aria in basso era più scura sopra le case si vedea già il cielo.

D’un tratto apparve il sol come d’incanto, si scosse la natura con sorpresa, rifecero gli uccelli il loro canto, l’acqua del fiume luccicò d’intesa.

36

Non similmente dentro il nostro cuore si placano veloci la bufere: fuori si veston tutte di colore, ma dentro come pece restan nere.


Tramonto Era ormai l’ora che si torna stanchi e un sole rosso accese l’occidente, mille riflessi d’oro come lampi saettavano nel cielo trasparente.

Sopra le nubi, nel cambiar colore, pareano insieme tessere una danza a salutare grate il dì che muore, ad invocar la luna in lontananza.

Mentre cercavo invano le parole, e mi sentivo parte di quel gioco, volar vedevo uccelli incontro al sole, svanire poi inghiottiti dentro il fuoco.

Quando finì e scomparve la magia, venne la notte e spense ogni colore, lasciando viva in cuor la nostalgia del giorno nuovo che darà il Signore.

37


La Margheritina O gentil margheritina, che tra l’erba rugiadosa vai schiudendo ogni mattina la corolla timorosa, punteggiando tutto il prato del colore immacolato.

T’amo quando con l’aurora sorge il sole all’orizzonte, mentre il prato dorme ancora porgi ai raggi la tua fronte, e per essi schiudi il velo mattiniera al chiaro cielo.

Se la luce che nel giorno par rianimi le zolle fa danzare a te d’intorno una festa di corolle, tuttavia fra mille fiori preferisco i tuoi colori.

Delle sere a lungo sosto muto ai margini del prato, mentre il capo fai nascosto penso al semplice tuo stato: tu m’insegni, margherita, ch’è pur bella l’umil vita.

Composizione giovanile

38


Incanto Silenzio stupito nei campi e le selve: apparsa è la luna con candida aureola di nubi leggere.

Magia

Tramonto di fiaba stasera sul lago: s’attarda anche il sole a mirarne i riflessi.

Notte Ovatta di nubi a fiocchi dispersi: la luna passando li fa trasparenti.

Inverno

Stanotte la rugiada si è posata sui rami, e il gelo ha intrecciato corone di cristallo.

Poesie composte negli anni del Liceo leggendo e tentando di imitare, invano, Saffo, poetessa greca.

39


...porto in me quell’azzurro infinito...

40


Riflessioni e Considerazioni

41


...sento voci di bambini...

42


Cossiensa Co’ ti te ghè oto ani, sentà so’ on sasso tondo, te si el parón del mondo e te sè tuto ti.

E fin a vinti ani te vé col muso duro, parché te sì sicuro de avèr ‘e to’ rasón.

Ma quando te te sposi, te fa capir so’ on mese de non avèr pretese, parché èa ‘a sa pì de ti.

E fin che i tosi i cresse i te ricorda spesso che ‘a to’ rassión de fesso nessùni te ‘a pol tór.

Cossì, ‘na volta griso, te ameti finalmente de no’capìrghe gnente, e de essere on cojón.

43


Panta Réi Tutto passa

Conta ‘a storia che on filosofo, che abitava in riva al fiume, al veder passare l’acqua, sia col sole sia co’ ‘e lune, al veder passàr soldài, tosi, fémene e cavài, e par aria tanti oséi, el gà dito: panta réi.

Questa ‘a xé ‘na frase in greco, tramandà fin qua da ‘a storia, che ‘a vol dire tutto passa: (ea però ‘a xé ancora in gloria). Ma mi credo che con questa, bruta o bea qualcossa resta, che no’ ’a va finir tra i déi, o tra ‘e man del panta réi.

Resta ‘a ràbia che ne morde e l’invidia che ne rode, resta ‘a corsa come ‘e piégore pa’ inseguire tute ‘e mode, e ne ‘l vodo de ‘e cosiénse resta e ingrassa le aparénse, che ‘e ne impóne de ésser bèi: quanto al resto, panta réi.

Questi intanto xé anca i vissi che i tien su l’economia, e passiénsa se parémo marionete tute in fìa: stesse còtoe, braghe e ociài par sentìrse omologài, sotomessi come agnéi pa’ imbrojàr el panta réi.

Se ti, dona, te scomìssi deventàre bruta o grassa, no’ te serve esser on gènio par capìr che el tempo el passa; va e consìliate co’ on prete,

44


fate pur rifare ‘e tete, squérdi ‘e rughe o scondi i néi, no’ te freghi el panta réi.

E ti, omo, no’ te ‘o freghi pur meténdo via i milioni, a far soldi resta insieme ‘na aventura da cojóni, che par quanto te afàni, no’ i te scampa dai maeàni, e comunque no’ i xé quéi che te ferma el panta réi.

Cossì on dì che no’ te speti càea el sipario so’ ‘a to’ parte, rento n’altra marioneta, riva l’ora che se parte: dopo tuta stà fadìga se catémo messi in riga, par finir, co’ gnente o i s-chéi, driti in cùeo del panta réi.

45


Tempi Andai Me piàse i tempi antichi, me piàse i tempi andài, e no’ parché i gavèsse de noàltri manco guài,

che anzi lo vedémo, sia i tempi bianchi o neri, e tutti gà ‘e só rogne, e ognuno i só pensieri.

Soltanto che i savéva ciapàrla in allegria, vivendo pì sereni con pì filosofia.

No’ i se metéva pressa, nessuna agitassión, parché i se regoeàva andando drio a ‘e stajón.

E anca se d’inverno faséva on gèo polàre, magàri i batéa i denti, ma te i sentìi cantare.

E desso se uno canta, cossì parché ghe piàse, te disi che l’è mato, comunque fora fase.

In caso de bisogno nessùni andava via, mancàndoghe la ràdio i stava in compagnia;

46

e questo no’ vol dire che i fusse boni o santi, fra lori i se rognàva, ma insieme i ‘ndàva avanti.


E ‘desso se va in branco, ma soli come i càn, e se te vé par tera nessùn te dà ‘na màn,

ma in cambio ghe xé sempre chi tenta ad ogni costo, par fare i so’ intarèssi, de méterteo in ch’el posto.

Cossì te si costreto vardarte sempre in giro, protégerte le spàe e non aver respiro.

E dopo i te consìglia fermàrte a ciàpar fià, parché secondo lori te vivi da stressà.

E dir che te vorìssi decìder co’ ‘a tó testa, mandàrli tutti in mona e abbandonàr la festa,

che on poco xé la vòja che ognuno se rancùra, e invesse stemo fermi, tegnésti da’ ‘a paura

e in sérca de quel punto che stà fra ‘a libertà e tutte le monàde che impone ‘a società.

Pa’ intanto ve confesso mi quel che gó capio: ben verti i oci avanti, man fisse so’ ‘l dadrìo.

47


La Statistica Da quando el mondo esiste ghe xé stà situassión, che tanti i dorme in tera e pochi so’ ‘l paiòn.

E fora de metàfora xè questa ‘a verità: chi par cussìn gà i soldi, chi invésse ‘a povertà.

‘Na volta i lo acetàva, le cose ‘e paréa ciàre fin quando che i sociòloghi i gà tacà a spiegare

che se uno magna on pólo e n’altro no lo gà, lo stesso pa’ ‘a statistica, ghi ‘n magna ‘na metà.

Cossì con la statistica se perde ‘a difarensa fra chi che magna el pólo e queo che resta sensa;

e i serca de convìnserte che esiste l’ugualiànsa fra chi gà ‘a pansa voda e chi fa ‘na sumànsa.

Chi dòpara stà siensa te fa partecipare a on saco de monàde sensa fàrtee fare,

48

e invésse co’ ‘i problemi te resti sempre sóeo a tòglierte la rogna e i guai che xé sol còeo.


E se te cati a rìdere, par sbaglio anca uno sólo, sta certo che te ‘o cati fra quei che magna el pólo.

Ma in fondo i lo sa tuti, e da un’eternità, che quando vien xò ‘a piova la cade sol bagnà.

49


Ciatar su Internet No’ credo che Marconi gavésse questo in mente co’ el gà impissà la luce ne l’altro continente.

Xé noto ch’ el gà fato parfìn le carte false par far parlàr la xente che no’ ‘a riussìa parlarse.

Podér parlàr con tuti e sensa fili, in fondo, gà tolto via i confini e se gà verto el mondo.

E desso che la siénsa gà fato sto’ progresso te pòl parlàr con tuti, magàri stando al cesso.

Ma ‘a xé na’ roba strana, e quasi sorprendente: se vol parlàr con tanti, e mai con quei da rente.

Te pòl ciatàr con Tìssio, con Caio o con Samprònio, organisàr ‘na festa, trovarte a on matrimonio;

o dir che te sì on figo co’ i soldi fin so’ i oci, tasèr che te fè schifo co ‘e pesse so’ i denòci.

50

No’ manca mai le oferte, ghìn n’è par ogni salsa: ma spesso de aria frita se trata o roba falsa.


Ciatando xé possìbie catàrse anca ‘a morosa, ma come, cacchio!, fetu a farlo sensa ‘a tosa,

a no’ vardàrghe i oci, no’ stare a cocoeàrse, che quando ‘a te dà on baso te senti el cor desfàrse?

I dise che sia questa la strada pì sicura, ma dopo cossa femo, l’amore par procura?

Se vójo darghe on baso, mi cossa fò? Me fermo, me meto sol compùter e dopo baso el schermo?

E, setu che godùria, davanti a on coso nero, spetàr che ‘a vegne fora, basàrla soto vero!

Sarò sbalià co’ i tempi, no’ capirò pì gnente, ma ancora ‘a preferìsso de carne viva ‘a xente.

Non òbligo nessùni de avér ‘e me’ vedute, ma pì che aumenta i mezi e manco se discute;

e in quanto al virtuàle gran fumo e poco arosto: tegnéve pure el fumo, ve ‘o cataré in che ‘l posto.

51


El Silenssio ‘Pena fato el Paradiso, sol calàre de la sera, passegiava, mormorando a sè stesso ‘na preghiera, el Creatór su par la strada, giusto a farse ‘na pipàda.

Ma, passàe do setimàne, rento a sé lu el gà sentìo de dovér spartìr con altri tuto questo ben de Dio: messi in parte el lampo e el tuono col paltàn el gà fato l’omo,

che da subito esigente, quasi ancora tera smossa, co’ ‘l timór de stàr da solo, già domanda a Dio qualcòssa che ghe fasse compagnia longo el dì co’ ‘l stava via.

E, cossì, ‘a matina dopo, lu se gà trovà dacanto, co’ sìe punti sora ‘a schena, la so’ dona, el primo incanto: la vardàva stando muto, èa no’ ‘a gà tasùo on minuto.

Già ‘a ghéa fato el cafelate e do’ goti de spremuta, con ‘e fete biscotate anca on sesto pien de fruta, ma da rente ai do’ bicéri pronta ‘a lista dei mestieri.

52

Lu ghe spiéga i so’ costumi co’ ‘na man so’ la cossiénsa, precisando che, fin ‘lora, mai nessuna interferénsa ghe rivàva da l’esterno, fusse pur del Padreterno.


Quà la tira su ‘na solfa che lo ciàpa de sorpresa: no’ ‘l capìsse parché, casso! éa se ‘a ghesse tanto presa, specialmente dove o quando la gà preso anca el comando.

Po’ el va sù dal Padreterno con on dubio fisso in mente: se la dona fusse in prova o finìa completamente, parché alóra el serca aiuto farla tàsere on minuto.

Qua el Creatòr, pa’ ‘a prima volta, xè andà in crisi nel pensàre che, co’ ‘a dona, anca on prodigio nol podésse pì bastàre: quindi forte fa l’assénssio el se gà inventà el silenssio.

E orgoglioso de ‘a scoperta sta in silénssio pure Dio, mentre i òmeni i lo aprèssa ‘péna, apèna on tanto al chìo questo suo capolavoro, vanamente fato d’oro.

Storia semiseria della creazione della donna e del primo incontro con l’uomo nell’Eden.

53


‘E Votassion Anca st’ano, come spesso, i ne gà ciamà a votare, e da ilusi simo ‘ndati co’ ‘a sperànsa de cambiare. Sì, lo so che quei de prima xé finìj col cùeo par tera; chi peró gà ciapà i voti par che i ghesse vinto ‘a guera. Par do’ mesi i parla e i parla, sensa dire mai qualcossa, i fa a gara fra de lori a chi spara quéa pi grossa. Se i discute sora a ‘i soldi quasi sempre i riva in copia, uno parla e sbassa ‘e tasse, l’altro el tase e le radopia, parché i soldi che ghe serve, che tien su sto’ magna magna, no’ i se cata rento a on orto o so’ ‘a pianta de ‘a cuccagna. Po’ i va in giro ripetendo de far solo i to’ intaressi, ma te i vedi, apéna eletti, xé al servìssio de sé stessi. E anca tute ‘e bée promesse, garantìe con giuramento, le svanìsse come el fumo verso on celo pien de vento. No’ contàr so’ l’altruismo de chi manca de paròea, che te sé anca ti, par gnente, gnanca el can no’ move ‘a cóa. E a la fine gìrea o vòltea, che te ‘a bagni o che te ‘a sechi, anca st’ ano, come sempre, toca a noàtri a restàr bechi. Scritta in occasione delle politiche del 2007. Ancora attuale.

54


El Progresso ‘Na volta la doménega servìa pa’ ‘e devossión, a ‘e nove tuti a messa, pì tardi a le funsión.

E in pì, le sere a màgio, rosario ad alta vose, che gera ‘na maniera trovarse tosi e tose.

E adesso chi ricorda pì ‘sti usi o ‘sti costumi? Entrài nel mondo novo te cori e te consumi.

Ghe xé infiniti modi de stare fra ‘e persone, nessuni pì che ride o canta ‘na cansone;

‘a festa tuti i scampa, qualcuno perde ‘a vita, e Dio, parché no’ intrìghe, xé stà mandà in sofìta, cossì che simo liberi far cose straordinarie: puntare i soldi in borsa, fidàrse a ‘e finanssiàrie. E se par caso dopo te resta apéna el fià, non aspetarte aiuti: belessa, el xé el marcà!

No’ vójo giudicare de i altri modi o intenti, soltanto ‘na domanda: ma sìmoi pì contenti?

55


Qualche Volta me Domando ... Qualche volta me domando, che sia falso, che sia vero che anca el capo del governo possa fare el putaniéro? Che el se fae portar le done, tante, bele e premurose, e vissióso, ma no’ scemo, lu stravèda sóeo pa’ ‘e tose?

Qualche volta me domando, che sia vero, che sia falso, che a spuntàrla in on concorso quasi sempre el sia on rincalso? Che no’ serva ‘a competenza, se el gà fato, o se el gà dito, ma che baste essèr parenti de chi conta so’ on partito?

Qualche volta me domando, se no’ xé el momento d’oro, parchè in giro ghe xé tanti cavalieri del lavoro? Gò capìo che basta apena de lecàre on fià qualcuni, e ‘na specie de patàca no’ ‘a se nega pì a nessuni.

Qualche volta me domando, come femo avere xente da competere col mondo se anca ‘a scòea no’ dà pì gnente? Fata a volte da insegnanti, stufi e pieni de pretese, col pensiero unicamente de arivàre a fine mese.

Qualche volta me domando, ma noàltri l’inflassióne no’ ‘a batémo a modo nostro con la pìcola evasione? E no’ dirme, par piasére,

56


de far poco parché onesto, ma che invésse, visti i intròiti, ti te evàdi apéna questo

Qualche volta me domando, se l’Italia ‘a xé ‘na bala, come fàea, se no’ ’a rimbàlsa, a restàr lo stesso a gala? Xé che ‘a xente che ghé vive xè comunque la pì varia, e fra tanti putaniéri ghe xé xente straordinaria.

E a la fine me domando, ma se gnanca ‘na persona vien tocà da i me’ discorsi; no’ son mi, a sto’ punto, el mona? Che no’ serva a scriver versi, se anca i par filosofia: tanto el marso el resta marso, e ilusione el far poesia.

Riflessione semiseria sull’attuale situazione in Italia.

57


El Viajo Son sempre stato a casa, intento a fare i schèi, a garantirme on quèrto, e a tirar su me’ fiòj.

Ma quando che xé stata pì ciara ‘a situassión, lo so, me sarìa dato mi stesso del cojón

se non saràvo ‘a porta, e no’ gavésse in fondo deciso co’ ‘a me dona de andare on fià pa’ ‘l mondo.

Cossì noàltri due, ‘gnorànti fa’ na’ sopa, parévino a l’inìssio do’ piti in medo ‘a stopa.

Ma pì passava el tempo e se ciapàva el clima disevimo che mone no’ averlo fato prima.

E mentre che viajàvo, no’ so parché o par come, ma mi vardàvo i posti co’ i oci de ‘e persone.

E ad ascòltar le storie, no’ sóeo i pì importanti, ma tuti i deventàva de colpo interessanti.

Co’ xé finìa ‘a vacanza, na’ settimana e meda, simo tornài indrìo co’ gnanca pì ‘a monéda.

Gò spaeancà ‘e finestre, rivando a casa mia: gò visto entrare el mondo, no’ l’è pì andato via.

58


Gli Artisti (o dell’invidia)

Ho visto gli artisti riuniti a congresso, ma ognuno pensare soltanto a sé stesso, nessuno che avesse un po’ d’attenzione per quello che a turno parlava all’ambone.

Perché poi gli artisti hanno questo di fondo, che un poco si credono al centro del mondo, e stanno a sentire, facendosi attenti, se o quando qualcuno gli fa i complimenti.

Se poi li riunisci per gruppi o per arte più ancora si fanno confuse le carte, e qua i complimenti, sinceri e festanti, son rari e preziosi al par dei diamanti.

Che’ ognuno di loro si crede Tagóre, o Dante, oVirgilio, comunque il migliore: e invece di stare co’ i saggi e i decani han fatto la scelta di stare fra i nani,

intenti a inseguire un sogno diverso, cercando e cercando nel vasto universo. Ma in questo sta il genio, l’astuzia del mondo: nessuno lo afferra in quanto rotondo.

59


Composizione Parenetica Sta’ comodo, fratello, e fa i bisogni tuoi: di tempo ce n’è tanto, se solo tu lo vuoi.

La pace più serena e il silenzio più profondo ti aiuteranno a farla, e a farla fino in fondo.

E quando finalmente dirai di aver finito, prendi la carta igenica che pende dal soffitto. Sistèmati per bene, poi esci e guarda a manca: là c’è un bidone e un secchio e l’acqua non ti manca. Usa più volte il secchio che tutta si disperda: non farti ricordare solo per la tua… merda.

Affissa all’interno della porta del cesso della casa in montagna

60


El Gato Passando par ‘na strada gò visto l’altra sera on gato che rumava intorno’a patumiera.

Gò fato par slongare, cossì, con teneressa, on brasso lentamente par, giusto, ‘na caressa.

Però no’ xé sta verso rivarghe da vissìn: chissà se el ghéa paura parché son vicentìn.

Rielaborazione di una poesia di un amico.

61


‘E Rughe ‘Na crema par dormire, de giorno el fondo tinta, cossì, de dì o de note, te par co’ ‘a fàcia finta.

‘E rughe che te porti xé on libro co’ ‘a to’ storia e prima che so’ ‘a fàcia te ‘e scrivi in te ‘a memoria.

‘E conta de ogni lota, no’ importa trista o bona, e del mistero grando che sta ne’ l’èsser dona.

Mistero ai maschi ignoto pa’ i vostri slanci e voli, ma voàltre andé fa alòdole e noàltri come i poli.

Pa’ farte queste rughe te xé servìa ‘na vita, no’scònderle co’ ‘e creme, che te sì béa cossìta.

62


El Musso e i Mezi Somari Gò deciso de andàr fora a cavàlo de on somàro par vedér,‘na volta ancora, se intarèssa ‘a me persona e no’ el modo come apàro.

E gò visto ‘a suficénsa de acetàrme perché spusso. Sì, ‘a conosso ‘a difarénsa tra el vestirme co’ ‘a gravàta o mostràrme in schena a on musso.

Tanti invesse fra de lori no’ i se sente mai precari, tuti i parla da dotóri e i se crede cavalieri, ma i fa in quatro do somari.

63


8 Marso On bel dì lassù nel cielo el buon Dio se sente sperso, e cossì ghe salta in mente de crearse l’universo par podérse divertire tuti i secoli a venire.

Ma stufà de contemplare, con divin compiacimento, lo splendore de la tera, l’armonia del firmamento, lu el sentiva ‘a nostalgia de avér qualche compagnia.

El gà tolto in man de fango, ramenà par qualche istante, e pian pian el gà fato l’omo a se’ stesso somiliànte, messo in pie co’ ‘a schena drita rento el gà sufià la vita.

Ma vivendo da madègo con pochissimi pensieri, l’omo ‘ndava spesso in giro, trascurando i só mestieri: e mostrando, pa’ ‘l momento, de non èssare contento.

Anca Dio passando ‘a sera, giusto a far qualche paròea, no’’l vedeva impissà el fogo, né ‘a tovàja sora ‘a tòea e par èssare pì ciàro, sporchi i piati so’ ‘l seciàro.

64

Po’, par tuto el paradiso, non che l’ ordine proposto, qua on arnése da giustare, là on careto fora posto: e né in casa, e né in cortile che ’l so che de feminile.


Dio el gà preso alóra el sole, da la note qualche stéa, el profumo de ogni fiore e ‘l gà fato ‘na missèa, con agiunto a sto’ composto altre dosi al proprio posto:

credo on fià de sentimento, del bon senso che no’ guasta, ‘na sprussà de fantasia e mistero quanto basta: dopo comodo in poltrona el ga fato ‘a prima dona.

Copià xó dal so’ compagno, ma in sostansa pì completa, somiliànte, no’ precisa, vorìa dir quasi perfeta, fursi in pì ‘na roba sóea: tanto svelta de paròea.

E vedendo al so’ confronto l’omo quasi balbussiénte, mentre ea, se fa par dire, qualche volta anca par gnente, Dio el gà dito comprensivo: l’alto e on basso fa un gaìvo.

Ma comunque sodisfato gà vardà sol calendario par segnarse el giorno esato de sta’ impresa sol diario: e stupito ghe xé aparso che coreva l’oto marso.

Variazione per l’8 marzo della poesia El Silenssio.

65


‘A Celulite Parlemo de sta’ fìsima che ciàpa a volte e done, in guera pa’ indossare la taglia de tendensa rispeto a ‘e braghe e gone.

Parché secondo lore, par èssare serene, non pì de ‘a quarantuno, che tute che altre taglie le fa sentìr balene.

E adesso che la moda le impóne seche e drite, chissà se sti’ problemi turbava ‘e nostre none pensando ‘a celulite.

No’ ‘e praticava ‘e diete, la linea a tuti i costi, convinte, pa’ esperiensa, che on fià de carne ‘a serve, almanco in certi posti.

El mondo da che ‘i tempi xé sóeo cambià a l’esterno, cossì fra noàltri e lore continua fin da Adamo el stesso xugo eterno: a chi ‘e ghe piàse magre e a chi ‘e ghe piàse tante, ma mi, par dir de’ i gusti, son grato ‘a me’ signora de no’ èssare abondante. No’ ‘o fo’ par giudicare, par mèterla in burleta, che basta che me varde, ma, in leto, a on bastimento, xé mèjo ‘na barcheta.

66


Comunque simo tuti soltanto quéo che semo, e in medo a tanta xente qualcùn gà i fianchi streti, qualcùn ‘na s-cianta meno.

Ma ‘e xé ste’ difarénse a rènderne speciali, e drìo a infinite face, a farne inconfondìbili, diversi e insieme uguali.

Da sempre Dio fa unica, presiósa ogni persona: perciò restàr te stessa, sia pur con celulite, te fa ugualmente dona.

67


...bianca e piccola chiesa montana...

68


Pensieri e Parole

69


...vorìa, Signor, vorìa...

70


Preghiera Vorìa, Signor, vorìa che fusse ‘a vita mia no’come ‘na candèa che par che ‘a arde a caso e no ‘a te fa vedér on deo pì in là del naso. Vorìa, Signor, vorìa che fusse ‘a vita mia no’ importa quanto longa, ma ciàra fa ‘l s-ciantìso, ch’ el dura, apùnto, on lampo, ma el fa vardàrte in viso. Vorìa, Signor, vorìa che fusse ‘a vita mia no’ pì de quel che ‘a xé, e quando che el me tempo par Ti el sarà compìo na man te me slongàssi…

me basta, Signor mio.

71


Ricordi Ricordi so’ ricordi svejàndote ‘a matina, ricordi de altri tempi o quei de ‘a sera prima.

Ricordi de che ‘a volta che ‘a te gà dito amore, te stavi in paradiso e te s-ciopàva el core;

o quando ne’ li afàri te ghe tentà la guera, e invesse i te gà messo sentà col cùeo par tera.

Ricordi straordinari, ricordi de ogni giorno, ricordi sani o tristi, ricordi tuto intorno.

Ricordi drio de ‘e spàe e quei davanti ‘a fronte, ma conta sòeo i ricordi che i varda l’orixónte.

72


Sogni Vivémo tanti sogni fra atési e realisài, somando in compagnia quei sani e i rabaltài,

con ‘sti ultimi che i riva direti da ‘a to’ testa, e in cambio i porta rento on vento de tempesta.

E dopo ghe xé i sogni che i nasse in fondo al cuore, che sente de amicìssia, de pace e de calore:

e questi i xé concreti, non fati de paròe, e, dopo, no’ i se désfa fa ‘a neve soto el sóe.

73


Paroe de ‘na Volta Par mi xé fàssie ancó butàr xó versi con bèe paròe catàe so’ i dissionàri e scrìvare le storie de ‘na volta, ‘a vita, i tempi, i modi o i so’ calvàri.

Vorìa però riussìr a usàr paròe fa lori, co’ ‘a medesima sostànsa, e fisse come ciòi piantài so’ on muro, da poér picàrghe on sogno o ‘na sperànsa.

Paròe raspàe da’ ‘a tera e da’ ‘a fadìga, o nate da’ i bisogni de ogni giorno, paròe che già nel dirle te sentivi le giósse de suór che ‘e gheva intorno.

74

Paròe magari dure, ma potenti, paròe sentìe ‘na volta e già imparàe, paròe fruàe dal tempo e, me despiàse, paròe par sempre ancó desmentegàe.


‘E Carte Co’ te vegni in questo mondo te vien date tute ‘e carte, ma nessuni che al to’ posto posse fare anca ‘a to’ parte. Se te vardi el to’ masséto l’è precìso a quéo de ognuno, nessun scherso, nessun truco favorìsse mai qualcuno. Toca a ti de scomissiàre: punta ‘a carta e cossì via, con l’avìso che a ogni giro te pol pèrdere ‘a partìa, ma saéndo anca de avere in man tua la brìscoea grossa, e che el vìnsere o che el pèrdere el dipende da ‘a to’ mossa. E alla fine te t’incòrdi, che co’ ‘e spinte o sensa aiuti, ti te vinsi veramente se con ti i gà vinto tuti.

75


L’Ultima Poesia No’ so parché ogni volta che scrivo ‘na poesia me sento so’ on incanto, che pare ‘na magia.

No’ vedo pì nessùni, e me ritrovo imerso so’ on spàssio, no’ so dove, qualcossa de diverso.

E là mi tàjo e incòeo, ingrópo qualche spago, ‘na volta adòpro ‘a fòrbese e n’altra invésse l’ago.

Se riva ‘na paròea la giro anca a rovérso par controeàr se o come ‘a me sta rento a on verso.

E quando ‘a xé fin ìa, convinto me prométo, fin tanto ‘a spunto ai orli, che dopo questa smeto.

76

Ma resta sempre on fìo, che riésse a scampàr via, che furbo el va a picàrse so’ ‘a pròssima poesia.


I Poeti I poeti sono strani: un po’ artisti, un po’ indovini, un po’ saggi e un pò cialtroni, un po’ vecchi e un po’ bambini.

Ma i poeti posson fare, come sanno solo loro, che anche i sogni più nascosti sian splendenti come l’oro.

E’ che in cuore essi hanno le ali per volare fino al sole, e conoscono il segreto di giocar con le parole.

Le parole sono fate misteriose ed innocenti, che trasmettono i pensieri, le opinioni e i sentimenti,

ma han bisogno dei poeti, che ora in fila ed ora sole, sanno l’arte di disporre sopra un foglio le parole. E con esse poi inventare, con il cuore e con la mente, storie nuove e storie antiche per la gioia della gente. E a sentirle raccontare anche i grandi sono lieti, ma le ascoltano i bambini perché simili ai poeti.

Ad Andrea Alessio che ha ancora nel cuore e negli occhi lo stupore e l’incanto che possiedono solo i bambini… e i poeti qualche volta.

77


Fare Poesia El sole che ride, ‘na nùvoea che bàea, el canto insistente de qualche sigàea, ‘na fója che trema, ‘na gióssa che casca, el vento che passa movendo ‘na frasca, e intanto nessuno che sa come sia, parché tuto o gnente pol ésser poesia.

Pol esserlo on gesto no’ ancora capìo, magari quel sogno par sempre svanìo, ‘na volta on soriso discreto de dona, on’altra el conforto de qualche madona: ma rento e no’ fora, e no’ so come sia, sta el màgico dono de fare poesia.

El mondo no’ esiste cossì da sè stesso, el mondo el xé come te ‘o vedi riflesso; e come te riessi dipingerlo in cuore de fora el gà el stesso preciso colore; perciò non fermarte a vardàr cossa sia, ma serca ne’ ‘l fondo, de ti ‘a to’ poesia.

78


E quando che rento te nasse pensieri, cossì da sentirte diverso da jéri, o ancora nel vento te insegui i gabiani intanto che ‘a sabia te scampa tra ‘e mani, ti come sorpreso da questa magia ascolta, e xè el tempo de fare poesia.

79


Poesia Gò visto xente andàr so’ ‘a luna o ‘e nùvoe pensando da lassù de far poesia, gò leto versi e strofe consumàe da ‘ i tanti cuore, amòr, malinconia...

Gò scrito pure mi dei versi stupidi con termini imprestài da ‘a fantasia, convinto che do’ rime messe giuste bastasse a dir che questa ‘a xé poesia.

Gò visto jéri on pàssero so’ on ramo becàr felice on seme e scampàr via: xé stato come on lampo e gò capìo de cossa che in realtà vol dir poesia.

80

No’ ‘a sta in paròe, figure o silogismi, no’ in quéo che vedo fora, ma che sento: dipende da che ociài che meto intorno, che i cambia in base a quéo che provo rento.


Solitudine Il mondo dei vivi se l’è portato via dietro la curva l’ultimo sciatore. I prati non sono che dorsi sferzati e la neve non detta che immagini tristi stasera. Bianche rovine per la mia solitudine, per il mio silenzio triste e annoiato.

Poesia scritta in gioventù.

81


Utopia Stanotte mi son fatto una domanda, che cosa intenda dir per utopia; lo so perchè ho studiato un pò di greco e mi appassiona la filologia.

Letteralmente, è un posto che non c’è, ed ora la lezione esplicativa: si sa che in greco τοποσ sta per posto e la υ è una particella privativa.

Ma pur si intende un posto immaginario, un posto come a dir senza confini, qualcosa che può esistere soltanto nel cuore dei poeti o dei bambini.

82

Perché utopia qui sta per desiderio, per sogno grande, quasi una follia, se l’hai domanda le ali a Peter Pan e poi va’ in volo con la fantasia.


La Strada Da solo, davanti a un groviglio di strade io tendo le braccia e cerco altre mani. Un gesto, un conforto per questo mio andare: ma ognuno percorre una strada diversa.

83


Guardia Notturna È notte, Daniela, una notte profonda di autunno e di nebbia. È bassa la nebbia e sembra si posi sull’erba dei prati davanti alla pista.

Dai pochi lampioni le luci rischiarano solo le cose vicine.

Lontane, o forse mi pare, si vedono appena le stelle più chiare, Venere, Antares, la Stella Polare.

Cammino pian piano facendo strisciar gli scarponi, e ascolto le foglie di pioppo che io faccio frusciare.

È mio l’eliporto stanotte.

Un passo, uno ancora… ormai sono mille.

Cammino con te, siamo soli…

84


E il vento ci porta l’odore di foglie cadute, il rumore incessante del fiume, l’abbaiare lontano di cani, mentre parliamo del nostro domani.

Poesia scritta durante il servizio militare ad Aosta, dopo una notte di guardia all’eliporto di Pollen.

85


Al Marcà I tempi i xé cambìai, bisogna regoeàrse, ancó se va al marcà, ma no’ par incontràrse.

Gò visto stamatina che tuti i ‘ndàva in pressa, de queo che pensa i altri nessùn che s’intarèssa.

I corre da par tuto, s’intriga so’ i bancóni e al posto dei pensieri se scambia dei pestóni.

86

Ma cossa pòrtei casa da star in medo ‘a xente? ‘E borse con la spesa, e el resto, el resto... gnente.


El Risparmio No’ ghe xé do’ cose al mondo che le sia le pì diverse, ma par desso ‘e difarénze tuti quanti ‘e ghemo perse.

Noàltri i soldi i sparagnémo come Dio, co’ ‘a stessa arte: che li usémo se i ne ocóre, e se no’ i metémo in parte.

E cossì co’ ‘l bruto tempo se el ne manda na’ tempesta xè possìbie co’ i risparmi no’ dovér spacàrse ‘a testa.

E lo stesso pa’ ‘e disgràssie o co’ ‘a prima maeatìa: se va in serca del quel Dio che se gheva messo via.

87


Goal La palla è colpita: diventa una sfinge tiranna, magnetica. Il portiere (un titano?) le si fa incontro, inutile sforzo. Per un attimo in tutto lo stadio la vita è sospesa. Poi un grido e un impeto nuovo trascorre la folla, Ma nessuno ha un applauso per il titano sconfitto, eroe d’altri tempi.

88


Aprile Portatemi il tarĂ ssaco, che ovunque copre i prati, domani ai semi alati un soffio basterĂ . Talvolta siamo questo: pappi in balia del vento, e mentre andiam sospesi dal bosco irride lento un canto di cucĂš.

89


Alcune Cose... Son queste alcune cose che aiutano a sperare: il sorgere del sole che invita a cominciare, la sete di avventura di chi attraversa il mare, lo sforzo di un bambino che impara a camminare…

Son queste alcune cose che donano calore: assistere a un tramonto in tutto il suo splendore, vedere una farfalla posarsi sopra un fiore, sentire due ragazzi che parlano d’amore…

Son queste alcune cose che recano piacere: l’aroma del buon vino che aspiri dal bicchiere, un libro sempre aperto per gusto di sapere, fermarsi a una sorgente e poi saziarsi a bere…

90

Ma molte son le cose che possono stordire: tu cerca in fondo al cuore la voglia di capire, poi alza le tue vele, preparati a partire, che stare a lungo immobili può esere morire…


4 Novembre Cacciate i generali, cacciate i militari: profanano il riposo dei sacrari.

Li hanno mandati a morte per l’onore, per inseguir la propria gloria stolta.

Adesso la pietà si addice loro, non li uccidete un’ altra volta.

Non tacitate le coscienze vostre venendo ad onorar la spoglia, chiamando eroe chi è morto contro voglia,

Tutti venite. a chiedere la pace, fondete ogni cannone, spezzate le mitraglie: date alle madri i figli, non medaglie.

91


Poesia di Natale Senti nell’aria quasi un incanto, un suono lieve di cornamuse, vibra sospeso un battito d’ali che muove i cuori e le menti chiuse.

Vengono piano attorno al presepe, sordi al frastuono e alle parole, angeli adesso, tornano i bimbi cui fu vietato vedere il sole.

Possono udirli soltanto i piccoli che hanno ancora negli occhi il cielo; stanno i potenti ciechi al mistero che appena copre sottile un velo.

92

Viene Natale come speranza e come segno di divisione: lieto in cuore ogni lazzaro canta, triste rimane il ricco epulone.


La Cartolina di Natale Nel cassetto dei ricordi ho trovato stamattina una vecchia cartolina con gli auguri di natale.

Non è carica di cose: la capanna coi pastori, il bambino e i genitori, niente abeti o lampadine.

Son gli auguri di un compagno della scuola elementare. “Infinite cose care.” Poi la firma e “Buon Natale”.

93


El Natale de Adesso Xé rivà natale ancora a portarne el bambinèlo, ma che pense a riscaldarlo solo on bue e on asinèlo.

Ciapài tuti da mìj impégni inseguìmo falsi sogni, quasi sempre confondendo i caprici co’ i bisogni.

Ma cossì no’ s’incontrémo col bon Dio par fare festa: mentre Lu vien xó dal cielo noàltri ‘ndèmo via co’ ‘a testa.

94


Il Buon Pastore sonetto

Quando salì sul monte, e tanta gente seguiva il buon profeta nazareno, egli allargò le braccia e dolcemente tutti raccolse in uno nel suo seno.

Tre volte di continuo il sol nascente videro stando sotto il ciel sereno, allora diede lor paternamente il pane frutto d’un poter supremo.

Poi raccontò di un altro pan divino che eterno avrebbe dato la sua mano, e rimandò ciascun pel suo cammino.

Il sole dava l’ultimo bagliore, e mentre si sperdevano nel piano disse ai presenti: “Io sono il buon pastore”.

Composizione liceale.

95


Il Perdono Gesù Signore venne in questo mondo per insegnare a tutti a perdonare, ma intesa la lezione fino in fondo, in pochi lo ritengono un affare,

perché perdono unito a cortesia, vissuti come occorre sulla terra, non fanno lievitar l’economia, a questo giova più qualsiasi guerra.

Se gli uomini rimettono i reati, donandosi fra loro pace appieno, saremo senza giudici e avvocati e nel governo un ministero in meno.

E chi poi dà un lavoro a questa parte di gente che pretende ad ogni costo restare tutto il giorno a passar carte, scaldando con fatica appena il posto?

Confesso, anch’io talvolta ho perdonato, seguendo convenienza più che amore: sarà la povertà con cui l’ho dato, non valse il gesto a riscaldarmi il cuore.

96

Convengo allor che a tutti noi conviene su questo solo a Lui lasciare voce, perché innocente e in mezzo a tante pene davvero perdonando è morto in croce.


Fine de st’Ano Gò vardà so’ ‘l calendario e finisse on ano ancora, xé passà tresento giorni e i xé stati come on’ora.

Vedo tanti andàr de corsa preocupài de fare festa, sensa incòrderse che spesso i va in giro sensa ‘a testa.

I ‘a gà persa drio a li afàri a l’invidie, e a le ambissióni: e i se crede dei signori parché in banca i gà i milioni.

Sempre in sfida con el mondo, so’ ogni cosa ‘na scomessa, no’ i se ferma pì on minuto, prigionieri de ‘a so’ pressa.

Quanto a ti, mantiénte chièto, vivi adesso el tempo e l’ora che i problemi i vien comunque, no’ xontàrghine par sora.

E continua a confidare che devénte bianco el moro, che qualcossa ‘a cambie st’ano rento in casa o so’ ‘l lavoro.

Vivi ‘a vita in legeréssa e po’ ascolta i sentimenti: se i dà gioia ‘e xé conferme, se i dà rogne, avertimenti.

Quanto a mi, mi son convinto che ogni cosa ‘a ghesse on senso, e che tuti i dì de st’ano i sia stati on dono imenso.

97


Il Giudizio Universale Ho sognato di esser giunto, con arcano volo astrale, nella val di Giosafàtte pel giudizio universale: tutti innanzi alla Sua faccia con al collo una bisaccia.

Stavan ritti attorno al trono, ben compresi dell’onore, reverenti i Serafini, pronti a un cenno del Signore: libro e spada a due di loro, gli altri avèano trombe d’oro.

Dio guardò nel libro aperto, delle trombe si udì il suono; primi vennero a giudizio, arroganti innanzi al trono, i re, i principi, i potenti, reggitori delle genti.

Come aprirono il fardello ne uscì il pianto degli oppressi, forte il grido di giustizia degli schiavi e i sottomessi: della gloria che avèan ieri eran pieni i cimiteri.

Si guardarono stupiti per la sorte tanto strana, quasi illusi che per loro non suonasse la campana: levò l’angelo la spada a mostrar per quale strada.

98

Poi i banchieri ed i padroni, che dal primo al giorno estremo han servito il capitale come fosse il Dio supremo, quei che al posto dentro il cuore han del sangue il plusvalore.


Fur costretti in un baleno, senza porre un’obiezione, ad aprire la bisaccia fatta in pelle di pitone, ed al posto delle azioni grigia cenere e carboni.

Fu la volta degli artisti, dei poeti e letterati, che hanno avuto dalla sorte i talenti più ammirati: titolari di un tesoro per creare pure loro.

All’interno della sacca, che reggèan con degnazione, sorde invidie l’un con l’altro, e bruciava l’ambizione, la ricerca dei successi come altari per se stessi.

Dio si volse verso loro, li guardò con delusione, come quelli cui fu dato d’imitare la creazione: colti in fallo stàvan muti come bimbi mai cresciuti.

Poi gli addetti dei servizi, brokers, osti e commercianti, che han trovato il posto adatto solamente tra i birbanti: hanno quasi avuto in mente soldi, affari e poco niente.

Ed appresso a quei signori volle i pubblici impiegati, già all’appello posti vuoti, si eran dati per malati: chi lo è stato fin da vivo dura a fare il lavativo.

99


Tocca adesso ai consacrati, dalle suore ai cardinali, e conforme al ministero, con le stole o i pastorali: han le chiavi dall’Eterno sia pel ciel che per l’inferno.

Dio guardò quei paramenti ad usar nei riti santi, fatti in seta, orlati d’oro, tempestati di brillanti, non vestivan sete ed ori nella chiesa degli albori.

Pensò ai primi missionari, scalzi al sole o con il vento, sulle strade dell’impero a portare il lieto evento, solo armati dall’ardore di annunziare il Salvatore.

Li fissò, poi disse loro: “Cosa volle in cambio Pietro? Chiese solo il privilegio di poter venirmi dietro. Voi talvolta avete fatto della grazia mia baratto”.

Poi chiamò con un sorriso gli operai e gli artigiani, fece tendere le braccia, guardò i calli delle mani: hanno fatto col sudore questo mondo un pò migliore.

100

E con loro tutti quelli che hanno avuto come fonte solo il pane guadagnato col sudore della fronte, quelli che han la vita intesa come un dono e una sorpresa.


Volle infine attorno al trono tutti gli ultimi del mondo, diede ognuno all’altro mano come a fare un girotondo: e mi parve in quel momento che Dio fosse il piÚ contento.

Si udĂŹ allora dalle trombe breve un suono familiare, giusto uguale a quello che usa per svegliarmi il cellulare: gli occhi apersi e tutto intorno giĂ danzava il nuovo giorno.

101


...a cavalo de on somaro...

102


Affetti e Ricordi

103


...chiesetta dei ricordi...

104


“Mulierem Fortem” (Prv. 31,10) Ti ho conosciuta dai tuoi anni acerbi, le lacrime con me hai diviso e i canti, tu sei la “donna forte” dei Proverbi, colei che è più preziosa dei diamanti.

E come perle, che nemmeno in sogno, l’amore sono stati e la tua fede, con te ho saziato intero il mio bisogno, io prima andavo come chi non vede.

Ho ancora le ferite sulla pelle d’aver seguito, illuso, ogni cometa; credevo di additarti io le stelle e invece tu sapevi già la meta.

E quando sono stato là, oltre il fiume, davanti solo la montagna oscura, sei stata tu a tenere acceso il lume e a farmi intravedere la pianura.

Ti sento amica, mia sorella, amante, custode dei miei intimi segreti, e nella vita assieme a me viandante alla scoperta nuova dei pianeti.

Cammineremo con il passo attento per non restare soli nella via, lasciando fra di noi danzare il vento per non coprirti l’ombra con la mia.

E’ dono averti accanto ogni momento, sentire che il tuo corpo cerca il mio, e, unito a te, sentirmi sacramento del grande amore che ci ha dato Dio.

A Daniela, mia moglie.

105


Un Lungo Amore C’è, Daniela, questa sera come un’onda di allegria, ma ogni posto è il mondo intero quando sei in mia compagnia.

Questo è il giorno che ricorda che ci ha stretti un lungo amore, sono tanti e tanti gli anni, più degli anni del Signore.

Ho pensato a quelli andati senza avere nostalgia, quando sei fra le mie braccia mai ti ho avuto tanto mia.

Ti sei data con amore e mi hai preso come sono, io ti ho dato la mia vita ed ho avuto la tua in dono.

Ci ha legati la passione, tanti sogni e fantasia, poi son giunte a noi le fate per svelarci la magia: a insegnarci con pazienza quale fosse la misura, quali i modi e quali i tempi di una storia duratura. Siamo come due viandanti che han diversa la veduta, ma ciascuno tende all’altro la sua mano a ogni caduta;

106

siamo simili a colonne che sostengono un altare, ma abbiam dato spazio al vento perché seguiti a giocare.


E per tutto questo tempo, fra un tornare e un ripartire, ci è rimasto intatto il gusto di cercare e di scoprire.

CosĂŹ ancora stiamo in mare, affidati alle onde e ai venti, sulle nostre caravelle verso nuovi continenti.

A Daniela nel 34° anniversario di matrimonio.

107


Selenia Tu sei nata che tutto dormiva, e bellissima come nessuna, con quel nome che un poco stupiva non sapendo venisse da luna.

Tu sei nata, e pareva normale, nello spazio dall’alba alla sera, cominciare a cambiare canale da ragazzi e immaturi che s’era.

Si pensava ad un gioco o un piacere che da noi tu apprendessi ogni cosa, ed invece tra il dare e l’avere è più un figlio che insegna qualcosa.

Tu cercavi orizzonti infiniti, e su questi volevi danzare, guardavamo i tuoi passi stupiti, e volando ci hai fatto volare.

Sul sentiero che corre al futuro stanno i figli due miglia più avanti, tu ci hai spinto ad abbattere il muro per seguirti non troppo distanti.

Poi l’Arciere Signor dalla giostra ha puntato tenendoti in mano, se anche l’arco non era da mostra, sei volata lo stesso lontano.

E ascoltando più il cuor che i pensieri hai percorso una nuova contrada, così andando per mille sentieri sei riuscita a trovar la tua strada.

108

E tu adesso hai capito da madre cosa sia l’avventura di un figlio, che significhi assieme a suo padre diventargli rifugio e consiglio.


E domani anche voi fra le dita tenderete quel arco pel tiro, per scoprire che in fondo la vita è com’è una partita di giro,

che pareggia se dĂ oppure nega, e non lascia cadere mai niente, lungo un filo che tutti ci lega e continua a portare corrente.

A mia figlia Selenia, insegnante di danza.

109


Manuel Tu che adesso hai deciso di andare per riuscire a bastarti da solo, hai capito che cosa sia osare, che significhi prendere il volo.

E librarsi e contar solamente, nel vedere la vetta di fronte, sulla voglia che nasce potente di guardare anche dietro a quel monte.

E avanzare spendendo il coraggio, e ogni dì rinnovar la scommessa, per scoprire che è solo nel viaggio ogni approdo alla terra promessa.

Son vent’anni, e mi pare sia ieri, che si andava a giocare in un prato: eran gli alberi antichi guerrieri, era l’elmo un pallone tagliato.

E a cavallo di un ramo di faggio combattevi coi draghi e il destino: era gioco ed insieme coraggio, come solo può fare un bambino.

Tu oggi hai vinto le ansie e i timori che fa nascere dentro il pensiero, ed hai visto che assieme ai colori trovan posto sia il grigio che il nero

e scoperto qual dono è la vita, pur se resta la via pel futuro qualche volta una strada finita, e più spesso un angusto tratturo,

110

lungo il quale si avanza a fatica, molti tratti lasciando il sudore: ti sorregga la musica amica e t’infonda fiducia e vigore.


LassÚ in cielo da dove si parte per quel viaggio che subito scordi, forse hai preso per dote quest’arte, gli spartiti, le note, gli accordi.

E ora puoi con lo studio e il talento ricercar quella arcana armonia, e donarla, se credi è il momento, che alla vita regali magia.

Spero in cuore che adempia ogni voto, tutti i sogni che tieni di scorta, ma partendo hai lasciato del vuoto come hai chiuso alle spalle la porta.

Quando a sera son presso a dormire, e confondo i progetti e i ricordi, quasi in aria mi par di sentire una nenia di teneri accordi.

A mio figlio Manuel, musicista.

111


Ad un Adolescente Sei come un diamante ch’è appena scoperto, non sai lo splendore che occultan le scorie, che guarda, nemmeno il grande Koh-i-noor.

Sei chiuso all’interno di un marmo prezioso, non sai che stupenda figura tu porti, che guarda, nemmeno la dolce Pietà.

Non è ancora nato il maestro del taglio che possa sbozzarti in facce splendenti: tu solo puoi farti riflesso del sol.

Non è ancora nato l’artista per dare profili completi all’opera d’arte: di questa i segreti son dentro al tuo cuor.

A mio figlio Damiano.

112


Notte di San Lorenzo Signore, in questa notte che il cielo piange stelle, io conto le ferite che porto sulla pelle: il resto di battaglie che puntualmente ho perso, che adesso mi domando se posso esser diverso. Diverso per coloro che tu mi hai messo accanto, per vivere la gioia, per consolare il pianto.

Ad ogni nuova sfida, in fondo al cuore attinta, sentirmi come spalla per prendere la spinta,

decisa quanto basta, a oltrepassare il muro, felici di volare nel proprio cielo azzurro.

Guardar con tenerezza ai primi incerti amori, sentirmi solidale coi loro ingenui errori.

La mano aperta e tesa e il passo ben sicuro mentre li accompagno discreto nel futuro.

E quando sentiranno di andar senza timore, poter soltanto dire: l’ho fatto per amore.

113


Le Carezze Ho cercato in fondo al cuore, nel recesso più lontano, ed ho visto quante sono le carezze di una mano; ed insieme ho visto come, che sian tante o solo alcune, ma ogni tempo ti sa dare le carezze più opportune.

Le carezze della donna, che ti prese un giorno il cuore, san guarire le ferite con la forza dell’amore: sono come riposare dopo un lungo viaggio incerto, son preziose come quando scopri l’acqua nel deserto.

Le carezze dell’amico, che ti sfiora appena appena, sono balsamo versato per lenire la tua pena; lui non cerca le ragioni, crede solo alla tua voce, poi fa come il Cireneo, prende in spalla la tua croce.

Le carezze di una donna mentre allatta il suo bambino hanno dentro un’altra luce, qualche cosa di divino: sembra quasi che il Signore, con l’aiuto d’una madre, voglia darci almeno un’ombra, un barlume suo di Padre.

Le carezze degli amanti, prima incerte e dopo ardite, che sfiorando il paradiso sanno aprirsi ad altre vite; son l’amore da cui nasce

114


ogni singola persona, quel amor senza aggettivi, che si prende e che si dona.

Le carezze sono come leggerissime farfalle, che ti avvolgono danzando, non ti gravano le spalle, ma ti fan sentire amato, colman vuoti, dan certezze, e altre cento cose ancora sanno fare le carezze.

115


La Leggenda Delle Genziane Racconta la leggenda che un giorno Dio ha deciso di avere degli uomini riflesso ogni sorriso.

Discese sulla terra per ricercare come fissare quegli istanti, chiamarli con un nome.

E dopo lungo andare sedette e spezzò un pane e vide che fiorivano intorno le genziane.

Gli piacque quella forma di calice profondo a contener le gioie, le lacrime del mondo.

ParĂŠan la sola vita che cresce su uno stelo a prendersi il colore direttamente in cielo.

Commosso Dio e stupito da quell’ azzurro intenso comprese che il suo viaggio trovava il suo compenso,

e fece che da allora sbocciasse questo fiore se un uomo avesse a un altro sorriso con amore. A Daniela

116

Poi mentre ritornava felice in Paradiso negli occhi suoi brillava dolcissimo un sorriso.


Le Tue Mani Stanotte dormivi d’un sonno profondo, ad ogni respiro, con lieve pressione, sentivo il tuo seno sfiorare il mio fianco al ritmo di qualche segreta canzone.

Hai steso le braccia, posate al mio petto, lasciandole inerti fin quasi al domani, e allora ho potuto stanotte ascoltare la storia di queste incredibili mani.

Di quando bambina, di appena pochi anni, lasciavi i tuoi sogni, coi giochi e il saluto per dare sostegno, conforto e coraggio al padre e alla madre di un figlio perduto.

E dopo fanciulla, davanti alla voglia di essere donna e potere apparire, cercasti lavoro ed in questo le mani divennero esperte a tagliare e cucire.

E giovane ancora trovato hai l’amore, scoperto le gioie, gli slanci e amarezze, e come la vita in continuo si tesse di minimi gesti scambiati a carezze.

E poi quattro volte, per ogni tuo figlio, sapevi paziente seguire piÚ vie, e mentre rendevi leggero l’andare, con mani di fata compivi magie.

Infine con esse hai cercato il sapere, sfogliato i vangeli, coi veda e i corani, ma accorta al rispetto per ogni pensiero: per questo son sacre per me le tue mani.

A Daniela

117


Arminio No’ so se posso mi, Armìnio, contare tuta ‘a to’ storia, ‘e to’ ansie e i pensieri, visto che questi ì s’incrósa co’ i mìi: quasi fò ‘e robe che paro ti ieri.

Ma tento in stesso de métere in versi qualche ricordo e le cose sentìe, picole storie de on mondo scomparso, che a non racontàrle no’ ‘e pàr esistìe.

E me rivedo ‘a matina col scuro, ti te ne svéj pian pian co’ la vose, calmo spetàndo che fòssimo in pìe par farne fare el segno de ‘a crose.

Quando che tuto finiva so’ ‘a stàea te ne ciamàvi par altri mestieri, spacàr sù legna, o andare par fóje, sempre co’ i sòiti lavori de iéri.

Ma tuto l’ano coreva so’ on punto, che gera l’unico fisso pensiero: che no piovésse al momento del fén che ‘l scomissiàva a partìr da Sanpiero. Rivàva alora da xó i segantini che i ne jutàva a tajàre el foràjo, ti te i pagavi pa’ on dì de lavoro on chìo de butiro o due de formàjo. Gera ‘na festa par n’altri tosàti, a parte ‘a fadìga a slargàre i antóni; te ne ciamàvi se ‘a false catàva par tera on gnaro col mièl dei mosconi.

Gò ancora in mente le vose e i rumori, sbajàr de cani, ciamàr ‘na putèa, dal Col de i Pare rivàva col vento spesso el burlare de ‘a Perla o de ‘a Stèa.

E me ricordo se alsavo on fià i oci e pa’ on momento i fissavo in Caséo,

118


ghe gera sempre on falchéto a spiàrne là so’ l’azùro, dal fondo del céo. Co’ i primi fredi el tàjo de ‘e legne, l’unico modo a podérse scaldare, ti te fasévi pa’ intere giornate forte sol bosco ‘a manàra cantare. Tiràr su ‘e fòje o i capùssi da l’orto, tanti i lavori da fare al l’esterno: tosi, fé in pressa che là sù in montagna spesso co’ i Morti rivàva l’inverno.

Romài da tanto te si andato via, ma ghemo rento on ricordo che resta: l’essere stato ti on omo de pace, uno che usava pì el cór che la testa.

Ti, come Abramo, soltanto ‘a to’ fede e pochi punti pa’ aver sicuressa: ‘na dona forte fedele al to’ fianco e ‘a Val de’ ‘e Saìne par tera promessa.

E come Abramo anca ti te ghè visto i fìoj de to’ fìoj, ‘na vera piantà, no’ cossì tanti fa ‘a sàbia del mare, ma quasi quanti i fastùghi de on prà.

Mi spero, Armìnio, che su in paradiso te cati ancora calcòssa da fare, se cresse l’erba che on àngeo te ciàme a bàter ‘na false o on prà da segare,

e verso sera co’ spunta la luna e sora i monti la fa maramèo, ciàma ‘a tò vécia e vardè come sia ‘a Val de ‘e Saìne da l’alto del cèo.

A mio padre Ermino.

119


Barnardo Ti alòra de ghevi romài sinquant’ani, i conti co’ ‘a vita già fati bonóra, ‘na vója de esìstere, vivere e fare, so’ ‘e spàe ‘na faméja da crèssere ancora.

Xé sóeo de qualcuno podér ricordàrse l’esàto momento che ti te ‘o ghè scorto; sarà pure on caso, con ti xé sucesso, e gera in montagna de soto de l’orto.

De queste montagne te ghevi bisogno pa’ farte el foràjo da usare do’ in piano; te stavi tre mesi con tuta ‘a faméja, e gera el periodo pì atéso de l’ano.

Chissà quante volte portando xó el fén ‘a testa dal Grappa te xé scampà via, distante a quel tempo, robà a ‘i to’ vent’ani, so’ i monti del Kòssovo e de l’Albania,

e dopo in Germania, cantieri de ‘a Todt, tratà come schiavo, passando da’ infame, vedére i compagni morire fa’ ‘e mosche, stremài da ‘l lavoro, da ‘l fredo, da ‘a fame.

Ripenso a i raconti so’ i fati de ‘a guera: bastava sentirte pa’ entràrghe nel clima, i posti precisi, i minuti, i secondi, pareva che fusse sucesso el dì prima.

E ancora stupìsso che tute ste’ storie, pur fate de sangue, de merda e sudore, no’ ‘e fusse bastàe a farte dire paròe no’ digo con odio, ma gnanca rancore.

120

De certo te ghevi, e par questo t’invìdio, serena ‘a cossiénsa, e ‘na pace de fondo de chi gà già dato e camina sicuro, de chi no’ gà conti in sospeso col mondo.


Mi adesso ‘o ritègno on regàeo e ‘na fortuna par èsserte stato da rente cossìta, e sempre sentìo come uno de casa da quando ‘a to’ tosa xé entrà ne’ ‘a me vita.

Ma on giorno de inverno, là intorno a Nadàe, te ghè, chissà come, deciso de andare, par come partìo pa’ seguìre on richiamo, da solo, in silènssio, pa’ no’ disturbare.

E quasi on denòcio abondante de neve, precisa de quéa già pestà in Albania, xè apàrsa nel giorno del to’ ultimo viàjo, vegnèsta pa’ farte cossì compagnia.

E desso là in sima, da rente al bon Dio, ti slonga ‘na man sora ‘a testa ‘a to’xente, che ‘a par pì del dópio da quanto ‘a xé viva, ma sempre ‘a continua a sentirte presente.

A mio suocero Bernardo Zilio.

121


A Mario Sartore Sei passato, negli occhi un sorriso, lungo giorni non tutti felici, tu che credo pensassi alla vita quasi come a una corsa di bici.

Poi, improvvisa, la strada davanti è salita, facendosi stretta, e hai tagliato l’estremo traguardo come quando scalavi una vetta.

E ai tuoi cari hai lasciato il ricordo di chi è forte, ma sa la dolcezza, e per tutti rimasto è l’esempio di una vita trascorsa in pienezza.

E dal posto ove adesso riposi guardi ancora nel cuore agli amici con quegli occhi che sembrano dire: mi onorate se siete felici.

Un amico morto a 52 anni. Innamorato della bicicletta.

122


atese Longo ‘a strada del futuro corri, toso, a perdifiato verso el sogno, fursi mato, ma permesso sol che a ti.

Méjo el sogno fora testa de qualcuno inamorato de chi invésse sta a ‘a finestra par vedér se vien Godot.

sensa assàrte che a ogni svolta ti te possa ‘ndar su e xó.

Ma pa’ intanto basta apena de slongare on fià la vista par riussìre ne’ ‘a conquista che sentìmo rento al cor.

Parché el treno de a to’ vita passa fursi sòeo ‘na volta,

Tuti ghemo l’ocasione de inseguire ‘e nostre atése, salvo ‘e rogne e le sorprese che ‘e compagna la realtà.

123


El Compleano Vien de vénere el me compleàno, ma no’ penso el sia on dì sfortunato, ogni dì el tién in man ‘a so’ perla, gera vendre anca el dì che son nato.

Ancó compio sessanta du ani, e ‘a me pare ‘na gràssia infinita, mi no’ so se mi i son meritài, ma par tuti ringràssio la vita.

No’ me volto a vardàre al passato, che da darme pì ormài nol gà gnente, el futuro el xé ancora on segreto, mi intaréssa a gustare el presente.

Cossì allora me also ogni volta co’ la vója de andare de slancio, ma arivàto a stò punto de ‘a corsa me par serio tentare on bilancio.

Gò par sempre ‘na dona, e che dona, no’ vorìa on amore diverso, quatro fiój, e con lori se forma ‘na faméja col drito e el raverso.

Gò ‘na casa comprà co’ i me soldi, resa calda da ‘a dona al me fianco, che sa téssere e ròmpere ‘a tela, e vedér se xé nero o xé bianco.

Na saeùte fin poco de fero. qualche rogna, pa’ adesso s’intende, tanti amici da star ben insieme, on lavoro che piase e che rende.

124

Ne i raporti mi credo coreto, qualche volta magàri pandòeo, co’ gò dito son stà de paròea, e par questo me aplaudo da sóeo.


Fin qua ‘a corsa ‘a xé stata serena, controvento talvolta no’ fàssie, gà servìo èsser bon rìder sora ai difeti e a le poche disgràssie.

Par finire, durante la corsa, gò sercà de no’ star massa indrìo, no’ me sento maestro de gnente, ma qualcòssa anca mi gò capìo.

Gò capìo che tuto xé dono, no’ xé a caso nepùre el dolore, e par questo de tuto e de tuto, ma de tuto ringràssio el Signore.

ó é

125


Indice pag.5

Prefzione

Radici Val de’ ‘e Saìne Val Saline Chiesa di S. Giovanni Chiesetta del Lepre Romano d’Ezzelino S. Nazario El Sanguanel e el Basaisco Alpe Madre Solagna

Le mie Radici

pag.11 pag.12 pag.14 pag.16 pag.17 pag.18 pag.19 pag.20 pag.22 pag.23

Silenzi, Natura ed Emozioni

pag.27 pag.28 pag.29 pag.30 pag.31 pag.32 pag.33 pag.34 pag.35 pag.36 pag.37 pag.38 pag.39

Il Silenzio dei Monti La goccia d’acqua Su una Collina Caminar De matina ‘a Luna In Valle Aurina Sotto la Tridentina Il Vento Il Temporale Tramonto La Margheritina Incanto - Magia - Notte - Inverno

Riflessioni e Considerazioni

126

pag.43 pag.44 pag.46 pag.48 pag.50 pag.52 pag.54 pag.55 pag.56 pag.58 pag.59 pag.60 pag.61 pag.62 pag.63 pag.64 pag.66

Cossiensa Panta Réi Tempi andai La Statistica Ciatar su Internet El Silenssio ‘E Votassion El Progresso Qualche volta me Domando El Viajo Gli Artisti Composizione parenetica El Gato ‘E Rughe El Musso e i mezi Somari 8 Marso ‘A Celulite


Pensieri e Parole

Affetti e Ricordi

pag.71 pag.72 pag.73 pag.74 pag.75 pag.76 pag.77 pag.78 pag.80 pag.81 pag.82 pag.83 pag.84 pag.86 pag.87 pag.88 pag.89 pag.90 pag.91 pag.92 pag.93 pag.94 pag.95 pag.96 pag.97 pag.98

Preghiera Ricordi Sogni Paroe de ‘na volta ‘E Carte L’ultima Poesia I Poeti Fare Poesia Poesia Solitudine Utopia La Strada Guardia Notturna Al Marcà El Risparmio Goal Aprile Alcune Cose ... 4 Novembre Poesia di Natale La cartolina di Natale El Natale de Adesso Il Buon Pastore Il Perdono Fine de st’ano Il Giudizio Universale

pag.105 pag.106 pag.108 pag.110 pag.112 pag.113 pag.114 pag.116 pag.117 pag.118 pag.120 pag.122 pag.124 pag.125

“Mulierem Fortem” Un Lungo Amore A Selenia A Manuel Ad un Adolescente Notte di San Lorenzo Le Carezze La leggenda delle Genziane Le tue Mani Arminio A Barnardo A Mario Sartore Atese El Compleano

127


Finito di stampare nel mese di Ottobre 2010

128




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.