La Loggia di Piazza

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La Loggia di

Piazza

appendice alla Storia di Bassano del Grappa - Volume 1

In collaborazione con Promo Bassano PiĂš



In occasione del Restauro - Luglio 2015

La Loggia di

Piazza

appendice alla Storia di Bassano del Grappa - Volume 1

In collaborazione con Promo Bassano PiĂš


Il Comitato per la Storia di Bassano, fondato già nel 1980, promuove e pubblica notizie, informazioni, documenti relativi alla storia di Bassano del Grappa per favorire la conoscenza di fatti e personaggi che nel corso dei secoli hanno segnato le vicende della città.

La Loggia di Piazza opera restaurata su iniziativa della Promo Bassano Più con la famiglia Loss con il contributo di Banca Popolare di Vicenza e Banca Bassano con la collaborazione organizzativa e logistica dell’Associazione Pro Bassano e dell’Associazione Arti per Via

Referenze fotografiche pag. 6 - Eugenio Rigon pag. 36 - 40 - MBA Musei Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa (*) pag. 100 - 102 - 103 - Renzo Stevan pag. 20 - 22 - 38 - 88 - 94 - 95 - 98/99 - 100 e foto di copertina Mario De Marinis (*) “Su gentile concessione MBA Musei Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa” con il divieto di ulteriore riproduzione e duplicazione con qualsiasi mezzo. grafica e coordinamento editoriale Mario De Marinis Finito di stampare nel mese di Aprile 2017, presso la litografia Grafiche Fantinato a Romano d’Ezzelino (VI)


indice Nota del Sindaco Introduzione del Presidente Comitato per la Storia di Bassano

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Giamberto Petoello La Loggia di Piazza 9 Esempi e prototipi: luoghi di logge nel Duecento 10 Le occasioni urbanistiche 10 L’origine della Loggia, la funzione e la composizione dello stabile prima del 1441 11 Il rifacimento del 1441 14 Logge e locali per la loggia 17 Franco Scarmoncin e Lucia Verenini Un affresco misterioso 23 La dedizione di Bassano a Venezia 30 Podestà e Capitani a Bassano 31 Nota alla presentazione degli scudi 39 Renzo Stevan e Eugenio Rigoni Stato di fatto e di conservazione 89 Il materiale lapideo 93 Il soffitto di legno 93 Le parti metalliche 95 Pavimento 95 Il consolidamento e la protezione, piano metodologico e intervento 97 Restauro conservativo dei materiali lapidei 101 Stuccatura 101 Restauro del soffitto ligneo 103 Restauro delle parti metalliche 104 Ritrovamenti e curiosità emersi nel restauro 105


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PROMO BASSANOPIÙ


Città di Bassano del Grappa

Preziosa e attenta realtà cittadina, il Comitato per la Storia di Bassano prosegue nel suo intenso lavoro di ricerca, studio e approfondimento raccontandoci un nuovo angolo della nostra città, cuore del cuore del centro storico. La Loggia di Piazza, da tutti conosciuta come Loggetta, pregevole balcone dal quale affacciarsi sulle nostre piazze e allo stesso tempo palcoscenico ideale per esposizioni e incontri dal valore altamente simbolico, tramanda una parte importante del nostro passato grazie agli stemmi affrescati dei primi podestà veneti, così sapientemente e generosamente restaurati grazie all’impegno della Promo Bassano Più, della Pro Bassano e delle Arti per Via. Grazie allo studio di Giamberto Petoello, Franco Scarmoncin e Lucia Verenini, e alle analisi tecnico-architettoniche di Renzo Stevan, riunite in questo volume, possiamo ora conoscerne meglio la storia e le vicende che l’hanno caratterizzata, approfondendo dettagli che ci permetteranno, nella quotidianità, di meglio apprezzarne i significati e il valore della sua realizzazione e delle successive decorazioni. Un sincero ringraziamento, da parte mia e dell’Amministrazione comunale, al Comitato e alle realtà cittadine che con grande passione valorizzano il nostro passato operando con passione civica nel presente.

Il Sindaco Riccardo Poletto

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PRESENTAZIONE

“Molte sono le città in cui i municipi o i locali ad essi annessi, sono stati decorati con stemmi riguardanti gli amministratori locali. Bassano non fa eccezione. Ha ritenuto doveroso ricordare nella Loggetta del Municipio prospiciente Piazza Libertà, i podestà nominati dalla Repubblica di Venezia per amministrare la città. Come si sa Bassano ha fatto parte, dal 1404 e per quasi quattro secoli, del territorio governato dalla Serenissima, che ha esercitato il suo potere attraverso la presenza di suoi delegati. Molti di essi sono ricordati negli stemmi che in un recente passato sono stati recuperati e restituiti alla città da un meritorio intervento da parte di Promo Bassanopiù. Ora, grazie ad un contributo della Regione Veneto e agli interventi importanti del prof. Giamberto Petoello, del Prof. Franco Scarmoncin e dell’Arch. Renzo Stevan ci viene data la chiave per una lettura storico, artistica ed architettonica degli stemmi stessi. Ancora una pagina di storia che ci illumina su un particolare periodo del lungo cammino della nostra città.” Per questo consideriamo questo lavoro una appendice importante della “Storia di Bassano del Grappa”degna di affiancare gli importanti contributi in essa raccolti.

Il Presidente Comitato per la Storia di Bassano Sen. Pietro Fabris

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La Loggia di Piazza Il termine “loggia”, nelle città e borghi di tradizione comunale, indica per lo più una struttura architettonica, a uno o a più piani, interamente aperta su almeno un lato e comunicante con i luoghi di strada o di piazza, più o meno direttamente. Ne esistevano di private, come la Loggia dei Militi a Cremona o quella dei Cavalieri a Treviso, e di pubbliche, destinate alla pattuizione di affari o all’adempimento di obblighi politici o istituzionali, come la celebre Loggia dei Lanzi a Firenze o quella del Capitano, progettata a Vicenza da Andrea Palladio. A Bassano funzionavano 4 logge attrezzate fra il XIV e il XVI secolo e oggi più o meno riconoscibili rispetto al tempo della fondazione. La più importante, dal punto di vista della storia amministrativa di Bassano, è quella che guarda su piazza Libertà. Abbastanza conservata, si distingue fra gli altri suoi caratteri per essere stata dipinta nel 1558 dal famoso Jacopo Dal Ponte, con un lavoro quasi interamente perduto. La facciata, inoltre, è segnata da un orologio sistemato nel 1746 – 1747 da Bartolomeo Ferracina che nel 1752 - 1757 rinnovò l’orologio della Torre di Piazza San Marco a Venezia, nientemeno. Questa scheda, insieme con le altre di cui si compone la pubblicazione, è dedicata alla storia dell’edificio nel contesto dell’evoluzione urbanistica e amministrativa della città. Viene proposta come traccia storiografica, con molte novità e con la correzione di parecchi errori, di uno studio sistematico e scientificamente condotto sul complesso, da elaborare con il concorso di più autori, ciascuno per la propria competenza specialistica. Molto resta da fare. La ricerca della documentazione è in buona misura da completare. Rimangono non pochi dubbi sull’interpretazione delle testimonianze di interventi nell’edificio, non corredati, fin dentro l’Ottocento, dai relativi disegni di progetto. Le poche immagini che rappresentano la loggia o i suoi particolari, entro il Settecento, non sono sempre affidabili e omogenee. Manchiamo dei dati di scavo e di analisi stratigrafica delle vecchie murature, non disponiamo di un’adeguata rilevazione dell’intero complesso nel quale, comprendendo l’attuale Municipio, si sono progressivamente integrati edifici contigui e, all’origine, indipendenti. La documentazione fornisce solo indizi, utili comunque, sui sistemi di risalita (le scale), sui collegamenti tra locali a differente quota di solaio, sul cambiamento delle destinazioni d’uso. Il recente restauro ha meritatamente avviato la precisazione dei tempi di fattura dei frammenti di affresco che si trovano, spesso sovrapposti, sulle pareti dell’aula centrale

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del fabbricato che, propriamente, era quella riservata alla loggia e oggi visitabile. La loro datazione, per alcuni settori di difficile lettura, è ancora provvisoria, in attesa di ulteriori accertamenti. La scheda, che in questa sua prima parte si estende temporalmente fino all’avvio del Cinquecento, abbraccerà al compimento del lavoro, già a buon punto ma non ancora definito, il periodo fra la metà del Trecento e la fine del Settecento. Non comprende perciò la vicenda dell’edificio, per molti aspetti rilevante e complessa, fra la caduta di Venezia nel 1797, la definitiva perdita dell’autonomia istituzionale di Bassano nel 1805 e i nostri giorni, della quale si stanno occupando anche altri autori. Il linguaggio è intenzionalmente semplificato, con qualche ripetizione nella scrittura. Le informazioni sono state ricavate direttamente dai documenti, quasi sempre manoscritti. Vista la sua attuale destinazione e per non aggravarlo, il testo non è qui puntualmente corredato, come d’uso, di note bibliografiche o di collocazione archivistica delle fonti consultate. Per favorire la lettura, le citazioni d’epoca sono state tradotte o trascritte in italiano salvo i rari casi in cui ho ritenuto di riportarle come stanno, in latino o nel veneto del tempo. Le strade e le piazze vengono indicate con i nomi attuali, per facilitarne il riconoscimento.

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Esempi e prototipi: luoghi di loggia nel Duecento La loggia è un punto di aggregazione che ha significato nel contesto urbano e nella sua storia. Bassano, in estrema sintesi, è un insediamento che arriva a definirsi nel Medioevo. La pieve di Santa Maria è registrata nel 998, il nome di Bassano nel 1085, il castello superiore nel 1150. All’interno del primo circuito di mura urbane emerge, dall’inizio del Duecento, la piazza del Pozzo nell’area oggi del Piazzotto del Monte Vecchio. Verso il suo limite settentrionale si appostavano due palazzi dei potenti signori Da Romano : Alberico e, fra il 1239 e il 1259, suo fratello Ezzelino, dominatore di una larga parte del Veneto. Almeno uno di questi palazzi, dopo la morte violenta dei Da Romano, nel 1259 – 1260, diventò la sede del comune di Bassano. Nel 1293, ma la situazione risaliva al tempo di quei signori, il palazzo aveva ai lati, con gli annessi cortili murati, due porticati : decorato in affresco quello ad est. Sotto questo “portico dipinto”, segnalato una volta anche come “loggia”, si trattavano prestiti, accordi e affari. Convenzioni del genere avvenivano pure “sotto il padiglione del comune di Bassano”, dichiaratamente appartenuto alla famiglia Da Romano, posto sulla piazza e “fatto di legno e coperto di paglia”, come si precisa nel 1293. Il padiglione fu poi eliminato e il portico venne chissà come adattato, piuttosto che distrutto. In questi due impianti sono da riconoscere i precedenti della nostra loggia, tramandati nella memoria amministrativa di Bassano. Le occasioni urbanistiche Il segmento meridionale del primo giro delle mura urbane, di cui c’è più sicura notizia nel terzo decennio del Duecento, andava dall’odierno palazzo Sturm a una zona vicina alla torre di piazza Garibaldi, costruita più tardi. Passava, grosso modo, lungo il margine nord di piazza Libertà dove, nell’intorno (ad ampio raggio) dello sbocco in essa di via Matteotti, si apriva la porta del Leone, sorvegliata o inclusa in un “girone”, una


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ridotta militare di ulteriore fortificazione. Al piede delle mura, verso sud, correva un vasto fossato a secco, di rinforzo alla difesa delle cortine. L’ampliamento del circuito delle mura intorno al borgo (il secondo), occasionato dal timore di un assalto scaligero, avviato nel 1312 e forse già definito nel 1338, comportò il radicale riassetto dell’area urbanizzata, ingrandita di circa quattro volte. Il limite della difesa e alcune porte si erano spostate a sud e a est. Le opere militari verso la piazza Libertà diventavano inutili e furono progressivamente abbattute o incluse negli stabili che si affiancarono a ridosso, da nord. Il fossato sotto le mura, di conseguenza, fu riempito di terra, trasformandosi nello spazio aperto della piazza Libertà (e dell’altra, confinante a est, oggi intitolata a Garibaldi) che divenne il cardine di tenuta urbanistica e di convergenza dell’intera città. La definizione dello slargo iniziata, si può credere, nel terzo decennio del Trecento era ragionevolmente già realizzata nel 1349 – 1350 e venne perfezionata nella seconda metà di quel secolo. Proprio qui, nel suo angolo di nord est, trovò logicamente posto la nostra Loggia. Guardava gli accessi mediani e di angolo nel campo della piazza, di cerniera e di snodo fra la parte antica del borgo e quella che si era aggiunta. Si proiettava sulla discesa dei Portici Lunghi e sul Porto di Brenta, sulla ricchezza delle merci, cioè, che andavano o risalivano dal fiume. Prospettava la chiesa di San Giovanni (eretta da privati nel 1308, con l’annesso ospedale) e un monastero femminile lì accanto. Si accostava, lungo la direttrice della via Matteotti che si prolungava a sud per la via Roma, all’asse principale di attraversamento del borgo, indirizzato a nord verso la Valsugana e il Tirolo e a sud verso Padova. La loggia, dunque, rappresentò “l’occhio del controllo radente del (nuovo) baricentro urbano” che dall’alto, a tutto orizzonte, era sorvegliato dalla “torre grande del comune” sopra la piazza Garibaldi. L’origine della Loggia, la funzione e la composizione dello stabile prima del 1441 Fino a qualche decennio fa si riteneva che la loggia fosse stata fondata nel 1405, un anno dopo l’acquisizione di Bassano da parte di Venezia. Sappiamo adesso invece che l’impianto era già in essere nel 1389 quando la città, da un anno, era passata nel dominio dei Visconti. Negli Statuti bassanesi del 1389, allora concessi, si prevede un aumento di pena per le aggressioni commesse “sotto la loggia o sopra la piazza del comune o sotto i portici o le botteghe che sono intorno alla piazza... intendendosi comprese nella piazza anche la contrada della biada, per quanto si estende il palazzo lungo la predetta contrada”. Non c’è dubbio alcuno che la “contrada della biada” corrisponda a via Matteotti e che il palazzo citato sia il nostro Palazzo Pretorio, di antica fondazione. Lì, appunto, “nella contrada della biada, nel palazzo di residenza” stava nel 1401 Gerardo Aldighieri capitano visconteo del distretto, araldicamente raffigurato sulla Porta Dieda, intorno al 1397. Per coerenza di luoghi, di conseguenza, anche la loggia riferita dagli Statuti del 1389 non può essere che questa, sulla piazza Libertà. Nel 1400 è chiaramente accennata “la loggia nuova, situata sopra la piazza”. L’ultimo restauro ha poi evidenziato dei settori affrescati assegnabili alla fine del XIV o agli inizi del XV secolo come una parasta ornata a intreccio di fogliame e sormontata da un busto a testa

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d’uomo, di singolare spicco, sullo spigolo di nord est della sala. Le testimonianze scritte e quelle materiali concorrono dunque ad anticipare l’impianto della struttura, attestata nel 1389 e, con buona probabilità, ancora prima messa in opera, nel periodo della dominazione di Bassano (1339 – 1388) da parte dei Carraresi, signori di Padova. Del resto, in questo angolo di grande energia urbana e simbolica si appostavano a quel tempo edifici di qualità. La casa ora Pasqualon, lì inserita nella schiera di edifici che divide le due piazze, accoglie al suo interno affreschi della prima e della seconda metà del Trecento e sulla facciata di piazza Libertà, ai numeri civici 5 e 7, reca uno stemma di alleanza fra il re di Francia e Gian Galeazzo Visconti, con i gigli e la vipera viscontea, dipinto nel 1394. Non sappiamo quale aspetto avesse la loggia sul finire del Trecento. Poco dopo l’arrivo di Venezia, nel 1404, venne adattata ma non certamente rifondata. Nei mesi di maggio – luglio del 1405 si sollecitava il pagamento dei “maestri che lavorarono a fare la loggia” ovvero, più precisamente, “a ripararla”. Nel 1410 l’amministrazione abbassava di molto l’onere dovuto dall’affittuario di un immobile comunale confinante a ovest con “la loggia del comune”. Qualche anno prima, infatti, il suo possesso era stato ridotto “per fare e ampliare la loggia del comune” : verso est, evidentemente. Fino al 1441 disponiamo di poche informazioni sulla struttura. Alcune si ricavano indirettamente, hanno valore di suggerimento e non ancora di prova. Sull’angolo di nord est dell’aula si incassa, appena rialzata sul pavimento, una nicchia figurata dal frammento in affresco di un Cristo, a mezzo busto, ignudo, accostato da una figura femminile con aureola. La sua interpretazione è problematica e meritevole di uno studio particolare anche per ciò che riguarda l’appostamento. Attualmente è infatti preceduta da uno scivolo ricoperto e sovrasta una doppia grata di ferro che dà luce a un sottostante e contiguo locale di una bottega in pianterreno, non inclusa nella muratura d’ambito del nostro edificio. La stesura pittorica, in attesa di una più esaustiva verifica, è stata assegnata all’incrocio tra settimo e ottavo decennio del Trecento, forse inerente a una piccola e preesistente edicola successivamente integrata nella compiuta definizione della loggia. Con ogni cautela, andrà tentato un confronto urbanistico con un’altra edicola decorata da una Madonna nella chiesetta delle Grazie presso l’omonima porta (già di Mazarolo) della seconda cerchia urbana, sul Viale di Martiri. Per adesso, sulla base dei dati disponibili e al solo fine dello svolgimento del discorso che qui interessa, basta dire che la datazione dell’insieme, in questa che secoli dopo veniva ancora riferita come “nicchia della Madonna”, non può andare oltre il 1441. Nel 1442 è richiamata l’esistenza su una parete interna dell’immagine di San Marco (nell’aspetto del leone alato?), segnata sotto il piede da una linea rossa che non poteva essere superata dal rivestimento a cocciopesto di un solaio che si stava allora costruendo: al livello, parrebbe proprio, di quello che c’è oggi, sopra i negozi inseriti alla base della loggia. In entrambi i casi, bisognerebbe ammettere che la lettura delle figure, prima del 1441, in maniera non sacrificata, avvenisse da un livello più basso e quando ancora non c’era il divisorio di un solaio che ostacolava la visione delle immagini. Dalla piazza si accedeva direttamente alla loggia per una porta, documentata nel 1426


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: alla stessa quota o poco più, sembrerebbe. L’edificio era contenuto a est da una parete di muro, non sai quanto alto, sul quale nel 1431 si consentiva a un privato l’infissione di un bordonale per costruire una casa, in terreno del comune. Questa era dotata anche di un portico la cui abusiva chiusura fu onerosamente sanzionata, con condono edilizio, nel 1456. L’amministrazione, nel 1424, commissionava un orologio meccanico. Nel 1428 ne ordinava un altro, con la spesa di circa 50 ducati, a mastro Corrado da Feltre, un po’ fabbro e un po’ tecnico idraulico, che andò collocato con qualche ritardo “sopra la loggia della piazza”, nel 1430. L’inserimento di un orologio nel suo prospetto segna uno stacco con il passato. Sull’esempio delle città che vuole imitare Bassano si dota di una misura del tempo più accurata e “civilmente” significativa rispetto alle meridiane. La loggia dove stava l’orologio acquistò di prestigio e diventò di obbligato riferimento per le attività regolate dal tempo, quelle della giustizia e dell’amministrazione in particolare. Da allora e per secoli, il comune stipendiò un orologiaio, spesso a contratto poliennale, che manteneva in ordine la macchina registrandone la scansione delle ore nelle diverse stagioni. Non c’è quasi funzione comunitaria che non abbia nella loggia trovato svolgimento. Era, per esempio, luogo di annunci, di bandi e di appalti, di vendita dei beni confiscati ai ribelli antiviscontei e filocarraresi (nel 1407), trasmessi col cambio di regime (1404) nel demanio della Serenissima, di concessione della cittadinanza agli immigrati meritevoli. Fu sede del tribunale di competenza del comune ed era frequentata dai notai per la stesura di atti e convenzioni. Poteva occasionalmente servire per le sedute del consiglio cittadino ed è “nella cancelleria del comune, collocata sotto la loggia di piazza” che nel marzo del 1409 fu deliberata la richiesta al vescovo di Vicenza per la rimozione dell’arciprete Lazzarino, accusato di fornicazione con una suora. L’ubicazione “sotto la loggia” va intesa come “sotto la loggia coperta” dal momento che prima del 1441 non si trova mai che sotto lo stabile, a un livello inferiore, ci fosse un locale adibito a cancelleria. Per evitare equivoci e per quanto interessa sono necessarie delle precisazioni. Nel 1404 o immediatamente dopo, la sede di amministrazione della città e quella di governo del podestà si concentrarono nel Palazzo Pretorio, già incontrato nel 1401 quale residenza ufficiale del capitano visconteo Gerardo Aldighieri e forse ancor prima adattato, nel 1315, ad abitazione dei podestà e dei capitani mandati dal comune di Padova che aveva al tempo egemonia su Bassano. Il trasferimento del podestà è giustificabile dal momento che, nel 1404, nella sua carica fu assorbita quella di capitano che, si è visto, già prima stava nel Pretorio. Di più complicata spiegazione, e non qui adeguatamente trattabile, anche sotto il profilo giuridico, è la scelta del comune e la questione rimane aperta. Il Palazzo Pretorio includeva una loggia, accanto a una cisterna del cortile interno. Sotto di essa si raccoglieva l’assemblea consiliare del comune che, anche qui, disponeva di una propria cancelleria, documentata dal 1410. Nella stessa aula, almeno entro i primi decenni del Quattrocento, il podestà esercitava le sue mansioni di giudice, in materia penale soprattutto, e di autorità per conto dello stato veneziano. La proprietà del palazzo, per secoli, è attribuita al comune.

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Talvolta, a partire dal 1406, lo stabile (o una sua parte) è intestato anche al podestà, insieme con il comune o separatamente : a titolo di possesso, evidentemente, per le funzioni che vi esercitava. Nel 1413 si cominciò a distinguere la “loggia inferiore del comune di Bassano” presso la piazza dall’altra, appena segnalata, che era compresa nel “palazzo del comune” cioè nel Pretorio, più a nord. Il rischio di confusione rimane quando mancano più precise indicazioni. Non si riesce sempre a capire se alcuni lavori eseguiti dal comune - la fattura di stemmi, per esempio, - vadano riferiti alla loggia nel Palazzo o a quella di piazza.

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Il rifacimento del 1441 La ricostruzione decisa nel 1441 è fondamentale per la storia dell’edificio. Si trattò di una radicale ristrutturazione e non di una rifondazione. Almeno un dipinto in affresco, preesistente, quello di San Marco sopra riferito, fu dichiaratamente rispettato e si può credere che ciò avvenisse anche per qualche tratto della muratura. Fra le disposizione di esecuzione, inoltre, non compaiono quelle per l’abbattimento dell’immobile e per il trasporto delle macerie. Voci di spesa così importanti non sarebbero mancate nel contratto, se ci fossero state. Il consiglio cittadino, prendendo atto dello stato rovinoso della loggia e dell’intimazione a provvedere fatta dal podestà Giacomo Badoer, ne decise la rifabbrica. L’ordine podestarile, del 22 luglio 1441, è accompagnato da una serie di prescrizioni di massima, riprese e ampliate nella delibera di approvazione del capitolato d’opera, del 20 agosto 1441. Nel loro insieme forniscono una relazione sufficientemente organica e mirata – l’unica di cui disponiamo per il XV secolo – sullo stato della loggia immediatamente prima del luglio 1441 e sui criteri della sua trasformazione. Questi, verosimilmente, furono gli stessi che vennero seguiti, più o meno, dopo l’abbandono del lavoro nel 1443 da parte del privato che ne aveva avuto l’incarico e la sua ripresa fino al compimento, a cura del comune. Condensando le disposizioni (non tutte perfettamente interpretabili, a distanza di secoli) l’operazione si può così globalmente riassumere. La struttura da rifabbricare era a due piani ovvero a due solai, come si diceva. Per non pesare sulla precaria finanza comunale, l’onere di edificazione era a tutto carico di un concessionario. In cambio avrebbe ottenuto a titolo di dono o di quasi assoluta proprietà, per sé e per i suoi eredi, due botteghe ricavate nel costruendo vano del pianterreno, sotto il solaio inferiore : all’incirca dove ora stanno i negozi. Si potevano qui vendere solo merci di buon odore, come articoli di drogheria e tessuti, con l’esclusione dichiarata delle nauseabonde attività di concia delle pelli e del cuoio. Una clausola del capitolato estendeva i diritti del concessionario ad un non meglio ubicato “luogo di sopra” che non poteva però servire di abitazione nè ospitare laboratori rumorosi come quelli di vasaio, fabbro e battilana. La collocazione è ambigua perché, escludendo l’aula ufficialmente riservata alle pubbliche funzioni, come “luogo di sopra” non resterebbe che la soffitta, non sai da dove e come raggiungibile per gli artigiani e lavoranti e per il traffico delle merci : eventualmente dall’esterno, con un accesso di servizio di cui però nulla si dice. L’edificio “tutto all’intorno” andava chiuso con muri dei quali alcuni erano sicuramen-


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te in opera, come si è visto, e non sappiamo se e come furono accomodati o rinforzati o parzialmente rifatti. Per “montare sulla loggia”, sopraelevata di un piano rispetto alla strada e alla piazza, si dovevano fare “una o due scalette di pietra”. “Una scala e un passaggio per andare all’orologio e alla restante parte del solaio” (superiore) erano da sistemare nel settore in alto della loggia, dentro la sala, come ritengo. L’orologio, forse provvisto di una protezione e da controllare con ogni attenzione “per poterlo adoperare come si fa adesso”, stava dunque nella soffitta o in una sua pertinenza, sotto il coperto dello stabile, mantenuto con cura per evitare le infiltrazioni di pioggia, dichiaratamente temute. Sopratutto rilevanti, sotto il profilo architettonico, sono le previsioni per l’aula (la nostra) destinata alle pubbliche incombenze. Il solaio inferiore, il primo dal basso, si applicava a una risega di muro “dove adesso ci si siede” (dove al presente se senta, in veneto), con chiaro riferimento a una rientranza nel muro d’ambito che, di conseguenza, preesisteva sulla via Matteotti, dove sedevano gli operatori di ogni genere che frequentavano la loggia. Nel progetto originario, prima di una modifica del 1442, si trovava plausibilmente poco sotto l’attuale piano di calpestio. In parziale contrasto con altre, sopra riportate, questa indicazione sulla quota della risega e quindi del solaio potrebbe segnalare che non ogni settore d’uso della loggia insisteva sullo stesso livello, prima del 1441. Se la lettura è corretta, un piano di appoggio dei sedili nell’aula risultava rialzato rispetto alla base del locale. La coerenza fra tutte le notizie di cui disponiamo è un obiettivo ancora da raggiungere, come in questo caso. Su tre o quattro colonne di pietra (sono adesso tre), indubbiamente piazzate sul nuovo solaio, andavano posti (sopra il capitello o più in su ?) due bordonali di larice, di sostegno a un impalcato a doppia orditura, concluso a tavole e cantinelle, dipinte a riquadri. Le aperture sulla piazza e sulla strada, intelaiate anche dalle colonne, furono definite con l’intervento del 1441. Non si precisa mai se queste finestrate fossero concluse ad arco. Per chi procedeva all’operazione non c’era bisogno di specificare : doveva trattarsi di una cosa ovvia. Il concessionario era tenuto ad arredare l’interno con banchi di contorno, di buona qualità. Avrebbe inoltre ricavato nell’ambiente, non si dice dove, una comoda cancelleria comunale che, si è visto, funzionava qui anche prima. La conclusione dei lavori era fissata nell’agosto del 1442 oppure, seguendo un’altra designazione, al maggio dello stesso anno, in anticipo. La penalità per inadempienza, non trascurabile, era di 500 lire di denari piccoli, ripartibili fra il comune, il podestà e lo stato veneziano (la cosiddetta Signoria). E’ questo un caso fra i pochi o forse l’unico in cui l’autorità centrale interviene, se pure in maniera indiretta, nella gestione della loggia, condividendo la penalità per mancato rispetto del contratto. Non risulta che Venezia abbia imposto un modello per la costruzione o adattamento delle logge pubbliche di terraferma. Esse, di fatto, avevano in comune alcuni caratteri edilizi che rispondevano ad analoghe richieste d’uso. Le condizioni spaziali della loro costituzione, tuttavia, non erano state le stesse dappertutto. Le logge dei centri minori paragonabili a Bassano, come Marostica e Asolo, facevano corpo con la sede del comune. Questa di Bassano, invece, è nata isolatamente, per circostanze urbanistiche particolari, e solo dopo secoli, all’inizio del Settecento, è stata immedesimata nel nuo-

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vo Palazzo Municipale. Andrea Dossi del fu Emanuele da Parma si aggiudicò l’appalto per la fabbricazione della loggia, il 20 agosto 1441. Il comune conservava un diritto eminente sull’immobile riconosciuto dall’appaltatore col versamento annuale di un canone, simbolico ma perenne, di 10 soldi, cioè di mezza lira. Notabile, notaio, talvolta registrato come cancelliere del comune, Andrea Dossi apparteneva a una famiglia di buona condizione immigrata da Parma al tempo della dominazione viscontea, nell’ultimo decennio del Trecento, e suo padre era stato anche un prestatore di denaro, censurato dalla Chiesa. Il 17 marzo 1442, a lavoro avviato, gli fu concesso di elevare la loggia (il solaio inferiore) di poco più di 17 cm. (mezzo piede) per aumentare la capienza, si capisce, delle (sue) sottostanti botteghe. Il rialzo, si ripete, non doveva superare un segno rosso sotto il piede di S. Marco, lì dipinto. Il 23 settembre, suo malgrado ma ottenendo una proroga della scadenza, si impegnò a chiudere con un bordo alto mezzo mattone il ciglio dell’aula verso la via Matteotti, per quanto interpreto, dove andavano gli scanni per sedere. Da questa data fino al giugno dell’anno dopo, ormai largamente oltrepassati i termini contrattuali di realizzazione, è tutto un rincorrersi di proposte del Dossi, di cui si risparmia il puntuale commento, per cedere alla città l’immobile non ancora finito, in tutto o in parte e configurando diverse ipotesi. Il concessionario era gravato da debiti verso Venezia per aver assunto l’appalto di un dazio statale non andato a buon fine e non poteva ultimare l’opera. Finalmente, il 13 giugno del 1443 il consiglio comunale, a maggioranza di 14 contro 9, deliberò l’acquisto della struttura incompiuta al prezzo di 800 lire di denari piccoli da misurare, per confronto, sul valore della moneta all’epoca e sul correlato potere di acquisto. In quella seduta Andrea era cancelliere comunale e poteva contare su amicali consensi e sulla preoccupazione, espressamente richiamata, che l’orologio subisse danni nel prolungarsi della sospensione dei lavori. Nello stesso giorno, fu istituita una commissione di tre consiglieri comunali che avrebbe provveduto al compimento della loggia. Aveva facoltà di abbassarla, quando lo giudicasse opportuno, all’evidente scopo di contenere i costi. Non conosciamo quanta parte dell’impianto fosse stata realizzata, alla data del 13 giugno 1443. Certamente in opera era la zona delle botteghe. Nel corso delle trattative, il 3 maggio 1443 Andrea prospettava al comune la cessione dell’edificio dal primo solaio in su, a segno che gli ambienti superiori non erano ancora stati sistemati o adeguatamente terminati. Il credito del già appaltatore, salito a 900 lire, era ancora da saldare tra marzo e maggio del 1444. Gravata dall’annuale tributo a Venezia, istituito nel 1434, non volendo imporre altre imposte ma temendo le rivalse giudiziarie del richiedente, l’amministrazione pensava di farvi fronte con gli introiti della vendita a privati delle 3 botteghe (non più 2, come nell’accordo iniziale) di cui era diventata proprietaria con la compra dal Dossi. In alternativa, paradossalmente, avrebbe assolto l’impegno attribuendo proprio ad Andrea Dossi la disponibilità delle botteghe (i loro diritti livellari, equiparabili a una proprietà o quasi) con gli annessi cespiti d’affitto. Queste due ipotesi furono entrambe approvate dal consiglio, il 3 maggio 1444, a maggioranza di 24 contro 2 ma non si sa quale delle


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due fu poi scelta, in maniera non irrilevante per il completamento e la gestione dell’intero stabile. Non sappiamo quando e come il lavoro fu terminato, presumibilmente entro due anni, in una situazione di penuria di cassa. E’ ragionevole supporre che, nonostante le incertezze, il comune seguisse più o meno la traccia del progetto iniziale che abbiamo analizzato, definito tra luglio e agosto del 1441. Le colonne di pietra e la loro collocazione sopra il primo solaio, dove ancora si ritrovano – le stesse o altre in sostituzione o su punti diversi, poco importa - sono per esempio chiaramente previste nel capitolato allora convenuto a cui si attenne chi eseguì la parte dell’opera che restava da fare. In conclusione, non si dovrebbe sbagliare di molto ammettendo che la loggia, al suo compimento, si allineasse in altezza col soffitto attuale dell’aula, escludendo dal calcolo la copertura del tetto e perciò la soffitta con l’orologio. Non ho finora trovato notizia di una sua sopraelevazione, fra il 1443 e il 1512 Altre logge e locali per la nostra loggia All’affermazione della loggia durante il Quattrocento quale nuovo polo di riferimento urbano, per le rilevanti e variegate attività che lì si svolgevano, contribuì non poco la riqualificazione materiale e simbolica della piazza su cui prospettava. Qui si elevavano l’asta con il vessillo veneziano, riferita nel 1415, e la statua del leone alato di San Marco, i segni più manifesti del dominio che figuravano nelle città e nei centri importanti, come Bassano, conquistati dalla Serenissima. Nel 1442, mentre era in corso l’impresa della loggia, un settore dello slargo fu lastricato a mattoni e dal 1443 – con un lavoro durato oltre 20 anni, fra sospensioni e riprese – si avviò il rialzo e l’allungamento della chiesa di San Giovanni. Importante per ogni riguardo risultò il trasferimento nella chiesa della sede di esercizio della funzione parrocchiale, prima esercitata nella pieve di Santa Maria, inclusa nel castello superiore. L’assegnazione a San Giovanni di questa nuova competenza ecclesiastica, motivata all’origine dall’impossibilità di accedere alla pieve nel castello, riservato esclusivamente ai militari, è documentabile più o meno direttamente dall’ultimo decennio del Trecento fino almeno al 1463. In questo lungo lasso di tempo l’esercizio ufficiale del culto e la confluenza dei fedeli e del clero si riorganizzò in San Giovanni e nello spazio aperto lì di fronte. In tal modo la loggia e la chiesa, intrecciate con la piazza, si arricchirono ciascuna della cresciuta importanza dell’altra e formarono uno snodo di interazione urbanistica, civile e religioso, allora generatasi o in quei decenni decisamente rinsaldato. Erano divenute, ognuna a suo modo ma entrambe a doppia funzione, i luoghi di rito e di annuncio a più vasto campo nella città e per l’intera popolazione. Uno dei problemi mai pienamente risolti dei centri comunali, dei minori specialmente, rimase quello di avere adeguati vani per l’amministrazione. Bassano non fa eccezione e la sua situazione è ben certificata nella seconda metà del Quattrocento quando si registra uno sviluppo economico di un qualche rilievo, favorito da una forte spinta demografica, con l’afflusso di numerosi immigrati. E’ del novembre 1457 una supplica a Venezia per la concessione di 100 ducati d’oro per la nuova costruzione di una loggia ad uso giudiziario. La formula in latino che accompagna la richiesta, sicuramente non esaudita, è troppo breve. Il denaro, per quanto

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si interpreta, andava prelevato sugli introiti da condanne penali per fatti, se così è, commessi o giudicati a Bassano. Tra il 1479 e l’anno successivo si esaurì per mancanza di mezzi, a raccolta già avviata di una parte del materiale che doveva servire, nientemeno che l’edificazione di un elegante palazzo con tribunale e cancelleria al piano superiore e con botteghe di panetteria o di altro al piano inferiore. Faceva da modello, alla lontana, la loggia di piazza : sala pubblica sopra e negozi affittabili sotto. E’ credibile che la rinuncia fosse motivata anche dalla considerazione che il sito prescelto, vicino alla chiesa di San Giovanni, non fosse il più adatto, in un’area nella quale si addensavano già molti (e forse troppi) impianti di rilievo pubblico. Una loggia per rendere giustizia fu invece eretta nel 1482 sul cortile esterno del Palazzo Pretorio, nella competenza del podestà. Il comune, non obbligato, concorse alla spesa per carpentieri e muratori, fornì le colonne di pietra e pagò il pittore di un fregio in affresco. Nel 1722, col consenso podestarile, lo stabile fu trasformato nella chiesa della Madonna del Patrocinio, con il portale su via Matteotti. Dell’impianto originario, convertito nella seconda metà dell’Ottocento in una tipografia e riattato come aula della Pretura negli ultimi decenni del Novecento, si intravedono le colonne, incassate nella muratura di tamponamento delle arcate sul cortile. Nel 1476 si pensò di rilevare da tale messer Treviso una casa contigua (a est) alla Loggia di Piazza e l’operazione fu ripetuta nel 1484 con gli eredi dello stesso Treviso, anche questa volta senza esito. La trattativa veniva giustificata con la convenienza di dare alloggio all’ufficio della cancelleria del comune – sempre quella, mai definitivamente sistemata - entro uno spazio comodo e sicuro per l’adempimento del compito e la conservazione delle relative scritture. Era di stimolo l’esempio della pratica di cancelleria nelle altre città e borghi murati del Veneto, da imitare anche per ragioni di prestigio e di mantenimento della qualità e del rango di Bassano. Colpisce di più, in questa delibera del consiglio, la previsione che in un locale della casa (o, verosimilmente, in più) trovassero posto la pesa pubblica delle mercanzie e il servizio di controllo delle misure, da confrontare con quelle legalmente riconosciute a Bassano e rappresentate da campioni. Anche se l’acquisto non riuscì questa notizia individua la possibilità di un’evoluzione del rapporto tra la loggia e le attività di produzione artigianale e di commercio all’interno delle mura o appena fuori, nella zona di perimetro. La pesatura delle merci sotto il controllo di incaricati dell’amministrazione e la conservazione dei campioni di misura – lineari, di peso, di capacità per i solidi e per i liquidi – erano prescritte negli statuti bassanesi, a partire dal Duecento. Ma il loro appostamento era adesso previsto, nel 1484, immediatamente a ridosso della loggia che era diventata con la sottostante piazza il punto di scambio e di convegno economico più frequentato nella città, debitamente assistito da notai e da pubblici funzionari. Al difetto di locali è riconducibile, e va riferita per coerenza con il tema, una decisione consiliare a larga maggioranza del 1486 per prendere in affitto, non sai poi dove, una bottega destinabile ad archivio delle carte del Quaderno. Questo ufficio registrava periodicamente le entrate e le uscite del comune e i correlati crediti e debiti. Era sistemato nel Palazzo Pretorio, non distante dalla sala del consiglio comunale.


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Nel 1495, nonostante il fallimento delle precedenti ricerche, trascinatesi per circa vent’anni, si tornava a riproporre l’acquisizione di una casa contigua alla nostra loggia di proprietà dell’esimio dottore Marco Botton e quasi certamente la stessa che nel 1476 apparteneva a messer Treviso. Lo scopo dichiarato era di poter disporre di una cancelleria per la custodia della documentazione comunale. La “cancelleria” va qui intesa come deposito archivistico piuttosto che come ufficio aperto al pubblico. Infatti nella delibera del febbraio 1495, in alternativa all’acquisto dell’edificio Botton, compariva la proposta di ricavare la cancelleria addirittura “sopra il solaio dell’orologio della comunità, sopra la loggia” : nella soffitta della stessa, cioè, in uno stanzone riservato ai pochi addetti alle incombenze comunali e di assai difficile accesso, su per le scale, per la gran parte dei cittadini. Lo stabile Botton o un suo consistente settore, affrescato in facciata da mani diverse entro la fine del Quattrocento, fu allora o di lì a poco comperato dal comune. Ignoriamo la sua entità edilizia e il prezzo a cui fu ceduto. Coincide col volume sopra il numero civico 3 di piazza Libertà, applicato da est alla loggia, con la quale formò progressivamente un corpo unificato, finalmente attrezzato di numerosi locali per il servizio civico, sistemati anche nella parte aggiunta. Dal poco che traspare dalla documentazione e da qualche verifica materiale, l’integrazione fra i due nuclei e tra i loro interni, a sfalsate quote di solaio, non si verificò entro breve tempo e seguendo la traccia di un generale progetto di ricomposizione. Non sappiamo, inoltre, dove precisamente stessero e come si adeguassero, dopo il 1495, i rispettivi sistemi di risalita (le scale) e di disimpegno. Rimane aperta la significativa questione del rapporto fra le altezze a livello di gronda dei due corpi, sicuramente diverse nel 1495. I due tentativi un po’ velleitari del 1457 e 1479 per la costruzione di un tribunale e di una capace cancelleria e gli altri che seguirono per dare alloggio agli uffici e alla documentazione di pubblico rilievo dimostrano che gli spazi della Loggia di Piazza non bastavano più a soddisfare le tante (le troppe) funzioni che si erano lì concentrate. Lo stabile, peraltro, fu sempre curato. Non è rimasta traccia di un affresco sulla facciata sud che doveva essere eseguito nel 1477 da Nicolò Nasocchio, di una famiglia di pittori originaria di Marostica che operarono spesso per il comune di Bassano, anche nella direzione di lavori di altro genere. Non sono frequenti le indicazioni su usi particolari di elementi della struttura. La comunicazione al popolo, per esempio, dell’obbligo di dichiarazione dei redditi per la redazione del libro dell’Estimo che determinava la capacità contributiva di ciascun cittadino è fatta, nel 1489, “sopra la scala della loggia comunale”. Non si dice, ovviamente, che forma avesse né dove esattamente si innestasse. Non sempre chiaro ma certamente utile è quanto risulta dall’assegnazione di un appalto nel 1494. Il maestro carpentiere Leonardo Picino avrebbe operato sul solaio grande dell’orologio e sulla scala per la quale si saliva ad esso. Doveva inoltre elevare di circa 174 centimetri (cinque piedi) un non meglio descritto solaio piccolo (solarollo, in veneto), verosimilmente equivalente a un soppalco di appoggio per la macchina dell’orologio. La spesa di 28 lire, non comprendente una quota a carico del comune, è di poca entità, distribuita fra il compenso artigianale e l’impiego del legname e della chiodatura. Vie-

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ne così confermata la postazione dell’orologio nel “sollaro grando” dell’edificio, nella soffitta o in una sua pertinenza. Questo vano sotto il tetto era, convenientemente protetto, di polivalente impiego. Serviva per l’orologio e poteva ospitare l’archivio di un ufficio comunale : della cancelleria, nel 1495. E prima ancora, nel 1441, si prospettava l’installazione in un suo settore di laboratori artigianali, purché non rumorosi né di cattivo odore, come si è detto. Tale situazione, singolare per qualche aspetto, va compresa nella logica dell’economia degli spazi che all’epoca, e dopo ancora, ne prevedeva l’integrale utilizzo, per evitare i costi di un loro rifacimento o ampliamento, finché si poteva. Finalmente, l’ultima loggia costruita a Bassano in quel giro di anni, cominciata nel 1504 per iniziativa del podestà Priamo da Legge e compiuta nel 1508, nella podesteria di Tommaso Michiel, si addossava da est alla torre della Porta delle Grazie. Eretta al solo scopo del godimento del panorama e perciò anche nominata Loggia del Belvedere, rivolta a nord sull’imbocco del Canale di Brenta e della Valsugana, verso le falde del monte Grappa e dell’altopiano dei Sette Comuni (o di Asiago), fu sempre ben mantenuta dal comune, decorata di epigrafi e dipinti. Integralmente trasformata, corrisponde oggi al caffè Italia, sul Viale delle Fosse. Note finali Come premesso, questa sopra riportata è la prima parte di un lavoro in corso che si estende fino al 1797 – 1805. Al compimento, nella prospettiva di una pubblicazione scientifica, verrà debitamente fornito di note e di un’idonea bibliografia. Per intanto si segnalano quei testi, solo alcuni, che direttamente o indirettamente e per il periodo fin qui analizzato, possono in generale riguardare la storia della Loggia, i suoi caratteri edilizi, urbanistici, di rilievo artistico e materiale. Occorre avvertire che nel giro di qualche decennio gli studi sulla storia urbana ed architettonica di Bassano si sono moltiplicati, con la modifica di prospettive e di conclusioni della ricerca, anche all’interno di uno stesso autore. Questo brevissimo elenco segue l’ordine di pubblicazione. O. Brentari, Storia di Bassano e del suo territorio, Bassano 1884. Per lo sviluppo urbanistico, fra XV e XVIII secolo, si rinvia alle pp. 525 – 559; per la loggia, alle pp. 526 – 527, 533 – 534, 537 – 538. E’ uno studio precorritore, di buon inquadramento e sempre utile, con errori e lacune giustificabili con lo stato della ricerca alla data della pubblicazione. G. Petoello, F. Rigon, Sviluppo urbanistico dal X secolo ai giorni nostri, in Storia di Bassano, Bassano del Grappa 1980, pp. 389 – 432; per la loggia alle pp. 415, 418, 420. Molte indicazioni restano valide e innovative, altre vanno corrette sulla base degli studi più recenti. Nello stesso volume L. Alberton Vinco Da Sesso, Le arti figurative, pp. 469 – 538; per la decorazione dell’edificio adiacente alla loggia da est (già Botton, nel 1495) alle pp. 483 – 484. F. Sbordone, Materiali edilizi, elementi e tecniche di rifinitura degli interni bassanesi, in Interni Bassanesi, a cura di L. Alberton Vinco Da Sesso, Bassano 1996, pp. 35 – 47. E’ questo l’unico saggio accuratamente condotto e con estesa campionatura sui materiali e sulla loro lavorazione e connessione negli antichi edifici di Bassano. G. Petoello, Note sulla genesi e lo sviluppo della forma e delle funzioni urbane di Bassano (secoli X avvio XIX), in Storia di Bassano del Grappa, I, Bassano del Grappa 2013, pp. 232 – 271; per la loggia - retrodatata alla seconda metà del Trecento, storicamente e urbanisticamente reinterpretata - alle pp. 253 – 257 e nota 43, 267 – 268. Nello stesso volume, G. Ericani, I monumenti della città ed i loro artisti, pp. 280 – 355. Rappresenta l’analisi più aggiornata sulla produzione artistica bassanese fino a tutto il Quattrocento, comparata a vasto campo con quella delle città e degli altri luoghi del Veneto. Per la decorazione della casa ora Pasqualon, di fronte alla loggia, alla p. 315 e nota 114. Per la redazione del testo ho esplorato diverse serie, di troppo minuto elenco, dell’ARCHIVIO COMUNALE DI BASSANO: gli Atti del Consiglio, i Catastici di beni comunali, i registri di ogni genere sulle entrate e le uscite del comune, in particolare. Ho visionato integralmente gli atti dei Notai di Bassano, presso la Sezione di Bassano dell’Archivio di Stato di Vicenza, dalla fine del Trecento al 1430 circa. Mi sono servito dell’elaborato del progettista del restauro, Renzo Stevan, e della relazione del restauratore degli affreschi, Eugenio Rigoni. Ringrazio vivamente: Giuliana Ericani, per le indicazioni sulla datazione degli affreschi; Donata Grandesso, per la consulenza archivistica; Fabio Sbordone e Beppe Ceccon, per l’aiuto nella lettura dell’edificio attraverso i documenti; Gabriele Farronato, per le segnalazioni sull’evoluzione della loggia di Asolo; Franco Scarmoncin, autore in altra sezione di questa pubblicazione del commento storico sui podestà che governarono Bassano fra il 1404 e il 1552 e sui loro stemmi dipinti sotto la loggia. Il Museo Civico e, in particolare, il personale addetto all’Archivio comunale ed alla Biblioteca hanno favorito una più veloce ricerca del materiale di studio.

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Un affresco misterioso Un anziano pittore, classe 1915, ricorda ancora lo stupore dei Bassanesi quando, durante alcuni lavori nella loggia di piazza, intorno agli anni Trenta del Novecento, videro riemergere dalle pareti grigiastre una fantasmagoria di colori prodotta da una composizione di antichi scudi dipinti;[1] e noi possiamo solo immaginare la meraviglia degli esperti quando fu chiaro che era stata trovata la riproduzione delle arme dei primi podestà e capitani inviati da Venezia a governare la città di Bassano, dal 1404 in poi. Si potrebbe pensare che questo dipinto fosse stato occultato per motivi di sicurezza durante la Grande Guerra, oppure in conseguenza dell’incendio che coinvolse la loggia nel 1908, o addirittura durante l’occupazione dell’esercito napoleonico, ma ci sono fatti che ci inducono a pensare che ciò sia avvenuto in un periodo anteriore. Ottone Brentari, che nella sua opera storica maggiore e nella Guida storico-alpina di Bassano-Sette Comuni ha illustrato tutti gli affreschi bassanesi, anche quelli che erano praticamente scomparsi, non parla proprio di queste pitture, che pure avevano almeno un valore storico, se non artistico.[2] Però anche l’abate Francesco Chiuppani, un erudito settecentesco che ha esaminato meticolosamente ogni iscrizione, pietra e lacerto della città di Bassano, non descrive nella sua opera gli scudi dipinti nella loggia di piazza.[3] Tutto questo è sconcertante. Giovan Battista Verci, uno storico di fine Settecento, nella sua operetta sui pittori bassanesi del 1775 aveva raccontato di aver trovato “nelle polizze del pubblico Quaderno” del 1696 la notizia che un certo Giuseppe, figlio di un artista originario di Liegi di nome Giovanni Gofre, aveva ottenuto l’incarico di dipingere “nell’Archivio della città e nella Cancelleria civile gli stemmi di tutti que’ Rappresentanti, che fino allora avevano governato Bassano”.[4] In un primo momento si era pensato che parlasse degli stemmi [1] Ringraziamo per queste informazioni il sig. Franco Verenini, pittore, restauratore e maestro d’arte nato nel 1915. L’anziano testimone ricorda bene il fatto anche perché, come racconta, si interessò, per motivi legati alla sua professione, onde sapere a chi fosse affidato il restauro; gli fu detto in quell’occasione che sarebbe intervenuto personale inviato dalla Soprintendenza. [2] Si può constatare l’assenza di ogni riferimento a questo dipinto in O. Brentari, Guida storico-alpina di BassanoSette Comuni, Bassano 1885, pp. 20-67, e soprattutto a p. 38 dove descrive la loggia di piazza. [3] Francesco Chiuppani, Historia Bassanese, Bassano 1731, ms. presso ASB. [4] G. B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de’ Pittori, Scultori e Intagliatori della città di Bassano, Venezia 1775, pp. 240-241. Il padre di Giuseppe, Giovanni Gofre era giunto a Bassano da Liegi ancor giovane e aveva arricchito la sua prima maniera studiando le opere dei Dal Ponte. Aveva quindi sposato Lucietta, figlia di Marc’Antonio Dordi, un pittore che ci ha lasciato alcuni quadri sulle feste bassanesi tra cui quelli per la liberazione dalla peste del 1631. Di Giovanni Gofre il Verci ricorda come esemplare il quadro sul Battesimo di santa Giustina eseguito per la chiesa parrocchiale di Solagna, e commenta il suo stile dicendo che l’opera non è disprezzabile, però “fluido è il suo pennello, ma debole n’è il colorito. Esatto è il disegno, ma non troppo nobili le sue figure”. Del figlio Giuseppe invece dice che non meritava elogi, era un decoratore, non un artista.

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raffigurati nella loggia; ma i conti non tornavano, anche perché l’autore poi non diceva proprio nulla di questa composizione, come se la considerasse indegna di ulteriori commenti. I documenti citati dal Verci si trovano nel libro della contabilità comunale, che riferisce però le notizie in modo sintetico, e si restò dubbiosi sull’effettivo lavoro compiuto dal Gofre per le parole usate dallo scrivano nelle registrazioni dei pagamenti. Di quell’incarico invece nessuna menzione si ritrovò negli Atti del Consiglio comunale che annotavano, di norma, tutte le delibere relative alle opere pubbliche.[5] Giamberto Petoello per primo ha osservato che il Gofre fu incaricato, non di dipingere gli stemmi della loggia, ma di restaurare, di “acomodar”, gli armadi che stavano nell’Archivio e nella Cancelleria civile, ossia in altri ambienti del palazzo, dipingendovi le “arme” dei podestà e l’anno del loro servizio. Questa scoperta ha consentito una più corretta rilettura dell’opera dipinta nella loggia di piazza. Esempi di pagamenti tratti dal Quaderno del Comune del 1696-1697

Pagamento di lavoro a Giuseppe Gofre in data 5 giugno 1696 Li 5 dito deno haver lire sey contate a Yseppo Gofre a conto fatura, et fà in acomodar le arme et milesimi alli armari in Cancelaria civil, vale L. 6.

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Pagamento di lavoro a Giuseppe Gofre in data 29 settembre 1696 Il 9 dito pagatti al Pittor che perfecionò le arme e milesimi in Cancelaria Civille, riducendolle durabili e perfette in tutto L. 16.8.

Pagamento di lavoro a Giuseppe Gofre in data 12 febbraio 1697 Addi 12 Febraro deno haver lire sey contata allo m. Iseppo Gofre pittor a conto fatura di dipinger le arme in Cancelaria civile, vale L. 6.

Ma perché un’opera così complessa e di evidente valore storico, pur ammettendo che non potesse stare alla pari di un capolavoro dei Bassano, fu praticamente ignorata da rigorosi eruditi come Francesco Chiuppani e Ottone Brentari?[6] Da quanto riferito, essa potrebbe essere stata celata alla vista da tanto tempo che se [5]

ASB, Quaderni 7, vol. 8, pp. 830 e 838. Si può verificare questa lacuna controllando in O. Brentari, Storia di Bassano, Sala Bolognese, ristampa Forni 1980, pp. 533-536. [6]


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n’era perduta la memoria. A questo punto si può formulare almeno un’ipotesi sulla ricopertura. In occasione della terribile pestilenza del 1631, che dimezzò la popolazione bassanese, com’è noto, i locali dove si erano registrati contagi furono ridipinti con calce viva, per eseguire una disinfezione radicale. È possibile pensare che anche la loggia di piazza sia stata in quella circostanza “decontaminata”; così gli affreschi sarebbero stati non soltanto celati, ma anche protetti. Infatti quando nel 1682 un incendio si sviluppò nel piano superiore, essi non furono distrutti né dalle fiamme, né dall’acqua con cui i Bassanesi accorsero per spegnerlo,[7] mentre gli affreschi dei Bassano che stavano sulla facciata andarono quasi interamente perduti.[8] Se non fu Giuseppe Gofre ad affrescare quegli scudi, chi lo fece e quando? Sono purtroppo domande alle quali la documentazione finora conosciuta non è riuscita a dare risposte. Non sappiamo con precisione quando e perché siano stati commissionati gli stemmi dei podestà e capitani che avevano retto Bassano dal tempo della dedizione a Venezia (1404) fino al 1552. La mancanza di delibere su tale argomento negli Atti consiliari tra il XV e il XVII secolo ci induce a ipotizzare che la scelta dell’argomento da rappresentare nella loggia non sia stata compiuta dal Consiglio comunale, ma possa “essere venuta dall’alto”, ovvero da qualche consigliere influente o da un Podestà, e potrebbe addirittura essere stata ispirata dall’ambiente politico veneziano. Questo era comunque un soggetto per il quale occorreva fornire alle maestranze informazioni appropriate circa la successione dei rettori e le caratteristiche dei loro blasoni. Chi può dunque aver suggerito questo contenuto e non uno più “figurativo”, come una sequenza di eventi storici, oppure visioni panoramiche o immagini religiose? A Bassano tra Cinquecento e Seicento non mancarono però eruditi in grado di proporre una soluzione così originale, pensiamo, ad esempio, a un umanista come Lazzaro dal Corno o a uno scrittore come il Marucini, un veneziano innamorato di Bassano, che esaltò la [7] Quando nel 1682 scoppiò l’incendio gli abitanti del vicinato accorsero prontamente con secchi e mastelli pieni d’acqua, come ordinavano gli Statuti cittadini che risalivano al 1259. Dagli Atti del Comune sappiamo che nel giorno di giovedì 6 febbraio il Consiglio cittadino, presieduto dal podestà veneziano Giacomo Pasqualigo, fu convocato e informato che la loggia di piazza era stata danneggiata da un incendio e necessitava di riparazioni urgenti. Si deliberò quindi di destinare al restauro la somma di 20 ducati d’oro, e altri 10 furono assegnati alla riparazione dell’orologio del Comune, anch’esso deteriorato. Infine si decise di premiare i cittadini che erano accorsi per spegnere l’incendio, affinchè ciò servisse da esempio e stimolo per i Bassanesi ad essere sempre solleciti in caso di bisogno. Ad un consigliere fu perciò affidata l’incombenza di distribuire fino a 25 ducati tra coloro che risultavano essere i più meritevoli. Seguendo la procedura, il Consiglio propose poi di incaricare due cittadini a seguire i lavori di restauro “nella miglior forma che stimeranno propria e col maggior avvantaggio del Pubblico”. I prescelti furono i consiglieri Giovanni Lanzarini e Vittor Vittorelli. Circa la data occorre una precisazione. Negli Atti del Comune (ASB, Atti del Consiglio, vol. 30, 1681 febbraio 6, f. 42) si trova scritto 1681, indizione 4a, Giovedì 6 Febraro, in Bassano …; si deve però tenere presente che nella datazione veniva utilizzato, anche se non sempre, lo stile veneto (more veneto), che calcolava l’inizio dell’anno all’ 1 marzo; quindi i mesi di gennaio e febbraio avevano la data dell’anno precedente. La conferma che in questo caso fu usato lo stile veneto viene dal nome del giorno, infatti soltanto nel 1682 il 6 febbraio cadeva di giovedì. Il Rearick ha scritto che la causa dell’incendio fu il fatto che un prigioniero esasperato diede fuoco al proprio pagliericcio nella prigione adiacente, W.R. Rearick, Vita ed opere di Jacopo Dal Ponte, detto Bassano. c. 1510-1592, in Jacopo Bassano, a c. di B. Louise Brown e P. Marini, Bologna 1992, p. CXV. Tale affermazione però non è confermata dagli archivi comunali e le prigioni si trovavano presso il Palazzo Pretorio; l’evento non può dunque aver coinvolto la loggia di piazza anche se accadde realmente in altra data. [8] Sulle pitture eseguite da Jacopo nella loggia non si sa molto. Non vi fanno menzione neppure gli Atti del Consiglio, dove si troverebbe la relazione se qualche spesa fosse stata deliberata. Chi ne parla è Francesco Chiuppani, e tale notizia fu poi ripresa da G. B. Verci, il quale racconta che nel 1558, per ordine del podestà Alvise Bon, il pittore Jacopo dal Ponte ornò con la sua arte la loggia di piazza; però il lavoro andò perduto nell’incendio del 1682 e sulla facciata rimasero soltanto un’immagine di san Cristoforo e una piccola testa di Madonna: v. Francesco Chiuppani, Historia Bassanese…; e G.B. Verci, Notizie intorno alla vita e alle opere de’ Pittori…, p. 89.

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nostra cittadina in un’opera scritta nel 1577; ma quello fu anche il tempo dei Nasocchi, dei Bassano, dell’architetto Zamberlan, nonché del Palladio.[9] Anche sulla datazione è impossibile arrivare per via documentaria a una chiara definizione, però è evidente che le arme raffiguranti i podestà bassanesi non possono essere antecedenti alla loro presenza in Bassano. Ci sono quindi alcuni limiti cronologici al di sopra dei quali esso, in tutto o in parte, non può risalire; vediamoli. La prima riga in alto della parete rivolta a Est rappresenta i rettori veneziani inviati tra il 1404 (Francesco Bembo) e il 1424 (Marino Mocenigo), la seconda riga quelli dal 1424 (Vettor Pisani) al 1444 (Donato Priuli), la terza ci mostra quelli dal 1444 (Andrea Calbo) al 1469 (Mattio Erizzo), e nella quarta e ultima stanno quelli dal 1470 (Pietro Diedo) al 1499 (Gerolamo Querini). Nella parete rivolta a Nord la serie riprende in alto a sinistra con due scudi scorretti, il primo perché interpreta liberamente l’emblema di Alvise Lion (1499-1500) e il secondo perché raffigura uno scudo inesistente nell’araldica veneziana ladddove dovremmo trovare quello dei Gabrieli. Poi dal terzo, ossia Gerolamo Valier (1502), all’ultimo della fila (Domenico Pizzamano 1512) sono riconoscibili, non sempre con facilità, quelli dei rettori che vissero i terribili momenti della guerra della Lega di Cambrai; così dal settimo rettore, Tommaso Michiel podestà nel 1508 - Giugno 1509, si passa ad Antonio Donato (1511), con il quale riprese il governo veneziano dopo la parentesi dei funzionari inviati dall’imperatore Massimiliano d’Asburgo. Nella seconda fila la serie degli stemmi visibili coincide con quella dei podestà noti, mentre gli scudi delle due file successive non sempre sono leggibili, a causa della perdita della patina pittorica. In alcuni di questi si riconoscono bene i simboli che campeggiavano sugli stemmi dei nobiluomini che governarono Bassano, però un errore fu fatto: lo scudo meglio conservato, quello di Matteo Soranzo (1536-1537), si trova nella decima posizione della fila e non nella nona, come sarebbe stato logico aspettarsi. Nell’ultima fila la sola immagine leggibile è quella con i colori di Pietro Pizzamano, 115° podestà (1544-1545), collocata però nella 116° posizione, ad essa seguono quattro clipei totalmente rovinati, che dovrebbero condurre fino al 120° rettore, ossia Alvise Contarini (1550-1552). Non siamo noi in grado di dire se la pittura degli scudi fu compiuta in un’unica operazione o in più sezioni risalenti a date diverse, anche se forte è l’omogeneità del segno, dell’organizzazione degli spazi e dei colori soprattutto nella parte più antica, quella rivolta a Est. Il limite ante quem dell’opera potrebbe essere fissato invece tenendo presente che sopra gli scudi della stessa parete furono inserite due lapidi, una dedicata al podestà Lorenzo Cappello, datata 1590, e l’altra a Alvise Soranzo del 1601, anche se non si può sostenere con certezza che siano proprio nella collocazione originaria. Sono tanti ancora i “misteri” che attendono di essere svelati e ciò fa parte del fascino di questo luogo della memoria cittadina. Il senso di una scelta Comunque siano andate le cose, qualcuno decise di fregiare due pareti della loggia con un tema per certi versi originale, per altri antico, gotico, quasi barbarico, perché [9] Sull’ambiente culturale del Cinque-Seicento a Bassano: L. Alberton Vinco da Sesso, La città moderna e i suoi artisti. Il Cinquecento e i primi decenni del Seicento, in Storia di Bassano del Grappa, Romano d’Ezzelino 2013, pp 187-212.


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la consuetudine di usare scudi e vessilli in ambienti di rappresentanza proveniva dalla cultura medievale. Le prime raccolte di stemmi a noi note risalgono infatti al XII-XIII secolo ed erano legate all’araldica usata nei tornei, nelle parate militari e nelle battaglie campali. Vengono anche in mente i muri di scudi dei guerrieri normanni, le navi con le fiancate difese dai clipei, le sale d’armi dalle pareti decorate con gli stemmi dei vassalli. Ma a Bassano il suo impiego fu originale, in quanto non c’era l’intenzione di esaltare le imprese di nobili guerrieri, ma di ribadire che la città era legata a Venezia da una lunga serie di governatori che vi avevano prestato servizio. Gli scudi infatti non sono personalizzati, ma rappresentano i casati di provenienza dei vari podestà e si ripetono allorché rettori appartenenti alla stessa famiglia si sono succeduti in tempi diversi. Se i Bassanesi dovevano trovare un senso in questa rappresentazione, esso era di carattere civile: la memoria di una fedeltà durata nel tempo. Serviva insomma a far presente che da oltre un centinaio d’anni il Comune, coi suoi organi di autogoverno e i suoi Statuti, viveva sotto la protezione di uno Stato forte e organizzato, garante della sua, limitata, ma pur sempre preziosa autonomia locale. L’affresco, però, proprio perché era dedicato alla memoria degli antichi podestà, era implicitamente anche un monumento all’ente comunale e agli uomini che l’avevano gestito, nonchè alla loro nobiltà, espressa attraverso i simboli dell’araldica. Osservando l’affresco nel suo insieme si ha la sensazione che esso avesse più un valore decorativo che celebrativo, che fosse insomma una scenografia severa e dal forte impatto cromatico per i rituali della giustizia e del potere che si svolgevano nella loggia, luogo simbolico nella topografia del potere cittadino, spazio nel contempo riservato e pubblico, chiuso e trasparente. La composizione fu ideata come una serie di scudi ordinati in modo rigoroso e disposti su venti colonne, di quattro file ciascuna lungo la parete più lunga, quella rivolta a Est, e su dieci colonne di quattro file su quella rivolta a Nord. Essi dovrebbero quindi essere 120, ma non è così. A dimostrazione che l’opera aveva una funzione decorativa sta anche il fatto che dopo la sua stesura furono inserite le due lapidi commemorative del podestà Cappello e del Soranzo e, in una data imprecisata, una “bocca di leone”[10] e un paio di porte. Questi elementi architettonici riducono di diciotto elementi le arme effettivamente visibili. Ci sono poi altri dettagli che ci portano a pensare che l’affresco sia stato eseguito come un’opera decorativa e non per essere un monumento commemorativo. In almeno un punto due stemmi risultano invertiti nell’ordine di successione – sono quelli di Benedetto Erizzo (1445-46) e Andrea Calbo (1444-45) -,[11] ma non per questo il pittore rifece il lavoro. Molte figure araldiche furono disegnate frettolosamente, in maniera grossolana, senza sfumature e ombreggiature ed è difficile sostenere che ciò sia sempre dovuto a restauri mal eseguiti. Inoltre le partizioni del campo degli scudi, che dovrebbero seguire regole rigorose, non sempre sono correttamente dimensionate e nella parte conclusiva del dipinto si incontrano errori di attribuzione e ordinamento che denotano una crescente sciatteria. [10] G. Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia, Torino 1860, vol. 3, pp. 408-411. Le “bocche di leone” servivano a raccogliere le denunce segrete, soprattutto su chi avesse occultato illeciti vantaggi o avesse attentato alla sicurezza dello Stato, destinate al Consiglio dei X e agli Inquisitori di Stato (istituiti nel 1539). [11] L’ordine corretto è il seguente: Andrea Calbo, da ottobre 1444 a ottobre 1445; Benedetto Erizzo, da ottobre 1445 a novembre 1446, ma lo scudo dell’Erizzo precede quello del Calbo.

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La pratica di adornare con simboli araldici alcuni edifici pubblici non era affatto una novità del Cinquecento; il palazzo del Bo a Padova, ad esempio, era stato abbellito tra XVI e XVII secolo saldando alle pareti del loggiato e dell’Aula Magna circa tremila scudi di pietra appartenenti a nobili studenti e professori che lo avevano frequentato. Anche in molte altre città d’Italia, e si può citare ad esempio il Bargello a Firenze o il Palazzo Pretorio ad Arezzo, era invalso l’uso di esporre sulla facciata dei palazzi le armi dei Rettori che si erano distinti; e per restare nel nostro territorio ricordiamo i numerosi stemmi che ancora adornano le pareti del Castello inferiore di Marostica.[12] Chi realizzò la serie degli emblemi nella loggia bassanese non imitò tuttavia tali esempi, peraltro scolpiti, ma cercò un effetto sobrio e massiccio, quasi marziale. Il formato scelto per disegnarli fu quello detto “gotico antico”, uno stile che venne molto impiegato dal Trecento, ma che è attestato anche in età successiva. Può essere questo un elemento utile alla datazione? Tra Cinquecento e Seicento erano di moda forme più elaborate, come gli stemmi a targa, sagomati a curve e spigoli o accartocciati; ma a partire dal XVII secolo lo stile più usato fu il sannitico, impiegato anche nell’araldica moderna.[13] Si può dire pertanto che lo scudo gotico aiuterebbe a datare il dipinto più tra il XV e il XVI secolo che nel XVII. Però resta anche il sospetto che la scelta di questo formato risponda ad un desiderio di accentuare l’antichità delle immagini ed esaltare così la durata della presenza veneziana sul territorio.

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FORME DEGLI SCUDI D’altronde la forma dello scudo gotico antico, detto anche francese antico, se disposto

[12]

Sono stati illustrati in O. Bullato, Stemmi dei podestà veneziani a Marostica, in Marostica. Profilo istituzionale di un centro urbano nell’età della Serenissima, Vicenza 2004, pp. 585-616. [13] Le norme sulla forma dello scudo sannitico sono state fissate dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28. 01.2011.


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in file compatte, con la sua austerità consegue un indubbio effetto estetico di ordine, diremmo quasi di disciplina.[14] Probabilmente il pittore aveva a disposizione anche uno stemmario, cioè una raccolta effigiata di emblemi delle famiglie nobiliari veneziane,[15] o un blasonario, contenente la loro descrizione nel linguaggio dell’araldica, da cui ricavare le informazioni necessarie per disegnare correttamente gli stemmi. La disciplina era infatti molto complessa ed era necessario conoscerne bene il linguaggio, fatto di misure, proporzioni, partizioni, metalli, smalti, pezze, simboli e tante altre parole che hanno significato soltanto per gli esperti. E guai a sbagliare! Lo stemma, ossia lo scudo completo dei suoi ornamenti (cimiero, corona, manto, sostegni, motti, divise, lambelli), conteneva molte informazioni sulla nobiltà di un signore, sulla sua origine, posizione politica ed economica, sulle alleanze familiari e sulle imprese compiute, ed era compito degli araldi riconoscerle. L’araldica era allora una disciplina tenuta in grande considerazione, poi diventò appannaggio di aristocratici cultori, dediti allo studio delle genealogie di chi voleva fregiarsi dei titoli nobiliari.[16] Benché la sua importanza con il passare del tempo sia diminuita, non si creda che sia scomparsa; il suo interesse si è però spostato dalle famiglie agli stemmi comunali, provinciali, regionali e a quelli dei quartieri. Ancora adesso l’uso dei simboli araldici è controllato e regolamentato, nonché coltivato da numerosissimi appassionati. Ogni scudo che compone l’affresco della loggia è inserito in un anello circolare bianco con spessi bordi neri, e lo sfondo del cerchio interno è colorato alternativamente di porpora e verde scuro. Il tutto è come posato su un fondale giallo, che in araldica indica l’oro, e nei rombi vuoti che rimangono tra gli anelli sono intercalati fiori a cinque petali (rose?) di color porpora o violetto. L’insieme è racchiuso nella parte superiore e ai lati dentro una cornice a racemi, cigni e putti, che collega l’affresco al soffitto, evitando spazi vuoti. Sopra alcuni scudi si legge, scritta in caratteri di color bianco pallido e di foggia moderna, la data che dovrebbe corrispondere al “millesimo” in cui prestò servizio il corrispondente podestà, in qualche caso si vedono anche lettere maiuscole ai lati: sono le iniziali del suo nome. Non sappiamo chi le abbia scritte, ma non risalgono al tempo della pittura, perché i caratteri sono sicuramente moderni: potrebbero essere stati dunque i restauratori che dopo la scoperta hanno indicato la corrispondenza tra alcuni scudi e i governatori di Bassano. La loggia ricordava quindi circa un secolo e mezzo di governo veneziano. Ma quale periodo! Tra XV e XVI secolo Venezia aveva esteso la sua ala sulla terraferma e sul mare, poi aveva dovuto lottare contro tutti per non essere annientata ed era riuscita infine a ricostruire i suoi domini. Nella seconda metà del Cinquecento aveva contrastato l’avanzata dei Turchi, che a partire dal 1529 (primo assedio di Vienna) avevano cercato di con[14] Lo scudo francese antico tuttavia è caratterizzato da una più accentuata appuntatura, tanto da sembrare triangolare. Si possono vedere alcuni esempi in G. Bascapè – M. Del Piazzo, Insegne e Simboli. Araldica pubblica e privata, medievale e moderna, Roma 1983, la riproduzione di tavolette dalla Biccherna, a p. 24 e 500-503; dello Stemmario fiorentino, Mss n.471, a p. 155; dello Stemmario della Biblioteca Trivulziana, cod. 1390, a p. 226; e del Codice Cremosano, a p. 259. [15] Può essere un esempio il “Libro de arme” di Antonio Zantani, 1563, Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea codici, serie IV, n. 1. [16] Per la storia e il linguaggio dell’araldica facciamo riferimento a G. Bascapè – M. Del Piazzo, Insegne e Simboli…; G. di Crollalanza, Enciclopedia Araldico-Cavalleresca, Pisa 1878; P. Guelfi Camajani, Dizionario Araldico, Milano 1940. Si veda anche in internet http://www.treccani.it/ enciclopedia/araldica_(Enciclopedia-dell’-Arte-Medievale)

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quistare l’Europa, finchè non era riuscita a sconfiggerli il 7 ottobre 1571 nella battaglia di Lepanto. Era stata dunque un’epoca di successi, ma anche di grandi sofferenze per tutti, e chi si era affidato alla sua protezione, sperando nella pace e nella prosperità, si era suo malgrado trovato coinvolto in un’epica lotta, che agli inizi del XVI secolo raggiunse l’apice con la difesa contro due eserciti invasori, quello imperiale e quello francese.

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La dedizione di Bassano a Venezia L’affresco ricordava ai Bassanesi la loro appartenenza alla Repubblica di Venezia; ma dipendere da una città più importante era una situazione non nuova per loro. Fin dal 1175, infatti, con il giuramento prestato da ogni cittadino, essi avevano accettato una sudditanza-alleanza con Vicenza, stabilendo però alcune condizioni, che si erano sforzati di far rispettare sia quando, dopo la parentesi della dominazione ezzeliniana conclusasi nel 1259, erano tornati sotto il controllo di Vicenza, sia quando erano passati al Comune di Padova, poi ancora nel 1321 sotto il governo di Cangrande della Scala e successivamente sotto i Carraresi (1339) e Gian Galeazzo Visconti (1387). Nelle città maggiori era più viva la concezione che la sovranità promanasse dall’Impero, anche se a gestirla era l’ente comunale oppure un dominus fattosi insignire del titolo di vicario imperiale.[17] I Bassanesi però, che avevano avuto come signore Ezzelino III da Romano, il quale non si curava troppo di titoli e di investiture formali, avevano meno preclusioni ideologiche ad accettare come legittimo il governo di Venezia, che in realtà era notoriamente ribelle all’Impero e non avrebbe avuto quindi alcuna legittimazione per dominare un territorio tanto vasto.[18] Quando i Bassanesi avevano capito che era arrivato il momento di passare sotto il dominio della Serenissima, prima di imbattersi nelle turbolenze prodotte dalla crisi finale del governo visconteo, avevano cercato di mercanteggiare il mantenimento di alcune prerogative, che essi ritenevano importanti per la conservazione della loro identità. In primo luogo avevano posto la condizione che la sudditanza a Venezia avesse per contropartita la difesa e la protezione degli uomini e del territorio bassanese, e ne avevano ben donde, visto che Francesco Novello da Carrara era intenzionato a riconquistarla. A ciò seguiva la richiesta del mantenimento degli Statuti, della giurisdizione, e di una serie di esenzioni e privilegi fiscali ed economici, tra cui quello più importante riguardava la protezione della produzione di vino. Bassano, la fortezza più orientale del vasto dominio di Gian Galeazzo Visconti, alla sua morte avvenuta il 3 settembre 1402 si era trovata subito esposta al ritorno del signore di Padova, che già in precedenza aveva tentato di riprenderla con un colpo di mano nel 1390. Buon per lei che il Da Carrara aveva iniziato la riconquista da Verona e Vicenza e, dopo la prima, aveva cinto d’assedio la seconda. Fu allora, mentre i Vicentini resistevano alle truppe del comandante padovano, che il doge Michele Steno ne ebbe abbastanza e, benchè il momento non fosse molto propizio a causa dei nuovi contrasti [17] Sui rapporti di Venezia con le città di Terraferma e con l’Impero: A. Viggiano, Governati e governanti, Treviso 1993, pp. 3-40. [18] Ibidem, pp. 8-9.


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con Genova, decise che la Repubblica non poteva più sopportare l’espansionismo carrarese in Terraferma con l’insicurezza che ne derivava per il commercio. I Veneziani inviarono quindi un rinforzo di 250 balestrieri alla città assediata, aggirando il carrarese per la via di Bassano, ed entrarono in Vicenza beffando Francesco Novello, a cui giungeva tosto una lettera del Senato veneziano con l’ingiunzione di ritirarsi. Si era dunque allo scontro finale tra il leone marciano e il carro patavino; i Bassanesi allora tra i due contendenti scelsero, anche se con un certo azzardo, il partito che ritenevano migliore: Venezia. L’atto di dedizione tuttavia non fu sufficiente a far uscire da Bassano le truppe viscontee che ancora vi alloggiavano e che pretendevano di essere pagate. Il Governo veneziano dovette versare al loro comandante, Fregnano da Sesso, una cifra enorme, e fu il generale Francesco Bembo a portare il denaro pattuito e a prendere possesso della città.[19] Non tutto però andò come speravano i notabili bassanesi; la Repubblica dapprima considerò Bassano come una terra conquistata e soltanto in seguito arrivò a comprenderne il valore di caposaldo di confine. Con il passare del tempo ne apprezzò sempre più la fedeltà e l’importanza della sua posizione strategica per le relazioni con l’area tirolese.[20] Anche la decisione di mantenerla direttamente sottomessa, ossia “terra separata” e non assegnata ai distretti di Vicenza o di Padova - come queste città insistentemente richiedevano - fu un segno di riguardo, molto apprezzato dai Bassanesi, e servì a conciliare il loro animo con la nuova Dominante. Il 2 agosto del 1404, quindi, nella sala del Palazzo comunale di Bassano il rector et gubernator - ancora non era chiamato podestà e capitano - egregius miles Francesco Bembo diede l’avvio ai lavori del Consiglio del Comune, facendo eleggere, come prescrivevano gli Statuti, i 32 nuovi consiglieri, otto per ogni quartiere della città.[21] Podestà e Capitani a Bassano Il Bembo, che per primo governò Bassano per conto di Venezia, era un valoroso generale che aveva combattuto contro le truppe milanesi, e fu assegnato a tale incarico amministrativo solo per un breve periodo; le sue competenze, evidentemente, erano in quel momento più utili altrove; egli fu poi, per esempio, podestà a Padova nel 1411 e nel 1427. Agli inizi del 1405 entrò quindi in carica Andrea Zane, che fu il primo ad assumere il titolo di podestà e capitano. Queste cariche nelle iscrizioni sono indicate con le parole “Praetor ac Praefectus”, ossia con due titoli da funzionari romani che indicavano, la prima il magistrato dotato di giurisdizione civile e la seconda un ufficiale con poteri militari (anche se in realtà spesso le due cose si sovrapponevano). Venezia era effettivamente ribelle all’Impero, ma a quello germanico, non alla sua idea, che continuava a vivere a Costantinopoli! La durata del mandato assegnato ai magistrati veneziani inizialmente era di un anno circa, ma dal 1450 fino alla fine della Repubblica diventò anche di 16 mesi; il Rettore in carica doveva però attendere che arrivasse il suo successore e non poteva comunque allontanarsi prima di sei giorni dalla fine del [19]

G.B. Verci, Storia della Marca Trivigiana e Veronese, Venezia 1790, vol. 18, pp. 131-138. G. Petoello, La dominazione viscontea a Bassano e l’avvio di quella veneziana: 1388-1420, in Storia di Bassano del Grappa, vol. 1, Romano d’Ezzelino 2013, pp. 216-231. [21] ASB, Atti del Consiglio, vol. 1, 1404 agosto 2, p. 7. [20]

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mandato, per permettere che una commissione esaminasse il suo operato e valutasse eventuali lagnanze. Gli incarichi di podestà e capitano erano assegnati dal Doge solo a membri del patriziato, ossia a uomini nati da casate che erano state riconosciute nobili, sulla base della partecipazione dei loro antenati al Maggior Consiglio dello Stato entro la fine del XIII secolo ed erano registrati nell’albo d’oro della nobiltà veneziana. In ogni città esistevano poi famiglie che vantavano titoli nobiliari, di origine spesso feudale, ma restarono escluse dall’accesso al patriziato veneziano e soltanto alcune vi poterono entrare in cambio di particolari servizi forniti allo Stato.[22] Nel vasto dominio che, a partire dagli inizi del Quattrocento, Venezia andò componendo e dovette imparare a organizzare, c’erano città maggiori, come Verona, Padova, Vicenza, a cui erano assegnati tanto un podestà (il Praetor), per l’amministrazione civile, che un capitano (il Praefectus), per la gestione delle truppe e delle fortificazioni, un camerlengo, che si occupava dell’erario, e in certi luoghi il castellano, preposto a sovrintendere fortificazioni importanti. In varie località, soprattutto nelle città dalmate, i magistrati avevano nomi diversi: c’erano provveditori, luogotententi, conti, baili … A Bassano, città di secondaria importanza, gli incarichi di podestà e di capitano erano assegnati ad un solo rappresentante, che doveva avere requisiti sufficienti per assolvere tutti i compiti e, ma solo dalla fine del Seicento, doveva essere all’altezza di far parte della Quarantia, l’organismo che sovrintendeva alla giustizia.[23] La nomina a rettore di Bassano non era tuttavia un mandato per magistrati anziani, ma per chi si trovava nella fase intermedia della carriera oppure all’inizio del cursus honorum. Di solito i nobili molto ricchi non aspiravano a incombenze di questo genere; essi puntavano direttamente a diventare procuratori di S. Marco, senatori, ambasciatori, cioè a quelle magistrature superiori, che consentivano di coltivare l’aspirazione di essere in futuro eletto doge. Mentre gli incarichi più elevati non erano remunerati, lo erano gli uffici minori, come quello di podestà locale; ciò consentiva alla Repubblica di assegnare un impiego a molti nobili di modeste condizioni economiche e soprattutto a quelli squattrinati e scontenti, come i barnaboti, detti così perché abitavano nel quartiere di San Barnaba, oltre il Canal Grande, dove gli affitti erano meno cari.[24] Appartenere al patriziato, a Venezia, non significava essere ricchi, ma provenire da quelle famiglie che dopo la riforma del Maggior Consiglio, voluta dal doge Pietro Gradenigo nel 1297, avevano costituito l’unica classe ammessa al governo. Essa era composta da un primo gruppo di antichissime casate, dette i “Longhi” o le case vecchie, tra cui 12 famiglie erano dette Apostoliche, ed erano quelle che avevano partecipato all’elezione del primo Doge, il leggendario Paoluccio Anafesto; e altre quattro erano dette Evangeliche, perché avevano fondato nel 725 il monastero di S. Giorgio Maggiore. Un secondo gruppo era detto dei “Curti”, o case nove, erano coloro che avevano fatto parte del Maggior Consiglio prima della [22]

In occasione della guerra di Chioggia e in quella contro i Turchi chi aiutò lo Stato con l’esborso di 100.000 ducati, fu elevato al rango di patrizio. Molte famiglie - non soltanto venete, ma anche lombarde - aderirono a tale richiesta e, tra i cittadini bassanesi, colsero l’occasione Marc’Andrea Zambelli nel 1685, Santo Nosadini nel 1694 e, nel 1698, la famiglia Manfrotti. Vari cronisti raccontano queste vicende, citiamo ad esempio G. Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia, Torino 1860, vol. XI, pp. 29-40. S. Romanin, Storia documentata di Venezia, Venezia 1858, vol. 7, pp. 485-495. [23] Un elenco completo dei reggimenti veneziani si trova in A. Da Mosto, L’Archivio di Stato di Venezia, Roma 1940, vol. II. Disponibile anche su internet: http://www.archiviodistatovenezia.it/siasve/DaMosto_2.pdf. [24] Cappelletti, Storia della Repubblica…, vol. 4, pp. 43-44. Sulle cariche veneziane in generale A. Da Mosto, L’Archivio di Stato di Venezia, Roma 1940, vol. I. Disponibile anche su internet: http://www.archiviodistatovenezia.it/siasve/ DaMosto_1.pdf.


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Serrata del 1297 e che dalla conseguente riforma erano stati confermati. C’erano poi altri tre gruppi: le case novissime, che erano state cooptate nel patriziato per i loro meriti durante la Guerra di Chioggia, la Guerra di Candia e sul finire della Repubblica (1775). In totale le casate nobiliari veneziane assommavano a circa 300. I podestà bassanesi erano dunque personaggi che appartenevano a nobili famiglie veneziane, ma generalmente i membri cadetti provenivano da rami secondari. I più svolgevano questo compito come un lavoro, un impiego che derivava dal fatto stesso di essere un patrizio.[25] Ciò dava loro prestigio e qualche soddisfazione, soprattutto se i “sudditi” decidevano di render loro onore con iscrizioni celebrative, dedicazione di quadri e orazioni elogiative; ma sembra che non tutti apprezzassero il peso di dover restare sedici mesi lontano dalla vita brillante della capitale. Il Brentari ci ricorda lo sfogo di Bernardo Marcello, podestà e capitano di Bassano a 28 anni, tra la fine del 1583 e gli inizi del 1585, il quale nelle lettere all’amico Francesco Priuli così si lamentava: “Parmi di vivere in una rimotissima solitudine lontano dall’aspetto et da vestigii di uomini… O quanto è meglio signor Compatre la nostra vita queta et ritirata di costì, lo frequentar le piazze, attender tranquillamente a’ suoi studi, ricrear l’animo con gli amici, che vestirsi la veste pubblica per spogliarsi la propria libertà, comandar ad altri per non poter servire a se stesso, star tutto il giorno su’l decider cause, terminar litigi, dichiarar articoli, regolar contratti; et quando fanno pausa gli Avvocati da una banda, senti dall’altra intuonar i Zaffi, strepitar catene, scioglier, annodar funi, serrar, disserrar carceri, con mille altre diavolerie, che taccio per non consumar l’ampolle d’inchiostro e i quinterni di carta, senza toccar la meta della conclusione; che concludo, che non sia al mondo vita più stentata di questa; et che i Reggimenti propriamente sian la Galea di noi altri Nobili, una catena a’ piedi di sedici mesi…”. In un’altra missiva fece dapprima le lodi del clima di Bassano, per ribadire poi: “Qui mi bisogna stare ristretto su’l mio banco, mangiare in pugno una castignola di biscotto,… I narcisi, le viole e i jacinti sono vaccari, montanari e pegorari, che puzzano mille miglia di lontano chi di castrone, chi di becco e chi di asino…; di maniera che… considerate se a ragione mi dolgo della libertà perduta, della lontananza della patria e della absentia da tanti comodi e piaceri che emergono dallo stanziarvi…”.[26] Sono espressioni che, a dire il vero, sembrano ispirate soprattutto da letture petrarchesche e dall’amore per l’otium che tanto attraeva i nobili spiriti tra Rinascimento e Barocco; ma come poteva un giovanotto non augurarsi che quella naja (la tenaja, com’era chiamata la leva militare), finisse presto? Dalle parole del Marcello emerge però anche quale dovesse essere l’attività principale del podestà: risolvere le numerose liti che insorgevano tra la gente di quel tempo, rissosa e violenta molto più di adesso. Eppure il nostro Bernardo si comportò bene in qualità di rettore, tanto che sull’architrave della porta del Monte di Pietà, in Piazzotto Montevecchio, un’iscrizione ricorda che vi fece aprire un negozio pubblico di sale, in buona sostanza una rivendita per contrastare le speculazioni dei commercianti privati. [25]

Da una nomina a Podestà fatta dal Doge Michele Steno a Alessandro Bon nel 1408 (e ora pubblicata in internet) veniamo a sapere che lo Stato assegnava al Rettore uno stipendio di 350 lire di piccoli al mese, ma esso doveva pagare il suo vicario 400 lire all’anno, il cancelliere 100 lire all’anno, un cavaliere 100 lire all’anno, e mantenere 6 berrovieri, 3 servitori, un cuoco, 2 stallieri e 4 cavalli [26] Brentari, Storia di Bassano.., pp. 471-473.

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Iscrizione del Marcello sulla porta del Palazzo Montevecchio

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Un altro suo merito fu quello di far chiudere gli ambienti dove si giocava d’azzardo per evitare che i cittadini perdessero il proprio denaro. Anche allora, infatti, c’erano gli appassionati del gioco, come oggi ci sono i ludodipendenti di slot-machine e videopoker. Per commemorare questo provvedimento fu posta una targa nella loggia comunale, tolta dopo l’incendio del 1682.[27] L’incarico di capitano prevedeva inoltre l’assegnazione dell’autorità militare su un contingente di soldati, stradiotti e cappelletti, mercenari provenienti dalle terre di Dalmazia, Grecia e Albania, a cui dagli inizi del XVII secolo si aggiunsero i Bombardieri, una milizia civica composta da borghesi che imparavano a sparare con le armi da fuoco e davano vita ad ambiziose confraternite paramilitari. A Bassano il presidio militare era però molto ridotto, perché a Venezia si stimava che non potesseso giungere da quest’area eccessivi pericoli. Una sottovalutazione degli assetti geopolitici che fu duramente smentita ai tempi della guerra della Lega di Cambrai. L’orgoglio dei Bassanesi di avere un podestà con funzioni di capitano, mentre altri centri più piccoli avevano soltanto il podestà, è posto in evidenza dal fatto che nel 1604 il Maggior Consiglio inviò a Venezia una opposizione alla richiesta, avanzata dagli abitanti di Asolo, affinché il loro rettore fosse insignito pure dell’incarico di capitano. [28] Questa concessione – si affermava - avrebbe tolto al podestà bassanese il controllo sulle milizie asolane, e non era soltanto una questione di titoli; il capitano aveva infatti il comando sulle cernide, istituite a partire dal 1593, ossia le milizie composte dai campagnoli arruolati entro un territorio che travalicava i confini delle singole podesterie. Sembra però che tra i rettori bassanesi non ci siano stati personaggi di rilievo nel contesto della vita politica veneziana. Il loro compito, d’altronde, era più quello di un controllore e di un giudice che di un amministratore nel senso moderno; non era loro consuetudine prendere iniziative, e anche quando il Maggior Consiglio sollecitava qualche provvedimento, di regola agivano con cautela e lentezza. Per un magistrato che restava in carica soltanto un anno o poco più, era infatti assai facile far slittare le decisioni fino allo scadere del mandato. Al giorno d’oggi la nostra sensibilità è colpita dal fatto che il governo delle città sottoposte fosse affidato ad un ceto privilegiato per nascita, il patriziato veneziano, ma con questo sistema Venezia controllava le popolazioni di Terraferma equilibrando accen[27] [28]

Ivi.., pp. 472. ASB, Atti del Consiglio, vol. 21, 1604 marzo 30.


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tramento e decentramento, abbassando il potere delle pericolose aristocrazie locali e favorendo il rapporto diretto con la popolazione. Gli aspiranti magistrati erano tuttavia persone che venivano selezionate sul campo e dovevano prepararsi adeguatamente ai loro futuri impegni. Se la nobiltà di origine feudale privilegiava per i giovani l’educazione militare o ecclesiastica, a Venezia invece sempre più fu apprezzata la competenza giuridica e politica. Era importante conoscere varie materie, dalla grammatica alla geometria, dalla storia alla filosofia - scrisse l’anonimo autore di un Saggio sopra l’educazione della Nobiltà, pubblicato a Venezia nel 1753 -, ma soprattutto era necessario padroneggiare la retorica; occorreva, cioè, saper parlare con eloquenza e stile. Non si poteva insomma diventare doge se non si era anche un raffinato oratore, come dimostra la vicenda di Paolo Zuliani, candidato a doge nel 1413, e scartato perché non era esperto nel parlare in pubblico.[29] Inizialmente però i rettori delle città di terraferma non avevano tutti questi requisiti culturali, per cui erano coadiuvati da un vicario, ossia un esperto in giurisprudenza non necessariamente nobile né veneziano, in grado di risolvere quei casi che gli Statuti locali non contemplavano, ricorrendo al diritto romano. Per il loro servizio i podestà che venivano a Bassano dovevano essere accompagnati anche da un cancelliere, un miles (un cavaliere di professione che avrebbe comandato le sentinelle e le guardie locali) e da alcuni uomini d’arme: tre cavalieri e quattro sbirri. Tutti insieme essi dovevano adoperarsi affinchè gli Statuti cittadini fossero rispettati, a meno che non fossero in conflitto con la legislazione veneziana, e controllare che i vari ufficiali del Comune svolgessero con cura i loro compiti. Il Comune continuava a funzionare attraverso organismi che avevano lontane origini: il Maggior Consiglio, che era composto agli inizi della dominazione veneziana da 32 membri, e il Minor Consiglio (detto Banca), formato da sindaci, giudici e consoli: i funzionari che contavano maggiormente nella vita dell’ente comunale. Era con costoro che il podestà si trovava a trattare, e si può immaginare quali schermaglie potessero nascere tra il gruppo dei maggiorenti locali e il nuovo arrivato; ma questi aspetti raramente traspaiono dai documenti. Quanto poteva incidere il podestà e capitano nella vita cittadina? In un sistema tutto è correlato e ogni singolo elemento è condizionato dagli altri, ma l’impressione che si ricava dalla lettura degli Atti del Consiglio è che il rettore venuto da Venezia potesse, è vero, garantire la corretta applicazione delle normative e talvolta far prevalere quelle veneziane, ma poi erano soprattutto alcuni personaggi appartenenti alle famiglie più ricche e più assiduamente presenti nei consigli cittadini a orientare le scelte dell’ente comunale, spesso ridotto a discutere problemi di importanza assai limitata. Indicative, in tal senso, le delibere prese nei primi Consigli della reggenza del Bembo, il 4 agosto e il 5 settembre del 1404: la concessione a Baldisserra del Maggio della costruzione di un soppalco in legname per unire due case, il permesso a donna India di tagliare un albero piantato sul suolo pubblico che le oscurava l’abitazione, il pagamento a Caterina vedova del precone Rosso del salario che spettava a suo marito.[30] Esaminando i rapporti tra i podestà e l’attività del Comune si nota pure che nei periodi in cui lo Stato era impegnato in gravi conflitti calavano le delibere del Consiglio e soprattutto si riducevano le spese. Il popolo comunque guardava ai detentori del potere con un misto di sentimenti [29] [30]

G. Cappelletti, Storia della Repubblica di Venezia, vol. 4, pp. 360-361. ASB, Atti del Consiglio, vol. 1, 1404, agosto 4 e settembre 5.

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Il podestĂ Sante Moro e San Rocco ai piedi della Vergine. Quadro votivo per la peste del 1576 (MBA Musei Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa)


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tra cui c’era anche l’aspettativa di una soluzione “miracolosa” in caso di eventi funesti, come pestilenze e carestie, magari attraverso una protezione celeste di cui si credeva, un po’ ovunque, potessero godere i governanti. Qualcuno potrebbe chiedere se i rettori veneziani governarono bene Bassano. La questione non è semplice, anche perché sul concetto di “bene pubblico” i parametri di oggi non sono quelli dei tempi di Machiavelli e Guicciardini. Come si è detto, essi erano soprattutto dei controllori del territorio e le ricerche di Francesco Vianello hanno messo in luce che tendevano a favorire l’aristocrazia locale, alla quale si appoggiavano per garantirsi il consenso del Consiglio comunale.[31] Un altro dato ci viene fornito da Alfredo Viggiano, che ha esaminato le delibere degli Auditori novi, i magistrati che avevano il compito di percorrere la Terraferma e verificare l’operato dei Rettori locali. Essi nel periodo che ci riguarda fecero a Bassano ventidue interventi contro le delibere dei podestà, un numero – egli osserva – superiore a quello fatto in ogni altra località. [32] A questi elementi si possono aggiungere le notizie raccolte dal Brentari su certi libelli e manifesti che a partire dagli anni 1486 in poi furono con maggior frequenza pubblicati contro alcuni podestà, come Andrea Foscarini, Alvise Orio, Gian Battista Morosini, Alvise Salomon e altri.[33] Queste pasquinate erano ovviamente perseguitate dall’autorità, ma i colpevoli non vennero mai trovati: segno, forse, che godevano di una certa protezione? Per molti altri governatori il Comune, o alcuni intellettuali bassanesi, procurarono invece di tessere lodi e innalzare monumenti, soprattutto dopo la seconda metà del Cinquecento; ma erano già tempi più tranquilli per lo Stato veneto e la cultura rinascimentale favoriva il gusto per le celebrazioni. E dunque…? Molto probabilmente svolsero il loro compito con correttezza, ma dobbiamo dire altresì che a sorvegliarli c’era il Consiglio dei Dieci, il severissimo tribunale creato per i nobili dopo la congiura di Baiamonte Tiepolo. Chi veniva sorpreso in fallo era punito immediatamente con estrema severità, e ciò era certamente un deterrente formidabile contro la tentazione di compiere malversazioni. Il nobiluomo a cui veniva affidato un incarico doveva svolgerlo con la più solerte dedizione e, se tentennava o tradiva, perdeva la libertà e spesso la vita. Per il resto ormai è risaputo che quello del “buon governo” della Serenissima è un mito creato dagli storici e intellettuali veneziani, una delle più riuscite operazioni di propaganda, staremmo per dire di marketing politico, i cui effetti durano ancora. Una espressione di questo è anche la decorazione della loggia di piazza di Bassano. Presentiamo qui gli scudi affrescati nella loggia di piazza di Bassano, accompagnandoli con alcune notizie relative ai personaggi che rappresentano e ai fatti principali del pe-

[31]

F. Vianello, Gli organi di governo della città in età moderna, in Storia di Bassano del Grappa.., pp.77-87 Viggiano, Governati e governanti…, pp.156-157. [33] Brentari, Storia di Bassano…, pp. 460-464. [32]

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Nota alla presentazione degli scudi riodo in cui essi prestarono il loro servizio di governo. Per queste informazioni ci siamo avvalsi soprattutto degli Atti del Consiglio comunale, che riportano però gli eventi solo in ordine cronologico e non tematico; tuttavia per il periodo preso in considerazione sono la fonte migliore. Le altre documentazioni di tipo seriale conservate nell’Archivio storico di Bassano, come quelle relative a estimi, spese, liti eccetera, richiedono un’elaborazione dei dati più complessa e spesso partono dalla metà del XVI secolo. Sono stati riportati, per evitare eccessiva prolissità, solo alcuni avvenimenti significativi, sia relativi al Comune, sia alla storia della Repubblica di Venezia, trascurando le informazioni ripetitive, come la nomina dei religiosi che annualmente predicavano la quaresima, oppure i periodici contratti con i medici condotti o con i maestri di grammatica della scuola comunale, le delibere per fissare il prezzo del frumento venduto dal Fontico del grano e altri eventi simili. Il lavoro tuttavia non si può considerare completo e potrà essere arricchito come un database di eventi utile per la storia del territorio. Le notizie raccolte dovrebbero comunque rendere l’idea dell’evoluzione di Bassano dal momento del passaggio sotto la Serenissima, ancora in piena età tardo-medioevale, fino alla metà del Cinquecento, in pieno Rinascimento e alle soglie della Controriforma. Informazioni più dettagliate su questi podestà e capitani si potrebbero ottenere da una ricerca accurata sulle Relazioni dei Rettori dei Domini della Repubblica, conservate nell’Archivio di Stato di Venezia, ma ciò esula dai limiti imposti al presente lavoro. I nomi dei nobili veneziani, inoltre, si ripetono spesso nel contesto del casato e le ricorrenze di appellativi uguali nelle liste dei rettori di Terraferma, sia a distanza di qualche decennio che di pochi anni, possono trarre in inganno; occorre infatti molta cautela nel ricostruire le note biografiche di questi governatori. Ad esempio, non si può ritenere che il Vettor Pisani, rettore di Bassano nel 1424-25, sia l’ammiraglio che combattè contro i Genovesi durante la Guerra di Chioggia e morì nel 1380. Dubbia è talvolta la precisione con cui furono dipinti gli emblemi che vediamo nella loggia, soprattutto in presenza di varianti; c’erano, ad esempio, tre casate Miani con tre scudi diversi. In altri casi non è dato sapere con certezza se quello sbiadito che si scorge sulla parete fosse veramente del podestà dell’anno a cui dovrebbe corrispondere. Dobbiamo presumere che il pittore fosse informato sulle caratteristiche degli scudi, ma sorge il dubbio che potrebbe, in qualche caso, aver “lavorato di fantasia”. La visualizzazione nella casella di destra del database sia della foto che dell’immagine grafica degli scudi, rende l’idea di come ci siano tra l’affresco e la pittura varianti e imprecisioni, nelle figure e negli smalti,

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prodotti dall’autore già durante la realizzazione, e che dovrebbero essere esaminati in sede specialistica. Il linguaggio dell’araldica è molto formale, con regole complesse sulle dimensioni, orientamento, posizioni e partizioni delle varie parti dello scudo. Abbiamo potuto rilevare che nella maggior parte degli scudi esse sono rispettate, ma non sempre correttamente, e molto meno soprattutto in quelli della parete rivolta a Nord. Riteniamo utile ricordare che lo scudo era portato dal cavaliere al braccio sinistro e dunque le immagini erano rivolte verso la sua destra; allo spettatore esse risultano quindi orientate da destra verso sinistra, e ciò vale soprattutto per le figure passanti, rampanti…, come leoni, cervi, volpi e altri simboli analoghi. Nei testi di araldica quindi quando si trova scritto destra si intende la sinistra di chi guarda. La blasonatura, ossia la descrizione fatta con il linguaggio araldico, inizia, secondo lo stile francese, inglese e italiano, dal colore del campo, se è pieno, oppure dalla dichiarazione delle partizioni primarie, procedendo poi dall’alto in basso o da sinistra a destra di chi guarda, e sempre partendo dallo sfondo per risalire alle figure in primo piano. Per la lettura dei blasoni e le notizie sulle casate ci siamo avvalsi dell’opera di D. Casimiro Freschot, La Nobiltà Veneta, Venezia 1707; del Libro dei Nobili Veneti, Firenze 1866; dello stemmario Famiglie venete con le loro armi, ms. del XVII sec., Biblioteca Estense Universitaria di Modena; del Dizionario-storico portatile di tutte le venete patrizie famiglie, Venezia 1780; di F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate Nobili e dei Titolati Nobili esistenti nelle provincie venete, Venezia 1830, del volume di P. Guelfi Camaiani, Dizionario Araldico, Milano 1940; nonché di numerosi siti internet dedicati all’araldica, tra cui Bibliografia di riferimento per l’Armoriale delle famiglie italiane, Stemmario italiano, Leone marinato, I nostri avi, Il Portale dell’Araldica, e delle numerosi voci di Wikipedia e dell’Enciclopedia Treccani. In questi siti sono presenti anche vari glossari di araldica a cui si rinvia. Una bibliografia più ricca si può trovare nell’articolo di Otello Bullato sugli stemmi del Castello di Marostica, pubblicato nel volume Marostica, Vicenza 2004. Per evitare ripetizioni usiamo spesso come sinomimi i vocaboli arme, stemmi, scudi, emblemi eccetera; tuttavia, con scudi o arma si intende la medesima cosa, ossia lo strumento difensivo del guerriero, decorato in genere coi colori del casato; con stemma si intende invece l’insieme di elmo con cimiero, corona, cercine, manto, sostegni eccetera, compresi i motti e gridi d’arme, che personalizzano lo scudo e lo contornano. Quando tutto ciò manca non si può quindi parlare correttamente di stemma. La serie degli scudi podestarili nella loggia inizia sulla parete rivolta a Est, in alto a sinistra, continua per tutta la riga e prosegue in quella sottostante. Per agevolare la comprensione di alcuni termini sono qui inserite, tra parentesi quadre, alcune spiegazioni. La elaborazione grafica di numerosi scudi è stata realizzata da Alberto Scarmoncin.


Franco Scarmoncin 1) Lo scaglione che compare nel suo emblema è indice dell’alta nobiltà di questa casata; essa sarebbe stata di origini bolognesi e fece parte delle 24 più antiche famiglie nobiliari veneziane. I Bembo che portarono il nome Francesco sono più di uno, tra cui un vescovo di Venezia. Questo governatore di Bassano fu poi il capitano generale dell’armata del Po che sconfisse il duca di Milano Filippo Maria Visconti presso Cremona, nel 1426. Fu inoltre podestà a Treviso nel 137677, a Padova nel 1411, dove fu pure capitano nel 1420 e di nuovo podestà nel 1427. Dalla casata discese il cardinale Pietro Bembo (1470-1547), poeta, storico di Venezia e scrittore degli Asolani e delle Prose della Volgar Lingua. A Bassano durante il breve mandato del Bembo riprese a funzionare il Consiglio comunale, ma non emergono dagli Atti iniziative degne di nota.

2) La casata degli Zane, che alcuni cronisti collegano con scarso fondamento agli Ziani, era una delle più antiche e ricche di Venezia. La volpe che compare nello scudo in veneziano era detta “zana”; il colore azzurro indicherebbe la nobiltà e la ricchezza, l’argento la giustizia e la purezza. Un Andrea Zane è annoverato tra i podestà di Treviso nel 1362-63 e di Conegliano nel 1365, di Vicenza nel 1412-13 e di Padova nel 1417, ma non è sicuro che siano sempre la stessa persona. Il 7 dicembre del 1405 i bassanesi Oradino de Rossignoli e Andrea Forcatura, due cittadini influenti, furono inviati a porgere l’ossequio della città al Doge e a richiedere la conferma dei privilegi concessi al momento della dedizione. Nei mesi precedenti Oradino aveva ottenuto il permesso di costruire un edificio lungo la Brenta per follare i panni e il Forcatura la concessione a livello di 35 campi di terreno comunale. Il 16 gennaio 1406 furono uccisi in carcere a Venezia Francesco Novello da Carrara signore di Padova e i suoi figli.

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Franco Scarmoncin 3) Pietro Zaccaria fu uno dei trenta nobili creati il 4 settembre 1381 per i servizi prestati alla Repubblica durante la Guerra di Chioggia combattuta contro Genova e Padova. Più lo scudo è elaborato, più era recente l’accesso al patriziato, e questo è un esempio evidente. I due metalli, argento e oro nella parte superiore rappresentano gloria e virtù, ricchezza e potenza; ma sono un’anomalia per le regole dell’araldica, secondo cui essi non dovevano mai essere messi insieme negli scudi. Pietro Zaccaria fu anche podestà a Treviso nel 1417 e a Belluno nel 1421-22. Durante la sua amministrazione in Bassano si riprese a concedere la cittadinanza a immigrati provenienti da varie località per favorire la ripresa economica e fu promossa un’azione legale contro Feltre per il controllo di Primolano. Nel 1406 il cardinale Angelo Correr, vescovo di Castello, fu eletto Papa con il nome di Gregorio XII; morì però nell’anno successivo.

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4) Il nome di questa casata è indicato dai genealogisti in vari modi: Pappaciccia, Papaciza, Papariza. Francesco discendeva da Antonio Pappaciccia di Nicolò da S. Moisè, che fu creato nobile nel 1311 per aver aiutato il Doge contro Baiamonte Tiepolo e i suoi congiurati. La famiglia si estinse nel 1425 alla morte di Paolo. L’oca simboleggia la vigilanza e la custodia, e allude a quelle che salvarono il Campidoglio. Il 27 luglio 1408 il capitano di Padova con un lodo arbitrale ripartì i compiti di manutenzione della rosta Rosà tra gli uomini di Bassano e quelli di Cittadella.


Franco Scarmoncin 5) Questa casata patrizia è fra le più antiche e articolate, quindi è difficile dire a quale ramo appartenesse questo podestà; sono infatti numerosi i Giustinian di nome Bernardo - circa quaranta - tra cui un grande diplomatico, che fu in ballottaggio per l’elezione a Doge, e il padre di san Lorenzo primo patriarca di Venezia nel 1451. In base all’epoca in cui visse, questo podestà potrebbe appartenere alla linea del Calle del Ridotto e essere stato anche Capitano del Polesine di Rovigo nel 1425. Durante la sua gestione il Comune si impegnò in uno scontro con l’arciprete Lazzarino da Parma, accusandolo di comportamenti immorali per ottenerne la rimozione. Nel 1409 il re di Napoli Ladislao cedette la città di Zara e tutti i suoi diritti sulla Dalmazia allo Stato veneziano in cambio di 100.000 ducati d’oro. Ciò provocò però le proteste di Sigismondo del Lussemburgo re d’Ungheria.

6) Questo podestà apparteneva ad una famiglia di antica nobiltà proveniente da Altino. Esiste anche un altro casato da Canal che porta però uno scudo diverso. Durante la sua amministrazione continuò la lite tra il Comune e l’arciprete Lazzarino da Parma. Tale fatto provocò gravi dissapori con la curia vescovile, intenzionata a difendere le proprie prerogative nella nomina dei presbiteri. Venezia in questo periodo provvedeva a fortificare Zara e le frontiere trevigiane e orientali, mentre il re Sigismondo andava raccogliendo il suo esercito ai confini del Friuli.

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Franco Scarmoncin 7) I Contarini furono tra le 12 più antiche casate veneziane, quelle dette “apostoliche”. Un Giovanni Contarini fu podestà di Conegliano nel 1373 e nel 1433, podestà di Padova nel 1428 e di Vicenza nel 1474, però non poteva essere sempre la stessa persona. Proseguirono in questo periodo le trattative del Consiglio comunale con il Vescovo di Vicenza per risolvere la questione della scelta dell’Arciprete. Furono poi nominati due saltari per ogni quartiere, detti spioni, per sorvegliare il “vignale”: i terreni a vigneto del bassanese che costituivano la fonte primaria dell’economia del territorio. Il 20 aprile 1411 iniziò l’invasione del Friuli da parte dell’esercito dell’imperatore Sigismondo d’Ungheria, guidato da Filippo Scolari, detto Pippo Spano. L’imperatore aveva vari motivi di contrasto con i Veneziani, sia per la loro politica espansionistica nella Dalmazia e nel Friuli, sia perché rifiutavano di sottomettersi all’autorità imperiale.

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8) Ci furono più casate Miani nel Veneto, ma le altre portano sugli scudi una o tre pannocchiette di grano in capo azzurro; questa del podestà Pietro discenderebbe, secondo alcuni genealogisti, dal casato dei Miani che edificarono la chiesa di S. Tomà. Nel dicembre del 1411, scendendo da Belluno e Feltre, l’esercito ungherese condotto da Pippo Spano raggiunse il territorio pedemontano e i Bassanesi dovettero organizzare la difesa contro il nemico. Il Podestà Miani insieme con il capitano del castello Andrea de Redusi da Quero riuscì ad animare la resistenza dei cittadini, che respinsero gli invasori ottenendo il plauso del doge Michele Steno.


Franco Scarmoncin 9) I Marcello erano un casato certamente insediato a Torcello nel X secolo, ma vantava le sue origini nella gens Claudia-Marcella dell’età imperiale. Nel XV secolo diedero alla Repubblica numerosi generali e un doge. Mancano notizie sulle attività del Consiglio comunale in questo periodo tormentato dalla guerra. Sotto l’amministrazione di Nicolò proseguirono le operazioni militari contro l’esercito ungherese di Pippo Spano; i Bassanesi continuarono la resistenza contro gli invasori, che attaccarono in forze anche Vicenza senza riuscire a conquistarla. Spossato dalle gravi perdite l’imperatore Sigismondo chiese infine una tregua della durata di un quinquennio, che fu firmata il 18 aprile 1413 ad Aquileia.

10) Questo podestà apparteneva ad una famiglia antichissima proveniente da Muggia. Proprio nel 1413 nacque Marco Barbarigo, che diventò Doge di Venezia nel 1485. A Bassano vennero associati alla cittadinanza alcuni forestieri: Giacomo dal Pozzo, Bartolomeo da Lugo e Francesco da Angarano; è questo un sintomo della ripresa delle attività economiche, mancano però notizie più dettagliate sull’attività del Consiglio comunale. Il 26 dicembre del 1413 morì Michele Steno, il doge che aveva dato inizio all’espansione veneziana nella Terraferma. Lo sostituì Tommaso Mocenigo, preferito a Paolo Zuliani perché quest’ultimo non era un bravo oratore.

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Franco Scarmoncin 11) I Cocco furono un casato proveniente, secondo alcuni genealogisti, da Durazzo, secondo altri da Mantova, e ricoprirono importanti incarichi politici in Venezia. Negli Atti del Comune però non sono menzionate delibere relative al periodo della gestione di questo podestà. Durante la tregua con Sigismondo i Veneziani con molto impegno fortificarono Zara, la città che era rivendicata dall’imperatore.

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12) Due sono gli stemmi attribuiti ai Tron, differenti solo per alcuni particolari relativi ai gigli rossi. Fu un casato di antica nobiltà insediato nell’isola di Mazzorbo, ma di incerta provenienza. Negli Atti del Comune non ci sono delibere relative al periodo della gestione di questo podestà. Nel maggio del 1416 una flotta veneziana sconfisse quella turca nei pressi di Tenedo, iniziò così un nuovo ciclo di ostilità tra la Repubblica e gli Ottomani che si svilupperà ulteriormente negli anni successivi.


Franco Scarmoncin 13) Podestà appartenente ad una antica casata che si diceva fosse fuggita da Altino quand’era stata invasa dagli Unni e si fosse insediata a Burano. Nessuna informazione proviene dalle relazioni del Consiglio comunale di Bassano su questo suo periodo di servizio. Il nuovo duca di Milano Filippo Maria Visconti durante quest’anno attaccò Bergamo e Brescia, con l’intenzione di recuperare le terre perdute alla morte di Gian Galeazzo. Per Venezia si aprì così un nuovo fronte di ostilità.

14) Lo stemma più noto dei Morosini è quello blasonato d’oro alla banda d’azzurro, che fu anche del doge Francesco Morosini, detto il Peloponnesiaco. Qui troviamo una variante dei diversi scudi della casata. La regina d’Ungheria Tommasina Morosini lo portava d’oro alla fascia azzurra, ma Andrea, generale nella guerra contro Zara, aggiunse la croce rossa con il cerchio d’argento (1348). Sembra perciò che lo scudo del podestà Pietro alluda a questo ramo del casato. I Morosini furono molto attivi come Rettori in Terraferma, tuttavia questo Pietro non è presente nelle liste dei magistrati delle principali città venete. Negli Atti del Consiglio non è riportata alcuna delibera relativa alla sua amministrazione.

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Franco Scarmoncin 15) Gli Orio erano una nobile famiglia originaria di Altino e fuggita al tempo delle invasioni degli Unni; si stabilì quindi a Rialto e fu tra le casate fondatrici di Venezia. Gli Atti del Comune non menzionano delibere relative al periodo di questo podestà, ma Venezia in quel tempo vide crescere la tensione sia con l’imperatore Sigismondo, che pretendeva la restituzione di Zara e il libero passaggio per la Terraferma veneta, che con il Patriarca di Aquileia Ludovico di Teck, che non rispettava gli accordi stabiliti. Agli inizi del 1419 l’esercito veneziano fu quindi impegnato in feroci azioni di guerra nel Friuli. Il 30 aprile 1418 quattro ambasciatori veneziani parteciparono al Concilio di Costanza, dove incontrarono Sigismondo, ma non risolsero i motivi di contrasto, perché Venezia rifiutava di cedergli le città dalmate.

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16) Ritroviamo di nuovo lo scudo della famiglia Zaccaria, che con il podestà Bernardo aveva ricoperto l’incarico già nel 1406-07 Negli Atti del Comune però non sono menzionate delibere relative all’amministrazione di Ermolao. Infuriò in questo periodo la guerra in Friuli e tra marzo e aprile 1420 la flotta veneziana attaccò la Dalmazia; Spalato si arrese e altre località costiere la imitarono facendo atto di sottomissione alla Repubblica.


Franco Scarmoncin 17) I Venier furono una casata di antichissima origine, che secondo alcuni proveniva dalla gens Aurelia, e diede ben tre dogi alla Repubblica. Tra questi ci fu un Antonio Venier, che governò prima del 1400, ed è famoso per aver lasciato morire in carcere il figlio Alvise, reo di adulterio. La guerra contro il Patriarca di Aquileia si concluse in questo periodo con la resa dapprima di Feltre, poi di Udine e l’assorbimento del Friuli nello Stato veneziano. Il duca di Milano Filippo Maria Visconti, preoccupato per la crescente potenza della Repubblica, stipulò allora una tregua decennale con Venezia. Anche per questa podesteria non ci sono notizie negli Atti del Comune, ma la diffusione della peste costrinse lo stesso podestà a dimorare fuori città per sfuggire il contagio.

18) I Loredan erano un’antica casata che intorno a questo decennio andò assumendo crescente importanza, tanto che alcuni suoi membri diventarono baili a Negroponte. Un Pietro Loredan fu nel 1420 l’ammiraglio della flotta veneziana nella guerra contro i Turchi.

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Franco Scarmoncin 19) Nicolò Marcello aveva già amministrato Bassano nel 1412-13 e vi ritornò a distanza di dieci anni. Durante questo secondo mandato gli Atti del Comune registrano poche delibere: la concessione della cittadinanza al maestro Abondio di Como e l’assunzione di un nuovo medico, il veronese Francesco de Polla al posto del precedente Michele de Savonarola. In questo periodo nacque un contezioso per la definizione dei confini tra Bassano e Rossano. Il 4 aprile 1423 morì a Venezia il Doge Tommaso Mocenigo e il giorno 15 fu eletto Francesco Foscari. In quest’anno la peste provocò migliaia di vittime e indusse il Governo a istituire il primo Lazzaretto nell’isola di S. Maria in Nazaret, mentre in tutto lo Stato dilagava il terrore.

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20) Lo stemma dei Mocenigo ha diverse varianti; quello dell’affresco è molto danneggiato, ma se nel campo dorato fosse leggibile anche un’aquila bicipite di color nero, coronata d’oro, apparterrebbe ai Mocenigo di S. Samuele. Probabilmente questo Marino fu anche podestà a Treviso nel 1435. Nel maggio del 1423 nacque una contesa con gli abitanti di Romano, perché avevano alterato i segnali del confine; il Consiglio comunale inviò perciò ambasciatori a Venezia per far valere le proprie ragioni. A Bassano la popolazione era diminuita a causa della pestilenza e per rimediare fu concessa la cittadinanza a numerosi immigrati. Venezia in quest’anno si alleò con i Fiorentini contro Filippo Maria Visconti duca di Milano che tentava di conquistare la Romagna.


Franco Scarmoncin 21) Questo casato proveniva da Pisa e si era insediato a Venezia intorno al X secolo. I Pisani si divisero in numerose famiglie, ma il ramo più prestigioso fu quello di S. Stefano. Il podestà bassanese porta il nome del grande ammiraglio che durante la Guerra di Chioggia (1378-80) sconfisse i Genovesi stringendoli d’assedio. Nel dicembre del 1424 il Consiglio bassanese deliberò di costruire l’orologio del Comune con il quadrante. Venezia intanto si stava preparando alla guerra contro il Visconti e nominò comandante generale Francesco Carmagnola, ingaggiato con un salario di 6000 ducati l’anno. 22) Alcuni storici affermano che questa famiglia fu associata al patriziato nel 1220 per i successi riportati nel Levante, ma sono scarse le notizie sul casato. Il Comune in questo periodo concesse agevolazioni per attirare contadini a lavorare nella campagna bassanese spopolata dalla peste e distribuì campi demaniali per incentivare la produzione. Venezia il 26 gennaio 1426 dichiarò guerra a Filippo Maria Visconti e il Carmagnola entrò in Brescia il 17 marzo ispirando la rivolta contro il duca e preparando la città ad un lungo assedio.

23) L’emblema di questo podestà appartiene ad un casato collaterale della famiglia Querini, che era una delle dodici originarie di Venezia. Quando nel 1310 fallì la congiura ordita contro lo Stato da Baiamonte Tiepolo, Marco Querini e Badoere Badoer, i membri della famiglia Querini che non vi avevano preso parte, mutarono lo stemma e assunsero questo, con la grande B in campo rosso, per marcare la loro fedeltà alla Serenissima. In quest’anno il Comune fece venire da Padova mastro Aleardo perché tenesse in ordine i pesi e le misure pubbliche e si prendesse cura della regolazione dell’orologio. Infuriò in questo periodo la guerra contro Milano e il generale della flotta fluviale Francesco Bembo, primo governatore di Bassano, sconfisse gli avversari a Cremona e conquistò i castelli sull’Adda.

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Franco Scarmoncin 24) Anche questo casato, come i Querini, fu costretto a modificare lo stemma originario per prendere le distanze da Baiamonte Tiepolo, capo della congiura del 1310. Da quanto si vede nell’affresco il podestà Pietro Tiepolo apparteneva a una famiglia collaterale, ma non trascurò di inserire nel cuore dello scudo il corno ducale, primitivo emblema dei Tiepolo, insieme al campo azzurro con il castello a tre torri d’argento appartenuto al generale Giacomo Tiepolo. A Bassano nel febbraio del 1427 il Comune deliberò la costruzione di una tintoria presso il Porto di Brenta, affittata poi ad Andrea da Ferrara per 13 ducati all’anno. Il 12 ottobre del 1427 si svolse la battaglia di Maclodio, nella quale l’esercito milanese fu sconfitto duramente dal Carmagnola, che però non inseguì i fuggitivi per approfittare della vittoria. Alcuni Senatori giudicarono che ciò fosse dovuto a tradimento e iniziarono a tenere il generale sotto stretta osservazione.

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25) Lo scudo disegnato nella loggia è un po’ diverso dall’originale dei Priuli, che nella parte inferiore aveva il campo azzurro con tre pali d’oro. Il casato era molto antico e, secondo alcuni, proveniva dall’Ungheria, secondo altri da Torcello. Durante l’amministrazione di Pietro il Comune diede in affitto ad un consorzio di cittadini i prati collegati alla rosta Rosà, al canone di 310 lire all’anno. Il 18 aprile del 1428 Venezia concluse una tregua con lo sconfitto Filippo Maria Visconti e conservò il dominio su Bergamo e Brescia.

26) I Sagredo erano una famiglia probabilmente originaria di Sebenico e appartenente alle casate nove, ossia quelle inserite nel patriziato prima della Serrata del 1297. Questo Bernardo Sagredo compare tra i podestà di Conegliano nel 1424. Durante la sua amministrazione a Bassano è segnalata solo l’ammissione alla cittadinanza di Vincenzo Cerato da Sarcedo.


Franco Scarmoncin 27) Anche i Minotto appartenevano alle casate nove e sarebbero venuti da Roma. A Bassano in quest’anno il Comune prese provvedimenti per la sorveglianza del vignale, contro i frequenti furti di olivi, ciliegi e altre piante. Agli inizi del 1431 ripresero le ostilità tra Veneziani e Milanesi.

28) Il casato Vitturi (non Vettori come è scritto nel Brentari) apparteneva anch’esso alle casate nove e sarebbe giunto a Venezia dalla città di Traù in Dalmazia. A Bassano durante il suo mandato fu ammesso tra i cittadini Domenico Stecchini di Angarano e fu creata una commissione per modificare i regolamenti riguardanti il vignale. Il 3 marzo del 1431 venne nominato papa il veneziano Gabriele Condulmer, che prese il nome di Eugenio IV. L’evento fu salutato a Venezia con grandi festeggiamenti, ma tanti erano i problemi per la Serenissima: nella guerra contro il Visconti l’esercito veneziano subì alcune gravi sconfitte, il Patriarca d’Aquileia e l’imperatore Sigismondo attaccarono nuovamente e un esercito di Ungheresi invase il Friuli. Il Carmagnola intervenne usando metodi brutali e li mise in fuga, ma nel marzo del 1432 il generale, sospettato di tradimento, fu richiamato a Venezia. In gennaio era stata anche sventata una congiura ordita da 25 giovani appartenenti al patriziato. 29) Baffo (non Basso come scrisse il Brentari) è il nome di questo antico casato insediatosi a Mestre nel IX secolo. Narrano i cronisti che una giovane legata ad esso Cecilia figlia di Nicolò Venier e di Violante Baffo fu catturata dai Turchi, divenne la favorita del sultano Selim II e fu madre di Murad III. Lodovico Baffo sembra che sia stato podestà anche a Treviso nel 1456. I Bassanesi in questo periodo rinnovarono il patto per i diritti sulle decime con il Vescovo di Vicenza e trattarono la concessione del giuspatronato sul convento di S. Pancrazio; venne inoltre ordinata la redazione dell’inventario dei beni della chiesa di S. Maria di cui era ancora arciprete Lazzarino da Parma. L’11 aprile a Venezia iniziò il processo contro il Conte di Carmagnola, che fu dichiarato traditore e decapitato.

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Franco Scarmoncin 30) La casata dei Minotto era divisa in più famiglie che avevano stemmi diversi, e si diceva che fosse originaria di Roma; alcuni suoi membri furono importanti comandanti delle flotte veneziane. Lorenzo Minotto fu anche podestà di Vicenza nel 1455-56 e di Treviso nel 1463. Negli Atti del Consiglio di Bassano non sono però riportate delibere di questo periodo. A Ferrara, il 26 aprile del 1433, fu siglata una tregua tra Venezia e il Duca di Milano.

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31) Il casato dei Lion proveniva probabilmente da Padova, ma al tempo della Serrata del Maggior Consiglio i suoi membri si trovavano a San Giovanni d’Acri e furono ammessi al patriziato al loro rientro a Venezia, agli inizi del ‘300. Nessuna notizia contengono gli Atti del Consiglio su questo periodo. Riprese nel 1434 la guerra tra il Duca di Milano e Venezia, alleatasi con il Papato, Firenze e Genova. Agli inizi del 1435 fu scoperta una congiura filocarrarese in Padova, ispirata dal Visconti; il suo capo, Marsilio da Carrara, che scendeva daTrento per congiungersi ai suoi sostenitori, fu catturato, condotto a Venezia e decapitato. La storia della famiglia da Carrara si concluse così tragicamente. 32) I Civran furono un antico casato, presente fin dal tempo della nomina del primo Doge e si diceva che fosse immigrato da Cervia. Si divise poi in due rami, uno con il cervo d’oro nello stemma, e tale sembra essere quello nella loggia, l’altro con il cervo d’argento. Anche in questo periodo restano muti gli Atti del Consiglio di Bassano. I Veneziani nel frattempo erano impegnati con alterne fortune nella guerra contro Milano. 33) L’emblema che appare dipinto è alterato e diverso da quello usato dai Lion di Venezia. Di questa casata esistettero però varie linee e il loro stemma all’inizio era un campo azzurro con sbarra d’oro a tre rose di rosso; solo verso la fine del XV secolo fu modificato aggiungendo anche il leone sullo sfondo. A Bassano durante questa podesteria il Comune prese provvedimenti contro la vendita del beneficio della chiesa parrocchiale a un sacerdote veneziano concubinario, tentata da parte del nuovo arciprete Marco.


Franco Scarmoncin 34) I Caravello erano un’antica famiglia proveniente dall’isola di Equilio (Jesolo) associata al patriziato prima del XIII secolo. Fu Leonardo Caravello, capitano di Padova, a sventare la congiura di Marsilio da Carrara nel 1435. La famiglia si estinse però nel XVII secolo. Il Comune di Bassano affittò al veneziano Pietro Morosini 200 campi al canone di 1 lira al campo e al nobile Marco Badoer concesse la cittadinanza. Sono i primi segnali della penetrazione della nobiltà veneziana nel territorio bassanese; in precedenza il Comune aveva cercato di limitare l’acquisto della campagna da parte dei Veneziani. Altri provvedimenti furono presi per la protezione del vignale e il restauro della rosta Rosà. Fu inoltre approvata la matricola della confraternita dei marangoni (falegnami), si deliberò di vendere la farina a peso e non a misura e di costruire il campanile della chiesa di S. Giovanni. Sotto questo podestà riprese dunque a funzionare il Consiglio comunale; nel frattempo si intensificarono le opera-zioni militari tra Venezia e Milano. 35) Il casato Marin apparteneva alle famiglie provenienti da Jesolo, fu am-messo al patriziato nel XIII secolo e diede allo Stato numerosi politici importanti. Mancano delibere comunali di questo periodo. Niccolò Piccinino, comandante delle truppe milanesi, pose l’assedio a Brescia che allora era in mano ai Veneziani. Gli eserciti condotti dal Gattamelata e da Francesco Sforza, passato dal servizio dei Visconti a quello di Venezia, lo contrastarono duramente e per portare rifornimenti e aiuti a Brescia furono trainate due galee e altre navi fino al lago di Garda. Il Brentari nella sua Storia di Bassano racconta che alcuni soldati bassanesi parteciparono alla difesa di Brescia distinguendosi per il loro coraggio. 36) I Tagliapietra appartenevano ai casati nuovissimi, la nobiltà creata per aver donato denaro allo Stato in occasione della guerra di Chioggia. Mancano notizie relative a delibere del Comune di Bassano. In questo periodo proseguì invece aspramente la guerra con Milano e l’esercito veneziano subì alcuni rovesci. Lo Sforza insieme ai Bresciani conquistò Soncino e i paesi della Ghiaradadda, minacciando da presso Milano. Il Piccinino infine a Borgo San Sepolcro venne sconfitto e l’esercito con cui doveva soccorrere Milano fu distrutto. Il Visconti chiese allora di avviare trattative di pace.

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Franco Scarmoncin 37) Lo scudo è poco leggibile perché in parte coperto dalla lapide in onore di Alvise Soranzo; la ricostruzione quindi è fatta sulla base di notizie ricavabili dai trattati di araldica. Il Comune di Bassano durante il mandato di questo podestà fu coinvolto in una causa con i frati Eremitani di Padova per l’eredità lasciata al convento di S. Caterina da Francesco Normanini; il Papa delegò il Vescovo di Venezia a giudicare sulla questione. A Venezia nel febbraio del 1441 Jacopo Foscari, figlio del Doge, sposò una figlia di Leonardo Contarini da S. Barnaba e i festeggiamenti furono grandiosi. I Bassanesi per l’occasione inviarono a Venezia pernici, formaggi e capponi per un valore di 100 lire.

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38) Questo scudo segue quello del Molin, ma è un errore in quanto Giacomo Badoer fu podestà prima del collega. I Badoer erano una delle più antiche e ricche casate veneziane e partecipò alla nomina dei primi Dogi. A Bassano in questo periodo si deliberò di restaurare la torre e il tetto della chiesa di S. Francesco; in agosto furono appaltati a Andrea de Doxi da Parma anche i lavori di rifacimento della loggia di piazza. Con Bartolomeo Baldassare fu poi stipulato un contratto per la fornitura di 25.000 mattoni con cui ricoprire la piazza cittadina. Le attività del Comune quindi, in presenza di un momento di pace, ripresero alacremente. Tra il 22 novembre 1441 e il gennaio 1442 fu infatti trattata la pace con il Visconti a Cavriana; i territori di Brescia e Bergamo restarono definitivamente in mano ai Veneziani e a Francesco Sforza fu promessa in sposa Bianca Visconti, che gli portò in dote Cremona. 39) Questo casato di incerta origine è diviso sin dai tempi più antichi nei rami “del Molin Rosso” e “del Molin d’Oro”; i genealogisti fanno provenire il primo da Mantova e il secondo da San Giovanni d’Acri. Lo scudo dipinto nella loggia è di argento al mulino di rosso, forse si tratta di una semplificazione fatta dal pittore. A Bassano si decise di ripubblicare gli Statuti del vignale riveduti e corretti; si dette alloggio a mastro Cristoforo da Padova, medico del Gattamelata e vennero accolti nuovi cittadini; fu però anche tolta la cittadinanza a Bartolomeo dal Maggio, perché in Padova aveva operato contro il Comune nella causa per l’eredità del Normanini; tale sentenza fu annullata nell’anno successivo.


Franco Scarmoncin 40) Si ripete qui lo scudo della famiglia Priuli già presente a Bassano con un altro podestà. I Priuli fornirono numerosi magistrati allo Stato e molti rettori di Terraferma, però non si hanno notizie sulla presenza di questo Donato nelle città principali del territorio veneto. Durante la sua podesteria l’imprensario Andrea de Doxi, che non aveva eseguito i lavori per la loggia, fu sollevato dall’incarico e il Comune decise di provvedervi direttamente. A Venezia esplose uno scandalo riguardante Jacopo Foscari, figlio del Doge, accusato di aver ricevuto doni dai podestà e capitani delle città e dallo stesso nemico Filippo Maria Visconti. Le leggi della Repubblica proibivano rigorosamente agli alti funzionari dello Stato e ai loro parenti di ricevere qualsiasi regalo. Jacopo perciò fu arrestato dal Consiglio dei X, condannato e mandato in esilio, dapprima a Nauplia, poi a Treviso. 41) I Calbo appartenevano alle case nove e diedero alla Repubblica numerosi uomini politici. Di questo podestà, tuttavia, non conosciamo altre attività. A Bassano il Consiglio comunale deliberò di favorire con agevolazioni fiscali gli agricoltori disposti ad insediarsi sul territorio e si preoccupò di produrre una copia degli statuti agrari; approvò inoltre la creazione di una Camera dei Pegni. Altri provvedimenti riguardarono l’assunzione dell’arciprete don Leonardo da Venezia, la cui nomina era ostacolata dalla contesa con il prete Marco che rifiutava di lasciare il suo incarico. 42) Il casato di questo podestà proveniva, a quanto si diceva, da Capodistria e diede alla Repubblica il doge Francesco Erizzo e numerosi valorosi generali. Il Comune in questo periodo si trovò ancora a trattare con il Vescovo di Vicenza a causa dell’interdetto da lui lanciato contro i Bassanesi, perché rifiutavano di versargli la somma richiesta in cambio della concessione delle decime feudali; il Consiglio richiese allora l’intervento del Governo veneziano affinchè facesse da mediatore. Furono inoltre presi provvedimenti per tutelare l’arte dei produttori di panni di lana. I Veneziani si impegnarono intanto a combattere i pirati Saraceni per rendere sicure le rotte del Mediterraneo.

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Franco Scarmoncin 43) Gli Zorzi appartenevano al gruppo delle più antiche casate insediatesi a Venezia ed erano probabilmente provenienti da Pavia. Si complicarono le questioni tra i Bassanesi e il Vescovo di Vicenza e al giurisperito Matteo de’ Bissari fu affidato l’incarico di difendere il Comune. Si concesse a Uguccione di Asiago il permesso di edificare una cappella a nord di S. Francesco e a Marco Campesan di chiudere il portico della sua casa, prospiciente la piazza del Comune (forse casa Michieli). Altri provvedimenti riguardarono la rosta Rosà e la campagna bassanese. I contrasti tra Venezia e il duca di Milano frattanto ripresero, aggravati dal passaggio di Francesco Sforza nel campo del Visconti.

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44) I Bolani o Bollani appartenevano alle case nove, ma affermavano di essere giunti a Venezia da Costantinopoli nel XII secolo. A Bassano furono aggregati alla cittadinanza altri artigiani forestieri e si deliberò di cacciare il prestatore ebreo Calimano, accusato di usura. Nel dicembre del 1448 una delibera del Doge concesse al Comune di istituire la Camera dei Pegni. Proseguirono intanto le difficili trattative con il Vescovo per togliere l’interdetto lanciato sulla città. 45) A distanza di un decennio tornò questo podestà a Bassano. L’erudito Francesco Chiuppani racconta che fu lodato dai Bassanesi per aver liberato la campagna circostante da una banda di tagliaborse usando uno stratagemma. Avrebbe inviato un contadino con un carico di polli fuori città in modo da farlo catturare dai malandrini. Questi avrebbero mangiato i polli, che però erano avvelenati, e sarebbero morti. Non è sicuro che il fatto sia vero, però ci permette di considerare che in quel tempo c’erano, per vari motivi, guerre e ristrettezze economiche, gruppi di sbandati che infestavano le campagne e si davano al brigantaggio. Era una piaga che la Repubblica faticava a tener sotto controllo, oppure reprimeva con mezzi estremi. Il 6 giugno 1449 a Bassano venne costituito il collegio dei notai. In quest’anno furono presi numerosi provvedimenti importanti, tra cui la regolamentazione delle successioni senza testamento. Il giurisperito Lauro de Palazzoli da Padova fu premiato per aver tutelato Bassano nella causa contro Cittadella relativa all’acqua della rosta Rosà. Furono inoltre appaltate l’esattoria comunale e la panetteria e fissate regole per il trasporto del vino.


Franco Scarmoncin 46) I Da Riva appartenevano alle case nove e diedero alla Repubblica vari magistrati, ma poco si sa di questo Venceslao. Nel luglio del 1451 a Bassano su ordine del doge Foscari si ricostruì il ponte sul Brenta da tempo rovinato, e furono costrette a concorrere con uomini e materiali anche Asolo, Castelfranco, Cittadella e Vicenza. In quest’anno passò per Bassano l’imperatore Federico III d’Asburgo, che scendeva a Roma per l’incoronazione. Divampò in questo periodo la guerra per la conquista di Milano da parte di Francesco Sforza. Venezia favoriva invece la Repubblica ambrosiana e Bartolomeo Colleoni, generale al servizio della Serenissima, tentò di portare aiuti e viveri alla città assediata. Il 25 febbraio del 1450 i Milanesi si arresero allo Sforza e gli consegnarono la città. Si esaurì così anche il contenzioso coi Veneziani. Molto però si discusse in Senato tra chi voleva continuare la guerra e chi riteneva più utile concentrarsi sulla difesa in Levante. 47) I Gradenigo appartenevano al gruppo delle famiglie fondatrici della città e provenivano da Grado. Nell’ottobre del 1451 i Bassanesi conclusero la vertenza con il Vescovo di Vicenza, relativa ai diritti feudali sulle decime, tramite il versamento di 25 ducati, da lui pretesi per cedere i diritti dell’episcopato su beni che sarebbero appartenuti ai da Romano. Furono fatti studi sulla fattibilità di un canale navigabile da Bassano a Venezia, ma si decise di soprassedere. Si concesse la cittadinanza a vari forestieri tra cui Giacomo del fu Bartolomeo da Gallio, pellettiere, forse antenato della famiglia dei pittori dal Ponte. A Venezia si decise intanto la preparazione della guerra contro lo Sforza e fu decretata una raccolta di imposte straordinarie. La Repubblica firmò quindi un’alleanza con Alfonso d’Aragona, il duca di Savoia, il marchese del Monferrato e altri signori contro Milano, appoggiata da Firenze. Nel maggio del 1452 iniziarono le operazioni della lega antimilanese sotto la guida del generale veneziano Gentile da Lionessa che superò con il suo esercito l’Adda per attaccare Milano. 48) La casata dei Sanudo faceva parte delle famiglie veneziane più antiche, dette apostoliche, e molti suoi membri occuparono magistrature importanti. Un Francesco Sanudo compare tra i rettori vicentini nel 1412 e un altro nel 1471; il podestà che venne a Bassano potrebbe es-

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Franco Scarmoncin sere quest’ultimo. La città aveva allora gravi problemi di approvvigionamento di grano e il Comune nel gennaio del 1454 cedette in affitto 100 campi in cambio di 100 Lire per acquistare frumento; a marzo poi altri 50 campi furono ceduti a livello per lo stesso motivo. Nel mese di giugno il podestà emanò un ordinamento per la gestione del Fontico dei Grani: il suo capitale non avrebbe dovuto essere usato per prelevamenti o mutui, ma doveva restare sempre a disposizione del Comune. Il 29 maggio del 1453 Costantinopoli fu conquistata dai Turchi; la loro avanzata produsse gravi preoccupazioni a Venezia. L’8 aprile 1454 fu firmata a Lodi la pace tra Venezia e Milano con cui si concluse la lunga serie di guerre che avevano tormentato l’Italia per decenni.

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49) Ritroviamo in questa posizione lo scudo di Donato Priuli che già era stato podestà di Bassano nel 1443-44. Nel novembre del 1454 il Consiglio bassanese decise di nominare tre massari per la fabbrica della chiesa di S. Giovanni e sotto la direzione dell’ingegnere Nicolò fu restaurata la via d’Onara. Molti campi furono ancora concessi a livello a vari proprietari. In esecuzione della delibera del Sanudo furono nominati quattro provveditori per la gestione del Fontico.

50) Il casato dei Malipiero si diceva che fosse venuto da Aquileia o da Altino in tempi molto antichi e diede anche un doge alla Repubblica. Bassano inviò a Venezia un legato per chiedere la libera circolazione delle biade nei territori del vicentino e del trevigiano al fine di alleviare i problemi di rifornimento della città. Nel febbraio del 1456 fu selciata la via per il Porto di Brenta, che ormai era molto dissestata. Poiché i figli di Matteo Angelini, cimatore, avevano costruito la loro bottega a est della loggia comunale senza permesso, chiudendo il portico, si decise di far loro pagare un canone annuo di 20 soldi anziché demolirla. Il Comune fece poi causa agli uomini di Rossano perché portavano in città vino di provenienza non bassanese.


Franco Scarmoncin 51) Durante il mandato di questo podestà, già presente a Bassano nel 1442, furono compiute varie opere pubbliche: la sistemazione delle carceri e delle scale che portavano al Consiglio, con la creazione di uno studiolo a uso cancelleria. Il Fontico dei grani venne riorganizzato con la distribuzione delle chiavi a tre responsabili: il Podestà, i Provveditori e il guardiano. Si deliberò inoltre che i campi del Comune in futuro sarebbero stati affittati ai soli cittadini bassanesi, dietro corresponsione di uno staio di frumento o segala all’anno. Il Comune donò pure un panno per la nomina del nuovo doge Pasquale Malipiero, subentrato a Francesco Foscari che era stato deposto perché l’età non gli consentiva di espletare il suo incarico. Nel gennaio del 1456 morì anche Lorenzo Giustiniani, il primo patriarca di Venezia. Il patriarcato era stato costituito da papa Nicolò V riunendo l’antico patriarcato gradense con il vescovado castellano. 52) Questo è uno degli scudi dei due rami del casato Donati, probabilmente quello della famiglia più antica, che i cronisti dicevano provenisse da Altino. Durante questa podesteria fu richiesto a Venezia di contribuire con 100 ducati, da trattenere sulle condanne inflitte a Bassano, alla costruzione di una nuova loggia presso il Palazzo Pretorio, destinata a sede di tribunale. Il podestà emanò inoltre un regolamento sulla manutenzione della rosta Rosà e molti campi furono affittati con il previsto contratto di fornitura di frumento. 53) I Foscarini erano una famiglia antica, giunta a Venezia da Altino o da Padova e si suddivisero in più casati. Di Bartolomeo non conosciamo però altri incarichi. A Bassano proseguì la distribuzione di campi comunali; si decise inoltre di costruire un macello e di calmierare i prezzi delle carni. Sorse nel frattempo un contenzioso tra Bassano e le ville contermini di Rosà, Solagna, Pove e Rossano per problemi legati alla tassazione. Accaddero in quest’anno avvenimenti importanti, come la nomina di papa Pio II e la preparazione della guerra contro i Turchi, guidati allora dal sultano Maometto II.

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Franco Scarmoncin 54) Durante il rettorato di questo podestà, altro membro della famiglia Malipiero già incontrata, proseguì la causa contro le comunità del contado, Solagna, Pove e Rossano, che si concluse con un concordato il 18 giugno 1460. In Italia nel frattempo era in atto un conflitto per il controllo del trono di Napoli; Venezia ne restò coinvolta poiché favoriva segretamente Giovanni d’Angiò contro Ferdinando d’Aragona. 55) Questa casata diede alla Repubblica ben otto dogi e fu una delle più fiorenti, tanto che erano 107 le famiglie censite come Contarini nel 1500. Tra i numerosi Contarini che furono podestà nelle principali città venete non si trova però traccia di questo Alessandro. Bassano si attivò in questo periodo per trovare un nuovo Arciprete e un mastro da preporre all’arte della lana. Al professore di grammatica Oliviero da Arzignano fu assegnato l’incarico di maestro della scuola cittadina. Venezia, preoccupata per l’avanzare dei Turchi, inviò il generale Alvise Loredan nel gennaio 1463 a presidiare le isole dell’arcipelago del mare Egeo occupate dai Veneziani. Nel maggio del 1462 morì il doge Malipiero e gli successe Cristoforo Moro. 62

56) I Venier furono una casata di origini molto antiche, forse proveniente da Vicenza; diedero allo Stato tre dogi e numerosi magistrati. Una parte dei Venier si trasferì poi a Candia, dove partecipò ad una rivolta contro Venezia, l’altra rimase fedele alla Repubblica. Di Nicolò non conosciamo altri incarichi, nonostante siano numerosi i Venier che furono rettori nelle città venete. A Bassano durante il suo mandato il Comune deliberò di fare una doppia tassazione per ricostruire la chiesa di S. Giovanni e cercò di organizzare presso il convento di S. Francesco il Capitolo Generale dei frati Minori. A vari immigrati fu concessa la cittadinanza e si continuò a cedere campi in affitto. Intanto a Venezia fervevano i preparativi per la guerra contro i Turchi voluta da papa Pio II. 57) I Barbaro, originari di Trieste, appartenevano a uno dei più importanti casati veneziani e si dividevano in molti rami. Non si conoscono però altri incarichi assegnati a questo podestà e anche gli Atti del Consiglio non riportano fatti di rilievo per questo periodo. Nel luglio del 1464 la flotta preparata per la guerra contro i Turchi si raccolse ad Ancona, dove però nel contempo era morto papa Pio II. La spedizione fu quindi sospesa e fu eletto papa il cardinale veneziano Pietro Barbo che prese il nome di Paolo II.


Franco Scarmoncin 58) Torna a distanza di pochi anni un altro Malipiero, ma anche di questo podestà non si conoscono altri incarichi. A Bassano il 9 giugno del 1465 si deliberò di far aggiustare la campana della torre che si era rotta; i mastri Baldisserra e Andrea da Vicenza si impegnarono a rifonderla nel tempo di 15 giorni. Si decise anche di restaurare la stufa pubblica (il postribolo) e di concederla in appalto.

59) I Dolfin furono un’importante casata, attestata fin dal X secolo, che annoverò fra i suoi membri vescovi, cardinali e dogi. Di questo podestà non conosciamo però altri incarichi e per questo anno manca pure la documentazione negli Atti del Comune I rapporti tra Venezia e il Papato intanto si incrinarono. La Repubblica aveva infatti deciso di tassare anche il clero, per ovviare alla grave crisi finanziaria legata alle spese per la preparazione della guerra contro Maometto II.

60) Questo podestà apparteneva alla famiglia Erizzo che aveva già dato in precedenza un altro rettore nel 1445-46. Mancano per quest’anno notizie sulle attività del Consiglio di Bassano. A Venezia nacquero nel frattempo dissapori con il governo di Pietro de Medici, signore di Firenze, e gli esuli fiorentini fecero pressioni sulla Serenissima perché intervenisse. Il generale Bartolomeo Colleoni prese allora l’iniziativa di attaccare Firenze, ma il papa Paolo II riuscì a riportare la pace. Il 30 luglio 1468 la quattordicenne Caterina Cornaro sposò per procura Giacomo II Lusignano, re di Cipro. Era figlia di Andrea Cornaro, che aveva prestato soccorso a Giacomo, trovandosi a Cipro esiliato da Venezia. La Repubblica però da quel momento adottò Caterina come figlia dello Stato e inviò quattro galere per la sua protezione. La biblioteca di S. Marco (Marciana) si arricchì in quest’anno della raccolta del famoso cardinale Bessarione che lasciò i suoi libri alla Repubblica.

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Franco Scarmoncin 61) Sembra che questa casata si sia stanziata nella laguna al tempo dell’invasione degli Unni e si divise in varie famiglie con stemmi diversi. A Bassano fu concesso in locazione altro terreno comunale a vari proprietari, tra cui Bartolomeo Pandolfino che doveva dare in cambio sia denaro che 1000 mattoni per restaurare la chiesa di S. Maria. Nel luglio del 1470 i Turchi conquistarono Negroponte e massacrarono i difensori. Il 6 marzo 1471 i Bassanesi deliberarono di fare una donazione di 10 ducati per il nobile Zane di Negroponte, che aveva perduto tutti i beni nella distruzione della città e decisero che la sua famiglia sarebbe stata riscattata a loro spese.

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62) Ritroviamo qui un podestà appartenente alla famiglia Contarini, che già aveva dato due rettori a Bassano. Non sono note le attività del Comune, perché mancano le relazioni del Consiglio da quest’anno fino al 1474. Venezia per fare guerra contro il sultano Maometto II si alleò al re di Persia, e il generale Pietro Mocenigo con la flotta veneziana operò nel Peloponneso in aiuto dei Persiani contro i Turchi. 63) È il quarto membro della casata Minotto assegnato come podestà a Bassano. Venezia continuò in questo periodo le operazioni navali in appoggio ai Persiani, che si scontrarono in grandi battaglie con i Turchi. Morì nel luglio del 1473 Giacomo II Lusignano lasciando vedova Caterina Cornaro. Congiure di palazzo e assassinii politici si verificarono allora in Cipro, al cui controllo aspirava anche il re di Napoli. Il generale della flotta Pietro Mocenigo fu quindi inviato dal Governo a occupare l’isola. 64) I Nani erano un casato proveniente da Altino e trasferitosi poi a Torcello. Si divisero in diversi rami e ciò rende difficile stabilire quale fosse veramente lo scudo del podestà Francesco. Nel luglio del 1475 il Consiglio comunale inviò nunzi a Venezia per chiedere che fosse definitivamente interdetto agli Ebrei di prestare denaro in Bassano. Morì nel luglio del 1475 il doge Nicolò Tron e fu eletto Nicolò Marcello, che però non era il podestà di Bassano del 1412-13.


Franco Scarmoncin 65) È questo il terzo podestà che apparteneva alla famiglia Priuli. Durante il suo governo il Comune nominò nove revisori degli Statuti che provvidero a riscriverli e a sottoporli all’approvazione del Governo veneziano. Distribuì inoltre a vari proprietari numerosi appezzamenti della campagna bassanese e avviò restauri alle chiese cittadine e al convento di S. Francesco; deliberò anche di scavare un pozzo a cisterna nella piazza comunale. Nel maggio del 1477 fu stipulato un accordo con il pittore Nicolò da Marostica per dipingere la facciata della loggia rivolta a sud. Tra Venezia e i Turchi fu intanto stabilita una tregua, ma si continuarono i preparativi per la ripresa delle ostilità e per questo venne ingrandito l’arsenale. 66) Questo casato aveva diverse arme; quella raffigurata nella loggia manca di una fascia azzurra con tre gigli d’oro sulla partizione rossa, come solitamente portavano i Bon. Il Comune in questo periodo appaltò a mastro Antonio dalla Porta il restauro di alcune parti delle mura cittadine e nel contempo inviò ambasciatori a Venezia per convincere la Repubblica ad assumersi l’onere di tale ricostruzione. La diffusione della peste spinse la municipalità a nominare cinque provveditori per sorvegliare il contagio e autorizzò a prelevare dalla cassa del Fontico il denaro necessario per gli aiuti agli appestati. Ben presto però i provveditori si abbandonarono la città. Il podestà il 4 giugno del 1478 approvò la costituzione di un piccolo corpo di guardie cittadine restando prudentemente affacciato alla finestra del Palazzo Pretorio. L’esercito di Maometto II intanto, passando per la Croazia, arrivò in Friuli e attaccò quello veneziano presso Gradisca, facendone strage. Giunto a tre miglia da Udine però si ritirò. Per evitare in futuro simili disastri, i Veneziani decisero di rafforzare la frontiera e costruirono fortificazioni davanti alle città di Udine, Gradisca e Cividale. 67) È il secondo dei Foscarini inviato come podestà in Bassano. Nel febbraio del 1479 si celebrarono solennemente in città molte S. Messe a ringraziamento della protezione celeste contro la peste appena conclusa. Furono poi ripresi i lavori pubblici e quelli alla rosta Rosà; si studiarono ipotesi per condurre l’acqua in piazza a Bassano, prendendola dalla sorgente Rea di Campese, ma il progetto non ebbe seguito. Si deliberò anche la costruzione di un palazzo ad uso tribunale e

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Franco Scarmoncin cancelleria a fianco della chiesa di S. Giovanni, e anche questo, per mancanza sia di spazio adeguato che di mezzi finanziari, non fu realizzato. Anche a Venezia per 18 mesi imperversò la peste, poi la Repubblica fu coinvolta nelle ostilità tra Firenze e il Papato, che aveva favorito il 26 aprile del 1479 la congiura dei Pazzi contro Lorenzo e Giuliano de’ Medici.

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68) A distanza di due anni ritroviamo a Bassano un altro podestà appartenente alla famiglia Bon. Nel mese di luglio il Comune decretò che fosse prodotto uno stendardo in seta con il Leone di S. Marco e lo stemma di Bassano. In questo periodo molti altri appezzamenti di terreno comunale furono assegnati a vari cittadini e 25 campi nell’area di San Zeno furono affittati al sacerdote della cappella di S. Antonio Abate eretta in Rosà, al canone di un solo soldo all’anno per campo, ma con la condizione che quella chiesa restasse dipendente dalla pieve di Bassano. Da poco nominato arciprete di Bassano, Benedetto Novello, chiese di potersi assentare per compiere gli studi universitari a Padova. Dopo la morte del sultano Maometto II salì al trono in Turchia Bayezid II e i Veneziani sperarono di concludere con lui una pace che ponesse fine alla guerra con l’Impero Ottomano. Le trattative avviate nell’agosto del 1481 si conclusero positivamente agli inizi dell’anno successivo. 69) É questo il secondo podestà della casata Bolani dopo quello presente nel 1448-49 . Il Comune si preoccupò per la diffusione di una nuova epidemia di peste, ma i provveditori nominati per tenerla sotto controllo abbandonarono l’ufficio e anche il Podestà approvò il passaggio dell’incarico ad altri restando alla finestra del Palazzo per paura del contagio. Il 14 aprile 1482 si deliberò di costruire una loggia nel Palazzo Pretorio, per rendere giustizia, e il Comune si assunse l’onere di pagare il salario degli operai. Il 19 novembre fece anche un contratto con un pittore bassanese per l’esecuzione di un fregio nella loggia appena costruita. Il Comune inviò poi alcuni nunzi a Venezia per protestare contro l’imposizione di aiuti militari per la preparazione della guerra contro il duca di Ferrara Ercole I d’Este. La Repubblica nominò quindi generale dell’esercito veneziano Roberto da Sanseverino, che avanzò rapidamente fino alla rocca Stellata sul Po e pose l’assedio a Ficarolo. Nel luglio del 1482 fu presa Rovigo e invaso il territorio ferrarese; ma a questo punto l’intervento di papa Sisto IV in favore del duca estense rallentò le operazioni dell’esercito veneziano.


Franco Scarmoncin 70) I Bragadin provenivano dall’isola di Veglia, di cui erano signori, e si dice che furono tra le famiglie che fondarono Venezia. Il casato è famoso soprattutto per il valore del generale Marc’Antonio Bragadin, che difese Famagosta dai Turchi durante un lunghissimo assedio nel 1570. Dopo la sua resa fu orrendamente torturato e scuoiato vivo ma, grazie al suo sacrificio, Venezia ebbe il tempo di preparare la flotta che a Lepanto distrusse l’esercito ottomano. Il Comune deliberò la spesa di 300 lire per il restauro del monastero femminile di S. Giovanni, ma le monache si divisero tra quelle che volevano ritornare e quelle che preferivano restare a S. Pancrazio. Fu edificato in questo periodo il Lazzaretto bassanese per internare gli appestati e furono redatti vari regolamenti sull’uso del vignale, sull’arte della lana e la vendita dei panni. In novembre 1483 nacque inoltre un conflitto con Vicenza per i confini nelle zone di Cartigliano e di Primolano; a Venezia fu chiesto di avere in concessione una riva dove scaricare le botti di vino bassanesi. Nel maggio del 1483 Sisto IV lanciò contro la Repubblica di Venezia la scomunica e l’interdetto, che colpì tutto lo Stato. Il Governo veneziano reagì chiedendo la convocazione di un concilio. Ferrara fu assediata dall’esercito veneziano, ma furono le ristrettezze economiche a consigliare al duca Ercole di intavolare con la Serenissima trattative di pace, che fu conclusa il 7 agosto 1484. Il giorno 12 morì anche Sisto IV, qualcuno dice per l’inquietudine prodottagli dai gravi insuccessi della sua politica. Il successore Innocenzo VIII tolse infine la scomunica allo Stato veneziano. 71) I Balbi vantavano origini antiche, ma erano divisi in più casati con stemmi diversi. Qui a fianco compare quello del ramo principale. A Bassano il 15 marzo 1485 venne istituito un corpo di quattro vigili con il compito di sorvegliare le piazze e le botteghe del centro, sia di giorno che di notte. Si provvide anche a organizzare la distribuizione degli spazi per la fiera di S. Martino. Il Comune fu costretto inoltre a chiedere l’intervento del Vescovo per placare la lite che era sorta fra le monache trasferitesi a S. Pancrazio e quelle che avevano voluto rientrare in S. Giovanni. In quest’anno fu splendidamente ospitato in Palazzo Pretorio l’imperatore Federico III che per la seconda volta passava per Bassano. A Venezia il doge Giovanni Mocenigo morì di peste e fu eletto Marco Barbarigo, che governò però solo pochi mesi. Dopo di lui subentrò il fratello Agostino.

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Franco Scarmoncin 72) È questo il terzo podestà appartenente alla casata dei Foscarini. Durante il suo mandato il Comune di Bassano fu costretto a chiedere al Vescovo di Vicenza l’assoluzione per i Bassanesi che erano incorsi in scomunica per aver partecipato alle feste nuziali di famiglie ebraiche; si oppose poi ai nobili Dalla Tavola che pretendevano l’esclusivo diritto di pesca nel fiume Brenta. A causa di contrasti sorti tra Sigismondo d’Austria e Venezia per il Cadore, truppe austriache attaccarono il confine e i Bassanesi furono costretti a raccogliere imposte straordinarie per la difesa di Primolano e a inviare grano all’esercito stanziato in Valsugana. Per intervento del papa Innocenzo VIII fu infine trattata la pace tra Venezia e Sigismondo.

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73) Gli Zen o Zeno appartenevano alla più antica e prestigiosa aristocrazia veneziana, quella delle case vecchie. In Bassano venne diffuso in gennaio uno scritto contro il podestà Foscarini e il Comune pose una taglia di L. 1000 per chi avesse fatto scoprire il responsabile. Ugualmente procedette contro la diffusione di ingiurie nei confronti del professore di grammatica Giovan Battista Scijta, il quale venne riconfermato nell’incarico. In settembre si decise di costruire un muro divisorio davanti al postribolo per togliere dalla vista dei passanti le meretrici al lavoro. Alla spesa concorse il confinante Pietro Stecchini. A Cipro la regina Caterina Cornaro si trovava frattanto in gravi difficoltà politiche e il Senato di Venezia decise di inviare suo fratello Giorgio Cornaro a prelevarla. Caterina pur a malincuore decise di accettare l’aiuto e lasciò Cipro con il fratello, mentre i Veneziani prendevano possesso dell’isola. 74) La famiglia Benedetti aveva origini antiche, ma era stata ammessa al patriziato soltanto nel XIII secolo e operava nel settore del prestito. Si estinse però assai presto. Lo stemma dei Benedetti di Venezia è qui indicato con riserva perché illeggibile nella loggia. Bassano in quest’anno inoltrò querela al Vescovo contro l’arciprete Benedetto Novello che aveva abbandonato il suo servizio alla comunità. Altri problemi insorsero relativamente al confine con il territorio trevigiano, perchè nella contrada della Lugana erano stati arbitrariamente spostati i cippi confinari. Il 3 luglio del 1489 l’imperatore Federico III sostò nuovamente a Bassano con un folto seguito di nobiluomini e fu alloggiato molto onorevolmente nella casa Morganti in via Campo Marzio.


Franco Scarmoncin 75) La famiglia Pizzamano si distinse particolarmente nella guerra contro i Turchi a Negroponte. Durante questa podesteria furono stabilite regole per la protezione della qualità dei panni di lana prodotti in Bassano. Il Comune approvò poi un contibuto di L. 25 per allargare il Passo della Corda e favorire il transito verso la Germania senza dover transitare per Feltre. Il Sultano d’Egitto riconobbe intanto ai Veneziani il controllo su Cipro, che essi avevano occupato abusivamente sottraendola al dominio della regina Caterina Cornaro. 76) Il Comune deliberò di far dorare il Leone di S. Marco in pietra fatto scolpire dal Podestà e posto sopra l’ingresso del Palazzo Pretorio. Furono eletti due massari per amministrare i beni della pieve, mentre con l’arciprete Novello sorsero altri motivi di dissenso relativamente alla chiesa di Rosà. Le divergenze furono composte il 31 maggio 1492 da un lodo arbitrale. In giugno fu chiesto alla Repubblica di concedere l’istituzione del Monte di Pietà e a predicare in suo favore fu chiamato fra Bernardino (Martino Tomitano) da Feltre, famoso predicatore contro gli ebrei, che a Trento nel 1475 aveva accusato di aver ucciso Simonino. Nel Luglio del 1492 fu inoltre creato l’archivio notarile e il dottore in legge Andrea Fraccari fu eletto procuratore e rappresentante perpetuo di Bassano in Venezia. Intanto maneggi segreti tra Ludovico il Moro, Ferdinando di Napoli e Lorenzo de Medici stavano incrinando la pace raggiunta con il trattato di Lodi. 77) È questo il secondo podestà bassanese appartenente al casato dei Zorzi; un Fantino Zorzi fu anche podestà in Treviso nel 1476. Agli inizi del suo mandato, nel mese di ottobre, furono inviati a Venezia ambasciatori per chiedere di provvedere alla ricostruzione del ponte sul Brenta, che era andato distrutto; nell’attesa fu costruito un traghetto nella zona del porto di Brenta per far passare persone e bestiame. Si decise però che il nuovo ponte sarebbe stato costruto in pietra. Fu deliberato anche di abbellire la cappella della Beata Vergine delle Grazie portandovi una colonna con capitello, che giaceva abbandonata in una casa del Comune. I maneggi dei signori italiani convinsero infine

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Franco Scarmoncin Carlo VIII, re di Francia, dell’opportunità di scendere in Italia per conquistare il regno di Napoli. Nel settembre del 1494 egli passò le Alpi con il suo esercito. Venezia però si astenne dal fare accordi con lui. 78) I Bondumier appartenevano alle case nuove e sembra che provenissero da Acri, da dove erano fuggiti all’arrivo dei Turchi. A Bassano l’8 febbraio 1495 fu acquistata la casa di Marco Botton, che stava a est della loggia di piazza, per costruirvi la cancelleria comunale. Per il timore del diffondersi di pestilenze furono eletti due nuovi provveditori alla sanità. Mentre il re di Francia Carlo VIII scendeva rapidamente per l’Italia e arrivava a Napoli, Venezia favorì segretamente la costituzione di una lega tra gli Stati italiani. Quando il Re ne fu informato decise di ritornare rapidamente in Francia. L’esercito della lega lo attese però a Fornovo sul Taro, dove il 6 luglio 1495 le truppe si scontrarono in una grande battaglia. L’esercito francese riuscì a passare, nonostante le gravi perdite subite, ma dovette abbandonare il tesoro reale e il bottino fatto nel regno napoletano. 70

79) I Landi erano una famiglia appartenente alle case nuove e probabilmente si erano insediati nella laguna provenendo da Altino. In questo periodo presso la torre civica fu restaurata la casa appartenente al Comune e costruito il primo vespasiano ad uso pubblico. Il Consiglio fece poi ricorso contro il progetto di scavare un nuovo alveo per il fiume Brenta, e invece inviò l’arciprete Benedetto a chiedere che il Governo intervenisse nella ricostruzione del ponte fornendo il legname adatto. Furono stabiliti inoltre nuovi regolamenti per il Fontico, affinchè i provveditori non potessero sottrarre il denaro. 80) Questo è il secondo podestà bassanese appartenente alla famiglia Querini. Durante il suo mandato fu ricostruito il ponte sul Brenta e fu donato all’arciprete Benedetto Novello un piviale d’oro, perchè aveva ottenuto da Venezia il legname richiesto per fare i lavori. Peggiorarono in questo periodo i rapporti tra Venezia e Ludovico Sforza detto il Moro, signore di Milano; i Veneziani si unirono allora ai Pisani per contrastare lui e i Francesi suoi alleati. Improvvisamente però morì il re Carlo VIII e diventò re di Francia Luigi XII.


Franco Scarmoncin 81) Per la quarta volta un membro della casata Lion ritornò a Bassano con l’incarico di podestà. Durante il suo governo l’Arciprete Novello fece rifondere a Treviso la campana della chiesa di S. Maria, più grande e più pesante, e il Comune contribuì con 25 ducati; altri 100 dovette dare poi alla Serenissima che stava preparando la guerra contro i Turchi. In Francia Luigi XII stava frattanto radunando l’esercito per una nuova discesa in Italia e i Veneziani si allearono con lui contro Ludovico Sforza. I Turchi si affacciarono però al confine friulano e fecero scorrerie fino al fiume Livenza. 82) Secondo i cronisti questa famiglia sarebbe giunta a Venezia da Gubbio dove aveva il titolo comitale. Nel territorio di Nove comparvero nuovi casi di peste e il Comune di Bassano spese 20 ducati d’oro per sistemare il Lazzaretto, poi inviò a Venezia la richiesta che fosse diminuita la tassa sui campi per la scarsa produttività della terra bassanese. Venezia però richiese il contributo per 30 “galeotti”, ossia l’equivalente in denaro per il loro arruolamento. I Bassanesi protestarono e ottennero che le quote fossero ridotte a otto. Luigi XII intanto, alleatosi con gli Svizzeri e con i Veneziani, invase il ducato di Milano; l’esercito della Serenissima conquistò la Ghiaradadda e Cremona. Ludovico il Moro fu catturato a Novara e portato prigioniero in Francia. Continuò nel frattempo l’attacco della flotta turca agli insediamenti veneziani nel Peloponneso e nel luglio del 1500 fu perduta Modone. Anche gli Spagnoli si allearono allora ai Veneziani contro i Turchi. 83) I Valier appartenevano alle case nuove e secondo gli antichi cronisti il nome sarebbe derivato dai romani Valeri. Il Comune di Bassano nel marzo del 1502 ripartì le quote di contributi per i “galeotti” tra la città e le frazioni circostanti, alle quali furono assegnate 6 parti e mezzo. Fu poi nominato un pesatore per i bossoli dei bachi e della seta: è il primo indizio della diffusione nel territorio bassanese di tale produzione. Si propose inoltre di dare alle stampe gli Statuti cittadini, metà a spese del Comune e metà di coloro che li volessero acquistare. Numerosi stati europei formarono in quell’anno una lega contro i Turchi insieme ai Veneziani; il sultano Bayazid II pensò allora di avviare trattative di pace.

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Franco Scarmoncin 84) È il secondo podestà di questo casato presente a Bassano. Nel luglio del 1503 i coloni si sollevarono contro i proprietari terrieri, portarono via i carri e fuggirono fuori dal bassanese; il Comune deliberò quindi di agire penalmente contro di loro. È questa una delle poche testimonianze di rivolte agrarie nel nostro territorio. A dicembre il pittore Giacomo di Bartolomeo da Marostica, dei Nasocchi, chiese al Comune di poter aprire la sua bottega nella casa presso il pozzo comunale, in Piazzotto Montevecchio, impegnandosi a fornire secchi e corda per il suo utilizzo pubblico. In settembre del 1504 il Consiglio pose una taglia di L. 1000 destinata a chi fornisse notizie utili a trovare il diffusore di una satira contro il podestà in carica. Frattanto Venezia e Cesare Borgia entrarono in conflitto per il controllo della Romagna, e soprattutto di Rimini e Faenza, rivendicate dal Borgia e da papa Alessandro VI.

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85) Il casato dei Lezze, secondo i cronisti, proveniva da Ravenna dove era imparentato con i celebri signori della città, i Traversari. Priamo da Lezze fu anche podestà in Belluno nel 1506. In questo anno il postribolo di Bassano fu dato in affitto a Lorenzo Massaria per 10 ducati d’oro. Il Consiglio comunale prese inoltre provvedimenti contro quei membri che avevano l’abitudine di assentarsi dalle sedute per far mancare il numero legale; decise che i responsabili di questo comportamento sarebbero stati dichiarati decaduti. A Blois intanto il 23 settembre 1504 il papa Giulio II, deciso a riprendere le terre della Romagna annesse in precedenza da Venezia, propose una lega all’imperatore Massimiliano d’Asburgo e a Luigi XII di Francia per togliere alla Serenissima varie province e spartirle tra loro; fu il primo passo della successiva lega di Cambrai. 86) Dicono i cronisti che i Ruzini vennero da Costantinopoli quando mutarono le fortune dei Veneziani intorno al 1260. A Bassano furono presi nuovi provvedimenti per contrastare la peste, che si diceva fosse comparsa a Padova. Il Comune protestò anche a Venezia contro la decisione del podestà di Asolo di impedire l’esportazione di prodotti bassanesi nel suo distretto. Intanto a Venezia il Senato discusse lungamente sul comportamento da tenere nei confronti delle minacce papali e propose di giungere a un accomodamento con la cessione di alcuni territori, ma senza risultati.


Franco Scarmoncin 87) È questo il secondo podestà bassanese appartenente al casato Nani. Preoccupato, come i suoi predecessori, dell’assenteismo continuo dei Consiglieri bassanesi, egli decretò che chi mancava senza giustificazione alle riunioni perdeva l’incarico fino al rinnovo del Consiglio stesso. Il 25 aprile del 1506 il Comune accettò un lascito del marosticense Daniele de Freschi per provvedere a costituire doti per fanciulle nubili. 88) Il casato dei Michiel si divideva in molte famiglie con stemmi diversi; non si sa a quale ramo appartenesse il podestà Tommaso. A Bassano morì in quest’anno l’Arciprete Benedetto Novello e si ripropose il problema della nomina del suo sostituto; per la scelta furono incaricati sei provveditori. Agli inizi del 1508 l’imperatore Massimiliano d’Asburgo mosse il suo esercito verso Verona, chiedendo che gli fosse concesso il passaggio per recarsi a Roma. I Veneziani rifiutarono e nel Cadore si scontrarono vittoriosamente con le sue truppe. Il 10 dicembre 1508, però, a Cambrai si formò una lega fra tutti i nemici della Serenissima e il 14 maggio 1509 l’esercito veneziano fu sconfitto ad Agnadello sull’Adda dalle truppe di Luigi XII. Il Veneto fu subito invaso dagli eserciti nemici e gli imperiali arrivarono a Bassano. Il podestà Michiel fu allora costretto a lasciare la città; i Bassanesi si sottomisero a Massimiliano, chiedendo che conservasse alla città i suoi privilegi, ma furono subito costretti a dare contribuzioni all’esercito imperiale 89) È il secondo membro della famiglia Donati assegnato alla podesteria di Bassano. La città tra il 1510 e il 1513 passò varie volte di mano tra l’esercito francese e quello imperiale subendo notevoli danni e la distruzione del ponte sul Brenta. Con il Donato riprese la presenza del podestà veneto dopo la breve dominazione degli inviati imperiali. Il Comune provvide a restaurare i danni ai palazzi pubblici e decise di recuperare il castello superiore e inferiore per alloggiare truppe in caso di necessità. Tra gli altri lavori fu restaurato il postribolo, che era andato distrutto durante la guerra. Nella chiesa di S. Maria fu però dedicato un altare alla Beata Vergine e a S. Clemente, perché il 23 novembre i soldati di Massimiliano avevano “prodigiosamente” lasciato Bassano. Il Consiglio comunale deliberò di ricordare quel giorno solennemente con una processione e un palio, di festeggiare anche la fine della peste il giorno 16 agosto,

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Franco Scarmoncin per ringraziare S. Rocco, e di fare altrettanto in gennaio per onorare S. Sebastiano. 90) È questo il secondo membro della famiglia Pizzamano incaricato della podesteria di Bassano. Durante il suo mandato il 19 aprile 1512 fu deliberata la spesa di 80 ducati d’oro per rialzare la loggia, che aveva subito gravi danni, e venne rifusa la campana della torre che era stata rotta durante la guerra. In quest’anno il Papa nominò quale arciprete di Bassano don Sebastiano Bellencino. Giulio II, preoccupato per la potenza dei Francesi, cominciò a riaccostarsi alla Repubblica, e nell’ottobre del 1511 revocò la scomunica a Venezia. Il 4 febbraio 1512 l’esercito di Luigi XII conquistò Bologna e poi sconfisse i Veneziani a Valeggio sul Mincio. Gaston de Foix, comandante dell’armata francese, si diresse quindi verso Ravenna e nei pressi della città l’11 aprile si svolse una delle più grandi battaglie delle guerre d’Italia. Mentre l’esercito francese stava vincendo, Gaston fu ferito a morte e ciò arrestò l’avanzata del suo esercito, che iniziò ben presto a ritirarsi verso Milano.

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91) I Duodo erano un casato antico, secondo alcuni cronisti originario dalla Schiavonia, secondo altri dalla Germania o dal Peloponneso. Il 13 giugno del 1513 il Consiglio comunale deliberò una tassazione speciale per assoldare 50 uomini da disporre a difesa del territorio, chiedendo alle comunità confinanti di partecipare per un terzo della spesa. Il 21 gennaio del 1513 morì papa Giulio II e salì al soglio pontificio Leone X, il fiorentino Giovanni de’ Medici. Il 6 giugno le fanterie svizzere sconfissero l’esercito francese a Novara, costringendolo a ritirarsi dall’Italia e restaurando a Milano Massimiliano Sforza. Venezia costituì allora una nuova lega con la Francia. 92) È il secondo membro di questa casata assegnato alla podesteria di Bassano. In quell’anno i provveditori alla ricostruzione di Padova, pesantemente colpita dall’assedio dell’esercito imperiale, chiesero a Bassano di contribuire ai lavori; i Bassanesi però inviarono alcuni messi per ribadire che essi erano esenti da simili gravami e il 9 marzo del 1515 il Comune donò 50 gelsi al provveditore Pietro Venier, perché aveva ascoltato la loro lagnanza. Il giorno 14 furono inviati nuovi ambasciatori a Venezia per richiedere una più equa distribuzione dell’imposta fornitura di 240.000 mattoni. I quattro nunzi di Bassano furono però fermati


Franco Scarmoncin a Padova e messi in carcere dal capitano generale dell’esercito veneziano. Il Comune poi li rimborsò con 10 ducati ciascuno per la detenzione subita. L’esercito francese entrò in Lombardia mentre quello veneziano attaccava Cremona. Il 13-14 settembre 1515 a Melegnano gli alleati franco-veneti sconfissero l’esercito di Milano e gli Svizzeri in quella che fu chiamata la “battaglia dei giganti”. Il generale veneziano Bartolomeo d’Alviano, arrivando alle spalle degli avversari, determinò la conclusione della battaglia e un’immensa strage dei soldati dei cantoni svizzeri. Il Brentari racconta che militava nell’esercito veneziano anche il capitano di cavalleria Lorenzo Appollonio. 93) È il secondo membro di questa casata assegnato alla podesteria di Bassano. Il primo febbraio del 1516 fu istituita in città la confraternita dei conciapelle - i pellizzeri e tra di loro compare il nome di Bartolomeo dal Ponte, avo dei famosi pittori. Il 7 maggio il Comune firmò un trattato di amicizia e buon vicinato con le comunità soggette alla giurisdizione di Castel Ivano in Valsugana. In settembre furono inoltre inviati legati a Venezia, perché il Governo intercedesse presso il Papa nella lite avviata dall’arciprete Sebastiano Bellencino a proposito delle decime contro il rettore Ercole della chiesa di S. Antonio di Rosà. Il 13 agosto 1516 tra Carlo V e il re di Francia fu siglata la pace di Noyon, con cui ebbe fine la fase delle guerre d’Italia che aveva visto Venezia sul punto di essere travolta. 94) È il secondo podestà appartenente al casato dei Michiel e il suo stemma è ben riconoscibile nell’affresco, dove sono scritte anche le iniziali del nome e la data 1516. In quell’anno il Comune rifiutò la richiesta dei nobili Pietro e Giovanni Morosini e Andrea Diedo di ampliare le rogge sotto il Travettore e a S. Pietro di Rosà per irrigare meglio i loro campi. Per contribuire al grave dissesto finanziario della Repubblica, provocato dalle guerre, Bassano deliberò di prestare a Venezia 300 ducati; fissò inoltre una taglia di 200 lire per chi fornisse notizie utili a catturare chi aveva scritto un libello infamante contro il precedente podestà Morosini.

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Franco Scarmoncin 95) Questo è il terzo membro della famiglia Morosini a cui fu affidato l’incarico di podestà a Bassano. Durante il suo mandato il Comune inviò il dottore in giurisprudenza Lauro Thiene dal Papa, per un consulto sulle insolite pretese dell’arciprete Sebastiano Bellencino relativamente alle decime novali della campagna rosatese. Anche il Governo della Serenissima avanzò alcune proposte per trovare una soluzione a questa contesa e il Comune nominò sei consiglieri per valutarle. Nel maggio del 1518 il Vescovo ordinò ai Bassanesi di cercarsi un cappellano che facesse le veci dell’arciprete Bellencino. Mentre a Bassano si sviluppava questo scandalo, il 31 ottobre del 1517 a Wittemberg venivano affisse alla porta della chiesa le 95 tesi di Martin Lutero: stava per iniziare dunque la Riforma protestante. Il Consiglio comunale il 18 ottobre 1517 deliberò di porre dei gradini di pietra intorno all’antenna innalzata in piazza e di costruire la cornice sulla parte superiore della loggia; provvide inoltre a restaurare il postribolo pubblico.

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96) Anche questo podestà è membro di un casato che già aveva prestato servizio a Bassano. Nel mese di agosto del 1518 furono inviati alcuni messi a Venezia con la richiesta di aiuti economici per la ricostruzione del ponte sul Brenta, incendiato dall’esercito francese in ritirata durante la guerra della lega di Cambrai e si cercò un esperto che fornisse il progetto più economico. Altri messaggeri furono poi inviati per protestare contro la delibera del Senato di far allargare la roggia Rosà, come chiedevano alcuni grandi possidenti terrieri. Nel 1519 morì intanto l’imperatore Massimiliano d’Asburgo e il 29 luglio fu eletto imperatore Carlo V re di Spagna. Nello stesso anno morì anche il sultano Selim I e gli successe Solimano, detto il Magnifico, che aveva forti ambizioni espansionistiche. Venezia era in quel momento alleata del re di Francia Francesco I e si trovò nel mezzo di grandi e preoccupanti manovre diplomatiche. 97) Il casato dei Memmo vantava origini antichissime, in quanto sarebbe disceso dalla gens romana dei Memmi; apparteneva quindi alle famiglie apostoliche che elessero il primo doge. Nell’ottobre del 1519 il Governo veneziano nominò i nobili Tommaso Moro e Gasparo Contarini provveditori alle acque per la gestione della rosta Rosà; anche il Comune elesse


Franco Scarmoncin due consiglieri per stipulare accordi con gli utenti delle bocche (i boccaroli) per l’irrigazione. Inviò poi alcuni esperti per verificare se gli scavi per la roggia avessero causato danni alle strade. L’arciprete Bellencino aveva intanto ottenuto l’imposizione dell’interdetto sulla chiesa bassanese; il Comune allora il 17 gennaio 1520 ordinò che la S. Messa fosse celebrata presso l’altare della Concezione nella chiesa di S. Francesco e nel marzo del 1521 prelevò denaro dal Fontico per difendere la città nella causa contro l’Arciprete. La diffusione del pensiero di Lutero, scomunicato il 3 gennaio del 1520, intanto provocava in Germania le proteste dei cavalieri e dei contadini contro i vescovi per la spartizione delle proprietà ecclesiastiche. Anche a Bassano le idee luterane trovarono dei simpatizzanti; tra i più noti ci furono Francesco Negri, Domenico Cabianca e Alessandro Gecchele. 98) Questo podestà succede ad un membro del suo stesso casato. Nel giugno del 1521 il Comune richiese al Governo veneziano che si adoperasse per far togliere l’interdetto a Bassano e poi, su ordine ducale, impose una colta di 350 ducati per concludere la lite con l’Arciprete attraverso una transazione. L’8 luglio fu stipulato a Venezia l’accordo con Sebastiano Bellencino e si decise di nominare un nuovo Arciprete. Fu scelto don Gabriele Gentile, bassanese, curato della chiesa di Granelle e alcuni nunzi vennero inviati al Papa per chiedere che ne riconoscesse la nomina, insieme con il diritto di giuspatronato del Comune sulle chiese di Bassano e Rosà. Il 23 marzo 1522 furono riconosciute le confraternite dei pittori e dei fornai. Nel mese di maggio il Comune richiese al Governo il permesso di poter tagliare i roveri necessari per la ricostruzione del ponte sul Brenta. Nell’aprile del 1521 si svolse la dieta di Worms alla presenza dell’imperatore Carlo V e la protesta di Lutero si diffuse sempre più. 99) È il terzo podestà bassanese appartenente alla famiglia Nani. Durante il suo mandato, il 7 aprile 1523, per curare gli interessi del Comune bassanese, fu nominato procuratore residente a Venezia Giovanni de Roberti, con il compenso di 12 ducati all’anno. Si riaffacciò ancora il pericolo della peste e vennero creati tre provveditori con il compito di sorvegliarne

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Franco Scarmoncin la diffusione. In giugno il postribolo cittadino fu appaltato al chirurgo Pietro Veronese. I Turchi nel 1522 si mossero alla conquista dell’isola di Rodi, che era tenuta dai Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme; la perdita dell’isola da parte di costoro suscitò grande preoccupazione a Venezia.

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100) Fu il secondo membro del casato Dolfin ad ottenere l’incarico podestarile a Bassano. Durante il suo mandato giunsero dalla Lombardia e dal Trevigiano notizie sul dilagare della peste e, come al solito, furono nominati dei controllori del contagio. Perduravano le divergenze tra il Comune e l’arciprete Bellencino, che non concordava sulla cifra della transazione finanziaria; solo l’8 settembre del 1524 fu ratificata la convenzione con il suo procuratore e l’Arciprete lasciò l’incarico in cambio di un vitalizio. Nel 1524 fu pure ricostruito il ponte sul Brenta, questa volta in pietra, ma durò soltanto sei anni. Nell’estate del 1524 il re di Francia Francesco I ritornò in Italia con un grande esercito, per rivendicare Milano come eredità familiare. Dopo molti tentennamenti la Repubblica e papa Clemente VIII nel gennaio del 1525 si allearono al re francese, ma il 24 febbraio Francesco I fu pesantemente sconfitto a Pavia e catturato dagli imperiali. I Veneziani si trovarono così privi del loro alleato e in difficoltà nei confronti di Carlo V. 101) La famiglia Lippomano, o Lippamano, era originaria di Negroponte e si trasferì a Venezia nel X secolo. Fu ammessa al patriziato veneziano nell’anno 1381 per i servizi resi durante la guerra di Chioggia. L’8 agosto 1525 il Consiglio comunale inviò a Venezia due procuratori con le carte relative alla causa contro il prete Bellencino, per consultare il Legato apostolico, il Vescovo e il nobile Paolo Cappello al fine di far revocare l’interdetto e ottenere il diritto di giuspatronato sulla chiesa bassanese. In ottobre si decise di accettare con riserva le proposte di soluzione e di separare la chiesa di Rosà da quella di Bassano, però fu richiesta la restituzione dei campi concessi a Rosà nel 1481 a patto che restasse unita alla pieve di Bassano. Il Bellencino rinunciò all’arcipretura in cambio di un vitalizio di 60 ducati. Al patrizio veneto Benedetto Vitturi fu concesso di costruire nel Terraglio una “chiodara” per lavorare i panni e a mastro Girolamo Pezini si permise di ampliare per suo uso la casa detta


Franco Scarmoncin delle munizioni, sita presso la torre. Il re di Francia Francesco I nel gennaio del 1526, dopo aver firmato il trattato di Madrid, fu liberato. Poco dopo però, rompendo i patti, riprese le ostilità e rinnovò l’alleanza con il Papa, i Veneziani e il duca di Milano. Il 17 maggio del 1526 tali Stati sottoscrissero la Lega di Cognac. 102) I Pesaro erano una famiglia proveniente dalle Marche e annoverata tra le case nuove, ammesse al Maggior Consiglio all’epoca della Serrata. In primavera si diffuse la notizia che a Cittadella e Castelfranco si stava diffondendo la peste, furono subito nominati due provveditori alla sanità e a novembre il Comune assunse il medico Girolamo da Verona per due anni con il salario di 100 ducati annuali. Nell’agosto del 1526 i Bassanesi inviarono proteste a Venezia, perché era stato loro richiesto di contribuire ai preparativi di guerra con l’invio di 100 guastatori. Un esercito imperiale, comandato dal Connestabile di Borbone, stava infatti discendendo l’Italia e tentava, inutilmente, di conquistare Firenze, poi il 6 maggio del 1527 attaccò Roma. Il Borbone fu ucciso nell’assalto e i suoi soldati, furiosi e senza controllo, si abbandonarono a un indescrivibile saccheggio. La deplorazione di tale fatto fu enorme e Venezia radunò un esercito di 10.000 uomini per andare a soccorrere il Papa. 103) In questo periodo troviamo citati due podestà in quanto il Barbo fu sostituito dal Gradenigo per alcuni mesi e poi tornò in servizio. Il Comune bassanese nel marzo del 1528 contribuì alle spese di guerra della Repubblica imponendo una tassazione di 500 ducati, da prestare allo Stato. Decise quindi di dare i terreni della campagna bassanese a chi avesse sborsato prontamente tale somma. Nel mese di dicembre del 1529 il Consiglio comunale chiese al Vescovo vicentino di rimuovere il sacerdote don Giacomo Fortezza dal monastero femminile di S. Sebastiano di cui era cappellano. Con un’altra delibera fu nominato un esattore generale di tutte le entrate e redditi del Comune.

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Franco Scarmoncin 104) I Salamon erano un casato appartenente al gruppo dei fondatori di Venezia ed elettori del primo Doge. Secondo alcuni sarebbero venuti da Salerno e in origine si chiamavano Centranico. Nel gennaio del 1530 a Bassano fu deciso di rinnovare l’estimo “ad occhio e cavalcando sul luogo”. Il 28 luglio fu posta una taglia di 200 lire per trovare chi aveva diffuso agli angoli della piazza cartelli ingiuriosi contro il podestà Salamon. Il Papa e il re di Spagna frattanto stipularono a Barcellona la pace e il 24 febbraio del 1530 Clemente VII incoronò imperatore Carlo V a Bologna; Venezia inviò i suoi ambasciatori a prestargli omaggio ed egli donò loro 5000 scudi d’oro che furono depositati nel tesoro di S. Marco.

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105) I Grimani facevano parte delle famiglie dette dei curti, ma si diceva che fossero di origine longobarda e provenissero da Vicenza. Tra settembre e novembre del 1530 a Bassano si iniziò a progettare la ricostruzione, questa volta in legno, del ponte sul Brenta e fu quindi inviata al Governo la richiesta che concedesse di tagliare i roveri necessari, prendendoli dai boschi di Asolo, Castelfranco, Cittadella e Marostica. Nel marzo del 1531 furono nominati tre sovrastanti e un tesoriere per sorvegliare i lavori. Per trovare il denaro necessario, si decise di costruire nei pressi del ponte otto botteghe e di destinare i proventi della loro vendita alla fabbrica. Altri restauri furono deliberati dal Comune durante quest’anno, in particolare ad alcune parti pericolanti della chiesa di Santa Maria e alla rosta Rosà. Il Governo veneziano avrebbe desiderato a questo punto la pace, ma il sultano Solimano stava già pensando di lanciare le sue armate contro l’Europa e al famoso corsaro Barbarossa diede l’incarico di ammiraglio della flotta ottomana. La Repubblica iniziò perciò a rinforzare la sua flotta e a concedere prestigiosi incarichi a ricchi nobili per raccogliere denaro. 106) Terzo appartenente al casato Memmo assegnato quale podestà a Bassano. Agli inizi del 1532 il Comune bassanese si trovò nella necessità di imporre collette, sia per pagare i guastatori inviati a scavare fossati nella laguna e a Marghera, sia per acquistare il legname della copertura del ponte, che a settembre era in buona parte ricostruito. Anche il postribolo in novembre fu restaurato e dato in locazione al maggior prezzo possibile, pur


Franco Scarmoncin di reperire denaro, anche perché nello stesso mese l’imperatore Carlo V sostò a Bassano e si dovette provvedere alle spese di una buona accoglienza. Poiché la chiesa di S. Maria era in uno stato tanto precario da non poter più essere utilizzata, il Comune chiese al Vescovo di indire un “giubileo” straordinario, con la concessione di indulgenze, al fine di raccogliere il denaro necessario al restauro. Per tutelare gli interessi dei Bassanesi in ogni circostanza fu eletto procuratore del Comune residente stabile a Venezia, il nobile Alvise Querini con un assegno annuo di 15 ducati. 107) Questo podestà fu il quarto del casato Foscarini a ricevere l’incarico di rappresentare la Serenissima a Bassano. Durante il suo mandato ai frati del convento presso la Madonna delle Grazie fu concesso di costruire una passerella coperta per congiungere il loro edificio alla chiesa, senza però fare aperture sulla strada. Fu imposta inoltre una colletta di 100 ducati per completare la copertura del ponte, la cui mancanza provocava un rapido deperimento del tavolato. Fu anche proibita la fluitazione di legname per la rosta Rosà e poiché il postribolo comunale stava andando in rovina, si decise di dare la casa in affitto. Crescevano intanto le tensioni tra Venezia e i Turchi, che sequestravano le navi veneziane cariche di grano; la penuria di frumento si fece presto sentire in tutto lo Stato con il conseguente aumento dei prezzi. 108) Questo podestà bassanese apparteneva allo stesso casato del grande umanista e storico di Venezia Andrea Navagero di cui fu anche contemporaneo. Nel luglio del 1535 furono concessi in affitto al nobile veneziano Andrea Diedo ben 50 campi, per 24 soldi l’uno,tra la proprietà dei Dolfin, a nord, e la Friola a sud, e confinante a est con le proprietà di S. Pietro di Rosà già sue, e con quelle dei Compostella. È il sintomo che anche la campagna bassanese un po’ alla volta veniva occupata dai possidenti veneziani. Il frumento del Fontico, che nell’anno precedente era venduto a L. 3,2 nel dicembre del 1535 calò a L 2,11 allo staio. Mentre in varie parti d’Europa i rapporti tesi tra Carlo V e Francesco I tenevano alta la tensione, a Venezia si osservavano con crescente apprensione le intenzioni del sultano Solimano e si temeva l’arrivo di una grande flotta turca.

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Franco Scarmoncin 109) I Soranzo erano un’antica casata la cui origine si diceva risalisse alla gens romana Superantia trasferitasi da Altino a Burano nel 456. Diede alla Repubblica il doge Giovanni Soranzo nel XIV secolo. L’unica notizia di questo periodo contenuta negli Atti del Consiglio è una delibera del novembre 1537 per la raccolta straordinaria di 400 ducati, chiesti dal Governo per i preparativi della guerra contro i Turchi. Il Senato veneziano infatti discuteva continuamente sul comportamento da tenere nei confronti della minaccia turca, ma ancora non si era giunti alla guerra aperta. Per questo podestà Jacopo Bassano dipinse il famoso quadro che lo ritrae davanti alla Vergine insieme con la figlioletta Lucia.

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110) È il terzo rappresentante del casato Zorzi inviato quale podestà a Bassano. Nel febbraio del 1538 i Bassanesi dovettero fare una nuova raccolta di denaro per pagare gli ingaggi ai rematori delle galee veneziane e ciò provocò malumore tra la popolazione, in special modo quella della campagna rosatese. Cresceva perciò la polemica dei cittadini contro i contadini, accusati di essere poco riconoscenti verso la comunità che li aveva accolti poveri, aveva dato loro terre da coltivare, e ora muovevano liti continue. Portavoce di tali sentimenti fu il sindaco Giovanni Roberti. 111) I Corner o Cornaro erano una casata proveniente da Rimini e suddivisa in più rami, di cui quattro erano i principali; secondo la tradizione derivava dalla gens romana Cornelia. Nel febbraio del 1539 furono nominati dal Comune alcuni delegati per comporre le questioni insorte con gli abitanti della campagna. Venezia invece avviò trattative tra i suoi ambasciatori e i legati ottomani per ristabilire la pace; intervennero come mediatori anche i Francesi . 112) Questo podestà è il secondo del casato Diedo assegnato a Bassano. Nel mese di aprile del 1540 i Bassanesi inviarono al Governo la richiesta di avere in concessione il castello inferiore per aprirvi una porta, che avrebbero chiamato Porta dei Leoni. A settembre però il venditore di alimentari Giovanni Bonomo, che aveva la bottega nei pressi della Porta dei Leoni, protestò contro la sua apertura e fu necessario inviare altri nunzi a Venezia per risolvere la questione. In settembre fu poi posta una taglia di 500 lire per la cattura di chi aveva affisso ai pilastri della piazza versi satirici contro il Consiglio comunale. Le botteghe intorno al Castello inferiore furono


Franco Scarmoncin intanto affittate con contratti quinquennali da versare al Monte di Pietà. Il 27 maggio del 1541 il Consiglio comunale decise che il pittore Jacopo dal Ponte fosse esentato dal pagare tasse “per l’eccellenza della sua arte”. Il 2 ottobre 1540, dopo lunghe trattative, Venezia concluse con l’Impero Ottomano una pace che poneva fine ad un lungo periodo di contrasti. 113) Fu il quarto appartenente alla casata Morosini che operò in Bassano quale podestà. Nel gennaio del 1542 l’abitazione della torre costruita sopra la nuova porta, detta ora Porta Dieda, fu assegnata in affitto a Franceschino Piato, già in precedenza custode del passaggio. In luglio fu intentata lite contro Orazio Lugo perché aveva occupato un terreno vuoto presso il ponte, adiacente alla sua casa, erigendovi dei pilastri. Durante la visita pastorale del Vescovo nel settembre del 1542 l’arciprete Francesco Pizzamano denunciò di aver sentito dire che c’erano alcuni eretici in città e che il centro di diffusione di tali idee era il monastero degli eremitani presenti a S. Caterina. 114) Il casato Garzoni era originario di Bologna e fu ammesso al patriziato dopo la guerra di Chioggia per i servizi resi alla Repubblica. Nel mese di Agosto 1543 ai Bassanesi fu accordata dal Governo veneziano l’esenzione fiscale perché la grandine e le locuste avevano provocato gravi danni alla campagna. Il Comune inoltre concesse l’esenzione dalle tasse a Martino del fu Alessio, affinché avviasse a Bassano il primo filatoio per la seta. La flotta turca, comandata dall’ammiraglio Barbarossa, agli inizi del 1543 uscì dai Dardanelli e arrivò fino a Nizza, mettendo in allarme tutti i sovrani d’Europa. Venezia però si mantenne neutrale, rispettando la pace stipulata con Solimano; così si inimicò però papa Paolo III, che desiderava la creazione di una lega contro i Turchi. Nel 1543 Carlo V si mosse dalla Spagna per andare in Germania, dove si scontravano le leghe dei cattolici e dei protestanti; nel suo viaggio passò per Verona dove il Senato veneziano inviò ambasciatori a rendergli omaggio, ringraziandolo del periodo di pace che aveva assicurato allo Stato veneto.

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115) È il terzo podestà bassanese appartenente al casato dei Pizzamano. Nel maggio del 1544 fu concesso a Giovan Battista Donato del Merlo di impiantare nella località Londa di Valstagna un mulino per maglio con fucina per la produzione di ogni specie di ferramenta e armi. A un altro fabbro di nome Germano fu poi affidata la cura dell’orologio posto sopra la loggia di piazza. Nel maggio del 1545 fu acquistato per 150 ducati il castello inferiore, che il Comune aveva ottenuto precedentemente in affitto. Il Consiglio comunale in questo periodo emanò numerose delibere per organizzare e controllare le attività commerciali. Stabilì norme per evitare che i mugnai usassero misure false per frodare i clienti; decise di costruire 12 nuove botteghe tra la chiesa di S. Giovanni e i Borghetti, usando il denaro del Fontico, e stabilì regole per concedere in affitto le 16 botteghe, dette “la panetteria”. Poiché era consuetudine tenere il mercato del pesce davanti alla porta della chiesa di S. Giovanni usando i suoi banchi, emanò un regolamento per cui tale vendita si sarebbe fatta solo nella nuova pescheria, costruita in capo alla panetteria. Nel luglio del 1545 fu concesso al mercante Giovan Battista di provvedere, a sue spese, insieme al vicinato, alla pulizia e sistemazione del pozzo comunale in Piazzotto Montevecchio, che per l’incuria stava andando in rovina. Il 9 dicembre morì a Campese Teofilo Folengo, detto Merlin Cocai, scrittore di celebri opere in lingua maccheronica, ma anche frate scomodo per le sue idee eterodosse. Il 13 aprile del 1545 ebbe inizio a Trento il grande Concilio ecumenico. 116) Fu questo il quarto podestà bassanese appartenente al casato dei Minotto All’inizio dell’autunno 1545 il Comune nominò due provveditori alla sanità per contrastare la diffusione di un’altra pestilenza. Nell’agosto del 1546 fu richiesto l’aiuto del Governo per provvedere al restauro del ponte che stava andando nuovamente in rovina. Il Comune emanò in quest’anno anche una norma che proibiva la caccia alle quaglie prima del 10 agosto; è il primo regolamento venatorio bassanese a noi noto. A Venezia il clima di pace permise l’avvio di grandi opere pubbliche, tra cui il grande mosaico nel vestibolo della porta principale della basilica di S.Marco, realizzato dai fratelli Zuccato su disegno di Tiziano.


Franco Scarmoncin 117) Fu il secondo podestà bassanese appartenente al casato dei Grimani. Nel giugno del 1548 furono stabilite dal Consiglio comunale le nuove norme per il calcolo dell’estimo di terreni, fabbricati, bestiame, livelli, attività mercantili e industriali. Nel 1547 l’imperatore Carlo V sconfisse a Mühlberg i principi protestanti, riuniti nella lega di Smalcalda. Venezia, fedele alla sua politica di neutralità, si mantenne fuori da ogni contrasto tra i contendenti, rifiutando pure di ospitare il Concilio di Trento che in quell’anno fu spostato a Bologna. 118) Antonio fu il secondo podestà della famiglia Zen inviato a Bassano. Nel gennaio del 1549 il Comune concesse a Giacomo Garzotto, detto Zanchetta, di impiantare una “chiodara” (stenditoio) per panni vicino alle mura del castello, a ovest del Terraglio, versando un canone di 10 soldi all’anno. In aprile poi fu inoltrata una protesta al Governo perché l’appaltatore della macelleria Paolo Bertagnoni intendeva aumentare il prezzo delle carni: “con rovinosi effetti sull’economia della città”. Frattanto il ponte lapideo sul Brenta era rovinato e il Consiglio comunale decise di vendere le pietre cadute nel fiume. A Venezia nel 1549 venne completata la loggetta progettata dal Sansovino sotto il campanile di S. Marco. 119) Fu il secondo membro dei Soranzo assegnato alla podesteria di Bassano. Nel gennaio del 1550 i Consiglieri comunali di Bassano e i delegati della villa rosatese elessero parroco della chiesa di Rosà don Ettore de’ Frisoni. Il Comune ordinò poi di fare l’inventario del tesoro e delle reliquie della pieve, della chiesa di S. Francesco, degli altri ospedali e confraternite. Nel febbraio di quest’anno accadde un episodio curioso: il Comune si rifiutò di versare le 26 lire, come faceva di solito, al vicepievano don Paolo, perché durante la processione della Croce, contravvenendo agli ordini del Podestà, aveva percorso a cavallo e in ora insolita il tragitto da S. Giovanni a S. Maria in Colle, così nessuno aveva potuto seguire lo stendardo del Santissimo. Il podestà Giovanni Soranzo provvide in quest’anno a far restaurare il ponte sul Brenta e a far costruire una casetta con portico per il custode, incaricato dell’apertura della porta e della sorveglianza del deflusso delle acque piovane per la discesa della Ferrià (ora contrà Ferracina). Al Comune egli conferì poi la facoltà di nominare il custode.

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Franco Scarmoncin 120) Fu il quarto membro del casato Contarini nominato podestà di Bassano. Nel febbraio del 1551 i Bassanesi inviarono nunzi a Venezia per contestare a Feltre la giurisdizione sul castello della Scala di Primolano; altri nunzi furono poi inviati al Vescovo di Vicenza per rinnovare il patto feudale e ricevere l’investitura delle decime. Fu poi stabilita la norma che i legati incaricati di tali missioni dovevano sempre presentare una relazione scritta al Comune. In questo periodo furono emanate anche nuove norme contro i furti e i danni campestri, che vennero inviate al Governo per l’approvazione. Il 22 febbraio 1551 fu riconfermata al pittore Jacopo dal Ponte l’esenzione da tutti i dazi in considerazione dell’importanza della sua arte e della sua fama.

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Madonna in trono con il Bambino tra i santi Matteo, Francesco, Lucia e il podestĂ Matteo Soranzo con la figlia Lucia e il fratello Francesco (MBA Musei Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa)


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Parete nord la bocca della veritĂ , prima del restauro


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Stato di fatto e di conservazione Tra i tanti tesori che si trovano a Bassano del Grappa la Loggia del Municipio che in passato ha avuto importanti funzioni pubbliche, luogo di potere e sede dell’amministrazione della giustizia, negli ultimi decenni, forse per la difficoltà di accesso, era stata quasi abbandonata. La Pro Bassano accortasi che questo meraviglioso spazio poteva essere ben utilizzato con diverse funzioni, soprattutto per mostre temporanee, ha proposto e realizzato a proprie spese un’agevole scala amovibile per poter superare il dislivello che separa il piano della Loggia dal porticato del Municipio. Con questa operazione, l’uso della Loggia è stato immediato e con successo crescente sono state realizzate in successione importanti mostre, incontri, segreterie operative di eventi e conferenze stampa. L’abbandono decennale si è purtroppo manifestato anche nei dipinti dell’armoriale che la rivestono, nonché nei materiali lapidei e nel soffitto a cassettoni lignei. A seguito della prematura scomparsa del presidente della Promo Bassanopiù Adriano Loss, che per tanti anni ha dedicato tempo e mezzi per il bene della Città, in sua memoria, l’Associazione e la famiglia, con la partecipazione della Pro Bassano, e dell’Associazione le Arti Per Via, visto lo stato di degrado della Loggia, hanno deciso e offerto all’Amministrazione bassanese, il restauro della medesima, esclusa la pavimentazione. In aiuto, a coprire la spesa del restauro, sono intervenute anche la Banca Popolare Vicentina, la Banca di Romano e Santa Caterina. Ad aggiudicarsi i lavori di restauro dopo una gara alla quale hanno partecipato diverse ditte, è stata la ditta Restoring Art del dott. Eugenio Rigoni di Rossano Veneto. Il 31 marzo 2015 viene presentato in Comune all’Area 3a (Museo Biblioteca Archivi) diretta dalla dott.ssa Giuliana Ericani, il progetto esecutivo del restauro conservativo della Loggia; il 24 aprile è inviato alla competente Soprintendenza per le provincie di VR, RO, VI, che rilascia l’autorizzazione ad eseguire i lavori con nota del 20 maggio prot. 1670. Lo stato di conservazione rilevato dalle indagini preliminari si può così descrivere: La Loggia, di circa 12 metri per 6, si presenta con i due lati nord ed est, completamente dipinti con un armoriale, gli altri due sud ed ovest sono aperti su via Matteotti con due colonne in marmo e tre arcate, su piazza Libertà con una colonna e due arcate. A chiudere e proteggere dalle cadute, tra le colonne è fissato un parapetto in ferro. Sulle pareti si distinguono alcuni elementi lapidei, tra cui una grande lapide incisa nel 1590 e altre due più piccole datate 1601 e 1660, la bocca della verità e bordi porta. Sul pilastro d’an-

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Sopra parete nord sotto parete est prima del restauro


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golo verso piazza Libertà si trova scolpita sulla pietra l’unità di misura di quell’epoca al quale la popolazione doveva far riferimento per le lunghezze. Sulla parete nord, in ferro battuto, c’è la cancellata a due ante dalla quale si accede alla loggia con la scala amovibile; sulla stessa parete vi è anche una porta che mette in comunicazione la loggia con lo scalone del municipio. Una porta murata e una nicchia con affresco sono inserite sulla parete est. I dipinti parietali della loggia apparivano in cattive condizioni conservative, nonostante l’ultimo intervento di restauro del 1989, ad opera del Prof. Ottorino Tassello di Bassano. Le superfici decorate si presentavano con diversi fenomeni di degrado, sia superficiale che in profondità, con disgregazione di parti di intonaco di sottofondo a causa dei sali da risalita, distacchi di intonaco dalla muratura sottostante, fessurazioni, decoesione superficiale della matrice pittorica e del supporto con presenze di sali, in alcune parti perdita di matrice pittorica e ampi depositi polverulenti superficiali. Si sono potute notare nell’impianto decorativo generale diverse tipologie di finitura: ad affresco, probabilmente originarie, a mezzo fresco e a secco. Nella fase di verifica, prima di procedere alle campionature d’intervento, sono state esaminate le varie zone operative con prelievi in base alle varie tipologie di supporto e di finitura e si è realizzata una mappatura dettagliata delle aree con le varie tipologie di lavorazione. Nelle parti di intonaco sopra le arcate, lati ovest via Matteotti e sud Piazza Libertà, la finitura si presentava con una dipintura a tempera di tonalità giallo ocra avana sovrimposta da vecchie linee elettriche e accessori vari in contrasto con l’impianto decorativo originario, elementi che sono stati rimossi.

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Bocca della verità

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Lapide datata 1590

Lapide datata 1601

Le superfici decorate presentavano prevalentemente distacchi, presenza di depositi superficiali, affioramento di sali solubili con conseguenti diffusi fenomeni di polverizzazione e disgregazione della pellicola pittorica, sensibilmente aggravati, in varie zone, da condensazione superficiale e umidità di risalita, in alcuni casi la pellicola pittorica si è completamente persa. L’aspetto generale delle alterazioni sono i danni visibili presenti nella pellicola pittorica e al relativo intonaco di supporto, ascrivibili in particolar modo all’umidità penetrata in parte bassa a causa della muratura occlusa alla traspirazione del piano terra, che ha portato al piano della loggia (piano primo) il livello di asciugatura, e alla impedita traspirabilità della finitura causata dal consolidante protettivo di base sintetica (probabilmente Paraloid B72) usato nell’ultimo restauro, il quale ha generato la formazione di depositi biancastri, creando perdite di matrice pittorica e solfatazioni generalizzate, confermate anche dai report tecnici effettuati in laboratorio dell’Università degli Studi di Padova: “dai risultati delle misure in spettroscopia si evidenzia la presenza di fenomeni di alterazione del materiale carbonatico dovuti a solfatazione superficiale ed efflorescenze saline. Si riscontrano infatti gli assorbimenti tipici di gesso e di sali solubili come i nitrati. La presenza di questi sali con processi di evaporazione e cristallizzazione in superficie, comporta stress meccanici nell’impasto dell’intonaco, aggravati dalla presenza di materiale organico di sintesi vinilico/acrilico (dalle analisi IR non è stato possibile definire la tipologia esatta) impiegato nei restauri precedenti. La presenza di un trattamento consolidante/protettivo deteriorato è evidente dall’esfogliazione super-


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ficiale, dovuta sia al naturale degrado della matrice organica esposta all’aperto, sia dalla presenza di solfati e nitrati che stanno spingendo questa pellicola non traspirante verso l’esterno (per fenomeni di evaporazione) …” Padova 29.05.2014 Il materiale lapideo Il materiale lapideo (biancone di Pove, verdello), in generale non presentava stati di alterazione tali da interessare né il livello tessiturale né quello strutturale. Negli elementi lapidei si notavano perlopiù depositi polverulenti e di particellato atmosferico (smog) in particolare sulle colonne più esterne: un degrado che riguardava solo la superficie del materiale. Il soffitto di legno Il soffitto è di legno a cassettoni decorati, suddiviso in tre grandi campiture, all’interno delle quali trovano posto 8 cassettoni decorati con motivi geometrici, eseguiti su fondo grigioverde con riquadro in rosso veneto e il centro contrassegnato da un rosone bordato con decoro a treccia. I cassettoni sono contornati da semplici cornici modanate in aggetto e da una fascia parietale perimetrale. L’aspetto visivo che si riceveva a causa dei forti depositi polverulenti e dei dilavamenti era di un totale abbassamento di tono del grigio verde e di un appiattimento dell’effetto prospettico decorativo del soffitto. Visionando il soffitto si notavano alcune ampie fenditure (innesti tra il tavolato), ce93

Soffitto in cassonettato prima del restauro Pavimento originale in pietra locale, rosso e biancone

Visione pareti est e sud e del pavimento ligneo


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dimenti ed assestamenti lignei dalla centina con spanci anche accentuati, presenze di aloni e di vecchie percolazioni. Le parti metalliche Il parapetto tra le colonne di cui si è fatto cenno sopra, essendo anch’esso per lo più protetto dalle piogge, non ha presentato particolari problematiche di deterioramento e ruggini, realizzato nei primi anni del ‘900 ha mantenuto l’integrità originaria. La cancellata di ingresso, sicuramente più vecchia del parapetto di almeno un secolo, protetta anch’essa dagli agenti atmosferici aveva soltanto il problema della serratura, della quale si erano perse le chiavi, e del meccanismo di blocco a pavimento, che necessitava di un intervento per farlo tornare a funzionare come in origine. Pavimento La pavimentazione della Loggia si presenta in modo assai strano, infatti circa un quarto della superficie (parte a nord) è in marmo a quadroni di circa cm. 50x50, disposti a scacchiera con orientamento trasversale, in biancone e in “rosso macione”, marmi locali di Pove e dell’Altopiano di Asiago; è la parte di pavimento sicuramente originale. I restanti due terzi si presentano in tavolato di abete, sollevato rispetto al piano originale di marmo di circa 10 cm. Il tavolato è chiuso sui lati verso l’esterno con malta cementizia, appoggiata sopra il bancalino di marmo sporgente che contorna la loggia. Per superare il dislivello tra il pavimento in marmo dal tavolato è stato realizzato uno scivolo di circa un metro per evitare l’inciampo che poteva essere generato dal gradino, il tavolato si presenta in buono stato e dall’ispezione visiva risulta di relativa recente costruzione.

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Il consolidamento e la protezione, piano metodologico e intervento Dopo le indagini visive e meccaniche, si è proceduto all’accertamento complessivo dello stato di alterazione chimico fisica e morfologica dei materiali con analisi di laboratorio su campionatura prelevata a varie altezze ed esposizioni dell’armoriale. ESEM-EDS: Analisi morfologica in microscopia a scansione elettronica ambientale (ESEM- environmetal scanning electron microscopy) ed analisi chimica qualitativa e semi quantitativa in microsonda a dispersione di energia (EDS – energy dispersive sistem). FT-IR: Spettrofotometria infrarossa in trasformata di Fourier per l’identificazione della classe dei composti chimici. A seguito delle indicazioni fornite da una corretta diagnosi (interpretazione dei dati analitici rilevati) si è provveduto alla formulazione di un piano metodologico d’intervento di restauro conservativo delle decorazioni in affresco, mezzo fresco e a secco, che ha permesso di riconsegnare alla Città la Loggia del Municipio all’antico splendore. Le attività procedurali svolte si possono riassumere nel seguente modo: Pre consolidamento locale delle esfogliazioni per far aderire le scaglie pittoriche sollevate, con l’applicazione del caseinato di calcio e l’utilizzo di velature di carta giapponese che non ha impedito la successiva penetrazione del consolidante. Pulitura dei depositi polverulenti del particellato atmosferico mediante spolvero delle superfici con morbidi pennelli in setola naturale ed aspiratori meccanici con modulatore di potenza e beccucci intercambiabili; nelle zone con più depositi sono stati eseguiti interventi con gomma pane e specifiche spugne wishab morbide. Eliminazione patina biologica. È stato opportuno procedere ad una disinfestazione biologica per la presenza di organismi vegetali, eseguita a mano mediante operazioni meccaniche (stesure a pennello) con imbibizione di composto d’alghicida, funghicida, battericida ad ampio spettro e successivi risciacqui d’acqua, dopo tempi di applicazione e posa controllati. Rimozione dei sali solubili cristallizzati sulle superfici pittoriche mediante impacchi estrattivi di acqua deionizzata su supporto assorbente, anche su strato separatore di carta giapponese, ripetuti fino al raggiungimento del grado di riduzione desiderato. L’operazione è stata eseguita con tempi di contatto stabiliti a seguito delle campionature preliminari e ripetuta più volte sino alla totale eliminazione delle salinità affiorate; si è curato e fatta molta attenzione nei tempi di applicazione di ogni singolo impacco al fine di evitare la trasmigrazione dei sali disciolti più in profondità nella muratura.

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Assottigliamento della pellicola consolidante applicata nell’ultimo restauro (1989). Dopo l’esecuzione di campionature preliminari si è proceduto a rimuovere la pellicola consolidante protettiva indicata dal prof. Tassello (Paraloid B72) con solventi organici in grado di solubilizzare la pellicola di resine invecchiate. Consolidamento della pellicola pittorica, al fine di garantire l’adesione ed il fissaggio dello strato cromatico al supporto con applicazione di prodotto consolidante e riaggregante. Il consolidamento è stato eseguito a pennello con prodotto a base di silicato di etile in percentuale, autorizzati dall’Ente di tutela, con tecnica adeguata alle caratteristiche e allo stato di conservazione delle varie aree del dipinto, previa esecuzione di campionature per definirne gli assorbimenti. Trattamento intonaci degradati. Per la protezione delle murature dall’umidità di risalita, siamo al piano primo ma la zona sottostante è stata trattata con intonaci a base di cementi osmotici, è stata effettuata la demolizione degli intonaci degradati e decoesi saturi di sali, eseguita la spazzolatura della muratura e realizzato il trattamento antisolfatico. Gli intonaci sono stati rifatti a base di calce ed intonachino di finitura come da parti circostanti. L’intervento è stato completato dalla formazione di una barriera chimica alla base delle murature perimetrali per impedire l’umidità di risalita. Dove è stato necessario, per le integrazioni di piccole sacche o rigonfiamenti col supporto murario, sono state realizzate iniezioni di prodotti leganti a base naturale, esenti da sali con alta aderenza e un basso ritiro. L’intonaco parzialmente staccato è stato consolidato mediante trattamento preliminare delle zone da riaderire. E’ stato eseguito 98

Parete est dopo il restauro


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il lavaggio delle sacche con iniezione di acqua e alcool e successivo riempimento con iniezioni a flusso controllato di una speciale miscela inorganica, specifica per iniezioni di consolidamento in strutture murarie in pietra, mattone pieno, intonaci antichi, affreschi o miste, esclusivamente a base di calce idraulica naturale NHL5 a basso contenuto di sali idrosolubili, conforme alla UNI EN 459-1, resistente ai solfati, per assicurare la migliore compatibilità con il supporto e con l’intonaco da riaderire. Verificati gli spanci nelle parti non decorate, sono stati rimossi gli intonaci e successivamente ripristinati, previa preparazione del supporto, come da materiale originario per natura e composizione. Il consolidamento di intonaci distaccati dal supporto murario e la riadesione dei distacchi degli strati pittorici dall’arriccio, è stato eseguito a mezzo di iniezioni di formulati costituiti da maltine adesive a presa debolmente idraulica con modesto potere adesivo e successiva tamponatura dell’intonaco, previa accurata battitura manuale delle superfici e perimetrazione delle zone di distacco, esecuzione di fori in corrispondenza delle zone di distacco, aspirazione di eventuali polveri, lavaggio e umidificazione delle parti da consolidare. Le operazioni di stuccatura su lesioni della superficie muraria e parti mancati di intonaco di supporto, sono state eseguite con impasto appositamente formulato e costituito da grassello di calce stagionato del Brenta, sabbie e altri aggregati minerali locali, aventi granulometria, tessitura superficiale e colorazioni simili a quelle degli intonaci originali, con aggiunta di additivi polimerici in dispersione acquosa. L’intervento di stuccatura non ha interessato le superfici limitrofe; esse pertanto sono state immediata99


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Lapide datata 1590


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mente tamponate con spugne e acqua deionizzata allo scopo di eliminare ogni residuo del legante di stuccatura. Integrazione pittorica. Le stuccature o le lacune sono state integrate mediante velature sottotono o con tecnica a divisionismo, con colori ad acquerello o tempera molto diluita. Gli interventi sono stati realizzati con esecuzioni differenziate, in relazione alle diverse condizioni di conservazione delle decorazioni: le parti integrate sono distinguibili dall’originale e realizzate con prodotti reversibili in presenza di cadute della pellicola pittorica e di lacune dell’intonaco; la riduzione delle interferenze è stata realizzata al fine di restituire unità di lettura cromatica dell’opera. Protezione su tutte le superfici trattate con un prodotto protettivo permeabile ai vapori, reversibile ed idrorepellente alla condensazione superficiale, applicato a pennello e a spruzzo in bassa pressione, non filmogeno, chimicamente inerte rispetto al substrato e tale da non alterarne le caratteristiche cromatiche. Restauro conservativo dei materiali lapidei Pulitura delle aree interessate da accumuli di depositi polverulenti, da materiale incoerente con il litotipo (vecchie integrazioni in cemento e varie), mediante spolvero con pennelli a setola morbida, lavaggi con carbonato d’ammonio e acqua deionizzata. Asportazione stuccature e rimozione delle stuccature a base cementizia e/o incompatibili col litotipo. L’operazione è stata eseguita con l’ausilio di bisturi e microscalpelli e ultimata solo dopo la totale eliminazione delle stesse dalla loro sede di collocazione. Preconsolidamento. In questa fase si è agito con prodotti molto fluidi e costituiti da sostanze aventi molecola molto corta, al fine di garantire una maggiore penetrazione all’interno del materiale lapideo fino all’ancoraggio sul materiale integro. Le resine utilizzate sono resistenti all’invecchiamento, idrorepellenti, elastiche e traspirabili al vapore acqueo. I metodi di applicazione impiegati, sono in relazione diretta alla porosita’ del materiale lapideo trattato, le modalità di applicazione e il tipo di diluizione sono state stabilite dopo accurate analisi e dopo le opportune campionature atte all’accertamento della porosità e alla capacità di penetrazione dei diversi prodotti impiegati, infatti è stato necessario mantenere sempre bagnata la superficie lapidea col consolidante. La tassellatura delle parti mancanti è stata eseguita con fini esclusivamente conservativi utilizzando materiale lapideo analogo, per natura, tessitura e colore a quello del manufatto, seguendo, dove possibile, le linee di frattura esistenti. Stuccatura L’applicazione manuale delle stuccature di superficie è stata realizzata a ribasso di alcuni mm. dalla superficie del paramento lapideo, composta da calce esente da sali ed inerti di polvere carbonatica macinata fine con aggiunta di Acril 33 in percentuale dal 3 al 5%. Le stuccature sono state patinate e pigmentate in superficie in analogia cromatica al litotipo, ottenuta con pigmenti chimicamente stabili. Protettivo. Allo scopo di creare un film di sacrificio che protegga la pietra dagli agenti atmosferici, si è proceduto all’applicazione di un protettivo idrorepellente. Tale sostanza presenta buone caratteristiche di reversibilità, non ingiallimento, compatibilità col

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Casettonato restaurato


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materiale lapideo, elasticità, notevole resistenza all’azione combinata dei raggi U.V. e degli agenti atmosferici. Tale prodotto, inoltre non altera cromaticamente il materiale lapideo. Restauro del soffitto ligneo Rimozione di depositi superficiali incoerenti a secco dal soffitto ligneo (anche nelle intersezioni delle tavole) e pulitura di tutte le impurità (polveri, ragnatele, cere, olii e grassi, muffe, e.). Sono state asportate tutte le parti incoerenti con l’elemento, mediante spolveratura con pennelli a setola morbida, ed eseguita la pulizia da residui vari ed ..incrostazioni anche con aspiratori meccanici con modulatore di potenza e beccucci intercambiabili. Disinfestazione e trattamento elementi biodeteriogeni. Le operazioni di pulitura approfondita e l’eliminazione di muffe di superficie sono state eseguite a mano, mediante operazioni meccaniche (bisturi o spazzolatura), previa imbibizione per mezzo di stesure a pennello di composto d’alghicida, funghicida, battericida (Belzanconio cloruro 2%). I trattamenti biocidi sono stati effettuati con una o due applicazioni a pennello, per contrastare la crescita di colonie di microorganismi autotrofi o eterotrofi. La stuccatura della superficie stata eseguita con piccoli attrezzi e la massima cautela a ribasso di alcuni mm. dalla superficie lignea, con polvere di legno setacciata in una miscela di resina consolidante non ingiallente. La successiva pigmentazione e patinatura superficiale delle stuccature è stata ottenuta in analogia cromatica all’intorno a pennello con pigmenti chimicamente stabili. Sulla superficie è stato infine applicato un consolidante protettivo a base di resina acrilica in soluzione a bassa percentuale, con controllo dell’assorbimento e l’eliminazione delle eccedenze. Fasi del restauro di uno dei rosoni del soffitto

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Restauro delle parti metalliche Rimozione di depositi superficiali incoerenti a secco dal parapetto in ferro da tutte le impurità (polveri, escrementi, grassi, pittura decoesa, ruggine ecc.). Sono state asportate tutte le parti incoerenti con spazzole metalliche manuali, fino ad eseguire la pulizia da tutti i residui vari ed incrostazioni, nonché gli affioramenti di ruggine. Stesura successiva di convertitore di ruggine sul materiale scoperto e verniciatura con apposito protettivo consolidante per metalli trasparente. Alla cancellata d’ingresso è stata riservata un’attenta pulizia e una successiva stesura di vernice protettiva trasparente. Con l’intervento del fabbro la serratura, che da molti anni non funzionava, è stata aperta. Un vistoso deposito di polveri filtrate dal foro della chiave riempiva l’interno. Dopo aver pulito sistemato e lubrificato il meccanismo, si è proceduto a rilevare l’impronta per realizzare la nuova chiave. Anche il meccanismo di chiusura a pavimento (catenaccio verticale) è stato raddrizzato e lubrificato; l’impugnatura rotta è stata saldata.

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Sulla sinistra e sopra le fasi di recupero dell’unità di misura in pietra sull’angolo sud-ovest della loggia Il cancello sistemato e il particolare della serratura primaa e dpo l’intervento conservativo.


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Ritrovamenti e curiosità emersi nel restauro Come già affermato, le notizie storiche della Loggia del Municipio sono scarse e pertanto si è proceduto all’approccio del restauro con poche conoscenze. Si sapeva che la Loggia esisteva e faceva la sua funzione pubblica già nel XV secolo e nella famosa mappa di Bassano (assonometrica) di Leandro Dal Ponte del 1583 - 1610 è ben rappresentata con uno scalone, forse in legno, che la collega alla piazza (Libertà). Notizie certe delle decorazioni sulle pareti non si hanno; nè Ottone Brentari, né Francesco Chiuppani nei loro trattati riferiscono di questi dipinti. Probabilmente, come suggerisce nella sua affascinante ipotesi Franco Scarmoncin, intorno al 1631, quando la peste dimezzò la popolazione bassanese, essi furono ricoperti da uno strato di calce viva, come si usava per eseguire la disinfezione contro l’orribile pestilenza; da allora del dipinto si erano perse le tracce per ricomparire, nei primi anni del 1900. Durante i lavori di restauro sono stati individuati alcuni lacerti antichi in affresco, in particolare nell’angolo nord-est, dove si trovano resti di cornici di varie epoche. In alto a livello del cassettonato sta un frammento di cornice con disegni a bugnato, imme-

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Il municipio nella mappa di Leandro da Ponte 1583-1620 Particolare angolo nord-est dell’armoriale

Nicchia con affresco votivo del xv secolo


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diatamente sotto ce n’è uno con motivi vegetali a boccioli di rosa, un altro verticale è in corrispondenza dello spigolo nord-est ancora con motivi vegetali sormontati da una testa incappucciata; lo stesso motivo vegetale si ritrova nell’angolo opposto, verso piazza Libertà e al centro tra le due grosse travi che dividono il cassettonato in tre parti. La cornice più estesa, che chiude la parte alta della parete nord e il resto di quella verso est, riporta disegni a racemi e putti e forse sono gli elementi più recenti. Nello stesso angolo (nord/est) si trova una nicchia con un parziale affresco votivo raffigurante una donna con l’aureola di santità del XV secolo. Le notizie che abbiamo relative al cassettonato del soffitto, ci sono state riferite dal conosciuto pittore bassanese Franco Verenini (classe 1915) che ricorda di aver visto, intorno agli anni 1936/37, due pittori inviati dalla Soprintendenza che dipingevano ex novo i cassettoni con il rosone centrale grigio, e di essere andato a vedere come ottenevano le ombreggiature per imparare.

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Per capire dove terminavano i dipinti delle pareti delimitati dal soffitto ligneo, sono state smontate alcune tavole dello stesso lungo la parete est e con questa operazione sono affiorate alcune sorprese sulla Loggia. Sul restante affresco visibile oltre il soffitto, circa 10 cm., è stata trovata una patina di fuliggine che subito ha fatto pensare fosse quella del conosciuto incendio del 1682. L’esame è proseguito quindi più in alto, pensando di trovare il solaio sul quale posa il pavimento del gabinetto del sindaco; ci si è accorti invece con grande stupore che un vero solaio non esiste, in quanto da quella fessura si vedevano i listelli del parquette della stanza del sindaco. I listelli sono appoggiati su tavolato di abete fissato su un impalcato di travi di legno orientate nord-sud e appoggiate in centro sulle grosse travi che dividono il soffitto nelle tre grandi partiture, corrispondenti alle arcate su via Matteotti. Presi dalla curiosità si è proceduto a rimuovere l’asse che riveste una di queste grosse Particolare di una putrella sopra al cassonettato

Parete est, parte nascosta, con tracce di nero fumo


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Cartolina con disegnato l’incendio del 1908


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travi: ed ecco un’altra sorpresa! Le travi che si pensavano in legno sono d’acciaio e calcestruzzo, realizzate con due putrelle (IPE) affiancate e lo spazio tra esse è riempito di calcestruzzo. La mancanza di un vero solaio separante la Loggia dai vani soprastanti, ha fatto comprendere perché il gabinetto del sindaco d’inverno risulti sempre freddo, nonostante i grandi termosifoni ininterrottamente accesi. Le ampie macchie di bagnato presenti sul cassettonato sono altresì giustificate dal fatto che versamenti d’acqua accidentali sul pavimento della stanza del sindaco, non trovando alcun elemento di separazione e/o impermeabilizzazione, sono arrivati sul cassettonato e hanno lasciato gli aloni sul decoro a tempera. Fotografia dell’incendio del 1908 e dedica sul retro della foto datata

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La curiosità, alimentata dalle scoperte precedenti, ha portato ad indagare sulla natura del pavimento ligneo che ricopre la maggior parte della Loggia, ipotizzando che sotto lo stesso ci fosse il rivestimento marmoreo, presente nella parte nord della pavimentazione. Rimossa una tavola, si è compreso che non vi è la continuità del pavimento di pietra e che quello ligneo è sostenuto da una struttura in putrelle d’acciaio simili a quelle individuate sul soffitto. Anche in questo caso il solaio non esiste e il soffitto del negozio sottostante è formato probabilmente da una lastra in cartongesso appesa alla struttura di acciaio. In relazione alle scoperte effettuate è partita l’indagine per capire e sapere quando e cosa era successo alla Loggia in tempi relativamente recenti. Il ritrovamento di una cartolina postale, raffigurante la fotografia del municipio visto da piazza Libertà, sovra dipinta con fiamme che avvolgono l’edificio e con la scritta “Bassano – Municipio e via Umberto I (ora via Matteotti), incendio del 22 gennaio 1908 ore 23”, ha permesso di svelare l’enigma sugli interventi effettuati. L’incendio, confermato anche da una fotografia raffigurante il tetto del municipio incendiato, datata sul retro 25.01.1908, e riportato sulle cronache del giornale Prealpe dell’epoca, si era sviluppato nell’archivio che si trovava all’ultimo piano della costruzione e aveva coinvolto i sottostanti vani, Loggia compresa. Gli interventi sopramenzionati, risalgono quindi agli anni successivi all’incendio del 1908, e dello stesso periodo è anche il parapetto in ferro che ha sostituito quello distrutto nell’incendio; lo stesso è stato fissato alle colonne e nel pilastro d’angolo bucando così l’antica “unità di misura” rinvenuta. Nel restauro si è provveduto a liberare la preziosa stele deviando l’attacco del parapetto sul pilastro.

La Loggia restaurata è stata restituita alla Città con una semplice cerimonia il 22 luglio 2015 in occasione del suo 1017° “compleanno”; al sindaco Riccardo Poletto sono state consegnate le chiavi del restaurato cancello di accesso.

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