CXC CALL FOR CURATORS I 14 progetti selezionati dalla commissione www.mart.tn.it/galleriacivica
Elena Abbiatici e Valentina Gioia Levy
Unconventional weapons Linguaggi di guerra Dichiarazione di intenti La mostra vuole essere una riflessione sul concetto di linguaggio, visivo e sonoro, quale strumento di guerra e sull’idea di comunicazione come lotta per l’affermazione, ma anche per la liberazione. Fin dalla loro nascita, alla fine del XIX secolo, i mezzi di comunicazione (stampa, telegrafo, radio…)furono utilizzati dalla politica come strumenti d’incitazione, istigazione e strumentalizzazione delle masse. La prima guerra mondiale si distinse da tutti i conflitti precedenti anche per l’utilizzo massiccio dei mezzi di comunicazione allo scopo digiustificare la lotta armata. Risale a quegli anni il celebre volo su Vienna di D’Annunzio, una delle primissime e spettacolari azioni di propaganda dell’epoca moderna.Il poeta, insieme a un gruppo di piloti italiani, lanciò dai cieli austriaci alcune migliaia di volantini che inneggiavano alla neonata Italia e che furono definiti dal loro stesso ideatore: “arme lunga della gesta inerme”. All’epoca del web 2.0, per la prima volta nella storia dell’umanità, i mezzi di comunicazione diventano uno strumento attivo ad uso delle masse. Questa rivoluzione non poteva non influenzare l’idea stessa di guerra. Attraverso i social networks, ogni singolo individuo può diffondere informazioni e produrre consenso o sdegno; può organizzarsi e dare forma a rivolte capaci di spodestare governi e regimi totalitari, (come successe nella primavera araba); può denunciare abusi di potere e soprusi, come l’artista e attivista cinese Ai WeiWei;può dare voce a entrambe le parti contendenti come nel caso del conflitto israelo-palestinese. Unconventional Weapons è un percorso attraverso i linguaggi del conflitto che mette a confronto artisti di generazioni diverse, in modo da poter valutare l’evoluzione dell’approccio comunicativo dell’arte; un luogo aperto al confronto, al dialogo e all’approfondimento critico, chepromuoverà la partecipazione interattiva di produttori e fruitori della cultura. Biografia Abbiatici_Levy è un duo curatoriale attivo dal 2011 composto da Elena Abbiatici e Valentina Gioia Levy, il cui lavoro è volto a sostenere una ricerca artistica sperimentale che si esprime principalmente attraverso i nuovi media, intesi come mezzo e territorio d’indagine, incoraggiando le connessioni tra arte e numerosi altri campi del sapere. La ricerca di Abbiatici_Levy affonda le radici in molteplici discipline: dalla linguistica alla poesia, dalla filosofia alla sociologia, dalle neuroscienze all’astronomia, dalla storia dell’architettura al design, dal teatro al cinema, dalla musica sperimentale alla sound art. Alcuni dei temi che hanno toccato e stanno tuttora affrontando nei loro progetti curatoriali sono: il rapporto tra arte e percezione sensoriale, intesa come strumento di comprensione e interpretazione della realtà; i fenomeni sociali quali la mediatizzazione della vita e i suoi risvolti sulle identità individuali e sociali; la smaterializzazione e la riformulazione dei centri di potere; l’alterazione delle relazioni tra spazio e tempo prodotti dalle nuove tecnologie; il cambiamento climatico e la sostenibilità ecologica.
Arianna Baldoni (Lucca, 1979)
L'arte della guerra Dichiarazione di intenti Carl Gustav Jung nel celebre testo intitolato Gli archetipi dell'inconscio collettivo (193454) scriveva: “Il mondo intero vuole la pace, e il mondo intero si arma per la guerra”. Questa contraddizione, diventata a partire dal XX secolo sempre più frequente, si esprime con grande forza nelle democrazie più avanzate secondo un linguaggio polito-economico alla stregua del politicamente corretto, di falsi e illusori sistemi democratici con un'alta predisposizione al benessere e alla pace della collettività. Certamente gli intenti dei singoli Stati sono condizionati da una situazione globale, che li proietta in una dimensione di grande criticità, e dall'altro lato esiste un'industria della guerra che è “necessario” alimentare per ragioni che niente hanno a che vedere con valori pacifici e civili. Nell'età contemporanea l'Occidente si schiera a difesa della pace, lo sostiene con veemenza nelle dichiarazioni dei suoi leader politici, lo sottoscrive nella propria Costituzione e attraverso l'adesione a organizzazioni intergovernative che operano per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Il mondo occidentale è contro la guerra, anche se detiene l'artiglieria e gli strumenti più sofisticati per metterla in atto. Sebbene questo avvenga a propria difesa e tutela come risposta ad eventuali offensive che minano gli equilibri comuni, resta e caratterizza un pericolo che non siamo in grado di quantificare. L'arte è in grado di scavare in questi profondi sotterranei, di porci costanti quesiti su questa complessità, ci invita alla ricerca di risposte, alla comprensione di realtà poco visibili, e a diventare partecipanti attivi di un circuito troppo spesso inaccessibile. La grande questione contemporanea è l'incapacità di discernere il bene dal male che sempre più si somigliano e si abbisognano, il male diventa plausibile, fa parte del quotidiano e lì vi si annidata senza farsi sentire, il male è qualcosa di banale come racconta Hannah Arendt. Stabilire confini e differenze impone un cammino rigoroso, ma possibile anche nella società dell'entropia e del caos, l'arte è sicuramente un grande catalizzatore, la lente che orienta lo sguardo, è una delle corse verso la conoscenza, verso ciò che ci rende liberi. La conquista della libertà, intesa come consapevolezza e diritto alla scelta, è condizione obbligata come superamento del conflitto. La guerra non implica necessariamente il conflitto armato, ma sempre più è la manifestazione di un equilibrio spogliato di qualsiasi apparente crudeltà, che valica anche il muro della Guerra fredda, metafora terrificante di una pace ricostituita e ristabilita. Le tecniche di aggressione si emancipano, vengono rigidamente pianificate, si opera nel sottosuolo, e gli effetti non sono immediatamente evidenti. Le guerre “silenti”, benché sempre salvaguardate da potenti armi di cui ogni Nazione dispone, costituiscono una delle più grandi minacce dell'età contemporanea, sono le principali cause della devastazione del pianeta, lesive della libertà individuale, imposizioni non dichiarate, “imposte” indirette al singolo e alla collettività. La penisola italica, da secoli terra di confine tra il nord e il sud del mondo, tra povertà e ricchezza, Occidente e Oriente basti ricordare come Trieste rappresentasse un punto limite sino a pochi decenni fa , riveste un ruolo chiave per la sua storia caratterizzata da innumerevoli invasioni e guerre intestine, sino ai due conflitti mondiali, agli Anni di piombo, del terrorismo armato e delle stragi di mafia. E la particolare posizione geografica nel Mediterraneo fa della Penisola uno dei centri di attrazione e irradiazione a livello internazionale, il luogo dell'accoglienza e del respingimento, la zona critica per le conseguenze delle guerre in territori stranieri. Inoltre l'Italia ha la peculiarità – forse maggiore rispetto ad altre Nazioni – di non è essere stata del tutto restituita alla Storia, questo ne mortifica il presente ancora popolato dagli spettri del passato e costretto a confrontarsi con la contemporaneità della globalizzazione, dei nuovi assetti geopolitici e di tutto ciò che è in continua trasformazione. L'Italia deve
guardare a sé medesima e al contempo all'universo che la circonda come territorio limite tra il mondo della pace e quello di numerose guerre. L'arte italiana è in grado di sviluppare e ridarci questo singolare parallelismo, che caratterizza un sistema di grande complessità che ancora deve fare i conti con il proprio passato e con le grandi questioni mondiali. Questa particolarità, che è in grado di darci uno sguardo cosmopolita sul conflitto, spesso attraversa canali alternativi, raramente dichiarati, sotterranei, affrontando il discorso sulla guerra e sulla pace in tutte le sue accezioni, anche là dove ciò sembra improbabile e poco riconoscibile. Biografia Nel 2009 si laurea con Lode in Comunicazione e Organizzazione per l'Arte Contemporanea presso l'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, dopo aver conseguito la laurea in Scienze dell'Architettura all'Università degli Studi di Firenze. Vive per due anni a Londra dove studia e lavora. Dal 2001 inizia a collaborare per il settimanale toscano “Metropoli”, e diventa curatrice della rivista “Night Fly” per le pagine di cultura e spettacolo. Ancora studente svolge il tirocinio presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici e per il Patrimonio Storico-Artistico e Demoetnoantropologico di Firenze. Lavora dal 2009 al 2011 come tutor ai corsi di Storia dell'Arte Contemporanea, e Museologia e Gestione dei Sistemi Espositivi all'Accademia di Brera, dove ricopre anche l'incarico di segreteria operativa per la Commissione Cultura dell'Accademia e si occupa dell'organizzazione di mostre come A come Accademia di Giulio Paolini, Nel volo... sospeso di Marco Gastini e Luciano Fabro 1983. Ha lavorato come supporto all'Ufficio Comunicazione per l'azienda Rottapharm di Monza. È critico d'arte e curatrice indipendente, ha curato diverse mostre tra cui: Vanni Cuoghi. Back to Saxemberg Island, Galleria Antonio Colombo, Milano, 2014; Last Young. Under 35 in Italia, Villa Brivio, Nova Milanese, 2014; Pierpaolo Curti. White Dream, RizHoma Gallery, Milano, 2013; Artists for Nutopia, Museum of New Art, Nutopia, 2013; Viviana Valla. Minimi Termini, Galleria Monopoli Milano 2012; Patrick Tabarelli. Lifted, Oldoni grafiche Editoriali 2010. Collabora da molti anni con il Prof. Marco Meneguzzo. Ha coordinato il catalogo monografico di Alberto Biasi e collaborato al catalogo ragionato di Carlo Battaglia (in uscita). Collabora con l'Archivio Franca Ghitti a Brescia. Inoltre ha pubblicato articoli, interviste, saggi e testi critici per varie case editrici tra cui Silvana Editoriale e Johan&Levi.
Daniel Buso (1985) con ArtikaEventi
Conflitti contemporanei Dichiarazione di intenti Riflettere sulla tematica della guerra nell’epoca della contemporaneità risulta complicato data la lontananza geografica dei conflitti internazionali. Eppure una dimensione più sotterranea e, per certi versi, onnipresente di conflittualità domina la sfera del quotidiano. Disagi interiori, complessità dialogiche, incomprensioni ed inconciliabilità socio-culturali attraversano la vita di ogni individuo con tempismo eccezionale e pesantemente veicolati dai circuiti di riproduzione mass-mediatica. Attraverso una selezione di artisti contemporanei, ho inteso apportare un contributo alla riflessione sui differenti aspetti di disagio e conflitto, individuati attraverso un’indagine intorno all’attualità. La mostra è suddivisa in due macro-sezioni che fanno capo ai filoni di Conflitto umano e Conflitto uomo/natura. All’interno del primo filone la selezione ha privilegiato opere che rappresentassero il disagio interiore dell’individuo (disagio psicologico), le varie forme di disagio sociale (come l’incomunicabilità domestica, le iniquità sociali prodotte dalla crisi economica) ed infine la guerra (intesa nel doppio senso di lontano fenomeno da raccontare e presenza con cui convivere quotidianamente). Nel contesto della seconda sezione, si è inteso privilegiare lavori che rappresentassero un ipotetico futuro disumanizzato. Quasi fossimo alla fine di un conflitto capace di cancellare ogni forma di umanità, gli artisti rappresentano il paesaggio distrutto dalle radiazioni, i luoghi del lavoro e della cultura abbandonati e decadenti. Un accenno di speranza è rappresentato dalla performance in cui l’ultimo superstite sulla terra ipotizzerà la creazione di un riparo in un contesto ambientale ostile. Biografia Artika Eventi è un gruppo culturale nato a Treviso nel 2010. Ci occupiamo dell’allestimento e della promozione di mostre d’arte contemporanea a Treviso ed in tutto il territorio nazionale. Il 2012 si è aperto con nuove manifestazioni nel territorio trevigiano ed ha raggiunto l’apice con il grande successo di pubblico ottenuto dalla SECONDA RASSEGNA DI ARTE CONTEMPORANEA a Ca’ dei Carraresi. Il curatore di tutte le manifestazioni è il critico d’arte Daniel Buso. Sempre nel 2012 abbiamo aperto spazio inSTABILE, presso Treviso, centro di produzione di installazioni, residence e realizzazione di eventi performativi.
Sofia Caterina Catoni (Roma, 1988), Ilaria Gozzi (Pisa, 1988)
In War: Peace 2.0 Dichiarazione di intenti Il 2014 sarà il centenario dello scoppio della I Guerra Mondiale e attualmente la guerra è una presenza drammatica e costante. Lo scenario politico e geografico d’oggi è il risultato degli avvenimenti bellici del secolo scorso. Agli inizi del Novecento il mondo era in cerca di un assetto definitivo, con estenuanti conflitti, tanto in Occidente che in Oriente. L’incontro della guerra con la modernità è avvenuto nei primi anni del XX secolo, è la Prima Guerra Mondiale che “rende familiare il fantastico e normale l’orrore” (P. Fussel). Negli anni Novanta furono delineate teorie, come il mondo stratificato in tre fasce economiche, in concorrenza dei Toffler, lo scontro di civiltà lungo le faglie culturali di S. Huntington, il mondo diviso in due poli, con i paesi sviluppati minacciati da un submondo in sviluppo, con Stati disintegrati, corruzione e violenza di Kaplan, per prevedere e prevenire conflitti e che si sono rivelate completamente inadeguate per il panorama attuale in quanto si sono inseriti molteplici altri scenari, “imprevisti”, che hanno generato una sensazione d’insicurezza generalizzata, che spesso viene esagerata e strumentalizzata, alimentata dalla Paura. La guerra è cambiata nel suo modus operandi, mantenendo immutabili i suoi esiti devastanti, ma paradossalmente è anche diventata l’unica certezza e l’unica costante del nostro presente, forse del nostro futuro. Così la guerra, da fenomeno eccezionale e contenuto nel tempo, nello spazio e nei mezzi, è diventata totale e permanente. La giustifichiamo in nome della pace e della libertà, ma in realtà le ostacoliamo negando qualsiasi diritto fondamentale. Viviamo il “Tempo della Guerra”: la stagione in cui la guerra, come atteggiamento mentale e in tutte le sue forme visibili e invisibili, sembra rappresentare la sola risposta ai problemi di relazione tra gli uomini. “Una sola umanità, una sola pace. Tante nazioni, tante guerre”. Questo il punto di partenza per il percorso espositivo che vuole indagare come il mondo dell’arte contemporaneo si rapporta con questo surplus di violenza e di orrore, con il terrore come strumento di governo, con l’intero pianeta come teatro di guerra, inteso come umanità, parte da uccidere e il resto da terrorizzare e sottomettere, sia nell’ambito delle guerre contemporanee sia nella sfera privata del singolo. Biografia Sofia Caterina Catoni nasce a Roma nel 1988 e dopo gli studi classici, si laurea nel 2012 in “Studi Storico-Artistici”, presso l’Università “ La Sapienza”, con una tesi triennale su Georgia O’Keeffe e Alfred Stieglitz. Nello stesso anno consegue il Master in “Management delle risorse artistiche e culturali” presso lo IULM. Qui conosce Ilaria Gozzi, anche lei classe 1988, pisana di nascita ma romana di adozione. Dopo la laurea triennale in “Conservazione dei Beni Culturali” presso l'Università degli Studi della Tuscia di Viterbo con una tesi su “I gruppi di Deposizione lignea del XII secolo tra Italia e Spagna”, argomento di studio approfondito durante il progetto di Erasmus Placement presso il MNAC, Museu Nacional d'Art de Cartalunya, Barcelona; anche Ilaria decide di arricchire la sua formazione con il Master. Come esame finale di questo percorso si trovano coinvolte nella realizzazione di una mostra intitolata “3D. Dimensione. Distorsione. De Kerckhove”, tenutasi presso la Centrale Montemartini, Roma, 7-11 Novembre 2012, di cui si occupano, insieme ad altri colleghi, del progetto curatoriale. Le loro strade si dividono in quanto Sofia Catoni entra, attraverso tirocini, nel mondo delle gallerie d’arte, prima presso Mondo Bizzarro Gallery, passando per l’Erica
Fiorentini Arte Contemporanea, fino alla 6° Senso Art Gallery mentre Ilaria Gozzi continua la sua crescita professionale prima presso l'ufficio stampa della Società Dante Alighieri, sede centrale di Roma, e poi presso l'ufficio mostre della Fondazione Roma Arte-Musei. Le loro strade professionali si rincontrano proprio alla 6° Senso Art Gallery, dove Sofia Catoni prima e Ilaria Gozzi poi, creano e gestiscono, fino a novembre 2012, “I Mercoledì dell’Arte”, lezioni di storia dell’arte contemporanea tenuti da giovani storici dell’arte e operatori del settore volte a far conoscere l’arte contemporanea anche ai non addetti ai lavori, creando nuovi appassionati e fruitori.
Eleonora Charans (1979)
Sempre Avanti Dichiarazione di intenti Il titolo del progetto è desunto da un omonimo giornale di trincea, uno dei tanti pubblicati per i soldati nel corso della Grande Guerra. Questo genere di pubblicazione, autoprodotta in tirature limitate, non forniva un inquadramento sistematico del conflitto ma si poneva come occasione per dare voce agli stati d’animo del combattente anonimo. Questo progetto espositivo offre delle proposizioni artistiche irriducibilmente mediate e parziali rispetto ad una scena artistica globale, nello stesso modo in cui, all’interno dei giornali di trincea, si rendeva conto soltanto di una piccola, la più intima, parte del quadro generale. Un dato da non sottovalutare: nessuno degli artisti selezionati è stato coinvolto in prima persona in una guerra. Per questa ragione sono spinti a ricercare le memorie dei testimoni e a rifarsi ad un immaginario iconografico e sonoro condiviso e precostituito. Il concetto di guerra viene dunque spinto ad un grado di astrazione, declinato e reso dialogabile con le asperità individuali e contingenti. Per cercare di aprire la discussione e gli esiti formali che verranno presentati al pubblico, al gruppo di artisti illustrati qui di seguito, se ne affiancherà un altro selezionato e suggerito da alcuni guest curators internazionali ancora al vaglio. A partire dall’eventuale notifica di accettazione del progetto, verrà impostato un blog, con forum accessibile a tutti previa registrazione, che seguirà passo passo tutte le fasi della mostra: dalla presentazione degli artisti attraverso interviste scritte o video agli spazi per postare opere e notizie che li riguardino. Inoltre il blog verrà usato come strumento per coinvolgere ed individuare artisti trentini e inseriti nell’ADAC, attraverso un sistema di autocandidatura a discussione aperta valutata dalla curatrice e dai guest curators. Nel volgere dei mesi precedenti l’inaugurazione, il blog assumerà sempre più la fisionomia di un catalogo open access dinamico e attivo; un archivio, in sintesi, di tutti i contenuti relativi alla mostra (progetti, testi, mp3, mp4 ecc.) fruibile attraverso ogni mobile devices. Biografia Storica e critica d’arte. Consegue il titolo di dottore di ricerca in Teorie e Storia delle Arti, Scuola di Studi Avanzati in Venezia nel maggio 2012, con una tesi sul collezionismo di neoavanguardie degli anni Sessanta e Settanta. Suoi contributi sono apparsi in riviste specializzate d’arte contemporanea (Tema Celeste, Artpress, Artecritica, Whitehot Magazine), cataloghi d’arte e miscellanee.
Sara Dolfi Agostini (Viareggio, 1983), Antonia Alampi (Firenze, 1983)
Orizzonti di gloria? Dichiarazione di intenti Orizzonti di gloria? si sviluppa in modo diacronico intorno a tre testimoni della Grande Guerra, decontestualizzati dalle rispettive aree di studio e offerti come paradigma dei temi e dei sentimenti evocati dal conflitto. Sono la documentazione del viaggio in treno del Milite Ignoto da Aquileia a Roma (1921): un rituale collettivo promosso dallo Stato a sostegno di un’idea di solidarietà nazionale a dispetto della tradizionale glorificazione dell’eroismo individuale; i periodici pubblicati da Cesare Battisti, sottoposti alla censura delle autorità austriache, celebrati come reliquie dell’Irredentismo e, infine, condannati in sede di revisionismo storico; e i disegni di Carlo Emilio Gadda tratti dal Giornale di Guerra e di Prigionia (1915-19), atti del dramma esistenziale dell’artista, sopraffatto dall’impossibilità di sublimare un evento carico di “brutalità, bestialità, retorica e cretinismo”. La struttura narrativa del percorso espositivo si avvale di una strategia visiva mutuata dalla cinematografia, con un asse che passa dai fatti storici alle dinamiche umane. Si apre con un campo lungo sul paesaggio: testimone silenzioso degli scontri per la determinazione della sua identità culturale e geografica (Giorgio Salomon), sfondo romantico di una lirica fittizia che amplifica il resoconto filologico di una resa dei conti (Riccardo Giacconi), e arena della secolare contrapposizione tra uomo e natura (Margherita Moscardini). Segue una carrellata sulla società, che innesca una serie di interrogativi sulle difficoltà insite in una rappresentazione oggettiva della storia. Non si tratta forse di un processo di rielaborazione permanente (Adelita Husni-Bey, Wong Hoy Cheong)? Come essere fedeli al presente evitando di estetizzarlo o strumentalizzarlo (Richard Mosse, Jasmina Metwaly)? È possibile svelare ciò che è per definizione invisibile, come censura e ideologia (Taha Belal)? E come farlo mantenendo una linea di continuità o discontinuità consapevole rispetto al “mezzo” artistico utilizzato (Aleksandra Domanovic)? L’inquadratura si posa, dunque, sull’individuo: le risposte dimorano forse nella dimensione meno roboante di una quotidianità complessa, che sfugge alla nozione di “verità storica”. La percezione di sé si colloca nel complicato rapporto tra intuizione, cognizione e memoria (Kerry Tribe), i limiti del linguaggio svelano l’incapacità cronica di restare fedeli alle proprie credenze (Anri Sala), mentre le speranze e i sogni in un cambiamento sociale e politico rischiano di tradursi in un senso melanconico di fallimento e sfiducia (Basim Magdy). Orizzonti di gloria? si spinge, infine, nella città: sfida la solennità dei monumenti, indifferenti alle istanze del singolo (Krzysztof Wodiczko), per poi dissolversi in un viaggio intimo di ricongiungimento con la storia (Giorgio Andreotta Calò). Biografia Sara Dolfi Agostini scrive di arte contemporanea e fotografia, e dal 2012 ha intrapreso un percorso professionale orientato alla curatela con la partecipazione alla prima edizione del corso per curatori italiani della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, per cui ha cocurato la mostra A Linking Park. Ha lavorato al fianco di curatori e galleristi, con mansioni curatoriali e organizzative che l’hanno portata non di rado a scrivere o editare testi per cataloghi. Tra le sue collaborazioni, si segnalano la Fondazione Nicola Trussardi di Milano (2006), Yvon Lambert a Parigi (2007), Manifesta 7 a Trento (2008), ALT Arte Contemporanea a Bergamo (2009), la XIV Biennale Internazionale di Scultura di Carrara (2010), la 54. Biennale di Venezia (2011, a supporto dell’artista Giorgio Andreotta Calò), e Magnum Photos (2013). Inoltre, è visiting professor per la NABA, la Scuola di Formazione de Il Sole 24 ORE e la Fondazione per la Storia della Fotografia Fratelli
Alinari. Nel 2010 ha pubblicato con Denis Curti il libro Collezionare Fotografia (Contrasto), la cui seconda edizione, ampliata con un focus sulla fotografia italiana, uscirà a gennaio 2014. Dal 2008 a oggi ha scritto per Flash Art, Il Giornale dell’Arte, Arte e Critica, Artribune, Exibart, Cura Magazine e collabora stabilmente con Il Sole 24 ORE, dal 2008, e con Rivista Studio, dal 2011. Antonia Alampi è storica dell’arte, curatrice e scrittrice. Dal 2012 vive e lavora al Cairo (Egitto) dove è curatrice per lo spazio espositivo e ufficio curatoriale Beirut e professore di storia dell’arte per l’Azza Fahmy Design Studio. Oltre a curare mostre indipendenti in Europa e nel Medio Oriente è membro del board curatoriale di DOCVA (Milano) e tutor di Alchimia (Firenze). A Roma si è specializzata in storia dell’arte contemporanea all’università La Sapienza (2011), e ad Amsterdam ha partecipato al de Appel curatorial program (2012). In passato è stata co-fondatrice e co-direttrice dell’iniziativa artistica dell’associazione Opera Rebis (2009-2011), e ha lavorato per istituzioni come la biennale Manifesta7 (2008), la Galleria Civica di arte contemporanea di Trento (2008) e lo Studio Stefania Miscetti (2009-2011). Nel 2012 è stata selezionata tra i giovani curatori della stagione Nouvelles Vague del Palais de Tokyo a Parigi, in cui ha curato la mostra The Real Thing? nell’estate 2013. I suoi testi sono apparsi su diverse riviste e pubblicazioni, tra cui Art-Agenda, Frieze, Flash Art International, Artribune, Arte e Critica e Afrikaada. Progetti curatoriali recenti includono: The Imaginary School Program, Beirut (Cairo, 2013); Writing with the other hand is imagining, Beirut (Cairo, 2013); Unexpected Encounters, Camera Austria (Graz, 2013); You Only Fall Twice, CCA Derry-Londonderry (2013); The Real Thing?, Palais de Tokyo, parte di Nouvelles Vagues (Parigi, 2013); Posse Comitatus, Fondation D’Entreprise Ricard (Paris, 2013); Specters of…, 98weeks (Beirut, 2013); Seasonal Selection, Viafarini DOCVA (Milan, 2013); What is an institution? The First Meeting, Beirut (Cairo, 2013); Three Artists Walk into a Bar..., de Appel art center (Amsterdam, 2012); Why stay if you can go?, the Stedelijk Museum (Amsterdam, 2012).
Valentina Lacinio (Como, 1989)
Accepting candies from strangers Dichiarazione di intenti Il progetto curatoriale Accepting candies from strangers (che prende il titolo dall’opera di João Onofre)propone una panoramica di opere che indagano il rapporto tra aggressore e aggredito, sviscerando le dinamiche che sottendono alle grandi oppressioni del ‘900 e degli anni 2000, con la volontà di creare un dialogo serrato tra artisti di diversa provenienza e tra i più vari linguaggi dell’arte contemporanea. Tramite video, installazioni, fotografia, opere audio e performance la mostra intende comporre - alternando linguaggi crudi e spunti più ironici - il mosaico dell’eterno ritorno del tema dello scontro/incontro con l’alterità. Il famoso detto “non accettare caramelle da uno sconosciuto” viene qui riproposto come affermazione: “Accettare le caramelle dagli sconosciuti”, con una doppia valenza svelata nella scomposizione dell’esposizione sui due piani della Galleria. Al primo piano la proposizione si pone come metafora dell’incontro con l’altro nella forma dell’aggressione. L’alterità è connotata come presenza invasiva e dannosa: l’aggressione, per sua natura, è un atto non dichiarato, sibillino, è un’azione improvvisa, sconvolgente, imprevista e imprevedibile. La preda cade nella trappola del cacciatore inconsapevolemente, e la guerra nella sua meschinità si presenta come un gioco di forze crudele dove le vittime altro non sono che prede ingnare dei carnefici. Nel piano interrato, al contrario, l’affermazione che dà il titolo alla mostra assume un tono pacificatorio. Se le regole sociali che scandiscono il rapporto con l’alterità si fondano sul presupposto che il soggetto non conosca l’interlocutore e che di conseguenza si approcci con atteggiamento di cautela e sebbene l’esperienza negativa e il timore del rischio portino spesso a rimanere nella regola del “non accettare caramelle dagli sconosciuti”, qui si chiede all’individuo di fidarsi e di affidarsi all’altro. Questo messaggio benevolo è incarnato dalla performance L’équilibre des forces (2012) di Marion Brusley dove un gruppo di persone ricerca in un abbraccio reciproco la posizione perfetta per restare in equilibrio su di un piccolo piedistallo come a voler dire “e se sono ancora qui, all’ultimo secondo, a calcolare i decimi che ti restano, poi i centesimi, poi i millesimi, e se sono qui, accanto a te, nel cuore dell’infinitesimale, a calcolare per te quello che ancora resta, è perché ci saranno sempre delle chances di vita da calcolare, e l’eternità non è altro che questa coscienza vigile.” Biografia Curatore indipendente, risiede a Venezia dove sta completando la propria formazione presso lo IUAV, dopo aver conseguito la laurea triennale in Comunicazione e Didattica dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Brera. Collabora con la Galleria Melepere Arte Contemporanea di Verona e con l'Archivio Paresce. Ha scritto su magazine on-line e si occupa di progettazione di workshop e percorsi didattici.
Carolina Lio (1984)
Dinamiche della competizione: vincitori e vinti. Dichiarazione di intenti Il termine “guerra” può essere inteso nella pura accezione bellica o allargare la sua interpretazione verso il campo del conflitto e della competizione in senso lato. Questo progetto parte dalla guerra come condizione storica e politica, studiando fatti e contesti per analizzare l’effetto psicologico e il risvolto antropologico lasciato sugli individui e conseguentemente - sulla società. La domanda inziale che ci si pone è quale sia il confine tra vincitori e vinti, il loro equilibrio e il loro legame di “crudeltà”, come la violenza agisce su chi la compie e chi la subisce, e con quali dinamiche il senso incombente del conflitto modifica una struttura sociale. Quanto e in che modo una raw war (citando un’opera di S. Cagol) incide su un tessuto umano che avverte costantemente la sensazione che “la morte sia sempre vicina” (R. J. Galindo)? Attraverso analisi sottili delle guerre e delle tensioni passate o attuali in vari paesi, dal Sud Africa al Guetamala, dalla Yugoslavia al mondo arabo, gli artisti coinvolti danno testimonianza di una società contemporanea forgiata dalla guerra. Demolizione e ricostruzione. Climax della brutalità e sua risoluzione. Infatti, la tensione tra vincitori e vinti porta a una modifica sociale che può scaturire anche in un meccanismo paradossalmente costruttivo, come analizza A. Ceresoli nel suo progetto sulla colonizzazione e l’indipendenza dell’Etiopia. I traumi irrisolti dello scorso secolo, suggerisce Y. Bartana, una volta assorbiti nel tessuto sociale possono creare nuove prospettive di integrazione. Le dimostrazioni dei paesi arabi registrate da M. Fatmi possono dare un nuovo volto democratico al mondo musulmano. La tensione bellica, agendo sulla struttura della società crea, quindi, scissioni e modifiche profonde che portano a nuovi equilibri sociali, fondati sul conflitto, ma in un equilibrio dinamico che definisce allo stesso tempo nuovi concetti e prospettive di democrazia, di indipendenza e nuove ideologie della libertà. Biografia: Carolina Lio è critico e curatore indipendente. Vive e lavora tra il Veneto, Berlino e Hong Kong. Si è laureata presso l’università Alma Mater di Bologna in scienze della comunicazione, con una tesi in analisi della comunicazione visiva. La sua carriera curatoriale è iniziata nel 2004 lavorando all’organizzazione della performance di Shozo Shimamoto durante la mostra personale a Cà Pesaro, Venezia. Nello stesso anno ha firmato le sue prime curatele e testi su una sua selezione di giovani artisti. Ha scritto articoli per Flash Art, Exibart, New York Art Magazine e altre riviste di settore e negli ultimi nove anni ha curato più di cento eventi per gallerie e diverse istituzioni pubbliche e private soprattutto tra Milano, Roma, Venezia, Berlino e Hong Kong. Ha già ricevuto diversi riconoscimenti da importanti istituzioni come la European Cultural Foundation di Amsterdam, Open Society Institute e Soros Foundation a New York, ACOSS Cultural NGO a Yerevan, Ministero della Gioventù del Governo Italiano e Ministero della Cultura del Governo Finlandese. La sua ricerca si concentra sul rapporto diretto con giovani artisti per la creazione di progetti site-specific in cui si mette in collegamento lo spazio fisico con le coordinate geografiche e sociali del territorio senza tralasciare una consapevolezza internazionale. Il suo tentativo è tracciare una visione contemporanea fatta di scambi e confronti tra artisti che lavorano in vari punti del mondo, cercando di definire una mappatura della contemporaneità con un particolare occhio al sociale e un interrogativo rivolto al futuro.
Lucia Longhi (Oderzo, 1986)
tale è l'umano Dichiarazione di intenti tale è l'uman, librato tra un sogno di peccato e un sogno di virtù. A. Boito, Dualismo, 1863 L'uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo – una corda tesa sopra un abisso. Un pericoloso andare al di là, un pericoloso essere in cammino, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso rabbrividire e fermarsi. F. Nietzsche, Così Parlò Zarathustra, 1883 La tensione tra l'istinto violento, animale, e l'aspirazione all'integrità è il conflitto che abita ogni essere umano. Il confine tra le due dimensioni non esiste, è per ognuno arbitrario e diverso, ma ciò che accumuna ogni uomo sulla Terra è questo conflitto interiore tra il Bene e il Male, che da sempre alberga nella sua mente, guida le sue azioni e tormenta il suo animo, come descrive Arrigo Boito nella sua poesia Dualismo: "tale è l'uman, librato tra un sogno di peccato e un sogno di virtù." Questo percorso espositivo vuole mostrare la natura dell'uomo: "tale è l'umano" è la frase scelta per il titolo per il suo valore volutamente neutrale. Non però il neutro in cui gli opposti si annullano, bensì il neutro in cui essi coesistono in uno stato di consapevole accettazione di una condizione immutabile, causa immanente della stessa esistenza umana. In questo progetto il tema del conflitto è declinato quindi in modo personale ed intimo e al contempo universale, ossia il conflitto interiore di ogni individuo abitato per natura dal Bene e dal Male, che si agitano in lui e si confrontano in una eterna e costante lotta. La mostra si sviluppa attraverso gli interventi principali di artisti mid-career: Mladen Miljanovic, Donato Piccolo, Roberto Paci Dalò e Nicola Samorì. Il percorso prosegue con lavori di artisti emergenti, alcuni dei quali hanno un forte legame con la provincia di Trento, perché residenti, o perché rappresentati da gallerie trentine o ad esse legati: Nebojša Despotovic, Christian Fogarolli, Nicola Nunziata, Matteo Peterlini. La mostra ha quindi uno sguardo allargato a livello internazionale e al contempo un'attenzione particolare alla realtà artistica territoriale. Ogni artista declina questo tema con mezzi diversi, e la traccia che si crea è chiara senza essere banale o troppo esplicita. La lettura delle opere proposte estrinseca un'indagine a livello fisico, emozionale, psichico e semantico sulla natura ambivalente dell'uomo. Il conflitto sta scritto nel suo destino: conflitto con l'altro e con sè stesso. Il lupo della steppa di Hesse lotta con la sua stessa natura e con il mondo esterno, che a sua volta è popolato da altri lupi. I conflitti esterni, le guerre, gli scontri, le battaglie quotidiane: ogni lotta è la manifestazione del conflitto interiore dell'uomo, che è condannato per natura a contenere dentro di sè gli inconciliabili opposti, come un "cherubo dannato" o un "demone redento" che fin dall'infanzia conosce il tormento e la tensione (Donato Piccolo, Nicola Nunziata). A loro volta, con un processo inverso, i conflitti esterni possono risvegliare quella lacerazione intima. Fare esperienza della guerra e dei suoi linguaggi può modificare il modo di pensare, riscrivere i codici di comportamento e ragionamento, scombinare la grammatica dei sentimenti (Miljanovic) e oscurare anche gli animi più puri e innocenti (Despotovic).
La guerra mette in atto e amplifica il conflitto interno nell'uomo, quel conflitto interno che taceva, come un temporale che gonfia le nuvole fino a farle diventare nere ed farle esplodere come nei disegni di Donato Piccolo, un turbinio caotico come i suoi meccanici vortici di vapore. Se la facciata dell'essere umano è incorrotta, il suo rovescio può rivelare una straziante verità interiore che spaventa; al contempo il Bene può essere talvolta portato al suo limite, fino ad esplodere, rivelare il terrore ed il tormento e portare alla distruzione fulminea (Samorì). La malvagità e la corruzione dell'uomo emergono attraverso un percorso che porta ad atteggiamenti socialmente definiti devianti, ad una attitudine criminale che è storicamente parte del suo essere. Ma, se osservata con occhio indagatore e imparziale, rivela una profonda umanità risvegliata da una ricerca identitaria (Fogarolli). L'uomo nel suo errare confuso si disorienta nei paesaggi stratificati della sua stessa memoria fragile, sede della realtà così come dell'illusione (Peterlini). Non c'è speranza dunque per l'essere umano? Una possibile traccia di risposta è suggerita nel titolo della mostra, ossia l'accettazione della propria natura al fine di placare il tormento, l'ammissione della nostra identità nella sua contraddittoria tendenza verso l'oscuro, la violenza e la guerra, così come verso il bene, l'ideale, la pace. Il percorso stesso dell'esposizione mostra condizioni umane ambigue inalterabili, ma indica anche possibilità di redenzione e riappacificazione. La soluzione verso la quiete salvifica non è tacere questa natura che tutti ci accomuna, bensì viene forse attraverso le scelte consapevoli e le mosse ragionate, come suggerito dalla scacchiera bellica di Roberto Paci Dalò e dal grande arco Sun Tzu, simbolo di guerra come anche di armonia. Oppure, attraverso gli altri uomini, e attraverso le arti che ricongiungono al di là della spaccatura che il conflitto ha creato, sia all'interno degli uomini, che tra di essi (Miljanovic). Il dualismo dell'uomo, un paradosso inguaribile, uno scompenso cronico, incontrastabile istinto, è la matrice e la chiave di questo percorso, che guida lo spettatore attraverso una lettura attenta dell'umanità così come di sè stesso. Invita alla riflessione sul conflitto e sulle possibilità e intenzionalità di soluzione. Biografia Lucia Longhi è curatrice indipendente. Nel 2012 ha ottenuto la Laurea Magistrale in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi dal titolo “Maurizio Cattelan e i media”. Ha collaborato con la rivista Flash Art per la quale, oltre ad altre pubblicazioni, ha realizzato interviste a Francesco Bonami e Massimiliano Gioni. Ha trascorso un anno a Berlino dove ha lavorato presso la galleria Mario Mazzoli; ha collaborato in passato, e tuttora affianca nell'organizzazione di eventi artistici, Martin Romeo, artista interattivo e direttore artistico del Toolkit Festival di Venezia. Ha collaborato alla realizzazione della guida alla 54° Biennale d’Arte di Venezia per la rivista Arte Mondadori. Ha co-curato la mostra collettiva di giovani artisti AA.VV. a Venezia presso la Galleria A+A- Centro Espositivo Sloveno (artisti: Tobia Anzanello, Riccardo Giacconi, Chiara Merlo, Andrea Morbio, Alessandro Nidi, Sandro Pizzichelli, Mattia Solari, Daniele Zoico). Attualmente si occupa di progetti artistici, promozione di artisti e comunicazione nel settore culturale.
Benedetta Marchesi (Firenze, 1988)
Lascia che ti racconti la mia guerra Dichiarazione d’intenti Per quelli della mia generazione, nati tra gli anni Ottanta e Novanta, la guerra è qualcosa che ci appartiene poco e da lontano: dalle guerre puniche alla guerra fredda sono stati conflitti che abbiamo studiato esclusivamente sui libri, siamo cresciuti con i racconti dei nonni che avevano vissuto sulla loro pelle la Seconda Guerra Mondiale e con un sottofondo permanente di consapevolezza che una guerra (o più) si stesse(ro) combattendo da qualche parte del mondo. Soprattutto, insieme all’eredità dei ricordi, abbiamo preso coscienza che una guerra oggi non si combatte solo su un campo di battaglia: può essere diffusa e silenziosa, alimentata da minacce e studi scientifici che seminano la paura, e che, soprattutto, qualcosa può scattare anche nel più inaspettato dei giorni. Custodiamo dentro di noi immagini, odori e suoni di guerre mai vissute, ma che inconsciamente e con certezza attribuiamo allo stato di belligeranza, perché ereditati dalla memoria collettiva. Il senso della parola conflitto va al di la del concetto di guerra: è scontro contro se stessi, è lotta contro il passato e contro il futuro, è battaglia al mondo che ci circonda. La parola guerra deriva dal sostantivo "werra" dell'antico alto germanico, che significa "mischia", ed è proprio a questo senso della parola che il progetto espositivo si ispira: alla mischia di persone, di pensieri, di sentimenti e idee che coesistono in una determinato momento e luogo. Ciascuno percepisce e affronta il tema del conflitto in maniera diversa e a seconda della propria sensibilità, qualsiasi essa sia, ma perché sia più reale e coinvolgente possibile richiede che siano attivati tutti i sensi. In questo senso si è scelto di strutturare un percorso espositivo che accompagnasse il visitatore in un’esperienza nella quale fosse stimolato e coinvolto in molteplici sensi: l’udito, la vista, l’olfatto ma anche la memoria collettiva, il contatto con l’altro, il senso di appartenenza. Le opere scelte per questa esposizione non esauriscono certamente il tema, ma hanno il compito di evocare nell’osservatore una sensazione e un’emozione di metaconflitto. Le opere esposte sono state selezionate in quanto portatrici di un significato e soprattutto di un’emozione che credo si avvicinino all’idea di stato di conflitto, prima, durante e dopo. Biografia Attualmente iscritta al Corso di laurea magistrale in Economia e Gestione dei Beni Culturali, indirizzo Economia e Gestione dei Musei e degli Eventi Espositivi, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dopo la laurea triennale, ha frequentato un semestre di studi presso la pontificia Universidad Católica Argentina di Buenos Aires. Collabora con l’Associazione Amici del Museo Bagatti Valsecchi, All’ArTembaggio, realtà che si occupa di progettazione, organizzazione e gestione di un programma di avvicinamento all’arte per bambini tra i 9 e i 12 anni e Speechati, associazione attiva nel campo della progettazione, organizzazione e gestione di aperitivi rivolti ai giovani universitari all’interno del museo. Ha collaborato con la Fondazione Palazzo Strozzi e Trivioquadrivio S.r.l.
Marco Mioli (Montecchio Maggiore, 1982)
Si sta come d'autunno Dichiarazione di intenti Il 2014 rappresenta il centenario della 1° guerra mondiale, la guerra che ha cambiato il volto dell’occidente e ha segnato profondamente il secolo breve. Si muore per un pezzo di terra, per un ideale di patria, per un senso di stato. La parola guerra fa subito venire alla mente delle immagini di atroci violenze, dove tutta la cattiveria umana, trova la sua espressione. La storia dell'arte è ricca di rappresentazioni belliche, e spesso viene dato risalto all'aspetto più crudo nel momento vivo dell'azione, basta pensare a Paolo Uccello con la battaglia di San Romano o a Guernica di Picasso. Tra le rappresentazioni di battaglie e lotte ce n'è una in particolare che mi ha affascinato per l'originalità del tempo con cui è stata fermata l'immagine. Si tratta della rappresentazione del tema biblico Davide e Golia che ne fa il giovane Michelangelo. L’iconografia classica mostra Davide con ai suoi piedi la testa mozzata di Golia; la lotta è già avvenuta. Michelangelo sceglie di rappresentare la guerra prima della guerra. Davide sta osservando il gigante che sta arrivando e questo genera una tensione irrisolta, un equilibrio imperfetto di ciò che non è ancora successo ma che sta per accadere. Analogamente il lavoro curatoriale presentato trae spunto da questo tempo di narrazione, proponendo una ricerca sul prima della guerra. La selezione “Si sta come d’autunno” indaga i presupposti della guerra i cui segni giacciono nell’Uomo anche in tempo di pace. Le tensioni, le insicurezze e le fragili emotività umane che i lavori esposti mettono in scena sembrano essere in un equilibrio precario. Ho escluso lavori che narrano della guerra come atto compiuto e ho cercato di indagare la grammatica di base su cui poggia il conflitto. La tensione dell'uomo, la sua irrequietezza, i suoi sogni, la sua ansia di definirsi sono i protagonisti della mostra. Il titolo “Si sta come d'autunno” verso tratto dalle celebre poesia di Giuseppe Ungaretti, non fa che rafforzare questo concetto di sospensione, precarietà, fragilità umana, che fa parte della sua condizione sulla terra e probabilmente della sua bellezza. Biografia Mi definisco una strana forma di architetto. Mi piace attingere dalle arti e mi diverto a creare ordine nella complessità. Sarà forse questa mia vocazione a raggruppare, coordinare, ordinare e trovare un percorso dentro la moltitudine, che mi ha spinto ad interessarmi alla curatela dell’arte contemporanea. Dopo il liceo artistico ho frequentato lo IUAV di Venezia dove mi sono laureato in Architettura nel 2006 per poi seguire il master in Visual & Performing Arts presso lo stesso ateneo. Ho realizzato installazioni sonore ed elettroacustiche utilizzando suoni ambientali e ho collaborato con diversi artisti nazionali e internazionali. Ho progettato la scenografia audio per “Delirious New York”, spettacolo teatrale tratto dall’omonimo testo di Rem Koolhaas e presentato al centro culturale CZ di Venezia. Ho vinto la selezione nazionale di IXEM, rassegna di musica ed arte elettronica sperimentale, presentando la composizione audio-video Autoctono con il collettivo chiglia:e:remi. Ho creato le musiche per un video dell’artista giapponese Masuda Hiromi. Ho collaborato con l’artista Jorge Orta sul progetto Acqua Alta a Venezia e ho frequentato un workshop con Lucy Orta presso il Bojiman Museum di Rotterdam. Come curatore ho realizzato Mutopie, una rassegna di musica elettronica spontanea presso il centro culturale Boldù di Venezia e Karmalat, una rassegna di musica presso il chiostro dei Tolentini della facoltà Iuav di Venezia coinvolgendo artisti nazionali e internazionali.
Elisabetta Modena (Modena, 1980), Valentina Rossi (Parma, 1979), Marco Scotti (Parma, 1980)
A decline of violence Dichiarazione di intenti In occasione del centenario dallo scoppio della Prima guerra mondiale, la mostra propone una riflessione sul tema della guerra e della pace, a partire dalla teoria scientifica sul declino della violenza nell’epoca contemporanea, mettendo in scena attraverso media e linguaggi diversi aspetti problematici e narrazioni accanto a ricerche e documenti. All’interno del dibattito contemporaneo sulla guerra e sulla pace, e a dispetto di una prospettiva mediatica che quotidianamente propone un mondo caratterizzato da genocidi, violenza e conflittualità diffusa, alcuni osservatori - e in particolare lo psicologo docente alla Harvard University Steven Arthur Pinker - hanno recentemente sostenuto che, in realtà, l’epoca in cui stiamo vivendo sia decisamente più pacifica rispetto a un tempo grazie a una vera e propria evoluzione nei processi mentali degli individui, una trasformazione dovuta innanzitutto al ruolo cruciale della cultura, giocato sia dall’arte che dalla letteratura. Partendo da queste riflessioni, che saranno argomentate, sviluppate e illustrate dal punto di vista storico-politico grazie alla collaborazione con Fbk-Cerpic di Trento, i curatori commissionano a tre artisti opere site-specific atte a “verificare” (usiamo appositamente questo termine scientifico) la tesi in questione. Un ultimo special project verrà commissionato a un artista che rifletterà sul concetto di archivio, collezione e memoria partendo dall’ADAC e dalle collezioni del MART, allestendo in mostra la propria ricerca e dando una propria interpretazione delle tematiche proposte. Il percorso di mostra sarà completato attraverso una selezione di lavori che vogliono costruire un racconto dedicato a diversi punti di vista su confini – non solo geografici - e contrasti nella ricerca artistica contemporanea, sulla memoria come sulla presenza/assenza di un'idea di guerra che la teoria di Pinker vede in declino, sul rapporto tra quotidianità ed eventi su scala mondiale, sulle diverse idee e rappresentazioni e sulla possibile presenza di altre forme di conflitto. La proposta risponde alla mission del museo (Franco Bernabè, presidente) riguardo all'estensione del sistema dei rapporti del museo stesso con il territorio grazie al coinvolgimento degli archivi ADAC e MART oltre che del Centro di Ricerca sulla Politica Internazionale e la Risoluzione dei Conflitti, della Fondazione Bruno Kessler di Trento (Fbk-Cerpic); si allinea inoltre alla sua vision nel proporre un museo di respiro globale che interpreti “la complessità e la densità della società contemporanea (…), intraprendente, che cerca nuove alleanze, indaga nuove attitudini e stimola il dibattito” (Cristiana Collu, direttore). Biografie Elisabetta Modena è curatrice indipendente e storica dell’arte contemporanea. Consegue la laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Parma nel 2005 e il Dottorato di Ricerca in Storia dell’Arte e dello Spettacolo nel 2010 con una tesi intitolata, La Triennale di Milano in mostra: 1947-1954. Allestimenti nelle carte dell’archivio storico. Dal gennaio 2011 è cultore della materia in Storia dell’arte contemporanea presso il Dipartimento dei Beni Culturali e dello Spettacolo dell’Università di Parma. Le linee della ricerca sviluppata sono da collegarsi alla storia dell’arte, del design e dell’architettura del XX secolo: mostre ed esposizioni, in particolare il problema dell’allestimento espositivo effimero in Italia e all’estero; partecipa al gruppo di ricerca sul tema “Architettura / Progetto / Media” a cura della Prof. Francesca Zanella; è coordinatrice gruppo di ricerca Il paesaggio e il suo doppio. Da Pac-Man a Second Life nato nell’ambito del Festival dell’Architettura IV, 2007-2008, Pubblico Paesaggio; collabora al progetto per la ricerca bibliografica, archiviazione e
digitalizzazione relativa all’attività critica di Gillo Dorfles. È direttrice artistica della XXXII edizione della Biennale di arte contemporanea “Aldo Roncaglia” di S. Felice s/P (Modena), Arte nell’epoca della Post Tradizione (aprile-maggio 2012). Insegna Sceneggiatura del videogioco presso l’Accademia di Belle Arti Santagiulia, Brescia. Valentina Rossi dopo varie esperienze di studio e di lavoro a Berlino (Humboldt Universität e Neue Nationalgalerie) e Amsterdam (Art Affair Gallery), si laurea al DAMS di Bologna nel 2006 in Tecniche dell’arte contemporanea. Dal 2007 al 2008 lavora presso il MACRO, Museo Arte Contemporanea di Roma, e presso il Museo ARCOS, Ars Sannio Campania, di Benevento. Nel 2009 coordina e organizza le mostre e le residenze d’artista all’Accademia Dello Scompiglio di Lucca, sotto la direzione di Danilo Eccher. Attualmente è dottoranda in Storia e teorie delle esposizioni e degli allestimenti presso l’Università di Parma, è nella redazione della rivista scientifica Ricerche di S/Confine della stessa università e componente del collettivo curatoriale personal effectsonsale di Bologna. Ha collaborato alla ricerca scientifica e all’edizione di cataloghi per Electa, Silvana Editoriale, Danilo Montanari Editori, cura. book e Fortino Editions. Attualmente scrive per la rivista Fruit of the Forest, New York/Miami. É curatrice del museo digitale MoRE. Museum of refused and unrealised art project, che raccoglie, conserva ed espone on-line progetti non realizzati di artisti del XX e XXI secolo www.moremuseum.org, per cui ha curato le donazioni di Davide Bertocchi, goldiechiari, Luigi Presicce, Lorenzo Scotto di Luzio e Erwin Wurm. Dal gennaio 2013 è cultore della materia in Storia dell’arte contemporanea presso il Dipartimento dei Beni Culturali e dello Spettacolo dell’Università di Parma. Marco Scotti, dottorando in Storia dell’Arte presso l’Università di Parma, è curatore e storico dell’arte contemporanea. Si occupa inoltre di progettazione e comunicazione di eventi culturali. Le linee della ricerca sviluppata sono da collegarsi alla storia dell’arte, del design e dell’architettura del XX secolo: in particolare si interessa di cinema, di pubblicità e, collaborando al gruppo di ricerca sul tema “Architettura / Progetto / Media” a cura di Francesca Zanella, dell’immagine e del progetto videoludico di cui si occupa anche all’interno del gruppo di ricerca Il paesaggio e il suo doppio. Da Pac-Man a Second Life. Insegna inoltre Sceneggiatura per il videogioco presso l’Accademia Santa Giulia di Brescia, e ha recentemente lavorato come curatore al progetto personal effectsonsale presso il padiglione l’Esprit Nouveau di Bologna e alla XXXII edizione della Biennale Roncaglia. Ha partecipato al progetto per la ricerca bibliografica, archiviazione e digitalizzazione relativa all’attività critica di Gillo Dorfles. È responsabile ufficio stampa e comunicazione del festival Novara Jazz dal 2009. É ideatore insieme a Elisabetta Modena del progetto MoRE. Museum of refused and unrealised art project, un museo digitale che raccoglie, conserva ed espone on-line progetti non realizzati di artisti del XX e XXI secolo (www.moremuseum.org ).
Roberta Pagani (1983)
XXX Dichiarazione di intenti Democrazia, giustizia, libertà sono vecchie menzogne Da una prima ricognizione e discussione con gli artisti sono emerse le linee guida del progetto di mostra: - il coinvolgimento di artisti italiani della nostra generazione si giustifica nella considerazione che conosciamo solo in parte il significato e il valore di “guerra”, termine adoperato per lo più nell’immedesimazione con sinonimi o simboli (quelli di rivoluzione e rivolta in primis) e nelle parole inneggiate da questi movimenti: democrazia, giustizia e libertà. La scelta di artisti italiani non significa una chiusura geografica o una volontà di localizzare un tema che è da intendersi come globale, ma anzi l’invito rivolto a ciascuno di loro è di utilizzare uno sguardo trasversale e internazionale, a dimostrazione di una scena dai caratteri ben precisi, che vive in maniera evidente e spiccata l’urgenza di uscire dai confini e di esprimere le sue peculiarità. - l’arte di questa stagione, così come il panorama culturale prodotto dagli anni duemila, appare congelata in un tempo sospeso che gravita su due diverse tensioni accomunate da un sentore o di imminente e futura carneficina, o di appena passata rivoluzione. In comune ci sono la consapevolezza e la coscienza di vivere in un contesto storico confuso, e la ricerca di una direzione. Intercettiamo i cambiamenti e cerchiamo una loro definizione, anche visiva e formale. - i campi d’indagine legati al tema della guerra consentono un vastissimo repertorio di riferimenti e citazioni. Ciascun artista individuato, secondo una selezione ragionata e volutamente eterogenea, ha suggerito la definizione di parole chiave attorno le quali si è costruito il progetto: conflitto, carneficina, rivolta, colonialismo, patria, confine, crisi economica/sociale/culturale, mediterraneo, navigazione, migrazione, futuro, alimentazione/cibo, etc. che si riferiscono al presente che stiamo vivendo. Insieme agli artisti, saranno invitati alcune personalità a collaborare alla definizione del progetto con contributi teorici o interventi di partecipazione di diversa natura a seconda della specificità di ciascun ambito: Elisa Oddone, giornalista che vive e lavora ad Amman (Giordania), Andrea Cassi, architetto, progettista del prossimo padiglione dell’Expo 2015 per lo studio Carlo Ratti, Vincenzo Latronico, scrittore e critico d’arte e il musicista e producer Lorenzo Senni. Biografia Roberta Pagani è curatrice indipendente. Diplomata in Scenografia presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, completa la propria formazione presso la Digital Filmaking School (Maestro Film Studio, Como), sotto la guida di Leonardo Pollavini e presso l'Ecole Nationale des Beux Artes di Parigi. Ha collaborato con numerose istituzioni culturali italiane, sia nel campo della direzione artistica che dell'ideazione di eventi a carattere espositivo. È tra i fondatori di The Others Art Fair, fiera d'arte contemporanea indipendente e di Info Numeri, piattaforma per la realizzazione di mostre in luoghi non deputati all'arte. Ha scritto per Arte.
Gabriele Salvaterra (Tione di Trento, 1984)
boundaries / confini Dichiarazione di intenti Questo progetto si relaziona alla tematica del conflitto analizzando l’elemento principale che ne è la causa: il confine e la separazione. Il progetto espositivo si propone di passare in rassegna quegli elementi che impostando un rapporto di diversità - tra me stesso e l’altro, tra il mio paese e quello degli altri, tra la mia etnia e un’altra, tra il mio corpo e la realtà esterna - si configurano come cause scatenanti del conflitto. L’idea di conflitto viene quindi intesa non soltanto nel suo significato più drammatico e “spettacolare” ma si rapporta anche con tutti quei confini o muri che a partire dalla vita di ogni giorno le persone innalzano attorno a sé e che possono contenere premesse di una crescente conflittualità. Il tema viene quindi affrontato da una prospettiva laterale, sia per evitare un facile fascino dell’orrido, sia per aggirare un’idea ingenua, spettacolarizzata e fintamente remota del conflitto. Nella rappresentazione di ciò che è lontano è facile cadere in un nuovo esotismo contemporaneo pieno di stereotipi e semplificazioni che appiattiscono la discussione degradandola al luogo comune. Utilizzando la categoria forse laterale del confine è possibile approcciare la complessità del conflitto evitando queste ingenuità, in maniera il più possibile responsabile. Il tema del limite inoltre, caro al mondo dell’arte contemporanea che lo ha sondato all’interno di innumerevoli ricerche - dalla scultura alla pittura, dalla body art all’happening nel suo separare individualità e collettività, pubblico e privato, io e altro - assicura un ponte comune in grado di connettere i due universi - l’arte e la vita - spesso irrimediabilmente separati e non comunicanti. La scelta degli artisti si è concentrata sulla selezione di una solida base di locali con delle aperture al contesto nazionale, internazionale e globale. Il punto di questo progetto espositivo non è infatti quello di realizzare un campionario di artisti provenienti da territori in conflitto né tanto meno quello di proporre una semplice descrizione didascalica della guerra. Non si vuole insomma portare le immagini del conflitto nella nostra tranquillità domestica, quanto piuttosto capire come sia possibile fare i conti con la conflittualità in ciascuna sua forma, anche la più sottovalutata, consapevoli del nostro stato privilegiato di occidentali benestanti. Considerando che il Mart di Rovereto affronterà un’analisi esaustiva del conflitto bellico in occasione del centenario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, è più utile lavorare da una prospettiva laterale e mediata, analizzando le ragioni teoriche che portano ai conflitti - di qualunque natura essi siano - per fornire le possibili “cassette degli attrezzi” che ci rendano in grado di controllare la crescente violenza o quantomeno individuarne le ragioni. L’idea è quindi quella di giustapporre liberamente in mostra, senza alcun pregiudizio mediale, artisti storici e contemporanei, giovani e storicizzati, locali e internazionali insistendo su cortocircuiti e de contestualizzazioni tra pubblico e privato, ambito domestico e mondiale, personale e impersonale per sviscerare gli elementi che portano alla conflittualità sia nella grande che nella piccola scala. L’intento è quello di rendere consapevole il pubblico di come nella nostra stessa individualità ci siano già i semi del conflitto e di come la guerra non sia qualcosa di lontano, di cui ci si può facilmente rammaricare sul divano di casa, ma che sia potenzialmente presente in qualsiasi gesto, nelle azioni di ogni giorno. Se quindi si vuole realizzare una pace è bene cominciare da ciò che più ci sta vicino e su cui più si può incidere, a partire dalla propria vita quotidiana; per avere una base solida e consapevole da cui partire per attuare un cambiamento sul piano pubblico e globale.
Biografia Gabriele Salvaterra è scrittore e mediatore culturale. Si è laureato in Gestione e Conservazione dei Beni Culturali con la tesi “Internet e nuove tecnologie nel settore museale. Ipotesi e strumenti per un approccio immateriale alla creazione del valore”, discussa presso l’Università di Trento. Lavora come collaboratore presso il Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto in Ufficio Collezioni e nell’organizzazione di mostre temporanee. Dopo la collaborazione con Exibart è attualmente corrispondente per le riviste d’arte Artribune e Espoarte. Ha curato e contribuito alla realizzazione di diverse mostre sia presso istituzioni pubbliche che come curatore indipendente. Appassionato di critica e storia dell’arte, equilibra le escursioni nel mondo artistico con una militanza chitarristica nell’underground musicale tridentino.