Las tres chimeneas: architettura e percorsi interattivi nell'area urbana di Barcellona

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L A S T R E S CHIMENEAS ARCHITETTURA E PERCORSI I N T E R AT T I V I N E L L’A R E A URBANA DI

BA R C E LO N A

Tesi di Laurea_ Martina La Corte Relatore Prof. Arch_ Giovanni Francesco Tuzzolino Correlatore Prof. Arch_ Jordi Bellmunt Chivas



Università degli studi di Palermo Scuola politecnica Dipartimento di Architettura Corso di laurea in Architettura Anno accademico 2017/2018 “Las tres Chimeneas_ Architettura e percorsi interattivi nell’area urbana di Barcellona” Tesi di Laurea_ Martina La Corte Relatore Prof. Arch_ Giovanni Francesco Tuzzolino Correlatore Prof. Arch_ Jordi Bellmunt Chivas



A mio nonno, Filippo.


Questa architettura Questa architettura, questo percorso è oltre l’orizzonte, la nuvola che cerca di cancellare tutto, e mai lo fa, tutto questo così ammirevole e sorprendente, è la nostra città: se la guardi, se la segui come se fosse la schiena del partner d’amore. Poi la pelle, agghiacciante e grata, rivelerà molti altri segreti, ancora, i punti più oscuri di bellezza e piacere, che non hai mai visitato e che ti stavano aspettando. Màrius Sampere Poemes de Màrius Sampere, 2005


Aquesta arquitectura “Aquesta arquitectura, aquest camí fora la ratlla del temps, el núvol que es proposa d’esborrar-ho tot, i mai no ho fa, tot això tan admirable i sorprenent, ho té la nostra ciutat: si te la mires, si la ressegueixes com si fos l’esquena de la companya d’amors. Llavors la pell, esgarrifada i agraïda, et revelarà molts més secrets, encara, els més foscos punts de bellesa i de plaer, que mai no havies visitat i t’esperaven.” Màrius Sampere Poemes de Màrius Sampere, 2005



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Premessa La Città di Barcellona e le trasformazioni degli anni Ottanta

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Sant Adrià de repertorio spaziale inascoltato

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Besòs

Il Patrimonio industriale il processo di rivitalizzaizone urbana

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Esempi di rivalutazione del patrimonio industriale

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I confini materiali: l’indebolimento

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Case study: Parc del Forum Case study: Superblock e Superbarrio

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L’architettura interattiva e le nuove tecnologie in ambito culturale

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Case study_ Llum festival

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La centrale elettrica Storia, evoluzione e speranze Linee Il

guida

Parco

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55 59

La nave turbine Auditorium e Main Hall

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Las tres chimeneas “Play, Learn, Discover”

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Il

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Progetto

indice

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barcelona

41 ° 22’ 57 “ N | 2 ° 10’ 37” E 5


Badalona

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LAS TRES CHIMENEAS


PREMESSA

BARCELONA

La crescita delle città nel corso del ventesimo secolo ha generato processi di esplosione urbana inarrestabili, che hanno dato origine a grandi e vaste regioni metropolitane. Una chiara conseguenza di questo processo è stata l’incorporazione del paesaggio nella città. Quella vecchia distinzione tra città e territorio, tra l’urbano e il paesaggio, si rompe oggi per osservare un territorio discontinuo, un paesaggio intermittente che ibrida gli usi urbani con pre-esistenze agricole e naturali. Linea di transizione tra le città industriali e le città post industriali. Sulla costa mediterranea, tra Barcellona e Badalona si trova l’ultimo chilometro di costa non urbanizzata all’interno del continuum urbano tra Sitges e Mataró: Sant Adrià de Besòs, luogo di residenza di un edificio unico e iconico. La vecchia centrale termo-elettrica, conosciuta localmente con il nome di “ Las tres chimeneas “, fu voluta dal Generale Franco all’inizio degli anni 70’ per rispondere al crescente bisogno di energia elettrica, realizzata all’interno di un’area urbana in forte espansione(1). Costituisce l’ultimo tassello di una serie di interventi programmati dalle autorità preposte, tesi a riqualificare il “waterfront” dell’intera area metropolitana barcellonese. Con tre gruppi caldaia-camino originali di 200 m. di altezza, una nave turbina di 5.600 m2 e 30 m. di altezza, la termica contribuisce a conferire un carattere singolare al territorio e presenta valori storici, patrimoniali e paesaggistici del primo ordine. Sulla costa di Sant Adrià l’energia elettrica è stata prodotta ininterrottamente dal 1913, contando fino a sette centrali elettriche. 7


Tra gli altri valori storici, la termica racchiude le condizioni di lavoro, le lotte operaie e la repressione della fine del regime di Franco, così come i movimenti di protesta dei quartieri limitrofi. A livello di paesaggio, è un elemento del primo ordine perché è l’edificio più alto della Catalogna che insiste sulle rive del delta del Besòs, l’attuale corridoio verde metropolitano. L’armonia dell’insieme è visibile da chilometri di distanza e porta alla costa adrianense un’originalità da evidenziare e valorizzare in tutti i suoi aspetti. Si tratta di un’opera di pregevole fattura, che per i suoi forti valori simbolici è diventata oggetto, infatti, di movimenti urbani che ne reclamava la salvaguardia, almeno per le tre altissime ciminiere che caratterizzano il paesaggio della periferia di Barcellona. La sua posizione geostrategica, per la sua connessione con il fiume Besos e l’asse costiero, la vicinanza con il Campus Besos e IREC (Energy Research Institute della Catalogna ) e altri spazi industriali, aree culturali e scientifiche, come il Museo nazionale di Scienze naturali e spazi per il tempo libero e il turismo, rappresentano la possibilità per l’ex centrale elettrica di Besos di convertirsi in uno spazio, già riconosciuto come monumentale, per la produzione di cultura, identità e relazioni sociali, senza dimenticare il potenziale per diventare un importante motore economico, per il turismo e gli affari. Il progetto proposto si articola in una varietà di strategie alle diverse scale secondo un divisore comune, l’interazione, quindi il gioco. Il nuovo Centro tende a integrarsi funzionalmente con la vicina area del Forum 2004, e con le nuove aree di centralità previste nella fascia 8


costiera di collegame to con St. Adrià de Besòs, prolungando l’effetto di rigenerazione della costa avviato dalla municipalità di Barcellona. Il recupero dell’area industriale in dismissione è associato anche alla riqualificazione dell’estesa periferia urbana, a partire dall’Ensanche di Cerdà, fungendo da attivatore dei processi di trasformazione fisica e funzionale dei territori urbani dell’entroterra. Le nuove reti della sostenibilità previste assumono un ruolo strategico poiché sono chiamate ad agire come catalizzatori dinamici dei processi di recupero urbano. Il progetto, che presenta scenari di rigenerazione urbana ed ambientale tra Sant Adrià, il Rio Besos e Badalona Sud, intende porsi come un’applicazione esemplare dei principi sanciti dalla Carta europea di Toledo 2010(2) per una città “più sostenibile, inclusiva e intelligente”. Uno dei primi problemi da affrontare, che rappresenta anche una grande potenzialità, è la scala sia in termini di diversità che di potenziale - direi geografico - che impone la termica e la sua relazione con la città e il mare. Un altro carattere generale condiviso è la diversità delle linee guida da considerare: quello relativo a trame urbane o periurbane preesistenti e quello relativo all’accesso della centrale elettrica. (2)

Riunione ministeriale informale di Toledo sulla Dichiarazione sullo sviluppo urbano. WToledo, 22 giugno 2010.

Il parco rappresenta, quindi, il meccanismo utile per articolare la grande scala - termica e marittima - con le scale più piccole: blocchi, strade, spazi pubblici. 9


Appare evidente che, superata la barriera della ferrovia, le predeterminazioni urbane conferiscono tutta la potenza all’assetto geometrico presieduto dal volume della termica fino al mare, che a tal proposito dovrà rispondere ad esigenze urbane, paesaggistiche, topografiche e materiali. Questo pensiero simultaneo è stato uno degli aspetti metodologici più complessi da interiorizzazione, ma allo stesso tempo il più interessante e completo. Un progetto architettonico che va oltre una risposta formale a un programma specifico, ma in qualche modo riprende una proposta che ha anche a che fare con quella irruzione di un’architettura emotiva, che in modo discreto ma definitivo, ha iniziato a insinuarsi alla fine degli anni ‘90, con la realizzazione del Parc Olimpic. L’architettura che cerca di creare situazioni, definite come momenti di vita concretamente e deliberatamente costruiti mediante l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di eventi. E’ necessario sottolineare che si tratta di un progetto che deve essere compreso a partire da una lettura simultanea delle scale che consente di affrontare sia le grandi tracce che riflettono l’idea del progetto, sia da un’approssimazione ai dettagli costruttivi che spiegano in scale più vicine e definitive la qualità architettonica degli edifici e degli spazi urbani. È una proposta metodologica che si basa sulla necessità di comprendere l’architettura come un sistema di relazioni. Rapporti di ogni tipo: relazioni topografiche, strutturali, rapporti di proporzioni, relazioni d’uso e ancora rapporti di luce e ombra e anche colore. 10


L‘area delle Tre ciminiere nel distretto di Besòs è una sorta di nulla all’interno di Barcellona che nasconde un’enorme quantità di opportunità per lo sviluppo urbano e paesaggistico. Una sorta di periferia interiore con le sue condizioni e aspettative, che soffre di una certa disconnessione urbana e che ha costretto a ripensare alle funzioni non solo del sito in esame, ma dell’intera area al di là del fiume. La massima formalizzazione - effettivamente documentata - di questa tensione tra le linee guida rende la qualità del vuoto la risorsa più attiva del progetto. La monumentalità delle tre torri, accompagnata dalla sproporzione degli edifici adiacenti e delle infrastrutture dell’attività termica, rappresenta un problema ma allo stesso tempo un’occasione per riflettere, dal punto di vista del progetto architettonico, sulle strategie di riabilitazione e riuso di infrastrutture industriali che in qualche modo sono incorporate in un tessuto urbano, senza però scoraggiare il loro simbolico carattere industriale. Una pietra miliare della costruzione visibile da miglia o miglia nautiche, a seconda di come la si guarda.

(3)

Berrini M, Green life: costruire città sostenibili, Editrice Compositori, Bologna, 2010

La situazione odierna promuove l’innovazione, sostiene la creatività e arricchisce i progetti, invocando la nostra intelligenza(3). Siamo costretti a dare un nuovo sguardo alle pratiche e agli usi, a considerare diversi modi di fare le cose, pensando all’umanità di un luogo. Citando Álvaro Siza, che ha sempre considerato il potenziale del nucleare, possiamo intrapendere questo percorso: “L’architettura è una piattaforma. Una piattaforma che ti permette di vedere qualcos’altro. Quest’altra cosa è quella che è bella”(4). Il punto di partenza sarà quindi quella di aprire nuove piattaforme dalle quali possiamo desumere altre forme di bellezza, ora che tutto deve essere riconsiderato. 11


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la città di barcellona e le trasfromazioni dagli anni ottanta

Per intendere le trasformazioni che hanno interessato la città di Barcellona nell’era moderna sarà necessario analizzarle da un punto di vista storico-culturale. Nel 1979 il Partito Socialista Catalano vinse le prime elezioni democratiche e si trovò a dover risanare una città deturpata da scelte politiche che ne avevano negato lo sviluppo. Bisognava ripartire da interventi puntuali nelle aree libere come le strade o le piazze, interventi inseriti all’interno di schemi di rigenerazione urbana più ampia. Così nei primi anni Ottanta l’attività dell’Ing. Bohigas mirava a risolvere, per mezzo di interventi puntuali, le emergenze come il traffico e l’insufficiente spazio riservato al pedone.(5) Il programma condusse la città a candidarsi per ospitare le olimpiadi del 1992, la cui importanza è evidente ancora oggi per il nuovo volto che la riqualificazione urbana riuscì a dare alla città. L’evento rappresentò, nel momento in cui Barcellona vinse la candidatura, la possibilità di estendere il modello urbanoWW a una scala maggiore e arrivare finalmente ad aprirsi al mare. (6) Il programma di riqualificazione urbana aveva come obiettivo di apportare miglioramenti alle infrastrutture e definire nuove aree di centralità per ottenere una ridistribuzione dei servizi e dell’urbanità esistente. Più precisamente, la trasformazione del porto avrebbe finalmente rappresentato la realizzazione di un nuovo centro, procedendo poi con la riqualificazione dei quartieri residenziali e il recupero delle aree dismesse. 13


Un’altro evento caratterizzante riguarda il progetto per portare a termine la Diagonal nell’area limitrofa tra il mare e l’attuale Forum delle Culture 2004. Se le Olimpiadi, infatti, riuscirono a dare un nuovo volto e una nuova identità alla città, il progetto nell’area del Parc del Forum ha generato oggi, dopo il termine dell’evento, un grande vuoto urbano. Con la Diagonal Mar, iniziarono a sorgere i primi grattacieli sul lungomare orientale della città, tipologia del tutto nuova, all’epoca, per la Barcellona marittima. (7) Per il progetto del Forum delle Culture bisognava invece considerare che nell’area destinata erano concentrati alcuni dei maggiori impianti infrastrutturali della città, tra cui il depuratore, l’inceneritore e le centrali elettrica, che si decise infine di incorporare nel nuovo progetto. Da una parte l’area destinata al Parc del Forum diventava un grande patchwork in asfalto che copriva ogni cosa, dell’ altra l’estensione della Diagonal fino al mare ha generato una periferia originale nei suoi caratteri più tipici, rappresentati dalle grandi infrastrutture metropolitane. Se il modello lavorava, però, per parti e andava ad intervenire in modo puntuale sul tessuto urbano, il progetto a maxi-scala del Forum, soprattutto per ciò che resta oggi, è la sintesi della fine dell’urbanistica socialista. Il progetto, che in teoria avrebbe permesso a Barcellona di rafforzare e definire la sua identità, ha lasciato in realtà un grande vuoto urbano, simbolo di una globalizzazione che nega il carattere identitario a favore del nulla. 14

(5)

Emma Serra, Bohigas: le piazze di Barcellona, Sagep Editrice, 1987 (6) Chiara Mazzoleni, La costruzione dello spazio urbano: l’esperienza di Barcellona, FrancoAngeli editrice, 2009 (7) Manuel de Solà-Morales, Diez lecciones sobre Barcelona, Coac, 2008


In una posizione diametralmente opposta si collocano gli interventi realizzati dal gruppo 22@ nella zona limitrofa del Poblenou, che nel 2000 iniziò un lavoro di recupero del quartiere volta a trasformare l’area in nuovo polo tecnologico di Barcellona. Il piano era quello di concentrare nell’area industriale dismessa il nuovo settore digitale . Contemporaneamente però il progetto di riqualificazione mirava a lavorare con equilibrio tra il vecchio e il nuovo, tra il mantenimento del tessuto industriale e l’inserimento della nuova produzione. (8) Il Poblenou avrebbe ospitato nuove funzioni -ricerca, comunicazione, produzione digitale- pur lasciando spazio alle preesistenti, senza creare una spaccatura tra queste. Il quartiere mantiene oggi la sua identità: il polo tecnologico è stato realizzato mantenendo la stessa trama urbana del Poblenou industriale, che era ed è evidentemente la continuazione naturale della maglia dell’ Eixample di Cerdà; molti degli edifici sono stati recuperati, in alcuni casi con nuova funzione. La necessità di recuperare il centro storico, di aprirsi al mare, di trasformare il carattere industriale di un quartiere senza comprometterne il patrimonio storico sono obiettivi non unici di Barcellona, ma comuni o simili ad altre città europee e non solo.

(8)

Antoni Oliva, El districte d’activitats 22@bcn, Ediciò Aula Barcelona, 2003

Una città, però, dovrebbe sempre evolversi con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita di chi la vive -di passaggio o stabilmentema non per questo tralasciare ciò che storicamente ne ha caratterizzato il tessuto urbano, che inevitabilmente ha condizionato anche il carattere sociale e viceversa. Barcellona in questo senso rappresenta un esempio, non deve essere imitata o riprodotta. 15


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Sant Adrià de Besòs

Reperorio spaziale inascoltato

Nel 1960, le ondate migratorie provocarono la comparsa di nuovi quartieri: il distretto di Besos (1960-1994) e La Mina (1973-75) a Barcellona: la spiegazione di questo movimento migratorio deve essere ricercata sia nell’evoluzione industriale di Sant Adria, sia alla sua vicinanza a Barcellona e Badalona, che ha permesso agli abitanti di vivere a Sant Adria e di lavorare in una di queste due città. (9) Più tardi, durante gli anni ‘80 e dopo la fine della dittatura, la delocalizzazione e la chiusura di molte aziende industriali causò il ritorno di alcuni dei migranti nel luogo di origine e, quindi, di una conseguente perdita di abitanti, tutti dovuti a cambiamenti di residenza dovuti alla perdita del posto di lavoro. Va inoltre citato il progressivo cambiamento nel settore del lavoro, con un aumento del settore terziario. Fu costruito, infatti, un grande centro commerciale, che simboleggiava l’industrializzazione dei centri di distribuzione, invece che dei centri di produzione. Nel 2004 l’Universal Forum of Cultures, un evento riconosciuto a livello internazionale, ha ridisegnato parte del Delta di Besos, sia come distretto, sia letteralmente in termini di costa. L’infrastruttura industriale esistente è stata sostituita da spiagge artificiali all’interno di un ambiente urbano, fornendo uno spazio di svago per residenti e turisti. L’unica zona del lungomare di Barcellona che non è ancora stata urbanizzata si trova sulla riva sinistra della foce del fiume Besos. Questa zona di fronte al mare di 20 ettari, che comprende quasi un chilometro di spiaggia, è conosciuta come l’area della termica del Besos. 17


Il litorale di Sant Adrià, invece, presenta ora impianti sportivi e l’estensione del Parco del Litorale. Alle spalle, invece, de Las tres Chimeneas risiede il tessuto industriale, con varie tracce che derivano dalla suddivisione terriera degli inizi del secolo scorso. Inoltre la trama vasta del centro commerciale Alcampo fa da transizione tra i tessuti residenziali e questo settore industriale. Sopra il Carrer de la Torrassa, un incrocio di strade con sentieri irregolari e trame più piccole forma un groviglio urbano, dotato di una miscela di usi. (a) Un repertorio spaziale inascoltato che, nonostante la sua obsolescenza, rappresenta un’area con grandi potenzialità di cambiamento, che potrà svolgere un ruolo rilevante nella futura Metropoli. Un’area di opportunità che rende possibile la generazione di una nuova centralità e il ripristino della continuità dello spazio territoriale libero. L’interesse per il recupero dell’ex centrale elettrica di Sant Adrià de Besòs è dovuto alla sua singolare dimensione monumentale, un progetto necessariamente sovralocale. Il recupero e la valorizzazione del patrimonio e la promozione di nuovi centri di interesse nella municipalità di Sant Adrià non solo ha un significato locale a breve termine, nella misura in cui esso può contribuire alla conoscenza e lo sviluppo dell’identità per la popolazione del posto, ma la valorizzazione di questa attrezzatura e la riabilitazione dello spazio circostante, può diventare una forza trainante per nuove attività economiche e turistiche nell’area di Barcelonès Nord,regione sociale inserita nel contesto metropolitano di Barcellona, ​​rispetto al quale ha combattuto per non essere identificata come “periferia”. 18

(9) Manuel Fuentes Vicent, Petita història de Sant Adrià del Besòs, Editorial Mediterrània, 2007 (a) Barcelona City Hall, Map: areas, districts and neighbourhoods. (http://w152.bcn.cat/PlanolBCN/es/areas-distritos-barrios).


L’integrazione della dimensione culturale nelle strategie di sviluppo turistico consente nuove forme di politiche per lo sviluppo economico. Barcelonès Nord è caratterizzato proprio dal fatto che non ha una grande attività di carattere turistico, anche se è tra due motori del primo ordine, come Barcellona e il Maresme, il porto del Parc del Forum e il Porto di Badalona. Il Barcelonès Nord vede la necessità di realizzare una proposta turistica, basata sulla valutazione dei suoi beni culturali che implementano l’offerta di turismo a Barcellona e le vicine destinazioni balneari, e che allo stesso tempo sia al servizio della popolazione locale e della sua area di influenza. La questione, infine, è analizzare come il patrimonio industriale sia stato prodotto, come è stato consumato e quali agenti sono stati coinvolti in entrambi i processi. Inoltre, il focus del lavoro è quello di studiare in che modo il patrimonio diventa un elemento basilare del processo di rivitalizzazione economica, di proiezione simbolica e di compattezza urbana.

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il patrimonio industriale Il processo di rivitalizzazione urbana

Il patrimonio industriale urbano cominciò a essere considerato un patrimonio da proteggere in Gran Bretagna nel 1950. Si deve al movimento protezionistico l’introduzione della necessità di conservare e proteggere il patrimonio contro il cambiamento delle attività economiche nelle città emerse dalla rivoluzione industriale. Lo studio dell’archeologia industriale e la conservazione, protezione, diffusione e interpretazione del patrimonio industriale a livello internazionale si basa sul lavoro del Comitato Internazionale per la conservazione del patrimonio industriale (TICCIH) (1978) che alla fine degli anni ‘80 divenne consulente per il Consiglio internazionale per monumenti e siti (ICOMOS) dell’UNESCO(10). Quest’ultimo costituisce l’organo consultivo su questioni per la selezione di monumenti, siti e paesaggi. E’ necessario, però, mettere insieme diverse prospettive progettuali sulla prima generazione dei territori industriali, in gran parte responsabili dei vecchi processi di crescita urbana e chiaramente associati all’immaginario collettivo metropolitano. I processi di riconversione, riabilitazione e valorizzazione di tali paesaggi industriali hanno mostrato la capacità di saper dotare lo spazio metropolitano di nuovi usi che vanno dall’economia, alla cultura, al turismo, mettendo in discussione il potenziale rappresentato dal patrimonio dei complessi industriali come opportunità per la creazione di centralità e visibilità metropolitana. Verso la fine dello scorso secolo questo era già incluso nella gestione, nella pianificazione e nelle strategie di sviluppo territoriale delle città come risorsa, come memoria collettiva e come identità del luogo. 21


Alcune aree industriali tradizionali sono state così trasformate, convertendo i vecchi edifici industriali in nuove sedi aziendali, abitazioni, strutture e centri culturali. Questa trasformazione ha avuto un effetto cumulativo sulla città-paesaggio, mentre agisce come un’attrazione di nuove imprese e attività turistiche.(11) Ricostruire è, prima di tutto, riconoscere nel luogo un valore che è sopravvissuto a un’esperienza tragica -abbandono, deterioramento e che ora deve realizzarsi, recuperare. Porsi davanti la responsabilità di una storia che non può essere dimenticata, pensare a come la memoria parlerà dalla rovina trasformata in qualcos’altro. Contrapporre proiezioni di un passato in un costante divenire, quello che sarà e quello che è stato, per assicurarci di non perdere il trauma dell’esperienza dell’edificio, ovvero ciò che ci sensibilizza davvero. Questo è quello che succede, ad esempio, con le ciminiere industriali: frammenti originali della forma urbana storica e, in alcuni casi, contenitori di un patrimonio collettivo non trascurabile. Vengono, però, tenute lontano dalle operazioni di rigenerazione e vengono isolate come elementi iconici, perdendo paradossalemnte ogni capacità di rappresentare qualsiasi cosa, né il luogo, né la loro memoria poichè fanno ora parte delle condizioni al contorno che, quasi sicuramente, avranno uno stampo moderno. Fuori dalla loro attività restano una superficie estrusa ma vuota, senza le macchine che le rendono vive. Sono costruzioni allo stato puro, senza concessioni, e trasmettono peso e forza su tutti i lati, come statue in rovina, che non permettono né affettività né sensibilità. 22

(10)

James Douet, Industrial Heritage Re-tooled: The TICCIH Guide to Industrial Heritage Conservation, Routledge, 2015 (11) Christopher Alexander, A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction, OUP USA, 1977


Ma insieme a questi valori fondamentali, ovvero l’esperienza del luogo, si contrappone, da un punto di vista estremamente delicato, l’esperienza sensoriale: la deriva. Una collezione di frammenti visivi di materialità e trame, situazioni personali, volti e movimenti di persone per strada, paesaggi sonori e sensazioni astratte, tutto intorno all’ambiente dalle vecchie industrie.(b) Ognuno di questi momenti è curioso nella memoria: per questo è essenziale visitarlo, viverlo e poi ricordarlo. Sarà in questo ricordo, sempre più sfocato dove la pianta scompare, dove ci sarà bisogno di risvegliare impressioni sensibili, frammenti, temi sovrapposti, evocazioni, a ciò che costituisce veramente il posto per gli esseri umani. Senza dubbio la più grande sfida è affrontare la disumanizzazione del processo di progettazione dell’architettura. L’esperienza traumatica è stata, in questo caso, l’impossibilità di entrare nell’edificio. Come è possibile ricostruire qualcosa di non visto? Come ricordare ciò che non abbiamo mai sognato?

(b)

Centre for good governance. (http://unpan1.un.org/intradoc/groups/public/documents/cgg/unpan026197.pdf)

Le immagini della periferia della centrale si sovrappongono a un muro invalicabile presente nelle fotografie e nella memoria. La strategia per ricostruire deve essere, senza altra alternativa, proiettata nell’esistente solo dall’immaginazione; il ricordo dell’edificio deve essere rimosso dalle testimonianze, dalle fotografie e dall’esperienza di questa impossibilità. Il limite deve diventare la contiuità che si instaura non come novità, ma che si insedia nel vago ricordo di un problema passato. 23


Esempi di rivalutazione del patrimonio industriale Il tema del riuso degli spazi industriali dismessi consta di molti settori di azione e impiego; tra questi le cosìdette “fabbriche di cultura”, ovvero quegli spazi di archeologia industriale trasformati da stabilimenti di produzione industriale a centri di produzione culturale. Il modello di riferimento è “The Factory”(12) di Andy Warhol, uno spazio inteso come officina per la sperimentazine, un grande spazio vuoto in cui gli artisti creano, suonano, dipingono, si studiano a vicenda, cercando nuove forme di espressione. Rifacendosi al modello della Factory (New York, anni ‘60) si moltiplicano i progetti per il recupero degli spazi industriali. Così mentre il business del settore energetico si trasforma per un nuovo domani, così anche alcune delle sue strutture ed edifici memorabili. Le loro reincarnazioni moderne spaziano dalle grandi gallerie, ai parchi divertimento al più generico utilizzo di questi grandi spazi un tempo inaccessibili, poichè privati, e oggi finalmente restituiti alla fruizione dei liberi cittadini. (Da sinistra) Prenderemo ad esempio il pioniere del design tecnologico Apple e il suo nuovo quartier generale di Londra nell’ex Battersea Power Station. Elencato dall’Inghilterra come una delle proprietà della nazione da non estendere, demolire o alterare senza un permesso speciale, questo punto di riferimento gigante è classificato come “particolarmente importante e di più che speciale interesse”. Il suo status iconico va ben oltre i meriti architettonici, con la sua immagine famosa nella cultura popolare. Era presente sulla copertina dell’album Pink Floyd Animals, completo di maiale gonfiabile che galleggiava tra i suoi alti camini. 24


Sempre a Londra, ma sul sito dell’ex Bankside Power Station, la famosa galleria d’arte Tate Modern ha presentato questa estate la sua nuova estensione, una piramide di 10 piani, conosciuta come la Switch House, che si integra alla struttura preesistente e dal punto di vista architettonico lo fa attraverso l’impiego dei medesimi materiali. Costruita sopra i vecchi serbatoi di petrolio sotterranei (precedentemente convertiti in spazi per le Olimpiadi del 2012) e progettato dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron. Un altro esempio di riuso progressivo del patrimonio industriale è il progetto di Rem Koolhaas per le ex miniere dello Zollverein, in Germania. Il progetto prevede il riuso progressivo dell’intero sito come città culturale. Così il parco ha un ruolo di catalizzatore di innovazioni e ha favoritola creazione di un nuovo ambiente culturale nella regione sulla base di un processo di riconversione dell’economia locale, favorendo la riqualificazione dell’area e nuove prospettive di sviluppo per la comunità locale. Il principio di fondo specifico, infatti, è la conservazione architettonica attraverso nuovi usi. Lo stesso processo viene applicato, sempre in Germania, in una vecchia centrale nucleare situata a nord di Düsseldorf: Wunderland Kalkar è ora un parco a tema per famiglie. La vecchia fabbrica presenta una torre di raffreddamento con montagne russe all’interno, una parete di arrampicata esterna, oltre hotel, ristoranti e business unit. Un esempio sensibilmente diverso, poichè non concerne la trasformazione bensì la creazione di una nuova industria, è il complesso 25


dell’Energy Factory di Düsseldorf. L’involucro della nuova centrale a gas naturale comprende la costruzione di un osservatorio per visitatori che guarda alla curva del Reno, nelle immediate vicinanze del porto e del centro città. La facciata collega il ponte di osservazione e le componenti della centrale elettrica, creando un complesso di edifici che, attraverso un gioco di cornici chiuse e giunti illuminati, è diventato un logo strutturale per il fornitore di energia della città anche durante la notte. Dall’altra parte dell’Atlantico, il Gas Works Park, a Seattle, negli Stati Uniti, è un’altra storia di trasformazione, anche se di tipo diverso. Questo spazio verde pubblico presenta un ex impianto energetico , quasi come se fosse parte di un’installazione artistica scultoree all’interno del paesaggio. Qui, il patrimonio fornisce più di un ricordo simbolico di un passato industriale e si innesta con la sua nuova funzione nello scenario quotidiano. In Brasile, a San Paolo il Centro Culturale SESC di Pompéia è una delle opere più importanti dell’architetto Lina Bo Bardi , con un’intensa espressione plastica attraverso l’uso attento e vario del calcestruzzo. Questo progetto riguarda la trasformazione di una vecchia fabbrica di tamburi, diventando la sede di un centro comunitario, che ospitasse svago, cultura e sport. L’architetto ha deciso di mantenere l’edificio esistente in mattoni della fabbrica, che sarebbe stato demolito, completandolo con due volumi solidi di cemento a vista, uniti con passerelle senza alterare l’uso del suolo. 26


Sul tema della riqualificazione di centrali elettriche, Renzo Piano progetta il nuovo sito della V-A-C Foundation a Mosca, dove l’iconica fabbrica di cioccolato in mattoni rossi ha guidato la riconversione del luogo da industriale ad area di elezione per il design in città. Nella vecchia centrale elettrica GES-2, una costruzione del 1904, nasce la sede naturale e centralissima per un luogo di produzione e comunicazione dell’arte contemporanea in Russia, dove tutto è condivisione, sperimentazione e tendenza, fra gallerie d’arte, locali e scuole di fotografia e design. Infine uno straordinario esempio di riconversione in sede museale di un edificio di archeologia industriale, il primo impianto pubblico per la produzione di energia elettrica, la Centrale Montemartini, è oggi il secondo polo espositivo dei Musei Capitolini, a Roma. I grandiosi ambienti della Centrale ed in particolare la Sala Macchine con i suoi preziosi arredi in stile Liberty conservano inalterati turbine, motori Diesel e la colossale caldaia a vapore. In questo scenario affascinante e suggestivo, i marmi antichi risplendono per il loro trasparente nitore e per la raffinatezza di intaglio. Oggi queste relique del patrimonio industriale subiscono una riqualificazione dinamica per nuovi usi commercialmente e culturalmente significativi. Grandi architetti sono chiamati a pogettare e mettere in luce l’anima, la storia di questi luoghi. Il contenitore di opere d’arte diviene arte esso stesso e gli spazi risuonano di concerti e performance; sui pavimenti battono i passi della gente comune mentre le grandi murature si colorano di arte e cultura. 27


confine rigido

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confine elastico

confine esteso


i confini materiali: l’indebolimento

La gestione e la conservazione del patrimonio culturale e industriale, ai nostri giorni, ha un valore multiplo: dà singolarità al territorio e lo collega alle sue radici storiche, promuove la conoscenza per le generazioni future e, insieme a molti altri contributi, ci proietta in un contesto futuro che garantisce la restituzione di un patrimonio culturale. Questi concetti riguardano il concetto di urbanizzazione. *Urbaniżżazióne s. f. [der. di urbanizzare]: Processo attraverso cui, dalla concentrazione urbana, si transita alla diffusione dell’insediamento e delle funzioni urbane sul territorio, con la formazione di una rete di città gerarchicamente ordinata e tale da distribuire capillarmente i servizi o, comunque, da limitare al minimo gli spostamenti che la popolazione deve compiere allo scopo di fruirne. Pertanto, l’urbanizzazione non ha molto a che fare con l’omogeneizzazione dei territori, bensì con la gestione delle sue differenze. Non si tratta di una progressiva universalizzazione di un urbanesimo omologato che, basato sull’essere indifferente, alla fine cancellerebbe le peculiarità e le differenze tra i luoghi. Al contrario, le differenze vanno evidenziate come dichiarazioni semplici per dare un nuovo ordine visivo urbano che, lungi dall’ignorare le differenze, si integra in una sequenza semplificata di immagini come se fosse un ricordo del potere locale, del contesto culturale o del momento storico. In questa catena di istantanee, le differenze, pur essendo presenti, perdono il loro carattere ancorato al luogo, poichè il contesto in cui si innestano va cambiando, diminuendo così la loro capacità di rap*Dal dizionario nell’Enciclopedia Treccani, online. presentazione. 29


In questo senso, l’urbanizzazione può essere intesa come un trasformatore che addomestica le differenze urbane e territoriali, difficili altrimenti da leggere e da capire. Il risultato, in realtà, è un processo di semplificazione urbana, di perdita di diversità e complessità che dovrebbe, invece, avere il territorio. Per evitare la profezia che Calvino nelle “Città Invisibili”(13) affida a Marco Polo nel suo racconto al Kublai Can, è necessario analizzare, capire e conoscere le criticità di ogni città - morfologiche, storiche, culturali, economiche e anche politiche- per poter lavorare in continuità al suo sviluppo, senza creare delle spaccature tra la città che era e la città che sarà. Bisogna, però, sempre lavorare affinché venga salvaguardato ciò che veramente rappresenta un patrimonio. Così nel dialogo che ha come tema Le città come sogno, tra il Sire e l’esploratore si dice: “...dal numero delle città immaginabili occorre escludere quelle i cui elementi si sommano senza un filo che li connetta, senza una regola interna, una prospettiva, un discorso. E’ delle città come dei sogni: tutto l’immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura. Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.” E se la città post-industriale, basata sull’esperienza della velocità, cambiasse la forma delle città ma non la loro essenza? 30

“Viaggiando ci s’accorge che le differenze si per-

dono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti. ” (13) Italo Calvino, Le città invisibili.


Questo è il concetto di Smart city in architettura: un insieme di strategie di pianificazione urbanistica tese all’ottimizzazione e all’innovazione dei servizi pubblici, ovvero mettere in relazione le infrastrutture materiali delle città con le necessità sociali di chi le abita, grazie all’impiego diffuso delle nuove tecnologie della comunicazione, della mobilità, dell’ambiente e dell’efficienza energetica.(14) Una precoce applicazione di tali concetti interessano proprio la città di Barcellona: se con le Olimpiadi si afferma un modello funzionale studiato per soddisfare le necessità urbane del tempo, il Forum e soprattutto la Diagonal Mar rappresentano il fallimento dello stesso modello, poichè ricercano altri stimoli non contestualizzati nel suo tessuto urbano. La città aveva dimostrato di poter crescere mettendo al centro del suo sviluppo lo spazio pubblico, l’elemento più identitario che da sempre possiede come motivo di aggregazione e come layer di connessione tra gli elementi puntuali della città. Ma se fosse davvero il programma del 1980 il vero concetto di Smart city funzionante, perchè oggi lo definiamo fallimento?

(14) Anthony M. Townsend, Smart Cities: Big Data, Civic Hackers, and the Quest for a New Utopia, W. W. Norton & Company, 2014 (15)

Chiara Ingrosso, Barcellona: architettura, città, società 1975-2015, Edizione Skira, 2015

La temporaneità di un evento come le Olimpiadi offre l’esperienza di una liberazione momentanea dallo stato delle cose, dalla gravità dell’ambiente in cui viviamo. Le architetture che accolgono questi eventi si nutrono dell’interazione con i propri abitanti, esistendo però nello spazio effimero di una stagione. Rimangono le gravi tracce sul corpo della città, ora grandi spazi abbandonati in cui una volta l’esperienza del gioco ricostruiva un rapporto diretto con ciò che lo circondava.(15) 31


Case study: Parc del Forum

Il Parc del Forum, che si innesta sulla sponda opposta del fiume rispetto le tre Ciminiere, è conosciuto al pubblico come grande contenitore di concerti, festival, manifestazioni culturali ed eventi di grande portata. Una progettazione che segue i principi teorici di una smart city, con la pergola fotovolaica e gli ambienti polifunzionali. Complessivamente, le centrali termiche del Fòrum, l’inceneritore di rifiuti e i pannelli fotovoltaici hanno ora la capacità di produrre più di una centrale nucleare convenzionale e molto più delle tre ciminiere di Besòs, che aspettano, dall’altra parte del fiume, il loro turno di riconversione. Tutto ciò si scontra però con la realtà dell’insediamento urbano. Il Forum rappresenta, infatti, un limite costruito e ben visibile che divide la città dal mare, utilizzabile solo durante gli eventi da una determinata utenza e talvolta per attività sportive. La spiaggia, ad esempio, è in realtà un’area balneare pensata per usufruire dei benefici dell’acqua del Mediterraneo senza inconvenienti, non ha sabbia ed il mare è a tutti gli effetti una grande piscina di acqua salata protetta che comunica con il mare aperto. Sembra chiaro come “Ben presto è stato certificato che questi tentativi riguardanti il multiculturalismo, la promozione della diversità e della pace non erano altro che vuoti slogan, luoghi comuni da inserire in un unicum progettuale.”(16) Sembra logico far derivare da tali ragionamenti le motivazioni per cui molte scelte progettuali di quegli anni, risultano oggi errate, sia per lo stato tecnologico presente in quel dato momento storico , sia per un’incapacità di tradurre una visione quasi-utopica di lungo termine in un piano d’azione concreto. 32

(16)

Francesc Peiròn, “¿Existió el Fòrum?”, La Vanguardia, maggio 2014, (https://www.lavanguardia.com/local/barcelona/20140504/54406576491/existio-forum. html)


Case study: Superblock e Superbarrio

L’esclusione della dimensione sociale-culturale è stato un fattore sempre più accentuato negli anni, ponendo in ombra siti come il Parc del Forum e la reale volontà dei cittadini circa l’utilizzazione dello spazio. Isolato del piano urbanistico di I. Cerdà (113 x 113 m. )

Senza dubbio, inoltre, risulta inefficace l’integrazione tra tecnologie esistenti e innovative, dovuta alla mancanza di pianificazione e alla scarsa comprensione delle abitudini delle persone. Non bisogna, infatti, sottovalutare le interrelazioni tra gli utenti, cioè il loro modo di (ri)utilizzare e condividere una data tecnologia in ambito urbano. Considerato il problema sopra posto, una soluzione è arrivata con un progetto realizzato dalla Iaac (Institute of advance architecture of Catalunya), su commissione dell’Ayuntamiento de Barcelona.

Piano urbanistico Superblock - percorso carrabile -

Piano urbanistico Superblock - percorso pedonale (c)

http://www.bcnecologia.net/en/conceptual-model/superblocks

La città catalana su un modello dell’Arch. Salvador Rueda (c), ha definito un nuovo modello di urbanistica partecipativa, definendo macro-isolati a vocazione prevalentemente pedonale. Tutto ruota intorno alla messa a punto di un modulo in grado di configurare nuovi spazi di convivenza, secondo un modello organizzativo del tessuto urbano pensato in primis per i residenti. Un’opportunità per favorire la mobilità sostenibile, la produttività, il verde e la biodiversità, così come gli spazi di sosta per il pedone. L’idea consiste nel definire il perimetro di un insieme 9 isolati (con una griglia 3x3) che deve assorbire la maggior parte del traffico privato e pubblico, mentre l’interno viene destinato ad uso esclusivo di residenti, pedoni e biciclette. 33


In definitiva, l’applicazione del Superblock migliora significativamente la qualità urbana riducendo gli impatti ambientali dei veicoli. Aumenta anche la qualità della vita dei residenti e dei visitatori, migliora la coesione sociale e aumenta l’attività economica. Il fatto che non sia necessario attuare grandi cambiamenti nella pianificazione urbana, come la ristrutturazione dei parchi urbani, rende il modello del Superblock uno strumento essenziale per la mobilità, in grado di migliorare la vita delle persone in città di qualsiasi tipo. A Barcellona il progetto trova un prima applicazione in via sperimentale nel quartiere Poble Nou, non lontano dal fiume Besos, dove nella Superilla i cambiamenti sono realizzati gradualmente mediante azioni di tipo reversibile, con l’imprescindibile partecipazione dei residenti, secondo un’idea di “democrazia aperta”: l’uso dei nuovi spazi viene deciso in collaborazione con i residenti, attraverso diverse modalità di confronto e, soprattutto, grazie a un’interazione tecnologica proposta sotto forma di gioco. “Sviluppato come videogioco open source per smartphone e tablet, Superbarrio è uno strumento per architetti e enti pubblici per coinvolgere i cittadini nella progettazione dello spazio pubblico, per educare alla sostenibilità e all’inclusività e per raccogliere dati sui bisogni dei cittadini, desideri e proposte. SuperBarrio consente loro di visualizzare il quartiere in 3 dimensioni e di modificarlo, aggiungendo elementi, funzioni e servizi per lo spazio pubblico, in relazione ai temi di ecologia, energia, mobilità, tempo libero e cultura. L’applicazione raccoglie i dati di ogni sessione in un server, consentendo un libero accesso per la visualizzazione e l’analisi dei dati.”(d) 34

(d)

Descrizione fornita dalla Iaac per il progetto “SuperBarrio:” https://iaac.net/research-projects/intelligent-cities/superbarrio/


Gli utenti possono interagire con lo spazio e gli edifici in due modi: - Assegnando dei moduli nello spazio pubblico, ognuno dei quali rappresenta un programma diverso. - Assegnando una funzione per gli edifici abbandonati o vuoti. Ogni modulo o funzione appartiene a una categoria quale cultura, ecologia, energia e mobilità e ha un impatto su più di una categoria. I moduli includono vegetazione, dispositivi energetici, veicoli alternativi, dispositivi per il tempo libero e altro ancora. Un importante livello di informazioni viene dato al giocatore grazie a un sistema di punteggio che mostrano l’impatto sul quartiere generato da ciascun modulo collocato nello spazio pubblico rappresentato in 3D sull’applicazione. Ogni modulo genera una variazione positiva o negativa che mostra l’impatto su accessibilità, economia, produttività, ecologia e interazione sociale. Il primo test di Superbarrio è stato effettuato a Barcellona ed è stato possibile osservare una variazione significativa nel comportamento degli utenti in relazione allo sforzo di mantenere un punteggio equilibrato. Le informazioni sulle conseguenze di ogni decisione progettuale, veicolate dalle specifiche strategie di gioco, influenzano il processo decisionale dell’utente, mostrando il potenziale delle interfacce come uno strumento educativo. Altri casi studio sono stati elaborati per la trasformazione del quartiere “Casa Gavoglio” di Genova e come strumento educativo per i bambini della SOU - School of Architecture for Children, promosso da Farm Cultural Park di Favara (Ag). 35


36


l’architettUra interattiva

e le nuove tecnologie in ambito culturale

Le nuove realtà del 21° secolo hanno trasformato le città in spazi sempre più complessi. Le nuove tecnologie, oltre la loro capacità strumentale, formano un nuovo paradigma della società in cui tutto ciò che fino a poco tempo fa era stabile, ha iniziato a cambiare. Trasformazioni economiche e sociali, nuove forme di famiglia, migrazioni, fenomeni associati alla globalizzazione e problemi ambientali generano nuovi bisogni e nuove sfide, individuando le città come territori dove, in modo più pratico, si manifestano le opportunità e i pericoli della nuova era. (16) Il concetto di globalizzazione si articola attorno alle città, dove la popolazione è concentrata nei centri urbani che, una volta saturi, portano ad una espansione incontrollata verso le periferie. Sempre più le città sono diverse, sempre più vivere in una città significa vivere con stranieri, con persone con le quali non condividiamo necessariamente la storia, i referenti, i simboli. Nella storia delle città questo è sempre stato il caso, e l’attuale globalizzazione accentua e accelera solo un fenomeno che non è nuovo nel mondo urbano, aumentando parallelamente la sua espansione urbana illimitata.(17) La cultura non è estranea a questi cambiamenti, e se da un lato c’è una tendenza alla banalizzazione, alla sostituzione dei contenuti per noi importanti in favore di nuovi codici e forme di rappresentazione, parallelamente, in questo contesto, emerge l’idea che sia necessario garantire lo sviluppo della cultura per fornire una matrice comune. 37


Questo perchè direttamente o indirettamente, le attività culturali sono generatori di un valore aggiunto per il territorio e permettono di generare iniziative legate alla cultura, nuove opportunità di convivenza, coesione sociale, interculturalità, conoscenza critica, memoria, creatività, etica civica e benessere sociale. Negli ultimi dieci anni l’importanza e la trascendenza della cultura si sono rivelate un fattore di sviluppo importantissimo per la città di Barcellona (19). Questa constatazione ha portato a un’importante crescita delle risorse pubbliche destinate alla cultura e, allo stesso tempo, ha promosso una maggiore centralità delle politiche culturali in tutte le politiche pubbliche. La cultura, spesso considerata un complemento più o meno decorativo in relazione ad altri settori della gestione pubblica, sta diventando un fattore da prendere in considerazione per lo sviluppo delle città. In questo contesto, le risorse dedicate allo sviluppo di politiche e azioni volte alla gestione del patrimonio culturale stanno vivendo una notevole evoluzione: da una preoccupazione per la custodia e la conservazione del patrimonio, a uno sviluppo di politiche di gestione integrale per la creazione di spazi per la conservazione dell’identità e della memoria collettiva, nonché piattaforme di comunicazione e riflessione sociale sui problemi della società contemporanea in forma tecnologica. L’informazione è la materia prima della ricerca architettonica contemporanea che guarda alla tecnologia come campo di ricerca. 38

(17)

Pedro B. ORtiz, The art of shaping the metroplis, McGrow Hill, 2013 (18) H. Lefebvre, The Production of Space, Blackwell Pub, 1991 (19) Giacomo Delbene, Barcellona, trasformazioni contemporanee, Meltemi Editore, 2007


Ma se *l’informazione è “applicazione di una convenzione ad un dato” , quali dei dati che riguardano la tecnologia possono rappresentare un nuovo campo di ricerca per l’architettura? La prima e decisiva riguarda l’ambito delle caratteristiche cognitive e contestuali, ovvero come la tecnologia può essere usata come lente per rendere in qualche modo più percepibili le dimensioni percettive e fisiche che travalicano le nostre normali dimensioni e i nostri normali limiti.(20) Inoltre i potentissimi dispositivi di oggi, da internet alle nano tecnologie consentono ai materiali di cambiare di colore, densità, trasparenza e ancora caratteristiche di respirazione o idrorepellenza. Infine c’è il tema della interattività e delle interconnesioni dinamiche. L’interattività in questo contesto sembra essere il naturale catalizzatore, poichè lo spazio entro cui è possibile interagire muove la coscienza ben oltre le dimensioni e i limiti conosciuti, per esplorare un mondo diverso. Queste nuove applicazioni contengono una serie di aspetti profondamente radicati nel campo dell’architettura, incrementando la sua funzione che riguarda la disposizione e l’ordine dell’intorno, la vivibilità degli spazi costruiti e la qualità della vita. (20)

Martijn de Waal, The City as Interface: How New Media Are Changing the City, nai010 publishers, 2014 *Dal dizionario nell’Enciclopedia Treccani, online.

In quanto tale, si tratta di portare le pratiche di progettazione dell’interazione, tra design e architettura insieme, per realizzare uno spazio da esplorare in relazione ai temi della immaginazione e, al tempo stesso, della matrice decisionale insita negli uomini. 39


Gli argomenti più importanti che le città devono affrontare oggi sono questioni come la loro connessione con i dati globali e i flussi di risorse che superano i confini tradizionali dell’urbanesimo. La digitalizzazione delle informazioni nelle città stanno consentendo la raccolta di dati utili per la progettazione urbanistica e architettonica senza precedenti. Ad esempio, i cittadini devono essere coinvolti ed essere stimolati a diventare protagonisti del cambiamento: usando o rielaborando i Big Data relativi alle nostre città sarà possibile creare servizi digitali o App. (e) La tecnologia sta cambiando l’architettura e il mondo del computational design che gli architetti stanno perseguendo crea nuove frontiere in cui l’architettura può essere generata attraverso la scrittura di algoritmi e software, dove possono essere costruiti meccanismi fisici e interattivi che rispondono al loro ambiente, adattandosi e evolvendo secondo necessità. A tal proposito Carlo Ratti, architetto e professore al MIT con il corso Senseable City Lab, è uno dei promotori di questa progettazione d’avanguardia. L’idea è quella che l’ambiente urbano e gli oggetti diventeranno “capaci di rispondere alle nostre esigenze” (21), maturando l’idea che la tecnologia deve essere d’aiuto all’uomo, curando e valorizzando la sua esistenza nelle città, non sovrastandola o, peggio ancora, rimpiazzandola. Il concetto di Senseable City è la manifestazione di un trend tecnologico più ampio: Internet sta entrando nello spazio nel quale viviamo e sta abbracciando qualsiasi aspetto della nostra esistenza, dalla gestione dei rifiuti alla mobilità, alla distribuzione dell’acqua, alla pianificazione delle città, 40

(e)

C.Ampatzidou, M.Bouw, F. van de Klundert, M. de Lange, M. de Waal, “The Hackable City: A Research Manifesto and Design Toolkit”, (http://thehackablecity.nl/2018/03/17/ new-publication-the-hackable-city-a-research-manifesto-and-design-toolkit/)

(21)

Manuela Caracciolo, “Carlo Ratti e la Rivoluzione dell’architettura urbana”, La Voce di New York, giugno 2017, https://www.lavocedinewyork.com/arts/arte-e-design/2017/06/10/ carlo-ratti-passepartout-senseable-city/


al coinvolgimento dei cittadini. E’ necessario, quindi, esplorare come la tecnologia e la condivisione delle cose stia dando vita ad un nuovo approccio per studiare l’ambiente costruito, per permettere un nuovo rapporto tra persone, tecnologie e la città – sviluppando sia ricerca sia applicazioni, e facendo sì che i cittadini abbiano gli strumenti per fare delle scelte ponderate e responsabili. Così la catalizzazione di attività in un dato paesaggio permette agli utenti di condividere esperienze e al tempo stesso indirizzare passivamente le scelte future della loro città. Un esempio rispetto allo sviluppo tecnologico delle aree urbane è la creazione della high line a NYC e della nuova low line, che riutilizza spazi abbandonati per installare spazi verdi, sfruttabili anche per la coltivazione a km 0. L’obiettivo è quello di rispondere alle problematiche del quotidiano guardando al futuro con una visione critica e, al tempo stesso poetica, rendendo l’architettura come qualcosa in grado si sentire e rispondere alle sollecitazioni umane. (22)

(22)

Mikael Wiberg, The Materiality of Interaction: Notes on the Materials of Interaction Design, The MIT Press, 2018

Il concetto di Interactive Landscape, riguarda infatti la capacità di un luogo di saper comunicare con le persone secondo tre assiomi posti da sempre in contrasto, creando nuove relazioni e nuove esperienze da passive ad attive, da invisibili a visibili, da reattive a interattive. Il design interattivo può stimolare il potenziale dello spazio, può mostrare lo scenario che non abbiamo mai sperimentato. Alla base di questa idea c’è sempre l’interazione con l’uomo, la volontà di sor 41


prendere e aumentare la percezione che si ha della realtà, condividendo le informazioni necessarie per una maggiore consapevolezza dell’intorno. Ricezione - Analisi - Reazione: le tre componenti che permetteranno la progettazione di spazi interattivi capaci di rispondere alle esigenze ambientali e umane, garantendo una matrice comune che in questo caso è il gioco, bisogno primario di socializzazione per la crescita. In applicazione al sito di ricerca le idee da perseguire sono: - Integrare le idee progettuali interattive con il tempo e lo spazio creando dei modelli più simili a degli oggetti, cercando di trovare il modo di rendere il progetto più spaziale, piuttosto che una semplice installazione. - Creare una nuova prospettiva per il sito. - Rende lo spazio interattivo un gioco nel gioco, impostando le linee guida che si innestano in maniera passiva nel paesaggio. Le somiglianze e le differenze tra il design con e senza la tecnologia sono diverse ma l’obiettivo è lo stesso: attirare più persone e attivare il sito. Senza tecnologia: la forza lavoro è la forza motrice e il materiale / oggetto deve essere flessibile e scorrevole. Con la tecnologia: è possibile sfruttare diversi tipi di energia, come l’elettricità e trasformarla in movimento. La scelta del materiale ha meno limitazioni. 42

Ricezione (sensori) i Umane: Movimento Velocità Olfatto Tatto Udito Ambientali: Temperatura Clima Luce del giorno Umidità Inquinamento Vento

Analisi (arduino) ii Programmazione

reazione (motore) iii Display Speaker Interruttori Luci


In generale, l’architettura interattiva è quella branca dell’architettura che si occupa di edifici caratterizzati dal trio di sensori, processori ed effettori, integrati come parte fondamentale della sua natura e funzionamento. L’architettura interattiva comprende l’automazione degli edifici, ma va al di là di essa includendo forme di coinvolgimento e risposte di interazione che possono trovarsi a puro scopo di comunicazione e nel regno emotivo e artistico, entrando così nel campo dell’arte interattiva. (f) Per avere un’idea più chiara di cosa vuol dire applicare la tecnologia all’architettura sarà necessario approfondire alcuni progetti già realizzati, in questo caso si farà riferimento alle immagini dei progetti riportati a inizio paragrafo.

(f) Mikael Wiberg, Interaction Design Meets Architectural Thinking, Novembre 2015, in https:// www.researchgate.net/publication/276553278_Interaction_design_meets_architectural_thinking.

Windshape di nArchitects_ Una struttura commissionata dal Savannah College of Art & Design (SCAD) come luogo di ritrovo e sede vicino al loro campus in Provenza, in Francia. Windshape è diventato il principale spazio per riunioni pubbliche della piccola città e ha ospitato concerti, mostre e cerimonie. Si tratta di due padiglioni alti otto metri che cambiano conformazione dinamicamente con il vento. Una rete strutturale formata da corde di polipropilene bianco per creare involucri ondeggianti. ll design dei padiglioni riflette il desiderio di remixare i paesaggi duri e morbidi della Provenza in un innovativo sistema, un edificio in grado di rispondere agli stimoli naturali.

43


Bubble Building di 3Gatti_ Nel cuore di Shanghai un vecchio edificio viene avvolto con una pelle antibatterica di nylon, trasformando la struttura in una serra, una scultura e un punto di riferimento visivo. La pelle gonfiabile usati per coprire l’edificio risponde al vento. Durante il giorno, quando l’edificio è pieno di gente, la nuova facciata a forma di bolla garantisce la ventilazione all’interno, mentre la notte, le bolle si sgonfiano, svolgendo la sola funzione di isolamento termico. Questo sistema maniente le condizioni all’interno della pelle stabili e relativamente indipendenti dal clima esterno. Si tratta di un’architettura ultra pulita e conun design memorabile che cambia continuamente forma. Amager Hill di B.I.G. Architects_ L’edificio nasce come impianto Waste-to-Energy e funzionerà come un impianto di trattamento che trasforma i rifiuti in energia. Concepito come una nuova icona per la città di Copenaghen, riflette la visione progressiva di un nuova ecologia, mobilitando l’architettura e ridefinendo il rapporto tra l’impianto di raccolta e la città, espandendo le attività ricreative esistenti nell’area circostante in una nuova generazione di termovalorizzatori. Il tetto dell’edificio sarà una pista da sci, accessibile tramite un ascensore che corre lungo una ciminiera e che offre una vista dell’interno della pianta. La ciminiera espellerà anelli di fumo ogni volta che viene rilasciata una tonnellata di Co2 fossile, fungendo da segnale per sensibilizzare i cittadini sui problemi ecologici e il consumo di energia tra gli abitanti di Copenaghen. 44


Design Center RMIT di Sean Godsell Architects_ L’elemento più interessante dal punto di vista progettuale è rappresentato dalla pelle più esterna dell’involucro dell’edificio, costituita da un insieme di componenti frangisole in vetro traslucido di forma circolare; grazie ad un dispositivo automatizzato tali elementi sono in grado di ruotare lungo l’asse verticale e ottimizzare la massima intercettazione dell’irraggiamento solare, limitando quindi l’apporto di calore, pur offrendo al contempo un’efficace diffusione della luce naturale negli ambienti interni. L’involucro è in sostanza concepito come una sorta di vera e propria pelle reattiva nei confronti della variabilità delle condizioni esterne, denotando l’estrema attenzione dei progettisti agli aspetti climatici e alla sostenibilità ambientale. The Media TIC Building di Enric Ruiz Geli_ L’edificio che ha sede a Barcellona è un centro di tecnologia dell’informazione e della comunicazione, progettato per incubare, generare, esporre e invitare a nuove idee e sviluppi. L’architetto descrive il design come ‘architettura performativa’: dove la struttura stessa svolge altre funzioni. Ogni facciata è differente e rispecchia diverse ricerche sulla sostenibilità e sui materiali. Per la pelle è stata utilizzata una pellicola di spessore minimo ad alta densità che funziona come filtro ai raggi ultravioletti e che, essendo antiaderente, non si sporca. E’ stata realizzata con diverse forme, in funzione della necessità di protezione dagli effetti dell’irraggiamento (con l’innovativo effetto nebbia o di diaframma), arrivando a ridurre del 20% il consumo energetico. Per la facciata principale sono stati realizzati elementi lenticolari di EFTE gonfiati di nitrogeno che, attraverso meccanismi pneumatici, trattengono l’aria e la rilasciano gradualmente all’interno dell’edificio. 45


Case study: Llum Festival

In occasione della Festa di Sant’Eulalia, la Festa Major dell’inverno, nella città di Barcellona si celebra il Llum Festival(g), il festival della luce. L’iniziativa riunisce tradizione e “nuove forme espressive” artistiche in cui la luce è protagonista nel centro della città, trasformando edifici emblematici e le vie di ogni distretto. e ha come obiettivo principale quello di illuminare – quando scende la sera – le facciate degli edifici più emblematici della città. Il festival Llum (light BCN) è un circuito di installazioni luminose che unisce tradizione, arte e tecnologia. Spettacoli proiettati su facciate di edifici, patii trasformati con la luce creando spazi e nuove sensazioni e installazioni artistiche in luoghi con la luce come protagonista. Llum consisteva in circa 50 installazioni luminose, spettacoli e spazi trasformati, oltre a porte aperte di musei e centri culturali. Con più di una dozzina di scuole di design e architettura coinvolte, gli studenti hanno avuto l’opportunità di mettere in mostra le proprie capacità e talenti in scenari pubblici. Altri studi come Col.lec, Ferroluar e l’artista invitato Monique Savoie, della Société des Arts Technologiques di Montreal, sono stati responsabili dell’enfatizzazione dei nostri sensi attraverso luci interattive e un’esperienza immersiva 3D.

(g)

http://www.poblenouurbandistrict.com/llum-bcn-2018-poblenou/ 46


47


1913 Costruzione della prima centrale a carbone di Barcellona. Primo edificio in cemento armato della Spagna (processo Hennebique, architetto Eduard Ferrés).

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Costruzione di un’altra centrale per soddisfare la domanda di elettricità. Gestito dalla ‘Catalana de Gas i Electricitat S.A,

1917 1966

1954 1965 La compagnia costruisce Badalona I e II, due nuove centrali elettriche convenzionali, nel comune di Badalona. Rispettivamente 103 MWe 320 MW. Queste due centrali sono state dismesse nel 1990 e distrutte nel 2013.

Il gruppo END struisce sulla stra del fiume centrali elettric convenzionale: Besòs 2 con u za di 450 MW due centrali s distrutte nel lasciare posto nuova centrale Ciclo combinat

197


DESA coriva siniBesòs due che a ciclo : Besòs 1 e una potenW. Queste sono state 2007 per all’attuale e elettrica a ato.

70

la centrale elettrica Storia, evoluzione e speranze

1971 1976 Il gruppo FECSA inizia la costruzione delle “Tres Xemeneies “ sulle rovine della prima centrale distrutta nel 1954. Questa centrale era pensata per due unità in grado di produrre 350 MW ciascuno, ma la crescente domanda di energia elettrica e il basso costo del carburante ha portato alla costruzione di una terza unità di produzione.

La zona in cui sorge la centrale elettrica di Besos rappresenta la zona industriale, dotate di una trama vasta e travolgente, dove negli anni sempre più privati hanno investito in vari settori, creando isolatamente una transizione tra i tessuti residenziali e questo settore industriale. Un sistema di strade a trame irregolari costituiscono un agglomerato con una miscela di usi obsoleti, motivo per cui la zona rappresenta un ambito di opportunità che rende plausibile l’idea di una nuova centralità. (23) Le tre torri della centrale termoelettrica di Besòs, con un’altezza di 200 metri, più alte della Sagrada Famiglia, sono un’icona visibile da molti punti della metropoli di Barcellona. Il complesso, in funzione per 35 anni, ha l’aspetto di un’imponente architettura industriale e, sebbene abbastanza degradato, al giorno d’oggi, rappresenta un potenziale per la trasformazione urbana a causa della sua posizione privilegiata sul litorale marittimo e per l’accessibilità data dai sistemi di mobilità stradale e metropolitana. L’industria, che ha smesso di funzionare nel 2008, è stata una centrale termica convenzionale, progettata per bruciare carburante sebbene, più tardi negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, una parte della centrale fu adattata per bruciare anche il gas naturale. La chiusura della centrale è stata condizionata dal lancio di due nuovi gruppi (Besos V e VI) del ciclo combinato sulla riva destra del fiume Besòs. (h) Le vicende che caratterizzano il sito, però, non si concludono con la 49


Il gruppo proprietario Endesa, infatti, aveva già pianificato la demolizione dell’intero complesso industriale formato dalle centrali di Sant Adrián e Badalona nello stesso anno, poichè ​​ era entrato in funzione Besós V. Tuttavia l’opposizione del comune di Sant Adriá de Besós, in favore del mantenimento dei tre camini come patrimonio industriale per attrezzature future, permise di chiamare a referendum i cittadini delle due città per decidere le sorti della centrale. Partecipò il 9,1% della popolazione, votando a favore del mantenimento, riconoscendo l’identità delle ciminiere. Venne creata una piattaforma di quartiere in difesa dell’edificio, chiedendo un piano di utilizzo per garantire la sua sussistenza. L’azienda elettrica, da parte sua, difese la demolizione, adducendo la mancanza di valore del patrimonio e l’alto costo di mantenere in piedi ciminiere inattive, stimato in 400.000 euro all’anno. Nel 2012 Endesa iniziò lo smantellamento e la demolizione dello stabilimento di Sant Adriá e del vicino di Badalona, senza ​​ che le amministrazioni pubbliche avessero finalizzato alcun progetto futuro per le ciminiere. Solo nel 2015 il comune di Sant Adriá de Besós avviò le procedure per dichiarare bene culturale di interesse locale (i) le tre ciminiere e la nave delle turbine, costruzione che per le sue caratteristiche è quasi unica al mondo, negando a Endesa la licenza per demolire detti elementi. Anche il World Monuments Fund, un’istituzione dedicata alla diffusione del patrimonio culturale internazionale situato a New York, ha nominato la centrale termica come candidato tra i monumenti dell’architettura moderna da preservare. 50

(23)

Horacio Capel Sáez, Las tres chimeneas: implantación industrial, cambio tecnológico y transformaciones de un espacio urbano barcelonés, FECSA, 1994 (i) Dichiarazione interesse locale (http://desdesantadriadebesos.blogspot.com. es/2013/03/proposta-de-declaracio-de-be-dinteres.html).


Questo luogo rappresenta un esercizio in cui tutte le scale sono intrecciate. Poichè il progetto della forma di qualsiasi luogo nella città inizia con il progetto architettonico, si tratta di lavorare con la consapevolezza che gli effetti del progetto si estenderanno oltre le dimensioni dell’area, infettando le aree limitrofe. L’ampia portata delle trasformazioni necessarie suggeriscono alcuni dei temi paradigmatici e ricorrenti dell’attuale proiezione urbana: la necessità, prima di tutto, di dotare il lungomare del fiume e della città (Urban Waterfront) di una nuova funzione, tale da garantire la riabilitazione di questa lunga porzione di città in funzione dei suoi cittadini. Inoltre il contatto di transizione delle ferrovie con gli edifici vicini e gli spazi urbani, si innesta come un grave limite. Una netta separazione sottolineata dai pesanti ferri del treno e del tram, che è possibile superare paradossalmente attraversando la terra, ovvero con dei sottopassaggi, dotati di rampe e scale. Avviare il progetto urbano di un’area così ampia e complessa come quella proposta richiede un’attenta lettura delle diverse identità formali e funzionali e la formulazione di ipotesi progettuali che tengano sempre presente la relazione tra il vecchio e il nuovo, tra il mare e la terra. L’architettura si integra nel contesto e per questo è unica ed irrepetibile. In questo caso è stato come un percorso a ritroso, per cui partendo da un’architettura che vive già nel suo contesto di cui ne è simbolo, inoltre, la sfida era integrare la sua nuova funzione. Ma i simboli sono, anche nelle teorie della deriva, quell’unico elemento 51


contemplato che permette di dotare l’osservatore di uno strumento di orientamento, che lo aiuta a leggere ed esprimere il territorio in cui si trova. Le tre ciminiere, appunto, si presentano come un elemento chiave e distintivo del processo industriale, vivo soprattutto nella città di Barcellona. Osservando i cambiamenti, però, risulta evidente come le ciminiere siano passate da un elemento nettamente funzionale, a diventare un punto, o meglio una linea verticale, all’interno del paesaggio che tende a coprire con le sue costruzioni anche queste ultime icone della storia. Così, mentre nel tempo hanno perso alcune caratteristiche, ne hanno acquisito delle altre. Presentano una potenzialità, un esempio indiscusso di architettura autoreferenziale riferito alla storia, all’arte e alla cultura: un monumento. In questo modo si presentano con la loro alta valenza simbolica, ricordi del passato attorno al quale si costruisce, capaci di relazionarsi alla città in costante trasformazione, il passato che permane. Una permanenza che genera una gerarchizzazione dello spazio, rompe una continuità e si innesta come punto di riferimento (o di fuga).

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“Vedo tre giganti in lontananza, che mi fanno venir voglia di avvicinarmi. Lo faccio, e ogni volta che penso che siano vicini, vanno lontano. Una volta sono lì, come una grande scatola di luce che galleggia tra le torri e il mare. Mi sento protetto, all’ombra di un grande oggetto che ancora è un mistero per me. Ma questo oggetto ha una grande finestra che è già scomparsa, dal basso, però, posso sentire. E infine lo trovo, uno spazio d’aria, di luce. Vedo il mare, vedo la città da qui, ho la sensazione di poter vedere tutto. “ Anonimo, in La Vanguardia, 24/02/2006

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linee guida La ricerca per trovare una soluzione valida è stata elaborata in seguito a una domanda iniziale di fondamentale importanza: Come è possibile trasformare il litorale di Sant Adria de Besòs per creare spazi per gli abitanti, così che quest’area possa prosperare socialmente ed economicamente in maniera autonoma? Due linee guida trasversali segnano il filo logico del progetto: il tessuto urbano e il lungomare di Sant Adrià. Il progetto rappresenta il tentativo di unire queste linee e far si che il loro incontro, permetta di individuare nella centrale un punto potente e potenziale di attrazione. Elemento di accordo tra le due linee guida è il gioco.(24) *Gioco s. m. [der. di giocare]: Qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino, singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità fisiche, manuali e intellettive. Inoltre Gioco di ombre e luci: Particolare effetto di movimento o di contrasto, soprattutto luminoso, prodottosi naturalmente o ottenuto artificialmente. E ancora Giochi d’acqua: piacevole effetto di getti d’acqua combinati insieme con la differente disposizione dei tubi da cui escono i getti stessi. (24)

Anton Nijholt, Playable Cities: The City as a Digital Playground, Springer, 2016 *Dal dizionario nell’Enciclopedia Treccani,

Come è possibile verificare sul vocabolario della lingua italiana, i significati della parola gioco non si limitano alla mera acezione dell’atto ludico. Nella lingua italiana, la parola “gioco” viene anche impiegata in modo più specifico, riferendosi ad attività ricreative di 55


tipo competitivo, e caratterizzate da obiettivi e regole rigorosamente definiti. Un gioco, infatti, è tale se: ha un obiettivo, è dotato di regole, che i giocatori accettano come parte di un sistema che li tutela e gli permette di interagire con gli altri, e se le meccaniche del gioco sono automotivanti, per consentire ai giocatori di trarne vantaggio durante il loro coinvolgimento. Nell’opera “Homo ludens” il filosofo olandese Johan Huizinga concentra la sua attenzione sul gioco come complesso sistema culturale: « [...] ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco; viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici: in tale “dualità-unità” di cultura e gioco, gioco è il fatto primario, oggettivo, percepibile, determinabile concretamente; mentre la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico dato al caso.» (25) Ritornando, quindi, al caso specifico è stato necessario partire, come in ogni gioco, da un punto A fino a un punto B, considerando in principio la possibilità di movimenti diagonali che chiaramente potessero generare soluzioni inattese. Quì l’architettura rappresenta questi punti A - B, come elementi assimilabili a pedine che, in un tabellone dato dalle trame della città, rappresentano i punti saldi e, talvolta, mobili, attorno il quale deve svilupparsi il gioco. Ma le pedine sono anche i giocatori, e quì iniziano i movimenti diagonali dati dal libero arbitrio. La soluzione a questa molteplicità di opzioni possibili conferisce al progetto le sembianze di un kit per costruire uno scenario, un luogo, uno obiettivo. (l) 56

(25)

J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, 1946 G. Ferri, N.B. Hansen, A. van Heerden, B. A.M. Schouten, Design Concepts for Empowerment through Urban Play, Luglio 2018 (https://www.researchgate.net/publication/326583454). (l)


Un playground che ruota attorno Las Tres Chimeneas, considerando Architettura e percorsi interattivi nell’area urbana di Barcellona. La tecnologia diventa, quindi, uno degli strumenti per far evolvere l’architettura da semplice pedina in una macchina, capace di plasmarsi sui desideri e le necessità del momento. Il contrasto tra la materialità presente in tutto l’ambiente migliora l’articolazione tra gli edifici e potenzia i movimenti: dalla immaterialità del parco alla costruzione brutalista della fabbrica. Il progetto è un percorso attivo e al tempo stesso passivo, che accompagna i fruitori dello spazio da un luogo aperto, in cui l’interazione si ha con i singoli elementi del parco sottoforma di gioco, fino ad un’interazione reale con gli elementi tecnologici racchiusi in questa macchina di produzione dell’arte all’interno della nave rettangolare e, soprattutto, delle tre ciminiere.

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il parco L’elaborazione di una cartografia non convenzionale, dove lo spazio viene tradotto in dati ed emozioni ci aiuta a comprendere il territorio, a capire chi vive quel territorio, come lo vive e quali sono le peculiarità di questo spazio. E’ necessario, però, qualificare questo spazio, conferirgli quell’identità propria del territorio, aggiungendo dimensioni temporali, emozionali e culturali alla bidimensionalità di una mappa. L’animazione di una strada, l’effetto psicogeografico di diverse superfici e costruzioni, il rapido cambiamento di uno spazio attraverso l’introduzione di elementi geometrici, la rapidità con la quale i luoghi cambiano, e le variazioni possibili del percorso sono gli elementi principali del progetto per il parco. Il parco presenta dei continui sdoppiamenti: cambiare direzione, perdersi, uscire dalla strada segnata sono possibilità di un continuo gioco che è possibile fare seguendo le forme distorte di questa griglia, le cui regole sono quelle della dama. E’ possibile muoversi in diagonale, ma non essendo nitida la differenza tra le linee che formano la griglia, ogni spostamento appare puramente arbitrale. E li dove le reti si sovrappongono, dove si intersecano, o dove coincidono più nodi e diramazioni, i sistemi si ibridano, si creano inedite ed intense tipologie di spazio pubblico. (25)

Alberto Iacovoni, Davide Rapp, Playscape, Libria, 2009 (26) Katie Salen, Rules of Play: Game Design Fundamentals, The Mit Press, 2003

Il tema prima trattato della necessità di un progressivo allentamento dei confini rigidi, come in questo caso le sponde del fiume, viene attuato attraverso l’indefinizione e l’indeterminazione, rendendo difficile tracciare una linea definita intorno agli spazi (26). 59


Non è più necessario determinare il confine della città o del fiume, poichè queste si ritrovano e si dilanato gradualmente in un sistema di sedute, rampe e ancora giochi costruiti e giochi riprodotti sul suolo. Non vi è una direzione da seguire, ne una sola funzione definita, bensì uno spazio flessibile. Questa non-definizione produce oggetti e spazi da interpretare creativamente, definizioni non riconducibili a nessuna forma codificata (27). Può accadere che il pendio che insiste tra il limite della città e l’acqua del fiume diventi una seduta, oppure una rampa per skater e rollerblader; ancora le tracce al suolo con i loro colori differenti, possono ospitare un campo da basket, da pallavolo, da tennis. Quì il limite si confonde con il suolo , si piega, si trasforma, separa e connette, si apre e si chiude. Il progetto preposto per il parco propone di mescolare insieme attività differenti che possono caraterrizzare nel corso del tempo un luogo. In questo modo è possibile moltiplicarne le potenzialità: un luogo con tante forme diventa lo scenario perfetto per gli interventi creativi di chi gli darà una funzione, soluzionando così, la problematica rappresentata dai Terrains vagues, ovvero gli spazi in attesa esistenti. Chiaramento questo modello non è applicabile sempre, ogni volta che si troverà un confine. Bisognerà studiare le necessità che riempiranno il nuovo spazio, creato dal riverbero del vecchio confine che ora non esiste più. In questo caso viene pensata la costruzione di un’ecologia dello spazio attraverso l’integrazione di elementi che, spesso, seguono logiche e tempi diversi. 60

(26)

Alberto Iacovoni, Davide Rapp, Playscape, Libria, 2009 (27) Katie Salen, Rules of Play: Game Design Fundamentals, The Mit Press, 2003 (28) Frédéric Migayrou, Bernard Tschumi: Architecture: Concept & Notation, ditions Du Centre Pompidou, 2014


Le sponde del fiume si trasformano in uno spazio attivo, un’interfaccia comunicante. In questo luogo il confine moltiplica la superficie di contatto tra due campi differenti e coinvoglia al suo interno le utenze dei due settori. Ma qual’è il limite tra gli spazi della realtà e quelli dell’immaginario? Il limite tra il visitatore e l’immagine, come il limite tra terra e mare, sta nel contatto tra entità differenti e la volontà è quella di unirle in un incastro indissolubile, mescolando la percezione con la funzione(28). Secondo un percorso lineare il parco rappresenta la forza attrattiva che chiama i suoi abitanti a giocarvici, coinvolgendoli in attività differenti che sono sempre a disposizione e sempre reinventabili. Tramite l’introduzione occasionale di elementi costruiti, l’esperienza visuale cerca di unire interno ed esterno, rendendo privato uno spazio che in realtà è anche pubblico. Ecco che il concetto di limite assume una nuova connotazione, e si carica di un significato diverso rispetto a quello precedente. Il limite ora creato mira all’inclusività degli spazi, e non all’allontanamento della funzione, articolando nel proprio spessore ospitalità e rifugio. I limiti tra interno ed esterno, che saranno più accentuati una volta giunti all’interno de Las Tres Chimeneas, si adattano ai desideri come alle modulazioni del paesaggio.

*Dal dizionario nell’Enciclopedia Treccani.

*Interazione s. f. : Reciproca influenza o azione o reazione di persone, fatti, fenomeni, sostanze. Questa è la definizione della parola interazione e in questo caso la sua applicazione pratica riguarda la possibilità che si desidera dare 61


ai visitatori, che da un sistema di interazione passivo, ovvero solo nel caso in cui sia il ‘giocatore’ a voler giocare, a un sistema di interazione attivo all’interno dell’edificio, in cui ogni oggetto o spazio si presenta nella sua perenne e reale funzione in continuo cambiamento. Alla pesantezza del cemento e delle forme esistenti dell’architettura nel distretto di Sant Adrià, si contrappongono quelle forme leggere che trasformano la solidità dei confini nell’inconsistenza di un materiale come ad esempio una tenda o un gonfiaible, diventando un’architettura instantanea. Ma cosa è un’architettura instantanea? Sembra curioso introdurre il significato di Instantanea in fotografia, per capire meglio: “Fotografia eseguita con tempo di posa molto breve (non più di qualche decimo di secondo); rende possibile la ripresa di soggetti in movimento. La pellicola fotografica che, grazie alla sua particolare costituzione, subito dopo essere stata impressionata si sviluppa automaticamente in modo da fornire una copia positiva in pochi secondi. Trascendendo da ciò che realmente sappiamo circa le pellicole instantanee, la definizione fornisce degli aggettivi e dei verbi applicabili al concetto di materia, quindi di architettura. In sintesi le architetture instantanee offrono all’uomo l’esperienza di una liberazione momentanea dalle cose, che viene attratto durante il suo percorso e riceve una copia positiva delle sue emozioni giocando con lo spazio in cui si inserisce, sia questo chiuso o aperto(29) .Ma il parco è al tempo stesso un’instantanea, una pellicola in cui viene impressa un’azione e si moltiplica nelle forme possibili dello spazio, garantendo al tempo stesso una reversibilità delle trasformazioni date dal fatto 62

(29)

Rem Koolhaas, Constant: New Babylon, Hatje Cantz, 2016.


che il successivo ‘giocatore’ potrà cambiare la composizione degli elementi. Gli elementi di cui si parla sono talvolta mobili e talvolta immbili, sono: sedie, altalene, elementi di playground design (ovvero riproduzione di uno spazio dedicato all’open-ended play, che incoraggia immaginazione e creatività e allo stesso tempo abbraccia il lato emozionale con veri e propri scenari in cui giocare a tema natura, avventura e sport. Sono forme che rappresentano la privatizzazione temporanea di un luogo, come si fa nelle piazze e nei giardini delle nostre città, che spesso si trasformano in enormi salotti e sale da pranzo, ancora palesstre e spazi educativi. La compiutezza dello spazio dall’altra parte del fiiume, appartenente ancora alla città di Barcellona, rappresenta l’ultimo tassello di uno spazio elaborato tramite una serie di regole di governo della crescita urbana che, ad oggi, ha alienato progressivamente lo spazio vissuto ai suoi abitanti. Per ricomporre questa frattura tra la due sponde del fiume sono stati pensati dei ponti pedonali e ciclabili, che con le loro forme morbide rappresentano l’attraversamento fluido che gli abitanti dovrebbero avere, liberi di scegliere quale parte della città vivere. Viene così aperto il recinto, viene allentato il limite e si ricerca di intervenire a monte nella sequenza di cause ed effetti che hanno portato la zona del Parc del Forum a diventare un luogo per eventi occasionali. Un ponte che rappresenta il superamento dal vecchio al nuovo e, al tempo stesso, connette i due spazi e si corregge continuamente oltre il suo completamento. Questo limite, rappresentato dal fiume, viene finalmente superato, 63


ampliando l’orizzonte degli eventi oltre il quale non è possibile predeterminare con certezza cosa produrrà questa sommatoria di funzioni preposte. Lo spazio possiede ora dei gradi di libertà che moltiplica esponenzialmente gli esiti possibili: ogni abitante può vivere lo spazio come vuole in un alternarsi di strumenti e scenari, passando da un realtà statica e univoca a una dinamica e molteplice. Un’insieme di scale, patii e terrazze, di spazi semidomestici senza indicazioni specifiche che, come un foglio bianco, attendono di essere segnati e abitati. Un esempio per capire in che modo il parco sia una griglia spaziale pronta per essere abitato, è possibile fare riferimento ai rivoluzionari Superstudio(30), uno dei gruppi che più hanno influenzato il rinnovamento dell’architettura e del design in Italia.

Focus_Superstudio

Superstudio è diventato famoso specialmente per i suoi lavori di architettura concettuale, il più famoso dei quali è Monumento Continuo, del 1969. Pur essendo un “modello architettonico per l’urbanizzazione totale”, il modello era totalmente anti-architettonico e proponeva un sistema di griglie per gestire lo spazio. Inevitabile fermarsi a riflettere sui rapporti tra architettura e natura, tra centro e periferia, tra tradizione e modernità. La superficie quadrettata del laminato Print cessa di essere semplice rivestimento o texture per diventare espressione di un concetto capace di generare figure; rappresenta in modo emblematico quel disegno unico che “si manifesta rimanendo uguale a esso, cambiando di scale e area semantica senza traumi o inconvenienti”.(31) 64

(30)

Superstudio, G. Mastrigli (a cura di), Superstudio. Opere (1966-1978), Quodlibet, 2016. (31) Andrea Branzi, No-Stop City : Archizoom Associati, HYX, 2006


La superficie quadrettata prende il posto del racconto, diventando essa stessa l’immagine più astratta possibile della ragione, un’organizzazione molecolare in cui lo sviluppo avviene per addizione di elementi modulari, che contribuiscono alla definizione della forma degli spazi della città stessa. In definitiva, il progetto prevede l’apertura dei limiti e dei recinti ad una ete di relazioni con il proprio contesto. La dilatazione del limite permette forme di appropriazione interattive e processuali; l’interazione con gli elementi di gioco del parco permette la disgregazione della solidità della materia, ovvero la concezione statica che si ha di un oggetto in funzione di uno spazio o una funzione. L’idea è quella di ricostruire continuità naturali e sociali e moltiplicalare le possibili relazioni tra gli spazi: qualora si possa accedere a soluzioni tecnologiche, è possibile trasformare il corpo rigido dell’architettura in un sistema vivente capace di adattarsi al variare delle condizioni ambientali, climatiche e sociali. Se i trasporti, la sicurezza e i servizi di ogni genere saranno gestiti grazie ai big data, ovvero l’imponente mole d’informazioni fornita dagli stessi cittadini che servirà a evidenziare eventuali criticità da correggere (formula alla base della smart city), rimane però un timore: che la città si muti in un luogo freddo, governato da processi meccanici che possano alienare il cittadino. Difficile dire se si tratti di paure fondate o previsioni distopiche, il fatto è che, per contrasto, la soluzione sembra essere quella in cui l’uomo è di nuovo un personaggio attivo nelle decisioni che riguardano la sua città, e non agisce solo passivamente, permettendo che 65


vengano raccolti dei dati basati sulle sue abitudini. Questo è il senso della Playable city, la città da giocare e a misura d’uomo. (32) Nel settembre del 2014 lo studio di designer Watershed, con sede a Bristol, riunì un gruppo di esperti del settore per una due giorni intitolata “Make the City Playable”(m), occasione per stabile alcuni dei punti cardine di questo movimento: partecipazione collettiva alla risoluzione dei problemi della città; il benessere della comunità è una responsabilità dei cittadini, non solo delle autorità; rendere la città a misura d’uomo e dare nuova vita agli spazi in disuso. Insomma, far si che gli abitanti tornino a prendersi cura dei luoghi che vivono. A trionfare nella prima edizione furono gli inventori di “Hello Lamp Post”, una versione molto particolare dell’Internet delle cose: il progetto consisteva nel posizionare in città alcuni oggetti (ad esempio buche delle lettere) che fossero in grado di comunicare con i passanti tramite smartphone, stabilendo una sorta di dialogo tra città e cittadino. Nel 2014 vinse gli award il progetto “Shadowing”: dopo il tramonto, un sistema di luci e telecamere catturava il movimento delle ombre di alcuni passanti, proiettando queste stesse ombre al passaggio di altri; le persone in questo modo avevano la sensazione di camminare con un compagno invisibile, aver condiviso quel percorso con qualcuno, pur trattandosi di un perfetto sconosciuto. Un altro progetto è “Dance Step City”, una combinazione di proiettori laser, simili a quelli usati negli spettacoli e l’utilizzo di un audio direzionale per creare un viaggio ritmato lungo un passaggio pedonale. 66

(32)

Grégoire Zündel, Irina Cristea, Time for Play: Why Architecture Should Take Happiness Seriously, Actar. 2016 (m) Playablecity (https://www.playablecity.com/)


Dance Step City offrirà una serie di passi di danza su misura per l’ambiente, che accompagneranno i partecipanti in un gioco allegro. I partecipanti saranno in grado di seguire semplicemente i passaggi come una griglia di campana multimediale o aggiungere il loro stile personale ai passaggi, creando il proprio viaggio performativo. Le installazioni prima descritte sono solo un’esempio di possibili applicazioni interattive che concorrono alla fruizione del parco. I visitatori saranno comunque liberi di scegliere se interagire o meno e di giocare nella maniera più classica con gli oggetti che avranno a disposizione. D’altronde giocare significa uscire deliberatamente dalle regole sociali e inventare e costruire le proprie regole del gioco. Il gioco è inteso come l’attività creativa pura liberata da costrizioni socioculturali, un’azione rivoluzionaria che agisce contro il controllo sociale. Perchè se il tempo dello svago si trasforma sempre più in tempo del consumo passivo, diventa urgente preparare una rivoluzione delle strutture per accogliere un concetto più complesso, legato alla costruzione di luoghi in cui a comandare è la sperimentazione della realtà urbana. La città deve diventare un nuovo teatro di operazioni culturali, il luogo reale dove sperimentare comportamenti alternativi e dove perdere il tempo utile per trasformarlo in tempo ludico-costruttivo.

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la nave turbine Auditorium e Main hall

Quì il futuro imperversa nel passato. Il vecchio edificio della termica diventa l’involucro protettivo che accoglie la nuova attrezzatura culturale. I detriti della vecchia nave delle turbine e dei condotti di raffreddamento rappresentano l’ultima vera traccia della vecchia centrale, che ora rappresentano la struttura di appoggio del molo ortogonale alle torri, spazio di transizione e unione tra il tessuto urbano e il mare, tra la terra e l’acqua. Questo primo asse determina gli accessi e individua nell’edificio il limite da superare. Non convenzionalmente gli ingressi sono posti sul prospetto nord-ovest, lasciando un diaframma aperto verso il mare, il cui molo rappresenta il punto di fuga. Il parco si innesta negli assi determinati dalla Termica e gli altri elementi grazie alle direzioni delle trame esistenti, più o meno alterati dalle richieste che gli spazi del gioco determinano. I ponti che connettono i due lembi di città attraversata dal fiume e, ancora, la città industriale di Sant Adrà con la costa, attraversata dalla linea ferrata, individuano con la loro forma le ciminiere; una cornice che inquadra e direziona volontariamente lo sguardo verso i tre giganti del mare. Il contrasto dei materiali dell’edificio combinano l’idea della fabbrica per la produzione di energia con quella della fabbrica di produzione della cultura: il calcestruzzo, nel primo caso, e il metacrilato nel secondo. 69


Un altro carattere condiviso è la diversità delle linee guida considerate: mantenere la struttura esistente è una condizione necessaria per restituire il ricordo di ciò che era, lasciando comunque lo spazio per ciò che sarà. Rimangono, infatti, i pilastri e le travi, che scandiscono il ritmo nella facciata principale, unico elemento differente rispetto l’impianto originale. Dall’esterno, l’interno si mostra attraverso le ombre indefinite che stimolano i nostri sensi, suscitano curiosità e incoraggiano lo spettatore ad entrare e diventare un soggetto attivo di ciò che è proposto. Il nuovo prospetto e la copertura/lucernario deflettono e diffondono la luce negli spazi interni, consentendo alla luce naturale di penetrare attraverso e illuminare l’interno nelle ore diurne, favorita dall’orientamento del sito; mentre lascia in penombra la grande nave turbine nelle ore pomeridiane, per garantire lo svolgimento di eventuali installazioni e spettacoli.(n) Quando pensiamo al termine soglia, in realtà, si apre un mondo infinito di opposti, un tentativo di dialogo fra le diversità. Ma al contrario del progetto per ciminiere, in questo caso il contrasto tra esterno ed interno vuole essere volutamente marcato; Sono poche le aperture,soprattutto quelle che inquadrano il mare e il parco progettato davanti la nave industriale, lasciando il visitatore in una condizione di protezione interna, permettendogli comunque di evadere con lo sguardo verso l’orizzonte da determinati punti dell’edificio. All’interno della turbine hall, infatti, a ridosso del prospetto muto tra la nave e le ciminiere, insistono dei semplici volumi aggettanti sull’atrio, che permettono al visitatore di osservare gli allestimenti. 70

(n)

Kiasma Museum of Contemporary Art. Steven Holl Architects. (http://www.stevenholl. com/projects/kiasma-museum).


Delimitati da pannelli in vetro e illuminati, questi bianchi e lunghi rettangoli permettono, inoltre, differenti punti di vista verso il parco e quindi, il mare. Dal punto di vista architettonico la loro funzione è di contrastare la simmetria e la orizzontalità della nave industriale e, allo stesso tempo, garantire i collegamenti verticali e di raccordo con le ciminiere. La luce naturale è una considerazione importante, poichè il fascino dal carattere in continua evoluzione della luce del giorno, in questo luogo che non subisce le ombre degli edifici vicini, rappresenta il carattere da privilegiare durante la progettazione. Ogni apertura, inoltre, sarà dotata di schermi a led per permettere la creazione di performance artistiche luminose, visibili soprattutto dall’esterno nelle ore notturne. Le varie funzioni del centro culturale sono organizzate in base alle loro esigenze specifiche, come la qualità spaziale, la luce diurna, la materialità e, chiaramente, l’interazione. Si tratta, infatti, di una progettazione fatta secondo un percorso orizzontale, una transizione da spazi chiusi a spazi aperti per quanto riguarda le forme geometriche, e al contrario per quanto riguarda la luce. Ancora la smaterializzazione viene applicata al concetto di arte. Prendendo ad esempio l’intervento di Anna & Eugeni Bach, autori del progetto «Mies missing materiality» realizzato nel padiglione di Mies Van der Rohe a Barcellona, l’idea è quella spogliare di ogni materialità un oggetto iconico, in questo caso la centrale e il concetto stesso di arte (o). Con questa semplice azione, il Padiglione diventa 71


un modello in scala 1: 1, una rappresentazione di se stesso che apre le porte a molteplici interpretazioni su aspetti come il valore dell’ori ginale, il ruolo della superficie bianca come immagine della modernità, o l’importanza della materialità nella percezione dello spazio. Se ogni individuo all’interno di un contesto urbano, sviluppa un senso di appartenenza nei confronti di elementi iconici, siano essi caratteristici per dimensione e materialità, sarà necessario distinguere la duplice valenza del suo ricordo, basato sulla percezione visiva (riconoscibilità della forma) e immaginaria (idealizzazione del contenuto dell’elemento). La forma rimarrà invariata, il contenuto, invece, sarà una nuova declinazione del concetto di macchina, ora centro di produzione arte e cultura. Volendo tradurre il concetto secondo il dualismo significato-significante, il significato, ovvero la fabbrica in se sarà “un concetto”, un’idea nitida di ciò che è sempre stato; Il significante, invece, sarà la sua “immagine acustica” (non un suono, ma come la traccia psichica che esso lascia), il riverbero delle funzioni di matrice differente, rispetto il progetto iniziale, poste al suo interno. Così il significato diventa “concetto veicolato dall’immagine acustica” cioè dal significante (33). Da qui in poi il significante, che sarà visivo, verbale, e tattile, sarà il mezzo attraverso il quale produrre un nuovo ricordo, senza produrre un’esperienza traumatica cambiando radicalmente quello precedente. 72

(o)

Progetto “Mies missing materiality” (http:// hicarquitectura.com/2017/11/anna-eugeni-bach-mies-missing-materiality-fundacion-mies-van-der-rohe/) (33) Ferdinand de Saussure, T. De Mauro (a cura di), Corso di linguistica generale, Biblioteca universale Laterza, 2009


La transizione tra gli spazi è stata progettata per attivare il corpo e la mente, per promuovere indipendentemente dall’età, dall’abilità o dall’interesse un’interazione tra le persone e le attività. Il percorso attraverso l’edificio, infatti, si concentra sullo sviluppo e l’incoraggia mento di forme alternative di arte e cultura e, al tempo stesso di movimento. Una lunga rampa si articola su diversi livelli per connettere l’interno e l’esterno, gli ingressi e le funzioni e infine, per permettere l’accesso al grande auditorium. Lo scopo è quello di trasformare un semplice viaggio attraverso l’edificio, in un’esplorazione e una scoperta in movimento, garantendo comunque la presenza delle scale di collegamento e degli ascensori all’interno dei volumi aggettanti. Il concetto stesso di una galleria d’arte, difatti, implica un focus interiore. Mentre la necessità di mostrare i tesori culturali contenuti all’interno è evidente, la necessità di collegare questi spazi espositivi è il vero scopo del progetto: trasformare l’edificio stesso in un elemento scultoreo e iconico. La volontà di lasciare lo spazio interno con la sua struttura originaria e con gli elementi caratteristici industriali, rappresenta una traccia evidente del passato, che non deve essere cancellata dalla memoria dei suoi abitanti. Questi elementi, come le travi industriali e il carroponte diventano protagonisti degli spazi e talvolta, anche delle dell’architettura in se. L’edificio descritto, infatti, era il luogo dove le tre turbine lavoravano ininterrottamente per produrre energia. Grandi eliche chiuse in questa gabbia di ferro che, grazie al loro movimento, illuminavano 73


un’intera città. L’obbiettivo iniziale era quello di creare uno spazio incerto per il visitatore, all’interno di un’architettura calma e immobile come quello della centrale, aggiungendo un solo grande elemento di riferimento, spingendoci oltre i confini classici dell’architettura per divenire un’installazione artistica che si impadronisce e si incastra tra lo scheletro esistente. ll progetto stabilisce un rapporto fluido tra l’interno dell’edificio e il suo involucro esterno. L’andamento continuo della sua superficie permette, così, di disporre le poltrone del grande auditorium (350 posti circa) lungo le curve che diventano successivamente strati della copertura, eliminando la distinzione tra copertura e pavimentazione. La struttura in acciaio e un telaio tridimensionale sostengono la superficie realizzata con materiali che consentono di attribuire all’architettura quella forma plastica, assimilabile a un grande nastro che si avvolge su stesso. Il tema della fluidità richiama l’originale definizione di *turbina: s.f. Macchina motrice rotativa a fluido, il cui organo essenziale è rappresentato da una ruota ( girante ) provvista di palette periferiche convenientemente profilate per ricevere energia cinetica da un fluido, sotto forma di velocità ( t. ad azione ) o di pressione ( t. a reazione). Così questa configurazione elaborata, fatta di ondulazioni, biforcazioni, pieghe e inflessioni trasforma questa superficie in un paesaggio architettonico capace di svolgere diverse funzioni, accogliendo e indirizzando i visitatori verso i diversi livelli degli spazi interni. 74


Come una grande scultura che esplora il mondo costruttivista sulle costruzioni geometriche che si possono ottenere con linee e superfici dinamiche, il grande auditorium si evolve ed è sorretto nello spazio da superfici che tentano di staccarsi sempre di più dal suolo, ancorandosi alle pareti laterali. Priva di una facciata “principale”, l’architettura risulta completamente diversa a seconda dell’angolazione da cui si guarda, al punto da risultare quasi in mutamento. Manifesto di un’idea di cultura sempre più aperta e in movimento. L’involucro esterno, che nasconde gli impianti, è dotato di una superficie intelligente, composta da uno schermo in metallo perforato in continua trasformazione per regolare il guadagno solare e la luce. Una serie di sensori consentono l’articolazione visuale di immagini e colori e l’interazione con i visitatori in base all’attività proposta. Si tratta di concetti che ambiscono al raggiungimento di un’architettura innovativa e reattiva, campi di indagine provocatori che hanno effetti potenzialmente dirompenti e di ampia portata. L’idea è che la luce, nella sua forma naturale e artificiale, fatta tramite led e grandi schermi, possa coinvolgere gli utenti per una maggiore esperienza all’interno dell’edificio. Inoltre mentre all’esterno del parco si cerca di influenzare in maniera passiva l’attività dei suoi fruitori, per attirarli verso la fabbrica, all’interno è il libero arbitrio dell’uomo il vero protagonista. Ora tutte le funzioni vengono presentate e ‘illuminate’, nessun percorso è stabilito e tutto concorre alla raggiungimento di un armonia generale. 75


Un paesaggio variegato, un sistema di microclimi con suoni, luci e sensazioni cangianti, che si fondono perfettamente nella Turbine Hall. L’impressione iniziale è quella del tipico interno del museo chiuso a sé; tuttavia, è solo spostandosi attraverso ogni spazio che si scoprono varie viste inaspettate verso l’esterno. L’imponente altezza invita gli artisti, e i visitatori, a giocare con lo spazio che si proietta nella prima parte dell’edificio. L’insieme è progettato come uno spazio pubblico vibrante che concentra gli spazi più dinamici in questo spazio centrale: una superficie multifunzionale, modellata dalle esigenze del programma, dove i collegamenti sono equidistanti in tutto l’edificio e adiacenti agli spazi dell’atrio, assicurando che ogni parte sia facilmente accessibile a tutti visitatori. I livelli superiori lasciano lo spazio centrale per qualsiasi tipo di installazione, proiezione, perfomance, delineando una grane terrazza.

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LAs tres chimeneas “Play, Learn, Discover”

Mentre gli edifici iconici devono, ovviamente, essere localizzati in punti precisi, la scala geografica della loro iconicità è variabile, poiché le icone possono avere significato e riconoscimento locale, nazionale o globale, o qualsiasi combinazione di questi tre livelli. Ma quando l’edificio in questione, o in questo caso tre, si instaura come icona in seguito a scelte ben lontane dalla ricerca che caratterizza l’architettura, il discorso è ben più ampio. Le tre ciminiere di Sant Adrià de Besos, infatti, rappresentano il paesaggio industriale, ma la loro forma non è il risultato di nessuna geometria del gusto, bensì della funzione. I primi 90 metri accoglievano tutti le macchine e i servizi, le caldaie, e le camere di combustione, la cui aria veniva infine convogliata nei restanti 110 metri di ciminiera. Una vera megastruttura per la complessità dei suoi ingranaggi, del quale ci resta un misero scheletro, sventrato di tutti i suoi componenti. Come se la dismissione della centrale non avesse già creato un vuoto emotivo nei ricordi dei cittadini, ora il grande vuoto è rappresentato dall’immensa intercapedine che attraversa visualmente l’interno dei tre giganti. Si tratta davvero di progettare il vuoto, che deve rimanere tale per non richiamare il passato più triste e scuro della fabbrica. Il progetto per le ciminiere riguarda proprio una sorta di megastrutturalismo ludico, in cui ogni piano si innesta come un foglio sottile, annullando ogni barriera visiva che eventualmente riempirebbe nuovamente questo vuoto. E se questi grandi oggetti ingombranti non vogliono apparire come 79


macchine da guerra, è necessario che diventino promotori di utilità sociale e culturale, inibitori di contraddizioni e conflitti, alternativi agli oggetti del funzionalismo grazie al loro potenziale narrativo. Poichè l’architettura non è altro che un diagramma mentale, una griglia senza inizio né fine, questa griglia ipotetica che ora si innesta nella fabbrica delle tre ciminiere, divide le funzioni idealmente in tre parti. Un mondo affascinante e giocoso dove arte e scienza si mescolano. Sono ora strumenti potentissimi di contaminazione dello spazio e della mente, vere e proprie macchine dell’educazione verso nuovi usi e forme temporanee di interazione ludica. Tutti i livelli sono caratterizzati da un layout aperto e flessibile che incoraggia la condivisione e l’interazione delle conoscenze, nonché la concentrazione individuale. L’interazione ricercata tra spazio e abitante, è l’innesto nel corpo statico dell’architettura delle nuove tecnologie, capaci di contaminare lo spazio concreto di elementi immateriali quali il suono e l’immagine, di estenderlo nei territori dell’immaginario digitale e della connettività. Riportando il concetto di gioco, sembrerà forse più chiaro come è applicato questa azione all’interno della nuova macchina culturale. Dal punto di vista del game design, infatti, i giochi sono definiti in modo preciso: sono attività strutturate (le interazioni) durante le quali i giocatori superano gli ostacoli, imposti dalle regole del gioco mentre perseguono un obiettivo predefinito, ovvero un nuovo ricordo. 80


Come un gioco, la ricerca si è basata sull’articolazione di funzioni e regole, cercando di coniugare il sistema razionale degli elementi architettonici quali programma e struttura, con le sensazioni e gli stimoli del mondo esterno. Il programma si può sommariamente suddividere in tre macrotematiche, che riguardano l’arte, la cultura e la scienza.

“Play” La prima Ciminiera accoglie l’arte e gli spazi espositivi di transizione

verso la smaterializzazione in un senso tecnologico. Si prefigura idealmente come un’ascensione dalla forma più classica dell’arte, intesa nella sua fisicità, fino alla smaterializzazione della stessa, proponendo il concetto di museo virtuale.

“La missione del museo è raccogliere, conservare e studiare le opere d’arte. Se qualcuno sperimenta un’esperienza legata alla realtà virtuale fuori dalla collezione materiale, la vedo come pura realizzazione della missione.” (34) -Loic TallonThe Metropolitan Museum of Art’s digital chief.

Il primo livello è il primo diaframma che allenta l’idea di arte in uno spazio chiuso. Una lunga rampa a spirale che funziona come un mezzo per ammirare un’opera, un supporto, ma non un protagonista dello spazio entro il quale lo spettatore si trova. L’architettura costeggia il perimetro e se ne discosta, invece, al livello superiore, dove muri intesi come filtri, creano una percorso labirintico verso il nucleo centrale di quel piano. Lunghe rampe oscillano e connettono i due semi ellissi al piano superiore, per terminare nella grande sala espositiva, in cui grandi figure geometriche accolgono le installazioni virtuali. Le installazioni, che vanno da pezzi minimalisti, grafici, geometrici e colorati, fanno interagire il visitatore con loro e li coinvolgono in una forma di dialogo, diventando dei veri e propri quadri interattivi. Così, l’ultimo livello dell’edificio ospita gli spazi del vero e proprio 81


museo digitale. L’arte si concentra sullo spazio fisico, privilegiando non l’uso personale, ma quello collettivo, ponendo più persone nello stesso spazio. Digitalizzando lo spazio, infatti, possiamo agire indirettamente sulle relazioni che si creano fra le persone all’interno di esso. Se la presenza degli altri può innescare un cambiamento nello spazio dell’installazione, gli “altri” divengono parte dell’opera d’arte. Così questi cubi, dentro il quale lo spettatore è leggittimato a perdersi, interagiscono completamente, attivamente o passivamente, e rappresentano il culmine della smaterializzazione, ricercato negli altri piani. Una tecnologia in costante evoluzione il cui obbiettivo è migliorare le esperienze nei musei. Un primo esempio riguarda le funzioni presentate dal progetto Google Art Experience (p). Alcuni musei e gallerie d’arte, infatti, hanno aderito alle iniziative proposte per migliorare le esperienze degli utenti. Per i visitatori con gli smartphone, le gallerie d’arte come il Cleveland Museum of Art, ad esempio, attraverso i codici QR accanto alle esposizioni, sono indirizzati digitalmente verso tour online o audio, oppure a informazioni più approfondite. Con la realtà aumentata, i musei stanno sovrapponendo il mondo virtuale proprio su ciò che è realmente di fronte allo spettatore, portando in vita nuovi oggetti e manufatti e sperimentando nuovi modi di ammirare un’opera. Al New York’s museum of Modern Art un gruppo di artisti ha lavorato nella luminosa galleria di Jackson Pollock al quinto piano del museo, trasformandola nel loro parco giochi, realizzato attraverso gli strumenti della realtà aumentata (q). La galleria mantiene il suo 82


aspetto classico e nessun dipinto viene toccato o manomesso; Ma per coloro che hanno scaricato l’app MoMAR Gallery sui loro smartphone, i dipinti iconici dell’impressionista sono solo dei punti di riferimento che raccontano attraverso l’app una nuova storia. I dipinti di Pollock sono remixati oltre il riconoscimento o interamente sostituiti digialmente. Nessuna delle interazioni prima descritte mira a sostituire l’esperienza pratica, coinvolgente e introspettiva che si ha all’interno di un museo. Nessuna delle interazioni prima descritte mira a sostituire l’esperienza pratica, coinvolgente e introspettiva che si ha all’interno di un museo. Nessuna opera d’arte sarà riproducibile e nessuna trasposizione digitale di quest’ultima potrà essere paragonabile all’esperienza reale che si ha davanti l’opera materiale. L’interazione, però, permette di sperimentare nuovi modi di intendere o studiare un’opera. Tradizionalmente, l’esperienza del museo era unidirezionale: i curatori concepivano e realizzano un’esposizione, che i visitatori successivamente vivevano. Ora, tutto sta iniziando a cambiare, lasciando sempre più spazio alla tecnologia e alla sua potenza mediatica che, spesso, sostituisce le reali esperienze che viviamo. L’interazione all’interno dei musei, però, fornisce un’ulteriore strumento, che senza l’opera fisica non si potrebbe avere. E se la tecnologia è lo strumento attraverso il quale viviamo più agevolmente le nostre vite, si da il caso che questo strumento debba anche servire per educare e per diffondere un nuovo messaggio, che mira al coinvolgimento totale delle nostre sensazioni. 83


I musei rappresentano, in questo mondo sempre più frammentato e in competizione tra le novità, uno degli ultimi esempi di staticità e appartenenza al passato. Ma in un presente, ormai futuro, così celere non è ammissibile la sostituzione di elementi, quali la cultura o l’arte, solo perchè non restituiscono un’immagine dinamica o tecnologica, quindi idealmente superata. Nella versione radicale e più pura queste nuove architetture digitali non offrono altro che di poter giocare con lo spazio, senza alcun fine se non quello di costruire con esso un rapporto diretto e fisico. Le leggerezza di una luce a led si contrappone alla potenza dei raggi solari che entrano da un’apertura; una performance dinamica si contrappone alla staticità di un’opera; uno schermo interattivo si contrappone alla materialità del quadro. Queste coppie di elementi opposti non si devono annullare, ma devono mescolarsi per scambiare con il proprio interattore una grande quantità di reazioni, sensazioni, informazioni. Il primo museo digitale è il MORI Building Digital Art Museum, realizzato da teamLab (r) a Tokyo e inaugurato a giugno del 2018, dove il tempo dell’opera diviene quello del corpo umano, i confini si dissolvono e le opere prendono vita. ll digitale diviene lo strumento per espandere l’arte, per abbattere le frontiere tra le opere d’arte, gli artisti e i visitatori che diventano protagonisti assoluti di un percorso artistico, espressione di continuità della vita. Questa è l’esperienza che si intende fornire ai visitatori del nuovo complesso culturale che si sviluppa nella prima ciminiera. 84

(r)

Mori building Digital Art Museum (https://borderless.teamlab.art/)


“Learn” La seconda ciminiera, quella centrale, accoglie ora gli spazi dedicati

alla cultura. Un grande biblioteca, disposta sempre sui lati dei due semi ellissi costruiti, si dispiega e si connette grazie alla grande scala centrale. Una forma fluida e complessa al tempo stesso, che occupa la parte centrale di questo primo livello. Superato il successivo piano predisposto per la ristorazione, iniziano gli spazi dedicati alla condivisione dei mestieri e dei saperi. Il progetto rientra nel percorso di ricerca sul tema della condivisione dello spazio. Grandi aule studio in cui l’unico limite è rappresentato dalle grandi vetrate che proteggono l’involucro e che si aprono sul meraviglioso paesaggio della città. Un’occasione di valorizzazione e stimolo culturale che, attraverso spazi capaci di rimodulare il rapporto tra gli spazi dell’autonomia e i luoghi della socialità, improntati ad una grande flessibilità spaziale e semplicità di riconfigurazione. Spazialmente opposta è l’esperienza dei coworking posti al piano immediatamente superiore. Rampe e scale mobili collegano le terrazze rappresentate da spazi versatili, in cui ogni protagonista ha a disposizione uno spazio ampio e declinabile a seconda delle proprie esigenze nella massima flessibilità. L’ultimo livello, la cui sezione si differenzia dalla geometria della ciminiera per la sua forma squadrata, ospita invece il grande cinema, nonchè sala conferenze. Una pianta rotonda si innestra tra gli angoli spigolosi dell’ultimo livello, lasciando alle grandi vetrate il compito di meravigliare gli utenti. 85


L’ultima ciminiera, in realtà, nasce dalla volonta dei cittadini. Durante il workshop organizzato da Besòs para Besòs e Kaospilot, professionisti e cittadini hanno collaborato per creare una proposta reale e ragionata da proporre alle autorità competenti per il futuro delle tre ciminiere. Un processo di partecipazione necessario per rispondere al crescente divario tra autorità e cittadini, visto che l’amministrazione, negli ultimi mesi, ha consegnato una bozza del nuovo piano urbanistico che prevede la riconversione e, quindi, distruzione dei tre giganti. Una decisione anti-sociale, poichè i cittadini di Sant Adrià hanno già espresso la loro volontà con un referendum. La possibilità di presentare il progetto, ancora in fase di evoluzione, mi ha permesso di rivalutare e definire alcuni aspetti del programma funzionale che avevo predisposto, accogliendo positivamente le proposte realizzate dai cittadini durante i sei mesi del workshop. In primo luogo è necessario dedicare le attività della terza ciminiera alla ricerca, sviluppo e innovazione, poichè, in quanto icona, queste erano le principali funzioni dell’intero complesso. Il primo livello ospita una serie di solidi ‘appesi’, da disporre in posizione diverse, i cosidetti “Istogrammi dell’architettura”, diagrammi tridimensionali, con una superficie omogenea e isotropa. Osservando che è impossibile proporre nuove forme senza adottare la logica del passato, facciamo riferimento a Superstudio, che propone di far scomparire l’idea di qualità nell’architettura. “Una griglia infinita, in cui tutti possono vivere (e morire) senza essere consumati fisicamente o spiritualmente” (29). 86

“Discover”


Questi oggetti modulari diventano la struttura che ospita le start-up, permettendo di usufruire di questo grande spazio a tripla altezza per i servizi e gli spazi comuni. L’idea è che la vita si svolge non solo in scatole ermetiche per piccole vite parallele, ma anche nei dispotivi dove ogni oggetto può essere un’avventura nello spazio, o un oggetto di culto e venerazione, e diventare un nodo luminoso di relazioni. Nei piani superiori grandi spazi sono pensati come incubatori per scienza e sviluppo. I macchinari occupano la maggior parte dello spazio, che viene delimitato dai cilindri di cristallo, rappresentato dalle grandi vetrate laterali. Nel livello intermedio tra i laboratori, che occupano rispettivamente il secondo livello e l’ultimo, quello rappresentato dalla geometria quadrata posto in cima alla ciminiera, nasce l’aula che può ospitare eventuali presentazioni e lezioni. Infine, poichè l’ultima ciminiera gode di una vista senza uguali sulla città e, contemporaneamente, sul mare, un lungo ascensore panoramico porta alla vetta di questa grande torre, dominando l’intera città di Barcellona ad una quota di 200 metri. “L’architettura è il mezzo più semplice per articolare tempo e spazio, per modellare la realtà, per far sognare.” (35) -Gilles IvainFormulaire pour un Urbanisme Nouveau, 1953. 87


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il progetto L’integrazione della dimensione culturale nelle strategie di sviluppo turistico consente nuove forme di politiche per lo sviluppo economico. Il distretto di Sant Adrià de Besos è caratterizzato proprio dal fatto che non ha una grande attività di carattere turistico, anche se è tra due motori del primo ordine, come Barcellona e il Maresme, il porto del Parc del Forum e il Porto di Badalona. La città vede la necessità di basare una proposta turistica basata sulla valutazione dei suoi beni culturali che implementano l’offerta di turismo a Barcellona e le vicine destinazioni balneari, e che allo stesso tempo sia al servizio della popolazione locale e della sua area di influenza . Il progetto è necessariamente un modo per reclamare un’identità, prima che il desiderio illecito delle autorità di disporre della terra e del patrimonio entri nel suo controllo generale. Identità che si innesta con questi segni sorprendenti nel territorio poichè, anche da lontano, le tre ciminiere sono più alte di Montjuïc, un’altezza che Gaudí, per esempio, non ha voluto superare con la Sagrada Familia. Ai loro piedi, sentiamo questi giganti come esseri viventi, come un grande animale con tutte le ferite e le imperfezioni. I tre giganti, vuoti, senza coraggio, sono ora visibili in un modo diverso, come se la loro cima servisse per arrampicarsi e vedere come le loro gambe colossali formino un gradino di dimensioni considerevoli l’una rispetto all’altra. Senza alcun altro punto di riferimento, considerando il vuoto che li circonda, formano uno spazio a se stante. La necessità di aprire i lotti di fronte al mare e l’edificio dell’ex Centrale di Sant Adrià de Besos sono i motori della ricostruzione: dotare 89


il lungomare di una strategia che garantisca l’utilizzo del suolo pubblico, e crei anche un’opportunità per la crescita del comune, ora dotato di un nuovo sistema fatto di playground interattivi e che continua nella sua passeggiata verso il mare. Resta all’architettura il ruolo di dispotivo di relazione e connessione tra luoghi, livelli ed attività differenti. L’edificio funzionerà come un ingranaggio tra ciò che c’era prima e ciò che sarà, trasformandosi in un grande filtro, che riprende la transizione dal parco fino al lungomare, dove il complesso industriale obsoleto si trasforma in un nuovo punto di fuga, metaforico e materiale. E’ il trionfo dell’ architettura dello spazio che esprime e racconta se stesso ad un contesto che lo contiene. Esso si realizza sviluppando la capacità di proiettarsi al di la dei confini del proprio corpo per passare dal suo vissuto, allo spazio aperto dov’è il vissuto dell’altro per far si che l’architettura si riappropri della sua piu autentica azione comunicativa (36) . Generare un flusso di impressioni positive che si instauri nell’esperienza delle persone. In questo contesto, il programma è, soprattutto, uno strumento per salvaguardare l’immaginario delle attività della città, in un luogo in cui la cenere della turbina non è ancora volata altrove. (36)

G. Francesco Tuzzolino, La misura e lo sguardo. L’architettura nel paesaggio delle differenze, Libria, 2012

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bibliografia _(1) Oriol Bohigas, Ricostruire Barcellona, Edizione italiana EtasLibri, Roma1992 _(2)Riunione ministeriale informale di Toledo sulla Dichiarazione sullo sviluppo urbano, Toledo 2010. (http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docgener/studies/pdf/citiesoftomorrow/citiesoftomorrow_summary_it.pdf) _(3) Berrini M, Green life: costruire città sostenibili, Editrice Compositori, Bologna 2010. _(4) A. Siza, Immaginare l’evidenza, Laterza, Roma 1998 _(5) Emma Serra, Bohigas: le piazze di Barcellona, Sagep Editrice, Genova 1987 _(6)Chiara Mazzoleni, La costruzione dello spazio urbano: l’esperienza di Barcellona, FrancoAngeli editrice, MIlano 2009 _(7) Manuel de Solà-Morales, Diez lecciones sobre Barcelona, Coac, Barcelona 2008 _(8)Antoni Oliva, El districte d’activitats 22@bcn, Ediciò Aula Barcelona, Barcelona 2003 _(9) Stephen Shore, Lynne Tillman, Factory Andy Warhol, Phaidon, Londra 2016 _(10) Manuel Fuentes Vicent, Petita història de Sant Adrià del Besòs, Editorial Mediterrània, Barcelona 2007 _(11) James Douet, Industrial Heritage Re-tooled: The TICCIH Guide to Industrial Heritage Conservation, Routledge, Abingdon-on-Thames 2015 _(12) Christopher Alexander, A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction, OUP USA, Oxford 1977 _(13) Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Verona 2006 _(14) Anthony M. Townsend, Smart Cities: Big Data, Civic Hackers, and the Quest for a New Utopia, W. W. Norton & Company, New York 2014 _(15) Chiara Ingrosso, Barcellona: architettura, città, società 1975-2015, Edizione Skira, Bologna 2015 _(16) Francesc Peiròn, “¿Existió el Fòrum?”, La Vanguardia, maggio 2014, (https://www.lavanguardia.com/local/barcelona/20140504/54406576491/existio-forum.html) _(17) Pedro B. ORtiz, The art of shaping the metroplis, McGrow Hill, New York 2013 _(18) H. Lefebvre, The Production of Space, Blackwell Pub, Oxford 1991 92


_(19) Giacomo Delbene, Barcellona, trasformazioni contemporanee, Meltemi Editore, Roma 2007 _(20) Martijn de Waal, The City as Interface: How New Media Are Changing the City, nai010 publishers, Rotterdam 2014 _(21) Manuela Caracciolo, “Carlo Ratti e la Rivoluzione dell’architettura urbana”, La Voce di New York, giugno 2017, https://www.lavocedinewyork.com/arts/arte-e-design/2017/06/10/carlo-ratti-passepartout-senseable-city/ _(22)Mikael Wiberg, The Materiality of Interaction: Notes on the Materials of Interaction Design, The MIT Press, Cambridge 2018 _(23) Horacio Capel Sáez, Las tres chimeneas: implantación industrial, cambio tecnológico y transformaciones de un espacio urbano barcelonés, FECSA, Barcelona 1994 _(24)Anton Nijholt, Playable Cities: The City as a Digital Playground, Springer, Singapore 2017 _(25) J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Milano 1946 _(26) Alberto Iacovoni, Davide Rapp, Playscape, Libria, Melfi 2009 _(27) Katie Salen, Rules of Play: Game Design Fundamentals, The Mit Press, Cambridge 2003 _(28) Frédéric Migayrou, Bernard Tschumi: Architecture: Concept & Notation, ditions Du Centre Pompidou, Parigi 2014 _(29) Rem Koolhaas, Constant: New Babylon, Hatje Cantz, Berlino 2016. _(30) SUPERSTUDIO, G. Mastrigli (a cura di), Superstudio. Opere (1966-1978), Quodlibet, Roma 2016 _(31) Andrea Branzi, No-Stop City : Archizoom Associati, HYX, Orléans 2006 _(32) Grégoire Zündel, Irina Cristea, Time for Play: Why Architecture Should Take Happiness Seriously, Actar, Barcellona 2016 _(33) Ferdinand de Saussure, T. De Mauro (a cura di), Corso di linguistica generale, Biblioteca universale Laterza, Roma 2009 _(34) Loic Tallon (a cura di), Kevin Walker (a cura di), Digital Technologies and the Museum Experience: Handheld Guides and Other Media, Altamira Pr, 2008 _(35) Gilles Ivain, Formulaire pour un Urbanisme Nouveau, 1953. _(36) G. Francesco Tuzzolino, La misura e lo sguardo. L’architettura nel paesaggio delle differenze, Libria, Melfi 2012 93


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