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ALBERTO BARTALINI ADRIANO FERRARA MARIOevaMULAS MASSIMO SALVONI
chianni fornace chellini
Con il Patrocinio di
Comune di Chianni
Da un’idea di Alberto Bartalini Testi e coordinamento Adriano Ferrara Revisione dei testi Tommaso Ferrara Traduzioni Maya Degl’Innocenti Foto MARIOevaMULAS Intervento artistico Massimo Salvoni Impaginazione e stampa Bandecchi & Vivaldi srl www.bandecchievivaldi.com
ritorno attraverso l’immagine, la materia, la parola
Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento. È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere. To take a picture is to recognize in the same time, in one second an event and the static structure of shapes that they tell the meaning of the same event. All of this through the view. It’s to place on the same line of fire mind, eyes and heart. It’s a way of life. Henri Cartier Bresson
Questa pubblicazione è il risultato di una collaborazione e di uno scambio di idee, maturate dalla frequentazione di un gruppo di persone appassionate di sensazioni. L’architetto e scenografo Alberto Bartalini è stato l’ideatore di un progetto che ha coinvolto due grandi fotografi come Eva e Mario Mulas mentre l’artista Massimo Salvoni ha colto con entusiasmo lo spirito del progetto, realizzando per l’occasione due particolari performances. L’architetto Adriano Ferrara, ha curato i testi e coordinato l’iniziativa. Tutto è nato dalla volontà di recuperare emotivamente uno spazio inutilizzato da tempo, una vecchia fornace, caratterizzata dall’inerzia dell’abbandono, dall’ipertrofia di eventi e funzioni altre rispetto alla sua destinazione originaria. Il carattere di una scenografia spontanea, dettata dal tempo e dall’usura, condizionata dalla poetica fisiologica del decadimento, è stato il tema che Alberto Bartalini ha individuato come unica possibilità di far rivivere uno spazio “impraticabile”. Le immagini di Eva e Mario Mulas indagano l’interno ricco di elementi a “reazione poetica”, quali oggetti caratterizzati da una forte carica espressiva, restituita all’osservatore, così come li avrebbe considerati l’architetto e pittore Le Corbusier. La fotografia, in questo caso, non serve esclusivamente ad immortalare una condizione oggettiva, bensì a rivitalizzare la percezione, riappropriandosi così di un’immagine da amare, che non può essere solo la copia di un fatto. Si assiste dunque ad una cristallizzazione di immagini, capaci di ibernare emozioni, secondo una particolare e sensibile interpretazione della luce. Le installazioni di Massimo Salvoni incarnano la metafora dell’ “innesto”, la scintilla emozionale e concettuale in grado di generare nuove esperienze e possibilità. La sua opera “Oculus vitilibus” (un doppio pannello di plexiglas, al cui interno sono disposti in maniera circolare i tralci di sterpaglie autoctone) ha la stessa funzione che Camus vedeva impersonata nella figura di Caligola quando scriveva, nell’omonima opera teatrale: “...Attraverso Caligola, per la prima volta nella storia, la poesia provoca l’azione e il sogno la realizza”. (Discorso di Cherea ai senatori, Albert Camus, Caligola, 1941). Questa esperienza è stata possibile solo rivisitando uno spazio, ritornando dopo molto tempo in un luogo trasfigurato e trasformato, come cambiato è colui che ritorna, nella consapevolezza di essere affezionati ad un territorio sempre visto, ma mai osservato e conosciuto fino in fondo. Azione-luogo-comprensione sono stati i termini di questa esperienza, che racchiude in sé un atto poetico, meglio “atto governato da poesia”. Questo è il motivo per cui assieme alle fotografie sono stati utilizzati brani poetici, con l’intento di contestualizzare l’oggettività delle immagini e amplificare la soggettività delle sensazioni. L’azione è il nostos, il “ritorno” secondo l’etimologia greca: ritornare ad abitare ciò che in precedenza è stato abbandonato, che implica il già conosciuto, già sperimentato. Da questa la successiva derivazione latina della parola nostalgia (composto di nas- abitare e algia per algos, ovvero dolore, tristezza). Il nostos è legato quindi ad un forte sentimento melanconico, al desiderio di rivedere e rivivere ciò che ha determinato inizialmente una passione. Si ritorna ad un luogo, un ambiente, uno spazio, col desiderio e la speranza di ripercorrere delle traiettorie sentimentali che già ci appartengono, abbandonando la consapevolezza razionale che non sarà più possibile rivivere le stesse identiche sensazioni, che il cambiamento è inevitabile. Forse è proprio per questa speranza irrazionale, questo bisogno di rivivere il conosciuto, che ci ap-
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passioniamo alla circolarità di un percorso. Un viaggio “da” e “per” un luogo, che malgrado le peripezie imposte dal tempo e dagli eventi, si riveli come il ritorno ad una certezza: un’Odissea che ognuno rivive, nella speranza di ritrovare la traccia di un’esperienza intima immutata. Si ritorna sempre per qualcosa, per perdere o ritrovare, per riconoscersi in quello che abbiamo già conosciuto, per vedere ciò che abbiamo già visto, per amare ciò che abbiamo amato. Il luogo è la rovina, il rudere, dal latino “ruina” e “ruere” precipitare. Nel precipitare, rotolare ma permanere, sta l’essenza della rovina: la forma definita si trasforma progressivamente e rivela il senso del trascorrere del tempo, binomio di caducità e permanenza. Un muro crolla, la forma non è più la stessa, viene meno la sua condizione statica, ma gli elementi che lo caratterizzano rimangono cumuli di pietra e detriti ancora presenti. Fragili equilibri dettati dalla sopravvivenza, lesioni e materiali consunti dal tempo, dichiarano le loro possibilità, richiamano alla volontà di voler resistere, nelle parti che ancora eroicamente lottano contro gli eventi. L’assenza dell’uomo, il quale inizialmente ha dato vita a forme e spazi, è una fondamentale metafisica capace di innescare il desiderio di una nuova presenza. Questo fenomeno avviene oltre il fastidio biologico di una fisicità riconoscibile, con un sentimento che tutto può abbracciare e capire. La comprensione coinvolge l’azione ed il luogo; non avviene solo col pensiero e le idee, ma con l’emozione e la capacità di ritrovare uno spirito delle cose e nelle cose. Questo si manifesta con l’intento di rivitalizzare tutto ciò che ancora porta le tracce di esistenze consumate dalle azioni, per cui le stesse cose sono state realizzate. Gli oggetti dimenticati, già logori dall’uso, corrosi ed abbandonati a se stessi, raccontano ciò che hanno visto, animandosi dell’assenza di chi li ha utilizzati. Raccontano storie mute, emettono rumori sordi, ricoperti di ombre e polvere, ma capaci di rivivere ancora appena un raggio di sole penetra uno squarcio nel muro: una lesione che, facendo passare la luce, diventa possibilità di nuova vita. A verifica delle potenzialità comunicative del luogo, Eva e Mario Mulas, hanno coinvolto gli allievi della loro scuola di fotografia, i quali hanno reinterpretato con grande abilità le peculiarità del luogo in questione. Ringraziamo in maniera particolare Giuliano Chellini, proprietario della Fornace Chellini, che ci ha dato la possibilità di realizzare questo progetto. Importante è stata la sua partecipazione all’intervento artistico di Massimo Salvoni; sua è l’immagine delle mani sulla calce, concepita come un’azione che assume il significato simbolico dell’esperienza di tutta una vita. Un ringraziamento va anche al sindaco di Chianni, Giacomo Tarrini e dell’amministrazione, per aver fin dall’inizio creduto nel progetto e per l’impegno economico, senza il quale non sarebbe stata possibile la realizzazione dell’iniziativa.
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This printing is the result of a partnership and of an ideas exchange, reached from a group of people enthusiastic about feelings. The architect and set designer Alberto Bartalini was the creator of a project that involved two important photographers as Eva and Mario Mulas, as the same as the artist Massimo Salvoni who got with passion the spirit of this project, realizing two special performances for this occasion. The architect Adriano Ferrara edited the texts and coordinated every point of view. Everything originated from the strong will to recover emotionally an unused space – an old Furnace – featured by passivity, by the state of abandon and the hypertrophy of functions and events totally different from the original purpose. The peculiarity of instinctive set, ordered by time and use, conditioned by the poetry of decline, was the subject selected as last chance to revitalize a space totally unusable. The pictures of Eva and Mario Mulas plumb the interior, full of elements of “elegiac reaction”. The objects offer a solid descriptive tension, given back to the spectator, according to the mind of the great architect and painter Le Corbusier. The picture, in this case, isn’t necessary only to capture an objective condition, but also to regenerate the perception, being able to take back a picture to love, not only a simple copy of a real thing. So, we are present at a crystallization of images, able to hibernate sensations with an emotional light interpretation. The installations of Massimo Salvoni embody the analogy of “innesto” (graft), the conceptual spark being able to create new kind of experiences and possibilities. His work “Oculus vitilibus” (a double Plexiglas panel, with inside shoots of native undergrowths put in circular order) has the same purpose as Caligola, when the author Camus wrote about his character: “By Caligola, for the first time in history, the poem causes the action and the dream achieves it”. (Discorso di Cherea ai senatori, Caligola, 1941, Albert Camus) This experience was possible only reconsidering a space, coming back after many time in a place transfigured and transformed, as changed is who comes back, with the awareness to be fond of a territory always seen but never watched and never knew into the deepest. Action – space – understanding: these are the key words of this experience, that holds a poetic act, or better “an act ruled by poem”. This is the reason why there are not only pictures but also poems, with the desire to contextualize the objectivity of images and to magnify the subjectivity of senses. Action is “nostos”, the way back as the Greek etymology: to come back to occupy a place left in the past, to live again a space already known, already tested. From this, the other Latin derivation of “nostalgia” (from nos – to live and algia algos – sadness, pain). The nostos is united by the strong melancholic sensation, by the strong desire to see again, to live again the beginning of a passion.
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We came back to a place, to a space with the desire and the hope to recall sentimental paths that were a part of us, leaving behind the rational mind of impossibility to live again the same feelings in the same way. The change is essential, inescapable. Maybe for this irrational hope, for this desire to live again, we love the circularity of path. A trip from and to a place, despite all ups and downs caused by time and events. The result will be the wayback to a certainty: everybody lives a personal Odissey, hoping to find the sign of a deep and unaltered experience. We come back ever to find or to lose something, to see again what we have seen, to know again what we have known, to love again who we have loved. Place is the ruins, the remains from Latin ruina and ruere (to fall). Into falling, there is the spirit of ruins: the shapes change gradually to show the sense of time, the pair of transience and stability. A wall collapses, the shape is not the same, the static is not here anymore but the elements are still present, the rocks, the rubbles, the remains. A fragile balance governed by the sense of survival, of something that wants to resist, with its parts that still and heroically fight against events and time. The human lack is an essential element, is the metaphysical key being able to desire the presence of people. This event takes place beyond the biological bother of an identifiable corporeality, with a new sense that could grab and understand everything. Understanding involves action and place; not only with mind and ideas but with feelings and with the talent to discover the spirit of things and into things. All of this shows the target to renew the signs of life worn out. The things dismissed, consumed by the use, damaged and in state of abandon, told us all they have seen, living again with the total absence of users. They told stories with no words, they give off muffled sounds dressed of shadows and dust but still being able to be born again. A ray of sunlight across a break in the wall is enough, like a wound. A new possibility of life. To check the communicative potentiality of this place, Eva and Mario Mulas involved the students of their school of photography: they translated the peculiarity of this space with great skill. We would like to say a special thanks to Giuliano Chiellini, owner of Chiellini Furnace: he gave us the possibility to realize this project. Very important was his collaboration to the installations of Massimo Salvoni: the hands into lime are his hands; conceived as an action with the symbolic meaning of all-life experience. Our gratitude goes to the Major of Chianni, Giacomo Tarrini for believing in this project starting from the beginning and for the financial support: without this, all the project couldn’t be possible.
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Ricordo e abbandono Nostalgia di un sé abbandonato dai significati originari, per la necessità di vivere esperienze di vita che portano altrove. Solo l’impulso delle sensazioni può riavvicinare un prima ed un dopo, giustificando così il bisogno di appartenenza. Nostalgia in and of itself, for the loss of original meanings and for the necessity to live new experiences that they bring so far. Only feelings are able to approach again before and after, justifying the desire of affinity.
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Spazio, materia, luce L’ombra dà forma ad una presenza solo pensata ed intravista, ad un’incertezza che trova l’opportunità di rivelarsi solo nel suo opposto. La luce materializza ciò che è materia indistinta, definendone la forma, giustificandone la presenza nello spazio. The shadow shows a shape only thought and distinguished; it’s a doubt that can disclose only into its opposite. The light materializes the vague substance, defining shapes into space.
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Cose di nessuno Non possiamo mai sapere con certezza se quel che sentiamo è sentito nello stesso modo dagli altri. Forse è proprio questa illusione di sentirsi partecipi di una percezione comune, che ci permette di sopportare la solitudine, mentre le cose come le persone hanno una loro autonoma vita. We will never have the guarantee of the sameness of feelings. Other people could feel other feelings. But the illusion of common sense helps us to tolerate the loneliness.
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Vedere attraverso le cose Le cose non hanno anima propria, ma sono di compagnia all’anima di chi le considera. Vedono se chi le guarda vede, sentono se chi le ascolta sente. The things have not a soul but they keep company to the soul of its owners. They see if the observers see, they feel if the listener feels.
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Oculus vitilibus Massimo Salvoni
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Oculus vitilibus La forma rotonda, il cerchio, porta con sÊ il senso del definito e della perfezione, la casualità degli sterpi, il loro aspetto esile, ne fanno delle fibre nervose che costituiscono un sistema d’indagine destinato a captare sensazioni. The circle brings with it the sense of perfection; the randomness of undergrowths with their thin appearance: it looks like a nerve fibre of a system of inspection to capture sensations.
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Castri clani lutum Attraverso le crettatutre del tempo, le certezze vengono meno, si frantumano. Ma la memoria biologica delle mani resta a testimoniare l’impegno di una vita.
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Through the side of time, our guarantees crumble. But the memory of hands still resists to testify the efforts of all the life.
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Allievi scuola Mario Mulas
Tommaso Bracaloni
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Silvia Bigliotto
Maurizio Scarselli
Cristina Raco
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Con il contributo di
Finito di stampare presso la Tipografia Bandecchi & Vivaldi srl Pontedera
Luglio 2015