Education online - RICHARD MOSSE - Kit insegnanti scuola primaria - Terre lontane

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EDUCATION ONLINE

APPROFONDIMENTO INSEGNANTI SCUOLA PRIMARIA (secondo ciclo)

TERRE LONTANE

RICHARD MOSSE DISPLACED


La scheda si rivolge a insegnanti e formatori di scuole primarie (secondo ciclo), per fornire alcuni approfondimenti teorici a complemento del percorso Terre Lontane.

A partire dalla mostra Displaced dell’artista Richard Mosse, una serie di brevi attività per riflettere con gli studenti su un nuovo modo di rappresentare l’attualità. Il percorso Terre lontane, accompagnato dalla sezione Approfondimenti per insegnanti, si prefissa i seguenti obiettivi: • • • •

favorire la consapevolezza delle ragioni e delle cause che determinano il fenomeno dell’immigrazione; stimolare l’osservazione e la descrizione dell’immagine fotografica; creare consapevolezza riguardo alle nuove tecnologie e al loro impatto sul linguaggio visivo; ideare e progettare elaborati, ricercando soluzioni creative originali, ispirate anche dallo studio dell’arte e della comunicazione visiva.

parole chiave > Amazzonia > Arte > Fotoreportage > Micro e macro > Tecnologia > Ultravioletti

Richard Mosse, Still from Incoming #88, Lesbos, Greece, 2016 Private Collection SVPL 2


Oltre il visibile, tra realtà e creazione Le nuove forme del reportage

Richard Mosse, Platon, North Kivu, Democratic Republic of Congo dalla serie Infra, 2012 Collection Jack Shainman

della guerra, ma anche per documentare eventi storici importanti, come l’incontro dei binari ferroviari dell’Union Pacific Railroad con quelli della Central Pacific nello Utah, il 10 maggio del 1869.

Tra la prima e la seconda metà dell’Ottocento sono molti i fotografi che utilizzano il medium fotografico per competere con la pittura, mimandola negli effetti di resa dell’immagine. Allo stesso modo, nasce un filone di fotografia documentaria, per riportare con la realtà quanto è descritto a parole sui giornali. Il primo ampio reportage è realizzato dal fotografo inglese Roger Fenton che, nel 1855, documenta la guerra in Crimea portandosi dietro una camera oscura mobile per sviluppare le immagini.

I fotografi non tralasciano neppure l’estremo Oriente, riportando usi e costumi di culture lontane e aspetti della vita quotidiana. Il viaggiatore inglese John Thomson, membro della Royal Geographical Society, realizza nel 1877 un lavoro fotografico intitolato Street Life in London, tra le prime ricerche realizzate con un taglio sociologico e documentativo, che include una serie di testi del giornalista Adolphe Smith in relazione alle immagini, sulla vita delle classi più povere a Londra. Nasce così, verso la fine dell’Ottocento, il fotogiornalismo, destinato a una diffusione sempre più estesa grazie alla possibilità di stampa delle fotografie sui giornali.

Quando nel 1861 scoppia la guerra di secessione in America, i fotografi apprendono la notizia con entusiasmo, esaltati all’idea di poter raccontare l’evento con le immagini. Nel 1865-66 il fotografo scozzese Alexander Gardner pubblica in due volumi il suo Gardner’s Photographic Sketchbook of War, facendo intendere nel titolo il riferimento alla pittura e al disegno, con l’allusione al bozzetto (sketch), che riscrive però in forma fotografica, per sottolineare la presa diretta del reale e non più una sua imitazione. La fotografia è utilizzata per raccontare il dramma

Agli inizi del Novecento, il sociologo americano Lewis Hine utilizza la fotografia per mostrare e denunciare lo sfruttamento minorile nelle fabbriche. Le sue immagini scuoto3


no l’opinione pubblica al punto da determinare importanti riforme sociali per la tutela dei diritti dei bambini. La fotografia comincia ad avere un impatto politico e mediatico sempre più significativo.

immagini scattate dal fotografo ungherese Robert Capa, durante lo sbarco delle truppe alleate in Normandia nella Seconda guerra mondiale. Con la fondazione di Magnum nel 1947, da parte di Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert, nasce una delle più importanti agenzie fotografiche al mondo, tutt’ora attiva, che ha come principale obiettivo la trasparenza d’informazione e la tutela della proprietà intellettuale e dei diritti d’autore del fotografo.

A seguito della Grande Depressione, determinata dal crollo della borsa del 1929, il presidente americano F.D. Roosevelt istituisce nel 1937 la Farm Security Administration, un’agenzia fotografica con il compito di raccontare gli effetti della crisi nelle campagne americane. Le immagini di Walker Evans e di Dorothea Lange, membri del gruppo, definiscono un nuovo linguaggio di reportage moderno, molto attento all’aspetto emotivo dei soggetti ritratti in relazione al contesto in cui si trovano.

A partire dagli anni Sessanta e, in particolare, con la guerra in Vietnam, la fotografia di reportage perde terreno a favore della diretta televisiva: immagini in movimento e suoni entrano nelle case delle persone riportando, con forza dirompente, quello che i fotografi pubblicano su giornali e riviste.

A incrementare il successo e la diffusione della fotografia di reportage sono le riviste Life e Look, la cui pubblicazione inizia rispettivamente nel 1936 e 1937, nelle quali viene stabilito l’argomento del racconto fotografico con articoli redatti da immagini e testi, frutto del lavoro comune di fotografi e redattori. Il formato ridotto delle nuove macchine fotografiche permette ai reporter di muoversi agevolmente e di raccontare da vicino situazioni che prima non sarebbe stato possibile immortalare, come le celebri

Successivamente, a partire dalla fine del Novecento, il ruolo del fotoreporter è ulteriormente messo in crisi dalla diffusione del web e delle piattaforme di condivisione di immagini che, nell’iconosfera attuale, hanno preso il sopravvento nei processi di comunicazione delle persone.

Richard Mosse, Hunches in Bunches, North Kivu, Democratic Republic of Congo, dalla serie Infra, 2011 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York 4


Tutti coloro che hanno accesso alla rete sono diventati produttori e diffusori di immagini e, dunque, di informazioni. Punto di svolta del citizen journalism, giornalismo partecipativo, che implica la condivisione e diffusione diretta di notizie e informazioni da parte dei cittadini in tempo reale attraverso la rete dei social network, è stata la Primavera araba. Iniziata il 17 dicembre 2010, la stagione di rivolte nei paesi nordafricani e mediorientali, ha avuto un effetto domino anche sulle pratiche del fotogiornalismo e della comunicazione, mettendo in crisi la figura del fotoreporter.

Nel suo lavoro di documentazione, l’artista utilizza una nuova grammatica visuale, superando il linguaggio classico della fotografia di reportage. A partire da una riflessione sulla scelta del medium fotografico che, come ogni strumento di comunicazione, non è mai neutrale e contribuisce a definire il risultato dell’immagine e dell’opera, esplora diversi campi e modalità di narrazione visuale. Nel progetto Infra Mosse, utilizzando e decontestualizzando una tecnologia militare di ripresa, brevettata con fini bellici e di controllo, racconta la tragedia degli scenari di guerra in corso nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), tra le numerose fazioni ribelli e l’esercito nazionale congolese. A colpirlo è il numero delle vittime di un conflitto che, tra il 1998 e il 2008, ha causato oltre 5 milioni di morti. Un evento poco trattato dai media, che l’artista denuncia come un fallimento dei sistemi di comunicazione e della fotografia tradizionali, nel non essere riusciti a rendere l’entità del dramma in corso. Alla fine degli anni Novanta del Novecento la RDC è colpita da due violente guerre civili che si concludono ufficialmente nel 2003, ma gli scontri tra gruppi ribelli ed esercito nazionale continuano ancora oggi. Le cause

Su questo aspetto riflette Richard Mosse (1980), fotografo documentarista irlandese, che esplora le forme del reportage e del linguaggio fotografico, per definire un nuovo spazio di comunicazione della realtà. Nel 2015 l’agenzia Magnum lo invita a entrare a far parte del gruppo. Mosse considera però con disillusione il linguaggio fotografico di documentazione tradizionale e decide di continuare ad agire all’interno della sfera dell’arte, per raccontare alcuni dei grandi temi del nostro tempo.

Richard Mosse, Hombo, Walikale, North Kivu,Democratic Republic of Congo, dalla serie Infra, 2012 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York

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Richard Mosse, Anna, South Kivu, Democratic Republic of Congo, dalla serie Infra, 2012 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York

di queste tensioni tra diverse etnie sono di natura politica ed economica, legate anche alla presenza di importanti giacimenti minerari per la produzione di apparecchiature elettroniche. Tra questi il coltan, un minerale altamente tossico da cui si ricava il tantalio, necessario per il funzionamento dei telefoni cellulari e dei computer. Il fenomeno del saccheggio e dell’esportazione illegale dei minerali per il commercio estero è un altro aspetto che incrementa ulteriormente lo stato di violenza e di disordine nel paese.

spento, mentre le zone con una vegetazione rigogliosa sono di colore rosa brillante. Mosse dichiara l’intenzione di applicare questa tecnologia a uno scenario complesso per ribaltare le convenzioni delle narrazioni massmediali e raccontare in modo diverso un conflitto tuttora in atto, ma dimenticato. L’artista sposta la finalità di utilizzo del mezzo dallo scopo originale di ricognizione e monitoraggio a quello narrativo e artistico. Non essendo più prodotta la pellicola, si confronta con questa tecnologia considerando l’estinzione di un medium e la conseguente perdita di una specifica possibilità di resa visuale. Queste immagini si contrappongono al linguaggio classico del fotoreportage di guerra perché intendono essere anche una riflessione sulla percezione dei fatti determinata dalla tecnologia fotografica.

La serie è realizzata con l’utilizzo di una pellicola fotografica speciale a infrarossi per la ricognizione aerea, la Kodak Aerochrome, dismessa nel 2009, ampiamente utilizzata durante il Secondo conflitto mondiale dall’esercito statunitense per riconoscere la presenza di mezzi militari e di truppe mimetizzate nel paesaggio. La pellicola a infrarossi risponde alla presenza di clorofilla nella vegetazione, traducendola con tonalità tra il rosso, il rosa e il viola, distinguendo l’elemento artificiale da quello naturale e rilevando ciò che non è visibile all’occhio umano. L’effetto è quello di uno stato apparentemente alterato del paesaggio congolese, che si manifesta in una forma quasi surreale, con una gamma di gradazioni differenti a seconda del soggetto impresso. I punti in cui la vegetazione è più secca o priva di vita risultano nell’immagine di un verde acqua tenue,

Tra il 2010 al 2015 trascorre cinque anni in RDC, nella regione del Kivu, durante i quali, oltre alla serie fotografica Infra, realizza l’opera video The Enclave. Una installazione immersiva girata con pellicola infrared in formato video nel territorio di guerra tra il governo centrale della RDC e le milizie locali. L’opera è presentata al Padiglione irlandese della Biennale di Venezia nel 2013. In questi 6


lavori il livello estetico e percettivo è determinato dalla pellicola stessa, che condiziona la ricerca dell’artista e la lettura dell’immagine. Il risultato finale è una visione amplificata che rileva e separa la presenza vitale della natura da quella artificiale dell’uomo, non sempre riconoscibile a occhio nudo. In questa serie Mosse rilegge il paesaggio, lo scenario di guerra, presentandolo sotto una luce diversa, apparentemente alterata, che ne svela dettagli e sfumature.

Impressionano anche le pose ieratiche e statuarie dei combattenti più adulti, che si mostrano con fierezza davanti all’obiettivo, come se dalla resa del ritratto dipendesse l’esito della loro lotta. I volti e i corpi delle persone riprese emergono circondate da un’aura di colore, tra il rosso e il viola, che riporta l’eco delle battaglie in atto, di una guerra che continua. Anche nella serie video di Incoming, realizzata tra il 2016 e il 2017 per raccontare il dramma delle migrazioni in atto nel Mediterraneo, Mosse parte dalla considerazione del medium che sceglie: una termocamera brevettata per usi militari e non professionali, utilizzata nel controllo a lungo raggio dei confini, capace di rilevare il calore del corpo umano a molti chilometri di distanza. Lo strumento misura, senza contatto, la radiazione infrarossa proveniente da un corpo determinandone la temperatura superficiale e consentendo la mappatura della distribuzione termica della scena inquadrata attraverso immagini termografiche.

I giovani, le donne e i bambini da lui ripresi nella serie Infra sono i protagonisti di un dramma in corso, subito e agito, che segue logiche e interessi di potere. Nei colori di una vegetazione rigogliosa, la vita della natura continua, mentre segue il dramma della guerra. Colpiscono le immagini dei bambini soldato, il contrasto tra le loro piccole dimensioni e quelle più grandi delle armi, che tengono in mano con la sicurezza di chi ne è abituato all’uso. I loro sguardi sono quelli di uomini ancora bambini, la cui età traspare solo nel corpo e in un desiderio di evasione, manifestato nelle maglie decorate e nei berretti indossati al contrario, come a voler ridurre la pesantezza di un’esistenza votata alla guerra.

Richard Mosse, She Brings the Rain, North Kivu, Democratic Republic of Congo, dalla serie Infra, 2011 Courtesy of the artist and Jack Shainman Gallery, New York

L’ottica della macchina non è realizzata con lenti di vetro tradizionali, ma con un minerale raro, il germanio, lavorato e trattato in condizioni speciali. La parte frontale dell’obbiettivo ha un diametro di 26 cm e ricorda la forma di un grande cannocchiale.

Richard Mosse, Suspicious Minds, North Kivu, Democratic Republic of Congo, dalla serie Infra, 2012 Miettinen Collection, Berlin-Helsinki

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Richard Mosse, Still from Incoming #88, Lesbos, Greece, 2016 Private Collection SVPL

La macchina ha un funzionamento molto complesso, per nulla intuitivo, non è dotata di pulsanti o anelli di focus e, a questo, si aggiunge il peso di 23 kg che la rende un mezzo difficile da trasportare. Siamo lontani dal concetto di ‘istantanea rubata’ teorizzato dal fotografo Henri Cartier-Bresson nella prima metà del Novecento, per cui la velocità di realizzazione dello scatto si lega alla facile maneggiabilità della macchina fotografica di piccole dimensioni. Se nell’idea di reportage di Cartier-Bresson lo strumento è un mezzo da allineare idealmente alla testa, all’occhio e al cuore per catturare l’immagine ‘perfetta’, l’istante decisivo, capace di restituire l’essenza di un contesto e di un evento, in questo caso la macchina ricorda di più, nella dimensione e nel peso, i primi mezzi fotografici a lastre utilizzati dai viaggiatori dell’Ottocento.

a un controller della Xbox e gestisce le fasi di ripresa interfacciandosi allo strumento come se fosse una console. A seconda del tipo di ripresa, Mosse adatta la macchina all’uso. Per registrazioni in movimento e in loco l’artista, insieme al suo team, setta la macchina con il supporto meccanico da steadycam, che permette di agganciare lo strumento al corpo agevolando così le fasi di utilizzo e trasporto. Il peso totale di tutta la strumentazione, che considera la camera, il pc, i cavi, le batterie, il supporto per trasportarla, gli schermi, arriva a circa 80 kg. La macchina è in grado di registrare gli indici termici, con un tipo di risoluzione e modalità di interazione simili a quelle di un videogioco. Il mezzo che l’artista utilizza è una tecnologia considerata un’arma dalle normative internazionali: un fucile fotografico di rilevamento, in grado di realizzare mappe termiche ad alta risoluzione, capace di riconoscere il calore corporeo di una persona fino a 30 km di distanza, sia di giorno che di notte. Lo strumento, come dichiara Mosse, diventa lo specchio di un tempo, di una situazione di crisi umanitaria in corso.

La stessa complessità nell’utilizzo del mezzo, così come lo stupore davanti alla resa delle immagini, porta questi due risultati tecnologici e di visione, così lontani nel tempo, a essere molto vicini. In entrambi i casi ci troviamo davanti all’intenzione di restituire, prospettive del mondo, del proprio tempo, con una nuova tecnologia. La macchina utilizzata da Mosse ha una struttura disegnata per essere montata su un piano di osservazione e controllata da remoto tramite un computer. Per rendere l’utilizzo più intuitivo e semplice l’artista, con l’aiuto del direttore della fotografia Trevor Tweeten, associa il mezzo

I rilevamenti termici in bianco e nero riportano situazioni in cui è azzerata la riconoscibilità dei soggetti. La forza di questo lavoro risiede proprio nel rendere i soggetti ripresi, in una ricca gradazione di bianchi, neri e grigi, mantenendo però celate le individualità di ciascuno. La sua capacità di penetrazione è direttamente proporzionale al grado di 8


estraniamento che lo strumento restituisce. Il mezzo fotografico realizza mappe termiche in cui i corpi, nelle loro diversità di età e genere, diventano lo specchio di una situazione umanitaria estesa. Per Mosse l’elemento estetico è un fattore importante, che attiva lo sguardo del fruitore oltre la fotografia, verso una prospettiva umana e storica allargata.

corpo delle persone riprese. Nelle immagini si crea una tensione inevitabile tra bellezza e sofferenza. Se, come dichiara Mosse rispetto al lavoro Infra, la bellezza delle immagini arriva in modo immediato e diretto attraverso il colore, in questa serie si crea un’estetica più distante, metallica, scarnificata, monocroma. L’artista parla di un linguaggio estetico del mezzo violento, talmente penetrante da ridurre l’uomo a una traccia biologica. La macchina riporta il nostro tratto più autentico, quello di creature finite e vulnerabili.

Come per la serie Infra, anche in questo caso l’uso di una tecnologia concepita con finalità militari e di controllo è decontestualizzato a favore di un fine artistico e di narrazione. Le immagini rivelano quello che l’occhio umano non potrebbe mai riconoscere. La presenza di un corpo a grande distanza e il suo stato termico sono riconoscibili attraverso il colore: il bianco indica uno stato di calore, mentre il grigio e il nero una condizione più fredda. Questo sistema di visione non è dunque solo un prolungamento dell’occhio ma anche della mano, porta il nostro sguardo a una percezione tattile del

Nell’opera video di Incoming e in quella fotografica della serie Heat Maps, entrambe realizzate con lo stesso strumento, Mosse intende sollecitare una riflessione sulla tragedia dei migranti nel Mediterraneo e sulla percezione di questi eventi da parte dei cittadini europei, da una prospettiva differente. I lavori mostrano il fallimento dell’Europa, colpevole di non aver saputo costruire canali umanitari sicuri, che permettano a queste persone di spo-

Richard Mosse, Souda Camp, Chios Island, Greece, dalla serie Heat Maps, June 2017 MOCAK Collection, Krakow

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Richard Mosse, Skaramagas camp, Athens, Greece, dalla serie Heat Maps, October 2016 Collezione MAST

Nel corpus di opere intitolato Ultra (2018-19), Mosse riflette invece sulla complessità dell’ecosistema della foresta pluviale in Amazzonia, minacciato dall’azione intensiva dell’uomo, attraverso la ripresa di forme della vita vegetale e animale. In questo lavoro indaga le relazioni simbiotiche e l’interdipendenza della foresta, un luogo in costante divenire, dove il mondo naturale si trova a sostenere un ciclo continuo di vita e di morte. Come per i lavori precedenti, anche qui l’artista parte da una riflessione tecnologica, scegliendo di utilizzare una strumentazione fotografica capace di catturare la fluorescenza ultravioletta. Il mondo naturale assume in queste fotografie un aspetto sconosciuto e quasi alieno, attraverso la luce UV nello spettro visibile, che restituisce la superficie di piante e insetti con tinte caleidoscopiche e metalliche. La luce della torcia ultravioletta utilizzata da Mosse amplifica i motivi di mimetizzazione degli insetti, rivelando confini e differenze, quello che l’occhio dell’uomo sarebbe portato a non notare. Le stampe di grandi dimensioni evidenziano il senso di una ‘tecnologia’ naturale che sembra artificiale, in cui i sistemi di mimetismo determinati dalle forme e dal colore, hanno permesso alle diverse specie animali e vegetali di mantenersi e sopravvivere per millenni.

starsi senza rischiare di perdere la vita, oltre a ciò che abbandonano. Mosse documenta le due vie principali che conducono i migranti in Europa: la via dal nord Africa e quella dal Medio Oriente. L’opera video di Incoming è accompagnata da suoni ambientali rilevati e composti dal musicista Ben Frost, che rendono l’opera ancora più avvolgente. La video istallazione ridisegna lo spazio creando, attraverso il suono, l’immagine e gli schermi, un ambiente nuovo e immersivo, in cui il visitatore diventa protagonista di un’ esperienza sensoriale ed emotiva. Con Heat Maps Mosse trascorre gli ultimi anni documentando la crisi dei migranti e dei rifugiati e le condizioni estreme di vita all’interno dei campi profughi situati lungo le rotte migratorie per accedere all’Europa. A partire da ampie vedute panoramiche, risultato di centinaia di foto ad alta risoluzione assemblate digitalmente, l’autore si addentra con lo strumento nella scelta di soggetti isolati e ben leggibili, in relazione al contesto che si trovano a vivere: la migrazione per mare, quella via terra, oppure lo stato di attesa nei campi profughi. Il risultato finale è un mosaico fotografico di numerose prospettive termiche unite in un’unica immagine, che rivela lo stato e la condizione di queste persone.

In queste immagini è evocato un altro dramma, quello della distruzione degli ecosistemi da parte dell’uomo, azione di fronte alla quale le strategie di difesa della natura non possono resistere. In questo caso il lavoro di Mosse restituisce la bellezza di micromondi naturali, nelle loro forme perfette e colorate.

Nel lavoro di Mosse ci sono diversi piani di narrazione che si intrecciano tra di loro e definiscono insieme il corpo e la forza del suo racconto, rivelando una nuova forma di epica contemporanea drammatica, di cui ancora non si vede la fine.

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Richard Mosse, Katydid with Nepenthes, Ecuadorean cloud forest, dalla serie Ultra, 2019 Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid

Dopo aver raccontato la natura da molto vicino, nell’ultima serie, Tristes Tropiques, realizzata nella foresta pluviale brasiliana, l’artista utilizza la tecnica fotografica di rilevamento multispettrale applicandola a un drone, per riportare, con prospettive aeree, i segni dell’azione distruttiva dell’uomo sull’ambiente. In questo lavoro, diversamente dalla serie Infra, il colore rivela la scala di distruzione degli ecosistemi a cui la foresta pluviale sta andando incontro: disboscamento, deforestazione, allevamento intensivo, vaste aree arse da incendi appiccati dall’uomo. Le mappe aeree nelle quali non è visibile l’uomo, mostrano, nel loro grado di astrazione, l’impatto di scelte politiche ed economiche sulla natura.

La tecnologia è il mezzo con cui Richard Mosse costruisce il suo linguaggio poetico, restituendo prospettive visuali della realtà che l’occhio umano non può cogliere. La sua opera racconta processi ciclici che ritornano, nella storia dell’uomo così come in quella della natura, soffermandosi su una condizione sempre in divenire, in cui gli equilibri sono spesso minacciati. L’autore ci ricorda che il compito dell’artista è condurre lo spettatore dentro a nuove possibilità di lettura del nostro tempo e, grazie all’immagine e alla tecnologia, a un nuovo grado di consapevolezza.

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Richard Mosse, Mineral Ship, Crepori River, State of Pará, Brazil, dalla serie Tristes Tropiques, 2020 Courtesy of the artist and carlier | gebauer, Berlin/Madrid

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domande per gli studenti Chi è il fotoreporter? Perché è importante documentare con la fotografia quello che succede nel mondo? Quali strumenti utilizzerà il fotoreporter del futuro?

attività didattica Immagina di essere un reporter inviato su un altro Pianeta e scrivi il tuo reportage.

consigli di lettura Bambini nel mondo, collana di Louise Spilsbury, Ceri Roberts e Hanane Kai, EDT, 2018

Fotografi pronti allo scatto. Le tecniche, i trucchi, i giochi per raccontare con la fotografia, libro di Emanuela Bussolati, Silvia Morara, Editoriale scienza, 2012

Bibliografia: Newhall, Beaumont, Storia della fotografia, Einaudi, Trento, 2006 Richard Mosse , Displaced, Migrazione conflitto cambiamento climatico, Fondazione MAST, 2021 13


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