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APPROFONDIMENTO INSEGNANTI SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO
ANDO GILARDI
FOTOSTORIE D’ARCHIVIO
La scheda si rivolge a insegnanti e formatori di scuole primarie (secondo ciclo), per fornire alcuni approfondimenti teorici a complemento del percorso Fotostorie d’archivio.
A partire dalla mostra Ando Gilardi. Fototeca, una serie di brevi attività per riflettere con gli studenti sul significato delle immagini in relazione al tempo in cui sono state prodotte e sul ruolo della tecnologia nella diffusione di queste. Il percorso Fotostorie d’archivio, accompagnato dalla sezione Approfondimenti per insegnanti, si prefissa i seguenti obiettivi: • • • •
considerare l’importanza dell’archivio come luogo contenitore di storie; stimolare l’osservazione e la descrizione dell’immagine fotografica; creare consapevolezza riguardo alle tecnologie e al loro impatto sul linguaggio visivo; ideare e progettare elaborati, ricercando soluzioni creative originali, ispirate anche dallo studio dell’arte e della comunicazione visiva.
parole chiave
Trasporti. La bicicletta draisina, con propulsione a spinta, senza pedali né freni. Prodotti Liebig: gli alleati fedeli della massaia. Cromolitografia, figurina Liebig della serie “Come viaggiavano i nostri nonni”, n. 4, Italia 1935 2
> Copia > Imitazione > Originale > Stampa > Tecnologia
Imitazione o riproduzione? L’evoluzione dell’immagine nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Ando Gilardi e la teoria del consumo iconico. Prima della parola scritta, l’immagine disegnata, incisa o dipinta, è l’iniziale forma in cui la realtà è tradotta su un supporto materiale, che riflette il sentire e il modo di vedere di chi traccia quei segni, ma anche quello di una cultura e di un tempo. Queste figurazioni non hanno solo una valenza segnica imitativa del reale, ma anche simbolica ed evocativa. Intendono comunicare sensazioni, emozioni e desideri. Le pitture rupestri del Paleolitico superiore imitano il reale e cercano di superarlo, caricandosi di un valore magico e rituale nel quale la natura torna, in una forma diversa, soggettivata, insieme ai processi che permettono all’uomo di controllarla e indirizzarla verso i propri bisogni o desideri. Queste figurazioni prendono corpo all’interno di grotte, si legano alla pietra e di questa ne sfruttano spesso le forme e certe nervature, che entrano a far parte dell’immagine, trasformando il valore del segno.
Perché l’uomo del Paleolitico sente il bisogno di tradurre la realtà con le immagini? Forse perché il linguaggio non è più sufficiente a renderne l’idea e, dunque, sceglie di dare forma a un rituale, traducendo il proprio sentire con una scrittura figurativa che restituisce, nell’immediato, quello che la parola non può esaurire. L’immagine diventa ciò che rappresenta, rimane sulla pietra, e, nel suo essere, attiva un processo di trasformazione del reale. La grotta diventa il corpo della figurazione, un nuovo paesaggio animato, che appare ogni volta in cui la pietra è illuminata dal fuoco delle torce e dalla presenza di chi, guardando quei segni, attribuisce loro un significato. I soggetti disegnati incarnano certi tipi di animali e, al tempo stesso, sono altro, imitano la realtà creandone una nuova. Queste rappresentazioni, nonostante siano così lontane nel tempo, ancora oggi emozionano, perché in quelle forme essenziali si percepisce un nuovo inizio, quello della civiltà, della cultura dell’immagine e del suo potere.
Pittura rupestre risalente al Paleolitico superiore, bisonte, grotte di Altamira, Spagna. Da WikiCommons
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Come scrive il filosofo Walter Benjamin, il valore unico dell’opera d’arte trova una sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha avuto il suo primo e originario valore d’uso. Le opere d’arte più antiche nascono in relazione a un rito, prima magico e poi religioso. Gli animali disegnati sulle pareti della caverna nell’età della pietra diventano quindi strumenti magici di connessione. L’unicità di queste tracce, l’aura dell’opera, come la definisce Benjamin, ne accresce il potere evocativo, legato al hic et nunc (“il qui e ora”), all’esistenza unica e irripetibile nel luogo in cui si trova, che può venir meno nell’epoca della riproducibilità tecnica. Per Benjamin, la scomparsa dell’aura dell’opera d’arte è una caratteristica dell’epoca delle masse, nella quale si definisce anche una nuova percezione del mondo. Il concetto di aura si lega quindi a una dimensione spazio-temporale precisa, in relazione alla quale si colloca il fruitore. Gli antichi greci conoscevano procedimenti per la riproduzione tecnica delle opere, come la fusione e il conio per la produzione di monete. Tutti gli altri manufatti erano unici e tecnicamente non riproducibili.
Da questa prima forma di scrittura, il disegno e la pittura si evolvono nel corso dei millenni, nello stile e nella tecnica, riflettendo così non solo la storia dell’uomo, ma anche quella della tecnologia. Dalla pietra come supporto, si passa ad altre superfici: legno, argilla, carta, tela, vetro, metallo, fino ai tessuti, cui corrispondono altrettante tecniche di lavorazione dei pigmenti (polveri fini di composti organici o inorganici) per la distribuzione del colore, tramite fluidi e leganti. L’immagine è sempre il risultato di una cultura e di un tempo storico preciso, ma anche di una tecnica con cui la si traduce. La visione di queste prime grandi pitture rupestri, così come per gli affreschi realizzati all’interno di chiese o palazzi, implica necessariamente un viaggio verso le immagini, nei luoghi che le contengono e le definiscono. È l’uomo che va verso le raffigurazioni per vederle e goderne e non il contrario. Il processo opposto avviene con l’evoluzione tecnica che determina l’incremento della produzione e, di conseguenza, di diffusione delle immagini.
Come sostiene il sociologo Marshall McLuhan, lo sviluppo della tecnologia crea una nuova domanda e, di con-
Orzo. Pagina intera da “Dei discorsi nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della Materia Medicinale”, a cura del medico e fitologo Pietro Andrea Mattioli (Siena 1501 - Trento 1578). Illustrazioni di Giorgio Liberale da Udine e Wolfgang Meyerpeck, da una edizione stampata Venezia da Marco Ginammi, xilografia, 1645 4
Cereali. Tavola raffigurante le spighe di cereali commestibili a confronto: frumento, segale, spelta, farro in diverse varietà. Incisione su metallo, Italia 1900 circa
seguenza, nuovi bisogni. Secondo McLuhan, l’artista è il solo che riesce a sfuggire alla violenza della tecnologia. Il medium plasma l’azione dell’uomo e, al tempo stesso, ne è una sua estensione, condiziona l’agire e la percezione della realtà diventando il messaggio. L’uomo è quindi costantemente modificato dall’uso della tecnologia che produce.
diventa ben presto molto popolare. La matrice in legno, incisa con strumenti affilati e appuntiti, come sgorbie e punteruoli, consente di produrre un numero piuttosto alto di copie, l’unico limite è l’usura del supporto. Grazie a essa, nella metà del Quattrocento, vengono stampati libri (incunaboli), carte da gioco, caricature e immagini religiose. Inizia così ad essere messo in crisi il concetto di unicità dell’opera.
La stampa è tra le prime e più antiche tecniche di diffusione delle immagini e dei testi scritti. Anche questa ha subito nel tempo un’evoluzione che ha portato alla realizzazione di altre matrici, con cui produrre le copie, sempre più dettagliate e ricche, nonché resistenti. L’evoluzione tecnologica ha permesso, parallelamente alla possibilità di lavorare nuovi materiali, di perfezionare e accrescere il numero delle copie prodotte e, quindi, la diffusione delle opere. La xilografia, dal greco xilo (legno) e – grafia (scrittura), letteralmente scrittura su legno, è una tecnica di stampa per la produzione di testi e disegni in serie tra le più antiche, nota in Cina fin dal VI sec d.C., si diffonde in Europa a partire dal XIV secolo. Il metodo, poco costoso,
Nel XV secolo, l’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Johannes Gutenberg, porta il libro a diventare uno dei primi prodotti di massa. Prima dell’invenzione dei caratteri mobili le stampe dei testi venivano realizzate con matrici xilografiche, che si usuravano molto più velocemente. La nuova invenzione consente di aumentare non solo la qualità della stampa, ma anche il numero delle copie prodotte, portando a una diffusione ancora maggiore dei testi. La carta stampata è il primo e più antico supporto che consente di diffondere testi e immagini. Sempre nel XV 5
Fraisier Perpetuel Ananas. Semis, France (plein air). Illustrazione di P. Stroobant, stabilimento litografico L. Stroobant. Tavola litografica a colori dall’opera “Revue de l’Horticulture Belge et Etrangère”, di A. Verschaffelt, Belgio, Gand 1867
Manifesto pubblicitario per l’uva da tavola prodotta da Fratelli Perino Torino. Illustrazione di Gian Rosa, Italia, fotolitografia, Torino 1951
secolo si assiste a un ulteriore miglioramento delle tecniche di stampa con l’invenzione dell’incisione calcografica, nella quale è utilizzata una matrice in metallo, di rame o zinco. Il segno che delinea l’immagine può essere molto più sottile di quello delle stampe xilografiche perché realizzato con punte o incisioni chimiche del metallo che non creano fragilità nella matrice, capace di sopportare, più di quella di legno, la pressione del torchio. Rispetto alla xilografia, la stampa calcografica permette di ottenere immagini più dettagliate e un numero di copie molto più alto, grazie alla maggiore resistenza della matrice.
riproducibile. Alla fine del XVIII secolo, l’invenzione del procedimento di stampa litografico, da parte dell’austriaco Alois Senefelder, consente di incrementare ulteriormente il numero di copie prodotte utilizzando la stessa matrice.
Si assiste così a un ulteriore incremento nella diffusione delle immagini attraverso cui, come sottolinea lo storico dell’arte Ernst Gombrich, l’arte del Rinascimento italiano si impone nel resto d’Europa. Queste stampe diventano un nuovo mezzo di confronto tra gli artisti. Sono le loro scelte e sperimentazioni a determinare anche un’innovazione delle tecniche. Proprio grazie a loro comincia a definirsi una nuova riflessione rispetto al valore dell’opera
Ma è solo con l’invenzione della fotografia agli inizi dell’Ottocento che si entra di fatto nell’Era della diffusione globale dell’immagine. Anche la parola fotografia deriva dal greco: phos (luce) e - grafia (scrittura), letteralmente scrittura di luce. Come scrive Benjamin l’effetto shock della fotografia è la resa fedele del reale. La prospettiva riprodotta, per la prima volta nella storia dell’uomo, non è più il risultato di un processo imitativo
Dal greco lithos (pietra) e – grafia (scrittura), letteralmente scrittura su pietra, questo procedimento di stampa prevede l’utilizzo di una matrice di pietra. Essendo questa molto resistente, è possibile realizzare tirature più ampie della calcografia e della xilografia.
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manuale ma di uno ottico, tecnologico e chimico, che permette l’impressione della traccia del reale in automatico su una superficie fotosensibile. Anche per la fotografia le tecniche e i supporti evolvono e cambiano nel corso del tempo. Dalle lastre di stagno sensibilizzate con il bitume di Giudea da Joseph N. Niépce ed esposte all’interno di una camera ottica, alle piccole lastre di rame placcate d’argento sensibili alla luce di Louis Daguerre, fino ai calotipi su carta di Henry Fox Talbot e ai positivi diretti di Hippolyte Bayard, nel giro di pochi anni la fotografia muta notevolmente, passando da monotipica (immagini uniche) a riproducibile in serie, con l’invenzione del negativo. I tempi di posa si riducono enormemente, dalle ore di esposizione delle prime eliografie realizzate da Niépce, ai 15 minuti con il daguerrotipo, fino ad arrivare a tempi di scatto velocissimi, sotto al secondo, già nella seconda metà dell’Ottocento, con la cronofotografia. Cambiano le tecnologie, le tecniche e i supporti, ma quello che non muta nel tempo è la natura dell’immagine fotografica, che rimane e sarà sempre una scrittura di luce.
Con la fotografia le prospettive del mondo iniziano a essere condivise e diffuse. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento cresce il numero di atelier fotografici nelle città, per la stampa e la vendita di apparecchi. La fotografia diventa sempre più alla portata delle persone, sia da un punto di vista economico che tecnico e, di conseguenza, aumenta la produzione stessa di immagini, anche ad opera di non professionisti. Con la possibilità di stampare le fotografie sui giornali, agli inizi del Novecento, la diffusione dell’immagine del reale diventa letteralmente globale. Comincia a definirsi un credo: se è stato fotografato, esiste. Ma è davvero così? Questo porta a riflettere sulle possibilità creative e comunicative del mezzo e sulla natura potenzialmente infedele dell’immagine fotografica. I fotografi e gli artisti intuiscono molto presto che la fotografia è solo una mezza verità, alla quale si possono aggiungere altre informazioni: di tipo grafico visuale, scritte direttamente sull’immagine tramite interventi sul negativo o positivo, ma anche testuale. Una didascalia in relazione alla fotografia può cambiare il senso di ciò che l’immagine mostra.
Ando Gilardi. Mondine delle noci, al lavoro sulla pulitura dal mallo. «La monda delle noci è la principale occupazione dell’entroterra napoletano: dopo quello delle mondatrici dell’uva da tavola, anche questo delle mondanoci è un lavoro assai poco conosciuto…». Testo e immagini da: “La Monda delle Noci”, fotoinchiesta per il periodico “Lavoro”, realizzata in Italia a Qualiano (Napoli), 3 ottobre 1954 7
Figli di agricoltori. Bambini in posa con grandi grappoli di uva da tavola, dopo la vendemmia. Fotografia ricordo di anonimo, Italia 1920 – 1930
Ando Gilardi. Giovanissima raccoglitrice di olive in Calabria, pur continuando il suo lavoro di raccolta chinata a terra, alza lo sguardo verso il fotografo. Fotografia tratta da “Inchiesta tra gli ulivi” fototesto pubblicato in tre puntate a partire dall’1 dicembre 1957, sul periodico “Lavoro”, contestualmente all’indagine condotta da una commissione sindacale per verificare le condizioni di vita e di lavoro delle 400.000 raccoglitrici di olive nel Mezzogiorno. Italia, Catanzaro, novembre 1957
di tutto la storia di una matrice, che chiama supermatrice, nella quale confluiscono tutte le possibilità grafiche delle matrici manuali precedenti (xilografia, calcografia, litografia) per la fabbricazione delle immagini di consumo. In base a questo principio, ogni nuovo mezzo di fabbricazione delle immagini non solo aumenta la qualità delle stesse, in termini di informazioni ed effetti, ma rende il processo più conveniente perché dispone di tutta l’eredità dei precedenti, cui aggiunge il proprio specifico contributo. Lo stesso è avvenuto con il passaggio dall’analogico al digitale. Gilardi evidenzia come, con il definitivo prevalere della supermatrice fotografica su ogni altra, la trasmissione dei messaggi visivi attraverso i canali del nuovo mezzo diventi continua e il consumo delle immagini si trasformi in consumismo. Le immagini sono infatti il primo prodotto diffuso su larga scala dalla nuova civiltà industriale.
Fino agli anni Settanta del Novecento la fotografia è di tipo analogico, ovvero mantiene una matrice, il negativo fotosensibile, con cui è possibile stampare un numero molto alto di positivi. Grazie all’ingrandimento, il negativo permette di ottenere dimensioni notevolmente maggiori rispetto alla matrice originaria impressa. Il fototipo negativo è l’unica matrice della storia di questo mezzo che ha consentito di produrre una stampa, sensibile, più grande rispetto alla traccia originaria. Tra gli autori che più hanno riflettuto sul livello polisemantico dell’immagine e sulle possibilità espressive e narrative della fotografia e del mezzo fotografico, c’è Ando Gilardi (1921-2012), fotografo, grande sperimentatore e studioso impegnato che a questi temi ha dedicato tutta la vita. Nei suoi scritti Gilardi sottolinea come il negativo, oltre a essere un mezzo semplice e veloce di riproduzione del reale, permette di trasportare l’immagine stessa da un luogo a un altro, determinando, a partire dal Novecento, la crescita esponenziale non solo della produzione di immagini, ma anche del loro consumo. Per l’immagine fotografica, molto più che per quella dipinta, disegnata o stampata, vale secondo l’autore la legge da lui chiamata di Newhall, in virtù della quale vedere l’immagine ottica significa vedere realmente la cosa davanti a sé: non l’imitazione del reale, ma la sua riproduzione, la traccia effettiva della sua presenza. Per lui la storia della fotografia è prima
Anche per la fotografia, la carta è inizialmente la condizione d’esistenza essenziale dell’immagine, il supporto attraverso cui si garantisce una sua diffusione. Questo aspetto muta con l’invenzione e lo sviluppo del digitale negli anni Ottanta e Novanta del Novecento. Si assiste alla smaterializzazione della matrice: il negativo scompare a favore di un file immateriale composto da una sequenza numerica binaria di 0 e di . Rispetto al negativo analogico,il file digitale consente di ottenere un numero praticamente infinito di repliche della fotografia realizzata. 8
Ando Gilardi. Bambina. Bambina sorridente al lavoro dietro un minuscolochiosco di dolciumi: caramelle, biscotti, blocchetti di cioccolato, torroncini etc. Palermo 1955 circa
Questo porta a un forte aumento nella produzione di immagini che si incrementa in maniera esponenziale con l’invenzione del Web e, successivamente, dei social network. Lo scambio istantaneo di informazioni attraverso la rete permette una comunicazione inedita nella storia dell’uomo, nella quale l’immagine prevale sulla parola. Ogni giorno sono miliardi le fotografie realizzate, condivise e caricate in rete, che avvalorano la massima gilardiana secondo la quale “esistono più immagini di elefanti che elefanti”. Questo accumulo costante e crescente di informazioni porta a un consumo bulimico di immagini nel quale si perde la consapevolezza del loro significato e valore: l’eccedenza di informazione si trasforma in non informazione. Nell’Era digitale la possibilità di intervento e di modifica dell’immagine fotografica, e con questo la sua diffusione, è sempre più alla portata di tutti. I produttori aumentano in proporzione all’incremento delle tecnologie immesse sul mercato. Questa moltiplicazione della copia ha raggiunto oggi il suo apice con la rete digitale globale, che mantiene e alimenta un processo apparentemente senza fine. Esisteranno dunque sempre più immagini di elefanti che elefanti. Per Gilardi, l’immagine è come una goccia d’acqua in un grande fiume dell’informazione visiva, non si ferma, continua a scorrere e nel futuro la stessa può essere “bevuta” per soddisfare la sete di altre e diverse necessità illustrative.
Studiare le immagini significa riflettere sul loro significato, in relazione al tempo nel quale sono state prodotte. Gli archivi sono i luoghi della memoria in cui conservare, custodire e tutelare queste tracce tecniche di tempo e di storia, necessarie per accrescere il patrimonio della conoscenza. La Fototeca Gilardi ne è un prezioso esempio. Resta da chiedersi come si evolveranno le immagini nel futuro, quelle di consumo così come le opere d’arte, il modo di produrle e fruirle e, con queste, gli archivi e i musei che le raccoglieranno per tramandarne la storia.
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domande per gli studenti Che cosa ha comportato la diffusione delle immagini, nel passato così come nel presente? Perché i giornali preferiscono la fotografia all’illustrazione disegnata? In che modo l’utilizzo delle immagini e la loro diffusione hanno influenzato il mercato alimentare?
attività didattica Scegli una delle seguenti immagini tratte dall’archivio di Ando Gilardi (link), con tema il cibo, e reinterpretala dandole una nuova valenza e un nuovo significato. Modifica l’immagine utilizzando programmi di postproduzione (Photoshop, Snapseed o altro) oppure intervenendo direttamente sulla copia stampata. Dai poi un titolo al tuo lavoro e presentalo in classe.
consigli di lettura Ando Gilardi, Meglio ladro che fotografo, Mondadori, 2007
Bibliografia: Benjamin, Walter, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi McLuhan, Marshall, Gli strumenti del comunicare, Net Gombrich, Ernst, La storia dell’arte, Phaidon Gilardi, Ando, Storia sociale della fotografia, Feltrinelli Gilardi, Ando, Meglio ladro che fotografo, Mondadori Photo Credits: Le immagini sono state fornite dalla Fototeca Gilardi. 10