Guida "I Borghi più belli d'Italia"

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I Borghi più belli d’Italia IL FASCINO DELL’ITALIA NASCOSTA

GU I DA 2012

SOCIETÀ EDITRICE ROMANA

www.editriceromana.com







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PIEMONTE www.regione.piemonte.it

11 BORGHI

Vogogna Macugnaga

Orta San Giulio Ricetto di Candelo Usseaux

Ostana Chianale

Garessio

Volpedo Neive Mombaldone


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CHIANALE

PIEMONTE

L’ultimo villaggio della valle CHIANALE nel Comune di Pontechianale (Provincia di Cuneo) ALTITUDINE m. 1797 s.l.m. ABITANTI 214 PATRONO Sant’Antonio, 17 gennaio. San Lorenzo, 10 agosto. INFORMAZIONI TURISTICHE Pro Loco Pontechianale, piazza Municipio 1, tel./fax 0175 950128. Comune di Pontechianale, piazza Municipio 1, tel./fax 0175 950340 - 950174. COME SI RAGGIUNGE In auto: Autostrada A6 Torino-Savona, uscita Marene SS 662 fino a Savigliano SP fino a Costigliole Saluzzo SP della Val Varaita. In treno: Da Torino Stazione FS di Saluzzo, pullman fino a Chianale (Autolinee ATI, tel. 0175 43744). DISTANZE IN KM Torino 110, Cuneo 70, Saluzzo 55, Briançon 77. INTERNET www.comune.pontechianale.cn.it

Lo Spirito del Luogo Il nome Chianale, o meglio La Cianal in lingua occitana, significa canale, alludendo a un’opera di canalizzazione del torrente Varaita tra le case. Vi è anche chi sostiene che la cianal anticamente indicasse la sorgente stessa del fiume.

e il confine tra i due Stati è posto in cima al colle dell’Agnello, a 2748 m di quota. 1891, il villaggio de La Cianal conta ben 449 abitanti, a fronte delle poche decine di oggi. La comunità detiene il triste primato dello spopolamento in tutta la Val Varaita.

La storia

Il genius loci

X sec., alla fine del primo millennio l’Alta Valle Varaita (abitata sin dalla preistoria) subisce le incursioni e le razzie dei Saraceni, la cui cacciata è rimasta nella tradizione popolare con le feste della “Baìo” di Sampeyre e la “Beò” di Bellino. 1125, la Val Varaita è assegnata ai marchesi di Saluzzo. 1210, la contessa Alasia cede tutta la zona al Delfinato francese. 1363-1713, la “Castellata”, ossia l’Alta Val Varaita con i paesi di Chianale, Pontechianale, Casteldelfino e Bellino, per quasi quattro secoli è territorio del Delfino di Francia e gode di un’autonomia unica per quei tempi: la République des Escartouns. Con il Trattato di Utrecht la zona è ceduta ai Savoia

A 1800 metri d’altitudine, al confine con la Francia, in fondo alla Val Varaita di cultura occitana, si trova questo villaggio dal cuore d’ardesia, con i suoi tetti di lose, le sue pietre, i suoi legni, le vecchie travi. Les montagnards sont là. La posizione è magnifica, al riparo dalle valanghe. A Chianale si respira tutto il profumo delle Alpi, quando l’aria di neve spazza via i pensieri sotto un cielo color dell’acciaio; quando il silenzio scende sulle case intorpidite che sembrano stringersi tra loro come a tenersi caldo. I larici riposano come carezze nella neve e l’allegria scaccia la solitudine vicino al fuoco amico del camino. La cultura provenzale, orgogliosamente esibita dai pochi abi-


I Borghi più belli d’Italia tanti rimasti, riporta al tempo dei trovatori, che forse nella bella stagione componevano versi e musica nell’Alevé, il bosco di pini cembri più grande d’Europa, sulle pendici del Monviso. Attraversato dallo Chemin Royal che portava in Francia, il villaggio fu solo sfiorato dalle guerre di religione, e il tempio calvinista e la chiesa cristiana stavano senza problemi l’uno di fronte all’altra.

Da vedere L’Alta Val Varaita si chiude a Pontechianale (m 1610) con il suo lago circondato da boschi e pinete. Poi si sale ancora e si arriva al villaggio in pietra di Chianale, quasi 1800 m, la cui struttura è centrata sull’asse dell’antico Chemin Royal, la strada del sale che portava in Francia. Proseguendo da Chianale, infatti, attraverso una spettacolare arrampicata sino a 2748 m, che l’automobile può affrontare solo d’estate, si raggiunge il colle dell'Agnello da dove si scende nella regione del Queyras. Il borgo di Chianale è diviso dal torrente Varaita in due nuclei collegati tra loro da un ponte in pietra, vero cuore del borgo. Il ponte si trova in corrispondenza di una piccola piazzetta con fontana su cui si affaccia l'antica Chiesa di Sant’Antonio. Sorta nel XIV secolo, è stata la Parrocchiale di Chianale dal 1459 fino a tutto il Seicento. Semplice e armoniosa, con campanile a vela biforato e un portichetto d’ingresso, presenta un meraviglioso portale romanico a triplice ghiera. L'interno è ad aula con volta a botte. Gli archi trasversali sono retti da mensole scolpite con espressivi mascheroni e têtes coupées che rimandano all’arcaico substrato celtico. Sullo Chemin Royal, asse centrale del borgo, l'edificio al n. civico 17, Casa Martinet, è ciò che resta del Tempio Calvinista. Chianale fu, per buona parte del Seicento, fino alla vigilia della revoca dell'Editto di Nantes, l'unico centro della valle in cui fosse consentita la libertà di culto. Si noti sulla facciata la bifora con le armi di Francia e Delfinato. Al di là del Varaita si leva, invece, la più recente Parrocchiale di

San Lorenzo, costruita tra Sei e Settecento, che conserva all'interno un altare barocco di tradizione brianzonese del 1726, appoggiato a quattro massicce colonne tortili di pino cembro e frutto di uno splendido lavoro di intaglio. Il patrimonio architettonico delle valli alpine è stato spesso declassato a cultura povera. Non è difficile, al contrario, osservare anche in Alta Val Varaita piccoli capo-

lavori di architettura contadina sparsi qui e là, nelle borgate e nelle zone più impervie: ad esempio, case con un’articolazione di piani e un gioco di aperture estremamente originali, esatte nelle proporzioni e disposte funzionalmente in modo da fronteggiare i rigori del clima. Da ammirare, infine, a Chianale i bellissimi tetti in lose delle abitazioni, che visti dall’alto rendono compatto e suggestivo il borgo.


CHIANALE Piaceri e Sapori

IL PRODOTTO DEL BORGO Un tempo la valle era nota, e La Cianal in particolare, per il miele e l’artigianato del legno. Oggi si continuano a produrre ottimi formaggi d’alpeggio.

IL PIATTO DEL BORGO Les Ravioles: gnocchi di patate locali impastate con formaggio e condite con burro fuso Polenta Concia Cruzetin: gnocchetti aciduli di farina di segale.

ALTRI MOTIVI DI APPREZZAMENTO Disteso sulle pendici del Monviso, si trova l’Alevè, il bosco di cembri più esteso delle Alpi: 825 ettari ricchi di piante secolari. Il nome deriva da elvu, pino cembro in lingua d’oc. Il bosco dell’Alevè è dunque un gioiello antico, che per circostanze fortuite è rimasto quasi intatto. Esisteva già in epoca romana, citato da Virgilio nell’Eneide (il Monviso “ricoperto da una foresta di pini”); se ne parla anche negli Statuti Piemontesi del 1200 e in quelli della Castellata, dove si fa divieto assoluto di tagliare qualsiasi specie di legname. Oltre all’Alevè, l’Alta Val Varaita ha saputo conservare un ambiente dove il fascino dell’architettura alpina si sposa con la possibilità di godere della natura in tutti i suoi aspetti. Innumerevoli, infatti, sono i percorsi naturalistici, i sentieri, le escursioni in alta quota che conducono in posti incantevoli quali laghi, cascate, boschi, alpeggi. Tra i più frequentati trekking dell’arco alpino occidentale c’è quello che tocca Val Varaita, Val Po e Valle del Guil consentendo di ammirare il Monviso in tutta la sua imponenza (Guide di montagna del Monviso, tel. 0175 945857). È consigliabile, infine, seguire il percorso delle antiche case contadine. La Comunità Montana (tel. 0175 977152) ne ha selezionate 18 in tutta la valle: un itinerario suggestivo alla scoperta di portali, balconi, pitture murali, meridiane solari e le misteriose têtes coupées scolpite nella pietra, di origine celtica.

EVENTI Festa di Sant’Antonio, 17 gennaio: è la festa invernale, dedicata secondo tradizione alla benedizione degli animali, quando il borgo è sepolto dalla neve. Carnevale, da poco riscoperta a Chianale, questa festa pagana vede il ritorno dei lupi, impersonati da uomini che seguono un cerimoniale fissato dalla tradizione, in base al quale le donne devono rimanere chiuse in casa, pena il rischio di essere sporcate in viso con la fuliggine. Ma la sera tutti si riuniscono a cantare e ballare al ristorante.

OSPITALITÀ AGRITURISMI

Agriturismo Pra Mourel 118, Frazione Chianale 12020 Pontechianale tel. 0175 950127 cell. 340 7257983 www.chianale.it brigitte.perrimond@chianale.it

Festa di San Lorenzo, 10 agosto: la processione con la statua del santo è l’occasione per l’intero paese di indossare i costumi tradizionali e festeggiare con canti, danze e la mostra dei prodotti della valle, dall’artigianato del legno al miele, le marmellate e i formaggi.

DIVERTIMENTI In inverno, scalate alle cascate di ghiaccio e sci nordico. In estate, pesca nel torrente Varaita; canoa e windsurf sul lago di Pontechianale; escursioni e ascensioni nel gruppo del Monviso con guide alpine convenzionate; trekking e passeggiate naturalistiche per conoscere la flora e la fauna nel bosco dell'Alevé; mountain bike ed equitazione.

Azienda Agricola Le Chemin Royal Fraz. Chianale 41, tel. 347 7972813 angelo.chaix@alice.it



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LIGURIA www.regione.liguria.it

19 BORGHI

Campo Ligure

Millesimo Varese Ligure Castelvecchio di R. Barbena

Noli

Finalborgo Verezzi Zuccarello Laigueglia Castelbianco Triora Cervo Lingueglietta Apricale

Vernazza

Brugnato Tellaro

Moneglia Montemarcello


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APRICALE Il bacio della pietra con il sole

LIGURIA

COMUNE DI APRICALE (Provincia di Imperia) ALTITUDINE m. 291 s.l.m. ABITANTI 580 PATRONO La Madonna, 8 settembre (Natività). INFORMAZIONI TURISTICHE IAT via Roma 1, tel. 0184 208641. Comune via Cavour 2, tel. 0184 208126 fax 0184 208508. COME SI RAGGIUNGE In auto: Autostrada dei Fiori, uscita Bordighera o Ventimiglia. In treno: stazione FS di Ventimiglia. DISTANZE IN KM Nizza (aeroporto) 56, Imperia 55, Montecarlo 38, Sanremo 30, Mentone 25, Bordighera 14, Ventimiglia 14. INTERNET www.apricale.org apricale@apricale.org

Lo Spirito del Luogo Il nome Deriva da apricus, cioè soleggiato, esposto al sole. Protetto dalle Alpi Marittime, il borgo sorge infatti in felice posizione tra i boschi di ulivi dell’estremo lembo della Liguria al confine con la Francia, godendo di un ottimo clima.

La storia XIV-XIII sec. a.C., nella tarda età del bronzo esiste già un insediamento di Celti-Liguri. 180 a.C., risalgono a questo periodo i primi accampamenti romani nella zona di Ventimiglia. X-XI sec. d.C.: il castello sul roccione chiamato Apricus è fondato intorno al Mille dai conti di Ventimiglia, mentre un secolo dopo il paese prende la forma attuale, con un primo nucleo di case e capanne disposte lungo i fianchi del roccione. 1092, compare in un atto notarile la prima citazione del villaggio di Apricale, che è costituito Comune intorno al 1200. 1267, gli Statuti rurali in pergamena, recentemente restaurati, sono il fiore all’occhiello della millenaria storia di Apricale. Le norme in essi contenute - un misto di diritto romano e germanico - forniscono il ritratto della vita nel borgo nel XIII secolo. Ogni abitante doveva andare a messa nei giorni festivi, gli omicidi venivano sepolti vivi con le loro vittime, le adultere decapitate. 1270 ca., Apricale entra nel feudo dei Doria di Dolceacqua e vi resta per cinque secoli con la breve parentesi dei Grimaldi di Monaco nel XV sec. 1491, in un documento si fa riferimento alla “piazza nuova” che diventa il vero centro del paese.

XVIII sec., gravi difficoltà economiche colpiscono il Comune, sconvolto dalla partecipazione alle spese di guerra da gelate (1709), siccità (1718), peste (1720) e carestia (1735). 1795, nel periodo napoleonico un commissario requisisce le campane in tutta la vallata e proibisce le processioni, gli accompagnamenti per i funerali e il viatico agli infermi. 1815, Annessione al Regno di Sardegna.

Il genius loci Apricale sta tutta in questi pochi versi di Rita De Santis: “Aggrappata al filo del monte / sgrani il tuo rosario di case / aspettando che la sera / azzurri la tua voglia di vivere” (Il Vento e la Primavera). La sua bellezza è già nel colpo d’occhio: arroccato alla ripida collina, con le case scure, sembra un paese del Duecento. Poi si entra nel borgo, e i tipici carugi di pietra, con le tre antiche porte ancora intatte, confermano l’atmosfera medievale.


I Borghi più belli d’Italia

Su tutto, domina il castello della Lucertola: tradizione vuole che essa sia il simbolo dei Celti-Liguri qui insediatisi, comandati dal re Avrigallus e detti anche “mercanti del Chiardiluna” (commerciavano in sale, ambra e metalli e seppellivano i morti sotto tumuli di pietre). è la lucertola, dunque, il genius loci di Apricale: ne simboleggia l’origine e la posizione soleggiata.

Da vedere Apricale è unica. Disposta scenograficamente intorno alla piazzetta, ha un’anima a scale, con i vecchi edifici in pietra che si sviluppano in altezza su più piani: capita così che l’ingresso sia posto al piano alto e si debba scendere le scale per accedere alle stanze. Apricale significa poesie fatte in strada, atelier di artisti, rifugio di viaggiatori che hanno trovato il locus amenus in cui dare ascolto ai folletti o alla civetta nel bosco. Claudio Nobbio, il “poeta di Avrigue”, racconta in versi i miti di Apricale: la misteriosa lucertola che dà nome al castello, rinvenuta, sotto forma di vecchio metallo arrugginito, nel cerchio di pietre di Pian del Re, dove si era fermato il re dei Celti; il “trombettiere di Apricale” John Martin, soldato del generale Custer e unico sopravvissuto al massacro di Little Big Horn; l’arrivo di alcuni templari scappati dalla Provenza e nascosti nella torre. “La notte potrebbero esserci stelle / sopra la piazza di Avrigue / per farti ritrovare la strada / dei tuoi pensieri”: la splendida piazza, con la fontana di origine gotica e i sedili in pietra, è il

cuore del borgo, attorniato da uno stupefacente agglomerato di case, vicoli, scalinate, contrafforti, sottopassi e orti. Bello è soprattutto il reticolo dei vecchi carruggi in pietra (vie Mazzini, Castello, Cavour), angusti vicoli lastricati dall’andamento sinuoso e collegati da ripide scalinate. Alle spalle della piazza sorge l’Oratorio di San Bartolomeo, al cui interno si ammira un bel polittico rinascimentale raffigurante la Madonna della Neve (1544); di fronte, la Chiesa Parrocchiale, di origine medievale ma quasi interamente rifatta nel XIX secolo; in alto, il Castello della Lucertola, completamente restaurato e adibito a contenitore culturale: contiene un giardino pensile ed è circondato - come la parte più alta del borgo - da una notevole cinta muraria con tre belle porte ad arco, mentre una delle torri quadrangolari del maniero è stata successivamente

trasformata nel campanile della Chiesa Parrocchiale. Da vedere, infine, ai piedi del borgo, la Pieve di Santa Maria degli Angeli, con pregevoli affreschi rinascimentali e barocchi e, appena fuori, la Chiesa di Sant’Antonio Abate, del XIII secolo con facciata barocca, e le rovine di San Pietro in Ento, pieve romanica di origine benedettina, il più antico edificio di culto del territorio. Apricale non disdegna però il tocco artistico della contemporaneità: la bicicletta sul campanile, i murales sui muri dei carruggi, le pagine d’acciaio del monumento al libro di Enzo Pazzagli e Claudio Nobbio. Quest’ultimo, così scrive: “Dio pagano che abiti qui / tu che controlli i rintocchi delle campane / tu che governi il crescere dell’erba / nelle fasce a terrazze / della Liguria più nascosta / tu che leggi negli occhi delle volpi di notte / Che cavaliere sono io / se ho perso tanto tempo / prima di entrare nel profondo del cuore / della valle del Nervia”.


APRICALE Piaceri e Sapori

IL PRODOTTO DEL BORGO Città dell’Olio, Apricale è terra di taggiasca, l’oliva che dà origine a un extravergine di eccezionale qualità. Dai produttori locali si trovano anche pâté d’olive, olive in salamoia, pesto, miele d’acacia e di castagno.

Torneo del pallone elastico, 20 giugno-20 luglio. E le stelle stanno a guardare, rassegna di teatro itinerante con la Compagnia della Tosse di Genova. Scenografie di Lele Luzzati: il paese si trasforma in palcoscenico, 1-16 agosto.

IL PIATTO DEL BORGO Il menu di Apricale comincia con un antipasto di verdure ripiene (fiori di zucca, torta verde, sardenaira), prosegue con un primo piatto di ravioli (di carne, borragine o bietole) o con i tagliarini al pesto, mentre per i secondi la scelta è tra cosciotto d’agnello al forno, coniglio con le olive cotto nel vino Rossese e cinghiale con polenta. Come dessert, pansarole e zabaione.

Festa patronale della Natività di Maria, processione per le vie del borgo con banda musicale, 8 settembre. Sagra della Pansarola, protagonista il tipico dolce apricalese, prima o seconda domenica di settembre. Falò di Natale, fuochi accesi nella piazza del borgo, dalla vigilia di Natale all’Epifania.

OSPITALITÀ ALBERGHI

Apricus Locanda via IV novembre 5, tel. 339 6008622 www.apricuslocanda.com apricuslocanda@libero.it OSPITALITÀ BED & BREAKFAST

B&B Da Giuà P.zza Vittorio Emanuele II° 7, info@dagiua.it www.dagiua.it tel. 0184 208555 La casa dei nonni, entri da Ospite ed esci da Amico...

MUSEI E GALLERIE D’ARTE ALTRI MOTIVI DI APPREZZAMENTO Apricale è il primo Comune della provincia di Imperia, e uno dei primi in Italia, ad aver ottenuto insieme le certificazioni per l’ambiente, la qualità e la sicurezza. Il riconoscimento è arrivato alla fine di un lungo percorso, di protezione e valorizzazione del territorio.

EVENTI Mostre d’arte al Castello della Lucertola, gli eventi qui ospitati sono sempre di grande spessore culturale, come le manifestazioni del “Solstizio d’inverno” (da dicembre a febbraio) o le mostre in collaborazione con la Fondazione Maeght di Saint Paul de Vence (Francia), in genere dedicate a noti esponenti dell’arte francese o internazionale contemporanea. A come Amore ad Apricale, romantico itinerario gastronomico-musicale nella settimana di San Valentino. Festa dell’Olio Nuovo con i produttori locali, febbraio.

Castello della Lucertola, via Castello, museo e mostre d’arte tutto l’anno. Maggio-giugno ore 15-19 (no lunedì), luglio-agosto 16-19, 20-22 (domenica anche 10.30-12). Restanti mesi: tutti i giorni 14-18, escluso lunedì, domenica anche 10.30-12. Da vedere: gli Statuti Comunali del 1267, i più antichi della Liguria, la stanza della “Contessa di Apricale”, quella dedicata al Risorgimento e la Galleria del Teatro con i materiali del Teatro della Tosse di Emanuele Luzzati e Tonino Conte. Atelier A, gravures (incisioni) di Danièle Noël, tel. fax 0184 208301.

B&B Da Marta Via Martiri della Libertà 54, cell. 328 6562885 www.damarta.com info@damarta.com Tre camere con bagno incastonate nella Roccia e Pietra.

Galleria d’Arte H. Heine, via Martiri 118, tel. 0184 208635.

DIVERTIMENTI Passeggiate, trekking e attività di montagna al rifugio escursionistico “Sciacaigaglia” (via Andrea Doria 4, tel. 0184 208062).

B&B I Gatti via IV novembre 1, tel. 0184 208022 maribuscaglia@tiscali.it



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UMBRIA www.regione.umbria.it

22 BORGHI

Citerna Montone Corciano Torgiano Castiglione del Lago Bettona Panicale Paciano Deruta Spello Bevagna Monte Castello di Vibio Trevi Massa Martana Montefalco Norcia Lugnano in Teverina San Gemini

Vallo di Nera Arrone

Giove Stroncone


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SAN GEMINI L’elogio della vita lenta

UMBRIA

COMUNE DI SAN GEMINI (Provincia di Terni) ALTITUDINE m. 345 s.l.m. ABITANTI 4600 (1300 nel borgo). PATRONO San Gemine, 9 ottobre. INFORMAZIONI TURISTICHE Pro Loco, tel. 0744 630130. Comune, piazza San Francesco 9, tel. 0744 334911. COME SI RAGGIUNGE In auto: A1 uscita Orte g Raccordo autostradale Orte - Terni. Superstrada E45 Cesena - Terni. In treno: Stazioni FS di Terni (linea Roma Ancona; linea Terni - Sulmona; Terni - San Sepolcro) o di Orte (linea Roma - Firenze). DISTANZE IN KM Roma 100, Gubbio 90, Assisi 82, Perugia 70, Orvieto 65, Todi 25. INTERNET www.comune.sangemini.tr.it proloco.sangemini@tiscali.it info@comune.sangemini.tr.it

Lo Spirito del Luogo Il nome Casventum in epoca romana, assunse l’odierno nome nel IX secolo a ricordo del monaco Yemin (Gemino), che dalla lontana Siria vi venne a predicare. Presto il luogo divenne noto come la città di “Santo Gemine” .

La storia 882, i Saraceni distruggono quello che fu un antico villaggio romano costruito lungo la via Flaminia e di cui sono ancora visibili le rovine di una villa e la “Grotta degli Zingari”. L’agglomerato romano deve essere cresciuto vicino a Carsulae e, ancor più, dopo il definitivo abbandono della stessa. 1036, la prima notizia certa dell’esistenza del borgo si ha con la fondazione dell’Abbazia di San Nicolò. 1119, San Gemini figura come gastaldato del Comune di Narni, del quale è soggetto e segue le sorti. Successivamente cerca di affrancarsi da Narni grazie al sostegno della Chiesa e diventa libero Comune con le magistrature e le isti-

tuzioni proprie del tempo. 1530, San Gemini è ceduto in feudo agli Orsini da Papa Clemente VII; risalgono al 1568 gli antichi Statuti e al 1590 l’elevazione a ducato da parte di Urbano VII, a favore degli Orsini. 1722, gli Orsini cedono San Gemini ai Santacroce, famiglia della nobiltà romana, per 13.500 scudi. 1781, Pio VI conferisce a San Gemini il titolo di città.

Il genius loci Sulle pietre sconnesse della Via Flaminia risuonano ancora i passi degli antichi romani, che qui avevano una bella città, Carsulae, oggi museo archeologico en plein air. San Gemini è il paese delle acque, da quelle naturali e minerali per cui è noto, a quelle delle vicine cascate delle Marmore. Fiumi e ruscelli attraversano un territorio ricco di profumi e colori, dove è possibile un lento vivere, fatto delle chiacchiere di quattro amici al bar, di passeggiate per antichi chiostri, di incontri senza fretta davanti al municipio, con un’andatura d’altri tempi. Giardini,


I Borghi più belli d’Italia balconi e vasi di fiori ingentiliscono la pietra: la quale evoca - in un labirinto di stradine, scalinate e archi un medioevo che perdura nei giochi e nei riti della gente, come negli affreschi ingenui delle chiese. Dentro, la calda intimità delle case protette dai coppi originari, sembra suscitare i nudi scultorei di Guido Calori, l’artista del luogo.

Borgo medievale di viuzze, scalinate, arcate e torrioni, immerso nell’incantevole paesaggio umbro, e ora anche Città Slow (non potrebbe essere altrimenti: qui la lentezza è d’obbligo), San Gemini non si dimentica facilmente. La visita può cominciare da Piazza San Francesco, cuore del paese, che collega la parte più moderna, rinascimentale e successiva, al nucleo più antico, arroccato sulla sommità del colle. Sulla piazza si affacciano la Chiesa di San Francesco e il settecentesco Palazzo Comunale che ha sostituito Palazzo Vecchio come

cupata quasi completamente, data la sua imponenza, dal Palazzo Vecchio (XII-XIII secolo) che fu la sede del Capitano del Popolo. Merita una visita (da concordare con la Pro Loco) per almeno due motivi: nella sala centrale, gli interessanti affreschi che illustrano scene del lavoro nei campi, e nella Torre Esperia che gli sorge accanto, la campana forgiata nel 1318 da Mastro Matteo da Orvieto, simbolo del libero Comune perché serviva a chiamare i cittadini alle adunanze pubbliche. Accanto, nella piccola Chiesa di San Carlo (già Santa Maria de Incertis) si ammirano un ciborio trecentesco e numerosi affreschi dei secoli XIV e XV, tra cui una splendida Madonna con Bambino e l’altrettanto bella Madonna in trono. Proseguendo, si raggiunge Piazza Garibaldi da dove si arriva alla Chiesa di San Giovanni, di cui la facciata romanica, veramente notevole, rappresenta la parte più antica: reca impressa la data di co-

sede del Comune. La chiesa, dedicata al santo di Assisi che qui effettuò un esorcismo nel 1213, risale a quel periodo e presenta un bel portale gotico con antica porta di legno; l’interno in stile gotico conserva affreschi di scuola umbra. Attraverso la Porta Burgi del XII secolo si entra nel quartiere medievale percorrendo la Via Casentino che seguiva fedelmente il tragitto della Via Flaminia. Si apre ai nostri occhi la piazza oc-

struzione - 1199 - e i nomi degli architetti. Tra le molte opere da vedere, ricordiamo il fonte battesimale del XVI secolo e la Madonna lignea settecentesca. Nel vicino ex Convento di Santa Maria Maddalena ad attrarre è subito il chiostro. Appena fuori, una breve passeggiata sulle mura consente di apprezzare il panorama insieme con la sapienza costruttiva medie-

Da vedere

vale. Tornati in Piazza Garibaldi e in Via Casentino, lo sguardo si perderà nel labirinto di vicoletti, scalinate, angoli fioriti che rendono San Gemini così attraente. Da Piazza Garibaldi ci si porta in Via del Tribunale per raggiungere poi la casa patrizia dove sono conservati i mosaici pavimentali romani (di proprietà privata, serve accordo con la Pro Loco). Si ritorna quindi in Piazza San Francesco per imboccare Via Roma e quindi arrivare, prima dell’Arco di Porta Romana, alla Piazza del Duomo su cui si affacciano il Palazzo Santacroce (oggi albergo) e il Duomo di San Gemine, molto antico ma restaurato completamente nella prima metà dell’Ottocento da un architetto che forse si è avvalso dei consigli del Canova. L’interno è ridondante di Stucchi e ospita dipinti del Seicento. Oltrepassato l’arco, continuando a destra si raggiunge in breve la Chiesa di San Nicola, dalla lunga storia, che inizia nei primi anni del Mille, come attesta un documento del 1037, e arriva sino a New York, dove certamente al Metropolitan Museum è finito il meraviglioso portale originario: quello che ammiriamo oggi è una copia perfettissima. Da vedere all’interno la Madonna con Bambino di Ruggero da Todi (1295).


SAN GEMINI Piaceri e Sapori OSPITALITÀ BED & BREAKFAST

IL PRODOTTO DEL BORGO Oggi come già in epoca romana, San Gemini è famosa per le curative acque minerali. Vino ed olio extra vergine di oliva, e ancora i norcini che lavorano sapientemente la carne con metodi tradizionali e i fornai, i quali, oltre al pane salato, fanno nascere con le loro mani, pizze di formaggio e focacce salate ed i pasticceri che rinnovano con le loro specialità le vecchie tradizioni come quella del pampepato.

B&B Casale Isorella Loc. Isorella 187 tel. 0744 331586 casale_isorella@libero.it www.casaleisorella.com Offre ai suoi ospiti un soggiorno pieno di tranquillità, a contatto con una natura rigogliosa. OSPITALITÀ HOTEL & RISTORAZIONE

IL PIATTO DEL BORGO I picchiarelli alla sangeminese, con sugo piccante. I picchiarelli sono una pasta tirata a mano e della grandezza di una cordicella.

Antica Carsulae Loc. Fonti - Via Tiberina 2, tel. 0744 630163 www.gruppobacus.com albergo.carsulae@gruppobacus.com Ampia sala. Banchetti per tutti i gusti con prodotti tipici locali. Terrazza all'aperto. Camere ampie e confortevoli.

ALTRI MOTIVI DI APPREZZAMENTO Colline ricoperte di vegetazione che si aprono su torrenti e vallate: questo è il territorio di Sangemini, ricco di sorgenti d’acqua naturale e minerale, colori, profumi e rovine antiche. Da visitare nei dintorni, oltre il sito archeologico di Carsulae, la Valle del Naia, le Cascate delle Marmore con la loro profusione di acque alte 165 m, e il Parco delle Terme dell’acqua minerale Sangemini,a 2,5 km dal borgo. Note sin dall’antichità romana, le sorgenti di acqua minerale hanno spiccate caratteristiche biochimiche derivanti dall’habitat naturale e incontaminato dei Monti Martani

EVENTI L’Infiorata, giugno, giorno del Corpus Domini: le strade della processione sono cosparse di figure decorative realizzate unendo diverse varietà di fiori. Sangemini World Music Festival, luglio: rassegna di musica etnica e popolare con artisti provenienti da diverse parti del mondo. Rassegna Bandistica, settembre.

della festa che vede il borgo imbandierato con i colori dei due rioni, rossoblu per la Rocca e biancoverde per la Piazza. La manifestazione termina con la Giostra ed è allietata dalle taverne in cui si assaggiano i picchiarelli tirati a mano dalle donne. Informazioni: Ente Giostra, tel. 0744 334009. Concorso Pianistico, fine ottobre: dedicato all’esibizione di giovani pianisti italiani e stranieri.

MUSEI E GALLERIE D’ARTE Museo della Terra GeoLab, via della Misericordia 1, tel. 0744 331293: più che un museo, è un laboratorio interattivo ideato da Piero Angela in modo che i visitatori possano capire, attraverso dimostrazioni sperimentali, le scienze della terra e le dinamiche del nostro pianeta. Museo dell’Opera di Guido Calori, via del Tribunale 54, tel. 0744 59421: propone una collezione di pitture e sculture di Guido Calori (1885-1960), come i bellissimi Vasai e i Nudi. Rovine Romane di Carsulae: quel che resta dell’antica città romana del I sec. a.C. - I sec. d. C., come un grande museo all’aperto, a 3 km dal borgo.

La Giostra dell’ Arme: rievocazione storica che ha luogo dall’ultimo sabato di settembre al 9 ottobre, giorno del patrono. Offerta dei ceri, investitura dei cavalieri, corteo storico e sbandieratori sono le tappe

DIVERTIMENTI Rafting nel fiume Nera, mountain bike, passeggiate ed escursioni nella Valle del Naia.

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L’affascinante regno della biodiversità www.cilentoediano.it

Da sinistra verso destra: veduta panoramica di Velia, Grotte di Castelcivita, Area Archeologica di Roccagloriosa, Tempio di Paestum.

Il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano è il risultato dell’opera combinata della natura e dell’uomo.

Primula di Palinuro, simbolo del Parco.

Il Gabbiano Corso e il Lupo, emblemi di una ricca biodiversità.

C

on questa motivazione, nel 1998, l’Unesco inseriva l’area protetta, insieme ai siti archeologici di Paestum e Velia e alla Certosa di San Lorenzo a Padula, nella lista dei “Siti Mondiali Patrimonio dell’Umanità”. Nel 1997, il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano veniva inserito nella Rete delle Riserve di Biosfera del programma MAB dell’Unesco. Oggi, nell’area protetta sono stati istituiti 28 siti di importanza comunitaria (SIC) e 8 zone di protezione speciale (ZPS). È questo il biglietto da visita di un affascinante regno della biodiversità, affacciato sul Mediterraneo, dove si contano 2000 specie di piante autoctone spontanee. Tra queste, la Primula di Palinuro, (Primula palinuri Petagna) divenuta il simbolo del Parco. L’eccezionalità di questa terra, culla della cultura del Mediterraneo, è attestata da numerosi riconoscimenti internazionali: “Green Globe” per il turismo, Riserva Mondiale di Biosfera del programma MAB, dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità quale “Paesaggio culturale” di valenza mondiale, membro dell’IUCN, patria della Dieta Mediterranea, stile di vita che l’UNESCO ha proclamato Bene immateriale dell’Umanità, inserito nella rete Europea e Globale dei Geoparchi, in virtù della presenza di un numero di siti geologici di particolare importanza per rarità e richiamo estetico. Aree Marine Protette Si tratta di un territorio straordinario che, con l’istituzione delle Aree Marine Protette di “Santa Maria di Castellabate” e “Costa degli Infreschi e della Masseta”, è l’area protetta più grande d’Italia. Geodiversità Le Grotte di Pertosa, le più importanti dell’Italia Meridionale, le grotte di Castelcivita, le Gole di Felitto, le grotte di Morigerati e tante altre le geodiversità del Parco che, per la straordinaria rarità, valenza estetica e geologica, hanno contribuito a far inserire il Parco nella rete Europea e Globale dei Geoparchi. Dieta Mediterranea Indimenticabili, poi, i sapori autentici che questa terra, patria indiscussa della Dieta Mediterranea, conserva: dai vini (DOC Castel San Lorenzo, DOC Cilento) agli oli (DOP Cilento, DOP Colline Salernitane), dai formaggi (pecorino, Caciocavallo Podolico, Cacioricotta, “Mozzarella co’ a Murtedda”) ai salumi (soppressata di Gioi), dal fico bianco del Cilento (DOC) alle alici di Menaica, ai marroni di Roccadaspide e degli Alburni, al Carciofo Bianco del Basso Tanagro, al Carciofo Tondo di Paestum, ai Ceci di Cicerale, ai Fagioli di Controne.


Se ogni viaggio ha un primo passo, Agropoli è la porta di ingresso a nord per esplorare il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Città di mare, con i suoi “scaloni” conduce dinanzi alla porta monumentale del borgo antico che si snoda in un labirinto di slarghi e viuzze, chiese e case, botteghe e ristoranti. Arroccato sul promontorio, con vista sull’isola di Capri, domina il Castello angioino- aragonese, d’impianto bizantino, simbolo culturale della città.

Castellabate annoverato tra “I Borghi più belli d’Italia”.

Castellabate

Punta Licosa

Parco Archeologico di Elea - Velia

Tra balconi in fiore e facciate in pietra, si erge sul colle il Castello dell’Abate, risalente al 1123, cornice prediletta dalle coppie straniere per il giorno dei fiori d’arancio. Da qui lo sguardo cade a picco sul blu dell’area marina protetta di Santa Maria di Castellabate con le sue ampie praterie di Posidonia Oceanica. Lungo la costa lasciandosi alle spalle la natura incontaminata del promontorio di Punta Licosa con i suoi costoni di flysch, il borgo marinaro di Agnone e i pini d’aleppo delle “Ripe Rosse” a Montecorice, si trova Acciaroli, frazione di Pollica. È una delle località balneari più rinomate della costa, ribattezzata la “Capri del Cilento” per l’atmosfera mondana che si respira nelle serate estive. Sullo sfondo delle case e dei negozi che abbracciano il porto turistico il fascino della Torre Normanna. Poco più a sud, si trova Pioppi con il Palazzo Vinciprova, risalente al XVII secolo, sede del Museo del Mare. Il borgo è legato al nome di Ancel Benjamin Keys, medico statunitense, padre della Dieta Mediterranea che studiando il regime alimentare della gente del posto, scoprì che qui le malattie cardiovascolari erano poco diffuse. Fu nella sua casa a Pioppi dove si era trasferito con la moglie Margaret che nel 1975 Keys scrisse il libro “Eat Well and Stay Well: The Mediterranean Way”. Poco lontano dal mare, nel centro abitato di Pollica, signoreggia in tutta la sua imponenza il Castello dei Principi Capano, sede dell’Osservatorio sulla Dieta Mediterranea e del Centro Studi dedicato alla memoria di Angelo Vassallo. È questo uno dei versanti da cui lo sguardo può volgere in alto verso il Monte Stella. Intorno alla montagna sacra ruotano i piccoli borghi del Cilento Antico, con le chiese che durante la Settimana Santa rivivono i suggestivi canti polifonici delle confraternite. Tra gli attrattori culturali, nella vicina Ascea, c’è il Parco Archeologico di Elea - Velia testimonianza dell’antica città fondata nel 540 a.C. dai Focei provenienti dall’Asia Minore. Qui nacque la scuola eleatica dei filosofi Parmenide e Zenone. Oggi le suggestive rovine di Elea-Velia, l’Acropoli con la Torre Angioina, la celeberrima Porta Rosa con l’arco a tutto sesto di fattura


Velia

Porta Rosa di Velia

Torre di Velia

In alto da sinistra verso destra: Teggiano, Veduta Pisciotta, Grotte dell’Angelo, San Severino di Centola, Certosa di Padula.

greca risalente alla fine del IV secolo a.C, e poi ancora il Quartiere Meridionale con le Terme Imperiali, Porta Marina, sono state dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Da oltre un decennio, nel silenzio delle vestigia, il teatro classico, greco e romano, comico e tragico, rivive con la manifestazione “Velia Teatro”. Altro appuntamento con la classicità è il Festival della Filosofia della Magna Grecia. Pisciotta, un presepe medioevale arrampicato sulla collina a dominare dall’alto un tratto della costiera cilentana. Dal borgo antico dove sfoggia l’architettura nobile del Palazzo Marchesale, la strada conduce a Marina di Pisciotta, un grappolo di case affacciate sul mare e calate in una suggestiva coreografia di pescatori, reti e gozzi. Lungo il litorale si susseguono spiagge sabbiose e ciottolose. Da lì lo sguardo può raggiungere il promontorio leggendario di Palinuro, dal nome del timoniere di Enea che, come racconta Virgilio nell’Eneide, qui perse la vita. Non si può lasciare Capo Palinuro senza concedere allo sguardo le meraviglie di calette, scogliere e grotte marine. Tra le più famose la Grotta Azzurra. Tra le attrazioni naturalistiche l’Arco Naturale di Palinuro, la Baia del Buon Dormire e lo Scoglio del Coniglio. Frequentatissima è poi la spiaggia delle Saline. Addentrandosi verso l’interno, si scorge, abbarbicato su un costone che sovrasta la “Gola del Diavolo” lì dove scorre il fiume Mingardo, San Severino di Centola. Il paese fantasma, di origine medioevale, oggi completamente disabitato. La costa si stende fino a Marina di Camerota dove impera la bellezza di grotte e spiagge come quella di Cala del Cefalo. Camerota e San Giovanni a Piro sono i due comuni che si affacciano sull’ area marina protetta di “Costa degli Infreschi e della Masseta”. Alle spalle, a vigilare quel tratto di costa che affonda nel Tirreno, la possente sagoma del Monte Bulgheria. Solo pochi chilometri e si trova Morigerati con l’oasi naturalistica “Grotte del Bussento”. Un paradiso di muschi e felci che abbelliscono le pietre levigate dall’acqua. Nell’oasi gestita dal WWF, in un intreccio di flora e fauna, fanno da scenografia ai percorsi-natura il salice e il leccio, il lentisco e il carpino bianco, la lontra e il gatto selvatico. Sullo sfondo un mulino ad acqua a ruota orizzontale del 1700. Suggestiva la grotta dove il fiume Bussento riemerge dopo essersi inabissato nelle viscere dell’Inghiottitoio di Caselle in Pittari. Il percorso sotterraneo fino alle Risorgive, lungo circa quattro chilometri, rappresenta uno dei fenomeni carsici più affascinanti d’Italia. Sullo sfondo la maestosità del Monte Cervati che con i suoi 1898 metri è la vetta più alta della Campania. Meta escursionistica di grande interesse speleologico è l’Affondatore di Vallivona, inghiottitoio carsico in cui ci si addentra attraverso una grotta di circa 300 metri. Un viaggio nel tempo.


La Certosa di San Lorenzo

Certosa di San Lorenzo

Grotta dell’Angelo

Grotte dell’Angelo a Pertosa

Tempio di Nettuno

A Padula, nel Vallo di Diano, sorge la maestosa Certosa di San Lorenzo. Fondata nel 1306, da Tommaso Sanseverino, conte di Marsico, è estesa su una superficie di 52 mila metri quadrati. Il viaggio nella “Reggia del Silenzio” incomincia nell’immensità della Corte esterna. Oltre la facciata si susseguono la Foresteria, il Refettorio, la Cucina, l’Appartamento del Priore, il Chiostro grande circondato dalle celle dei padri certosini, che qui hanno vissuto in preghiera e contemplazione fino al 1867. Di grande fascino architettonico è la scala elicoidale che porta alla Biblioteca. La Certosa di San Lorenzo ospita il Museo Archeologico della Lucania Occidentale. Poco lontano sorge l’elegante borgo medioevale di Teggiano che ha conservato l’antica fisionomia di roccaforte, come testimonia ancor oggi il suo ben preservato centro storico. Qui si erge il famoso Castello dei Principi Sanseverino, fatto costruire dalla potente famiglia nel Medioevo, una solida roccaforte dove potersi rifugiare in caso di pericolo. Il castello fu assediato da Federico d’Aragona, dopo che Antonello Sanseverino, con altri feudatari, ordì la Congiura dei Baroni, nel 1485. Solo venendo a patti Federico potè impadronirsi della città. A quell’epoca, infatti, Teggiano era ritenuta inespugnabile perchè cinta da alte mura con 25 torri di guardia e quattro porte d’accesso. Da visitare: la Cattedrale di Santa Maria Maggiore con un ambone del XIII secolo, il Museo Diocesano, il Museo delle Erbe, il Convento della S.S.Pietà del XV secolo. la Cripta di Santa Venera del XII secolo, la Chiesa della S.S. Annunziata. Proseguendo lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria, non ci si può non fermare ad ammirare le suggestive Grotte dell’Angelo a Pertosa. Uno squarcio nella terra a 260 metri di altitudine nel massiccio dei Monti Alburni. Stalattiti e stalagmiti che si susseguono nella “Sala delle Meraviglie” nella “Sala delle Spugne” e nella “Sala dei Pipistrelli”. Alle pendici occidentali degli Alburni, un’altra attrazione della speleologia, è il complesso delle Grotte di Castelcivita. Un paesaggio sotterraneo di sale, caverne, grotte e strettoie. A nord della costiera cilentana, lo sguardo viene catturato dal fascino della Magna Grecia racchiusa nel Parco Archeologico di Paestum. Qui, dove un tempo dove sorgeva la città di Poseidonia, fondata intorno al VII secolo a.C dalla colonia greca di Sibari, dominano i famosi templi di Paestum. A dominare il paesaggio arricchito da una ben conservata cinta muraria, si erge il tempio di Atena noto anche come tempio di Cerere costruito alla fine del VI secolo a.C. Lungo il percorso s’incontra poi la cosiddetta Basilica, risalente al 540 a.C e il tempio di Nettuno realizzato nella metà del V secolo a.C. Accanto all’area archeologica è possibile visitare il Museo Archeologico Nazionale che ospita reperti della città di Poseidonia-Paestum tra cui spiccano gli affreschi della famosa Tomba del Tuffatore risalente alla fine del V secolo a.C. Proseguendo


COME RAGGIUNGERE IL PARCO In auto. L’autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria costeggia gran parte dei confini settentrionali e orientali del parco. Le uscite più convenienti sono: Battipaglia (da Nord) per chi si dirige verso la costa da Agropoli a Palinuro; Campagna Sicignano e Petina per i Monti Alburni; Padula per chi proviene da Sud. Numerose sono le Strade statali che attraversano il parco come la SS 18 che va da Agropoli a Policastro; la SS 166 degli Alburni, che taglia in senso latitudinale il parco, da San Rufo a Capaccio Vecchio; la SS 267 che segue la costa da Agropoli fino a Velia. In treno. Due linee ferroviarie servono l’area del parco. La prima è la Napoli-SalernoReggio Calabria e interessa tutta la zona costiera (stazioni FS: Agropoli, Vallo Scalo, Ascea, Pisciotta-Palinuro, Centola, Policastro Bussentino, Sapri). La seconda è la BattipagliaLagonegro e costeggia il versante settentrionale degli Alburni. Aeroporto. “Capodichino” (Napoli) e “Costa d’Amalfi” Pontecagnano (Salerno). Ospedali. Nell’area del parco ci sono quattro ospedali (Agropoli, Roccadaspide, Vallo della Lucania, Polla), inoltre c’è l’ospedale di Sapri in area contigua al Parco. Contatti. Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano Piazza S. Caterina 8, 84078 Vallo della Lucania (SA) Tel: 0974.719911 www.cilentoediano.it parco@cilentoediano.it

Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano Presidente Avv. Amilcare Troiano Vice Presidente Avv. Corrado Matera Direttore Prof. Angelo De Vita

su per la collina, si giunge nel centro storico di Capaccio, dove in un’area del Convento di Sant’Antonio, è possibile visitare il Museo del Grand Tour allestito dalla Fondazione Giambattista Vico. Da lì, un passo e si è nella Città di Roccadaspide dove si erge maestoso il Castello Feudale “Filomarino”. A pochi chilometri, tra Felitto e Magliano Vetere, spiccano le Gole del Calore. Un’esplosione di flora e fauna, dalle felci all’alloro, dal mirto al salice, dalla poiana alla lontra, a circondare e accompagnare le acque del fiume Calore lungo le pareti delle rocce. Un’ attrazione per naturalisti e amanti del trekking e del kajak. Addentrandosi nella Valle del Calore, si trova Laurino, borgo millenario ricco di arte e storia, dove nella prima metà del VI secolo a.C. nacque Sant’Elena Consalvo. Oltre al Palazzo Ducale il centro storico conserva tra i suoi gioielli la Collegiata di Santa Maria Maggiore e il settecentesco Teatro comunale. Nei pressi di Pruno, frazione di Laurino, c’è la Grotta di Sant’Elena, dove la Santa per molti anni si ritirò in preghiera. Di grande fascino è poi la Grava di Vesolo, inghiottitoio dove precipitano le acque del torrente Milenzio, fenomeno carsico tra le mete preferite degli speleologi. Altro gioiello della Valle del Calore è Roscigno, chiamata anche la “Pompei del 900’”, che fu abbandonata dai suoi abitanti agli inizi del XX secolo a causa di una frana. Il viaggio prosegue verso Corleto Monforte, dove è possibile visitare il Museo naturalistico degli Alburni, polo permanente di esposizione della fauna selvatica europea (Uccelli, Mammiferi, Crostacei, Insetti). Altro itinerario culturale dell’area protetta è Magliano Vetere con il Museo Paleontologico che raccoglie importanti ritrovamenti nei siti paleontologici dell’area cilentana. Nel percorso museale, suggestiva è la Sala Diorama, dove tra dune, sequoie e ginko, è stato allestito l’habitat naturale del periodo Cretacico.


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CAMPANIA www.regione.campania.it

6 BORGHI

Cusano Mutri

Nusco Furore

Albori Atrani

Castellabate


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FURORE

CAMPANIA

Il paese che non c’è COMUNE DI FURORE (Provincia di Salerno) ALTITUDINE m. 600 s.l.m. ABITANTI 810 PATRONO San Pasquale Baylon, 17 maggio. INFORMAZIONI TURISTICHE Pro Loco, tel. 089 874100, ore 8-14. COME SI RAGGIUNGE In auto: A3 Castellamare di Stabia SS 336 per Pimonte-Agerola. Da Salerno SS 163. In treno: stazione FS di Castellamare di Stabia, km 25. DISTANZE IN KM Napoli 50 (aeroporto Capodichino 65), Salerno 35. INTERNET www.comune.furore.sa.it furoresindaco@amalfinet.it

Lo Spirito del Luogo Il nome Terra Furoris, ovvero Terra del Furore, è l’antico nome del paese e trae origine dalla furia delle acque del mare all’interno del fiordo.

La storia Età romana, nel tardo Impero i Romani fuggiaschi inseguiti dai Barbari si rifugiarono su queste montagne e vi fondarono i primi insediamenti, tra cui Furore. Per la sua conformazione, quel pugno di case non fu espugnato nemmeno al tempo delle incursioni saracene. 1319, un atto notarile nomina per la prima volta la chiesa di S. Giacomo, risalente all’XI secolo. È intorno a questo edificio religioso che si forma il primo insediamento sul pianoro di Furore, la cui storia sarà poi compresa in quella della Repubblica di Amalfi. 1348, si rifugiano negli orridi anfratti della Terra del Furore alcuni “Sacconi”, cioè gli eretici seguaci di Meco del Sacco da Ascoli Piceno, accusati dall’Inquisizione di praticare il libero amore. XV sec., dalla metà del Quattrocento il borgo appartiene alla nobi-

le famiglia dei Summonte, tra i cui membri spicca Pietro, sacerdote, amico degli umanisti Iacopo Sannazaro e Giovanni Pontano, con cui fondò a Napoli la famosa Accademia Pontaniana, uno dei centri culturali più importanti sotto gli Aragonesi. Altri due Summonte, entrambi di nome Giovanni Antonio, furono insigni storiografi: uno nel Cinquecento e l’altro nel Settecento. Quest’ultimo nel 1748 pubblicò una ponderosa storia del Regno di Napoli. XVII sec., risalgono a quest’epoca le strutture proto-industriali annesse all’antico borgo marinaro e da poco recuperate. 1950, Furore, da sempre luogo caro agli dei, è teatro della storia d’amore tra Roberto Rossellini e Anna Magnani.

Il genius loci Il simbolo di questo luogo stretto tra mare e monte è la “volpe pescatrice“, animale legatissimo alla terra, al bosco, che si spinge a mare per bisogno e diventa pescatrice. Così fa il furorese, contadino e pescatore, vignaiolo e marinaio,


I Borghi più belli d’Italia

Ponte di giorno

“con un piede in barca e uno in vigna”, com’è stato detto. Il borgo marinaro del Fiordo è il rifugio dell’uomo di mare, lo sparso abitato in collina è il teatro delle sue attività agricole e artigiane.

Da vedere Seguendo i tornanti collinari di una strada incisa nel verde (l’AmalfiAgerola) si arriva a Furore, “il paese che non c’è”. Infatti, più che un paese, è uno sparso abitato, dove le case non stanno una accanto all’altra ma spuntano da costoni di roccia. La loro funzione era di presidiare la campagna. Il borgo del Fiordo, invece, è ai piedi della rupe, lungo la statale Amalfitana fra Amalfi e Positano. La Terra del Furore è l’altra faccia della costiera, quella “dove i rumori non sono altro / che una lieve imperfezione del silenzio”. “Luogo caro agli dei - l’ha definito Katia Salvini -, un giardino pensile abbarbicato alla montagna e proteso sul blu del mare e del cielo”. Con le sue case sparse, sembra nato da un mazzo di carte sparpagliato dal vento. Sui ripidi fianchi del canyon, o su qualche omerica rupe discoscesa, potrebbe celarsi una divinità addormentata: un nudo fauno, rievocato dagli eretici dell’amore libero, o una sirena, avvistata da una scalinatella, da una barca sul mare o dal sentiero dell’agave in fiore. Questo è Furore: un pozzo di desideri mitici, il respi-

ro di una civiltà sul ciglio di una rupe pendente sul mare. Edifici storici di pregio possono essere considerati, nel vallone interno del borgo, i due mulini e le due fabbriche di carta, interessanti esempi di archeologia industriale che utilizzavano la forza motrice dell’acqua. Accanto a quest’area si trovano i monazzeni dei pescatori, vecchi depositi di attrezzi. L’arenile incuneato in questa profonda insenatura ha svolto nei secoli una funzione di approdo per le imbarcazioni. Il borgo dei pescatori dopo una lunga decadenza è ora completamente restaurato. Singolare è la galleria d’arte en plein air costituita da oltre cento “muri d’autore”, murales e sculture che fanno di Furore un “paese dipinto” che si racconta anche in questo modo. Le chiese sono le uniche altre emergenze architettoniche: le quattro Chiese di San Giacomo,

Sant’Elia, San Michele e Santa Maria, con i cupolini maiolicati dei loro campanili e gli affreschi recentemente venuti alla luce (un interessante ciclo di scuola giottesca in San Giacomo). Ma è l’ambiente, la principale attrattiva di questo paese-non paese incorniciato da bellissime le vedute: gli ulivi, le vigne terrazzate sul profilo dei monti, i pergolati dei limoni con le reti tese sui pali, i tetti rossi e le colorate maioliche dei piccoli campanili, i coloratissimi fiori dei rovi selvaggi, e il mare - azzurro, sempre presente, laggiù in fondo, nella curva dell’occhio. Riassumono il panorama del luogo i muri sbrecciati e arsi di sole, le erbe alte dei campi non coltivati, le barche tirate a secco, i tornanti della strada: altri punti di riferimento di un paesaggio sottratto all’abbandono, che può tornare a vivere in forza del suo stesso mito.


FURORE Piaceri e Sapori

Arte viva, aperta ai fermenti della società e alla fruizione immediata. Furore si inserisce così, con questo museo en plein air, tra i “paesi dipinti” d’Italia. Premio Furore di Giornalismo, ultimo fine settimana di settembre.

IL PRODOTTO DEL BORGO Il pomodorino al filo, detto piennolo, e la vite (Furore, “Città del Vino”, è una delle tre sottozone di pregio della Doc Costa d’Amalfi) coltivata a mezza costa sui fianchi scoscesi della collina, sono i frutti di questa terra generosa che ha “i piedi nell’acqua, il volto baciato dal sole e i fianchi sinuosi di una bella donna”.

IL PIATTO DEL BORGO Piatto-monumento di Furore è totani e patate, inventato dal contadino-pescatore per sfamare la numerosa famiglia: infatti, in caso di necessità, al pesce bastava aggiungere qualche patata. è questa una cucina che cattura e mescola profumi di terra e di mare: il migliaccio, la minestra maritata, la caponata sono altri piatti tradizionali serviti nei numerosi ristoranti del luogo.

Coppa del Mediterraneo, campionato mondiale di tuffi dalle grandi altezze. Dal ponte del Fiordo di Furore, primo sabato di luglio.

MUSEI E GALLERIE D’ARTE Ecomuseo del Fiordo, tel. 089830525, ore 8-18. Istituito dal Comune con la consulenza dell’Orto Botanico di Napoli, della Soprintendenza ai Beni ambientali e culturali di Salerno e di Legambiente, non è un semplice parco naturale ma un luogo modellato dal lavoro dell’uomo, situato nei pressi delle antiche fabbriche di produzione della carta e della

ALTRI MOTIVI DI APPREZZAMENTO Il Fiordo di Furore è candidato, con l’intero vallone, a diventare “Oasi naturale regionale” e ad essere inserito, con l’intero territorio dei Monti Lattari - che comprende sia la costiera amalfitana sia quella sorrentina - nel Parco Regionale di prossima costituzione. È già completato, invece, il recupero dei sentieri che si inerpicano su per la collina o discendono a mare collegando le case sparse e consentendo di passeggiare tra agavi e fichi d’India, lungo i versanti obliqui della montagna, e sempre con la vertiginosa visione dell’azzurro del mare. Infine, con lo sviluppo recente dell’ospitalità diffusa, Furore si candida a diventare “paese albergo” per accogliere i visitatori nella sua splendida cornice ambientale.

EVENTI I Giorni della Cicala, rassegna di teatro, musica e danza, da luglio a settembre. Muri in cerca d’Autore, raduno di pittori di murales, prima settimana di settembre, sette giorni di performance di pittura murale. Furore è stata per lunghi anni solo una strada con panorama. Il bisogno di dare una più precisa identità all’agglomerato ha fatto nascere, nel 1980, il progetto dei “Muri d’Autore”.

calce e dei vecchi mulini. Si articola in tre itinerari - Percorsi botanici, Vie del cinema, Muri d’autore - che iniziano dal centro d’accoglienza FurorEmozioni.

DIVERTIMENTI Passeggiate su sentieri attrezzati, trekking, free climbing, mountain bike, nuoto.

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Cantine Cuomo Marisa via G. B. Lama 16/18 tel. 089 830348 www.marisacuomo.com I migliori vini di Costiera Fiorduva Furore Bianco doc Costa d'Amalfi - Furore Rosso Riserva doc Costa d'Amalfi.



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L’abbagliante kasba della Valle d’Itria COMUNE DI CISTERNINO solo centro storico (Provincia di Brindisi) ALTITUDINE m. 395 s.l.m. ABITANTI 12.160 (480 nel borgo) PATRONO Santi Quirico e Giulitta, prima domenica di agosto. INFORMAZIONI TURISTICHE Comune, Associazione Turismo, via Principe Amedeo, tel. 080 4445238. Pro Loco, via San Quirico 14, tel. 080 4447738. COME SI RAGGIUNGE In auto: A14 Bologna-Taranto uscita Bari nord, SS 379 direzione Brindisi, uscite Cisternino-Pezze di Greco o Cisternino-Torre Canne. In treno: stazioni FS di Cisternino Scalo (11 km) o Fasano (20 Km). In aereo aeroporti di Brindisi o Bari. DISTANZE IN KM Lecce 90, Bari 80, Brindisi 50, Taranto 40. INTERNET www.comune.cisternino.brindisi.it comunecisternino@libero.it

Lo Spirito del Luogo Il nome L’eroe eponimo, secondo tradizione, è Sturnoi, il compagno di Diomede. Finita la guerra di Troia, avrebbe fondato questo centro che i Romani hanno poi chiamato Sturninum. Forse distrutto nel 216 a.C. durante le scorrerie di Annibale in Puglia, l’abitato tornò a vivere nell’VIII sec., quando un gruppo di monaci basiliani profughi dell’Oriente, notarono in queste contrade le rovine dell’antico centro. Sulle stesse vollero allora edificare una badia di rito greco che chiamarono San Nicolò cisSturninum, proprio dove oggi sorge la Chiesa Matrice.

sua residenza, ma la rivolta non ha successo. 1738, nuovi fermenti rivoluzionari scuotono il borgo nei primi anni della dominazione borbonica. 1799, la popolazione parteggia per la Repubblica Partenopea contro il re; Nicola Semeraro, di Cisternino, a capo di un nucleo repubblicano, è trucidato a Francavilla Fontana dai fedeli dei Borboni. 1820, è attivo in paese un gruppo di carbonari; sarà Giuseppe Capece di Cisternino ad innalzare sul forte di Brindisi la bandiera tricolore dopo aver lacerato il vessillo borbonico.

Il genius loci La storia Età del bronzo, resti di villaggi di capanne, ma i primi insediamenti stabili si hanno con la scoperta dei metalli e l’apporto di civiltà d’oltremare (greci, messapi). 1180, il casale di Cisturninum è nominato la prima volta in una bolla di Papa Alessandro III che ne conferma l’appartenenza al Vescovo di Monopoli. 1330, venduta dal Vescovo a un nobile di Monopoli, Cisternino appartiene per oltre un secolo a baroni civili. La baronia del casale torna al Vescovo nel 1463, per concessione di Ferdinando I d’Aragona. 1495, Cisternino è conquistata dalla Repubblica di Venezia che la tiene fino al 1528, quando viene presa dagli Spagnoli. Il malgoverno dei baroni spagnoli, e l’oppressione fiscale del Vescovo dall’altro, causano nella popolazione forti motivi di risentimento. 1647, seguendo l’esempio di Masaniello a Napoli, il popolo insorge contro il vescovo-barone e brucia la

I mascheroni in pietra che, incastonati nelle architravi delle case, guardano i passanti con aria beffarda, sembrano saperla lunga sull’anima di questo luogo che si dice fondato da un reduce della guerra di Troia. Un po’ tutta la valle d’Itria è una terra speciale sotto il profilo spirituale ed esoterico. Vi sono antichi insediamenti che testimoniano il passaggio, nel corso dei secoli, di santi e illuminati che vi hanno trascorso lunghi periodi di penitenza e preghiera; c’è l’origine misteriosa dei trulli, con quegli strani simboli sulla cupola conica; c’è insomma un’aria particolare, una suggestione, che ha spinto, ad esempio, il centro di spiritualità indiana Bhole Baba a insediarsi qui. Le orme lasciate nel vento dai cacciatori paleolitici, dai messapi, dai romani, dai monaci basiliani, dagli eremiti, dai califfi, dai vescovi-baroni mai amati, hanno permesso di far nascere a Cisternino un festival interreligioso dedicato ai suoni sacri del pianeta. Nelle campagne punteg-


I Borghi più belli d’Italia

giate di ulivi, la musica sacra dell’India shivaita, dei canti cristici o dei musulmani sufi si leva quasi a deridere i tronfi stemmi di famiglia ancora scolpiti nella pietra locale, per ricordarci, come l’havel havalìm del Cantico dei Cantici, che tutto è vanità. Anche se, nelle vie del centro, i fornelli pronti delle rosticcerie ci invitano a godere con i sensi.

Da vedere Suggestiva nel borgo è l’osmosi tra spazi interni ed esterni, tra case, vicoli e cortili, frutto di soluzioni architettoniche dettate da ragioni pratiche, da un senso della comunanza e del vicinato. Si tratta di un classico esempio di “architettura spontanea”, dove non ci sono architetti che seguono un piano prestabilito ma rapporti umani da tessere, tra le case imbiancate a calce e i vicoli stretti, tra i cortili ciechi e le scalette esterne, tra gli archi e i balconi fioriti: spazi dove ci si può “affacciare”, dove si crea aggregazione; spazi condivisi, insieme pubblici e privati. Nel silenzio irreale dei pomeriggi estivi, quando il borgo, prima dell’animazione serale, si abbandona al demone meridiano dell’accidia, è bello passeggiare sulle chianche, la tipica pavimentazione in pietra, nel gioco di luci e ombre che scaturisce dalle viuzze strette, dagli archi, dai sottopassi.

Bianco abbacinante dei muri e azzurro del cielo: la poesia del sud. A cavallo tra Ottocento e Novecento, il paese ha cominciato a svilupparsi al di fuori della cinta muraria, dove l’unico esempio interessante è quello di alcuni edifici con decorazioni liberty in via S. Quirico. Nel borgo, invece, gli edifici storici di maggior pregio sono la torre e la chiesa che si affacciano sulla piazza. La Torre normanno-sveva, recentemente restaurata, è alta 17 metri ed è stata eretta nell’XI secolo dai Normanni, poi ricostruita in larga parte sul finire del XIV e rimaneggiata più volte nelle epoche successive. Sulla sua sommità è posta una piccola statua di S. Nicola benedicente. La Chiesa di San Nicola, nota come Chiesa Mad re, è stata edificata nel XII secolo sulla precedente chiesa basiliana dell’VIII secolo, di cui oggi restano le fondazioni, e modificata nel corso del tempo. L’attuale facciata, di gusto neoclassico, sostituì intorno al 1848 la precedente, probabilmente romanica. Dell’originario impianto restano importanti tracce all’interno. La volta a crociera del transetto e alcune decorazioni scultoree risal gono ai secoli XIII-XIV. Magnifiche le due sculture in pietra viva di Stefano da Putignano: il tabernacolo dedicato alla Madonna del Cardellino (1517) e un altro più piccolo con putti ed Ecce Homo. Al di sotto della contigua Chiesetta del Purgatorio (XVII secolo), recentemente è stata riscoperta la primitiva chiesa, databile intorno all’anno 1000. Meri-

tano una sosta, infine, il Palazzo Vescovile cos truito nel 1560, con facciata in stile tardo-rinascimentale su cui si notano gli stemmi del vescovo-barone; il Palazzo del Governatore (secolo XVI), dall’elegante prospetto a triplice balconata con elementi decorativi rinascimentali; i palazzetti nobiliari delle famiglie Pepe e Cenci; la Chiesetta di Santa Lucia (secolo XVII) e, fuori le mura, la torre e il Palazzo Amati, in via San Quirico; la Chiesa d i San Cataldo, completata nel 1783 in stile barocco, con la bella e scenografica facciata; la Chiesa di San Quirico, eretta tra Sei e Settecento. Importante per il culto locale è la Chiesetta romanica della Madonna d’Ibernia, sorta intorno al 1100 nel periodo della formazione del casale di Cisternino, da cui dista 3 km. La chiesa incorpora i resti di un preesistente cenobio basiliano costruito non dis tante da un precedente tempio pagano dedicato alla dea della fertilità Cibele. è conseguenza dell’antico culto verso questa divinità la venerazione del popolo per la Madonna d’Ibernia, detta anche “delle uova”, cioè della procreazione e dell’abbondanza. Al suo santuario viene portato in dono, nelle feste primaverili, lo stesso dolce, il chïrrùchele (dal latino auguraculum, dono propiziatorio), che i fanciulli pagani offrivano a Cibele per propiziarsi la fecondità.


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IL PRODOTTO DEL BORGO La secolare vocazione vitivinicola del borgo ha favorito la produzione di vini bianchi di elevata qualità, come il famoso Bianco Locorotondo Doc: fresco, leggero, asciutto, dal bouquet delicato, ideale per gli antipasti, ottimo con crostacei e pesci.

IL PIATTO DEL BORGO Gnumerèdde suffuchète sono involtini di trippa d’agnello, legati con le budella dell’animale e cotti a lungo in tegami di terracotta. Tradizionali anche le fave bianche secche, cotte nella “pignata” e battute con aggiunta d’olio di oliva: ne esce una squisita purea bianca, da servire con cicorie di campo (il vero nome di questo antichissimo piatto è “macco con verdure”). E ancora: la carne al fornello, cotta in forni a carbone al riverbero del fuoco vivo; il tridd, pasta fatta a mano a base di semola di grano duro e uova, un po’ di pecorino e prezzemolo tritato, servita in brodo di tacchino; le focacce paesane da forno, e naturalmente le orecchiette, la pasta fresca più conosciuta della cucina pugliese.

ALTRI MOTIVI DI APPREZZAMENTO I dintorni di Locorotondo sono splendidi. Il paese vanta un territorio rurale estremamente popolato, dove nella maggior parte delle 138 contrade si ripete lo schema dell’agglomerato di case e trulli che condividono uno spazio comune, detto jazzile, che permette alla gente di vivere in piacevole unità di vicinato. Fra macchie di lecci, resti di antiche boscaglie, orti, vigneti, distese di ulivi, muretti a secco e maestosi alberi di fragno, sorgono trulli, masserie e chiesette rurali, spesso dirute, sempre con la tipica copertura a cummerse. Il trullo più antico di Puglia, risalente al 1559 - data incisa sull’architrave della porta - si trova in una di queste affascinanti contrade, Marziolla.

In località Lamie Affascinate i vigneti spiccano sullo sfondo di antichi trulli e cummerse, e meritano una visita anche le contrade Crocefisso e Serralta, sempre per i loro trulli e le costruzioni a cummersa. A Pozzomasiello si erge splendida fra gli alberi una masseria, in fondo al passaturo che in tarda primavera occhieggia di mille papaveri rossi.

EVENTI Festa patronale di S. Giorgio, 22-23 aprile: la cerimonia del dono suggella la devozione popolare al santo, il cui culto fu introdotto nella Murgia dai Longobardi; l’odierna festa risale almeno al Seicento. Locus Festival: rassegna estiva di musica con concerti negli angoli più suggestivi del borgo. Sagra delle Gnumerèdde Suffuchète, prima domenica d’agosto: gli involtini di trippa sono generosamente innaffiati con il Locorotondo della Cantina Sociale. Festa di San Rocco, 14-17 agosto: la fiera in onore del compatrono si conclude con una spettacolare gara di fuochi pirotecnici sulla Valle d’Itria; le prime ore del giorno 16 ha luogo la Diana, il corteo musicale che sveglia i cittadini e li predispone al giorno di festa.

MUSEI E GALLERIE D’ARTE Mostra Archeologica: nei locali della Biblioteca Comunale sono esposti reperti risalenti al Neolitico e all’Età del Ferro.

DIVERTIMENTI Si può frequentare il club Mavù, residenza d’arte e musica all’interno della masseria ottocentesca di Contrada Mavugliola, mentre per gli sportivi c’è un centro attrezzato in contrada Caramia.

RISTORAZIONE RISTORANTI

Ristorante Pizzeria Da Tonia Via Locorotondo 50, tel. 080 4448301 Cucina tipica locale.


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