17 minute read

PORTO FRANCO Orsi sì, orsi no A pag

Ultimamente, tuttavia, Annibale Salsa nel suo primo libro a carattere narrativo “Un’estate in Alpeggio” (Collana Passi, edizioni Ponte alle Grazie) ha voluto dedicarsi alla stesura di un testo molto personale in cui affronta l’esperienza rurale quotidiana a contatto del bestiame bovino a prescindere dalla vita in malga e soprattutto rievoca “la prima estate in alpeggio a 10 anni nelle terre del formaggio Raschèra (Alpe della Balma del Mondolè, versante piemontese delle Alpi Liguri)”. Prima di questa età Salsa racconta che andava al pascolo nei prati da sfalcio della media valle Corsaglia (valli di Mondovì - CN) vicini al paese dei suoi parenti. Qui si portavano quelle poche mucche che non venivano condotte in alpeggio: «I miei genitori non si sentivano tranquilli a mandarmi in malga prima di 10 anni». In tutto il libro l‘esperienza infantile nell’Ovest-Alpi fa da contrappunto con la sua recente di osservatore anziano in Trentino, in particolare in Val di Sole e soprattutto Val Rendena, suo luogo prediletto da circa dodici anni, dove ha anche fissato il domicilio ed è stato insignito della cittadinanza onoraria del Comune di Carisolo. Ma cos’è la salita in malga? «È una specie di rito di passaggio - spiega Salsa - l’entrata in un altro mondo con ritmi e stili di vita diversi. Nell’arco alpino queste forme di ritualità sono simili ma non eguali e tutte accomunate da una specie di tempo dell’attesa. Sembra che anche le vacche lo sentano. In alcune zone, dove la cultura dell’alpeggio è più forte e più ricca come in Svizzera, si assiste a vere e proprie feste in costume. In altre più povere è meno appariscente ma non per questo meno sentita. L’alpeggio è l’anima vera e profonda delle Alpi e delle loro genti». Certamente la meccanizzazione, la tecnologia moderna, hanno cambiato molto le abitudini ma non tutto, almeno nello spirito, ribadisce Salsa. Se le transumanze un tempo si facevano a piedi e con l’ausilio di animali da trasporto caricati a basto, oggi gli autocarri hanno sostituito quelle pratiche, ma le emozioni non mancano. Al di là tuttavia dei sentimenti che la pratica dell’alpeggio può suscitare, l’antropologo sottolinea che la pratica è fondamentale per mantenere viva la montagna. L’alpeggio ha infatti valenza economica e culturale, afferma Salsa. Produce reddito per la gente della montagna e qualità ambientale, soprattutto paesaggistica, grazie al fatto che favorisce la biodiversità naturale e culturale. L’economia della malga deve essere perciò favorita mediante misure di natura fiscale e burocratica. Oggi invece, oltre ad una burocrazia soffocante, gli alpigiani devono affrontare i fenomeni legati all’inselvatichimento delle terre alte e alla crescita esponenziale dei grandi predatori che vanno a complicare la loro già difficile vita per una «percezione dell’ambiente e del paesaggio alpino che risente fortemente, nel governo del territorio, di una cultura/ideologia urbanocentrica che vorrebbe vedere la selvaticità ovunque». Rappresentazione della montagna ideale che contrasta con la montagna reale. «Un’invito mi sento di rivolgere alle nuove generazioni, soprattutto del posto - conclude Salsa - trovare occasioni per far questo tipo di esperienze. Come già accade sulle Alpi francesi e svizzere, dove sono attivi corsi di istruzione con proposte professionali interessanti per futuri allevatori e pastori; questa attività non può essere rubricata come un’attività socialmente subalterna e culturalmente datata; può avere invece un futuro per far vivere ancora l’economia delle terre alte».

Il rito dell’alpeggio nell’ultimo libro di Annibale Salsa “La salita in malga è una specie di rito di passaggio”

Advertisement

di Mariachiara Rizzonelli

Nato nell’entroterra savonese nel 1947 da famiglia paterna piemontese e materna ligure, per cui ha vissuto stabilmente gli anni dell’infanzia a cavallo delle montagne delle due Regioni (Alpi Liguri, Marittime, Cozie) fino a quattordici anni, Annibale Salsa ha conosciuto il mondo contadino già dalla nascita, con questo ha sempre familiarizzato, restandone profondamente influenzato per tutta la vita. Ciò lo portato in età adulta ad occuparsi in veste di studioso della cultura alpina nei suoi aspetti antropologici, etnografici, storici, di pianificazione paesaggistica e di governance territoriale sia sul versante cisalpino italiano e ticinese sia sui versanti transalpini francesi, svizzeri, austro-bavaresi e sloveni, acquisendo così una conoscenza agro-pastorale e soprattutto storico-antropologica pan-alpina. Conoscenza che è riuscito a traslare in una copiosa produzione di libri, trattati e articoli su tanti argomenti riguardanti le montagne in generale e le Alpi in particolare di grande impatto culturale.

Continua dalla Prima

Ci rassicurano, almeno qui da noi, gli esperti del Consiglio Superiore della Sanità: “Sono netto nel dire che, ovviamente continuando ad avere responsabilità e prudenza, il prossimo autunno non sarà come quello che abbiamo vissuto nel 2020...” dice il presidente Franco Locatelli. E questo ci conforta. Tutto finito allora? Probabilmente - diciamolo con prudenza - si, oggi non ci sono più gli ospedali intasati con un impressionante stillicidio di morti e di intubati come nei mesi scorsi, per fortuna sembra che la stessa tragica situazione non si ripeterà nei prossimi mesi. Ma attenzione, dicono ancora gli esperti, basta restrizioni ok, ma ci vuole cautela perché “se questo contesto ci induce all’ottimismo, al tempo stesso non deve farci cadere nell’illusoria percezione di essere fuori dal problema ... il tutto dipende da noi e dal nostro comportamento responsabile...”. Cerchiamo di capirci: è giusto ricominciare a vivere. Sarà commovente tornare negli stadi, andare al cinema, recarsi al ristorante fino a notte tarda. Ma questo non vuol dire che ormai siamo fuori da ogni pericolo e possiamo fare tutto quel che vogliamo, fare a meno del vaccino ad esempio, evitando magari la seconda dose o, peggio ancora non immunizzare i giovani. Purtroppo non è così. Non possiamo dirci al sicuro per sempre. I virologi hanno detto di tutto e di più, ma su una cosa concordano: il vaccino serve. Eviterà che il virus torni a diffondersi fra qualche mese con la forza dell’anno scorso. E anche se lo Stato ha riaperto le porte della normalità, molto dipenderà da noi, dalla nostra responsabilità individuale. A cominciare dai vaccini, unica sicura valvola di sicurezza che ci può garantisce un futuro sereno, chi non si immunizza è a suo rischio e pericolo, così come chi non adotta le misure minime di igiene può essere un pericolo per sé e gli altri. Attenzione quindi all’autocompiacimento e all’illusione di poter abbassare la guardia. Certo, è facile da capire, siamo tutti spossati, stanchi, ci danno fastidio i virologi che ogni giorno, alla Tv, ce ne raccontano di nuove, di quel che succede nel resto del mondo, e allora cambiamo canale. Ormai possiamo viaggiare, all’aperto, senza mascherina, ma illuderci che sia finita potrebbe portarci a pentirsene amaramente. Fino a quando non saremo vaccinati quasi tutti, non c’è da star tranquilli. Fino a quando non sarà vaccinato gran parte del mondo, ci sarà sempre il pericolo che il virus, magari rafforzato, ritorni in qualche forma. E allora torniamo alla responsabilità individuale. Tutto dipende dal nostro comportamento. Chi non si vaccina, chi non rispetta le regole, seppur minime che rimangono, chi fa il gradasso, non è né furbo né coraggioso. A mio parere è semplicemente un immaturo, la cui intelligenza non è sufficiente a capire il tragico momento da cui stiamo cercando di uscire illesi. Allentiamo pure la severità dei mesi peggiori che abbiamo vissuto, e prepariamoci nel migliore dei modi alla ripartenza, a riprendere con serenità le relazioni umane, a viaggiare per goderci l’estate, all’economia che ci dovrà riportare a sorridere. Ma facciamo in modo che non ci siano prossimi allarmi. Per questo è importante l’invito pressante di farsi vaccinare senza se e senza ma, è l’unica garanzia di uscire definitivamente dall’incubo che ci ha accompagnato per due anni di seguito. E che Dio ci aiuti...

L’EDITORIALE - di Adelino Amistadi

Forse è finita... ma con prudenza!

pag.10 LUGLIO 2021

Il Saltaro delle Giudicarie L’assalto ai poveri spettatori della Tv spazzatura

Ah...si mancava il Ruggero ch’era morto da Covid, uno dei pochi in zona, il bello è che l’avevano avvertito: “...stai a casa, non andare a “cusine”, guarda che prima o poi trovi quella giusta e ci rimani...” così fu, si prese il covid dalla Fiorenza e in un paio di settimane se ne andarono ambedue, mano nella mano, all’altro mondo. Tutto sommato s’è visto che nel paese pochi piangevano, e gli amici della Maroca ritornarono al loro tavolo imbandito come sempre da un fiasco di quello buono e qualche bicchiere scalfito, ma ancora idoneo al servizio. La Maroca ormai era inservibile, nel senso che si limitava a controllare e poco altro, come servizio prevaleva il “self service”, ognuno s’arrangiava come voleva e buona notte. Gli argomenti per tornare alle storiche discussioni dei bei tempi non mancavano di certo. Le facce dei sodali non erano delle migliori, abbacchiati da mesi di chiusura in casa, sofferenti per le sopportazioni, le giornate non passavano mai, col rischio che da un giorno all’altro ti capitasse la storia del Ruggero e buona notte. Vita da cani, sul canapè, ore e ore a guardare la televisione, senza soddisfazione, senza senso. Che poi era sempre quella, dalla mattina alla sera, in Tv non c’era altro: cuochi e delitti. Cominciano presto, già al mattino c’è un cuoco dietro il tavolo intento a preparare qualche sua invenzione, si vede che se la sognano di notte. Che poi sono piatti elaborati, piatti fighetti, che si riducono ad un cucchiaio di roba al centro di un piatto enorme, che poi guarniscono con qualche foglia di basilico, o con un filo d’olio, aceto balsamico e varie erbe che non servono a niente se non a qualificare il grande cuoco. Il bello è che questi cuochi pensano di essere creativi e di dare buoni consigli e suggerimenti per la buona riuscita del piatto del giorno. In realtà la gente normale non sa che farsene di quelle stranezze, meglio la polenta carbonera, facile da fare, genuina e nutritiva al massimo. Ma alla Tv tutto serve a riempire le ore di trasmissione e far finta di fare intrattenimento e informazione... Uffa che rottura! “Per fortuna che in questi ultimi giorni si sono aperti gli europei di calcio e qualcosa è cambiato...almeno abbiamo qualche partita da vedere...” dice l’Abele. “Già, ma non ti dico la rottura di mia moglie, lei insiste con i cuochi, la cucina, le leccornie, dice lei, poi a pranzo, ogni giorno rischio la diarrea...” continua l’Alfredo. “Io guardo tre partite al giorno...non mi muovo dal canapè, la cena la faccio col piatto in mano, e l’altro giorno con il gol di Pessina, il piatto è volato in cielo... vi lascio immaginare mia moglie, da allora mi ha tolto il saluto….” confida addolorato l’Archimede. “Meglio soli che mal accompagnati…- interviene a ragione l’Osvaldo Caccaola – a me non rompe i cogl...nessuno, faccio i cavoli miei, e sopravvivo...” “D’altronde, che altro si può fare...la Tv, sempre la Tv, se cambi canale arrivano i delitti, i criminali, le cattive notizie...” torna a dire l’Abele. In effetti, già nelle prime edizioni del Tg, qualunque sia il canale, si fanno il riepilogo dei morti ammazzati del giorno appena trascorso, tanto per tirarvi su il morale. Poi, durante la giornata, ad ogni Tg veniamo aggiornati sugli ultimi ammazzati, freschi di giornata. Ai Tg, veri bollettini di guerra, si aggiungono tutti quei programmi, roba da salone da bottega del barbiere, nei quali si riprendono i temi di cronaca nera per gli approfondimenti del caso, movente, dinamica, protagonisti, rilevazioni sulla vita privata, amanti incluse, interviste esclusive ai vicini di casa che quasi mai fanno una gran figura, a passanti ecc. ecc. “E va bene tutto, ma poi ci sono i presentatori, ce ne sono alcuni che sembrano appena usciti dal Covid, altri sembrano portatori di sfiga, altri ancora operatori cimiteriali, gente che se la trovi in strada, viene spontaneo fare loro le condoglianze. Se poi cercate un film per alleggerire l’ansia da Covid, ecco che ti propongono, un po’ su tutti i canali, polizieschi d’ogni genere, preferibilmente quelli che narrano di stupratori o violenze sulle donne, stragi, genocidi, sembra non ci sia altro da raccontare. Uffa...non se ne può più! Il macabro, l’orrido, lo spettrale, trionfano ovunque!” l’Archimede l’è ormai “fo la cima!” “ Ma ce n’è un altra ghenga che rompe da mattina a sera...con la scusa del Covid, sono entrati in scena decine e decine di scienziati che ci stanno davvero rompendo le pa...” s’arrabbia il Paride che bolle dentro. “Già, all’improvviso il virus ha portato in Tv scienziati d’ogni genere, alcuni evidenti ciarlatani, altri meno, ma tutti con una gran voglia d’apparire...” continua il Paride: “Tutta gente sconosciuta che neanche si sapeva che esistesse, chiusa nei propri laboratori o nel caos degli ospedali….” Eppure sono apparsi come ballerine sculettanti, questi signori e signore hanno detto di tutto: che il virus non c’era, che era poco più di una influenza, che colpiva solo i vecchi. Poi sono morti in migliaia in tutto il mondo, e allora pronti ad adeguarsi, hanno iniziato a dare pareri a vanvera, sbagliando quasi tutto. Davvero un’orda barbarica di opinionisti narcisi e inutili. Quest’ultima cosa l’ha aggiunta, il vostro Saltaro, per chiudere in bellezza alcune serie considerazioni sulla Tv e sulle storiacce e storielle che ci racconta giornalmente. Non so perché lo si faccia, per tenerci compagnia, dubito, per farci passare il tempo nel miglior modo possibile, mah...ho l’impressione che sia solo una questione di soldi e che pur di far soldi vada bene ogni cosa, senza paura di cadere nel ridicolo, che tristezza! Ma ormai facciamocene una ragione. Non c’è niente da fare.

La Maroca e la sua osteria sono tornate al lavoro, ospitali come sempre, con la Maroca imbarazzata da una mascherina bianca tutta particolare, tipo scaldacollo, che le nasconde quasi totalmente il faccione rubicondo. Tutto sommato non è male, quella mascherina sembra la più indicata, che meglio si addice alle sue piccole orecchie che mal sopportano persino le stanghette degli occhiali. È cambiato ben poco dai mesi di chiusura, più o meno tutto come prima, comprese le bevande, il vino annacquato, la grappa nostrana distillata di contrabbando dal Giacomino Balauster, la birra sgasata nei barilotti di un paio d’anni prima, e la padrona di casa gonfia come un pallone, l’inerzia dell’inverno pandemico l’ha fatta ingrassare come una balena, cosi si diceva, anche se magari, da quelle parti, erano in pochi a sapere cosa fosse una balena e quanto fosse grossa. Non erano cambiati neanche gli amici che avevano cominciato ad incontrarsi nell’osteria storica del paese, non mancava nessuno.

Riunioni infiammate davanti all’ospedale, banchetti di raccolta firme attorno ai quali furono visti fra gli altri personaggi come Gigi Olivieri (vicepresidente della Comunità di Valle) e Mario Tonina, diventato da pochi mesi consigliere provinciale. Cominciarono le trattative: da una parte la Provincia, intenzionata a chiudere il punto nascite; dall’altra la Comunità, desiderosa di strappare una contropartita. Alla fine si arrivò a quel fatidico 26 aprile, con la firma del protocollo di intesa, che pomposamente (ci sia consentito l’avverbio) parlava di “rilancio dell’ospedale di Tione”. E qual era la contropartita in cambio della chiusura del punto nascite? Il documento lo specificava in modo chiaro: le Giudicarie, per la loro conformazione orografica e per una lunga consuetudine economica, hanno sviluppato il turismo degli sci; il turismo degli sci porta, purtroppo, ad un super lavoro dei reparti di ortopedia. Ergo? Bisogna fornire risposte sempre più qualificate alla domanda connessa alle patologie di carattere traumatologico. Non a caso, a supporto dell’ospedale di Tione è stato realizzato il centro traumatologico di Madonna di Campiglio, perché da lì viene la maggior parte dei traumatizzati: gambe, piedi, polsi e braccia, malleoli, clavicole... Insomma, tutto ciò che va fuori posto quando si vola dagli sci. Oggi, a distanza di più di cinque anni, viene una domanda: quanti credevano realmente in quel desiderio di sviluppo dell’ospedale delle Giudicarie? Non è una domanda peregrina se a sentire colui che è passato da presidente (e firmatario del protocollo) a commissario della Comunità di Valle, Giorgio Butterini, non è successo nulla o quasi. In realtà qualcosa è successo, e non profuma affatto di potenziamento: il primario di Tione, Luigi Romano, è diventato primario pure di Cles. Certamente un riconoscimento di prestigio per lui (Romano se lo merita, intendiamoci, anzi, meriterebbe riconoscimenti professionali ancora più elevati), ma suona come una sorta di ridimensionamento per Tione (a pensare male... ce lo hanno spiegato, no?). E dire - parole dello stesso Butterini – che “abbiamo a Trento una nutrita delegazione di assessori e consiglieri giudicariesi!”. Alle rimostranze del commissario in giugno si è fatta sentire, in vero un po’ piccata, l’assessora Stefania Segnana, la quale ha contestato le opinioni di chi sostiene che l’ospedale di Tione è fra color che son dimenticati. “L’Ospedale non è stato dimenticato, ma verrà potenziato secondo quanto già programmato, con un finanziamento quasi raddoppiato”. Così l’assessora. Cosa accadrà ad ortopedia? “E’ in approvazione il progetto esecutivo e a breve sarà bandita la gara per procedere ai lavori che interesseranno il terzo piano”, comunicava Segnana in giugno. “Si prevede la creazione di un’area di day surgery con quattro posti letto (per alleggerire il carico sul blocco operatorio), ambulatori e studi medici, due ambulatori per la terapia antalgica sullo stesso piano della sala operatoria, oltre a vari locali tecnici”. In definitiva, la conclusione dell’intervento sulla parte dell’ortopedia è annunciata dall’assessora per il mese di dicembre di quest’anno. Altro annuncio: l’importo stanziato per i lavori ammonterà a 630.000 euro: più del doppio dei 300.000 previsti all’inizio, su richiesta dei medici. Ospedale dimenticato? Nemmeno per sogno, a sentire la componente della Giunta provinciale, che parla di un “intervento globale sull’ospedale pari a 4 milioni. Partiti i lavori per l’antincendio: prima tranche per un milione e 345.000 euro, seconda (con conclusione prevista per il 30 luglio) un milione 150.000 euro”. Insomma, tutto a posto. Peccato che vengano usati tutti verbi al futuro.

I numeri

Della “nutrita pattuglia” di giudicariesi in Piazza Dante fa parte Alex Marini (Cinquestelle) che onora il suo posto interrogando. Una interrogazione non poteva che riguardare l’ortopedia, per sapere quanti “ospiti” passino da quel reparto. In realtà non si sa, nel senso che l’assessora fornisce un dato conclamato: l’ospedale di Tione serve l’intera comunità giudicariese: 37.00 abitanti o giù di lì. Invece ci fornisce qualche altro dato curioso. Per esempio sugli utenti esterni alla valle, che sono principalmente i fruitori delle piste da sci. “I pazienti ricoverati nell’Unità Operativa e provenienti da fuori provincia – si legge nella risposta all’interrogazione - costituiscono circa il 23-26% dei pazienti trattati (dati 2018 e 2019, anche perché nel 2020 la stagione si è conclusa anzitempo)”. Poi va considerato l’ambulatorio traumatologico di Madonna di Campiglio, che “ha gestito nella stagione 2018/2019 996 pazienti rispetto ai 741 dell’analoga stagione dell’anno precedente”. Un aumento non di poco conto. Nella stagione 2019/2020, peraltro sospesa l’8 marzo 2020, il numero di pazienti è stato pari a 735”, aggiunge l’assessora. Dei quasi mille pazienti trattati a Campiglio nell’inverno 2018/2019 79 sono stati trasferiti nei reparti ospedalieri per la prosecuzione delle cure. Nel dettaglio, 3 pazienti polifratturati (destinati a Trento o Rovereto); 6 pazienti pediatrici (destinazione Trento); 9 pazienti ricoverabili oltre le ore 16 (destinazione prevista Cles); 61 pazienti ricoverabili entro le ore 16 (destinazione prevista Tione). Fare caso a quel “oltre le 16” di Cles e “entro le 16” di Tione. Evidentemente l’ospedale in via di potenziamento non riceve dopo le 16.

Nonostante il protocollo del 2016, lo sviluppo del reparto è fermo Ospedale, ortopedia rimane solo sulla carta

di Giuliano Beltrami

Era un martedì il 26 aprile 2016 ed era una tiepida giornata di primavera. Quel giorno si erano dati appuntamento il presidente della Comunità di Valle delle Giudicarie Giorgio Butterini ed il presidente della Provincia Ugo Rossi, che faceva pure le funzioni di assessore alla salute, per sottoscrivere il “Protocollo di intesa in materia di sanità”. Un atto importante perché veniva alla fine di un periodo travagliato a dir poco per l’ospedale di Tione. Due anni prima (esattamente nel 2014) era partita una raccolta di firme in perfetto stile emergenza: 23.000 ne furono raccolte in poche settimane, che vennero consegnate dalla presidente Patrizia Ballardini a Ugo Rossi venerdì 12 settembre 2014.

This article is from: