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Banca Popolare Pugliese ha aderito al protocollo sottoscritto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF), l'Associazione Bancaria Italiana (ABI) ed AGEA finalizzato all'anticipazione dei Titoli PAC. Tutte le Imprese Agricole che hanno presentato ad AGEA la Domanda Unica Aziendale di aiuto per la campagna 2017, potranno avanzare una richiesta di anticipo dei contributi per una durata massima di 12 mesi e con un tasso d’interesse molto vantaggioso.
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editoriale
È morto l’autore di “Breviario mediterraneo”
ADDIO A PREDRAG MATVEJEVIó di Giuseppe Albahari tilizziamo questo spazio, che siamo soliti ritagliarci, per salutare un grande uomo che ci ha lasciati di recente: il cittadino del mondo Predrag Matvejević. Abbiamo l’impressione di fare un uso quasi “privato” di questa pagina, tanto ci sembrava di essere in relazione con lui, ed è invece un tributo doverosamente pubblico ad un grande intellettuale. Come scrittore, sapeva usare il vocabolario della critica e della poesia sempre per costruire, sempre per mettere la cultura, quella mediterranea in particolare, al centro dell’attenzione. Ci ha lasciato molte opere e tutte lo descrivono come un lucido osservatore della realtà. Era preoccupato dalla preconizzata riaffermazione dei nazionalismi, in particolare nella sua Bosnia, Croazia e Jugoslavia, da lui lasciate per insegnare a Roma e Parigi – “tra asilo ed esilio”, per richiamare il titolo di un suo testo edito da Moltemi nel 1998. Molti di noi lo hanno scoperto grazie a “Breviario mediterraneo”, edito da Garzanti nel 1987. Avremmo voluto averlo ospite in una delle prime edizioni della “Settimana della cultura” del mare, che questa rivista e l’omonima associazione organizzano a Gallipoli. Alla nostra richiesta, però, la moglie rispose che Predrag sarebbe stato lieto di tornare a Gallipoli, che conosceva, ma che le condizioni di salute non gli permettevano di farlo. Era già questa la situazione nel 2013. Più di recente, abbiamo anche sottoscritto l’appello – inascoltato - con cui centinaia di intellettuali e giornalisti proponevano la sua candidatura al Nobel per la letteratura. Questi piccoli nostri contributi non aiutano affatto a farci sentire in pareggio rispetto al debito di riconoscenza che nutriamo nei suoi confronti. Il modo migliore per onorare tale debito è promuovere la conoscenza della sua produzione letteraria, “Breviario mediterraneo” in primo luogo. Un libro che rifugge qualsiasi definizione, sospeso come è tra navi, porti, mappe nautiche, fari e anche parole e linguaggi, culture e tradizioni, case e chiese, santi e divinità. “Questo libro mediterraneo è un racconto – scrive Claudio Magris nella prefazione all’edizione aggiornata del volume (2000) - che fa parlare la realtà e innesta perfettamente la cultura nell’evocazione fantastica”. Un libro unico, prezioso, laicamente sacro.
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A farewell to a world citizen PredragMatvejević, major intellectual, writer able to use the vocabulary of critique and poetry, always to create something, to give prominence to culture, especially the Mediterranean one; author, by the way, of “Breviario mediterraneo” (Mediterranean breviary), book suspended between ships, harbors, navigational charts, lighthouses but also words, languages, cultures and traditions, houses and churches, saints and gods; a unique, precious book, materialistically sacred.
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ROLL BAR
SOMMARIO Marzo 2017
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TURISMO
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AMBIENTE
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NAUTICA & MARE
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Nel prossimo numero, “ITINERARI ROSA DI PUGLIA”
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EDITORE
LE IMMAGINI E I TESTI
Rivista trimestrale dell’Associazione
Associazione culturale
pubblicati possono essere riprodotti,
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TRADUZIONI: Fabiola Collabolletta IN COPERTINA:
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Lecce e le sue marine Marco Romano | Lecce come opera d’arte ..................................................................................................................... 07 Leda Cesari | Giardini segreti........................................................................................................................................................... 13 Nunzio Pacella | La magia della cartapesta nei vicoli della Lecce Barocca................................... 15 Giuseppe Albahari | Le Città del cinema............................................................................................................................. 17 Maria Gabriella de Judicibus | La via del mare Lecce-San Cataldo........................................................ 19 Fabio Pollice | La costa dimenticata.......................................................................................................................................... 23
Marco ROMANo Docente universitario ed esperto in estetica della città
LEDA CESARI Giornalista amante del mare
NUNZIO PACELLA Scrittore, giornalista, gastronomo e giornalista gastronomo
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GIUSEPPE ALBAHARI Il nostro direttore
MariA GABRIELLA de judicibus Docente di Lingue, Letteratura Italiana e Storia, scrittrice e giornalista
FABIO POLLICE Docente di geografia economico-politica dell’Università del Salento
I Propilei - Piazza Duomo
focus
IL RITRATTO DI
Lecce
come opera d’arte di Marco Romano
Porta Napoli
La cosa sorprendente di Lecce non è tanto la festosa decorazione di molti portali, di molte finestre, di angoli di case, di incredibili balconi, di molte facciate di palazzi e di chiese culminata in quella di Santa Croce - testimonianza di una tradizione di scalpellini tuttora viva, facilitata dal tufo locale, una pietra morbida allo scavo che dopo qualche tempo indurisce – ma è forse l’ampiezza e il nitore dei suoi boulevard. uando ne compare a Lecce il progetto, verso il 1830, forse esistevano soltanto a Bruxelles, a Bordeaux, a Mosca, a Torino, e per qualche tratto a Madrid, a Monaco di Baviera, a Parma e in qualche altra città minore. E non è soltanto il tracciato dei boulevard a mostrarsi quasi sontuoso, ma anche i mille alberi fatti venire da Napoli per abbellirli, mentre a tutte le ville che sarebbero state costruite
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sul loro filo verrà imposto – come a Parigi - un arretramento a sua volta alberato. Le generazioni ereditano queste “anomalie” quasi senza saperne la lontana origine. A Lecce, nel 1582 verrà realizzata una strada alberata, bordata di tassi tagliati a piramide, che dalla porta della città raggiunge un castello – la Torre del Parco, di fatto un palazzo residenziale con molti annessi distribuiti in un giardino, accanto al prato per la
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fiera di San Giacomo sotto all’omonimo convento: – è davvero una primizia europea, perché fino ad allora nessun aveva immaginato una strada alberata doppiamente trionfale, dalla porta di una città dritta verso un lontano castello. Dopo il 1530, integrata nell’impero spagnolo, Lecce verrà presto promossa a capitale delle Puglie, seconda città del regno dopo Napoli, una piazzaforte dell’interno in grado di costituire una solida retroguardia alle endemiche incursioni turche cui erano spesso vittime le città costiere: verrà così subito ricostruito il castello, la città verrà cinta da nuove mura e, soprattutto, l’orgoglio cittadino indurrà nel 1548 i leccesi a fare della porta verso Napoli un arco trionfale che non aveva l’eguale in tutto il regno.
FOCUS
Anfiteatro
La stessa passeggiata alberata della Torre del Parco rimarrà per secoli un motivo di consapevole fierezza della città, e non soltanto i pittori la privilegeranno spesso come sfondo delle loro vedute ma questa stessa passeggiata la rivedremo nel primo piano di un reliquiario argenteo modellato nel 1889, dove sant’Oronzo offre la città alla Madonna. Se ora lasciamo i giardini sui boulevard e guardiamo alle principali strade monumentali, è singolare che esse siano in sequenza con la piazza del duomo: la quale poi non solo è al centro della città, là dove ci aspetteremmo quella piazza principale qui relegata invece all’ombra del castello, ma è anche quasi completamente chiusa, resa accessibile soltanto dai propilei, due edifici simmetrici che nel 1761 hanno sostituito un vero portone di legno. Questa singolare piazza con il palazzo vescovile e il seminario, con filari di botteghe e di bancarelle, con la vitalità della fiera, mostra la clamorosa intenzione di rivaleggiare con la piazza intorno alla basilica di San Nicola a Bari.
La rivendicazione della piazza di Lecce non è tuttavia accompagnata dalla devozione di un santo altrettanto prestigioso: la città rimarrà sotto la protezione di una triade femminile, sant’Irene con due sante minori, santa Venera e santa Petronilla, fino a quando un vescovo intraprendente coglierà nel 1656 l’occasione di attribuire il miracolo d’essere rimasta immune da una peste diffusa in tutto il regno alla protezione di un nuovo santo, sant’Oronzo – anche questa volta in una triade con i santi Giusto e Fortunato – e subito farà ristrutturare radicalmente il duomo per poterlo ridedicare al nuovo santo. E il Comune, quasi a rivendicare il ruolo egemonico della sfera civile, subito dopo la sua assunzione a protettore della città, fece elevare in piazza una colonna sormontata dalla statua di Sant’Oronzo. Facendo di Bari la capitale delle Puglie il governo francese del regno di Napoli premiò
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la sua fedeltà alla causa rivoluzionaria nel 1799, quando i popolani leccesi si erano invece rivoltati accusando le donne borghesi di avere adottato i licenziosi abiti delle francesi. Questa promozione non sarà reversibile e il ritorno del governo borbonico tre anni più tardi lascerà le cose come le aveva organizzate Gioachino Murat. Ma Lecce reagirà a questo scacco sul versante istituzionale mostrando quanto la sua ricchezza e la sua cultura, clamorosa nella bellezza della città, resti di gran lunga superiore a quella di Bari e al suo misero piano regolatore appena quadrettato. È questo il momento nel quale Lecce riannoderà l’orgoglioso filo della passeggiata cinquecentesca tracciando quei nuovi boulevard che ci hanno così incantati nelle prime righe di questo ritratto e sottolineandoli nel 1819 con un parterre alberato davanti all’arco di Carlo V, aperto su una piazza cir-
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colare proprio all’incrocio con i boulevard la dove, dritta nella campagna, ha inizio la nuova strada per Napoli, e dove verrà eretto un obelisco in onore di Ferdinando II, forse sperando di invertire il vento favorevole a Bari. Questo rinnovato confronto con Bari – ora tutto sul versante della sfera civile - comporterà di esaltare la sequenza della strada principale aperta da porta Rudiae e culminata nella piazza principale – squassata dalla messa in luce, durante gli anni Trenta del secolo scorso, dalla riscoperta dell’anfiteatro romano - proseguendola oltre con i nuovi teatri. Situato come una pietra preziosa incastonata sull’anello dei boulevard, il grandioso giardino pubblico deciso verso il 1830 sarà alla radice della strada Cristina (Maria Cristina di Savoia era la moglie di Ferdinando II) dritta verso il sognato porto di San Cataldo, progetti entrambi maturati nel clima del confronto con il rinnovato ruolo di Bari; e se il porto di San Cataldo rimarrà un sogno – del resto rimarrà per sempre un sogno a Bari anche un vero giardino pubblico, che non avrà mai – la strada Cristina diventerà verso la campagna l’anima delle sequenze dei quartieri di questi ultimi cinquant’anni, con lo stadio e i campi sportivi. Ma la traccia forse più emblematica di questo conflitto e dei suoi esiti verrà offerta al visitatore che scenda dal treno nella stazione, e di lì ne segua il
Teatro Romano
viale per entrare in città proprio lì di fronte: e si troverà presto, nella corte neoclassica del palazzo degli Studi - così simile a piazza San Carlo a Milano - il busto di Giosuè Carducci, non a caso il poeta più anticlericale di quel fine secolo. Troverà sul fondo anche il lieve ingresso alla chiesa conventuale della quale il palazzo era un tempo il chiostro, con i sui rutilanti altari rococò, quasi a rendere evidenti e immediati sul versante simbolico conflitti secolari forse oggi quasi dimenticati.Resteranno vigorosi nella memoria di questa città i grandi boulevard appena toccati dalle ville costruite in viale Gallipoli tra Ottocento e Novecento e suggestivamente disponibili per le sedi universitarie, per il museo provinciale e per le istituzioni statali costruite negli anni Trenta, sullo sfondo di una città
contemporanea che con le sue frenesie moderniste ha trascurato i suggerimenti secolari di una clamorosa volontà estetica per perdersi nei rivoli di un abitato senza strade, senza piazze, senza boulevard, senza radici.
T he surprising thing about Lecce, is not just the festive decoration of many houses, but also its wide, clean boulevards. When the project did appear in 1830, only a few capital cities in Europe existed, but in 1582 a tree-lined road connected the gate of the torn to the “Torre del Parco” tower, and during the last century new boulevard were created. Also piazza del duomo is very attractive: it is almost closed, and until 1761 was totally closed, with a wooden gate.
*Ringraziamo l’architetto Romano per averci consentito di pubblicare questo stralcio di un ben più articolato “ritratto” di Lecce e alcune immagini. Invitiamo i lettori a conoscerne la versione integrale, corredata di ulteriori, significative immagini, pubblicata nel volume “Le belle città – Cinquanta ritratti di città come opera d’arte” edito da Utet. Per ciascuna città sarà facile cogliere le peculiarità esaltate da un racconto che è frutto non d’invenzione, ma di documentazione, cultura, istinto e soprattutto di lunghe e avventurose passeggiate.
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Palazzo Rollo
Fotografie firmate Loloieg da Flickr
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quando lecce ti abbraccia con i suoi
Giardini Segreti di Leda Cesari W orking in tandem with “Artigianato d’Eccellenza”(crafts of excellence), craft market show, scheduled 19 to 21 May, in the former Church of San Francesco della Scarpa, from 19 to 21 May, Lecce opens the doors of its courtyards, thanks to the Association “Historical mansions” led by Giuseppe Seracca Guerrieri. In the ancient heart of the town, you can visit the most wonderful inner gardens of the private palaces of the town, which unveil their secrets, and can be admired in their splendor.
Palazzo Palombi
a bellezza nascosta che si svela una volta l’anno; il weekend durante il quale Lecce si fa meta di migliaia e migliaia di visitatori, attirati nel cuore antico della città dai giardini dei più bei palazzi privati del capoluogo salentino, che per un giorno depongono i loro segreti per farsi ammirare nella totalità del loro splendore. “Cortili Aperti” torna insomma a rinverdire i fasti del barocco leccese, e lo fa anche quest’anno, alla sua ventitreesima edizione, grazie alle cure dell’Associazione Dimore Storiche Italiane, che organizza la manifestazione in tutta Italia e quindi anche in Puglia, dove come ogni anno si attiva la sezione regionale del sodalizio, che riunisce i proprietari delle più belle magioni italiane, presieduta da Giuseppe Seracca Guerrieri. La bellezza dei giardini fioriti che si rivela alla città, ma non solo: anche quest’anno, come da tradizione, gli
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spazi verdi delle dimore storiche leccesi che partecipano all’iniziativa, e che verranno come di consueto suddivise in più itinerari, saranno riempiti per tutto il giorno da momenti di musica, letteratura e cultura regalati ai visitatori dalla creatività diffusa degli artisti della città. “Cortili Aperti” si svolge come ogni anno in tandem con “Artigianato d’Eccellenza”, mostra-mercato in programma dal 19 al 21 maggio nell’ ex chiesa di San Francesco della Scarpa. Diverse le sezioni della rassegna: bijoux e moda, oggetti d’arredo e da giardino, food and wine selezionati per pregevolezza, originalità e stile decisamente italiano. Tre giorni di full immersion nel bello fatto a mano, con le ultimissime novità elaborate dalla creatività e dal gusto di un mondo fortemente dinamico, in costante innovazione, attivo e moderno pur nel rispetto di un’antica tradizione, grazie anche al lavoro dei
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giovani che sempre più si avvicinano all’artigianato d’eccellenza. Ad arricchire la mostra-mercato un calendario di eventi collaterali, presentazioni di libri e workshop. Come sempre la manifestazione persegue un importante scopo benefico: quest’anno Artigianato d’Eccellenza sosterrà infatti i progetti di Triacorda onlus e Progetto Itaca Lecce con uno straordinario concerto della pianista Beatrice Rana.
Palazzo della Ratta
ph: Alessandro Magni
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La magia della
cartapesta
nei vicoli della Lecce Barocca Testo e foto di Nunzio Pacella
spasso nel centro storico di Lecce, dall’Arco di Prato passando per Santa Croce fino a piazza del Duomo dominata dall’elegante campanile dello Zimbalo, il turista coglie gli eleganti ricami dell’arte barocca e quella luce calda della pietra leccese che dona un’atmosfera unica e dorata a vicoli e scorci della città.
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Lecce è tra i principali centri di produzione della cartapesta di Puglia. Non è difficile imbattersi in un grande elefante al crocicchio di un vicolo, oppure su via D’Amelio veder focheggiare Angelo e Franco Micello, un Cristo Morto sulla porta della bottega d’arte di Mario Di Donfrancesco. Ancora, davanti al laboratorio in via Umberto I, a due passi dalla Basilica di Santa Croce, di Antonio De Rinaldis e dell’artigiana Maria Arcona
ph: Nunzio Pacella
è qui, tra una chiesa barocca e un palazzo abbellito da canèfore, che si trovano le botteghe dei maestri artigiani lecce� si, dove si modellano santi e madonne in cartapesta e abili mani animano vere e proprie opere d’arte, creazioni artistiche e di design che strizzano l’occhio alla tradizione. Ratta, orgogliosamente legata ad una lunga tradizione di famiglia, non è difficile accarezzare un fruttivendolo a misura d’uomo e infine, stupirsi davanti a tanta bellezza e puntigliosa meticolosità di dettagli, tenendo in mano le coloratissime statuette dei fratelli Claudio, Giuseppe e Sandro Riso, lungo la centralissima via Vittorio Emanuele che porta alla cattedrale metropolitana dell’Assunta, principale luogo di culto cattolico della
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città. L’arte della cartapesta nasce tra il XVI e il XVIII secolo, in un momento storico molto florido che vedeva a Lecce il moltiplicarsi di chiese e monumenti. Gli artisti, al fine di prestare il proprio contributo e fare fronte alle continue richieste da parte dei religiosi e dell’aristocrazia dell’epoca, non avendo a disposizione materie pregiate, fecero ricorso a qualcosa di molto più semplice e umile.
salentino una grande rappresentanza commerciale, in quanto Lecce era considerata la porta per l’Oriente. Gli uomini più ricchi d’Italia, i dogi veneziani, avevano flotte che dai porti salentini commercializzavano olio, grano e vino verso il Mediterraneo orientale”. Insomma, l’arte povera della cartapesta, nata come arte sacra per produrre Santi, Madonne e Misteri di Cristo, cioè colorate statue processionali da tenere negli stipi di chiese e confraternite per tirarle fuori alla bisogna, è oggi un business per il turismo leccese.
N estled between old Churches and baroque palaces, in the narrow streets of the ancient town, you can find the papier-mâché shops, a very simple technique, using paper pieces, cotton or other textiles, bound with an adhesive, today polyvinyl acetate, but originally water and flour, and placed on a frame to dry and create a shape. Skilful hands which once created Saints, Madonna, Mysteries of Christ, colored statues for the procession, today also give life to other characters, true works of art.
ph: Nunzio Pacella
La cartapesta fu in grado di dare vita, con il supporto di altre materie povere come la paglia e gli stracci, a un prodotto finale di ottima fattura. La produzione era legata a statue di ogni dimensione. Personaggi sacri e da presepe che ancora oggi si possono ammirare nelle principali chiese del Salento. In tempi moderni poi la produzione si è molto più estesa, abbracciando oltre al sacro anche il profano, con oggetti come bambole, maschere e giocattoli. La cartapesta è una tecnica povera che utilizza prevalentemente carta e pezze intrise con materiale legante come colla vinilica, anticamente colla di farina, pestate nel calco in gesso fino a farle assumere la forma del modellato argilloso lavorato in precedenza. “Fiorì - dice il maestro Antonio De Rinaldis - di pari passo all’architettura barocca leccese. Non a caso uno dei maggiori esempi di questo connubio è proprio il controsoffitto, totalmente in cartapesta al posto dei coevi soffitti lignei, della Chiesa di Santa Chiara realizzato alla metà del settecento forse dal Manieri. I primi artisti che vennero a Lecce a lavorare la cartapesta furono i bolognesi su commissione dei veneziani. Questi ultimi avevano nel capoluogo
ph: Nunzio Pacella
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Proposte per sostenere la filmografia locale
LECCE città del cinema di Giuseppe Albahari
da “Buongiorno Taranto”
Quasi venti anni di “Festival del cinema europeo” a Lecce. Costituiscono una presenza ormai consolidata della città nel panorama dei luoghi che danno evidenza ai diversi linguaggi cinematografici contemporanei. ecce ha scelto la dimensione di riferimento europea, anche se il Festival promuove contestualmente il cinema italiano. Quest’anno, la XVIII edizione del Festival diretto da Alberto La Monica e Cristina Soldano (in programma dal 3 all’8 aprile nella tradizionale sede della Multisala Massimo) ripropone il concorso di cortometraggi realizzati da registi pugliesi under 35; ed è una scelta importante. Prima di spiegarne il perché, è opportuno accennare ad Apulia Film Commission, che supporta il Festival.
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È acquisito che tale Fondazione ha contribuito a trasformare la Puglia in un grande set, in cui coloro che vogliano produrre un audiovisivo perché innamorati di location e luce senza eguali non devono né addossarsi i grandi costi di trasferta necessari per superare il decentramento geografico, né indossare gli abiti del pioniere per scoprire le professionalità offerte dal territorio. In questo contesto – e veniamo al perché sia importante il ritorno dei corti in concorso - è opportuno che siano promossi anche giovani registi
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sui quali gravano, viceversa, il peso di vivere in una periferia produttiva e la difficoltà d’entrare in relazione con le sfaccettate realtà del mondo che si diceva di celluloide. La Fondazione, va detto, già promuove la filmografia locale, ma forse sono necessarie maggiori risorse. Sul versante registico, il Salento – ma il fervore è pugliese al di là del riferimento geografico - dimostra sempre più d’essere terra di promesse mantenute, con moltissimi giovani che hanno già dato ottima prova di maturità espressiva, rigore stilistico, qualità artistica, creatività.
FOCUS
Non è il caso di citare nomi per non correre l’inevitabile rischio di involontarie omissioni. Si può però citare un caso che assume valore emblematico, quello di Paolo Pisanelli, film-
maker e direttore artistico dell’originale Festa di Cinema del reale, che si svolge a Specchia, il quale opera all’interno di una società di produzione, Big Sur, che prima di tutto è un laboratorio creativo. Il regista vuole raccontare la storia di due persone che, sfioratesi 25 anni fa durante uno sbarco di albanesi in Puglia, si ritrovano oggi – l’uno musicista, l’altro fotografo – e danno inizio ad un viaggio incentrato sui volti di migranti, ieri sorridenti, adesso chissà. “Facce”, infatti, è il titolo del lungometraggio, un viaggio di suoni, musiche e visioni tra Italia e Albania, attualmente in fase di sviluppo. Bisogna trovare le risorse finanziarie perché diventi progetto operativo, impresa sempre difficile benché Pisanelli abbia già all’attivo lungometraggi e riconoscimenti, basti citare per tutti la drammatica poetica del suo “Buongiorno Taranto”, premiato in Italia e all’estero. Potrebbe essere questo l’esempio di un ulteriore obiettivo da raggiungere per Lecce città del cinema: collaborare perché la Puglia non sia soltanto location privilegiata da produzioni
da “Facce”
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A lmost twenty years of “European Film Festival” In Lecce represent a well-established presence among those places giving voice to modern cinema languages. Alongside other cinematographic initiatives, it promotes a different idea of Apulia: not just sea, pizzica and baroque. Without disdaining those distinctive features, it is important to support cinema to make those cultural stratifications a shared cultural heritage.
ospiti, ma promuova la filmografia “locale”. D’altra parte, il racconto di realtà insieme locali e transnazionali non può certo prescindere dalla sensibilità personale del regista generata dai luoghi in cui si è formato. In ogni caso, è opportuno promuovere una Puglia altra rispetto a quella di mare, pizzica e barocco; Puglia diversa, pur senza ripudiare gli anzidetti suoi peculiari aspetti, ma che meglio ne esprima le stratificazioni storico-culturali. Non c’è dubbio che le espressioni di tanta complessità meritino di diventare patrimonio collettivo. Anche grazie al cinema.
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MARINE DI LECCE 1
La via del mare
Lecce-San Cataldo di Maria Gabriella de Judicibus e la distanza più breve tra due punti è costituita da una linea retta, allora non c’è dubbio: è San Cataldo il litorale leccese per eccellenza! La prima metropolitana di terra, infatti, una ferrovia elettrificata datata 1898 ad opera della società multinazionale Koppel, percorrendo in linea retta la cosiddetta “via del mare” per antonomasia, collegava il centro storico del capoluogo del Salento al mare adriatico, consentendo ai Leccesi, di godere in pochi minuti e non solo d’Estate, di un litorale lungo decine di chilometri, tanto da ricadere per metà sotto la giurisdizione del Comune di Vernole. La Koppel in appena un anno terminò, infatti, i lavori della tramvia con il supporto dell’ingegnere Pasquale Ruggeri di Lecce che fu estromesso dalla gestione nel 1899; l’impianto ed il suo esercizio passò poi al Comune di Lecce fino al 1925 ed in seguito alla Società Generale Pugliese dell’Elettricità, ente che lo soppresse nel 1933.
Anche la Marina Militare ha mostrato il proprio interesse per la zona poichè dal 1895, l’insenatura ospita il fascinoso faro di circa 23 metri d’altezza, gestito dall’Ufficio Locale Marittimo della Capitaneria di Porto che ne consente il funzionamento e collabora attivamente con quanti in forma pubblica o privata, si prodigano perché la marina di Lecce continui ad esistere e a resistere anche se, ormai, non resta quasi più niente dell’antico splendore. La marina leccese è, attualmente, un luogo semideserto per la maggior parte dell’anno, e perfino in periodi di grande accesso turistico nel capoluogo salentino, lo splendido lungomare e gli stabilimenti che si susseguono lungo tutta la fascia del litorale adriatico, riteniamo non siano pienamente utilizzati. Eppure, San Cataldo con i suoi quasi 1000 residenti, dovrebbe, a pieno titolo, anche d’inverno essere animato come quartiere residenziale dotato di splendidi paesaggi naturali con pinete che hanno seguito la bonifica delle zone paludose senza privare l’ambente delle aree umide retrodunali, in grado di fornire riparo e nutrimento agli stormi in transito tra Africa ed Europa. Spiace la presenza di un poligono militare permanente di tiro, poco compatibile con qualsiasi tipo di attività turistica, tanto più se legata all’osservazione rispettosa di specie protette o al desiderio di quiete turbato da raffiche di armi da fuoco e cannonate… Per decenni la gente del posto ha visto solo il lato negativo della presenza massiccia delle foglie morte di Posidonia Oceanica, non “un’alga che puzza” come purtroppo l’ignoranza diffusa fa pensare, bensì un’importante fanerogama mediterranea che, oltre a costituire un indicatore ecologico di mare incontaminato, offre ospitalità e cibo alle specie marine, preservando dall’erosione il litorale grazie ai suoi “banchetti”, elevati a distanza dalla costa, nel fondale marino. Le foglie naturalmente secche di posidonia si depositano in grandi quantità sulla spiaggia e costituiscono un incredibile “tesoro” per chi ne conosce le proprietà in grado di alimentare l’industria per ricavare mangimi, concimi, cosmetici…
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Quando si parlò di un ritorno della metropolitana di superficie per la città, nel sogno dei più anziani tornò l’immagine del trenino del mare che li aveva accompagnati nella speranza di ragazzi… Oggi, invece, al suo posto, nella città di Spiderman, un enorme tram elettrico vaga semivuoto, come un fantasma sgradito, per le principali arterie cittadine sotto un cielo ingabbiato da inutili tralicci. S’è persa, così, l’occasione per il rilancio dell’idea accarezzata da tanti intellettuali ed appassionati leccesi di fare di San Cataldo il porto naturale della città, riportando in auge l’antica alleanza, datata II secolo d.C per volere dell’imperatore Adriano, del porto della colonia romana di Lupiae, per proseguire, dopo un salto nella storia, con i lavori promossi da Maria D’Enghien a favore di quegli scambi commerciali che facevano di Lecce l’avamposto della Repubblica di Venezia nei suoi lucrosi traffici con l’Oriente, fino all’ottocentesco rinnovo della banchina e dei moli.
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Le carrozze in Piazza Sant’Oronzo
Poca cosa rispetto a ciò che si potrebbe fare, d’altronde, sembra che tutto cospiri nello scoraggiare la fruizione dell’ambiente naturale ad emissione 0 di Co2, in quanto la pista ciclabile che avrebbe dovuto correre parallela alla “via del mare” non è stata mai completata ed attualmente è inaccessibile anche a causa di tronchi caduti o presenza di rovi che non hanno impedito ai ladri di depredare il costoso e, attualmente inesistente, sistema di illuminazione a pannelli solari. Non ci si può non chiedere come sia possibile proporre e rendere esecutiva un’azione progettuale di pubblica utilità, così finanziariamente dispendiosa e importante senza
ph: Nunzio Pacella
Non ci risulta a tutt’oggi che esistano aziende che “lavorino” le foglie di posidonia mentre, al contrario, vengono spesi capitali per smaltirla come rifiuto! Estesa per 28 ettari, la Riserva Naturale Statale “San Cataldo” istituita il 13 luglio 1977, si estende fino ad integrarsi con la Riserva Naturale Statale “Le Cesine” istituita anch’essa nel 1977 che si trova a circa 5 km da San Cataldo, in territorio comunale di Vernole, e si estende per 620 ettari. Anche qui, informazione, spirito civico e gestione scarseggiano non consentendo di usufruire a pieno non solo della bellezza e dell’ossigeno offerti dal verde del bosco e del sottobosco in quanto le zone accessibili di pineta sono ricettacolo di rifiuti dispersi ovunque dai randagi, ma ciò che potrebbe essere un utile baluardo a difesa della calura estiva o del forte vento di tramontana che spesso soffia talmente forte da impedire l’accesso al mare, è chiuso o, come già detto trascurato e mal tenuto. Ricordo un camping internazionale, a ridosso dell’attuale Ostello del Sole, che consentiva ai naturalisti di godere del litorale adriatico, a pochi chilometri dalla città, senza deturpare il paesaggio ma, nello stesso tempo, popolando queste zone che, attualmente, appaiono desolate. L’Ostello del Sole è riaperto da poco con 23 posti letto e 40 posti tenda, con la gestione di una Cooperativa fra Dipendenti del Comune di Lecce.
San Cataldo
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ph: Nunzio Pacella
che venga portata a termine o, comunque, senza un’informativa che offra alla cittadinanza una giustificazione di quanto accaduto. La viabilità anche ciclabile, è stata ripristinata solo sul lungomare, con un progetto che lo ha reso attraente e dotato di illuminazione e panchine, ma la struttura prospiciente che ospitava, sul piano superiore dei monolocali e sul piano strada, un diurno con barberia e servizio docce e simpatiche boutique e negozietti di generi alimentari con una costruzione dagli angoli arrotondati, ispirata alla cosiddetta architettura razionale che offriva ristoro con un fornito bar ristorante, è malinconicamente chiusa e in abbandono. Ricordo che da adolescente, in quella struttura, adibita a dancing sul mare, con la comitiva di amici ed amiche, trascorrevo delle serate estive meravigliose mentre nell’Estate 2016, gli ospiti delle spiagge libere non avevano la possibilità di usufruire di alcun servizio… Come presidente Pro Loco Lecce, da San Cataldo e per San Cataldo, ho fatto partire il Progetto Delfino, per far fronte alla difficoltà dei disabili di poter fare il bagno: con l’ausilio del già citato Ufficio Locale Marittimo, e grazie alla propositività professionale di figure come il maresciallo Roberto Reale, è stato possibile, per diversi anni, offrire un servizio di accompagnamento al bagno con l’ausilio della sedia JOB nella spiaggia libera prospiciente al Faro. Sulla sedia JOB, infatti, con la spinta di un volontario, il disabile può comodamente muoversi su qualsiasi terreno, sulla sabbia e, in mare, galleggiare1. L’Estate 2016 non ha visto ancora la riapertura del porto turistico composto dalla darsena interna, con banchine e pontili galleggianti per circa 200 piccole imbarcazioni fino ad una lunghezza massima di 10 metri in quanto la modesta profondità di pescaggio, tra i 1,5 e 1,8 metri, impedisce l’ingresso alle barche di dimensioni maggiori. A ridosso della darsena è il Lido Ponticello, cosi definito per il “ponticello” sui bacini retrodunali che lo collega alla terra-ferma. La marina di San Cataldo, infatti, vede la presenza di numerosi stabilimenti balneari e di alcune strutture commerciali che per la qualità dei propri servizi e dei propri prodotti sono mèta ambita anche degli stessi Leccesi che, ad esempio, non rinunciano al pasticciotto di Nobile, al giornale con colazione da Ivonne, al cono artigianale della storica gelateria Royal, ai prodotti locali offerti dall’allegra famiglia del MiniMarket, alla pizza dal Pescatore, al pranzo vista mare del ristorante Porto Adriano e, in Estate, alle linguineall’astice del Casablanca… Accanto ai lidi più recenti che costeggiano il litorale est nella giurisdizione comunale di Lecce; il già citato Ponticello, il Pachamama, il SoleLuna con la sua innovativa bau beach, il Pevero, sorgono lidi storici come il “lido del faro”, il lido Turrisi. La storia dell’azienda Turrisi è documentata dal 1875 , anno in cui Rosa Turrisi chiede al Comune di Lecce, la
Faro e ruderi del Molo di Adriano
possibilità di avviare un albergo-locanda con concessione balneare che, nel 1913, con il permesso della Capitaneria di Brindisi viene ampliato e situato nel luogo in cui attualmente si trova. Purtroppo la locanda, un piccolo albergo unico luogo di rifugio contro la pioggia, o il vento o i raggi estivi del sole2 cessa di esistere verso la fine degli anni ‘40 mentre dai primi anni ’60, sarà avviata la trasformazione dello stabilimento balneare dal manufatto in legno a quello in muratura. L’ultimo erede della famiglia, Giorgio Turrisi, dal 1985, ha gestito personalmente lo stabilimento fino al 2014, anno in cui, dopo quasi quarant’anni, l’azienda è passata ad altra gestione. Nel 1931, sorge l’altro lido storico di San Cataldo ad opera di Alfredo Prete che costruì il primo lido in muratura nel Salento composto da 600 cabine e un bar ristorante con una rotonda sul mare. Si fermeranno a gustare le specialità del ristorante “La rotonda”, Primo Carnera (campione del mondiale di pugilato dei pesi massimi), Tito Schipa (grande tenore dell’epoca), i più famosi politici degli anni 60 e 70. York Prete figlio di Alfredo, demolisce la vecchia struttura per costruire l’attuale lido con cabine e ampi spazi dedicati allo sport.
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LIDO YORK* La tua spiaggia è l’infanzia e la giovinezza di noi Leccesi. In quel tratto di riva sabbiosa dove l’Adriatico afferma più che altrove il suo imperioso dominio e che porta il tuo nome, è scritta la storia della nostra città marinara. Qui correvamo, gioiosamente, da piccoli con secchielli, palette e rastrelli, appena esplodeva in città la calura estiva, a cercare il fresco abbraccio del mare. Qui, audacemente, spogliandoci al sole, liberi e belli come giovani Dei redivivi, ci sfidavamo in gare scherzose sulla sabbia cocente, mentre, gli innamorati si scambiavano baci furtivi all’ombra delle cabine. E quando la calda carezza del plenilunio placava le onde agitate noi ballavamo, sulle note stonate di un pianoforte, sulla rotonda di legno sospesa sul mare. Tu hai fatto rinascere a nuova vita la vecchia spiaggia che oggi è soltanto un ricordo nostalgico di anni scomparsi nell’inarrestabile corsa del Tempo: al posto dei vecchi impiantiti di legno dove sorgeva la fontanina che dava l’acqua ai bagnanti assetati, si aprono, ora, vialetti adornati di verdi palmizi di aiole fiorite e là dov’era la vecchia rotonda si allarga un’azzurra piscina che riflette scintille dorate di sole. Tu hai ascoltato il messaggio d’amore che il respiro vitale di questo tuo Lido affidò un giorno a tuo Padre e tu lo trasmetti, oggi, al bagnante leccese e straniero che viene qui ad ascoltare nel sole folgorante d’estate la voce di leggendaria bellezza del nostro mitico mare. Luigia Cappello de Judicibus *Ad Alfredo Prete, attuale proprietario del Lido, figlio di York Prete e nipote dell’omonimo fondatore della spiaggia nel 1931
Dal 1998 lo stabilimento balneare “Lido York”, è gestito da Alfredo Prete, figlio di York Prete che ha ridato vita ad un ristorante nel rispetto della tradizione famigliare. Dopo le spiagge libere e la cosiddetta “rotonda”, comincia la giurisdizione del Comune di Vernole, ma ciò non è evidente agli occhi del turista che vede nel litorale di San Cataldo, com’è giusto che sia, un unicum in cui le diverse strutture sono accomunate dalla passione degli imprenditori che ne costituiscono anche, nella maggior arte dei casi, i gestori, com’è per il Lido Mancarella, stabilimento in muratura, dotato di ampi parcheggi ombreggiati con uno spazioso salone sul mare che ospita bar self service ed altri servizi, fondato da Oronzo Mancarella che lo ha gestito insieme alla moglie con l’ausilio dei figli che, attualmente, sono i diretti responsabili dell’azienda, ma sempre con la... supervisione del buon don Oronzo che non tralascia di sorridere o redarguire, ancora oggi, i graditi ospiti! Strutture dedicate alle famiglie di appartenenti alle FFAA sono i due piccoli, ma curatissimi stabilimenti dei Vigili del Fuoco e dell’aeronautica mentre quello della Polizia di Stato è situato su un tratto più ampio del litorale sabbioso, così come era per quello dell’Esercito, attualmente abbattuto e com’è ancora per il Lido Verde e per gli altri stabilimenti che si susseguono fino all’inizio delle spiagge che rientrano nell’oasi naturale delle Cesine. Quello che è necessario segnalare è la presenza di fondale roccioso per questi ultimi stabilimenti e il soffiare quasi costante del fresco vento di Tramontana, gradito nelle Estati più afose, ma senz’altro poco piacevole quando la sua violenza impedisce, specialmente ai più piccoli ed agli anziani, di godere dei benefici del soggiorno in spiaggia. Anche in questo caso, il rimpianto per la mancanza di imprenditività che con un vento così e un litorale chilometrico dovrebbe far pensare a sport marini che di vento si nutrono come il wind surf o il kite surf... S an Cataldo represents Lecce’s shoreline par excellence, connected to the town by electrified railway since1898 until 1933. Failed the recently-proposed project to revitalize the ancient harbour, created by emperor Adrian, Lecce’s marina and its amazing seafront are practically desert for most of the year. The passion of entrepreneurs managing the equipped beaches still remains, among memories of the past and relaunch plans.
1) Per informazioni su Progetto Delfino o per usufruire di una sedia JOB firmando il protocollo d’intesa con Pro Loco Lecce, scrivere a laprolocodilecce@libero.it o telefonare al 346 2198248 2) D’ArmentoV.A.-Mainardi Op. cit pag. 96.
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MARINE DI LECCE 2
La costa
dimenticata di Fabio Pollice
A poca distanza dal capoluogo salentino, entro i suoi stessi confini amministrativi, c’è un tratto di costa «dimenticato». Più di dieci chilometri di litorale compresi tra due imponenti torri costiere – Torre Rinalda a nord e Torre Veneri a sud – che alle loro spalle vantano la presenza di aree umide di elevato valore ecologico ed ambientale come le paludi di Rauccio che con il bosco fanno parte dell’omonimo Parco Naturale Regionale e costituiscono un Sito di Interesse Comunitario (SIC), il bacino di Acquatina e quello dell’Idume ed altri bacini più piccoli che ricordano quale fosse l’antica configurazione di questa fascia costiera prima degli interventi di bonifica iniziati sul finire del XIX secolo e proseguiti per larga parte della prima metà del secolo scorso.
Litorale di Frigole
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FOCUS
ridosso di questo litorale una vasta distesa di ulivi e di campi coltivati presidiata da antiche masserie in larga parte dirute e chilometri di muretti a secco a disegnare uno dei paesaggi più tipici ed attrattivi della nostra regione. A fronte di tutto ciò decenni di oblio: un lembo di terra tuttora alla ricerca di un’identità distintiva, di una visione che la sottragga ad un processo di lenta e progressiva dequalificazione, testimoniata dallo stato dei canali di bonifica a cui si è cercato di porre rimedio solo di recente con l’avvio di un programma di manutenzione straordinaria. Un processo di dequalificazione che contrasta fortemente con le indubbie potenzialità attrattive di questo territorio, costituite dalle sue risorse naturalistiche e culturali – come non ricordare a riguardo l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate affidata in gestione al FAI nel 2012 ed attualmente in fase di restauro – e, nondimeno, da alcune significative esperienze imprenditoriali che sono lì a dimostrare come anche in questo territorio sia possibile sviluppare un turismo di qualità.
A
Litorale di Frigole
Per costruire una visione di sviluppo occorre tuttavia domandarsi perché questo tratto costiero sia stato dimenticato. Le cause in verità sono diverse, anche se tra loro interdipendenti. Una di esse va di certo individuata nella competizione con altri tratti costieri del Salento, paesaggisticamente più attrattivi – ancorché più distanti da Lecce e dai punti di snodo della mobilità turistica – che in tempi diversi sono riusciti a catalizzare larga parte degli investimenti turistici, con effetti cumulativi che, nel corso del tempo, hanno determinato un ampliamento dei gap attrattivi.
Torre Veneri
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Una seconda causa va ricercata nella dequalificazione del tratto costiero conseguente ad uno sviluppo insediativo scriteriato piuttosto che speculativo, al di fuori di qualsiasi progetto urbanistico e, peraltro, caratterizzato da una bassa qualità dei manufatti edilizi – gli insediamenti turistici di Torre Rinalda e Torre Chianca ne sono esempi fin troppo emblematici (per tacere di quanto accaduto a Casalabate poco più a nord dell’area considerata). Si tratta di fenomeni chiaramente collegati in quanto, mentre i ceti più abbienti indirizzavano i propri investimenti verso località più attrattive –
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25 Aree Umide
come Torre dell’Orso, Otranto o Castro, – quelli caratterizzati da minori possibilità economiche investivano le proprie risorse nei tratti costieri che in ragione della loro attrattività decrescente presentavano valori immobiliari notevolmente più bassi. Non meno importanti sono le responsabilità politiche. Tradizionalmente più incline ad ascoltare le istanze provenienti dai ceti più elevati, la politica ha volto semplicemente lo sguardo altrove, seguendo altre priorità; e così non stupisce che quest’area costiera non abbia ricevuto la debita considerazione da parte delle istituzioni locali che l’hanno semplicemente lasciata in balia degli eventi, sottraendosi a qualsiasi responsabilità pianificatoria o anche soltanto di regolamentazione. In assenza di un progetto urbanistico in grado di interpretarne le potenzialità di sviluppo, questo tratto dell’arco costiero adriatico ha iniziato a manifestare evidenti fenomeni di degrado ambientale e sociale a detrimento delle sue stesse potenzialità. Si tratta di una tendenza che può essere natural-
mente invertita, ma occorre un progetto serio e condiviso che, attraverso un insieme integrato di azioni di infrastrutturazione e di riqualificazione ambientale, possa attrarre investimenti, mettere in valore le risorse territoriali e coinvolgere tutti gli attori territoriali, a partire dalle comunità locali. Alcune iniziative sono già in essere, altre in progetto, ma occorre una strategia di sviluppo che le colleghi e le metta in rete; isolatamente nessuna di esse è infatti in grado di produrre effetti significativi e duraturi sul piano ambientale e territoriale. Andrebbero creati due corridoi ecologici paralleli, perpendicolarmente connessi e collegati funzionalmente al vicino capoluogo: da un lato, il corridoio «azzurro» comprendente gli arenili e il sistema dunale e retrodunale con le aree umide ad esso collegate, focalizzandosi su interventi di ripristino ambientale e di riqualificazione urbanistica delle aree edificate, con adeguamento qualitativo e quantitativo dei servizi turistici di supporto; dall’altro, il corridoio «verde» comprendente la fascia rurale interna, favorendo
Il Trappito Stracca è una masseria didattica certificata dalla Regione Puglia aperta alle scuole ed al turismo rurale, con l’illustrazione dei cicli di lavorazione del grano, del vino e dell’olio. La struttura è un esempio di edilizia rurale nelle campagne di Alezio, composto di un fabbricato del 1600 –un deposito olivicolo- che sormonta un frantoio ipogeo del XIV secolo. Il laboratorio insegna a realizzare -col grano molito sul posto e con la cottura del forno a legna- pane di grano, pucce, frise, orecchiette, la pasta fatta in casa con trafile di bronzo; e poi la cotognata, la mostarda, l’olio, il vino; permette di assaporare il frutto delle colture locali secondo ricette recuperate della civiltà contadina.
M ore than ten kilometers between of coastline between Torre Rinalda and Torre Veneri, facing natural areas of high environmental value, have been neglected for decades by politicians. An integrated project is needed, to create a network and enhance these places with a inner “green” corridor, with old Masserie, rural houses which could attract tourism. And a “blue” corridor, to protect dunes, avandunes and humid areas.
lo sviluppo delle attività agricole e il recupero – anche a fini turisticoattrattivi – delle antiche masserie e delle abitazioni rurali, sostenendo lo sviluppo di un’agricoltura sostenibile e multifunzionale. Un progetto integrato che si ispirasse a questa visione sistemica consentirebbe di recuperare alla città, prima ancora che al turismo, quest’ampio quadrante del territorio leccese, determinandone lo sviluppo sostenibile a beneficio non solo di chi ci vive, ma di tutta la comunità salentina.
Il posto si propone per eventi culturali, meeting, rassegne e presentazioni di opere, con l’aia per la battitura del grano -mirabilmente zoccata nella roccia- che è un palcoscenico naturale anche per pièce artistiche e balli popolari. Il luogo offre la conoscenza di un pezzo di storia risorgimentale, giacchè proprio sul fondo “Stracca” nel 1848 venne arrestato dai gendarmi borbonici Epaminonda Valentino, importante carbonaro mazziniano che morì nelle carceri di Lecce. La figura di quest’uomo si lega con la storia della cognata Antonietta De Pace che –orfana di padre- crebbe in casa Valentino a pane e rivoluzione e, dopo aver subìto anch’essa un processo politico di rilievo internazionale a Napoli, entrò nella Città liberata insieme a Garibaldi.
TURISMO
Turismo Rita de Bernart | Fortezze sul mare di Puglia...................................................................................................................... 29 Raffaela Zizzari | Sulle orme di Philipp Hackert............................................................................................................. 32 Eugenio Chetta | Nei luoghi dei riti della settimana santa in Puglia......................................................... 34 Gaetano Armenio | Itinerari suggestivi tra fede e tradizione............................................................................. 38 Nunzio Pacella | LA SPORTA | Il Myosotis a Lecce....................................................................................................... 40 Gino Schirosi | Il fascino di Santa Maria di Leuca......................................................................................................... 42 Giovanni Nuzzo | La baia di Castro nelle rotte delle navi da crociera..................................................... 44
RITA de BERNART Coltiva la passione per scrittura e giornalismo collaborando a diversi periodici su temi di cronaca e cultura
Raffaela ZIZZARI Architetto
GAETANO ARMENIO Laureata in sociologia, appassionata di musica e mare
EUGENIO CHETTA Laureato in Scienze Religiose, guida turistica abilitata, fondatore dell’Associazione
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GINO SCHIROSI Scrittore, umanista, cultore di storia patria, giĂ docente di latino e greco nei licei
GIOVANNI NUZZO Docente presso i licei scientifici, giornalista e appassionato di mare
TURISMO
Fortezze
sul mare di Puglia ph: Domenico Capitanio - Wikipedia
di Rita de Bernart
MOLFETTA
Costruito su una striscia di terra che si allunga nel mare, è conosciuto come il castello dei coralli. Secondo uno storico del Settecento, sotto il maniero che “è metà dentro il mare”, come ci teneva a precisare, a quei tempi si praticava la pesca dei coralli in abbondanza poiché il fondale ne era ricco. Faceva parte del sistema di fortificazione costiera, voluto da Carlo V in Puglia, e per lui curato da Don Pedro di Toledo. Proprio quel Don Pedro che ha dato il nome ad una storica via di Napoli.
Altre fonti invece attribuiscono il suo completamento a Don Ferrante Loffredo. Dapprima fu il palazzo della più alta carica militare della città, il comandante con la sua guarnigione di soldati spagnoli. Nel secolo scorso fu invece trasformato in un carcere mandamentale fino al 1969. In seguito abbandonato, è stato poi oggetto, negli anni 90, di adeguati interventi di restauro e ristrutturazione ed è oggi sede di eventi culturali. Di forma pentagonale, tipica dei fortilizi
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A pulia is rich in castles overlooking places, or monitoring the coastline or cities. There is an ideal itinerary connecting those castles, rising from the sea. The common denominator of all the fortresses is to be built on pre-existing defensive buildings, later transformed to improve their defensive abilities, in compliance with modern war techniques. Most castle are open to the public and some host cultural events.
cinquecenteschi, ha incorporato una torre cilindrica preesistente che conferisce un rilievo singolare all’ingresso e alla facciata stessa. Nei sotterranei ospita l’antica chiesa basiliana di San Nicola della Pinna, divenuta la chiesa della fortezza, così denominata poiché situata sulla “pinna” (punta) della penisola che sporge sul mare. Dalla piazzuola del Castello ci si immette sul lungomare San Salvatore – vero e proprio balcone sull’Adriatico- e si passa dal bastione antistante la chiesa di Santa Maria della Zaffara; poi dinanzi al palazzo dell’Andora, dal largo antistante l’antica chiesa di San Salvatore. Proseguendo, si giunge all’imbocco della via San Vito che scende a sud ovest lungo il tratto delle mura rimaste ancora in piedi all’interno della città vecchia.
TURISMO
ph: da “Gargano Vacanze”
VIESTE
Il castello svevo sorge su una rupe a strapiombo sul mare che si affaccia sulla spiaggia della Scialara. Edificato da Federico II nel 1242 come “regia fortezza” dopo l’incursione dei Veneziani, subì diversi assalti nel cinquecento da parte dei saraceni e nel maggio del 1646 fu segnato da un violento terremoto. L’attuale configurazione, a pianta triangolare con tre bastioni a punta di lancia ai vertici che hanno sostituito quelli circolari antecedenti, è dovuta agli interventi spagnoli del 1535 e 1559, a seguito dei quali i resti della fortificazione sveva si persero completamente. Secondo la tradizione, l’imperatore Federico II vi ha soggiornato nel 1240 e nel 1250. Attualmente adibito ad usi militari, la fruizione pubblica è ridotta a poche occasioni, ma da alcuni anni può essere visitato nel periodo estivo.
ph: Adbar - Wikipedia Commons
TRANI
È uno dei più importanti castelli fatti erigere dall’imperatore Federico II di Svevia a tutela del Regno di Sicilia, sul luogo in cui prima c’era di un piccolo avamposto di vedetta. Di semplice impianto quadrangolare tipico dei castelli crociati e rinforzato da quattro torri quadrate, un muro di cinta percorribile munito di feritoie per gli arcieri e merlato e il classico fossato acqueo, si trova in posizione strategica al centro di una rada. Passato dagli Angioini agli Aragonesi, è stato sempre di pertinenza demaniale, tranne dal 1385 al 1419, quando fu assegnato al capitano di ventura Alberico da Barbiano. Il Castello fu prima presidio militare, negli anni 1586-1677 sede della Sacra Regia Udienza, nel XIX secolo adibito a carcere provinciale fino al 1974 e successivamente restaurato.
ph: Vito Palmi - Fickr
MOLA DI BARI
Di spettacolare e singolare forma quadrangolare stellata, è situato nel nucleo medievale della città. Fu progettato nel 1279 da Pierre d’Agicourt e Giovanni da Toul, commissionato da Carlo I d’Angiò per fortificare il tratto di costa da Bari a Monopoli. L’analisi della struttura rende però evidente che la planimetria è troppo elaborata per quel tempo e risulta pertanto plausibile l’ipotesi che in origine il castello fosse costituito da una torre rettangolare a tre livelli. Proprio dai numerosi cambiamenti subiti nei secoli, deriva l’originalità del maniero molese, in cui si ritrovano elementi architettonici e militari di epoche diverse. L’apertura dell’unico portale ancora oggi utilizzato come ingresso è della seconda metà del XIX secolo, quando il castello fu adibito a mattatoio comunale.
ph: Wikipedia Commons
VILLANOVA DI OSTUNI
Piccolo ma incantevole, a pochi chilometri dalla città bianca, si erge su un’estremità del molo del porticciolo. Edificato intorno all’inizio del XIV secolo, in epoca angioina, in seguito è stato più volte rimaneggiato e le modifiche strutturali del secolo scorso hanno lasciato ben poco dell’originaria struttura trecentesca. Il baluardo è costituito da tre corpi di fabbrica, costruiti sul modello tipico del torrione con base quadrata. Utilizzato prevalentemente con funzione difensiva per la sua posizione strategica, presenta sul tetto una torretta somigliante ad un faro. Grazie a questa fortezza, attualmente non suscettibile di fruizione pubblica, e al porticciolo, sotto la dominazione spagnola Ostuni è riuscita a conservare lo stato di città demaniale, quindi libera dalle gabelle feudali.
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TURISMO
Conosciuto come castello di mare per distinguerlo da quello svevo, la fortezza alfonsina è anche detta Castel Rosso, per il colore dei conci di carparo usati per la sua costruzione. É un’opera fortificata costruita sull’estremità dell’isola di Sant’Andrea, all’imboccatura del porto esterno di Brindisi, e presenta forme irregolari proprio perché seguono la conformazione del luogo. Nei secoli, ha subito diversi crolli e ricostruzioni ed il suo tratto più caratteristico è il piccolo porto interno al quale si accede per un ampio varco a forma di arco a tutto sesto aperto nella cortina realizzata nel XVI secolo dagli spagnoli per collegare un ampliamento della struttura al nucleo aragonese.
ph: www.asi.br
BRINDISI
Il maniero della città idruntina è stato scelto per l’ambientazione del primo romanzo gotico della storia, “Il castello di Otranto”, di Horace Walpole che ne rimase affascinato. Nella sua costruzione iniziale, fine ‘400, si presentava a forma di quadrilatero con ai vertici quattro torri circolari, le Rondelle, di cui quella rivolta verso il mare più sporgente. L’attuale configurazione è il risultato delle ricostruzioni che nei secoli hanno interessato la fortezza. È circondato da un profondo fossato che viene oltrepassato all’ingresso con un ponte, oggi con arco in pietra e calpestio in legno, in origine levatoio. Al di sotto del piano terra, i sotterranei rappresentano un intrigo di cunicoli, gallerie e piccoli ambienti, rimasti immodificati dall’originale. Aperto al pubblico, è sede di eventi e mostre.
ph: Nunzio Pacella
OTRANTO
ph: Alessandro Magni
GALLIPOLI
Circondato quasi completamente dal mare, affacciato sul seno del Canneto e posto all’ingresso della città vecchia, orientato a levante, il castello di Gallipoli fu edificato durante il dominio Angioino e successivamente sottoposto a modifiche e ristrutturazioni fino al XVII secolo, che comportarono la creazione di un rivellino. La costruzione angioina aveva pianta quadrangolare e l’accesso era consentito attraverso un ponte levatoio; successivamente, però, per volontà aragonese, la struttura fu attorniata da un recinto poligonale fortificato con torri di guardia a forma cilindrica posizionate ai vertici. L’anzidetto distacco del rivellino restituì alla struttura l’attuale forma quadrangolare. Di recente ristrutturato e riaperto al pubblico, il castello è anche sede di mostre ed eventi.
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ph: Livioandronico2013 - Wikipedia
TARANTO
Castel Sant’Angelo si eleva a ridosso di un avvallamento naturale dell’ampia roccia su cui sorge la città vecchia. Rappresenta la ricostruzione aragonese di una fortificazione quadrangolare normanno-svevo-angioina, la cui unica descrizione esistente è contenuta in un ordine dell’Imperatore Federico II, che verso il 1240 ne commissionò alcune riparazioni. Il nuovo maniero, ricostruito tra il 1487 e il 1492, aveva una forma di pentagono irregolare con 5 torrioni rotondi, posti agli angoli della costruzione, a cui fu aggiunto un puntone triangolare per migliorare la capacità di difesa del fossato. Pregevole sul piano estetico, ebbe poca validità dal punto di vista militare per il rapido progresso delle artiglierie e finì per essere utilizzato, negli ultimi due secoli, quale carcere e quale caserma.
VIAGGIATORI IN PUGLIA
Sulle orme di
Philipp Hackert di Raffaela Zizzari Il grande fascino che l’opera di Jacob Philipp Hackert ha suscitato nel mondo dell’arte e della cultura mondiale della seconda metà del XVIII secolo trova assai rari paragoni tra i suoi contemporanei.
Il felice connubio tra fedeltà di rappresentazione iconografica del paesaggio e impercettibili compromessi di propaganda politica ha reso l’opera del paesaggista tedesco un unicum che ha esercitato un grande interesse e uno smisurato fascino non solo tra gli addetti ai lavori ma e soprattutto agli occhi dei semplici osservatori delle opere hackertiane. Basti pensare che l’Ammiraglio Orlov, per volere di Caterina II, la Grande, ordinò di far esplodere una vecchia fregata russa ancorata nel porto di Livorno solo per permettere al giovane artista prussiano di ritrarre un “modello realistico” per un ciclo di dipinti che dovevano celebrare la vittoria riportata dalla marina russa sulla flotta ottomana nell’ Egeo.
Tale notizia segnò l’inizio della fama del pittore di Corte, ricco e invidiatissimo Hackert, autore di circa duemila opere, pittore di Corte di Ferdinando IV di Borbone, protagonista indiscusso del vedutismo europeo tra Settecento e Ottocento. Nelle sue opere Philipp Hackert fotografa con rigore analitico i luoghi topici del Regno di Napoli, abile stratega della comunicazione di propaganda, gioca con pochi colori che sembrano prendere vita nei personaggi, anonimi, ma tutti riconoscibili, dei suoi quadri: altezzosi soldati, sobrie lavandaie, mercanti mai trasandati e ancora nobili a caccia, dame di compagnia, portuali e marinai. Un caleidoscopio di contrasti e sensazioni che cattura il cuore prima che lo sguardo. “Un bel posto con dell’acqua, uno sfondo e degli alberi, nel quale non si vedono delle figure, suscita di solito il desiderio di andarvi a passeggiare, di abbandonarsi in solitudine ai propri pensieri.
Barletta
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I n the spring of 1788 king Ferdinand IV of Borboun sent in Apulia Jacob PhilippHackert, undisputed protagonist of his time and emerging Court painter, to portray the harbors in paintings and drawings Each harbour is described with great realism, with a focus on sailors and common people, according to the King’s will to put together the new Kingdom, made of different people with common roots.
Se invece vi sono delle figure dipinte, non ha più questo effetto, ma piuttosto il contrario. Animali equini buoi o pecore non impediscono nulla, al contrario danno vita e, poiché siamo abituati agli animali domestici, contribuiscono nelle passeggiate al nostro piacere. Se invece desideriamo una solitudine fatale, ci ostacolano nei bei pensieri e si desidera toglierli dal paesaggio. Al massimo si può mettere un pastore o un paio di pastori seduti sotto un albero che sorvegliano le bestie, come un uomo, una donna e dei bambini. Costoro, dato che sono innocenti e siedono lì solo con l’intenzione di sorvegliare il bestiame, non ci ostacolano nel nostro piacere ma ci stimolano maggiormente ad una gioia innocente”. Il testo è una citazione dalla biografia hackertiana curata nientemeno che dal sommo poeta tedesco Goethe, amico ed entusiasta ammiratore del pittore prussiano, pubblicata nel 1811, libera rielaborazione degli appunti autobiografici del pittore. Anche questa fu una fortuna riservata solo ad Hackert, il sogno di ogni artista di quel tempo
È lo stesso Hackert che a proposito della presenza delle figure umane presenti nei suoi quadri dirà “è mia opinione che il paesaggista deve aver imparato a disegnare delle figure con leggerezza”. Al contrario, la figura umana, qui vista come elemento decorativo, assume un significato emblematico nelle “vestiture” dipinte sui moli dei Porti del Regno di Napoli. Ferdinando IV di Borbone volendo emulare Luigi XV, che aveva commissionato le vedute dei Porti del suo Regno al pittore Claude Joseph Vernet, ordina ad Hackert ben quindici dipinti per documentare lo stesso soggetto. Nella primavera del 1788 il re spedisce Hackert in Puglia per ritrarre in dipinti e disegni tutti i porti. Il viaggio sul mare Adriatico da Manfredonia a Taranto dura più di tre mesi, durante il quale l’artista appronta il materiale occorrente per poter poi ritrarre, una volta rientrato a Napoli, tutti i porti delle tre estreme province orientali: Capitanata, Terra di Bari e Terra di Otranto. Al rientro dai sopralluoghi il pittore inizia a riprodurre su tele di grande dimensione i porti di Taranto e di Brindisi nel 1789, prosegue con i porti di Gallipoli, Manfredonia, Barletta, Bisceglie e Santo Stefano di Monopoli nel 1790, esegue nel 1791 il porto di Trani ed infine chiude la serie nel 1792 con il porto di Otranto. La figure umane ritratte nei vari porti ci raccontano intenzionalmente la volontà del sovrano, attraverso la rappresentazione dei costumi del “suo popolo”, di unire, nella diversità, un Regno “appena nascente” fatto di popoli con radici comuni eppure diverse. È la testimonianza “ante litteram” dell’opportunità di rappresentare questa diversità senza alcun tentativo di globalizzazione, per unire questi territori sotto un’unica bandiera. È questo il vero intento di chi raffigura nei Porti pugliesi le figure di uomini e donne che affollano i moli ricchissimi di merci dei dipinti di Hackert. La costruzione prospettica delle varie vedute è sempre la stessa, in assoluto primo piano sono le figure dei marinai e delle genti del popolo.
Gallipoli - 1790
Taranto
Alcune differenze sono rappresentate dalla presenza di più o meno imbarcazioni; nel porto di Gallipoli, per esempio, sullo sfondo, la gigante flotta dimostra l’importanza commerciale, decine e decine di navi cariche di olio lampante pronte a salpare verso i porti italiani di Genova, Venezia, Napoli e da lì verso Inghilterra, Francia, Olanda e poi di porto in porto sino all’America, alla Russia e all’estremo Oriente. Ogni porto è reso con grande realismo e lo spettatore non dubita che sia i singoli dettagli raffigurati sia l’insieme della veduta corrispondano in ogni momento alla realtà. Il fitto susseguirsi di forme diverse, che caratterizza la parte elaborata delle tele, è messo in contrasto con la calma del cielo alto e limpido e la quiete del mare. In primo piano le figure umane svelano la presenza di terraferma e servono allo spettatore come misura per stimare le distanze reali: un paragone dei loro corpi per
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esempio con le minuscole figure sullo sfondo, ci aiuta ad immaginare la profondità del paesaggio, senza che Hackert abbia veramente sviluppato lo spazio dell’immagine in modo continuo dal primo piano verso la profondità. Qui si manifesta la grande bravura dell’artista che in questo modo coinvolge lo sguardo dello spettatore: nasce un equilibrio artistico tra il mondo creato dal pennello e il vuoto risparmiato in modo deliberato che richiede la fantasia dell’occhio per essere interpretato.
HACKERT, LA MOSTRA
Dal 20 maggio al 15 ottobre, le opere “pugliesi” di Hackert potranno essere ammirate in Puglia. Il castello di Gallipoli ospiterà infatti la mostra “I porti del Re, Jakob Philipp Hakert dalla Reggia di Caserta al Castello di Gallipoli”.
WEEKEND A
Nei luoghi dei riti della
SETTIMANA SANTA in PUGLIA di Eugenio Chetta Valorizzare un Territorio significa essenzialmente viverlo e farlo vivere. a bellezza naturalistica che ci circonda, l’ingente patrimonio di arte e cultura che abbiamo ereditato dai nostri maggiori e la vivacità della nostra storia, ci impongono di veicolare il messaggio che la Puglia merita di essere vissuta in ogni suo frangente spazio-temporale. Infatti, come in un carosello fatto di musi-
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che emozionanti, di luci variopinte e di parole affascinanti, i dodici mesi dell’anno recano in dono eventi e tradizioni, pietanze e gestualità, memorie e riti. Ciascuno di questi aspetti evoca un passato fatto di radici irrigate dagli arcani della storia ed esalta esistenze particolari ed originali che, difficilmente, si possono riscontrare altrove. C’è un periodo, tuttavia, che caratterizza i nostri luoghi in maniera incomparabile, un fine settimana che suscita pathos e trasfonde emozioni
Vico del Gargano
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antiche e sempre nuove, che racconta la storia di un amore che si fa sacrificio affascinando da secoli uomini di fede e non credenti: il Triduo conclusivo della Settimana Santa. La Puglia è unita, per questa occasione, da un filo che parte dal Gargano e, passando attraverso le ampie distese costellate dai Trulli e tracciate dagli ulivi secolari, si spinge sino all’estremo confine del de finibus terrae, muovendosi tra la sponda adriatica e quella ionica.
TURISMO
35 Vico del Gargano
TURISMO
Molfetta
Nel lungo sviluppo geografico della Puglia, è bello notare come siano diverse le modalità adottate dai pugliesi di ieri e di oggi per far memoria della Passio Christi: pellegrinaggi penitenziali, lunghi cortei processionali e, addirittura, drammatizzazioni sacre come nel caso di città come Grottaglie, Troia, Conversano e San Marco in Lamis, dove attori e comparse mettono in scena le ultime ore di vita del Cristo. Sul far della sera del Giovedì Santo, in ogni chiesa si celebra la Santa Messa in Coena Domini: dopo il suggestivo rito della lavanda dei piedi, le Specie Eucaristiche vengono conservate in degli Altari riccamente addobbati con drappi, candele e fio-
ri, solitamente definiti Sepolcri e che saranno meta, per tutta la notte, delle oranti visite di singoli fedeli e gruppi organizzati. A Monte Sant’Angelo le decorazioni dei Sepolcri (o Repositori, secondo la nomenclatura attuale più rispondente al significato teologico e liturgico) sono vere e proprie composizioni artistiche realizzate con i germogli di grano fatti fiorire nelle ultime settimane di Quaresima. Per le strade di Noicattaro e di Conversano, invece, si allestiscono dei falò che ricordano l’ambientazione di Gerusalemme al tempo dell’uccisione dell’Uomo-Dio. Tra il Giovedì e il Venerdì Santo, si possono incontrare a Francavilla Fontana i pappa-
Ruvo di Puglia
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musci, mentre a Pulsano i parduni. In entrambi i casi ci si troverà davanti a degli incappucciati che si spostano a piedi scalzi tra i diversi repositori, recando sulle spalle grandi e pesanti croci e alternando momenti di adorazione a pratiche di penitenza. A Vico del Gargano, così come in altri centri, è possibile partecipare al suggestivo rito dell’Ufficio delle Tenebre, un tempo chiamato “I Terremoti”, nel quale si rievoca come alla morte di Gesù “la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono” (Mt 27, 51-52). Durante la giornata del Venerdì Santo sarà facile incrociare il proprio sguardo con quello della Vergine Ma-
TURISMO
ria Addolorata, rappresentata negli innumerevoli simulacri dalle seriche vesti, portati in processione, nel lento e triste peregrinare di una Madre alla ricerca del proprio Figlio. Allo scoccare della mezzanotte, la statua dell’Addolorata è offerta alla venerazione dei fedeli dal pendio di San Domenico a Taranto: è il primo dei pellegrinaggi del Venerdì in passione Domini attraverso le strade della “città dei due mari” che, non a caso, è considerata tra i principali centri propulsori dei Riti della Settimana Santa pugliese. I pellegrinaggi e le visite agli Altari della Reposizione continuano sino alla tarda mattinata ad opera delle antiche confraternite presenti in numerose località pugliesi. A Gallipoli, l’ultima Confraternita a snodare il proprio pellegrinaggio orante per le vie dell’antica isola, è quella della Santissima Trinità e delle Anime del Purgatorio. Il lugubre rullio di un tamburo e lo straziante suono di una tromba annunciano il passaggio dei confratelli che indossano le insegne proprie dei pellegrini come il bordone e il cappello posizionato su di un cappuccio che copre rigorosamente il volto. I Vangeli raccontano che all’ora nona Gesù riconsegnava il suo spirito al Padre. Questo principale momento della storia della salvezza è raccontato, come in una catechesi iconografica, nelle grandi processioni che si protraggono sino a notte inoltrata. Lunghe file di uomini e donne appartenenti a Confraternite ed Associazioni, sono intervallate dalle grandi statue raffiguranti i cinque misteri dolorosi. Concludono i cortei le statue del Corpo esanime del Signore e della Vergine Addolorata. Ruvo di Puglia, Andria, Trani, Taranto, Gallipoli e numerosissimi altre località sono interessate da questi sacri cortei, resi ancora più toccanti dalla presenza dei Concerti bandistici che eseguono le tradizionali marce funebri. Quando il Corpo viene deposto nel Sepolcro, l’attenzione dei fedeli è rivolta alla Madre. Sono gli ultimi riti prima di fermarsi e attendere la luce
della Pasqua: le processioni del Sabato Santo, l’Ora della Madre secondo l’antica tradizione della Chiesa d’Oriente. Il popolo non può attendere da solo la Risurrezione e chiede a Maria di stare con Lei, di vegliare insieme. Il cuore della notte è cadenzato dai passi di quest’ultimo pellegrinaggio con il simulacro della Vergine Desolata che incede tra le vie dei centri come Corato, Canosa di Puglia, Molfetta, Tuglie. Una particolare menzione la si deve alla processione della Desolata di Gallipoli che, la mattina del Sabato Santo, si conclude sullo spiazzo antistante la Chiesa di Santa Maria della Purità, a ridosso dell’omonima
San Nicandro Garganico
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spiaggia. In una cornice di naturale bellezza, come sospesi tra cielo e mare, si incontrano i simulacri della Desolata e del Cristo morto mentre l’eco dell’ultima preghiera, prima del grande silenzio, si libra sulle acque e si fa garante per tutti di un prossimo canto di resurrezione. Emozioni che è difficile descrivere, ma che si possono provare scegliendo di stare in Puglia per vivere i giorni della Passione. Storia, fede, suggestioni, evocazioni, preghiere e tradizioni, saranno le componenti di un Mysterium che, nonostante la folle frenesia dell’uomo contemporaneo, non cessa mai di essere tremendum et fascinans.
ph: Tamixvideo di Esposito Michele
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T here is a time which characterizes places in Apulia, arousing pathos and ancient feelings, and is the end of the Holy Week. History, faith, charm, evocations, prayers and traditions are the components of a Mysterium of emotions very difficult to describe. But you can live those emotions going to Apulia during the days of the Passion, with pilgrimages, long processions of hooded people and sacred dramatizations.
Itinerari suggestivi tra fede e tradizione. di Gaetano Armenio* La Puglia è un’emozione da vivere. Non solo per le sue bellezze paesaggistiche o per le sue qualità artistiche; a rendere indimenticabile il vostro passaggio qui sarà l’incontro con un popolo che ha saputo preservare nel tempo la sua devozione tanto quanto la sua tradizione. Il momento migliore per vivere da vicino questa esperienza con i pugliesi è la Pasqua. Attorno a santuari, cattedrali, cammini dello spirito, nella Settimana santa si scoprono tesori segreti, nascosti in polverose sacrestie, e rituali ancestrali. Sfilano le statue della Passione, con Madonne velate di nero e Santi in costumi preziosi, intessuti dalle pazienti mani degli artigiani. Doni votivi e di lutto accompagnati dal fervore di popolo che nella Pasqua ricerca i valori profondi della condizione umana e della appartenenza cristiana. Dal Gargano al Salento, passando per la Terra di Bari e i luoghi cari a Federico II: un itinerario di suggestioni e di antichi canti celebra in ogni angolo la Passione del Cristo, rappresentata in tutta la sua fisicità. La Puglia si trasforma in un collettivo palcoscenico teatrale per il cordoglio di massa. Sfilano le donne col capo coperto e ceri votivi ben stretti nelle mani, mentre gli uomini, prestano orgogliosi la schiena al faticoso trasporto delle statue sacre. I tamburi profondi e gli ottoni delle bande scandiscono il percorso di penitenti e fedeli, mentre l’olfatto si perde tra l’odore dell’incenso e dei dolci della festa, ricchi di mandorle, che vagheggiano i profumi dell’Oriente. Processioni spettacolari in cui il simbolismo profondo dei riti arcaici rimanda alla tradizione più antica del verbo cristiano, e fa affiorare dal profondo dell’anima di una gente dinamica e moderna quale è quella di Puglia il desiderio di ricongiungersi alla propria storia, mai rimossa, mai dimenticata. Sullo sfondo, come sentinelle, le grandiose cattedrali romaniche e i castelli proteggono i cortei che si affannano per superare le salite delle colline col peso delle statue sante, e raggiungere le case sacre. Assistere a queste manifestazioni di religiosità popolare dona a chi le segue emozioni straordinarie. Ogni borgo ripropone in tanti modi diversi il dramma universale della morte del Cristo e la celebrazione della sua mortalità umana e immortalità divina. Gli eventi della Settimana santa in Puglia (www. settimanasantainpuglia.it) per vivere il viaggio come confronto e scambio con le realtà culturali dei luoghi, momento di analisi, di riflessione e di esplicitazione degli elementi comuni, delle diversità e delle contraddizioni presenti in questa terra nella quale confluiscono culture diverse eppure unite dalla stessa civiltà. *Ringraziamo l’Associazione di promozione turistica e culturale Puglia Autentica per la disponibilità delle immagini che corredano queste pagine e invitiamo i lettori a visitare il sito www.settimanasantainpuglia.it.
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TURISMO
I dolci della tradizione pasquale in Puglia ’agnello e l’uovo sono il riflesso più evidente dell’incidenza della tradizione religiosa sulle pietanze pasquali pugliesi: l’uno memoria del sacrificio di Cristo “agnello di Dio”, l’altro simbolo di rinascita e pertanto di resurrezione. Volendo limitarsi ai dolci, si ritrova la pasta di mandorle che, grazie ad uno stampo di gesso, assume la forma d’agnello, magari farcito con pezzi di cioccolato e faldacchiera. Semplice pastafrolla è invece destinata a contenere l’uovo, trattenuto da una croce di pasta, che si rassoderà in forno. Denominato cuddhura (si vuole riconducibile al greco kullura, corona), a tale dolce vengono attribuite forme tipiche, dalla pupa per le femminucce, al caddhuzzu per i maschietti, dal panareddhu, al taraddhu e alla steddha. Nel periodo pasquale, reperire queste specialità non è difficile. Diventa ancora più facile, se nelle mattinate dei giorni di Pasqua e Pasquetta si fa una puntatina al Trappito Stracca di Alezio, “masseria didattica” sul ciclo del grano e laboratorio. Oltre ad acquisire informazioni sui dolci e sulla tradizione, gli ospiti potranno degustarli ed avranno inoltre la possibilità di visitare l’originale frantoio oleario ipogeo.
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“Masseria didattica” Trappito Stracca
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SPORTA
AL MERCATO DELLE GOLOSITÀ CON...
La Sporta Testi e foto di Nunzio Pacella
Con la sporta sotto il braccio scopriamo a Lecce in via Antonio Salandra, 6 l’elegante ristorante Myosotis dell’Hotel President, una struttura ampia e prestigiosa con 150 camere e suites. Dal 1973 è l’hotel business del brand alberghiero di Lecce Vestas Hotels & Resorts. L’hotel vicino a Piazza Mazzini riserva agli ospiti che soggiornano a Lecce per lavoro, ma anche per piacere, le camere spaziose di arredamento classico e contemporaneo, il Centro Congressi per eventi privati e business e la raffinata reinterpretazione dell’enogastronomia salentina dell’executive chef Cosimo Simmini.
I nostri piatti
Baccalà morro,
Purpu gallipolino alla pignata,
scarola stufata ai profumi mediterranei, pomodori confit e stracciatella
spuma di fave secche all’extra vergine di cellina di nardò e agrodolce di cipolla rossa
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Ravioli di ricotta di bufala e pampasciuni, carciofi opal e fonduta di pecorino giovane di maglie
SPORTA
Abbinare un buon vino ad un gustoso piatto firmato da Simmini è compito del
maitre e sommelier Giovanni Maschio che
Lo chef Cosimo Simmini, per gli amici e la sua brillante brigata del Mysotis più noto come Mimino, è pragmatico e silenzioso. Davanti ai fornelli è abituato a prendere decisioni rapide e veloci, allo stesso modo di Andrea Montinari, patron del gruppo Vestas Hotels & Resorts, alla guida della sua azienda familiare. Non si può permettere il lusso di mandare in fumo un profumato soffritto di erbe aromatiche che andranno ad insaporire un delizioso risotto ai fiori di borragine. Già, perché Mimino, amando le erbe ed i fiori che crescono nel Salento, gli usa per lavorare i piatti della cucina internazionale per scoprirne gli abbinamenti con le ricette etniche e servire a tavola alla clientela straniera i sapori più autentici possibili, e quelli della più autentica tradizione salentina come cicureddhe cu le fave nette (cicorie selvatiche con la purea di fave). La ricerca dei prodotti tipici, dai legumi alle verdure stagionali, come la pestanaca te Santu Pati di Tiggiano, e le eccellenze pugliesi come salumi e formaggi, sono il suo punto di forza nell’allestimento dei brunch a tema domenicali e nei raffinati eventi privati e business ai tavoli del Myosotis.
Tournedos di maialino con capocollo ubriaco al battuto di erbe della macchia mediterranea, burger di patata novella di Galatina dop e salsa bruna
Semifreddo alla gianduja, crema inglese all’arancia, frutti di bosco e cialda croccante alle mandorle
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ad onor del vero è molto professionale e soprattutto competente nella scelta dei vini internazionali, nazionali, pugliesi e salentini in particolare. Non è semplice come può sembrare, abbinare un bianco frizzantino o un rosato morbido e addirittura un rosso corposo e molto ben strutturato, ai piatti dello chef del Myosotis che fino ad ora non ha proferito parola sulle scelte dell’amico e sincero collaboratore. Non ha mai sbagliato un colpo. I vini in abbinamento ai piatti preparati con le eccellenze stagionali coltivate nel Salento e quelli più elaborati nella preparazione, hanno sempre soddisfatto i palati più raffinati ed esigenti.
TURISMO
NATE DAL MARE
IL FASCINO DI
Santa Maria di Leuca di Gino Schirosi* stinti sul mare, ma non all’habitat sorto intorno al porto. Lo storico Plinio, invece, dopo aver descritto a partire da Taranto le città presenti all’interno della penisola salentina, si avvicina alla realtà (N.H. III, 100): “A 33 miglia da Gallipoli si trova il promontorio che chiamano Capo Iapigio, là dove l’Italia si protende assai al largo nei due mari”, ossia il fantastico punto dirimente del “grande mare”, dove si dividono le acque dello Ionio da quelle dell’Adriatico. Ma lo scrittore latino parla esclusivamente del sito geografico e non si sofferma a menzionare la voce greca “Leuca” nota dopo l’ellenizzazione della regione voluta nel 367 da Archita di Taranto. Evidentemente nel suo viaggiare dal Gargano fino all’estremo sud ha sentito sempre parlare degli Àpuli, di cui faceva parte il popolo japigio stanziato prevalentemente nella Messapia (terra tra due mari). D’altra parte Strabone, un greco asiatico amante della mitologia,
ph: Nunzio Pacella
na storia che viene dal mare si può conoscere a Santa Maria di Leuca, estremo lembo d’Italia, frazione di 1.300 abitanti del Comune di Castrignano del Capo (LE). Il territorio fin dall’età del bronzo è stato abitato sul pianoro del promontorio e negli anfratti costieri, che hanno restituito vari reperti, confermando di essere stati pure rifugio di monaci basiliani, come attestano iscrizioni greco-latine e croci incise sulla roccia. A metà strada tra i vicini centri messapici di Veretum e Baste, quale avamposto strategico e caposaldo obbligato, fu scalo naturale per le lunghe traversate nelle rotte dei traffici marittimi est-ovest dai Balcani e dalla Grecia. Non poté non conoscere però un’iniziale presenza dei Messapi, che invero, per maggiore sicurezza, predilessero stanziarsi sulle serre del cordone costiero lungo il periplo del Salento. Tra i testi classici utili a conoscere la realtà del mondo antico, due opere in particolare vanno necessariamente consultate, l’una in latino e l’altra in greco: Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, I sec. d. C.) e a Strabone (Geographia, I sec. a. C.). Il toponimo “Leuca” (Lèviche nel volgare salentino) fu attribuito dai primi marinai greci provenienti dall’oriente. Erano attratti dall’aspetto che offriva proprio lì l’Italia, terra piatta e aperta (Apulia = senza porte). Al primo impatto il promontorio roccioso illuminato dal sole appariva bianco in tutto il suo chiarore (perciò leukós). Ma “Leuká”, attestato dal greco Strabone, è solo un neutro plurale (le bianche), riferito alle rocce, ossia i dirupi indi-
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Gli ultimi spogliatoi sulla spiaggia di Leuca
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in dubbio se più storico che geografo, preferì giungervi per via terra piuttosto che navigando, fino a conoscere davvero la “cittadina” di Leuca, tacendo però del Capo Japigio (Geo, VI 3, 5). Il resto del nome cristianizzato trae origine, secondo la tradizione, dallo sbarco di S. Pietro proveniente dalla Palestina. Dalla vulgata, costruita su testimonianze edulcorate da leggende, si deduce che San Pietro iniziò proprio nel basso Salento il suo processo di evangelizzazione prima di raggiungere l’Urbe Gloriosa per cristianizzare l’Europa. In ricordo di tale passaggio, nel piazzale antistante il Santuario, dove dal 1694 si erge la colonna corinzia, il 21-10-1901 venne allocata una monumentale croce lapidea con quattro iscrizioni commemorative del Giubileo del 1900, mentre nella pineta del viale si trova la cosiddetta “Croce pietrina”. Quanto a San Pietro, si potrebbe confermare e spiegare la sua presenza dalla stessa successione di
toponimi ancorché non contemporanei lungo un percorso rivolto a nordovest: S. Pietro dei Samari (Gallipoli), San Simone (Sannicola), San Pietro di Galatina, San Pietro in Lama, San Pietro in Bevagna, San Pietro Vernotico, là dove, sulla direttrice BrindisiTaranto, passa l’Appia che condusse il santo alla città eterna. Si giustifica così la visita di vari pontefici. Da Giulio I a Benedetto XVI hanno qui lasciato una traccia del loro passaggio, attratti dalla devozione verso il dipinto della “Madonna di Leuca”: salvato per miracolo dall’oltraggio dei predoni, gli si riconosce la protezione della gente di mare in un importante luogo di culto cristiano e centro di pellegrinaggio. In età protocristiana fu cambiato il nome alla cittadina, arricchito con la dedica alla Vergine Maria e associato con “De finibus terrae” o “Finis terrae”, definizioni di origine romana trasferite al Santuario. La posizione geografica, in un entroterra prodigo di risorse, ha favorito il contatto con diverse civiltà mediterranee, sviluppando una cultura ricchissima che si rispecchia nelle leggiadre ville ottocentesche di notabili locali schierate sul noto lungomare Cristoforo Colombo: tutte sontuose, policrome, di stile moresco, liberty e pompeiano, dettate dalla crescente domanda turistica. La prima villa risale al 1874, allorché l’ing. Giuseppe Ruggeri costruì la sua elegante dimora estiva battezzata “Meridiana” a ragione di un orologio solare che spicca al centro del prospetto. Numerose sono le risorse di questo rinomato centro turistico balneare, situato nella magica scenografia di un’insenatura che si apre tra Punta Ristola ad ovest (estremità del Tacco) e Punta Meliso a chiudere ad est l’ampio promontorio, un tratto costiero alternato da scogliere, calette sabbiose e grotte, quasi tutte accessibili in barca. Sono d’interesse storico e naturalistico e i fondali marini sono un’attrazione per gli amanti della pesca e per il turismo subacqueo. Sulla costa di levante tra le altre si trovano la grotta delle Cazzafre, del Brigante, del Pozzo; sulla costa di ponente la grotta Cipollina, la Porcinara
ph: Nunzio Pacella
TURISMO
Porto di Leuca
(santuario messapico e poi romano), del Morigio, del Diavolo, dei Giganti, delle Tre Porte, del Presepe, degli Innamorati, del Drago. Sul lungomare è ben visibile la cinquecentesca torre dell’Omomorto costruita contro i predoni turchi. Il Capo rimase a lungo disabitato e solo nel 1873 iniziò la ripresa dell’insediamento, coincidente con la costruzione su punta Meliso del Faro, attivato nel 1866 (il più importante del sud, alto 48 metri con torre ottagonale). Una scalinata di 300 gradini collega il Santuario al sottostante porto quale cornice all’Acquedotto Pugliese che sfocia in mare con una cascata monumentale di 250 metri, realizzata per celebrare l’opera idraulica del 1939 e attivata a scadenze irregolari. Assai famoso è il Santuario “Finis Terrae” (dal 1990 Basilica Minore). Sorto nella piazzetta su un antico tempio dedicato alla dea Minerva, com’è attestato da un monolite, è stato finora distrutto e ricostruito più volte. All’interno si nota un frammento originale del dipinto della Madonna con Bambino che, bruciato dalle incursioni dei pirati, adesso è riposto restaurato sulla parete ovest del transetto. La Chiesa è a navata unica a croce latina. Sull’altare maggiore è collocata l’effigie dipinta della Madonna con Bambino o Madonna de finibus terrae, di Jacopo Palma il Giovane. Vi sono altri sei altari laterali dedicati a S. Francesco di Paola, S. Giuseppe Labre, Sacra Famiglia, Annunziata, S. Pietro e S. Giovanni Nepomuceno.
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Tra gli altri dipinti presenti si distinguono quelli del pittore locale Francesco Saverio Mercaldi (San Francesco da Paola, del 1898, e il Trittico della Confessione). In fondo alla navata si nota un pulpito in pietra con pannello recante lo stemma di mons. Giovanni Giannelli (vescovo di Alessano), a cui si deve l’attuale struttura fortificata della chiesa, riedificata tra il 1720 e il 1755 per resistere ai frequenti attacchi dei predoni. Le radici della devozione alla Madonna di Leuca sono antiche, se persino i cavalieri crociati si fermavano in preghiera prima d’imbarcarsi per la Terra Santa. Nel 1999 per i tre ingressi del Santuario, “porta del Paradiso”, sono stati realizzati tre portali bronzei, opera dello scultore galatinese Armando Marrocco (Janua Coeli a centro, Esodo a destra e Stella Maris a sinistra). * Testo in versione integrale su www.pugliaemare.com
T he toponym “Leuca” was created by the first Greek sailors, to whom the promontory, set in a magic creek, lit up by the sun, seemed totally white (so leukós); in early Christian age, the name of the town was enriched with the dedication to the Virgin Mary. Contacts with several Mediterranean civilizations developed a very rich culture, reflected in the colored, elegant villas, in Moorish style, Art nouveau, Pompeian style, overlooking the seafront.
TURISMO
LA BAIA DI CASTRO nelle rotte delle navi da crociera di Giovanni Nuzzo opo la prima conferenza dei servizi già espletata nei mesi scorsi per i pareri di fattibilità e la ricognizione effettuata dalle agenzie marittime insieme agli armatori, che hanno confermato la loro disponibilità, ora si attende anche il via libera dalle autorità marittime. Il summit “Port security”, che si è svolto nella sala consiliare del Comune, ha anche prodotto i suoi frutti per la partecipazione dei responsabili della Capitaneria di porto di Gallipoli, dell’Ufficio Circondariale della Guardia costiera di Otranto, Guardia di Finanza, Polizia di frontiera e addetti del Port facility security officer, il personale marittimo designato a svolgere compiti alle operazioni di scalo, il sindaco di Castro e il responsabile dell’iniziativa della società “Onda Blu”, che fornirà i servizi per l’imbarco e lo sbarco dei futuri crocieristi.
Ora i pareri positivi di massima saranno sottoposti alla Regione Puglia, assessorato al demanio, alla Provincia di Lecce e ad altri organi competenti per il nulla osta definitivo. Certamente il progetto esecutivo dovrà essere disciplinato dalla Capitaneria di porto di Gallipoli per poter poi predisporre un’apposita ordinanza per le modalità di sosta ed individuare il punto di ancoraggio nello specchio acqueo antistante il porto. Le navi da crociera dovrebbero ancorarsi al largo a 500 metri dalla scogliera ad una profondità di circa 30 metri, un’area ben protetta dal vento di tramontana e consentirà lo sbarco dei passeggeri che potranno effettuare escursioni nella città di Castro e nel territorio leccese. Un servizio navetta sarà poi eseguito con battelli dalle navi alle banchine del porto e da lì con trenini ed altri mezzi di trasporto
i turisti raggiungeranno il parcheggio della Superpanoramica di “Mare Vivo”, per proseguire in pullman in escursioni turistiche. “È un risultato molto atteso per la nostra comunità – spiega il sindaco Alfonso Capraro – che dà spinta ad un ulteriore crescita per il territorio, considerato che Castro oggi propone interessanti settori culturali, siti archeologici, centro storico e percorsi naturalistici”. L’attività di promozione per la diversificazione dei traffici marittimi è condotta dal responsabile della società “Onda Blu”, Luigi Schifano soddisfatto di come sta procedendo l’iter amministrativo. “Il territorio salentino – afferma Schifano - ha bisogno di un proprio brand d’eccellenza e mercato crocieristico. Noi siamo pronti per offrire una vasta scelta di imbarcazioni navetta in sicurezza alla scoperta del territorio costiero e non solo”.
ph: Giovanni Nuzzo
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Castro Baia
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TURISMO
Foglianise
a avuto un seguito significativo la “scoperta” di Foglianise fatta da questa rivista. Nello scorso numero è stato pubblicato l’articolo relativo alla Festa del Grano, che si svolge ogni anno il 16 agosto in onore di San Rocco, celebrata sul versante civile con una sfilata di carri realizzati con paglia di grano. I carri sono a tema, e l’anno scorso sono stati rappresentati monumenti della Puglia. Tra questi, il Faro dell’Isola di Sant’Andrea di Gallipoli, che la Pro Loco di Foglianise ha donato all’omologa associazione jonica. Il momento della consegna, presenti le delegazioni dei due sodalizi, guidate dai presidenti Giuseppe Angelone della città del Sannio e Lucia Fiammata per la Città Bella, ha sancito una sorta di gemellaggio; presenti i ragazzi che hanno realizzato l’opera e “benedetto” da amministratori di Foglianise e dall’assessore al turismo di Gallipoli, Emanuele Piccinno. Il Faro in paglia può essere ammirato presso la sede della Pro Loco di Gallipoli in via Kennedy.
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Le foto riprodotte anche nel precedente fascicolo sono firmate da Antonella Iannuzzi
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Primo Piano&Ambiente Imma Petìo | Felice anniversario, Europa......................................................................................................................... 48 Federica Sabato | WiMUST: nuove frontiere per l’esplorazione dei fondali marini.......... 50 DeFishGear, rapporto sul monitoraggio dei rifiuti marini ............................................................................. 51 Alfredo Albahari | Osservatorio Ambiente ....................................................................................................................... 52 Massimo Vaglio | Scapece alla Castrense.............................................................................................................................. 54
IMMA PETìO Laureata in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, fa parte del Centro Studi Relazioni Atlantico-Mediterranee di Lecce, si occupa di comunicazione
FEDERICA SABATO Giornalista, pedagogista e counselor impegnata nel volontariato sociale
ALFREDO ALBAHARI Docente emerito di Navigazione negli istituti Nautici
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Massimo vaglio Giornalista pubblicista, scrittore, esperto di gastronomia e dei mari di Puglia
PRIMO PIANO
60 anni dai trattati di roma
FELICE ANNIVERSARIO, EUROPA
con l’augurio di ritrovare te stessa, riscoprendo un mito, e il mare. di Imma Petìo l prossimo 25 marzo l’Europa festeggerà i suoi primi 60 anni. 60 anni da quando, proprio nella nostra capitale, vennero siglati i due Trattati decisivi, istitutivi della Comunità Economica Europea (CEE) e dell’EURATOM. Una data divenuta uno spartiacque non solo per i cultori del diritto internazionale, frutto di un percorso iniziato perlomeno nel 1950 con la Dichiarazione Schuman.
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Ma questo sessantesimo compleanno impone alle istituzioni UE, così come ai suoi cittadini, di assumere scelte ed impegni nel segno di una piena“maturità”. Se, come si fa in genere in occasione di un anniversario, volgessimo per un attimo lo sguardo al cammino percorso, potremmo soffermarci su come e quanto la vita degli europei sia mutata in questi 60 anni. Si è realizzato il proposito a tratti utopistico di poter vivere, viaggiare e lavorare in tutta Europa affrancati dal dover esibire il passaporto e dal cambiare valuta grazie all’abolizione delle frontiere e all’adozione di una moneta unica. La cittadinanza europea ci ha resi titolari di diritti e doveri nuovi, legati alla nostra nuova condizione di membri essenziali di un organismo sovranazionale in cui tutti siamo chiamati a svolgere un ruolo attivo e propositivo. Eppure, da queste eccezionali trasformazioni
Firma dei trattati di Roma (Wikipedia)
non sono scaturiti solo risultati positivi. L’Europa in cui viviamo oggi non ricalca perfettamente i margini di quella “idea” di unione da realizzare sotto l’egida di una cultura basata su valori comuni, come la visione dell’essere umano e dei diritti umani. La cultura europea è quel «patrimonio condiviso di esperienze artistiche, filosofiche, musicali e letterarie» che hanno plasmato il Vecchio Continente. Un patrimonio che oggi sta però rischiando di crollare davanti a fatti, crisi, emergenze e fanatismi a cui forse l’impianto strutturale dell’Unione non era sufficientemente preparato. Nel modello di un famoso storico inglese, Arnold Toynbee, le civiltà si sviluppano ed evitano il collasso solo se possiedono gli strumenti per reinventarsi ed affrontare, superandole, le sfide per la propria sopravvivenza. La civiltà europea, costruita dopo il 1945 partendo dalla prevenzione dei
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conflitti futuri, possiede gli strumenti adatti a superare con successo la crisi di identità in atto? L’avvenimento di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario proviene proprio da una congiuntura disastrosa: quella successiva alla guerra più terrificante di tutta la storia dell’umanità, in cui fu necessario ripartire letteralmente da zero. “Un continente prospero sarebbe stato un continente stabile”: così la civiltà europea scelse di affrontare, nel 1945, la sfida derivante dalla fine della guerra, con la messa in comune dei mercati delle materie prime fondamentali per l’industria bellica per scongiurare nuove ostilità (la Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio, che precedette i Trattati di Roma). Questo progetto originario ha funzionato nella maniera auspicata per diversi decenni, riconfermato, perfezionato e potenziato prima a Maastricht e poi a Lisbona,
PRIMO PIANO
prima che si trovasse difronte alla rinascita della potenza russa, alla Brexit o alla escalation di violenza messa in atto dal terrorismo. La politica postmoderna e la realizzazione del mercato unico non sono state sufficienti, infatti, a produrre il risultato sperato, ossia il mantenimento di un ordine mondiale basato sul primato della geoeconomia, sulla geopolitica e sulla forza attrattiva del Vecchio Continente, in particolar modo sui Paesi vicini. La forza attrattiva resta indiscutibile, non solo per il graduale processo di allargamento perseguito dall’Unione verso Est, ma soprattutto per l’immenso numero di esseri umani che, ormai da diversi anni, decidono di abbandonare le sponde natie pur di raggiungere il suolo europeo. E la maggior parte di loro arriva proprio dal mare, una sorta di immenso confine naturale fatto di acqua che non siamo ancora riusciti a rendere “più sicuro”. I bollettini ci raccontano quotidianamente le storie di gente disperata che in quel mare lascia la propria vita o, nella migliore delle ipotesi, un pezzo della propria famiglia. Per rinascere dignitosamente, l’Unione Europea deve assolutamente fronteggiare con maturità questo dramma, partendo dalla riscoperta di ciò che sta alle sue fondamenta, alle radici del suo processo di integrazione, per consolidarle ed irrobustirle in maniera che il tronco di questo straordinario albero non smetta di germogliare. Sullo sfondo di queste grandi migrazioni di popoli in direzione dell’Europa, esattamente come in passato moltissimi lavoratori europei dovettero emigrare per trovare migliori condizioni di vita e di lavoro in altri continenti, il mito d’Europa assume particolare pregnanza. Europa è una viaggiatrice, che non ha timore di abbandonare tutto per spostarsi da Oriente a Occidente, per scoprire nuovi mondi e portarvi il contributo di un’altra cultura. Ella ci ricorda che i popoli hanno sempre migrato e che tali movimenti di popolazioni producono importanti innovazioni culturali e sociali.
Se tutte quelle famiglie confidano ancora che in Europa sarà garantito loro un futuro ed una vita migliore di quella che stanno conducendo nella loro terra, forse anche noi europei dovremmo impegnarci per tradurre in realtà il sogno di una Europa rinnovata, che riscopra la sua vera essenza, in cui gli “intrecci” culturali siano immediati e più fitti, che sia più integrata ed inclusiva, dove nessuno può restare escluso, essere emarginato o respinto. L’approccio dell’UE al multiculturalismo è già racchiuso nel motto “Unity in diversity”, che riconosce come l’Unione sia stata costruita proprio sulla diversità. Un punto di partenza importante, quest’ultimo, per una scommessa fondamentale: quella mirante a forgiare una nuova identità, che ormai non può più essere uguale a se stessa, ma che deve necessariamente ed improrogabilmente tenere conto di culture e consuetudini che, pur non avendo le proprie radici in Europa, la storia ha portato ad incontrarsi con le nostre. Occorrono provvedimenti urgenti da parte delle istituzioni per assicurare pace e rispetto dell’essere umano non più solo all’interno dei propri confini: superando questa prova l’UE potrà davvero fare la differenza nello scenario mondiale. Ed è in questa prospettiva che occorre rivalutare e puntare sul ruolo della diplomazia europea, che va rivista e calibrata in chiave culturale e laica. Una diplomazia attenta a questi elementi rappresenta, infatti, un’opportunità per condividere valori comuni e l’identità culturale di ogni Stato con quella degli altri Paesi.
O n March 25, Europe is celebrating its 60° anniversary, a crucial date not only for international law enthusiasts, which today compels European institutions and citizens to make conscious choices, to create a new identity that should take into account cultures and traditions that history mixed up with ours.
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La “Strategia per le relazioni culturali internazionali”, presentata dalla Commissione europea e dall’Alta Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza lo scorso giugno, mira a incoraggiare la cooperazione culturale tra l’UE e i suoi Paesi partner. La cultura deve essere parte integrante della nostra politica estera. Essa rappresenta un potente strumento per costruire ponti tra le persone e rafforzare la comprensione reciproca, così come può essere un motore per lo sviluppo economico e sociale. E poiché ci troviamo di fronte a sfide comuni, la cultura può aiutare tutti noi, in Europa, Africa, Medio Oriente e Asia, a rimanere uniti per lottare contro la radicalizzazione ed instaurare un’alleanza delle civiltà. È per questo motivo che la diplomazia culturale deve essere sempre al centro delle nostre relazioni con il mondo di oggi. Ci auguriamo che queste righe possano offrire almeno degli spunti di riflessione in primo luogo a noi cittadini europei, in modo che le massime istituzioni europee non potranno più trascendere da tali priorità per la formulazione di future politiche diplomatiche, culturali e di integrazione che siano all’altezza dell’età di un’organizzazione che vanta 27 stati membri e 500 milioni di cittadini, ed oltretutto auspica ulteriori allargamenti.
AMBIENTE
WiMUST:
NUOVE FRONTIERE PER L’ESPLORAZIONE DEI FONDALI MARINI di Federica Sabato fondali marini si potranno esplorare con i robot grazie al progetto dell’Università del Salento WiMUST, destinato ad essere conosciuto in tutto il mondo. La visione alla base di WiMUST è quella di sviluppare sistemi avanzati di controllo cooperativo, per consentire ad un gran numero di robot marini di interagire attraverso la condivisione di informazioni, come un vero e proprio team. Il professor Giovanni Indiveri, docente di “robotica, automatica e sistemi di controllo” presso la facoltà di ingegneria dell’Università del Salento è il coordinatore del progetto europeo di robotica subacquea WiMUST. La caratteristica fondamentale è l’utilizzo di una squadra di robot marini autonomi e cooperativi tra loro, in grado di ottimizzare la qualità dei dati di rilevamento e di variare la geometria della formazione durante l’esplorazione dei fondali marini. “Le tecniche fino ad ora utilizzate per l’esplorazione geotecnica e geofisica dei fondali prevedono l’utilizzo di una nave che rimorchia una sorgente acustica, in grado di generare un suono che penetra la colonna d’acqua illuminando il fonda-
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le. Il segnale di ritorno è acquisito da gruppi di ricevitori (idrofoni) montati lungo cavi (streamers), a loro volta trainati in superficie dalla nave. L’insieme degli streamer formano un’antenna acustica di geometria prestabilita - spiega il coordinatore Giovanni Indiveri - Nell’ambito di WiMUST si sta progettando un sistema alternativo in cui ogni streamer sarà trainato da un robot subacqueo. I robot potranno essere più vicini al fondale e ci si aspetta, di conseguenza, una migliore qualità del segnale; inoltre si punta a disaccoppiare la sorgente acustica dai ricevitori permettendo di cambiare la forma dell’antenna acustica e ottimizzando quindi le caratteristiche dei rilevamenti”. Il progetto riunisce un gruppo di istituti di ricerca, società di rilevamento geofisico e alcune imprese con una comprovata esperienza in sistemi autonomi, comunicazioni, reti di controllo cooperativo e di navigazione, progettazione e fabbricazione di robot marini. Oltre all’Isme, Centro Interuniversitario di Sistemi Integrati per l’Ambiente Marino, al quale afferiscono diverse Università Italiane (Università del Salento, Pisa, Genova
Giovanni Indiveri
e Cassino del Lazio Meridionale sono le Università di Isme che collaborano con WiMUST), sono coinvolti: l’ Istituto Superiore Tecnico di Lisbona, il Cintal Centro di Investigazione Tecnologica di Algrave in Portogallo; l’Università di Hertfordshire in Gran Bretagna, e poi le aziende EvoLogics, Graal tech, Cgg, Geo Marine Survey Sistems e Geosurveys. Il team di ricerca lavorerà affinchè gli sviluppi scientifici e le innovazioni tecnologiche del progetto WiMUST diventino sfruttabili in “domini subacquei” aggiuntivi: quelli relative alle operazioni di ricerca e salvataggio, monitoraggio ambientale e le applicazioni di sorveglianza, sminamento, di archeologia subacquea e della pesca. S ea beds could be explored with robots, thanks to the European project of Salento University WiMUST, coordinated by Prof. Giovanni Indiveri, teaching “automatic robotics and control systems” at the Faculty of Engineering. Behind this underwater robotics project there is the idea of developing advanced control system, enabling a large number of underwater robots to interact, sharing information, as a real team.
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AMBIENTE
DeFishGear
rapporto sul monitoraggio dei rifiuti marini*
ono disponibili online i risultati del rapporto “Marine Litter assessment in the Adriatic & Ionian seas”, pubblicato nell’ambito del progetto triennale IPA-Adriatico DeFishGear, frutto d’una complessa campagna di monitoraggio sul degrado ambientale e sull’emergenza “rifiuti marini” nell’Adriatico e nello Ionio. Al monitoraggio hanno partecipato 9 Istituti, Enti e Università di 7 diver-
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si Paesi che condividono il bacino Adriatico e Ionico fra cui, per l’Italia, ISPRA e ARPAE Emilia Romagna, che fanno parte del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA). La campagna ha coinvolto, in particolare: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Italia, Grecia, Montenegro e Slovenia, in uno sforzo comune di coordinamento e armonizzazione di azioni pilota di monitoraggio. Dal rapporto risulta che una percentuale variabile fra il 33 e il 39% dei rifiuti trovati nelle diverse matrici (spiaggia, superficie del mare e fondo) proviene dalle coste e da pratiche inefficienti di gestione dei rifiuti, turismo e attività ricreative. Le attività legate al mare (trasporti via mare di merci e passeggeri, pesca sportiva e commerciale, acquacoltura ed altro) contribuiscono al numero di rifiuti trovati con percentuali che van-
no invece dal 6,3% al 23% secondo la matrice considerata. Dati interessanti sono anche quelli relativi ad alcune fonti, in particolare: il 7,8% dei rifiuti trovati in spiaggia ad esempio è correlato al fumo (mozziconi, accendini ed altro) mentre il 2,6% degli oggetti trovati sul fondo del mare sono di origine sanitaria (preservativi, assorbenti igienici ed altro). Il Rapporto è, nei fatti, la prima valutazione dei rifiuti marini - a livello europeo e di bacini regionali europei - basata su dati di campo comparabili, ottenuti nello stesso periodo, con l’applicazione di protocolli di monitoraggio armonizzati e che può quindi fornire elementi strategici per il monitoraggio dei rifiuti marini e per le politiche di gestione. Europuglia News *Approfondimenti: Marine Litter assessment in the Adriatic & Ionian seas.
• NAPOLI • BARI • LECCE • MAGLIE • OTRANTO • GALLIPOLI (Corso Roma) • GALLIPOLI (Borgo Antico) • TORRE SAN GIOVANNI (Località Fontanelle) • TORRE SAN GIOVANNI (Corso Annibale) • LIDO MARINI • PESCOLUSE • TRICASE • TORRE VADO • S. MARIA DI LEUCA • SPECCHIA • TORRE PALI • CASARANO
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OSSERVATORIO AMBIENTE
di Alfredo Albahari
The oceans cleanup Un sistema di barriere galleggianti consentirà di pulire gli oceani dalla plastica. L ’idea rivoluzionaria la si deve a
ph: Gabriella Leviene - Flickr
Boyan Slat, inventore e imprenditore olandese di 22 anni. Ad appena 17 anni elaborò un progetto innovativo per rimuovere la plastica dagli oceani e successivamente approfondì l’argomento coinvolgendo numerosi esperti del settore, soprattutto grazie ai 2 milioni di dollari avuti, sotto forma di finanziamento collettivo, da persone che hanno creduto nella sua intuizione e lo hanno sostenuto. Nel 2013 ha fondatol’azienda “The Ocean Cleanup” per rendere operativo al meglio il suo progetto di salvaguardia della natura. Fanno parte del suo staff: oceanografi, ecologi, ingegneri, esperti in finanza e in riciclo di rifiuti. Boyan soffriva nel vedere lo stato di salute dei mari, e non solo quelli costieri, dove “c’erano più pezzi di plastica che pesci”.
Il gioco delle correnti spingeva tonnellate e tonnellate di plastica negli oceani. Alcuni studiosi hanno stimato in svariati milioni la presenza di pezzi di plastica nelle acque del pianeta; i quali provocano la morte di milioni di uccelli marini e migliaia di mammiferi. E non solo. Questo tipo di inquinamento si ripercuote sui settori della pesca e del turismo causando ogni anno danni per diversi miliardi di euro. E che dire dei problemi che provoca sulla salute del genere umano? La plastica, infatti, è cancerogena e, ingerita dai pesci, viene poi introdotta nell’organismo dell’uomo che si nutre di questi pesci causando malattie cancerogene. Tutte queste problematiche avranno assillato il buon Boyan che decise così di dovere fare qualcosa per tentare di risolvere questo annoso problema d’inquinamento.
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In verità, per quanto si pensasse che il problema fosse di difficile soluzione e che non si sarebbe mai potuta fare una completa pulizia di questa immondizia, fino a quel momento non erano mancati interventi per la pulizia dei mari dalla plastica. Lui avrebbe inventato qualcosa di più efficace e, nello stesso tempo, di molto meno costoso di quanto già praticato. Ma in che cosa consiste questo suo progetto? Si tratta di un sistema costituito da una serie di barriere galleggianti e di numerosi sensori che monitorizzano ininterrottamente i dati. Le prime sono state ancorate quest’anno ai fondali del Mar del Nord per circa un chilometro e mezzo, in zona di correnti marine, senza alcun impatto ambientale. Tali barriere sono in grado di filtrare i rifiuti che successivamente vengono raccolti in una piattaforma. La scelta del sito non è casuale: nella zona ci sono violente tempeste, pertanto è un banco di prova, perché, se le barriere resisteranno in queste acque, potranno resistere ovunque. Il progetto prevede di coprire, entro il 2021, un’area dell’Oceano Pacifico di oltre cento chilometri, che consentirebbe la pulizia quasi totale dello stesso. La sua equipe sta studiando la possibilità di riciclare il materiale raccolto dalle barriere, magari trasformandolo in energia. Boyan è certo che, sia pure in tempi non molto brevi, riuscirà nell’impresa. Noi siamo convinti che ce la farà perché la sua filosofia di vita è quella di non arrendersi mai.
Tutelare la biodiversità L ’arcipelago
delle kerguelen, situato nell’oceano indiano meridionale, 4800 km dall’Australia e 2000 dall’Antartide, è minacciato da cambiamenti climatici e da varie specie estranee e la Francia interviene drasticamente per tutelarlo. L’arcipelago fu scoperto dal francese Yves Joseph de Kerguelen Trémarec nel 1772, ma solo nel 1893 fu ufficialmente riconosciuto come possedimento francese. Attualmente la popolazione varia tra le 60 e le 120 unità, tra cui una decina di scienziati, soprattutto sismologhi e meteorologi. L’uomo ha notevolmente danneggiato la biodiversità delle Kerguelen, per la caccia incontrollata alle foche e la pesca intensiva ed illegale delle balene e delle orche marine, avvenuta negli anni novanta. ma aveva provocato altri danni già nel XIX secolo, introducendo conigli e gatti e, suo malgrado, anche ratti, che hanno alterato l’habitat di tutto l’arcipelago. I gatti, introdotti per uccidere i ratti, col tempo sono divenuti selvatici, e si nutrono di un milione di uccelli ogni anno. I conigli, il cui numero è in continuo aumento, sono divoratori di numerose specie vegetali, tant’è che è a rischio di estinzione il cavolo autoctono di Kerguelen. Attualmente, la vegetazione è composta soprattutto da muschi e licheni e la fauna è rappresentata da elefanti marini, gabbiani, procellarie giganti e varie specie di uccelli migratori e pinguini.
Il riscaldamento globale negli ultimi anni ha innalzato la temperatura del mare di 1,5 gradi centigradi e ha ridotto le precipitazioni del 50 per cento. I pinguini per procacciare il cibo per i piccoli si spingono sempre più lontano, a volte invano, con la conseguenza che questi muoiono di fame. Il governo francese, che periodicamente manda scienziati per tentare di trovare una soluzione ai tanti problemi, ha in animo, entro il 2017, di aumentare di 30 volte la superficie protetta istituita nel 2006, portandola ad un milione e mezzo di metri quadrati. All’interno del perimetro sarà vietato pescare ed introdurre qualsiasi specie animale o vegetale che non sia stata autorizzata dallo stato. Il monitoraggio satellitare dovrebbe dissuadere i pescatori di frodo dal danneggiare ulteriormente questa enorme miniera di biodiversità, situata alla fine del mondo.
ph: Etrusko25 - Wikipedia
A rischio estinzione
Pesce Chimera
L ’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, meglio conosciuta con la sigla inglese IUCN (International Union for the Conservation of Nature), ha inserito il Mediterraneo in una Red List, in quanto è un mare con alto rischio di estinzione per alcune specie animali.
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Squali, razze, chimere, che vivono nel Mediterraneo, e queste ultime solo nel Mare Nostrum, potrebbero scomparire a causa dell’uomo, dello sfruttamento oltre misura dell’ambiente marino. Gli squali negli ultimi anni si sono ridotti di oltre il 90 per cento. Gli equipaggi dei numerosi pescherecci delle flotte di pesca industriale li pescano, tagliano loro le pinne, considerate una prelibatezza della cucina giapponese e cinese, e li ributtano in mare a morire dissanguati. Per quanto l’Unione Europea abbia messo al bando questa orribile tecnica di pesca, grazie a permessi speciali viene tuttora praticata da spagnoli e portoghesi. È ora che l’Unione Europea entri nell’ordine di idee di allargare notevolmente le aree marine protette e di monitorare ininterrottamente affinché siano rispettate tutte le normative inerenti la salvaguardia dell’ambiente marino.
AMBIENTE
PESCI DIMENTICATI
Scapece alla Castrense
ph: Nunzio Pacella
di Massimo Vaglio
lcuni pesci come lo zerro, (Maena smaris L.) localmente denominato pupiddhru, il garizzo (Maena chryselis Val.) conosciuto come mascularu e la boga (Boops boops L.) chiamata opa, sono molto versatili e tradizionalmente adoperati nella cucina del Salento. Particolarmente apprezzati in frittura, arrostiti alla brace e in gustosi brodetti, vengono utilizzati tra l’altro nella preparazione di varie tipologie di scapece, le più note delle quali sono quelle in auge a Castro e Gallipoli, ove resiste ancora una stirpe di valenti artigiani girovaghi (scapeciari) che non mancano mai di proporre questa colorita e fragrante specialità in tutte le feste e fiere paesane del Salento. Meno nota della celeberrima scapece gallipolina, la scapece alla castrense o castriota è una versione semplice originaria di Castro e della sua frazione, Castro Marina, suggestivo borgo peschereccio. Preparazione nata dalla necessità di conservare il più a lungo possibile una risorsa abbondante economica,
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ma non sempre ugualmente disponibile come il pesce. La specie ittica più impiegata è la boga, ma possono con ottimo risultato impiegarsi le più svariate specie: menole, zerri, castagnole e persino le coloratissime donzelle. I pesci, freschissimi, vengono decapitati, eviscerati e lavati. Infine, infarinati e fritti in abbondante olio da frittura ben caldo, quindi posti a perdere l’unto in eccesso su carta assorbente. Si prepara un miscuglio con pangrattato, aglio e foglioline di menta, se ne versa uno strato in una terrina smaltata e si allineano sopra i pesci ben raffreddati, si continua alternando strati del miscuglio a strati di pesce, infine si termina con il miscuglio di pangrattato e si ricopre d’ottimo aceto di produzione casalinga; aceto forte, aromatico e colorato poiché rin-
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T he need to store as long as possible an important resource as fish, not always available, suggested the preparation of various kind of scapece, such as the original one, prepared in Castro Marina, a charming fishing village. Here fish is fried, put in a casserole with a mixture of breadcrumbs,garlic, leaves of mint and covered with vinegar. The most used fish species is the bogue, but picarel, anchovies and damselfish can be used as well.
veniente dai robusti vini rossi e rosati salentini. Dopo quattro cinque giorni di macerazione, l’aceto, esausto per aver aggredito il calcare presente nelle lische e nelle squame dei pesci, risulta annacquato e notevolmente indebolito. Per questo motivo, onde aumentare la conservabilità della scapece, questo viene diligentemente scolato e sostituito con dell’altro, fresco e fragrante, aceto nuovo. Può essere così avviata al consumo, tenuta in frigo, a + 4 °C, si conserva perfettamente anche per più di un mese.
Nautica&Mare Enrico Tricarico | MUSICHE DAL MARE | Cafè del Mare..............................................................................................................57 Salvatore Negro | CIAK | Due isole, due donne, due film..............................................................................................................58 I CLICK di Daniele Albahari..............................................................................................................................................................................................60 Massimo Galiotta | IL CAVALLETTO | Riflessi e trasparenze nella pittura di Biagio Magliani.............61 IL NUMISMATICO | La rocca del principato di Monaco................................................................................................................61 Lucio Causo | Il Nereide affonda con tutto l’equipaggio.................................................................................................................62 LA MUSA | Riverberi Marinari, un trittico di Eugenio Giustizieri (1957 – 2010).................................................64 IL TAGLIACARTE | La sirena di Gallipoli.........................................................................................................................................................64
ENRICO TRICARICO Pianista, compositore e direttore d’orchestra
SALVATORE NEGRO Regista, autore di soggetti e sceneggiature
DANIELE ALBAHARI Appassionato di fotografia dei paesaggi
EUGENIO GIUSTIZIERI Imprenditore destination maker
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massimo galiotta Docente di enogastronomia, blogger, cultore d’arte moderna
LUCIO CAUSO Scrittore e socio ordinario della Società di storia patria per la Puglia
Gallipoli, Corso Roma +39 0833 261038
MUSICHE DAL MARE
Cafè del Mare ph: Lloyd Morgan (wikimedia commons)
di Enrico Tricarico
Café del Mar è un bar situato a San Antonio, Ibiza, dove ogni sera, da trent’anni a questa parte, viene celebrato il rito del tramonto, con una sequela di musiche rilassanti e suadenti che catturano le emozioni del lento immergersi del sole nelle profondità del mare. Divenuto celebre come “bar del tramonto” questo caffè è stato scelto da subito come una destinazione popolare tra i turisti, e punto di riferimento di intellettuali, scrittori e bohémien che lo eleggono luogo deputato a trascorrere momenti di relax. Ramón Guiral, Carlos Andrea e José Les inaugurano il locale il 20 giugno 1980, ma è dalla fine degli anni ottanta che i
dj del locale scelgono musiche dal sound di tipo easy listening, ambient, lounge e chillout, musiche che ben si prestano a regalare una sensazione di refrigerio (chilling) e distensione (lounge) e che ben si accompagnano alla visione panoramica di cui godono i frequentatori del Bar. Nel 1994 nasce così il primo album della nota serie di compilation intitolata Café del Mar. Ad oggi, sono state prodotte 22 compilation principali con 9 milioni di copie vendute nel mondo. Due anni dopo la prima compilation di Café del Mar, nel 1996, esplode il fenomeno musicale parigino Buddha Bar dove, sull’onda del loro successo, sono state pubblicate numerose compilation che ripropongono sonorità chillout, lounge ed ethno beat: Hotel Costes, Siddharta (di Ravin, storico
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dj del Buddha Bar), Nirvana Lounge, Barrio Latino, Barlotti, Café Solaire, Bargrooves ed altre ancora. Questi generi musicali sono capofila del Lounge Style, una moda degli anni 2000, che contraddistingue chi ama trascorrere il tempo libero in raffinati locali cosmopoliti, tra candele e luci soffuse, aperitivi e degustazioni, e un imprescindibile sottofondo di sound downtempo: attrattive seducenti per chi ama l’atmosfera da club, e per chi è sensibilmente votato a tutto ciò che fa tendenza. Sia che si tratti di una fugace moda da club, sia di un atteggiamento mentale di autentica curiosità per l’esotico e il diverso, queste compilation hanno saputo imporsi all’attenzione degli addetti ai lavori, guadagnandosi un posto di rilievo nel panorama musicale contemporaneo.
CIAK
Due isole, due donne, DUE FILM... di Salvatore Negro
Ingrid Bergman (screenshot da Stromboli)
ue donne, Ingrid Bergman e Anna Magnani protagoniste, verso la fine degli anni ’50, di uno scandalo cinematografico-sentimentale destinato a segnare un epoca nella storia del cinema italiano e non solo. L’amore per un uomo, Roberto Rossellini, il regista che più di tutti ha rappresentato la bellezza del neorealismo; il neorealismo di Roma città aperta nel 1945. Su quel set, Rossellini intraprese un’appassionata storia d’amore con la protagonista, Anna Magnani.
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Interpretazione intensa e prepotente, la sua, con la sequenza “icona” di quella stagione del nostro cinema: Pina (Magnani), insegue il suo Francesco arrestato dalle milizie nazifasciste, prima di essere fucilata e poi raggiunta dal suo bambino sul selciato. Quella sequenza è il neorealismo. Il percorso artistico-sentimentale tra i due grandi continuerà anche dopo Roma città aperta, saranno insieme sul set del film in due parti L’amore, la Magnani interpreta il monologo di Jean Cocteau La voce umana in cui
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lei dialoga con il suo ex compagno, ma è solo lei a parlare in una lunga telefonata, sarà il suo virtuosismo tecnico, a farci ascoltare le risposte di lui, a farle intuire al pubblico. Tuttavia, sarà una lettera a cambiare il corso degli eventi: quella che Ingrid Bergman, l’attrice di Hollywood del momento, manda al “Signor Rossellini”, dopo aver ammirato le sue opere: “Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film, Roma città aperta e Paisà, e li ho apprezzati moltissimo. Se ha bisogno di un'attrice svedese
che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire “ti amo”, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei”. Questo il messaggio, interpretato come un ardito tentativo della Bergman di sedurre Rossellini, per quel “ti amo”, che invece è mutuato dall’uso che si fa in inglese di “y love you”. Fu l’attrice stessa a cadere nella trappola: “ti amo” in italiano si usa in una specifica circostanza, mentre in inglese “y love you” non presuppone per forza una relazione sentimentale, lo si indirizza non solo al proprio amante, ma anche ai genitori, a un fratello, a un amico. Questo sancirà, tuttavia, la fine del rapporto sentimentale e professionale della Magnani con Rossellini, nonostante un progetto cinematografico avviato per lei: Stromboli terra di Dio. La Magnani parte per Londra, mentre lui raggiunge l’aeroporto di Ciampino ad accogliere la Bergman, alla quale affiderà, come primo ruolo, quello che aveva pensato per Anna, “Karin” in Stromboli. I due nuovi amanti, si recano nella primavera del ’50 sull’isola per dare inizio alle riprese, alloggiando in quella che gli isolani chiameranno la casa rosa. Così i due accenderanno i riflettori su quelle isole a nord della Sicilia. Lo scandalo del Tirreno, titoleranno alcuni giornali, perché la Magnani non sta a guardare, accetta un ruolo da girare in un'altra isola delle Eolie: Vulcano, regia William Dieterle, scritto da Vitaliano Brancati. Così, mentre a Stromboli sta per nascere una travolgente storia d’amore tra il regista italiano e l’attrice svedese, sull’isola di Vulcano c’è una donna sola nella sua delusione sentimentale, con la sua rabbia, il rancore per quell’uomo che amava, e un ruolo che già lei studiava e che adesso le era stato strappato dalla grande attrice hollywoodiana. E intorno a loro? Intorno a loro ci sono due isole: due donne e due ruoli, quelli cinematografici e quelli che
Anna Magnani (screenshot da Vulcano)
devono recitare al cospetto dei media internazionali, una “guerra” privata e pubblica. La “guerra” nei confronti di un’Italia bigotta e di un’America puritana che giudicava quell’unione sentimentale tra due persone sposate. La “guerra” arriva fino al botteghino, e sarà Stromboli a vincere la sfida. Le tante attenzioni mediatiche su questa nuova coppia, lo scandalo, suscitano nel pubblico la curiosità o forse la morbosità, che finiranno per influenzare gli incassi. Mentre Vulcano sarà un flop di critica e pubblico: nonostante l’impeccabile professionalità della Magnani, la pellicola deluderà le attese. Il principe Alliata titolare della Panaria Film (specializzata in riprese subacquee), aveva per primo pensato a una storia da girare su Stromboli, si mise a disposizione anche per la produzione di Vulcano, fortemente voluto dalla Magnani. Alliata racconta che della prima proiezione del film a Roma, presenti giornalisti e fotografi; alla fine del primo tempo si accorsero che la sala si era svuotata, perché durante la
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proiezione era giunta la notizia che la Bergman, ricoverata in una clinica della capitale, aveva dato alla luce il primo dei tre figli avuti con Rossellini. Il corso degli eventi, quelli reali, appariva un copione consegnato alla storia del cinema di sempre. Per molti isolani, quei riflettori mediatici non si sono mai spenti. Molti di loro, all’epoca bambini, ricordano ancora la troupe, gli attori e le attenzioni nei loro confronti. Il 1950, sarà ricordato per la fine della relazione artistico-sentimentale della coppia del neorealismo Magnani-Rossellini, e per il nuovo sodalizio di un’attrice così lontana dalla cultura cinematografica italiana. Quell’unione durerà cinque anni; tre figli, qualche altro personaggio in film diretti da Roberto e nulla più. Ingrid tornerà a riprendersi quel ruolo di diva internazionale che più le si addiceva. Il testo di Cocteau, interpretato da Anna qualche anno prima, conteneva un passaggio che sembrava profetico nel rapporto realtà-finzione. La protagonista, nel suo fluviale monologo al telefono con il suo ex amante ormai nelle braccia di un’altra, recitava così: “Ti prego, promettimi almeno questo, amore: che non andrete nello stesso albergo dove andavamo noi due”.
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di Daniele Albahari
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IL CAVALLETTO
Riflessi e trasparenze nella pittura di
Biagio Magliani di Massimo Galiotta
iagio Magliani (Leverano 1964) vive per dipingere. Con i piedi ben saldi al suolo, pragmatico e determinato a difendere l’arte in cui crede, Magliani sfida i nostri tempi come farebbe un saggio, maestro, custode della genesi (dell’Arte). Nel suo modus operandi, è chiaramente ispirato dai grandi maestri del tardo manierismo e da coloro che, successivamente, hanno perpetuato la rivoluzione stilistica incominciata dal Michelangelo Merisi. Egli traccia il profilo dei suoi soggetti con cura e attenta analisi dei colori, degli accostamenti tra oggetti ritratti e analizza nel profondo la cultura della sua terra, dei suoi ricordi più cari e dell’indimenticabile che ci ripropone, generoso, in chiave contemporanea. Quando si cimenta con il paesaggio non trascura mai il mare e gli infiniti effetti ad esso legati, paesaggi marini che diventano virtuosismi dell’Arte: velature generate da lontane foschie, riflessi e trasparenze di delicati specchi d’acqua che evocano ambientazioni parigine, della seconda metà dell’800, quando rappresentare l’impalpabilità dell’acqua e dei suoi infiniti toni di colore era un affare di noti artisti frequentatori della “grenouillère”, sulle rive della Senna. I suoi soggetti provengono dal quotidiano, i suoi quadri sono inequivocabilmente veri e tridimensionali, frutto dell’attento studio della prospettiva e dei contrasti cromatici che, complementari gli uni agli altri, restituiscono le opere rappresentate in maniera armonica, nel pieno rispetto del concetto di “simmetria delle forze”, mostrandosi all’osservatore in una tavolozza satura di colore, quale celata ma mai nascosta firma di un inconfondibile artista: Biagio Magliani.
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IL NUMISMATICO
La rocca del Principato di Monaco Il piccolo Principato di Monaco, sulla Costa Azzurra, ha coniato una moneta da 2 euro per celebrare gli otto secoli trascorsi dall’edificazione della prima Rocca di Monaco. All’interno dell’anello con 12 stelle a cinque punte che rappresentano l’Unione Europea, la faccia nazionale della moneta presenta nella parte centrale il bassorilievo della torre che si erge su una roccia a picco sul mare, dal quale emerge, più in primo piano, un altro spuntone roccioso. In alto, centrale, vi è la scritta MONACO tra due simboli: a sinistra una piccola cornucopia, simbolo della Zecca di Parigi che ha materialmente coniato la moneta, a destra un pentagono, simbolo del suo direttore. Nella parte inferiore, infine, la legenda: FONDATION DE LA FORTERESSE tra due piccoli rombo orizzontali e le date: 1215 a sinistra e 2015 a destra.
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5 agosto 1915
Il faro di Pelagosa
Il Nereide affonda con tutto l’equipaggio di Lucio Causo ei primi mesi della guerra 1915/18 la Marina italiana, per varie ragioni e non ultima quella di costituire una piccola base d’appoggio e di rifornimento per i sommergibili e le siluranti che operavano nella parte inferiore dell’arcipelago dalmata, decise di occupare l’isola di Pelagosa, situata ad eguale distanza (30 miglia) tra Vieste e Lagosta. Si trattava di un isolotto roccioso lungo 1300 metri e largo 400, la cui posizione strategica ed il faro alto 105 metri, permettevano di osservare la zona di Lissa a nord e quella del Gargano a sud. Fu così che il 10 luglio 1915 partì da Brindisi una spedizione formata dall’esploratore Quarto, dall’incrociatore ausiliario Città di Palermo, da cinque cacciatorpediniere e da sette torpediniere. L’11 luglio la formazione navale si presentò davanti all’isola, il cui presidio era compo-
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sto da una decina di marinai austriaci. L’occupazione ebbe luogo senza alcuna difficoltà. Due giorni dopo, un’incursione del cacciatorpediniere Tatra, portò in Austria la notizia che Pelagosa era stata occupata. La Marina italiana aveva lasciato nell’isola un distaccamento di cento marinai che aveva iniziato la costruzione di trincee, di postazioni d’artiglieria e di una stazione radiotelegrafica. Non era da escludere che Pelagosa potesse essere bombardata da navi nemiche, ma, con un sommergibile normalmente dislocato in quelle acque, si potevano rendere pericolose le adiacenze dell’isola per le navi attaccanti. Ciò si verificò nel bombardamento subito dall’isola il 23 luglio, quando le navi austriache, appena avvistarono il sommergibile, si allontanarono precipitosamente. Il sommergibile in agguato doveva rimanere in quelle
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acque dall’alba fino a sera, tenendo presente che il pericolo più grave che poteva correre era un attacco di sorpresa da parte di un sommergibile immerso. Sotto l’isola, era stato improvvisato, a Zadlo, un ormeggio per le unità. Così rimanevano maggiormente pronte ad immergersi ed in caso di bisogno, esse potevano mollare subito il cavo invece che salpare la propria ancora o filarla per occhio. I comandanti, quando erano in emersione, preferivano tenersi sotto l’isola, perché, proiettandosi sulla roccia, erano meno visibili dal largo. Il 28 luglio l’isola fu attaccata dagli esploratori austriaci Helgoland e Saida, scortati da cinque cacciatorpediniere tipo Tatra e da quattro torpediniere. I cacciatorpediniere sbarcarono un centinaio di marinai per rioccuparla. La resistenza degli italiani e la presenza del sommergibile francese
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sottrarre il sommergibile all’insidia nemica e possibilmente di attaccare a sua volta. Il Comandante Del Greco si rese subito conto che doveva affrontare una situazione di estremo pericolo, per quanto doverosa. Per questo il suo contegno fu risoluto ed eroico. Alla memoria del Capitano di Vascello Carlo Del Greco fu concessa la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “All’alba del 5 agosto 1915, in vicinanza della spiaggia di Pelagosa, di fronte all’improvviso comparire di un sommergibile austriaco a breve distanza, che rappresentava morte sicura, tentava, con eroica abnegazione, di offendere, con il lancio di un siluro, il nemico, ordinando l’immediata immersione del sommergibile di cui aveva il comando e compiendo tutto quello che il dovere e le circostanze imponevano e consentivano”.
Per tutta la durata della guerra, Pelagosa restò così terra di nessuno. Nell’estate del 1972 i diciannove uomini del Nereide tornarono in Patria dopo cinquantasette anni d’attesa nel fondo marino. Tornarono alla base navale che li vide partire per una missione di guerra nelle acque dalmate. La città di Brindisi, in rappresentanza di tutta la Nazione, rese loro un deferente omaggio. Dal dragamine Mogano furono sbarcate le urne contenenti i resti mortali dei diciannove membri dell’equipaggio del Nereide. Nella cripta del Monumento al Marinaio d’Italia, gli uomini del Nereide avevano ritrovarono i loro compagni caduti per la gloria e per l’onore della Patria. E con loro rimasero fino al giorno in cui furono sepolti accanto ai marinai della corazzata Benedetto Brin, nel Cimitero di Guerra di Brindisi.
Il sommergibile Nereide, silurato dall’austriaco U5, s’era inabissato, con tutto il suo equipaggio, su un fondale di 24 metri.
O n August 5th, 1915 the submarine Nereid was docking at Pelagosa Island, essential outpost of the Italian Navy in the Dalmatian archipelago, when Commander Carlo Del Greco saw an Austrian U5 approaching, and, despite the risk related to the enemy’s proximity, ordered the immersion of the submarine and launched a torpedo, but Nereid was struck too, and exploded. In the summer of 1972, the 19 crew members returned in their country, after 57 years of waiting on the seabed.
Insieme al Velella, era stato il primo battello italiano inviato in agguato davanti alla base nemica di Cattaro. Da quel giorno la pressione austriaca contro l’isola di Pelagosa si fece sempre più pesante, tanto che la Marina italiana decise la sua evacuazione. Questa ebbe luogo il 18 agosto 1915, sotto la scorta di forze alleate leggere.
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Ampére, che lanciò un siluro contro il cacciatorpediniere Balaton, costrinsero le navi nemiche a prendere il largo. Qualche giorno dopo la Marina italiana doveva lamentare una dolorosa perdita. All’alba del 5 agosto 1915, il sommergibile Nereide, partito da Brindisi il giorno precedente per rilevare il Papin, appena giunto nei pressi di Pelagosa, si era andato ad ormeggiare a Zadlo. Ciò apparve come un’imprudenza, perché la vigilanza della stazione di vedetta in quel momento non poteva esplicarsi pienamente. Il sottotenente Vallauri, testimone oculare del breve tragico duello che poi seguì, rimase meravigliato nel vedere il sommergibile ormeggiarsi a quell’ora insolita. Forse era stato obbligato ad andare all’ormeggio per qualche avaria, tanto più che la traversata, a causa del mare agitatissimo, era stata molto cattiva. Il Nereide era fermo da pochi minuti a Zadlo, quando fu visto mollare l’ormeggio e tentare di immergersi rapidamente. Pochi secondi dopo, mentre la torretta del sommergibile spariva in mare, si udì una tremenda esplosione ed una colonna d’acqua s’innalzò sul Nereide che scomparve del tutto. Cos’era accaduto? Appena giunto all’ormeggio, il Comandante Carlo Del Greco s’era accorto che un sommergibile nemico stava manovrando immerso nell’acqua per attaccare il Nereide. Decise, senza esitare, d’interrompere l’ormeggio e di procedere all’immersione per tentare di
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LA MUSA Nel sessantesimo della nascita
RIVERBERI MARINARI,
un trittico di Eugenio Giustizieri (1957 – 2010) OTRANTO
VELIERI SCURI
Otranto nella notte estiva ignora di portare in sé più intenso che mai, bosco di macchia, memorie di castelli tra armi e fiabe d’inquietudine. Fulgore è il bianco tuo di latte sul fuoco liquido di quando annega il sogno. Ancora s’ode la voce e la paura l’inonda di sagome confuse nel fresco lunare che imprudente verso luci lontane, sul mare, vede l’assalto dei turchi e il tufo di una rocca cieca al giorno e alla notte, per tutto il mutare del tempo. Qui il nostro destino riposa come piccola cosa muta, il vento non cessa e arde, ormai privi di peso gli ulivi, le vigne e la pianura aperta.
Macchia e ombra d’esterno neve smarrito come flusso dei solstìzi. Ricordo che affiora finché pullula di stelle dove lontanamente odo le mete e i venti. Tu dei velieri scuri e intensi sogni al limitare di già lontani uccelli.
AZZURRO
Quando il mare s’appropria del cielo rimane fulmine la vela del domani che divide il tuo dal mio tempo per un attimo di respiro sfuggito al sonno e al buio.
IL TAGLIACARTE
LA SIRENA DI GALLIPOLI questo il titolo del romanzo di Annibale Pignataro, un sociologo nativo di Campi Salentina e residente a Rimini, autore di numerosi manuali e volumi di narrativa. La sua ultima fatica, “La Sirena di Gallipoli” (Edizioni Minigraf), raccorda una serie di mondi profondamente diversi tra loro, dal mare dei pescatori di Gallipoli, alla terra occupata dai contadini dell’Arneo, dall’Argentina terra d’emigrazione italiana, ad un altro mare, il Tirreno. Pignataro racconta una storia d’amore, che sboccia nel momento in cui le strade di Paolo e Cristina – il figlio del pescatore e la figlia dell’emigrante – s’incontrano. Il fato, però, è in agguato. Non è il caso di svelare la conclusione del racconto, ma va detto che l’autore fa sì che una Sirena esca dalla dimensione di creatura leggendaria, ne attualizza la storia fantastica in modo in fondo abbastanza verosimile anche per i nostri giorni. Viceversa, si rituffa nel mito Maurizio Nocera nella presentazione dell’opera. “Quando al cambio delle stagioni, al calar del sole, l’astro vitale comincia ad inabissarsi – scrive, - noi gallipolini, ai quali la vita ha insegnato a guardare su quella linea dell’orizzonte ponentino, vediamo un raggio rosso fendere il cielo e raggiungere un preciso punto dell’isola del Campo. Su di esso, nel punto più alto e levigato da tutti i venti, appare la silhouette d’una sinuosa fanciulla”. Verificare, per credere. g.
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Strade
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