Periodico d’informazione sulla comunicazione e dintorni N. 1 - ANNO V GENNAIO 2016
IN QUESTO NUMERO La seconda vita della Ferrari e (forse) di Alfa Romeo Sophia Loren, l’ineluttabilità di una vita da star Mai più paura di volare, dall’Ucraina arriva l’aereo perfetto I capolavori della Maison Fabergé L’Uovo di Pietro Il Grande Videos, radios, cianfrusaglies. Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate I (dis)piaceri della carne “The Hateful Eight” – l’ultima meraviglia di Quentin Tarantino Quanto costa il sapere italiano all’estero? Chi si avventura e chi si reinventa!
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numero 1 - gennaio 2016
Editoriale
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Registrazione al Tribunale di Napoli N. 27 del 6/4/2012 Direttore Responsabile: Fabrizio Ponsiglione Direttore Editoriale: Marco Iazzetta Grafica & Impaginazione: Diego Vecchione Hanno collaborato in questo numero: Michele Botti, Luciana Cameli, Riccardo Catapano, Danilo Di Domenico, Mariarosaria Marcucci, Elena Mittino, Mangiamo Naturalmente, Loredana Romano, Stefano Rossi Rinaldi, Menthalia srl direzione/amministrazione 80125 Napoli – 49, Piazzale V. Tecchio Ph. +39 081 621911 • Fax +39 081 622445 Sedi di rappresentanza: 20097 S. Donato M.se (MI) – 22, Via A. Moro 50126 Firenze – 20, Via Cardinal Latino Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari. La pubblicazione delle immagini all’interno dei “Servizi Speciali” è consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca.
entrovati tutti, cari lettori del Magazine di Menthalia! Il numero di gennaio 2016 che vi apprestate a leggere dà inizio al quinto anno di vita di questa creatura, nata nel “lontano” febbraio 2012. In questi anni il nostro Magazine ha saputo conquistare uno spazio sempre più ampio di lettori ed ogni mese siete in migliaia a scaricarlo. Non vediamo l’ora di soffiare sulle candeline, e di festeggiare insieme Marco Iazzetta a voi, il mese prossimo! Intanto, l’obiettivo per il 2016 è General Manager quello di voler migliorare ancora e crescere senza perMenthalia dere la nostra identità. Sono tante le attività in cantiere e, come avrete notato, alcune di queste sono già attive da qualche numero a questa parte: ad esempio, l’esclusivo speciale sulle Uova Fabergé. Sulle nostre pagine sarà ancora presente ogni mese un pezzo di storia delle straordinarie opere che Carl Fabergé, uno dei più grandi gioiellieri al mondo, realizzò per la famiglia imperiale russa. Altro appuntamento fisso, nonché seguitissimo inserto del nostro magazine, è quello relativo ai consigli sulla corretta alimentazione che l’esperto nutrizionista di ‘Mangiamo Naturalmente’ dispensa ai nostri affamati lettori; non lo dite troppo in giro, ma ha deciso di svelare presto la sua identità… Sì, perché dietro all’invito a mangiare e ai consigli per farlo in maniera più naturale possibile, si cela un professionista vero e anche molto simpatico, il che non guasta. Daremo il via a rubriche che si legano alla voglia di raccontarvi, dal nostro punto di vista, i fatti più importanti del mondo ed in particolare tutto ciò che riguarda la comunicazione ed il modo con cui questa si evolve, ogni giorno di più. Il 2016 sarà dedicato anche alle nuove forme di comunicazione nell’arte, o alla diff usione delle pratiche di project management, e come sempre musica, tecnologia, moda, novità e tanto altro. Insomma, saremo sempre più in linea con le vostre richieste. Questo mese, lo spazio sarà dedicato allo straordinario saluto che un gigante come David Bowie ha voluto lasciare a tutti noi prima di dirci addio, con la pubblicazione del suo ultimo album. Vi daremo qualche spunto per visitare la mostra dedicata a Renzo Arbore e parleremo di quanto sia importante la comunicazione, ed in particolare il linguaggio, in un mondo dove la valigia è sempre (virtualmente) sul letto, pronta per essere chiusa, per lasciare tutto e partire per chissà dove, in cerca di chissà cosa. Ah… nel caso in cui foste intenzionati, portate una copia del nostro Magazine con voi o, se siete tipi un po’ più tecnologici, scaricatelo sul vostro tablet!
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La seconda vita della Ferrari e (forse) di Alfa Romeo Di Michele Botti
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robabilmente è l’eccellenza italiana più nota al mondo. Il suo marchio, il famoso cavallino rampante, è sinonimo di lusso, di potenza e di stile. Stiamo parlando della casa automobilistica più amata del globo, perché, dalle strade di San Francisco alle vie di Sidney, una Ferrari farà sempre girare la testa. L’azienda di Maranello, è uno status symbol da decenni, sia per la sua linea di strada che per i brillanti risultati, eccetto qualche anno negativo, ottenuti in Formula 1. Negli ultimi mesi però si è parlato di Ferrari anche per altro. In particolare per la doppia entrata in borsa, sia a Wall Street che a Milano. Il 21 ottobre scorso, a New York, le azioni “Race” del cavallino hanno infatti avviato le contrattazioni partendo da una base di 52 dollari, mantenendo subito un buon andamento e arrivando a raggiungere anche quota 60 dollari ad azione. Il 4 gennaio invece è stata la volta di Milano. In un Palazzo Mezzanotte, sede storica di Piazza Affari, completamente brandizzato Ferrari, dai colori ai dettagli, alla presenza di 15 autovetture della casa modenese, il titolo Ferrari è entrato nei mercati italiani, a 43 euro per azione. Presenti tutti i vertici istituzionali, dal Presidente Marchionne, a Piero Ferrari, figlio di Enzo - lo storico fondatore del marchio - ed al Premier Matteo Renzi che ha dichiarato: “La Ferrari è un simbolo dell’Italia che ce la fa, torna in pista e riparte”. L’inizio per il titolo italiano non è stato però dei più esaltanti della storia, con un 3,2% di perdita. La vera notizia però è il distaccamento dal Fiat Chrysler Automobiles (FCA) Group, quindi la vera e propria autonomia con tutto ciò che ne potrà conseguire sul mercato internazionale. Già si avvertono infatti i primi segnali negativi per
entrambi i titoli che, con gli andamenti negativi delle borse mondiali degli ultimi giorni, hanno chiuso con indici sensibilmente in ribasso. Tornando però alle piste, è stata proprio una dichiarazione di Sergio Marchionne a far sognare di nuovo i più nostalgici appassionati: “Il marchio Alfa Romeo è nel cuore della gente, proprio per questo stiamo pensando ad un suo ritorno in Formula 1”. L’Alfa è un marchio storico, che ha vinto anche mondiali, parliamo però del 1950 con Fangio. All’entusiasmo per queste dichiarazioni fa poi storcere il naso l’idea che Alfa potrebbe però sostituire il cavallino rampante. Citiamo per l’ennesima volta Marchionne: “Che la Ferrari lasci la formula 1 è molto improbabile, ma se non ci vogliono noi ce ne andiamo”. Una provocazione, forse, ma intanto tra due mesi inizia il nuovo mondiale e chissà che Seb Vettel non possa riportare il Rosso Ferrari sul tetto del mondo… per la gioia dei nuovi azionisti.
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Sophia Loren, l’ineluttabilità di una vita da star Di Luciana Cameli
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ophia Loren, nome d’arte di Sofia Villani Scicolone, è una vera icona. Mito apprezzato in tutto il mondo, l’attrice italiana ha lasciato il segno nella storia di Hollywood come poche altre. Un Oscar nel 1962 come miglior attrice protagonista nel film “La ciociara”, un Oscar alla carriera nel 1991 e tantissimi altri premi. L’America la ama da sempre, cosi come noi italiani e il resto del mondo. Vedova del produttore Carlo Ponti, ha lavorato con molti miti del cinema, da Cary Grant, Frank Sinatra, Clark Gable, Charlie Chaplin a John Wayne, Marlon Brando e Anthony Quinn tanto per citare alcuni nomi. Particolare il suo sodalizio con il regista Vittorio De Sica, con cui gira ben 8 film, e con l’attore Marcello Mastroianni, spesso al suo fianco come protagonista maschile. Sophia non ha solo grande personalità e grande talento, ma rispecchia una bellezza esteriore fuori dai soliti canoni, dai lineamenti mediterranei che fanno ricordare le sue radici italiane. Si rimane affascinati dalla sua naturalezza e dalla voglia di mettersi sempre in gioco. Mai trascinata dai “negativi sistemi della notorietà”, mai ha permesso che il suo mito potesse crollare per scomode situazioni che troppa fama può comportare. Madre di due figli e un amore solido con il marito, si mostra come una donna con sani principi che nessuno è mai riuscito a scalfire. Lei è la Diva del Cinema per eccellenza, un mito assoluto di stile e fascino, con un’infanzia difficile da gestire e con tanta forza per lottare.
Cresciuta a Pozzuoli, si trasferisce a Roma dopo aver vinto un concorso di bellezza e il suo sogno di diventare un’attrice si fa sempre più reale. Sicuramente gli ostacoli, i problemi e le ferite della sua adolescenza le hanno fornito l’energia per diventare la donna che è oggi, un esempio per tutti. Impossibile imitarla, impossibile poter diventare come lei. Le sue interpretazioni non solo riuscivano ad esaltare e valorizzare al meglio le sceneggiature e la regia, ma creavano un forte legame anche con i suoi colleghi attori. La magia che Sophia è riuscita ad emanare nel suo lavoro è evidente in ogni film perché sapeva essere unica e indispensabile. Sophia per certi versi ha cambiato l’immagine femminile nel cinema e ha creato un modello di donna bella, intelligente e brava. Nessun compromesso è riuscito a distruggere la sua gloria e nessun inganno ha scalfito la sua popolarità. Sophia Loren: un nome che parla da solo, per dire quanto intramontabile possa essere un mito, pur nell’ineluttabile trascorrere del tempo. Peccato che di questo lei non sembri affatto consapevole: in perenne sfida appunto contro il tempo che, inesorabile, passa anche per lei: non può rinunciare al filtro delle luci soff use, al pesante maquillage, alla cotonatura dei capelli; non riesce a farsi coinvolgere dall’anagrafe, quindi da ruoli adeguati al suo calibro, sì, ma in linea con l’età, prova ne siano sue recenti interpretazioni televisive. Evidentemente la recitazione non rientra più nei suoi obiettivi prioritari ed è ormai, ineluttabilmente, un’icona anche per se stessa…
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Mai più paura di volare, dall’Ucraina arriva l’aereo perfetto Di Danilo Di Domenico
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empre più persone viaggiano a bordo di un aeroplano. Anche gli altri mezzi di trasporto crescono: automobili sempre più comode, viaggi in treno dagli standard elevati ed esperienze di ‘trip-sharing’ sempre più suggestive. Nulla però sembra realisticamente in grado di competere con quanto offerto dalle compagnie aeree: la possibilità di raggiungere in poche ore qualsiasi punto del pianeta, la comodità estrema di lasciare il bagaglio in aeroporto e di recuperarlo direttamente a destinazione, opportunità minate solo dalla “paura di volare”. Una paura fomentata sempre di più se si pensa alla possibilità di incidenti, nonostante le rassicuranti statistiche circa la minore rischiosità di viaggiare in aereo piuttosto che in auto… D’altronde non succede, ma se succede son guai! La definitiva svolta in tal senso però, potrebbe arrivare dal visionario progetto dell’ingegnere aeronautico ucraino, Vladimir Tatarenko, secondo cui l’aeromobile potrebbe essere costituita da uno scheletro al quale si aggancerebbe la cabina passeggeri. La realizzazione di un simile progetto consentirebbe alla cabina di sganciarsi dal resto della struttura ed essere accompagnata al suolo o in mare attraverso l’azione di massicci paracaduti, con appositi cuscini in grado di attutire ulteriormente l’atterraggio. Incidente evitato e ed eventuali bagagli salvi, visto che nel pezzo sganciabile è inclusa anche la stiva dove sono depositati insieme ai fedelissimi animali. L’ingegnere sembrerebbe non aver lasciato nulla al caso. Sembrerebbe, sì… perché il buon Tatarenko per il momento pare aver tralasciato un piccolo dettaglio: lo scheletro dell’aereo, dove va a finire? È l’interrogativo che si stanno ponendo tutti coloro, studiosi e non, che hanno
analizzato approfonditamente il progetto pubblicato in rete dall’ingegnere ucraino nelle scorse settimane. Fino a quando l’avaria dovesse verificarsi in mare aperto, non dovrebbero esserci particolari problemi, ma mettiamo il caso in cui una qualche compromissione capitasse mentre l’aeromobile sorvola un centro abitato. Non succede, ma se succede son guai ancor più grossi! Avremmo messo in salvo i passeggeri a discapito di poveri cittadini che vedrebbero pioversi addosso la struttura di un aereo da varie decine di metri: sarebbe paradossale, a dir poco. Ad ogni modo, i più esperti s’interrogano circa la tenuta generale di un aeroplano, composto da due pezzi agganciati secondo uno strano meccanismo non ancora ben definito. Volendo però tralasciare anche quest’altro piccolo dettaglio, sarebbero al momento incalcolabili i costi di produzione e sperimentazione di una simile realizzazione e, in tal senso, poco importa il sondaggio indetto su vari social network secondo cui sarebbe di circa il 95% la percentuale di passeggeri ben disposti a pagare di più il proprio volo per una simile garanzia. Si, ma quanto di più? Ne vedremo delle belle…
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I capolavori della Maison Fabergé L’Uovo di Pietro Il Grande Di Mariarosaria Marcucci
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eter Carl Fabergé nacque il 30 maggio del 1846 a San Pietroburgo ed è riconosciuto al mondo come uno dei più grandi gioiellieri della storia. Fu l’inventore delle celebri ‘Uova Fabergé’ che, dal 1885 al 1917, realizzò per gli ultimi Zar di Russia, Alessandro III e Nicola II, come doni per le rispettive consorti, in occasione di ogni Pasqua. Nei 37 anni di regno dei Romanov, furono oltre 50 le uova che Fabergé disegnò e realizzò in gran segreto, senza che nessun dettaglio fosse svelato sino alla consegna del lavoro. Per la Pasqua del 1903, in occasione del duecentesimo anniversario della fondazione di San Pietroburgo del 1703, Fabergé realizzò l’Uovo di Pietro il Grande che l’ultimo Zar di Russia, Nicola II, donò a sua moglie la Zarina Aleksandra. Sulla parte superiore dell’uovo, una corona smaltata che circonda il monogramma di Nicola II mentre nella parte inferiore, l’immancabile aquila imperiale a due teste smaltata in nero e coronata con due diamanti. Il guscio dell’uovo, in oro rosso, verde e giallo, con decorazioni in stile rococò con volute di diamanti, presenta quattro miniature, coperte da cristallo, che furono commissionate da Fabergé al miniaturista B. Byalz per rappresentare i 200 anni di storia di San Pietroburgo. La prima delle quattro miniature, posizionata sulla parte anteriore del gioiello, raffigura il Palazzo d’Inverno, la residenza ufficiale di Nicola II. Nella parte posteriore invece la miniatura raffigurante la casetta
di tronchi, costruita, secondo la leggenda, direttamente da Pietro Il Grande sul fiume Neva a rappresentare l’inizio della storia della città di San Pietroburgo. Pietro Il Grande è raffigurato in uno dei due ritratti, posizionato ai lati. L’altro è quello dello Zar Nicola II. Le quattro miniature sono accompagnate da incisioni nere, in caratteri cirillici su nastri drappeggiati in smalto bianco opaco, che descrivono con essenzialità quanto raffigurato: “L’imperatore Pietro il Grande, nato nel 1672, fondò San Pietroburgo nel 1703”; “La prima piccola casa dell’imperatore Pietro il Grande nel 1703”; “L’imperatore Nicola II, nato nel 1868 salì al trono nel 1894”; “Il Palazzo d’Inverno di Sua Maestà Imperiale nel 1903”. Aprendo il coperchio dell’uovo, un meccanismo meccanico solleva la sorpresa: un modello in miniatura in bronzo del reale monumento a Pietro il Grande, presente nella città di San Pietroburgo. Il modellino poggia su una base di zaffiro ed è circondato da una ringhiera d’oro cesellato. L’uovo rimase in Russia fino al 1930, data in cui l’Antikvariat lo vendette ad uno sconosciuto acquirente americano prima di passare nelle mani di Alexander Schaffer di New York. Nel 1944 fu acquistato da Lillian Pratt che nel 1947 lo lasciò in eredità al Virginia Museum of Fine Arts a Richmond, dove è ancora oggi in mostra permanente nella European Decorative Art Collection.
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Videos, radios, cianfrusaglies. Di Loredana Romano
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uesto strambo titolo che campeggia dallo scorso dicembre all’ingresso del Museo di Arte Contemporanea di Roma (il MACRO) è proprio la descrizione testuale di ciò che RENZO ARBORE - LA MOSTRA ospiterà, fino al 3 aprile prossimo: una straordinaria collezione di oggetti, strumenti musicali, capi di abbigliamento, pezzi d’arredo, copertine di riviste e dischi che fino a qualche giorno fa gli affollavano casa e che in questi mesi proveranno a raccontare il fantasmagorico personaggio all’ospite che la visiterà. Classe 1937, registrato all’anagrafe di Foggia con il nome, anzi con i nomi, di Lorenzo Giovanni Maria Domenico Ernesto, Arbore ha fortemente caratterizzato la storia della televisione e del costume dell’Italia con le sue trasmissioni radiofoniche e televisive. Durante la sua adolescenza si faceva chiamare Renzo Swing Arbore e già all’epoca aveva iniziato a dividere le persone in quelli che hanno lo swing e quelli che non ce l’hanno, un’abitudine che non ha mai perso. Come fa a individuare questo swing, l’artista lo spiega nell’intervista realizzata da Rai Cultura, in occasione dell’apertura dell’esposizione al Macro Testaccio: il gusto del tempo, inteso
come musicale, la ricerca di opportunità, l’intelligenza, il ritmo, non solo intellettuale, sono le caratteristiche di chi lo swing ce l’ha! Settantotto anni di età, cinquanta di carriera (sempre in RAI) e di pura compulsione nel raccattare in giro per il mondo ogni genere di stramberia, a titolo di compenso per una giovinezza economicamente piuttosto magra: l’occasione giusta, dunque, per celebrare l’esistenza del più funambolico e creativo pioniere di nuove forme di spettacolo nella musica, nel cinema e nella radiotelevisione di casa nostra, contemporaneamente all’uscita del suo libro “E se la vita fosse una jam session? Fatti e misfatti di quello della notte”, a cura di Lorenza Foschini, edito da Rizzoli, in cui Arbore si racconta per la prima volta, a trenta anni dal successo tv di Quelli della notte, in un volume di ricordi, incontri e oggetti. La mostra, inaugurata lo scorso 20 dicembre e seguita da un ritorno in tivù su Rai2, con uno speciale dal titolo “Quelli dello swing”, è curata dai due scenografi storici che hanno disegnato la maggior parte delle scene nelle trasmissioni televisive di Renzo Arbore: Alida Cappellini e Giovanni Licheri. Sarà inoltre realizzata da Rai.com e distribuita da Rai
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Lasciate ogni tristezza voi ch’ entrate
Cinema, una raccolta in quattro dvd, disponibile in anteprima nel bookshop della mostra, che ripercorre tutta la carriera artistica di Renzo Arbore. Nel percorso espositivo della mostra, le sue passioni e tutti i loro simboli sfilano sotto gli occhi dei visitatori: il jazz, la radio, la televisione, i viaggi in America ma anche in tanti altri paesi dove si è esibito con la sua Orchestra Italiana, insieme alla rassegna di tutto il futile e l’inutile, ma per questo indispensabile, raccolto in ogni angolo di mondo visitato dal nostro mattatore. “Cappellini e Licheri hanno saccheggiato la mia casa nei miei momenti di sosta - ha ironizzato Arbore - e il risultato è un’esposizione che fa vedere cos’è l’originalità, tutto ciò che è fuori dal banale, dal comune”. Accanto alle cianfrusaglie, i documenti audio e video delle varie performances fanno la parte da protagonista, con molto materiale d’archivio proveniente dalle TECHE RAI: da Bandiera Gialla, di cui troviamo anche un’efficace riproduzione dello studio di trasmissione (con tanto di microfono originale pendente dal soffitto e dall’impugnatura ormai con-
sumata) ad Alto Gradimento, la sgangherata galleria di personaggi inverosimili ed esilaranti, fucina di memorabili tormentoni comici rimasti in testa per anni ed entrati poi nel gergo comune, da L’altra Domenica a Quelli della notte, da Indietro tutta ai concerti dell’Orchestra Italiana, e poi i suoi film e i suoi sketch pubblicitari; un percorso fatto a “stazioni”, corrispondenti appunto alle sue passioni, dove il visitatore che viene accompagnato già all’ingresso dallo swing della sua musica, può accomodarsi sulle stravaganti sedie a forma di cravatta o immaginare di sedersi a tavola con lui davanti ad una “mise en place” in puro stile Arbore, fino ad approdare in mezzo ai colori tropicali delle sue camicie e dei suoi famosissimi gilet, uno dei quali addirittura a firma di Depero. La Musica, l’America, il Collezionismo e la Plastica, il Cinema, i Viaggi, la Televisione, le Città e gli Amici, la Moda e il Design, la Radio e infine la Lega del Filo d’Oro, queste le stazioni attraverso cui si sviluppa il racconto in cui, come in una camera delle meraviglie, una giostra dell’inutile, un Luna Park dell’immaginazione, ogni oggetto, ogni video e ogni pezzo musicale svelano, divertendo ed emozionando, un pezzo della vita di Renzo Arbore, ma anche un pezzetto della nostra e di quella dell’Italia.
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Il Microbiota: uno, nessuno e centomila
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I (dis)piaceri della carne Di Mangiamo Naturalmente Spento il clamore intorno alle “rivelazioni” dell’OMS sul legame fra alimentazione e tumori, possiamo finalmente fare il punto della situazione sull’argomento. Intanto va chiarito che indicazioni in tal senso erano state date a partire dal 1983 dall’International Agency for Research on Cancer, che, in accordo con la Commissione Europea, già all’epoca aveva emanato l’European Code Against Cancer; questo documento viene periodicamente aggiornato utilizzando i dati scientifici più recenti, per fornire raccomandazioni sullo stile di vita, nell’ottica di ridurre l’insorgenza di patologie oncologiche. In particolare nell’ultima revisione sono stati ribaditi i principi fondamentali nella prevenzione: • favorire l’allattamento al seno; • praticare attività fisica regolare (almeno 30 minuti al giorno); • mantenere un peso corporeo sano (BMI tra 18 e 25); • consumare più cereali integrali, legumi, verdura, frutta e semi (in quantità moderata); • non fumare ed evitare, o almeno moderare, il consumo di alcoolici; • limitare i cibi ipercalorici e gli zuccheri semplici (compresi energy drink, bevande gassate e zuccherate, merendine industriali), le carni rosse ed i cibi molto salati; • evitare le carni lavorate (in scatola, insaccati, affettati, ecc.). Quest’ultima raccomandazione è legata principalmente all’uso dei nitriti come conservanti, motivo per il quale il nostro Ministero della Salute ha chiarito che i disciplinari di produzione del prosciutto di Parma e San Daniele (D.O.P.), vieta-
no l’uso di queste sostanze e quindi tali prodotti presentano lo stesso profilo di rischio delle carni rosse, in poche parole si possono mangiare in tranquillità senza eccedere nell’uso continuativo. In aggiunta a questi principi di base, vengono date anche alcune raccomandazioni sull’ esposizione al sole ed ad agenti inquinanti, sull’uso di terapie ormonali, vaccini e sugli screening di prevenzione. Per quanto riguarda la carne bianca, il latte ed i suoi derivati non vengono fornite indicazioni, perché i dati scientifici disponibili non sono sufficientemente robusti. Tuttavia i fattori di crescita presenti nel latte vaccino (ma non in yogurt e formaggi stagionati), tenderebbero a sconsigliarne un uso regolare. Vale la pena sottolineare che, nella prevenzione delle patologie oncologiche, un ruolo fondamentale lo gioca il nostro sistema immunitario, eliminando quotidianamente cellule tumorali; in quest’ottica, accanto allo stile di vita sano e ad un’alimentazione bilanciata, è fondamentale tenere in forma anche il nostro microbiota (ovvero la flora batterica), che supporta il sistema immunitario. Per questo è bene mangiare anche cibi fermentati (per esempio yogurt, kefir, crauti, tempeh, miso, pane con lievito naturale) e verdure crude, se possibile di origine biologica e, quando ciò non bastasse, farsi consigliare probiotici da un Professionista esperto.
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“The Hateful Eight” – l’ultima meraviglia di Quentin Tarantino Di Riccardo Catapano
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l genio di Quentin Tarantino è tornato in azione. Il 4 Febbraio 2016 uscirà nelle sale italiane “The Hateful Eight”, ottava fatica del regista due volte premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale. Simil-Western con romanzesche sfumature di giallo, il film è ambientato nel freddo Wyoming, negli anni immediatamente successivi alla guerra civile americana. La trama ed il ricchissimo cast comprendono il cacciatore di taglie John Ruth (Kurt Russell) che ha con sé la ricercata, dal valore di 10.000 dollari, Daisy Domergue (Jennifer Jason Leight), quando, per una serie di eventi, incontreranno sulla propria strada un ex maggiore della cavalleria sudista, Marquis Warren (Samuel L. Jackson), divenuto anch’egli cacciatore di taglie. La strana carovana si allargherà ulteriormente con l’arrivo di un altro personaggio, il futuro sceriffo di Red Rock, Chris Mannix (Walton Goggins). A causa delle avverse condizioni metereologiche, i quattro saranno costretti a rifugiarsi nella “merceria di Mennie”, dove faranno la conoscenza di altri personaggi, tra i quali un boia inglese (Tim Roth), un cow boy (Michael Madsen) e un vecchio generale sudista (Bruce Dern) in viaggio per arrivare alla tomba del figlio. È proprio all’interno del saloon che gran parte del film è ambientato: i protagonisti, costretti nella locanda a causa della tormenta di neve che si scatena
all’esterno, daranno vita ad un crescente status di tensione, con inganni, tradimenti e lunghi dialoghi che mineranno le reali identità dei presenti. Il miscelarsi di tali elementi renderà la pellicola di Tarantino ben distante dall’essere considerata un film Western vero e proprio, assumendo più realisticamente la portata di uno psicologico giallo d’azione, con un’ampia finestra sui temi razziali dell’epoca e l’immancabile tocco sanguinolento tanto caro al regista di Knoxville. Se tutto questo non dovesse bastare, ad accompagnare le gesta di questo formidabile cast ci saranno le note del maestro Ennio Morricone (premio Oscar alla carriera nel 2007) che ha composto circa 50 minuti di musiche originali per la pellicola che già gli sono valse un Golden Globe ed una nomination agli Oscar 2016 per la miglior colonna sonora. È lo stesso compositore romano a raccontare un simpatico episodio sul mettere in musica le idee di Quentin Tarantino: “Ho sentito subito la sua fiducia. Era pronto a darmi tutta la libertà di cui avevo bisogno. L’ho chiamato da Roma a Los Angeles, e lui mi ha chiesto di comporre delle musiche per un paesaggio nevoso. Fin qui nessun problema. Quando gli ho chiesto quale era la durata richiesta mi ha detto: “Circa 50 minuti!” Sono rimasto di stucco in quanto nella mia carriera avevo composto brani di massimo 10-12 minuti”. Tutto si è risolto per il meglio perché il maestro Morricone è riuscito ad accontentare il regista componendo una stupenda soundtrack che riproduce in musica, mirabilmente, i paesaggi nevosi ed il lento cadere dei fiocchi. Dunque, che siate amanti o meno delle pellicole sui generis di Tarantino, preparatevi alla visione: gli “otto detestabili” non vi deluderanno.
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L’ultima nota del duca bianco Di Stefano Rossi Rinaldi
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e can be heroes, just for one day”. Lo sfondo è il muro di Berlino, ostacolo tra due amanti e simbolo della guerra fredda, vissuta sia all’esterno che all’interno di se stesso. La musica è uno dei migliori escamotage per rendere immortale l’essenza di un uomo, di un visionario, di un artista. Potremmo usare centinaia di aggettivi per descrivere la vita di David Bowie, scomparso lo scorso 10 Gennaio. Nulla però come la musica, la sua musica, può farlo nel modo più diretto. “Heroes”, il singolo prodotto nel 1977, riecheggia ancora oggi in molte colonne sonore, rendendo l’atmosfera elettrica, romantica, controversa. Aggettivi diametralmente opposti, a prima vista. D’altronde questo vuol dire essere artisti, nel vero senso della parola, nell’animo. Contorcersi, cadere, rialzarsi e rendersi immortali, non fisicamente ma spiritualmente. Un cancro al fegato lo ha estirpato ai suoi parenti e fan all’età di 69 anni, ma lui ormai ne era ben conscio. Diciotto mesi prima la scoperta, il silenzio e l’accettazione, sempre a modo suo. Ha abbandonato il palcoscenico in grande stile, lanciando l’uscita del suo ultimo disco, tre giorni prima dell’annuncio della sua morte. Qualcuno per questo mormora che sia stata una morte “assistita”, l’uscita di scena prediletta. Le 10 mila copie in vinile di “Blackstar”, sono terminate in un batter d’occhio. I mediastore sono stati presi d’assalto. Su iTunes e YouTube le sue canzoni sono al vertice di ogni classifica e sul portale Vevo ha
sfondato l’incredibile quota di 50 milioni di visualizzazioni. L’effetto domino della morte, verrebbe da dire. Ma il “duca bianco” è sempre stato molto più di un passo in avanti. Prima dell’addio, ha inciso cinque demo che rientreranno in una edizione deluxe dell’album, in uscita nei prossimi mesi. Canterà versioni inedite anche dall’aldilà. Impossibile descrivere in poche righe la vita di una Star, con la S appositamente maiuscola. Prendiamo spunto dalle sue dichiarazioni, che ci riportano indietro al 1972, anno in cui fece outing: “Sono gay e lo sono sempre stato, anche quando ero solo David Jones”. Passiamo poi al 1976: “È vero: sono bisessuale. Ma non posso negare di aver usato molto bene questo fatto. Probabilmente è la cosa migliore che mi sia mai capitata”. Infine giungiamo al 1993: “Non ho mai sentito di essere un vero bisessuale. Era più che altro un mettermi alla prova”. La parola controverso, usata prima, ecco che ora assume un significato del tutto personale. Da qualsiasi prospettiva lo si voglia inquadrare, non si può che apprezzare il coraggio dimostrato nel presentarsi ad un mondo allora ottuso, che avrebbe potuto sbattergli la porta in faccia. Ha portato alla ribalta la diversità, sdoganando l’omosessualità, la bisessualità e molto altro ancora. Senza vergogna, senza pensare che tutto ciò avrebbe potuto nuocergli anziché renderlo famoso. Ma questa è stata e sarà sempre la sua forza. La forza di chi ha lottato per una vita intera. “We can be heroes…”.
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Quanto costa il sapere italiano all’estero? Di Elena Mittino
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er quanto possa apparire ormai come un luogo comune (‘ormai’ perché lo si sente dire tanto che quasi se ne perde il valore), è così. Trovare lavoro in Italia, per i giovani, è difficile. E per capirlo basta scorrere alcuni siti dedicati alle offerte di lavoro: si richiede esperienza, corretto, ma come può un giovane dichiarare di avere esperienza, senza che abbia possibilità di mettere qualcosa nel suo bagaglio culturale? Poche sono le realtà che decidono di investire sui neolaureati, per motivi che forse a pochi sono chiari. Risultato è che sono tanti i giovani che decidono di andarsene: l’altro luogo comune, che però ha anch’esso un fondo di verità, è il “vai all’estero che trovi lavoro”. Ecco, i giovani laureati approdano su terre straniere alla ricerca di quelle migliori condizioni di vita che non hanno potuto coltivare nel proprio paese. È un fenomeno che in dieci anni è cresciuto del 49,3%. E dal 2008 al 2014 i neolaureati che hanno cercato fortuna altrove sono costati all’Italia 23 miliardi di euro: 23 miliardi spesi, 23 miliardi di sapere offerto ad altri. Il dato di base è quindi che le persone se ne vanno. Ma il succo è: come si fa ad andarsene? Quali sono effettivamente le lingue utili per trovare lavoro all’estero e quali le mansioni più richieste? Partendo da alcuni siti come travel365, redazione.finanza, lavoroefinanza, larepubblica.it, è possibile delineare un elenco di lingue utili per spostarsi all’estero. Un elenco, non una classifica, perché a seconda delle aree di competenza ci si può aggrappare a un idioma piuttosto che a un altro. Un discorso a parte merita l’inglese, la lingua internazionale, la più usata, la più studiata, quella ufficiale in più stati, quella degli affari, quella del web.
Quindi il requisito n.1 deve essere quello. Diverse poi le lingue che si stanno espandendo e con molto successo: il portoghese e non solo per il Portogallo, dove effettivamente le opportunità di lavoro non pullulano, ma a esempio per il Brasile, che risulta essere tra i paesi in più forte ascesa di ricchezza e quindi una possibilità da tenere presente. Ma per fare cosa? Terreni su cui investire, business di piccola entità che si possono avviare per poi espandersi, insomma quel ramo gestionale che riguarda tanti studiosi italiani. C’è poi lo spagnolo, importante perché è la seconda lingua più parlata al mondo e perché utilizzata in alcune aree, come Centro e Sud America, dove le attività sono possibili e dove la qualità di vita è buona ed economica. Per gli affari non può mancare l’arabo e sicuramente tutti avranno già collegato l’immagine del petrolio: vero, ma in generale essendo lingua più comune in Medio Oriente, sarebbe bene conoscerla. E poi il cinese mandarino, il francese, travel365 annovera anche l’italiano. Con queste lingue in tasca un passo è fatto, ma non sempre una loro padronanza può far dire “ok, sono pronto”. Quali altre possibilità lavorative ci sono? Tra le più quotate quelle informatiche: gli ingegneri di questo settore sono assai ricercati all’estero, sono una ricchezza preziosa, che purtroppo l’Italia fatica ancora a scorgere. Ci sono poi gli esperti del marketing, gli ingegneri specializzati nei settori ambientali, figure che effettivamente in Italia vengono preparate al meglio, in ambiti pressoché scientifici. Tutto questo discorso vale per chi si appresta a calpestare territorio straniero con una laurea in mano, perché gli studi svolti in Italia sono particolarmen-
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numero 1 - gennaio 2016
Chi si avventura e chi si reinventa! te apprezzati. C’è però anche chi parte alla ventura, chi prova a reinventarsi, decidendo di partire senza conoscere la lingua del posto e forse con poche idee, perché quello che conta è riempire il bagaglio culturale e lavorare. Chi si reinventa, spesso fa uso proprio della propria italianità: chi prova a riproporre un pasto italiano, chi tenta di diffonderne aspetti della cultura come carattere peculiare e che quindi interessa e attira. Questa è un’altra fascia di giovani che se ne va all’estero, ma non tutti poi effettivamente trovano il ‘lavoro della vita’. Neolaureati e non solo: l’estero attira sempre più anche in età di scuola superiore con una percentuale che tende ad aumentare: in questo caso dal 2009 un +109% è partito per una esperienza fuori casa che è valsa soprattutto la conoscenza della lingua inglese. Per come la si voglia prendere, la terra straniera è quindi luogo d’attrazione. Una riflessione in merito potrebbe essere scambiare le parti, ossia, ci sono stranieri con cono-
scenze che vengono in Italia? Sì, qualcuno lavora, qualcuno invece ha cambiato completamente il suo stile di vita perché i suoi studi non sono riconosciuti, perché non valgono. E allora capita di imbattersi in persone di etnia diversa che con una laurea in realtà non posso godere del loro sapere. Che in Italia la cultura non sia ritenuta così importante? No, certo. Però allora è un problema che può nascondersi più a monte, ancora tutto da scoprire.
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