E LA POESIA NASCOSTA
Il Metodo Caviardage® tra i banchi edizioni la meridiana partenze
E
Indice
Una questione di metodo di Maria Greco ...........................................................7
Uno sguardo sui dati del concorso di Mirna Molli ...........................................................9
Lettera del Presidente della Fondazione Collodi di Pier Francesco Bernacchi .....................................13
LE AVVENTURE DI PINOCCHIO ...................................15
Elaborati vincitori del concorso ...........................139
Un mondo di parole vive di Osvaldo Capraro ...............................................161
Il Metodo Caviardage® tra i banchi di Giovanna Palumbo e Mariella Sciancalepore ....165
ATTIVITÀ
UNITÀ DIDATTICA PER LA SCUOLA PRIMARIA Io come Pinocchio... di Tina Festa ...........................................................169
UNITÀ DIDATTICA PER LA SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO Se trovassi centomila monete... di Giovanna Palumbo e Mariella Sciancalepore .....177
UNITÀ DIDATTICA PER LA SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO Se potessi rinascere un’altra volta! di Giulio Gasperini, Benedetta Mazzilli, Osvaldo Capraro.....................................................185
Una questione di metodo
di Maria Greco*L’etimologia della parola “metodo” si riconduce al greco μέθοδος (méthodos), dall’unione del prefis so μετά (metà) = oltre e dal sostantivo οδóς (odòs) = strada, letteralmente “strada attraverso cui si va oltre” e quindi anche “una via che si persegue per raggiungere uno scopo”. Nell’ideare, elaborare, or ganizzare e promuovere il concorso di idee “Cerca tori di poesia nascosta”, il metodo, nelle accezio ni di significato elencate, è stato il nostro motore propulsore: abbiamo cercato, infatti, di coinvolgere quante più scuole possibili, perseguendo il nostro fine istituzionale principale, la promozione della lettura, e lo abbiamo fatto attraversando una “stra da” altamente inclusiva, creativa, ludica, versatile, percorribile da tutti: il caviardage. Con metodo e con un metodo, ideato dall’insegnante materana Tina Festa1, si è tentato di avvicinare i bambini e i ragazzi alla lettura attraverso l’impiego della creati vità, stimolando in loro la caccia a quelle emozioni spesso difficili da esprimere. Nella pagina scritta, fatta di parole che ci travolgono, ci svegliano, ci consolano e quasi sempre, biblioterapeuticamente parlando, ci salvano, l’insegnante sta al timone: sa piente e paziente guida, mostra agli studenti con entusiasmo come navigare tra le parole, circumna
* Responsabile Scuola Centro per il libro e la lettura.
1. Docente di scuola primaria, ideatrice del Metodo Caviardage®
vigandole con la lettura “a volo d’uccello” e met tendo in pratica le varie tecniche del caviardage; così quella pagina amica magicamente si trasforma in poesia, nei versi dell’anima, e si manifesta nel la felicità dell’espressione, che i nostri partecipanti hanno scovato nelle pagine di un classico sempre verde della letteratura per ragazzi: Pinocchio, em blema della metamorfosi inconsapevole che accom pagna tutti noi, un pezzo di legno che prende forma e diventa altro e poi altro ancora… Un eroe nel senso assoluto della parola, che alla fine delle sue avventure vince disubbidendo, infrangendo le re gole. In un bellissimo articolo apparso per la prima volta in “Critica sociale” nel novembre del 1981, Giorgio Manganelli scrive:
“Io devo ringraziare Pinocchio per qualche cosa che ho imparato nel mio lungo e compli cato commercio con questo testo, le o e rile o molte volte, con le sue storie, con la sua stessa autonomia di personaggio che quasi sembra più trascri o che non scri o e che io riassumerei in questo suo incredibile e meraviglioso regalo: la disubbidienza attaverso la quale si impara l’ub bidienza.2”
Come a voler dire che tutte le sue disubbidienze hanno portato Pinocchio a ubbidire a ciò a cui era destinato. Credo sia anche questo ciò che accade col caviardage: una “lettura disubbidiente”, che tra sgredisce le regole, una ricerca istintiva e indisci plinata delle parole, l’applicazione estrosa e ribelle delle tecniche artistiche: tutto porta a obbedire al nostro sentire, a ciò che i nostri moti interiori sug geriscono, a quella poesia che alberga, nascosta, in ognuno di noi.
Di seguito troverete i numeri di questa disubbi diente felicità, la crescita che il concorso ha avuto in due anni, nonché alcuni utili contributi di inse gnanti certificati nel metodo, per consentire a do centi ed educatori di lavorare sempre meglio con il
2. “Critica sociale”, n. 11, novembre 1981.
caviardage: Osvaldo Capraro, docente di scuola se condaria di secondo grado, ci “illumina” sul piacere di lavorare sulle parole ed entra con delicata ispe zione nei caviardage vincitori di questa edizione 2022, leggendo con l’anima gli elaborati di bambi ni e ragazzi; Giovanna Palumbo e Mariella Scian calepore, docenti di secondaria di primo grado, de scrivono più specificamente il metodo e ne eviden ziano gli obiettivi educativi e formativi. Straordina riamente efficaci per supportare il lavoro didattico degli insegnanti risultano essere alcune specifiche Unità Didattiche: Io come Pinocchio, attività per gli alunni del secondo ciclo della scuola primaria a cura di Tina Festa; I desideri nascosti dei bambi ni, attività per la secondaria di primo grado a cura di Giovanna Palumbo e Mariella Sciancalepore; Se potessi rinascere un’altra volta , attività per stu denti dell’ultimo anno della secondaria di secon do grado, a cura di Giulio Gasperini 3, Benedetta Mazzilli 4 e Osvaldo Capraro. All’interno del testo integrale dell’edizione critica di Pinocchio, gentilmente donataci dalla Fondazio ne Nazionale Collodi, sono stati inseriti i 60 elabo rati (20 per ogni ordine e grado scolastici) merite voli di pubblicazione, a corredo creativo della fiaba sempreverde che racconta le peripezie del burattino più famoso della storia della letteratura per ragazzi. Infine viene dato spazio ai 15 elaborati vincitori (5 per ogni ordine e grado scolastici) dell’edizione dell’a.s. 2021/2022 del concorso. Se chiudo agli occhi e penso alla nascita di questo concorso mi sembra di leggere “a volo d’uccello” una bellissima fiaba, in cui non esistono i cattivi e si lavora per migliorare sé stessi, per fornire uno “strumento magico” a maestri un po’ bizzarri che cercano, insieme ai loro bambini e ragazzi, la poe sia nascosta nel mare magnum delle parole.
3. Insegnante di italiano L2 e insegnante certificato in Metodo Caviardage®.
4. Docente di scuola primaria e insegnante certificato in Metodo Caviardage®
Lettera del Presidente della Fondazione Collodi
Le avventure di Pinocchio hanno ormai raggiunto i 140 anni di vita e continuano ad attirare l’interesse dei lettori di tutto il mondo, oltre che a stimolare molteplici iniziative educative. Carlo Collodi ha avuto il merito di creare una storia insieme italiana e universale, i cui valori – a partire dalla straor dinaria umanità di Pinocchio – restano attuali per ogni nuova generazione e per ogni contesto sociale. La Fondazione Nazionale Carlo Collodi, che da decenni promuove la cultura dei bambini e per i bambini attraverso Pinocchio, ha accolto con gran de favore la possibilità di collaborare con il Centro per il libro e la lettura per il concorso “Cercatori di poesia nascosta” ed è lieta che gli studenti coinvolti nel progetto abbiano potuto lavorare col Metodo del Caviardage® sul testo delle Avventure di Pinoc chio. Questa iniziativa ha permesso di far avvici nare i giovani d’oggi in modo originale al romanzo di Collodi e ne ha confermato il ruolo di classico sempreverde della letteratura per l’infanzia e per l’adolescenza.
Le avventure di Pinocchio
Come andò che Maestro Ciliegia, falegname, trovò un pezzo di legno, che piangeva e rideva come un bambino.
— C’era una volta... — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. — No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura. Appena maestro Ciliegia ebbe visto quel pezzo di legno, si rallegrò tutto; e dandosi una fregatina di mani per la contentezza, borbottò a mezza voce:
— Questo legno è capitato a tempo; voglio servirmene per fare una gamba di tavolino. — Detto fatto, prese subito l’ascia arrotata per cominciare a levargli la scorza e a digrossarlo; ma quando fu lì per lasciare andare la prima asciata, rimase col braccio sospeso in aria, perché sentì una vocina sottile sottile, che disse raccomandandosi:
— Non mi picchiar tanto forte! — Figuratevi come rimase quel buon vecchio di maestro Ciliegia!
Girò gli occhi smarriti intorno alla stanza per vedere di dove mai poteva essere uscita quella vocina, e non vide nessuno! Guardò sotto il banco, e nessuno; guardò dentro un armadio che stava sempre chiuso, e nessuno; guardò nel corbello dei trucioli e della segatura, e nessuno;
aprì l’uscio di bottega per dare un’occhiata anche sulla strada, e nessuno. O dunque?...
— Ho capito; — disse allora ridendo e grattandosi la parrucca — si vede che quella vocina me la son figurata io. Rimettiamoci a lavorare. —
E ripresa l’ascia in mano, tirò giù un solennissimo colpo sul pezzo di legno.
— Ohi! tu m’hai fatto male! — gridò rammaricandosi la solita vocina. Questa volta maestro Ciliegia restò di stucco, cogli occhi fuori del capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana. Appena riebbe l’uso della parola, cominciò a dire tremando e balbettando dallo spavento:
— Ma di dove sarà uscita questa vocina che ha detto ohi?... Eppure qui non c’è anima viva. Che sia per caso questo pezzo di legno che abbia imparato a piangere e a lamentarsi come un bambino? Io non lo posso credere. Questo legno eccolo qui; è un pezzo di legno da caminetto, come tutti gli altri, e a buttarlo sul fuoco, c’è da far bollire una pentola di fagioli... O dunque? Che ci sia nascosto dentro qualcuno? Se c’è nascosto qualcuno, tanto peggio per lui. Ora l’accomodo io! —
E così dicendo, agguantò con tutte e due le mani quel povero pezzo di legno, e si pose a sbatacchiarlo senza carità contro le pareti della stanza.
Poi si messe in ascolto, per sentire se c’era qualche vocina che si lamentasse. Aspettò due minuti, e nulla; cinque minuti, e nulla; dieci minuti, e nulla!
— Ho capito; — disse allora sforzandosi di ridere e arruffandosi la parrucca — si vede che quella vocina che ha detto ohi, me la son figurata io! Rimettiamoci a lavorare. —
E perché gli era entrata addosso una gran paura, si provò a canterellare per farsi un po’ di coraggio.
Intanto, posata da una parte l’ascia, prese in mano la pialla, per piallare e tirare a pulimento il pezzo di legno; ma nel mentre che lo piallava in su e in giù, sentì la solita vocina che gli disse ridendo:
— Smetti! tu mi fai il pizzicorino sul corpo! — Questa volta il povero maestro Ciliegia cadde giù come fulminato. Quando riaprì gli occhi, si trovò seduto per terra. Il suo viso pareva trasfigurito, e perfino la punta del naso, di paonazza come era quasi sempre, gli era diventata turchina dalla gran paura.
II
Maestro Ciliegia regala il pezzo di legno al suo amico Geppetto, il quale lo prende per fabbricarsi un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali.
In quel punto fu bussato alla porta. — Passate pure, — disse il falegname, senza aver la forza di rizzarsi in piedi. Allora entrò in bottega un vecchietto tutto arzillo, il quale aveva nome Geppetto; ma i ragazzi del vicinato, quando lo volevano far montare su tutte le furie, lo chiamavano col soprannome di Polendina, a motivo della sua parrucca gialla, che somigliava moltissimo alla polendina di granturco. Geppetto era bizzosissimo. Guai a chiamarlo Polendina! Diventava subito una bestia, e non c’era più verso di tenerlo.
— Buon giorno, mastr’Antonio, — disse Geppetto. — Che cosa fate costì per terra?
— Insegno l’abbaco alle formicole.
— Buon pro vi faccia.
— Chi vi ha portato da me, compar Geppetto?
— Le gambe. Sappiate, mastr’Antonio, che son venuto da voi, per chiedervi un favore.
— Eccomi qui, pronto a servirvi, — replicò il falegname, rizzandosi su i ginocchi.
— Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea.
— Sentiamola.
— Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?
— Bravo Polendina! — gridò la solita vocina, che non si capiva di dove uscisse. A sentirsi chiamar Polendina, compar Geppetto diventò rosso come un peperone dalla bizza, e voltandosi verso il falegname, gli disse imbestialito:
— Perché mi offendete?
— Chi vi offende?
— Mi avete detto Polendina!...
— Non sono stato io.
— Sta’ un po’ a vedere che sarò stato io! Io dico che siete stato voi.
Federica Arca, 3 B, IC 3 Asti, Asti
Mio padre nuotava nell’acqua, subito dopo un bacio a cuore in spiaggia, tra cielo e mare poteva affogare d’amore.
Voglio un semplice pezzo di voce sospeso nel fuoco per cominciare a ridere.
Sofia Baldo, 5 A IC Antonini, Verbania
— No!
— Sì!
— No!
— Sì! —
E riscaldandosi sempre più, vennero dalle parole ai fatti, e acciuffatisi fra di loro, si graffiarono, si morsero e si sbertucciarono. Finito il combattimento, mastr’Antonio si trovò fra le mani la parrucca gialla di Geppetto, e Geppetto si accòrse di avere in bocca la parrucca brizzolata del falegname.
— Rendimi la mia parrucca! — gridò mastr’Antonio.
— E tu rendimi la mia, e rifacciamo la pace. —
I due vecchietti, dopo aver ripreso ognuno di loro la propria parrucca, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita.
— Dunque, compar Geppetto, — disse il falegname in segno di pace fatta — qual è il piacere che volete da me?
— Vorrei un po’ di legno per fabbricare il mio burattino; me lo date? — Mastr’Antonio, tutto contento, andò subito a prendere sul banco quel pezzo di legno che era stato cagione a lui di tante paure. Ma quando fu lì per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno dètte uno scossone e sgusciandogli violentemente dalle mani, andò a battere con forza negli stinchi impresciuttiti del povero Geppetto.
— Ah! gli è con questo bel garbo, mastr’Antonio, che voi regalate la vostra roba? M’avete quasi azzoppito!...
— Vi giuro che non sono stato io!
— Allora sarò stato io!...
— La colpa è tutta di questo legno...
— Lo so che è del legno: ma siete voi che me l’avete tirato nelle gambe!
— Io non ve l’ho tirato!
— Bugiardo!
— Geppetto non mi offendete; se no vi chiamo Polendina!...
— Asino!
— Polendina!
— Somaro!
— Polendina!
— Brutto scimmiotto!
— Polendina! —
A sentirsi chiamar Polendina per la terza volta, Geppetto perse il lume degli occhi, si avventò sul falegname, e lì se ne dettero un sacco e una sporta.
A battaglia finita, mastr’Antonio si trovò due graffi di più sul naso, e quell’altro due bottoni di meno al giubbetto. Pareggiati in questo modo i loro conti, si strinsero la mano e giurarono di rimanere buoni amici per tutta la vita. Intanto Geppetto prese con sé il suo bravo pezzo di legno, e ringraziato mastr’Antonio, se ne tornò zoppicando a casa.
III
Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino.
La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva fumo davvero.
Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino.
— Che nome gli metterò? — disse fra sé e sé. — Lo voglio chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna. Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina. —
Quando ebbe trovato il nome al suo burattino, allora cominciò a lavorare a buono, e gli fece subito i capelli, poi la fronte, poi gli occhi. Fatti gli occhi, figuratevi la sua maraviglia quando si accòrse che gli occhi si movevano e che lo guardavano fisso fisso. Geppetto, vedendosi guardare da quei due occhi di legno, se n’ebbe quasi per male, e disse con accento risentito: — Occhiacci di legno, perché mi guardate? — Nessuno rispose. Allora, dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominciò a crescere: e cresci, cresci, cresci, diventò in pochi minuti un nasone che non finiva mai.
Il povero Geppetto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e lo scorciva, e più quel naso impertinente diventava lungo. Dopo il naso gli fece la bocca.
La bocca non era ancora finita di fare, che cominciò subito a ridere e a canzonarlo.
— Smetti di ridere! — disse Geppetto impermalito; ma fu come dire al muro.
— Smetti di ridere, ti ripeto! — urlò con voce minacciosa.
Allora la bocca smesse di ridere, ma cacciò fuori tutta la lingua.
Geppetto, per non guastare i fatti suoi, finse di non avvedersene, e continuò a lavorare. Dopo la bocca, gli fece il mento, poi il collo, poi le spalle, lo stomaco, le braccia e le mani.
Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino.
— Pinocchio!... rendimi subito la mia parrucca! —
E Pinocchio, invece di rendergli la parrucca, se la messe in capo per sé, rimanendovi sotto mezzo affogato.
A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece tristo e melanconico, come non era stato mai in vita sua: e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:
— Birba d’un figliuolo! Non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancar di rispetto a tuo padre! Male, ragazzo mio, male! —
E si rasciugò una lacrima. Restavano sempre da fare le gambe e i piedi. Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso.
— Me lo merito! — disse allora fra sé. — Dovevo pensarci prima! Oramai è tardi! —
Poi prese il burattino sotto le braccia e lo posò in terra, sul pavimento della stanza, per farlo camminare.
Pinocchio aveva le gambe aggranchite e non sapeva muoversi, e Geppetto lo conduceva per la mano per insegnargli a mettere un passo dietro l’altro.
Quando le gambe gli si furono sgranchite, Pinocchio cominciò a camminare da sé e a correre per la stanza; finché, infilata la porta di casa, saltò nella strada e si dètte a scappare. E il povero Geppetto a corrergli dietro senza poterlo raggiungere, perché quel birichino di Pinocchio andava a salti come una lepre, e battendo i suoi piedi di legno sul lastrico della strada, faceva un fracasso, come venti paia di zoccoli da contadini.
— Piglialo! piglialo! — urlava Geppetto; ma la gente che era per la via, vedendo questo burattino di legno, che correva come un barbero,
si fermava incantata a guardarlo, e rideva, rideva e rideva, da non poterselo figurare. Alla fine, e per buona fortuna, capitò un carabiniere il quale, sentendo tutto quello schiamazzo, e credendo si trattasse di un puledro che avesse levata la mano al padrone, si piantò coraggiosamente a gambe larghe in mezzo alla strada, coll’animo risoluto di fermarlo e d’impedire il caso di maggiori disgrazie. Ma Pinocchio, quando si avvide da lontano del carabiniere, che barricava tutta la strada, s’ingegnò di passargli, per sorpresa, framezzo alle gambe, e invece fece fiasco. Il carabiniere, senza punto smuoversi, lo acciuffò pulitamente per il naso (era un nasone spropositato, che pareva fatto apposta per essere acchiappato dai carabinieri), e lo riconsegnò nelle proprie mani di Geppetto; il quale, a titolo di correzione, voleva dargli subito una buona tiratina d’orecchi. Ma figuratevi come rimase quando, nel cercargli gli orecchi, non gli riuscì di poterli trovare: e sapete perché? perché, nella furia di scolpirlo, si era dimenticato di farglieli. Allora lo prese per la collottola, e, mentre lo riconduceva indietro, gli disse tentennando minacciosamente il capo: — Andiamo subito a casa. Quando saremo a casa, non dubitare che faremo i nostri conti! — Pinocchio, a questa antifona, si buttò per terra, e non volle più camminare. Intanto i curiosi e i bighelloni principiavano a fermarsi lì dintorno e a far capannello.
I cattivi diventano buoni allo specchio.
La porta della pace è sempre un meraviglioso mondo: si vede la vita.
Lorenzo Consorti, 5 C ICS La Giustiniana, Roma
Chi ne diceva una, chi un’altra.
— Povero burattino! — dicevano alcuni — ha ragione a non voler tornare a casa! Chi lo sa come lo picchierebbe quell’omaccio di Geppetto!... — E gli altri soggiungevano malignamente:
— Quel Geppetto pare un galantuomo! ma è un vero tiranno coi ragazzi! Se gli lasciano quel povero burattino fra le mani, è capacissimo di farlo a pezzi!... — Insomma, tanto dissero e tanto fecero, che il carabiniere rimesse in libertà Pinocchio, e condusse in prigione quel pover’uomo di Geppetto. Il quale, non avendo parole lì per lì per difendersi, piangeva come un vitellino, e nell’avviarsi verso il carcere, balbettava singhiozzando:
— Sciagurato figliuolo! E pensare che ho penato tanto a farlo un burattino per bene! Ma mi sta il dovere! Dovevo pensarci prima!...
Quello che accadde dopo, è una storia così strana da non potersi quasi credere, e ve la racconterò in quest’altri capitoli.
— Oggi però questa stanza è mia — disse il burattino — e se vuoi farmi un vero piacere, vattene subito, senza nemmeno voltarti indietro.
— Io non me ne anderò di qui, — rispose il Grillo — se prima non ti avrò detto una gran verità.
— Dimmela e spicciati.
IV
La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noja di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro.
Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua, tale e quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino inseguito dai cacciatori.
Giunto dinanzi a casa, trovò l’uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto, si gettò a sedere per terra, lasciando andare un gran sospirone di contentezza.
Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella stanza qualcuno che fece: — Crì-crì-crì!
— Chi è che mi chiama? — disse Pinocchio tutto impaurito.
— Sono io! — Pinocchio si voltò, e vide un grosso grillo che saliva lentamente su su per il muro.
— Dimmi, Grillo, e tu chi sei?
— Io sono il Grillo-parlante, e abito in questa stanza da più di cent’anni.
— Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.
— Canta pure, Grillo mio, come ti pare e piace: ma io so che domani, all’alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia, e mi diverto più a correre dietro alle farfalle e a salire su per gli alberi a prendere gli uccellini di nido.
— Povero grullerello! Ma non sai che, facendo così, diventerai da grande un bellissimo somaro, e che tutti si piglieranno gioco di te?
— Chetati, Grillaccio del mal’augurio! — gridò Pinocchio.
Ma il Grillo, che era paziente e filosofo, invece di aversi a male di questa impertinenza, continuò con lo stesso tono di voce:
— E se non ti garba di andare a scuola, perché non impari almeno un mestiere, tanto da guadagnarti onestamente un pezzo di pane?
— Vuoi che te lo dica? — replicò Pinocchio, che cominciava a perdere la pazienza. — Fra i mestieri del mondo non ce n’è che uno solo che veramente mi vada a genio.
— E questo mestiere sarebbe?
— Quello di mangiare, bere, dormire, divertirmi e fare dalla mattina alla sera la vita del vagabondo.
— Per tua regola — disse il Grillo-parlante con la sua solita calma — tutti quelli che fanno
codesto mestiere, finiscono quasi sempre allo spedale o in prigione.
— Bada, Grillaccio del mal’augurio!... se mi monta la bizza, guai a te!...
— Povero Pinocchio! mi fai proprio compassione!...
— Perché ti faccio compassione?
— Perché sei un burattino e, quel che è peggio, perché hai la testa di legno. —
A queste ultime parole, Pinocchio saltò su tutt’infuriato e preso di sul banco un martello di legno, lo scagliò contro il Grillo-parlante. Forse non credeva nemmeno di colpirlo; ma disgraziatamente lo colse per l’appunto nel capo, tanto che il povero Grillo ebbe appena il fiato di fare crì-crì-crì, e poi rimase lì stecchito e appiccicato alla parete.
V
Pinocchio ha fame e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul più bello, la frittata gli vola via dalla finestra.
Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, ricordandosi che non aveva mangiato nulla, sentì un’uggiolina allo stomaco, che somigliava moltissimo all’appetito. Ma l’appetito nei ragazzi cammina presto, e di fatti, dopo pochi minuti, l’appetito diventò fame, e la fame, dal vedere al non vedere, si convertì in una fame da lupi, in una fame da tagliarsi col coltello.
Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c’era una pentola che bolliva, e fece l’atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse
dentro: ma la pentola era dipinta sul muro. Immaginatevi come restò. Il suo naso, che era già lungo, gli diventò più lungo almeno quattro dita. Allora si dètte a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di pane, magari un po’ di pan secco, un crosterello, un osso avanzato al cane, un po’ di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma qualche cosa da masticare: ma non trovò nulla, il gran nulla, proprio nulla. E intanto la fame cresceva, e cresceva sempre: e il povero Pinocchio non aveva altro sollievo che quello di sbadigliare, e faceva degli sbadigli così lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi. E dopo avere sbadigliato, sputava, e sentiva che lo stomaco gli andava via. Allora piangendo e disperandosi, diceva: — Il Grillo-parlante aveva ragione. Ho fatto male a rivoltarmi al mio babbo e a fuggire di casa... Se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di sbadigli! Oh! che brutta malattia che è la fame! — Quand’ecco che gli parve di vedere nel monte della spazzatura qualche cosa di tondo e di bianco, che somigliava tutto a un uovo di gallina. Spiccare un salto e gettarvisi sopra, fu un punto solo. Era un uovo davvero.
La gioia del burattino è impossibile descriverla: bisogna sapersela figurare. Credendo quasi che fosse un sogno, si rigirava quest’uovo fra le mani, e lo toccava e lo baciava, e baciandolo diceva: — E ora come dovrò cuocerlo? Ne farò una frittata!... No, è meglio cuocerlo nel piatto!... O non sarebbe più saporito se lo friggessi in padella? O se invece lo cuocessi a uso uovo a bere? No, la più lesta di tutte è di cuocerlo nel piatto o nel tegamino: ho troppo voglia di mangiarmelo! —
Detto fatto, pose un tegamino sopra un caldano pieno di brace accesa: messe nel tegamino, invece d’olio o di burro, un po’ d’acqua: e quando l’acqua principiò a fumare, tac!... spezzò il guscio
dell’uovo, e fece l’atto di scodellarvelo dentro. Ma invece della chiara e del torlo scappò fuori un pulcino tutto allegro e complimentoso, il quale facendo una bella riverenza disse: — Mille grazie, signor Pinocchio, d’avermi risparmiata la fatica di rompere il guscio! Arrivedella, stia bene e tanti saluti a casa! — Ciò detto, distese le ali, e, infilata la finestra che era aperta, se ne volò via a perdita d’occhio. Il povero burattino rimase lì, come incantato, cogli occhi fissi, colla bocca aperta e coi gusci dell’uovo in mano. Riavutosi, peraltro, dal primo sbigottimento, cominciò a piangere, a strillare, a battere i piedi in terra per la disperazione, e piangendo diceva: — Eppure il Grilloparlante aveva ragione! Se non fossi scappato di casa e se il mio babbo fosse qui, ora non mi troverei a morire di fame! Oh! che brutta malattia che è la fame!... —
E perché il corpo gli seguitava a brontolare più che mai, e non sapeva come fare a chetarlo, pensò di uscir di casa e di dare una scappata al paesello vicino, nella speranza di trovare qualche persona caritatevole, che gli facesse l’elemosina di un po’ di pane.
Dei cattivi compagni Dio te ne liberi!
Il Metodo Caviardage® tra i banchi
di Giovanna Palumbo, Mariella Sciancalepore*Il caviardage è un metodo didattico di scrittura poetica nato nel 2009 grazie all’intuizione di Tina Festa, un’insegnante di Matera esperta in didat tica e laboratori esperienziali, e diffuso in tutta Italia grazie alla capillare presenza di insegnan ti certificati. Nella prima fase della sua storia, il Caviardage si è inserito nel movimento artistico internazionale della Found Poetry1, configuran dosi però con un’identità propria che l’ha por tato a strutturarsi compiutamente sia in ambito didattico sia nella relazione d’aiuto. Infatti, il Caviardage segue un processo ben preciso il cui prodotto finale è un pensiero, un messaggio, un concetto poetico che può avvalersi anche del sup porto dell’espressione libera artistica. Il metodo vede la poesia come una pratica di vita che non può essere insegnata ma che, soprattutto a scuola, può condurre studenti e studentesse a esprimersi
* Docenti di scuola secondaria di primo grado e insegnanti certificate in Metodo Caviardage®
1. Si veda Adele Cammarata, “Il Metodo Caviardage® e la Found Poe try” in Festa T., Trovare la poesia nascosta, edizioni la meridiana, Molfetta 2019, pp. 73-79.
senza costrizioni, in maniera semplice, istintiva, gratificante, mettendo in luce, spontaneamente, i propri vissuti e le proprie emozioni. Il processo, di per sé, appare molto semplice, in realtà mette in campo diversi aspetti cognitivi e relazionali. Le poesie emergono da un testo precostituito, illu minando le parole che serviranno per comporre il pensiero poetico e successivamente cancellando ciò che non serve.
In questo contesto ci soffermeremo sul caviarda ge come metodologia didattica inclusiva e con forme agli obiettivi formativi presenti nelle In dicazioni Nazionali, obiettivi raggiungibili grazie ad alcune strategie di lavoro basate su tecniche efficaci e sperimentate.
Il Metodo Caviardage ® è applicabile in ogni scuola di ordine e grado, a partire dalla primaria fino alla secondaria di secondo grado e rispon de perfettamente alle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione:
Le finalià della scuola devono essere definie a partie dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e le aperture o erte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambitisociali. La definizion e la realizzazione delle strategie educatie e dida che devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua artio lata identià, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Lo studente è posto al centro dell’a zione educatia in tu i suoi aspe : cognitii, a etti, relazionali, corporei, estetic, etic, spirituali, religiosi2.
Il metodo si inserisce perfettamente in questo contesto come proposta che va a lavorare sulla di dattica attraverso la stimolazione dell’intelligenza emotiva e degli aspetti più sottili e nascosti del
2. Si veda il capitolo “Centralità della persona”, in Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, p. 5.
pensiero. Il caviardage si muove in tal senso per ché crea un ambiente di apprendimento che inte ragisce con le emozioni trasformandole in risorse: l’alunno durante il processo, non solo pensa ed elabora, ma “sente” e partecipa. L’insegnante, in questo modo, ha in mano uno strumento im portante che mette in luce i vissuti e li assorbe nella pianificazione di un intervento didattico che andrà a toccare gli aspetti relazionali, affettivi e cognitivi del singolo alunno. Il Metodo Caviar dage® include la dimensione emozionale nei suoi processi, ponendo massima attenzione allo spazio interiore, alla valorizzazione di ogni forma di di versità in un clima di libera espressione. Si inseri
sce, quindi, in un’educazione emotiva che guarda all’alunno nella sua totalità. Va, inoltre, a creare un coinvolgimento tra insegnante e allievo tale da poter stabilire una comunicazione in grado di ar rivare a livelli più profondi. È possibile suscitare una partecipazione attiva e collaborativa non solo del singolo allievo o allieva, valorizzati nella loro unicità, ma dell’intero gruppo classe, generando un ambiente favorevole all’apprendimento e al consolidamento delle relazioni. L’importanza del gruppo-classe nella didattica del caviardage è da ricercare in tutto il proces so messo in atto, ma soprattutto nella fase della condivisione, fase in grado di costruire fiducia,
y Recuperare il valore della parola scritta.
y Condurre all’ascolto e alla consapevolezza di sé.
Obiettivi educativi e formativi del Metodo Caviardage®
y Imparare a rimuovere gli ostacoli, secondo i principi dell’art. 3 della Costi tuzione Italiana.
y Focalizzare l’attenzione, allenare la creatività e il pensiero divergente.
y Alimentare lo spirito democratico e inclusivo.
y Valorizzare l’unicità dell’individuo nella condivisione.
y Favorire la condivisione di sentimenti ed emozioni.
Finalità del Metodo Caviardage® a scuola
y Favorire il lavoro di gruppo.
y Stimolare il senso di fiducia.
y Favorire l’utilizzo di molteplici linguaggi per esprimere e valorizzare le di verse personalità.
y Favorire un approccio operativo-esperienziale per l’acquisizione di saperi.
y Nella produzione scritta:
Aiuta tutti gli alunni, anche quelli in difficoltà, ad avere un approccio posi tivo nei confronti della scrittura, in particolare quella poetica, permettendo loro di comporre testi profondi ed espressivi. La parola diventa scoperta e meraviglia, la scrittura poetica acquista un senso, una motivazione, che con siste nel dar voce al proprio mondo interiore che “preme” per uscire fuori.
Competenze
y Nella lettura:
Lavorare su pagine con testi precostituiti permette ai ragazzi di avere un approccio positivo rispetto all’oggetto libro il quale viene riscoperto, ma neggiato, riplasmato e personalizzato. Inoltre, l’uso didattico del Caviardage fa riscoprire il valore della parola scritta e promuove la lettura come un ul teriore mezzo di conoscenza di sé, del proprio mondo, del proprio tempo.
di M. Greco e M. Molli
di stimolare la curiosità verso l’altro nel rispetto della persona e degli argomenti trattati, facilitan do la creazione di un’atmosfera distesa e positiva per la formazione. Si attiva un circuito emoziona le circolare in cui le dinamiche interiori diventa no convergenti, sviluppando un senso del “Noi” che permette l’integrazione di tutti i componenti della classe.
In conclusione, il caviardage, grazie alla sua forte valenza metacognitiva, diventa occasione per ri flettere con consapevolezza su se stessi e sul pro prio processo di apprendimento. E questo, insie me alla pratica della condivisione, che significa
incontro con l’altro, rappresenta il punto di forza del Metodo Caviardage® all’interno della didatti ca e della pratica scolastica inclusiva.
y Grammaticali, lessicali, retoriche: lavorare con le parole e le frasi permette agli alunni di sviluppare una buona competenza linguistica sia dal punto di vista lessicale sia dal punto di vista semantico. Creare testi poetici, che abbiano senso compiuto, li fa confrontare con la struttura della frase, ragionare sui connettivi, sviluppare un pensiero retorico più immediato e istintivo.
Sviluppo di competenze
y Artistico-espressive: mettendo in atto la parte finale del processo, gli alunni han no la possibilità di imparare a formulare ipotesi sul progetto creativo da applica re al testo poetico, prospettando soluzioni in modo autonomo, di cimentarsi con molteplici tecniche artistiche, di agire creativamente sulle immagini prodotte.
y Tecnico-manuali: permette di cimentarsi anche con i diversi mezzi di comu nicazione (app, programmi, ecc.) e di farne un uso efficace e creativo e mette gli alunni nella condizione di progettare e realizzare rappresentazioni grafiche, utilizzando elementi del disegno tecnico.
y Favorisce l’apprendimento cooperativo in quanto, attraverso percorsi che pos sono essere anche di coppia o di gruppo, è in grado di far emergere le peculia rità di ciascuno. Ricevere e donare diventano azioni di apprendimento paritario e inclusivo per tutti gli alunni.
Sviluppo di competenze trasversali relative all’inclusione
y Favorisce i rapporti interpersonali, la motivazione e il consolidamento dell’auto stima con l’utilizzo della modalità del tutoring.
y Potenzia e rinforza i processi cognitivi: memoria, attenzione, concentrazione, relazioni visuo-spaziali-temporali, logica e processi cognitivo-motivazionali.
y Mette in campo una didattica metacognitiva che suscita nell’alunno la consape volezza della sua azione, rendendolo artefice diretto dei propri processi cogni tivi.
y Consente agli alunni di stare bene con se stessi e con gli altri, dando forma ad una immagine di sé positiva, favorendo il benessere emotivo e la capacità di mettersi in relazione.
UNITÀ DIDATTICA PER LA SCUOLA PRIMARIA
Io come Pinocchio...
Riconoscersi nelle azioni del protagonista del libro e riflettere sulle proprie azioni, emozioni e valori di Tina Festa
1° Attività
Fase 1: Lettura ad alta voce in classe da parte dell’insegnante del XXVI capitolo.
Fase 2: Discussione partendo dalla domanda stimolo “Cosa considero valore nella mia vita?”.
Fase 3: Ascolto della poesia “Considero Valore” di Erri de Luca come attivatore per il lavoro sul taccuino poetico dove si effettua una poesia a ricalco.
Fase 4: Realizzazione di un caviardage.
Materiale: Taccuino dello scrittore, pagina con testi mescolati per realizzare caviardage con tecnica base. Durata: 2 ore.
Obiettivi
y Ascoltare la fiaba di Pinocchio per scoprirci bambini come lui e per comprendere quanto sia importante conoscere ed affermare i nostri sani valori senza farsi condizionare dagli altri.
y Riferire i propri pensieri ed emozioni liberamente in un clima disteso e non giudicante.
y Riflettere su come spesso perdiamo di vista ciò in cui crediamo per il desiderio di compiacere gli altri.
Modalità di somministrazione
Nel capitolo XXVI Pinocchio, a differenza di quanto i bambini generalmente ricordano, viene presentato come un alunno volenteroso e con sani principi, ma facilmente influenzabile dalle cattive compagnie.
Partendo da questa situazione si riflette su ciò che per i bambini è importante ed è un valore imprescindibile e che non può essere messo in gioco.
Si apre uno scambio di pensieri e riflessioni utilizzando domande stimolo: quali sono le cose che Pinocchio considera valore? Quali sono le cose che ognuno di noi considera valore e che sono importanti per la nostra crescita? Quali cose hanno valore e sono presenti nella vita quotidiana ma a cui noi non facciamo caso?
Dopo questo momento di confronto i bambini ascoltano la poesia Considero valore di Erri de Luca con un sottofondo musicale che aiuti a immergersi nel testo.
Si consegna a ciascuno il proprio taccuino dello scrittore sul quale i bambini fanno l’attività di poesia a ricalco.
Per saper utilizzare le strategie necessarie dedicate al taccuino dello scrittore: E. Golinelli, S. Minuto, Lettori e scrittori crescono, Pearson, 2021, pp. 39-53. Per realizzare una poesia a ricalco si consulti lo stesso testo alle pp. 62-64.
Si chiede ai bambini di condividere liberamente con la classe quello che hanno scritto.
Questa fase di lavoro, precedente all’attività vera e propria del Metodo Caviardage®, ha l’obiettivo di aiutare i bambini a rivolgere lo sguardo sulla loro vita, confrontandosi con i compagni e con l’insegnante al fine di discernere tra ciò che ha valore profondo e ciò che è effimero e a riflettere su come spesso diamo per scontate le piccole cose che ci circondano. I bambini sono invitati a chiudere gli occhi e, in silenzio, grazie alla voce del/della loro insegnante sono invitati a pensare a tutto ciò che nella loro vita ha valore a partire dalle piccole cose di ogni giorno.
Si realizza un caviardage utilizzando una pagina nella quale diversi testi sono stati mescolati tra loro (in alternativa può essere usata una pagina presa da un libro da macero che abbia un carattere e l’interlinea non troppo piccoli).
Si condivide il testo emerso, se si vuole.
Il Concorso di idee “Cercatori di poesia nascosta”, da cui nasce questo libro, è stato promosso cercando di coinvolgere scuole italiane di diverso ordine e grado, con il fine ultimo di promuovere la lettura attraversando una “strada” altamente inclusiva, creativa, ludica, versatile, perseguibile da tutti: l’utilizzo della tecnica del caviardage. Nella pagina scritta, fatta di parole che ci travolgono, ci svegliano, ci consolano e quasi sempre ci salvano, il docente, grazie al metodo ideato dall’insegnante Tina Festa, si trasforma in una sapiente e paziente guida. Mostra agli studenti con entusiasmo come navigare tra le parole, circumnavigandole con la lettura “a volo d’uccello” e mettendo in pratica le varie tecniche del caviardage. Così quella pagina magicamente si trasforma in poesia, in versi dell’anima, e si manifesta nella felicità dell’espressione.
Il concorso di idee ha offerto a tutte le scuole di sperimentare la tecnica e il Metodo del Caviardage® nelle pagine di un classico sempreverde della letteratura per ragazzi: Le avventure di Pinocchio, emblema della metamorfosi inconsapevole che accompagna tutti noi, un pezzo di legno che prende forma e diventa altro e poi altro ancora... Un eroe nel senso assoluto della parola, che alla fine delle sue avventure vince disubbidendo, infrangendo le regole. Nelle pagine di questo libro troverete la versione completa del grande classico della letteratura italiana, grazie alla Fondazione Collodi che ne ha autorizzato la pubblicazione, i lavori vincitori del concorso, quelli selezionati e le unità didattiche per poter continuare l’avventura tra i banchi.
Maria Greco, docente di lettere, latinista e grecista, è titolare di un progetto di ricerca sugli effetti della biblioterapia a scuola all’interno di un dottorato di ricerca congiunto tra l’Università degli studi “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e il Centro per il libro e la lettura. Dal 2020 è responsabile dei progetti di aggiornamento e formazione dei docenti del Cepell.
Mirna Molli, master in lettere moderne alla Sorbonne di Parigi, madre di tre figli, appassionata di letteratura per l’infanzia, lavora la Centro per il libro e la lettura dal 2015, dove collabora a vari progetti di promozione della lettura (Libriamoci, Il Maggio dei libri, premi ed eventi per le scuole).
Insieme hanno curato Il mondo che vorrei (Città Nuova edizioni, 2020) e Cercatori di poesia nascosta. Esplorare il testo con il Metodo Caviardage (Gemma edizioni, 2021).
ISBN 978-88-6153-958-7
Euro 28,00 (I.i.)