“
Il mare di Panikkar è ancora tutto da navigare. Si allunga oltre l’orizzonte del tempo presente, oltre la bagarre feriale delle nostre scaramucce del quotidiano e si staglia in quella dimensione infinita del tempo che egli aveva definito con un neologismo: tempiternità. Ossia lo stare nel tempo come se fossimo distesi sulla riva a contemplare la terra, il cielo, l’uomo. Sostare in un presente infinito senza l’assillo delle cose da fare, degli appuntamenti fissati nell’agenda, dello scorrere dell’orologio. In questo tempo della vita circolare egli ci ha affidato un compito immane: preparare una dimora per la saggezza. Ossia aspirare alla felicità, alla gioia, all’armonia e dargli un habitat, uno spazio, un diritto. A dieci anni dalla morte di Raimon Panikkar, la sua opera rappresenta uno dei progetti più affascinanti, profondi e ambiziosi per rilanciare un discorso nuovo sull’uomo, su Dio e sul Cosmo. Questo libro vorrebbe tentare la traversata del mare di Panikkar ripercorrendo le sue grandi visioni. Non è una semplice introduzione al pensiero e nemmeno uno studio articolato e completo sulla vita e l’opera di uno dei più illuminati pensatori, teologi e mistici del nostro tempo. È un racconto a partire da una amicizia ed è il contributo che l’autore ha voluto portare alla celebrazione di un maestro, che ha seminato tanto e che ci ha aiutato a destrutturare l’idea classica di considerare l’identità come una sorta di baluardo a difesa di una unica opzione culturale o religiosa. Preparare una dimora per la saggezza è il compito immane che Panikkar ci lascia per l’avvenire. Senso, promessa e premessa di salvezza.
”
www.lameridiana.it
Euro 18,50 (I.i.)
ISBN 978-88-6153-796-5
Francesco Comina
nato a Bolzano nel 1967, è giornalista professionista. Ha lavorato per alcune testate dell’Alto Adige e del Trentino. È laureato in filosofia con una tesi di laurea sul pensiero di Raimon Panikkar. Collabora con diverse riviste sui temi della pace e dei diritti e dal 2007 al 2017 ha coordinato il Centro per la pace del Comune di Bolzano. È autore e co-autore di diversi saggi, testi teatrali e racconti fra cui L’indiano e il bambino che imparò ad amare (2020). Con la filosofa ungherese Ágnes Heller ha condiviso una amicizia lunga e profonda da cui sono scaturiti due libri, I miei occhi hanno visto (2012) e Il demone dell’amore. La grande filosofa al cospetto di un sentimento che infiamma (2019). Ultimamente è impegnato nel progetto per una comunicazione dialogica, nonviolenta e empatica, “Parlare l’umano”. Con la meridiana ha pubblicato Il sapore della libertà (2005), Qui la meta è partire (2005) e Monsignor Romero martire per il popolo (2016).
Francesco Comina
il cerchio di panikkar
Francesco Comina,
IL CERCHIO DI PANIKKAR Postfazione di Serge Latouche
9
788861 537965
Francesco Comina
Il cerchio di Panikkar Postfazione di Serge Latouche
Indice
Prefazione ....................................................................... 11 Premessa. Non era una linea, è un cerchio ................. 19 Parte I Il disarmo della ragione Prima di tutto il silenzio ............................................... Fatalismo, inerzia e vittoria .......................................... Amore e conoscenza ..................................................... L’arte e la macchina ....................................................... Advaita (non-dualismo) ................................................ Al di là del principio di non-contraddizione: logos e mythos ........................ Parole e simboli ............................................................. Unicità e tempiternità ................................................... Il problema del male, l’amore del prossimo ............... La nuova innocenza ...................................................... La sapienza dell’amore .................................................
33 37 43 47 53 57 61 65 71 75 79
Parte II L’orizzonte metapolitico Il diavolo e l’angelo ....................................................... 85 Pluralismo culturale e dialogo dialogale ..................... 91 Sviluppo e risveglio ....................................................... 99 Il mito della democrazia: forza e debolezza ............. 103 Ingiustizia e armonia ................................................... 109
Ecosofia: un nuovo patto con la terra ....................... 113 La pace, arte e speranza .............................................. 119 Le alternative ci sono, cerchiamole ........................... 129 Parte III Il tutto come un mandala La realtà cosmoteandrica ............................................ Trinità radicale ............................................................. Il kairos della coscienza .............................................. Dio ................................................................................ Uomo ............................................................................ Cosmo .......................................................................... Come monaci senza abiti e senza conventi ............... La vita che non muore ................................................
135 141 145 151 157 159 163 167
Parte IV Fra le religioni Convertirsi all’altro ..................................................... Il cammino ultimo ....................................................... Urgente, rischioso, purificante ................................... Dall’esclusivismo all’interpenetrazione ..................... No all’apologetica e all’epoché fenomenologica ....... L’ecumenismo ecumenico .......................................... Cristo sconosciuto dell’induismo .............................. Uccidi il Buddha, mangia il Cristo ............................
173 179 181 187 191 195 199 205
Conclusione. Caro Raimon, parliamo del Nulla ....... 209 Postfazione di Serge Latouche .................................... 225 Bibliografia ................................................................... 233
Prefazione
Il 26 agosto del 2010 Raimon Panikkar se ne andava, a 92 anni, per il suo viaggio ultimo: la pienezza della vita. Muore l’io, il frammento, lo scrigno – ripeteva – ma la vita non muore mai. Risorge in anima e corpo. Totalmente. Le riflessioni e le annotazioni su quel crinale fra storia e tempo tornano continuamente negli appunti del suo diario fra paura, apprensione, rassegnazione e fiducia, trasporto, affidamento a quel Cristo che era per lui il simbolo del Dio plurale contro ogni pretesa monopolistica della religione (nemmeno il cristianesimo ha il monopolio su Cristo): “La mia vita giunge ormai non alla sua fine, ma al suo culmine. E sul monte nulla” scriveva in un frammento datato 1 dicembre 1997. Un anno dopo annotava: Non credo che siano premonizioni, però sento che in qualsiasi momento il mio corpo potrebbe fermarsi e smettere di esistere. Non mi fa paura: non voglio allungare la vita artificialmente. La vivo con una intensità che in ogni momento me la “raccoglie” tutta intera.
E ancora: Veramente la meditazione sulla morte è la meditazione sulla Vita. Sentirsi morire è sentirsi vivere, non è sentire che la vita sfugge, bensì che si vive (in una maniera unica, irripetibile, concreta) 1. Carrara Pavan M. (a cura di), L’acqua della goccia. Frammenti dai diari, Jaca Book, Milano 2018. 1
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Francesco Comina
Negli ultimi anni tornava spesso alla metafora della goccia d’acqua per rispondere alla domanda radicale sul senso dell’esserci al mondo: che cosa siamo noi? Che differenza passa fra l’essere della vita e la parabola dell’esistere? In una meditazione sulla Resurrezione, che tenne a Venezia in occasione di un grande omaggio per i novant’anni, disse: Nella mia individualità io sono una goccia. Che avviene alla goccia quando cade nel mare? Se io sono soltanto goccia d’acqua, cado nella disperazione di un negativismo totale: sono predisposto per la morte e nulla più. Se durante la vita ho occasione, come dice l’induismo, di realizzarmi, cioè di diventare reale, allora divento quello che realmente sono: l’acqua della goccia. La goccia d’acqua sparisce, quando cade nel mare, l’acqua della goccia non sparisce, diventa il mare, diventa infinita, si realizza, si salva2.
Il mare di Panikkar è ancora tutto da navigare. Si allunga oltre l’orizzonte del tempo presente, oltre la bagarre feriale delle nostre scaramucce del quotidiano e si staglia in quella dimensione infinita del tempo che egli aveva definito con un neologismo: tempiternità. Ossia lo stare nel tempo come se fossimo distesi sulla riva a contemplare la terra, il cielo, l’uomo. Sostare in un presente infinito senza l’assillo delle cose da fare, degli appuntamenti fissati nell’agenda, dello scorrere dell’orologio. In questo tempo della vita circolare egli ci ha affidato un compito immane: preparare una dimora per la saggezza. Ossia aspirare alla felicità, alla gioia, all’armonia e dargli un habitat, uno spazio, un diritto:
M. Carrara (a cura di), I mistici nelle grandi tradizioni. Omaggio a Raimon Panikkar, Jaca Book, Milano 2009. 2
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Il cerchio di Panikkar
La saggezza dev’essere incarnata, possedere radici. Non esiste dimora senza fondamenta. Si dimora creando un posto, scoprendo un luogo. Questo luogo è la terra, la casa e il cuore umano. La saggezza è sempre ospite. Non senza una ragione più profonda l’ospitalità fu il primo dovere degli uomini nei confronti dei loro simili. Si deve accogliere la saggezza come una madre accoglie un figlio3.
Sono passati dieci anni ma tutto sembra ancora da fare. Forse il mondo si è fatto ancora più scisso e complicato. La realtà cosmoteandrica, risultato di una integrazione profonda fra Dio, uomo e cosmo, sembra aver subito un tremendo sconquasso per cui i tre piani, che nella visione panikkariana rappresentano la relazione radicale con il tutto vivente, se ne vanno per loro conto sempre più disarticolati. L’ecosofia, la saggezza stessa della terra, sta rivelandosi una eco-stoltezza, al punto che oramai gli effetti dei cambiamenti climatici e delle politiche di sfruttamento delle risorse naturali, stanno provocando danni irreparabili su tutto l’ecosistema. Nemmeno la pandemia da Covid–19 è riuscita a fustigare il pensiero negativo e arrivista del nostro tempo sovranista per convincerci a riprogettare il mondo secondo forme di equilibrio e di tenerezza per ogni elemento della vita, anche quello apparentemente più effimero. Il post-coronavirus si preannuncia più furioso del pre-coronavirus e si protende con gli artigli su una storia più spregiudicata e insaziabile che mai. Perfino il dialogo intraculturale e intrareligioso, su cui Panikkar ha speso l’intera vita, pare essersi rintanato in alcuni ambienti profetici, protetti e un poco elitari. Nell’ar-
R. Panikkar, La dimora della saggezza, Oscar Mondadori, Milano 2005, p. 35. 3
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Francesco Comina
ticolazione sociale dominano sentimenti di rottura, di rancore, di odio e di demonizzazione dell’altro. La parola è stata come esiliata e non comunica più una verità veicolata dal di dentro. La parola si è esteriorizzata, frantumata, livellata, alienata, è poco meno di un segno trasmesso in uno spazio virtuale omogeneizzato. Ecco il dramma che stiamo vivendo: la parola sradicata, strattonata, rattrappita e armata ha rovesciato l’ordine delle cose stravolgendo i nomi originari per cui la pace diventa guerra, il bene male, il bello brutto, il giusto ingiusto, il morale immorale. L’aver perso la parola porta al conflitto. Panikkar ricorda la missione di Ramon Llull, il teologo e mistico catalano del Duecento che sapeva fare della parola un’arma della mediazione pacifica: Contro la crociata guerriera e armata Ramon Llull propone la predicazione, ovvero la dialettica, la parola, il dibattito linguistico, confida che l’uomo sia un essere che parla (il che non vuol dire meramente razionale). Una antropologia dell’uomo sulla misura della parola è quella che propose Ramon Llull4.
E le religioni che cosa sono diventate? Sono vie di liberazione da tutto ciò che ingabbia? O sono esse stesse dei sistemi di inquadramento in formule rituali rigide, ripetitive, dottrinali, clericali, oramai trapassate e frantumate dai rulli battenti della secolarizzazione trionfante? Religio, nell’esperienza panikkariana, è quella dimensione profonda dell’esserci che ci consente di legarci ma al contempo ci dà la libertà di slegarci. È l’esperienza del R. Panikkar, Fede, Ermeneutica, Parola. Mistero ed ermeneutica, (opera Omnia, a cura dell’Autore e di Milena Carrara Pavan, volume IX/2), Jaca Book, Milano 2016, p. 273. 4
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Mistero che prende cammini diversi a seconda delle tradizioni dentro cui si incarna collocandosi su orizzonti mitici, simbolici e rituali particolari: In breve, l’ermeneutica della libertà, mi porta a considerare la religione come libertà. Riconoscere la libertà di religione significa svelare la religiosità della libertà e di conseguenza la religione come libertà5.
Essere liberi diventa allora un essere della religione: Ogni atto veramente libero è un atto religioso, che ci porta al Supremo (in qualunque senso vogliamo intenderlo). Ciò significa che la religione è ben altro che un insieme oggettivo di dottrine, di riti e di consuetudini che pretendono di trattare i fini ultimi della vita umana: è anche e principalmente un insieme di simboli liberamente accettati e riconosciuti in cui uno liberamente crede: è il regno della libertà6.
Sono passati dieci anni, eppure il sogno diurno di Panikkar è ancora lì, sempre più lontano ma al tempo stesso sempre più vivido. In una storia convulsa, polarizzata, sbrindellata, senza più una parola che sappia dare forma al linguaggio dell’umano, l’opera di Panikkar rappresenta uno dei progetti più affascinanti, profondi e ambiziosi per rilanciare un discorso nuovo sull’uomo, su Dio e sul Cosmo. Un inno d’amore verso il prossimo, che riverbera il mistero divino, perché noi vediamo Dio non nel marmo freddo di una statua, ma in quel volto altrui che siede al mio fianco, non un soggetto astratto e metafisico, ma un tu personale, il prossimo dato volta per volta con i suoi occhi,
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Ivi, p. 122.
6
Ivi, p. 152.
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il suo sguardo, la sua bocca e il suo dubbio. Panikkar sapeva anche tradurre i concetti in versi: Chi non scopre l’amore – non trova Dio chi non trova Dio – non intravede il mistero del mondo chi non intravede il mistero del mondo – non incontra un tu Chi non incontra un tu – non arriva al sé Chi non arriva al sé – non vive la vita Chi non vive la vita – non scopre l’amore E viceversa […]
Questo libro (una nuova edizione rivista e aggiornata di un mio libro di dieci anni fa) vorrebbe tentare la traversata del mare di Panikkar ripercorrendo le sue grandi visioni. Non è una semplice introduzione al pensiero e nemmeno uno studio articolato e completo sulla vita e l’opera di uno dei più illuminati pensatori, teologi e mistici del nostro tempo. È un racconto a partire da una amicizia ed è il contributo che ho voluto portare alla celebrazione di un maestro, che ha seminato tanto e che ci ha aiutato a destrutturare l’idea classica di considerare l’identità come una sorta di baluardo a difesa di una unica opzione culturale o religiosa. Tutto il contrario: “Chi ha paura di perdere la propria fede (o la propria cultura) la perderà”. Perché la vita è molto più varia, ricca e sorprendente di quanto possiamo immaginare. E quando Panikkar ci raccontava della vita, intendeva sempre la vita reale, concreta, fatta di incontri e di esperienze: Nel Sud dell’India parliamo dell’incontro con gli occhi. Se gli occhi non si parlano, se non dicono quello che non si può dire in parole, non può cominciare un dialogo7. A. Rossi, L’amicizia con Raimon Panikkar, L’altrapagina, Città di Castello 2012, p. 101. 7
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Il cerchio di Panikkar
La vita concreta è sempre una “mutua fecondazione” di alterità perché ogni incontro porta con sé un enigma da decifrare. Per incontrare davvero l’altro, allora, noi dobbiamo “convertirci” all’alterità, ossia convergere ad un altro modo di stare al mondo, disarmando la nostra cultura armata e la nostra visione ristretta delle cose per collocarci in una prospettiva inedita e differente. Così fino all’ultimo, fino a sentire la carezza del Totalmente Altro: Sento che la morte mi gira intorno, ma non le dò ancora il permesso. Se dovesse venire senza permesso, sappia che non le chiuderò la porta. In questo caso non vorrei andarmene da questa Vita senza congedarmi – innanzitutto da lei e poi da tutti quelli che mi sono stati vicini. Non credo che sia routine incominciare col chiedere perdono. Perdono per quel che ho potuto fare di male. Poi, grazie per l’amore e i servizi che sono stati offerti. […] Grazie a Te, Dio mio, nonostante abbia abusato del tuo nome. Tu non sei un Alius, ma un Alter – l’altra parte di me stesso. Questa sera ho letto poesie babilonesi del III e IV millennio a.C. e mi sono emozionato. È la stessa condizione umana. E se quel che sento è ineffabile, rimane ineffabile...8
Preparare una dimora per la saggezza è il compito immane che Panikkar ci lascia per l’avvenire. Senso e promessa di salvezza. Francesco Comina 28 luglio 2020
Carrara Pavan M. (a cura di), L’acqua della goccia. Frammenti dai Diari, cit., p. 244. 8
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Parte I Il disarmo della ragione
La scienza è il dominio di È. È è l’oggetto. Un oggetto è questo o quello. Raimon Panikkar Quello a cui ho dato più valore è cenere. Thomas Merton
Prima di tutto il silenzio
Bisognerebbe partire dal silenzio. Troppo delicato il compito che Raimon Panikkar ci ha affidato. Troppo difficile. Le parole non rendono ragione dell’importante impegno che ci troviamo di fronte. Solo nel silenzio possiamo immaginare il senso e la portata della sfida che ci attende. Perché qui non si tratta di rattoppare un vestito pieno di buchi. Qui siamo chiamati a uno sforzo supremo, a uno slancio cosmico, a un impegno ultimo per salvare l’uomo, la terra e Dio. Non basta la nostra buona volontà e nemmeno il coraggio. Ci vuole fiducia, amore, speranza, gioia, fede, determinazione e forza. Bisogna essere pronti a camminare senza pensare di arrivare da nessuna parte, andare per un sentiero senza nemmeno sapere bene dove si va. Camminare soltanto verso un orizzonte condiviso, verso un nuovo mito che racconti la storia. “Il cammino si fa camminando”, diceva Antonio Machado. In Gregorio di Nissa leggiamo: “La vita si rivela man mano che la viviamo”. Quindi: / va’ come se non andassi / come se non rinunciassi rinuncia. / Senza pellegrinare sii pellegrino / pellegrino verso il Non-luogo: / ora – qui16.
Occorre un cambiamento radicale, una metànoia, una conversione, una caduta da cavallo. Non un rigetto e nemmeno
16
R. Panikkar, M. Carrara, Pellegrinaggio al Kailasa, cit., p. 27.
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una rivoluzione. Forse un ripensamento o, ancora meglio, un cambiamento di mentalità, un superamento del mentale. La cultura occidentale ha superato il limite, la soglia. Ha posto la ragione al di sopra di tutto, le ha costruito un trono come se fosse un re e le ha edificato un tempio come se fosse un dio. Si è dotata di una forza bellica impressionante. La ragione ha costruito la storia, alimentando il mito della scienza e della tecnica che, intrecciate al mito del mercato, sono diventati i poteri strumentali di dominio del mondo. Ogni aspetto della vita che non è razionalizzabile è considerato un incidente di percorso o tutt’al più un aspetto intimistico della biografia di una persona. Hegel ha codificato in un’espressione arguta il processo iniziato millenni prima: “Tutto ciò che è reale e razionale e tutto ciò che è razionale è reale”: La trappola in cui è caduta la maggior parte dell’Occidente seguendo Hegel, che pensava all’ombra di Descartes, è stata quella di credere che la con-scientia non è quella scienza, gnosis, jnana, in cui soggetto e oggetto ugualmente partecipano, ma Bewusstsein, in cui l’autocoscienza si differenzia radicalmente dalla coscienza. Gli animali avrebbero coscienza, ma solo l’uomo possederebbe autocoscienza, cioè riflessione. La riflessione sarebbe già una perdita dell’innocenza, perché sarebbe un ritornare su se stessi dopo aver conquistato l’oggetto al fine di possederlo. Conoscenza comincia a essere possesso, invece di lasciarsi possedere insieme da ciò che gli scolastici, condotti dagli arabi e seguendo Aristotele, chiamavano l’intellectus (attivo e passivo), una luce superiore come la chiamò Agostino17.
Una errata traduzione di una splendida frase di Aristotele ha provocato la deriva. Panikkar scoperchia l’inganno. 17
R. Panikkar, Mistica, pienezza di vita, cit., p. 24.
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Il cerchio di Panikkar
Aristotele non disse “l’uomo è un essere razionale” come se volesse appiattire la natura umana alla ragione. L’espressione originale di Aristotele è molto più sottile: “L’uomo è tra gli esseri animali quello in cui il linguaggio passa, in cui il logos transita”. L’uomo non è soltanto un essere razionale. L’uomo è attraversato da una ragione che va, che cammina come un viandante in cerca di una intuizione, di un lampo di genio, ma poi se ne ritorna in platea a osservare la vita che scorre lasciando spazio al sentimento, all’anima, alla contemplazione, al silenzio, in parole povere, alla vita (zoe e non bios). L’uomo non è solo ragione come hanno voluto dire i razionalisti dal pensiero dialettico pronti a distinguere la res cogitans dalla res extensa. C’è un altro versante della vita che ha ritmi diversi dalla ragione, ha tempi circolari e non lineari. Non ha una utilità determinata. È come un oceano senza limiti.
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Fatalismo, inerzia e vittoria
Gli effetti della sacralizzazione della ragione sono sotto gli occhi di tutti: guerre, violenze, povertà, ingiustizia, inquinamento, deforestazione, smantellamento della biodiversità, contaminazione delle risorse naturali, emergenza sanitaria e sociale, pensiero unico, conflitti culturali, religiosi, sociali, paura, insicurezza, alienazione, solitudine, paranoia, disperazione. Dal disincanto dell’età moderna intravisto già da Max Weber quasi un secolo fa, siamo passati alla sindrome della fine, alla notte del pensiero, alla perdita di ogni speranza. Siamo immersi in un escatologia senza eschaton per dirla con Ernesto de Martino. Le grandiose visioni di un progresso sociale illimitato si sono trasformate fatalmente in sottili analisi di una catastrofe annunciata. Dopo Hiroshima e Nagasaki la dea ragione è diventata il demone del suicidio universale. Siamo in balia della razionalità occidentale, sappiamo che la ragione divenuta esperimento e potere può annientare la vita del nostro pianeta. Ce ne siamo resi conto ultimamente con la spaventosa pandemia da covid-19 che ha scoperchiato la fragilità e la debolezza strutturale di un sistema che presumeva di controllare razionalmente tutto e di poter far fronte alle minacce che provengono dall’esterno. Invece è bastato un minuscolo virus per buttare tutto all’aria fino a condurci sul limitare dell’apocalisse rivelando in maniera drammatica la vulnerabilità umana, non solo individuale, ma totale. “Per la prima volta – ha scritto la filosofa Donatella Di Cesare – un essere invisibile e ignoto, quasi immateriale, ha
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paralizzato l’intera civiltà umana della tecnica. Non era mai avvenuto – e su scala planetaria. Vecchi dogmi sono stati polverizzati, salde certezze scosse […] Fino a ieri potevamo consideraci onnipotenti fra le macerie, i primi e unici anche nel primato della distruzione”18. Perfino l’uomo-simbolo della scienza contemporanea, Albert Einstein, ha voluto gridare al mondo, subito dopo la deflagrazione della bomba atomica, che la ragione non può essere uno strumento al servizio dell’estasi di potere: “Noi rivolgiamo un appello come esseri umani a esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto”19. La ragione, raggiunto il suo livello più alto di autocoscienza, non sa più a chi affidarsi per stendere sul mondo un manto di salvezza. “Oramai solo un dio ci può salvare” aveva affermato, poco prima di morire, Martin Heidegger, nella famosa intervista a “Der Spiegel”: “Ci resta – aveva aggiunto – come unica possibilità quella di preparare, nel pensare e nel poetare, una disponibilità all’apparizione di Dio o all’assenza di Dio nel tramonto (al fatto che al cospetto del Dio assente noi tramontiamo)”20. Questo fatalismo della razionalità occidentale è deleterio: L’inerzia della materia, dopo Keplero, Newton e Einstein, più o meno si può calcolare. L’inerzia della mente è molto più pesante: noi continuiamo a pensare in religione, fisica, scienza, storia con categorie anacronistiche, che non corrispondono alla situazione attuale21. D. Di Cesare, Virus sovrano? L’asfissia capitalistica, Bollati Boringhieri, Torino 2020, p. 21. 18
Messaggio di Albert Einstein all’umanità, in E. Balducci, L. Grassi, Pace, realismo di un’utopia, Principato, Milano 1983. 19
M. Heidegger, Ormai solo un dio ci può salvare, intervista a “Der Spiegel”, 13 marzo 1976; tr. it., Parma, Guanda 1987, p. 136. 20
21
A a.Vv., Pace e disarmo culturale, L’altrapagina, Città di Castello (Pg)
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Il cerchio di Panikkar
Intendiamoci, non tutto è da buttare. Panikkar non ha mai rinnegato i valori profondi che la cultura occidentale ha costruito nella sua storia, valori che le hanno permesso di raggiungere le più alte cime del pensiero, dell’arte, della scrittura, della scienza e della tecnica. E nemmeno ha mai pensato di tornare indietro, in uno stato di natura chiuso, sottoposto agli impulsi dell’irrazionalismo: “Non ci accingiamo a disarmare la ragione per cadere vittime delle precedenti superstizioni. La ragione ha il potere di veto, non di guida”22. Panikkar non si sente estraneo all’Occidente, anzi, il fatto di esserne un figlio, per quanto continuamente in fuga, gli consente di coniugare amore e passione, critica e partecipazione: “Se mi permetto di fare ogni tanto qualche piccola caricatura di questa civiltà è perché ci sono dentro, la amo e la rispetto”. Quello che egli mette sotto sospetto è l’errata direzione che il trionfale cammino della razionalità ha imboccato nell’arco di seimila anni di storia: Mi pare irresponsabile, dopo seimila anni di esperienza storica, non cominciare a ripensare se per caso la direzione non sia stata sbagliata. E se noi, in questo momento storico, non abbiamo la capacità intellettuale e la forza spirituale di porci il problema a questo livello, allora non credo che siamo degni di essere chiamati né intellettuali, né pensatori, né uomini responsabili23.
1987, p. 11. Si tratta della pubblicazione degli atti del primo seminario nazionale di studi animati da Raimon Panikkar con interventi di Ernesto Balducci, Fabrizio Battistelli, Luigi Cortesi, Antonino Drago, Achille Rossi. 22
R. Panikkar, Pace e disarmo culturale, Rizzoli, Milano 2003, p. 136.
23
Aa.Vv., Pace e disarmo culturale, cit., pp. 10-11.
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La situazione è seria. Il disarmo della ragione è un problema universale e dunque interculturale. Tutte le culture hanno un residuo di aggressività e di violenza che impedisce una relazione armoniosa con la realtà. Uscire dalla logica dell’imposizione e dalla prassi della vittoria è una precondizione per costruire la pace: Abbiamo i trattati da prima di Hammurabi (scritti anche sui mattoni) fino ai giorni nostri. Sono circa ottomila documenti storici, che vengono dopo ogni guerra e dicono: “Adesso faremo la pace”. E ripetono: “Questa è la guerra per finire tutte le guerre”. E mentre i mattoni o l’inchiostro sono ancora freschi, i cannoni o le lance del vicino sono già lì a contraddire l’affermazione. Tuttavia i nostri grandi diplomatici ancora dichiarano che questa è la guerra per porre fine a tutte le guerre24.
La pace che Panikkar intende è una nuova cosmovisione, un riorientamento culturale, una liberazione dall’assillo del dominio e della vittoria, un alleggerimento del potere che pone come sfida suprema il “disarmo della ragione”: Siamo abituati a utilizzare (la maggioranza delle volte inconsciamente) la ragione come un’arma. La nostra è una civiltà della ragione armata [...]. Ci trasforma in vincitori, ci permette di convincere, controllare, predire, dominare. La dialettica è una lotta intellettuale e, molto spesso, una guerra25.
La vittoria, dice ancora Panikkar, non conduce mai alla pace, ma alla ricerca di nuove vittorie. Su questa scia Enrico Peyretti ha scritto un prezioso libro in cui analizza 24
Ivi, p. 10.
25
R. Panikkar, Pace e disarmo culturale, cit., p. 136.
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con profondità la schizofrenia dell’idea di vittoria, come affermazione di potere e negazione dell’alterità: Vincere diventa un vizio – lo si constata anche alla roulette – persino quando la vittoria è inseguita e non ancora abbracciata. Il vinto voleva essere vincitore. Aveva accettato la regola della vittoria, di uno che schiaccia l’altro. Si è pensato e si è visto vincitore. Se non vince è afferrato da un’altra ossessione: invidia il vincitore, prepara la rivincita, e imprigionato nella stessa logica. Il vinto è dominato, più ancora del vincitore, da ciò che domina il vincitore, cioè dal mito del dominare26.
Il pensiero dialettico è un prodotto della ragione armata e si fonda sulla lotta fra due opposti che si risolve con la vittoria dell’uno sull’altro. Il vincitore ha imposto la sua strategia, ha vinto con i muscoli e con l’arma dell’intelletto che ha annullato le ragioni altre. Eppure, ci sono verità anche nella sconfitta. La storia è una infinita sovrapposizione di verità soffocate dalla forza ma che alla fine sono emerse come grandi verità. Una ragione disarmata è una ragione che ammette la pluralità di verità e che non considera la conoscenza una reductio ad unum. La conoscenza per Panikkar è come un vetro trasparente attraverso cui vedere la pienezza della varietà umana.
E. Peyretti, Dov’è la vittoria? Piccola antologia aperta sulla miseria e la fallacia del vincere, Il segno dei Gabrielli, Verona 2005, p. 94. 26
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Il mare di Panikkar è ancora tutto da navigare. Si allunga oltre l’orizzonte del tempo presente, oltre la bagarre feriale delle nostre scaramucce del quotidiano e si staglia in quella dimensione infinita del tempo che egli aveva definito con un neologismo: tempiternità. Ossia lo stare nel tempo come se fossimo distesi sulla riva a contemplare la terra, il cielo, l’uomo. Sostare in un presente infinito senza l’assillo delle cose da fare, degli appuntamenti fissati nell’agenda, dello scorrere dell’orologio. In questo tempo della vita circolare egli ci ha affidato un compito immane: preparare una dimora per la saggezza. Ossia aspirare alla felicità, alla gioia, all’armonia e dargli un habitat, uno spazio, un diritto. A dieci anni dalla morte di Raimon Panikkar, la sua opera rappresenta uno dei progetti più affascinanti, profondi e ambiziosi per rilanciare un discorso nuovo sull’uomo, su Dio e sul Cosmo. Questo libro vorrebbe tentare la traversata del mare di Panikkar ripercorrendo le sue grandi visioni. Non è una semplice introduzione al pensiero e nemmeno uno studio articolato e completo sulla vita e l’opera di uno dei più illuminati pensatori, teologi e mistici del nostro tempo. È un racconto a partire da una amicizia ed è il contributo che l’autore ha voluto portare alla celebrazione di un maestro, che ha seminato tanto e che ci ha aiutato a destrutturare l’idea classica di considerare l’identità come una sorta di baluardo a difesa di una unica opzione culturale o religiosa. Preparare una dimora per la saggezza è il compito immane che Panikkar ci lascia per l’avvenire. Senso, promessa e premessa di salvezza.
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ISBN 978-88-6153-796-5
Francesco Comina
nato a Bolzano nel 1967, è giornalista professionista. Ha lavorato per alcune testate dell’Alto Adige e del Trentino. È laureato in filosofia con una tesi di laurea sul pensiero di Raimon Panikkar. Collabora con diverse riviste sui temi della pace e dei diritti e dal 2007 al 2017 ha coordinato il Centro per la pace del Comune di Bolzano. È autore e co-autore di diversi saggi, testi teatrali e racconti fra cui L’indiano e il bambino che imparò ad amare (2020). Con la filosofa ungherese Ágnes Heller ha condiviso una amicizia lunga e profonda da cui sono scaturiti due libri, I miei occhi hanno visto (2012) e Il demone dell’amore. La grande filosofa al cospetto di un sentimento che infiamma (2019). Ultimamente è impegnato nel progetto per una comunicazione dialogica, nonviolenta e empatica, “Parlare l’umano”. Con la meridiana ha pubblicato Il sapore della libertà (2005), Qui la meta è partire (2005) e Monsignor Romero martire per il popolo (2016).
Francesco Comina
il cerchio di panikkar
Francesco Comina,
IL CERCHIO DI PANIKKAR Postfazione di Serge Latouche
9
788861 537965