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edizioni la meridiana paginealtre
ISBN 978-88-6153-861-0 ISBN 978-886153861-X
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788861 538610
edizioni la meridiana
Povero Gesù
Felice Scalia
Felice Scalia è gesuita dal 1947. Laureato in filosofia, teologia e Scienze dell’educazione, ha insegnato alla facoltà teologica dell’Italia meridionale e poi all’Istituto Superiore di Scienze umane e religiose di Messina. Per “Vita Pastorale” ha curato diversi dossier. Collabora con “Presbyteri”, “Horeb”, “Rivista del clero”, “Vita consacrata”, “Spirito e Vita”. Con le edizioni la meridiana ha pubblicato: La teologia scomoda (2008) e Il Cristo degli uomini liberi (2010).
Felice Scalia
Povero Gesù
no oce, per ma r c n i e r o u !”, m redono “Povero Gesù ssimi che c i s o i g i l e r vero di uomini Dio. Ma dav a a i r o l g ì esa di dare cos orte la Chi m a u s a l o dop ompreso Gesù c e o t l o c c ”? ha a “rivoluzione a u s a l i t n a portando av one di aver i s s e r p m i ’ l Perché si ha nti uomini a t i d a s e t e a pr consacrato l egli inermi d e o d n o m l droni de o di essere pa ere in quest d e i s i r ò u P ? si figli di Dio i nel mondo u c r e p o v i t il mo spirituale? o “tradimento” s s e r g e r o n pauros sia creato u
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Che succede in tempi strani e misteriosi quando si interrompono le attività ordinarie e si teme che si possa essere untori o unti non appena si incontra qualcuno? Si può mettere ordine nei pensieri e affrontare problemi prima rimossi perché troppo impegnativi, concentrarsi sull’essenziale della vita e il riordino mentale: si riordina il “disordinato”, il confuso, sperando che alla fine della fatica il puzzle, se non completo e nitido, sia almeno accettabile. Le pagine che seguono non sono il racconto di tormenti, né un trattato teologico; sono il tentativo di trovare il coraggio di entrare nel “tunnel” per uscirne rinnovati. Gesù direbbe “risorti” o “rinati”. La verità ci possiede, noi non la possediamo, dunque la cerchiamo per poterla vivere. La cosa più accessibile non è partire dal “mistero” di Dio, né dal “mistero” di Gesù di Nazareth – benché questo sia centrale – ma dall’esperienza che l’uomo ha fatto di Gesù, dal Vangelo quindi, e poi da come è stata presentata la novità cristiana dalla Chiesa, anzi da coloro che sono il “fondamento” della Chiesa: il popolo che segue Gesù e, in particolare, gli Apostoli. Ripercorrere un cammino può essere utile, anche per dire che tanti anni di vita religiosa e presbiterale non hanno prodotto un “pentito”. Almeno per ringraziare il Signore, ne vale la pena.
Felice Scalia
Povero Gesù
edizioni la meridiana p a g i n e a l t r e
Indice
“E che c’entra il Vangelo?” 7
Parte Prima Inquietudini e stupori sul “Figlio dell’uomo” Ho amato un fallito? 15 Un Messia da rifiutare? 25 Gesù, stravagante innamorato dell’umanità 31 Un Dio in ansia per il destino umano 43 “Il Povero” tra i “poveri” 53 Credere in Gesù, credere come Gesù credeva 69 “Fede di Gesù”, la scommessa della Chiesa 85 Il rischio della “Memoria Jesu” 97 La Chiesa al centro? 109 Se svapora la novità del Vangelo 119 Gli “abusivi” nella Chiesa di Gesù 135 Papa Francesco, “l’uomo più pericoloso al mondo” 147 Parte Seconda Cristiani di sempre, ma non come sempre Quanto tempo per interrogativi antichi! 161 “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla” 171
Amare meglio, amare davvero 183 Quando un Papa sogna 191 “Svegliare l’aurora”, scrutare i segni 195
“E che c’entra il Vangelo?” Che succede in tempi strani e misteriosi quando si dice stop alle attività ordinarie e si teme che si possa essere untori o unti non appena si incontra qualcuno? Chiusi in noi stessi più del solito, possiamo raggomitolarci nei nostri pensieri, ruminare rancori, oppure contemplare il bello della vita. Si può riscoprire l’essenziale (affetti familiari, preghiera, relazioni interumane…) dato che facciamo cocente esperienza della futilità di tanto nostro agitarci. Ancora: si può mettere ordine nei nostri pensieri ed affrontare problemi prima rimossi perché troppo impegnativi. Personalmente, dopo il primo sbandamento, mi sono concentrato sulle due ultime ipotesi: l’essenziale della vita e il riordino mentale. Di quest’ultimo posso dire qualcosa. Si riordina il “disordinato”, il confuso, sperando che alla fine della fatica il puzzle, se non completo e nitido, sia almeno accettabile. La mia prima idea “confusa” riguarda Dio. Non l’esistenza di Dio, ma proprio Lui. Ed in modo strano, appunto, come i tempi che viviamo. Non è da ora che avverto una sorta di compassione per l’Eterno. Pregando mi trovavo, mi trovo, quasi senza volerlo, a chiedergli: Ma che mestiere ti sei scelto? Tutti ti invocano e pretendono che Tu dia loro ragione. Religioni in lotta fratricida dicono di uccidere in tuo nome, e tu devi stare in tutti e due i campi perché senti uomini che cantano e proclamano a gran voce di “marciare” per te, contro il nemico. E poi devi ascoltare chi chiede pioggia o chi chiede sole? Gli innamorati che vogliono una splendida 7
Felice Scalia
notte di luna o la donna che prega di dare tenebre fitte al mondo dato che il marito ha un lavoretto da compiere nel frutteto altrui ed è meglio che nessuno veda? E devi porgere l’orecchio a chi per il tuo nome perde la vita, o al mafioso che si pulisce la coscienza, sempre in buona fede, con una lauta offerta in chiesa, ricordandoti che ciascuno ha il suo posto nella vita e che tutti, in fondo, dobbiamo morire? Sì, che brutto mestiere ti sei scelto, Signore! Trovavo pace a volte pensando che in fondo Dio non l’ha mai visto nessuno e che i nostri pensieri sono terra terra, diversi dai suoi che sanno di Cielo. Ma il peggio arrivava quando mi mettevo a meditare sul destino di quella persona splendida nata a Betlemme da uno splendore di ragazzina, Maria di Nazareth. “Povero Gesù!”, mi dicevo. Parla per tre anni di Dio come Padre pieno di bontà assoluta, fa bene a tutti, è “profeta grande” in parole ed opere, pare la personificazione della tenerezza, guarisce malati, toglie pesi dal cuore, dice cose che leniscono ogni fame e ribaltano l’ingiustizia annidata nel cuore di ogni uomo e nascosta nelle pieghe di ogni sistema di potere; ma chi lo capisce? Nessuno. Neppure i suoi amici. Anzi viene giudicato pazzo dal suo clan1. Muore da fallito, in croce, anzi da delinquente e bestemmiatore, per mano di uomini religiosissimi, che credono di dare così gloria a Dio. So bene che il “Padre lo ha risuscitato dai morti”, ma a che è servita la sua vita tra noi “se non è cambiato niente” nel mondo2? Se pare che la storia ripeta inesorabilmente se stessa? 1
Mc 3, 21.
Così il cantautore Luigi Tenco, morto suicida, neppure trentenne, nel 1967.
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Povero Gesù
C’è stato un tempo in cui pensavo che però, poi, gli amici suoi che ha lasciato e mandato nel mondo, quelli sì, lo hanno capito, e sono ancora qui, tra noi, nei loro successori, papi e vescovi e preti che nella Chiesa predicano al mondo il suo messaggio. Ed io sono uno di questa Chiesa e pretendo di avere sulle mie labbra la Sua Parola come mia parola da dire agli uomini. Già, la mia “vocazione” si innesta proprio su questo tronco millenario che è la Chiesa. In quel tempo non potevo certo aggiungere al “Povero Gesù” anche “Povera Chiesa”! Poi cominciai a dubitare della mia sicurezza. Davvero la Chiesa aveva accolto e compreso Gesù? Certe pagine di storia sembravano dire che forse anche la Chiesa lo aveva tradito, venduto, come Giuda3. Devo dire che l’intrufolarsi di quel dubbio nella mia mente fu un incontro pericoloso, di quelli che ti mettono fuori strada o sulla giusta strada. Insomma, che ti aprono gli occhi sulla realtà e tu devi necessariamente scegliere da che parte stare. Certo se le pagine delle Scritture sono valide in ogni tempo perché in qualche modo ci mostrano – negli avvenimenti che narrano – quasi gli archetipi di ciò che avviene in ogni uomo, e se i Vangeli – tutti e quattro – bollano, senza alcuna vergogna, col nome di traditore uno dei Dodici, non può darsi il caso che gli Evangelisti ci vogliano avvertire che la possibilità del “tradimento” del Cristo appartiene al DNA della stessa Chiesa? Quando finalmente detti retta a questa ipotesi, non ebbi affatto l’impressione di profanare la Madre Chiesa, al contrario mi sembrava di prendere gradatamente coscienza che una Chiesa fedele o infedele a Gesù di Nazareth è nelle mani degli uomini che la compongono. La Chiesa è fatta di uomini, l’ho sempre saputo, ma quanto buio c’è nella sua luce! Quanta gente splendida e 3
Incontrai un pamphlet di Diego Fabbri, Il Cristo tradito, del 1949.
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quanti farabutti vestiti di sacro che pretendono di dirigere le anime e il mondo in nome di Gesù4. Non era questo il punto tuttavia. La Chiesa ha portato avanti la “rivoluzione” di Gesù, sì o no? La Chiesa perché dà l’impressione di avere consacrato la pretesa di tanti uomini di essere padroni del mondo e degli inermi figli di Dio? Non può risiedere in questo “tradimento” storico di Gesù da parte di tanti uomini di Chiesa il motivo per cui nel mondo non solo “non è cambiato niente”, ma addirittura si sia creato un pauroso regresso spirituale5? Non si ha, a volte, l’impressione di andare dalla luce al buio, dall’essere al niente? O di sacralizzare “il peccato del mondo”, quel peccato che Gesù era venuto a togliere? Oggi mi rendo conto del motivo per cui avevo paura di mettere in discussione alcune delle mie certezze di ragazzo. Quelle mi avevano portato alla vita religiosa e quelle erano intangibili, se volevo restare fedele alla vocazione. Intuivo che, se avessi cominciato a fare troppe domande sarei caduto nella trappola della commiserazione personale: se “povero Gesù” e “povera Chiesa”, bisognava anche concludere: “povero io” che in quella Chiesa mi ero donato per sempre al Vangelo di Gesù. E quando feci il salto verso la chiarezza e mi dissi che non potevo andare avanti portandomi dentro tanto grigio di interrogativi non risolti, stetti male, ma davvero. Rischiavo di “perdere la mia vita per niente”. E tutto saltava, senso della vita, messaggio di Gesù, l’immagine di Dio che avevo accolto, la Chiesa, la stessa Compagnia di Gesù in cui mi trovavo. Saltava la mia giovinezza sacrificata per niente. Nel suo Testamento spirituale, Carlo Carretto scriveva: “Chiesa, quanto ti odio e quanto ti amo! Quanto male mi hai fatto ma quanto mi hai dato! Mi hai dato il Cristo”.
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Scrive David Turoldo: “Che senso avranno le nostre Pasque se siamo conniventi con gli stessi Faraoni? Oh Chiesa!”.
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Povero Gesù
Così mi dissi che ad ogni costo dovevo mettermi alla ricerca della verità. Anche a costo di scoprire che il Gesù ufficiale, quello della predicazione e della teologia ortodossa, non aveva molto in comune con il Gesù della storia; che tanti uomini di Chiesa era possibile parlassero di un Dio e di un Gesù che non erano quelli trasmessi dal Vangelo; e che se io mi ero sbagliato su di me e sulla mia vocazione era tempo di ritrovare la retta strada. Uscii dal tunnel, ma solo dopo avere avuto il coraggio di entrarvi. Mi salvò quella determinazione a rischiare, quella voglia di luce senza la quale una vita non può essere vissuta, ma solo – se fosse corretto scriverlo – “vivacchiata”. Le pagine che seguono non sono il racconto dei miei tormenti, né un trattato teologico, ma il tentativo – come ho detto – di mettere ordine nelle conclusioni a cui sono giunto e che mi hanno permesso di essere religioso e prete, non nonostante tutto – sarebbe rassegnazione accidiosa – ma a causa di quei dubbi risolti, in qualche modo, e tuttavia mai del tutto. Apprendo ogni giorno che non si può mai smettere di trovare il coraggio di entrare nel “tunnel” per uscirne rinnovati. Gesù direbbe “risorti” o “rinati”. La verità ci possiede, noi non la possediamo, dunque la cerchiamo per poterla vivere. Detto questo, come procedere? Forse la cosa più accessibile è partire non dal “mistero” di Dio né dal “mistero” di Gesù di Nazareth – benché questo sia centrale – ma dall’esperienza che l’uomo ha fatto di Gesù, dal Vangelo quindi, e poi da come è stata presentata la novità cristiana dalla Chiesa, anzi da coloro che sono il “fondamento” della Chiesa: il popolo che segue Gesù e, in particolare, gli Apostoli. Voglio precisare che quanto dirò non si discosta da uno stile più narrativo che dogmatico. Anche se in certe pagine posso non metterlo in evidenza, quando dico che voglio partire “dall’esperienza che l’uomo ha fatto di Gesù”, in11
tendo due cose: partire dall’esperienza che io ho fatto di Gesù di Nazareth e da come a me sembra che abbia fatto tanta umanità di fronte allo stesso Signore. Niente di apodittico, di assoluto dunque, ma solo la descrizione di un cammino che poteva benissimo essere altro ma che comunque è il mio cammino. Non ho la pretesa di possedere la verità, credo solo nel mio diritto a mettere in dubbio le troppe certezze che circolano e di cercare ancora con quanti non possono sottrarsi a questa sete di vita piena. Messe così le cose in chiaro, c’è da domandarsi a chi possa servire leggere queste pagine. Se mi si perdona la franchezza, forse a nessuno. Ma quando si ha a disposizione tanto tempo come nei molti mesi del Covid-19 e ci si accorge che i giorni non vanno sprecati, perché non ne rimangono tanti, beh allora mettere ordine nei cassetti mentali, ripercorrere un cammino può essere utile, anche per dire che tanti anni di vita religiosa e presbiterale non hanno prodotto un “pentito”. Almeno per ringraziare il Signore, credo dunque che ne valga la pena.
Parte Prima Inquietudini e stupori sul “Figlio dell’uomo”
Ho amato un fallito? Si ha tanto tempo durante un “arresto domiciliare sanitario”. Tanto tempo per vederci più chiaro in un mio problema antico: la tendenza a tradire il messaggio di Gesù è un rischio che la Chiesa deve correre, oppure il tradimento appartiene al suo DNA, fino al punto che la fede annunziata da essa è la via più lunga per giungere all’assenza di Dio nel mondo? Tanto grigio sulla scia di una domanda inquietante che riguarda la pandemia: l’uomo è vittima del virus Covid-19 che ci falcidia, oppure il vero virus è l’uomo stesso, messo nel mondo per distruggerlo? Da anni mi confronto con la liturgia e tanta esegesi biblica che vedono nel Servo di Jhwh di Isaia il volto, il compiuto, i sentimenti profondi del Cristo di Dio Gesù di Nazareth. Al capitolo 49, versetto 4, l’Inviato da Dio dice: “Inutilmente mi sono affaticato, ho consumato tutte le mie forze senza risultato”. E più avanti (53, 3) è lo stesso popolo che conferma questo fallimento: “Noi l’abbiamo rifiutato, disprezzato, come un uomo pieno di sofferenze e di dolore. Come uno che fa ribrezzo a guardarlo, che non vale niente, non lo abbiamo tenuto in considerazione”. Non voglio affatto leggere la storia della salvezza soltanto sulla base di queste nere affermazioni. Il Regno di Dio non è una quercia o un cedro del Libano – diceva Gesù – è un semino gettato in terreno problematico se non addirittura ostile. È un pugnetto di lievito che vuole tempo per fare lievitare la pasta. È una sciabolata di luce all’orizzonte, che squarcia le tenebre e annunzia un’aurora ancora lontana. Dalla Risurrezione del Cristo non sono mai mancati sulla Terra uomini “nuovi”, “risorti”, “rinati” che 15
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a prezzo del loro sangue hanno voluto modellare la propria esistenza sulla Parola del Maestro. Tuttavia ci sono momenti nella storia in cui sembra che l’umanità sia nella condizione di quell’uomo della parabola che, liberato dal demonio, si vede invaso da una legione di spiriti peggiori del primo e la sua condizione da ardua si fa pessima, forse irrimediabile6. Ebbene pare che noi stiamo vivendo uno di questi momenti7. Papa Francesco parlando durante il suo viaggio alle Repubbliche Baltiche nell’ottobre 2019, affermava con semplicità: “Credo che il Signore stia chiedendo un cambiamento alla sua Chiesa”, cioè di portare avanti il Vaticano II e di “entrare con Dio” negli inferi concreti e nel caos di questo tempo difficile. Il Papa ci autorizzava dunque a non farci sconti nel guardare la realtà e a porci interrogativi radicali. Siamo al fallimento della “vicenda Gesù di Nazareth”? Siamo ad un post-cristianesimo? E chi ha condotto a tale esito? La stessa “utopia gesuana” o quei suoi seguaci che egli chiamava la “sua Chiesa”? Qualcuno ha definito Gesù di Nazareth, un “fallito di successo”. Fa pensare questa definizione, se la si legge non nell’ottica della “metastorica” Risurrezione, ma della fin troppo tragica e concreta storia da Lui vissuta nell’arco dei suoi tre decenni di vita tra noi. Una carriera (“un cammino” – se preferiamo) che finisce sul Golgota, non è proprio un successo. Non pretendo in questa sede di dire una parola definitiva su questo argomento, ma come posso dimenticare che forse non arrivano neppure alle dita di una mano quelli che, durante la Sua vita terrena, lo hanno davvero compreso, accolto, seguito, nei Suoi “sogni” radicali di palin6
Lc 11, 24-26.
Cfr. il mio intervento su Horeb 1/2019, “Un fallimento la sequela di Gesù?”.
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Povero Gesù
genesi per fare uscire l’umanità dagli orrori della violenza sistemica del Suo e del nostro tempo? È nota la lontananza del suo parentado che non solo non lo comprende, ma emette una condanna psichiatrica nei suoi riguardi: “È fuori di testa”, è pericoloso e da rinchiudere in casa per l’onore della nostra onesta famiglia. Lo registra Marco al 3, 21 del suo Vangelo. Luca ci fa sapere che neppure Maria capiva molto quel figlio strano, eccentrico, insieme ubbidiente e sempre un passo oltre l’ordinarietà della vita e della saggezza comune. Lei “conservava e meditava nel suo cuore” quello che succedeva e sentiva, ma tanti altri non ci perdevano tempo. Quel Nazareno dunque chi è? Lo strambo di Galilea, un senza fissa dimora, che fa, autorizzato da nessuno, il predicatore errante. Forse, anzi probabilmente, anzi con sicurezza, quel Gesù è un diavolo alleato col capo dei diavoli – si vocifera tra le persone per bene8. Vestito di luce come pare agli ingenui, miscuglio di sovversione, blasfemia, empietà, ipocrisia, populismo, come appare ai saggi anziani, ai capi religiosi e culturali, ai sacerdoti, e allo stesso Sommo Sacerdote in carica. Che ne ha fatto della Sua vita quel ragazzino che a 12 anni nel Tempio pareva promettere tanto? Un miracolo di niente, un capolavoro di fallimento, così grave, da lasciare questo mondo come un maledetto, appeso ad una croce. Se questa catastrofe nasce nel seno dei legami di sangue e nell’establishment del potere, ci si aspetterebbe almeno che tra gli amici scelti da lui stesso, qualche successo lo avesse registrato. Non è andata così. Anche con le affezioni elettive Gesù sembra una frana: avventato, imprudente, ancora una volta populista, se li sceglie tra “teste calde galilee” i suoi Apostoli, tra simpatizzanti per il movimento terrorista del tempo, lo “zelotismo”, tra ex vessatori del 8
Lc 11, 14 ss.
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popolo, tra noti peccatori e teste dure, pietrose, se non ottuse. Tutti costoro lo seguono e – Pietro in testa – dichiarano di “avere lasciato tutto per stargli dietro”. Ma davvero hanno lasciato tutto? Sono andati oltre quella simpatia che ci fa seguire qualcuno “come un bambino, naso in aria, segue l’aquilone”? Hanno capito qualcosa di quella radicalità di “rivoluzione-conversione” che il Maestro proponeva e che chiamava “venuta del Regno di Dio”? No. Erano disposti ad andarsene via anche essi, i suoi amici, dopo la crisi di Cafarnao raccontata da Giovanni nel capitolo 6 (vv. 22 e ss.), se solo avessero saputo dove andare. E fino alla fine litigavano come bambini per i primi posti in quel “Regno di David” (non di Dio) che pur doveva prevedere premier, ministri, reggenti, ciambellani, cortigiani, plenipotenziari; cioè prestigio personale e rigida gerarchia. Gesù stesso riconosce che con i suoi presunti amici non c’è niente da fare. Si arrende e dice: “Vi manderò lo Spirito che vi farà capire ogni cosa, io non ci sono riuscito”9. Sappiamo bene che in un’ottica di fede la sua Risurrezione è il riscatto personale e perfino l’assicurazione divina che le Parole del Figlio, nonostante l’insuccesso, anzi in forza di quel fallimento, sono le uniche strade di Vita che il Padre ci indica. “Quando sono debole è allora che sono forte”, scrive Paolo rifacendosi al Maestro10. Quando gli uomini ripudiano la Luce è proprio allora che la Luce rimane aspirazione decisiva per non cadere nei burroni. E quando il Giusto viene chiamato “malfattore”, è proprio in quel momento che gli uomini dimostrano l’abisso in cui si trovano e la necessità di quanto ha detto il Crocifisso. È risaputo: la resistenza alla guarigione è un fenomeno che le scienze umane notano almeno da qualche secolo. Noi 9
Gv 14, 23-29.
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2Cor 12, 10.
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stiamo bene nelle tenebre e ci rifiutiamo di uscirne perché – nota Gesù – “non vogliamo che le nostre opere vengano alla luce”11. Ne segue che se con la morte di Gesù, non tutto del Galileo è andato in fumo, e se quel pugno di discutibilissimi Apostoli non ha lasciato questo mondo da seguaci falliti di un Fallito, insomma se sono sopravvissuti alla delusione di “avere abbandonato tutto” per un signor nessuno che li aveva imbrogliati, lo si deve al fatto che l’esperienza del Risorto fece risorgere la loro fede e la loro speranza, e lo Spirito della Pentecoste diede loro quel coraggio per portare il “Lieto Annunzio” a gran parte del mondo di allora. È andata dunque più che bene ai Dodici. Il problema però che qui mi assilla è anche un altro: a noi, ai discepoli dei Discepoli, come sta andando? In altre parole, il Cristo è al sicuro nella gloria del Padre. Indiscutibile. Ma il cristianesimo? Ma la sua Chiesa? Ma il mondo che la Chiesa dovrebbe evangelizzare? Dove è andato a finire quel fuoco che Gesù era venuto a portare nel mondo se oggi le uniche passioni che abbiamo sono “fredde”, “tristi”, legate come sono alla sopraffazione, allo scempio di vite umane, alla vittoria sui deboli, alla solitudine dei narcisisti, al disprezzo per tutto ciò che non è moneta e potere? La storia si ripete come fosse determinata da una invincibile coazione a ripetere. Nota papa Francesco facendo riferimento alla situazione di alcune carceri del Nord Africa: “Noi oggi ci strappiamo le vesti per quello che hanno fatto i comunisti, i nazisti e i fascisti… ma oggi? Non accade anche oggi? Certo, lo si fa con guanti bianchi e di seta!”. Se mi è lecito riferire una brutta esperienza, mi permetto di ricordare un paio di incontri avuti con ecclesiastici di rilievo. 11
Gv 3, 19.
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Nel loro volto un grande dolore, come una cocente inguaribile delusione. “Il cattolicesimo si è sgretolato”, mi confidava uno. Ed aggiungeva: “Sgretolato nella dottrina, nella cultura, nella disciplina, nel suo diritto, nell’arte, nella stima goduta, nella sua prassi, nei suoi vertici…”. L’altro uomo di Chiesa, con una espressione che non dimenticherò mai, mi confidava fissandomi negli occhi: “Siamo diventati tutti atei”. Prendendo quasi a simbolo questi due incontri, mi pare che il primo interlocutore esprima con sofferenza il decadimento di una “Chiesa-istituzione” che non riesce più a cantare che Christus vincit, regnat, imperat dando decoro, potere e prestigio anche ai preti suoi plenipotenziari. Si tratta di quella parte di Chiesa, clericale e non, che osteggia papa Francesco, reo di volere mettere il Vangelo della gioia e della fraternità al centro della Chiesa e del mondo. Quel Francesco che distingue bene la Parola, che è Gesù, dalle nostre tante parole che creano strutture ed organizzazioni. Che non identifica tante nostre tradizioni umane, con la “Tradizione evangelica”. C’è avvilimento in tutto questo, come se 2000 anni di cristianesimo sfociassero in una vita che si mostra col volto livido della insensatezza umana e religiosa. Il secondo interlocutore mi fa ancora pensare. Può il cristianesimo essere una via lunga ma sicura per l’ateismo? Può l’Angelo di Luce che è il Cristo rivelarsi un agente segreto del Mistero delle tenebre? Questo affermava la cricca di scribi e farisei omicidi. Può l’Amico appassionato degli uomini essere il loro vero nemico con la sua smania di volere tutti liberi ed eguali? Proprio di questo accusava il Gesù tornato nella Siviglia del XVI secolo, durante un crudele “spettacolo” di esecuzione capitale, il “Grande Inquisitore” di Dostoevskij. Domande inquietanti che nessuno può prendersi il lusso di sottovalutare. È un dato di fatto che oggi il cosid20
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detto Occidente cristianizzato, anche quello laico che – a detta di Benedetto Croce – “non può non dirsi cristiano”, ha rinnegato il Cristo ed il suo Vangelo. Peggio, presenta come verità evangelica la sua interpretazione atea della proposta cristiana. Annunzia infatti al mondo che il Cristo ed il cristianesimo sono archeologia o folklore, perché non hanno nulla da dire alla vita. Ufficialmente, per tradizione, dobbiamo continuare a dire che tutti siamo fratelli e figli dello stesso Padre, che la legge è uguale per tutti, ma a patto che nella realtà dura della stessa vita, consideriamo “scarto” i popoli “canaglia”, i malati terminali, i rom, gli omosessuali, i diversi da noi, i non-occidentali, i poveri che non consumano e non producono, quanti si oppongono alla rapina del loro territorio e della loro dignità, quanti pretendono di avere diritti inviolabili alla vita e alla pace, quanti sentono il bisogno lancinante di credere che un mondo “altro” è possibile. Questa “anti-buona-notizia” imposta con la forza o col condizionamento, come è ovvio, è pensata su misura dei forti e dei prepotenti, non di tutta l’umanità. Dopo esserci gloriati dell’“Età dei diritti” (le varie “Carte” dal 1789 al 1948) affermiamo senza pudore alcuno che ci sono uomini e sotto-uomini, alcuni nati per essere “salvati” e la maggior parte nati per essere “sommersi”. In poche parole: basta con questa fede nell’Amore come orizzonte dei nostri rapporti interpersonali e sociali; pieghiamoci al fatto incontrovertibile che solo la Forza domina, il Potere, il Denaro. Dunque nessun Dio di Amore esiste, forse – se proprio lo vogliamo – ci sarà un Dio beffardo che ci ha scaraventato nel mondo per gioco, come gladiatori nel Colosseo. Più probabilmente veniamo dal caso e corriamo verso il nulla. Quell’ecclesiastico che mi sussurrava stravolto “siamo diventati tutti atei”, non parlava dell’umanità ma della Chiesa, dei battezzati, di quelli che convolano a giuste 21
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nozze davanti ad un prete, che al petto, in casa o sulle loro cattedrali mantengono una Croce, che vanno a Messa e “fanno la comunione”. Lasciando da parte tutto l’Est europeo, convertitosi al Denaro ed al Consumo appena ha potuto, restringendoci alla nostra Italia, fa pensare che un politico abbia potuto proclamare il suo oscuro Vangelo di xenofobo e razzista, impugnando con una mano proprio il Vangelo e con l’altra la corona del Rosario. Quasi a dire: se volete essere cristiani e mariani, e se insieme ci tenete alla vostra sopravvivenza, respingete i migranti, fateli marcire in Libia, fateli affogare nel Mediterraneo, perché questi non sono le vittime del vostro egoismo, non sono vostri fratelli nella sventura, sono solo i vostri nemici. Aggiungendo: smettetela di odiare le armi, di bandire la pena di morte, anzi armate la vostra famiglia, insegnate ai vostri figli a sparare, ferite, uccidete qualsiasi estraneo che nella vostra casa o nel vostro negozio ritenete pericoloso. Devo aggiungere il peggio del peggio: questa “moderna” e blasfema interpretazione del cristianesimo non ci sarebbe mai stata, non avrebbe avuto il consenso che ha tra i pii frequentatori di chiese e processioni, se non fosse stata sostenuta da preti, vescovi, qualche cardinale e tanti laici lanciati a cavalcare la paura seminata da decenni di televisione-spazzatura. Se quando nacque il “crimine” della clandestinità, la nostra gerarchia ecclesiastica avesse avuto il coraggio di spendere una sola parola a favore dei disperati di Africa e Medio-Oriente; se avesse chiarito che quegli sventurati in fuga dalle loro case, erano le nostre vittime, e non i nostri carnefici… forse non saremmo arrivati all’ennesimo, cinico “pacchetto sicurezza”. Nel decennio caldo del riarmo atomico, (dalla fine degli anni ’70 a tutti gli anni ’80), mentre il mondo protestava ed i Grandi della Terra giocavano ad organizzare vertici che non portavano a niente, ci fu una “strana” e saggia lettera 22
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aperta che il Presidente USA inviò al Cremlino. Nella sostanza ecco il suo incipit: È possibile, Signor Presidente, che un capo di Stato dimentichi il bene del popolo e cerchi il proprio prestigio personale? Forse una domanda simile sarebbe salutare tra i cristiani ed i responsabili della Chiesa. È possibile che il Vangelo di Cristo sia piegato a fini personali di tranquillità accidiosa, di carriera e ricchezza, e da annunzio di liberazione nella verità dell’amore si trasformi in rassegnazione per tutti i vinti della Terra, e in giustificazione per l’arbitrio (a volte criminale) dei potenti? La storia ci dice che questo non è solo possibile, ma crudamente reale. Tutto è successo con passi coordinati: stravolgendo un “avvenimento” come la venuta del Cristo, in “dottrina” sul mistero di Dio, ammettendo nella Chiesa la potestas dominandi, dimenticando l’unico potere ammesso da Gesù, quello di servire, giustificando la guerra, alleandosi col potere politico, si è giunti inevitabilmente alla divisione dicotomica dell’unico popolo di Dio in ecclesia docens et ecclesia discens, in spirituales e carnales, mentre sul versante puramente umano si è andati dritti verso la divisione del mondo in amici e nemici, verso il ripudio della legge del Cristo, “amatevi come io vi ho amato”, verso la negazione del Dio Amore. Non mi sento per questo autorizzato a dire che il cristianesimo è fallito. Tento di non essere tra coloro che assolutizzano i fatti. Io credo nella Verità. E la Verità dei fatti descritti è che abbiamo bisogno di una metanoia, di una “conversione” così radicale che a buon diritto ci ricorda la “rivoluzione”. Siamo ad un punto di non ritorno – dicono
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Felice Scalia
gli scienziati riguardo alle mutazioni climatiche. Siamo al fallimento ed al disincanto radicale – dicono i profeti di sventura. Io dico solo che quando una strada è sbarrata abbiamo bisogno, per andare avanti, di tornare indietro e riprendere la via abbandonata, proprio lì dove l’avevamo lasciata. Detto in altro modo: ora che abbiamo tutto, sentiamo il bisogno, la nostalgia di quell’“Altro” che abbiamo abbandonato. Ritornare al Vangelo, lasciare “tutto” (ogni bagaglio ingombrante che ci ha fatto rinnegare il Cristo) metterci dietro il Maestro, dargli credito, questo solo può dare respiro all’uomo e speranza alla stessa Madre Terra.
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Povero Gesù
Felice Scalia
Felice Scalia è gesuita dal 1947. Laureato in filosofia, teologia e Scienze dell’educazione, ha insegnato alla facoltà teologica dell’Italia meridionale e poi all’Istituto Superiore di Scienze umane e religiose di Messina. Per “Vita Pastorale” ha curato diversi dossier. Collabora con “Presbyteri”, “Horeb”, “Rivista del clero”, “Vita consacrata”, “Spirito e Vita”. Con le edizioni la meridiana ha pubblicato: La teologia scomoda (2008) e Il Cristo degli uomini liberi (2010).
Felice Scalia
Povero Gesù
no oce, per ma r c n i e r o u !”, m redono “Povero Gesù ssimi che c i s o i g i l e r vero di uomini Dio. Ma dav a a i r o l g ì esa di dare cos orte la Chi m a u s a l o dop ompreso Gesù c e o t l o c c ”? ha a “rivoluzione a u s a l i t n a portando av one di aver i s s e r p m i ’ l Perché si ha nti uomini a t i d a s e t e a pr consacrato l egli inermi d e o d n o m l droni de o di essere pa ere in quest d e i s i r ò u P ? si figli di Dio i nel mondo u c r e p o v i t il mo spirituale? o “tradimento” s s e r g e r o n pauros sia creato u
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Che succede in tempi strani e misteriosi quando si interrompono le attività ordinarie e si teme che si possa essere untori o unti non appena si incontra qualcuno? Si può mettere ordine nei pensieri e affrontare problemi prima rimossi perché troppo impegnativi, concentrarsi sull’essenziale della vita e il riordino mentale: si riordina il “disordinato”, il confuso, sperando che alla fine della fatica il puzzle, se non completo e nitido, sia almeno accettabile. Le pagine che seguono non sono il racconto di tormenti, né un trattato teologico; sono il tentativo di trovare il coraggio di entrare nel “tunnel” per uscirne rinnovati. Gesù direbbe “risorti” o “rinati”. La verità ci possiede, noi non la possediamo, dunque la cerchiamo per poterla vivere. La cosa più accessibile non è partire dal “mistero” di Dio, né dal “mistero” di Gesù di Nazareth – benché questo sia centrale – ma dall’esperienza che l’uomo ha fatto di Gesù, dal Vangelo quindi, e poi da come è stata presentata la novità cristiana dalla Chiesa, anzi da coloro che sono il “fondamento” della Chiesa: il popolo che segue Gesù e, in particolare, gli Apostoli. Ripercorrere un cammino può essere utile, anche per dire che tanti anni di vita religiosa e presbiterale non hanno prodotto un “pentito”. Almeno per ringraziare il Signore, ne vale la pena.