Paola Cosolo Marangon
Anche con la malattia vale quello che Bonatti diceva delle esperienze in montagna. Ognuno vive in maniera unica e irripetibile la propria esperienza, sia per arrampicare, fare una semplice passeggiata o scalare un imprevisto Ottomila. Non esistono nella vita mete regalate, anche le più banali sono il frutto dell’impegno e della fatica. Pagine che buttano fuori la paura, il dolore ma che esprimono coraggio, quella forza e quella voglia di credere nel futuro. Trascorsi nove anni dalla scoperta del cancro, per Paola è giunto il momento di donare agli altri questa sua intima esperienza scrivendo pagine dense di significato, tese ad aiutare anche e soprattutto chi sta dall’altra parte. Lì dove il tempo è sospeso, cadenzato solo dalle terapie, dove la vita si stravolge nei ritmi, nelle priorità e nei desideri, bisogna imparare ad aiutare. Un aiuto che non sia invadenza, che non esageri nei modi e nei tempi, perché è importante imparare quella vicinanza discreta che dice sommessamente e con amore: “Io sono qui”.
E non mi chiami signora bella!
L’ascolto e il racconto nel percorso di cura
E non mi chiami signora bella!
Paola Cosolo Marangon è formatrice e consulente educativa, fa parte dello staff del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza (CPP). Giornalista di settore, è vicedirettrice della rivista “Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica”. Insegnante Yoga è autrice di molti testi pedagogici e di narrativa. Ricordiamo tra tutti Fai della natura la tua maestra Erickson 2018, La casa lungo la ferrovia Edizioni Europa 2019, Storia di Rosa Forum 2020.
Paola Cosolo Marangon
“La montagna più alta rimane sempre dentro di noi” Walter Bonatti
Prefazione di Manuela Quaranta Špacapan QUADERNI di
ISBN 978-88-6153-808-5
Euro 18,50 (I.i.)
Paola Cosolo Marangon
E non mi chiami signora bella! L’ascolto e il racconto nel percorso di cura
Prefazione di Manuela Quaranta Špacapan
Indice Prefazione di Manuela Quaranta Špacapan...................................9 Tutto torna........................................................................................17 Piccole microcalcificazioni.............................................................21 La discesa dalla montagna..............................................................23 Prelievo per biopsia..........................................................................27 Faccio finta di niente........................................................................ 31 Dai, facciamolo.................................................................................35 La teoria degli affetti........................................................................39 Rifiuto l’anestesia.............................................................................43 Gli occhi degli alberi........................................................................47 La morte presa per le corna............................................................51 Le donne sono creature che sanno................................................59 Domani, anestesia totale.................................................................63 Anch’io sono sulla giostra..............................................................69 Ognuno sale la propria montagna.................................................77 Ascolto senza voler sentire..............................................................81 Chemio o radio?...............................................................................87 Attendere una chiamata... ..............................................................91 Affetti e cancro.................................................................................97 Cimitero di guerra......................................................................... 101 Il ghiaccio non fa da specchio......................................................107 Le debolezze si svelano.................................................................. 111 Non mi hanno avvisata!................................................................ 115 Donna berbera................................................................................121 Il coraggio di portare il foulard....................................................127 Effetto Dolomiti.............................................................................. 131 Cosa ne pensa?................................................................................137 Arriva il rasoio................................................................................ 141 Voglio entrare da sola....................................................................145 Non fatemi sentire malata.............................................................155 Berg heil Paola!...............................................................................165
Tu sì che sei forte............................................................................171 Domani niente terapia...................................................................175 Sono nelle loro mani......................................................................179 Romano è un mito.........................................................................183 Simulazione in radioterapia..........................................................189 Benvenuto prurito..........................................................................193 Sentirsi sempre in bilico................................................................197 È solo paura.....................................................................................201 Ho disubbidito................................................................................207 Trastuzumab, un nome tossico.................................................... 211 Reazione vasovagale in attesa della Pasqua................................215 Nuovamente Milano!.....................................................................221 Sotto la “ragna”...............................................................................225 Un anniversario senza foto...........................................................231 Devo contare fino a duecento.......................................................237 Ecocardio, in attesa del verdetto..................................................241 La regola di San Benedetto...........................................................245 Sono sulla via della guarigione?...................................................251 Ci vediamo fra sei mesi.................................................................263 Ottobre 2016, il congedo...............................................................267 Epilogo e ringraziamenti...............................................................271 La medicina narrativa di Manuela Quaranta Špacapan .........273 Bibiografia.......................................................................................295
Prefazione Manuela Quaranta Špacapan1
Incontro Paola Cosolo Marangon il 21 novembre 2019; ci siamo date appuntamento nella sala d’aspetto del mio ambulatorio, so che vuole propormi un progetto per dare un contributo all’Associazione che presiedo. Conosco così l’autrice di molti scritti in campo psicopedagogico, formatrice e consulente educativa. Mi racconta brevemente di sé, del suo percorso di malattia, durante il quale si imbatté in una locandina che avevo fatto girare nei locali del day hospital oncologico dell’ospedale di Udine, avendo in mente di raccogliere testimonianze per il libretto che era in gestazione nel mio cuore da cinque anni, La medicina del racconto: storie di malattia, speranza, amore, una raccolta eterogenea di storie autobiografiche, pensieri, riflessioni, citazioni, con uno specifico riferimento alla Medicina Narrativa che ho imparato a conoscere nei lunghi momenti carichi del silenzio assordante dell’assenza. L’assenza di Mirko, mio marito. Paola Cosolo Marangon aveva letto quella locandina che invitava a collaborare all’iniziativa di narrazione promossa dall’Associazione Cure palliative Mirko Špacapan-Amore per sempre. L’aveva colpita il nome, era quello di un pediatra a lei ben noto, ma da fine conoscitrice delle menti e delle dinamiche interpersonali non le era sfuggito quell’Amore per sempre, che avevo accostato al nome del pediatra. Ci incontriamo, quindi, Paola ed io. Sono passati tanti anni da quello sguardo più o meno distratto alla locandina, era il 2012, ma per Paola che ha terminato il suo percorso terapeutico ed è tornata alla sua piena vita di donna, moglie, madre, scrittrice, pedagogista, è scattata la voglia di offrire all’Associazione un contributo tramite uno dei suoi più vividi talenti: scrittura. Un incontro piacevole, intenso. Paola porta con sé il mano9
Paola Cosolo Marangon
scritto, poche parole, dense e sincere. “Lo legga, mi dirà cosa ne possiamo fare.” Leggo il manoscritto d’un fiato, la sera, dopo aver terminato visite e consulti. La parola di Paola è secca e pulita, l’argomento mi è ben noto: storia di una vita normale sconquassata dalla diagnosi di un tumore, storia di una donna che affronta le cure, storia di una guarigione e di una rinascita. Il valore catartico della parola, il potere salvifico di raccontare il sé, il bisogno di condividere, la ricerca di un ascolto empatico; fissare sulla carta i pensieri del giorno, i dubbi delle attese, le domande senza risposta. Rileggersi, riviversi. Le conosco, queste dinamiche, le vivo tutti i giorni con le mie pazienti. Le ho approfondite leggendo e studiando. Ho letto, scritto, riletto anch’io, solo la carta poteva accogliere i miei dubbi, i miei strazi. Non più lui, l’altra metà del mio cuore. Ormai da un anno medici e psicologi si stanno chiedendo quale impatto possa avere la “nuova” paura del Coronavirus su chi di paura ne ha già tanta, perché gli è da poco stato diagnosticato un tumore o perché ha appena iniziato un percorso di follow-up al termine delle terapie attive. Che effetto fa la parola pandemia, o quarantena in un malato oncologico? Qualcuno ha risposto, adesso voi “sani” provate quello che noi malati oncologici sentiamo tutti i giorni, senza però “meritarci” articoli in prima pagina sui giornali come sta accadendo per i malati da Covid 19; noi viviamo con una perenne spada di Damocle sulla testa. Nel suo editoriale del 24 marzo 2020 “Medicina Narrativa: così il virus inverte i ruoli” Franco Giuliano infatti scrive: Oggi il medico è a sua volta diventato, in questa guerra al virus, oltre che un soldato in prima linea, un potenziale paziente. E si chiede: una volta finita questa assurda battaglia, nella quale ci sono ancora una volta due eserciti alleati, i medico e i pazienti, a combattere contro un unico grande nemico, il virus, cambierà l’approccio della Medicina Narrativa e dunque il rapporto tra medico e paziente? Ci sarà un nuovo capitolo di questa scienza medica che si rivolga al vissuto e alle emozioni individuali del paziente integrandolo con il racconto dei medici?2
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Una medicina del racconto bidirezionale. Scrive anche Maria Giulia Marini3, epidemiologa e counselor, esperta di medicina narrativa: 4 Marzo 2020, la paura c’è, è come una pioggia avvelenata che ti entra nella pelle; la paura è in ogni momento aprire la notizia, leggere i numeri, è nell’incontrare in modo diverso le persone della tua famiglia senza abbracci, senza baci. E cita: “Niente è più punitivo che dare un significato a una malattia, quel significato che è sempre moralistico. Qualsiasi malattia importante, la cui causalità sia torbida e per la quale il trattamento sia inefficace, tende ad essere inondata di significato4. Accostando all’epidemia la metafora della peste e degli spargitori di peste, come nel romanzo di Albert Camus, siamo tutti un po’ travolti da una caccia agli untori5, mitigata da quel metro di distanza di sicurezza”.
Una paura nuova e trasversale, che non risparmia nessuno, e che pare sottendere una qualche colpa da espiare, facendo svanire la metafora del cancro, l’anarchico male del ventesimo secolo. Di letture e interpretazioni dei vissuti di malattia, facendo riferimento alla tassonomia utilizzata nella Medicina Narrativa e nelle Health Humanities, scrive sempre nel suo blog la Marini, nell’intento di fornire uno strumento ulteriore all’analisi dell’infezione da Coronavirus che sta paralizzando il mondo: Una metodologia di narrazione è la Quest narrativ. I narratori raccontano come hanno affrontato la malattia “a testa alta” e hanno cercato di usarla, di ottenere qualcosa dall’esperienza; la storia di malattia è una sorta di viaggio, con una partenza riconosciuta, un’iniziazione (la sofferenza mentale, fisica e sociale che le persone hanno sperimentato) e un ritorno (il narratore non è più malato ma è ancora segnato dall’esperienza).
Difficile, quasi utopistico in questi giorni di “coprifuoco” pensare alla pandemia da Covid 19 come a un viaggio di cui si intravvede una meta finale, e ancor meno un ritorno, come invece si legge chiaramente nella storia del viaggio di malattia di Paola. 11
Paola Cosolo Marangon
Nella sua narrazione il “ritorno” dura anni; scrive infatti: Queste pagine sono rimaste in un cassetto, ora trascorsi otto anni dalla scoperta del cancro penso sia arrivato il momento di donare agli altri questa mia esperienza. Paola è guarita, ha scalato il suo imprevisto Ottomila e ha chiuso l’avventura. Nessuno di noi invece può al momento attuale definirsi guarito, neppure chi è resuscitato dalla terapia intensiva con un tampone finalmente negativizzato. Abbiamo poche certezze su questo virus mutevole non sappiamo se darà immunità sufficientemente protettiva da non reinfettarsi, non abbiamo ancora protocolli terapeutici definiti ed efficaci, nonostante i vaccini, le cure, tutto sembra ancora troppo rarefatto, abbiamo però imparato e sperimentato il terrore della parola “pandemia”, una parola così potente che riecheggiando Padre David Maria Turoldo “mi traversa come una spada6”. Il peso delle parole, strumenti che possono trafiggerti o salvarti, specie nel linguaggio di cura. Dice Fabio Barban, psiconcologo che collabora da anni con l’Associazione cure palliative Mirko Špacapan e che usa le parole come presidi di terapia nei suoi maieutici colloqui con i malati oncologici e i loro caregiver: In questa fase di pandemia ai malati gravi il virus più di tanto non fa paura; stanno peggio i familiari, perché per le maledette misure di precauzione, guanti, mascherine, il ‘distanziamento sociale’, non possono stare vicini ai loro cari come desidererebbero. E stanno ancor peggio i malati in follow-up, perché pensavano di essere fuori dal tunnel, mentre il virus sta riaccendendo le paure, l’infido virus che si fa beffe proprio di chi è più fragile, perché ha appena concluso i cicli di chemio ed è immunodepresso7.
Fabio non ha scontate e prevedibili soluzioni per i suoi pazienti, ma laddove paiono spadroneggiare vulnerabilità e senso di impotenza ci suggerisce che alla fine conta solo esserci, anche se dietro a una parete vetrata o in una videochiamata. “Io per te ci sono”, ecco le parole salvifiche. Ha detto papa Francesco nella sua preghiera davanti a una maestosa piazza San Pietro immensamente vuota, nel silenzio 12
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surreale rotto dal gracchiare dei gabbiani: Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati. Pensavamo di restare sani in un mondo malato.8 Un mondo che abbiamo violato. Mi ritornano di nuovo in mente le vivide immagini di Paola che, tra un ciclo di chemio e l’altro, esce in giardino e abbraccia la sua quercia per attingere linfa di vita. Natura Madre.
Note 1. Medico ostetrico ginecologo, diplomata in sessuologia clinica, ha lavorato presso il CRO di Aviano come ginecooncologa, ora è titolare di uno studio di ginecologia di I livello ed è presidente dell’Associazione “Cure palliative Mirko ŠPACAPAN -Amore per sempre”, dal 2019 è membro in carica del CEUR (Comitato Etico Unico Regionale) per la sperimentazione clinica del FVG.1. 2. Giuliano, 2020. 3. Marini, 2020. 4. Sontag, 1989. 5. Camus, 2017. 6. Turoldo, 1970. 7. Barban, 2020. 8. Papa Francesco, “Benedizione Urbi et Orbi” 2020. 13
La montagna più alta rimane sempre dentro di noi Walter Bonatti
Tutto torna Ecco quel che vedeva: questa acqua correva correva, sempre correva eppure era sempre lì, era sempre e in ogni tempo la stessa, eppure in ogni istante un’altra1! Il battito del cuore scandisce un ritmo sicuro, rassicurante. Mi appoggio con la guancia alla parete, è fresca e tiepida al tempo stesso. Con l’orecchio provo ad ascoltare il respiro della montagna ma in realtà quello che sento è solo il mio pulsare nel petto. Sogno, provo a dirmi che sono un tutt’uno con questa roccia e che questa fusione è la risposta alle grandi domande sul senso della vita. Siamo materia, indistinta e amalgamata, unico respiro, unico destino. È bizzarro questo pensiero mentre sono qui sospesa su di una parete, ma ho imparato ad ascoltare ed ascoltarmi nei pensieri e nelle sensazioni, non lasciare nulla al caso, perché tutto ha un suo senso. Mi stacco un poco dalla roccia, cerco con le dita un altro appiglio, sgancio il rinvio per riattaccarlo subito dopo al prossimo gancio, la corda dell’imbrago ha il giusto gioco. I piedi trovano un altro piccolo pertugio, non manca molto all’arrivo. Stendo il braccio destro a cercare quella famosa scanalatura che mi consente di fare leva, spingo con le gambe, il sedere in dentro, l’equilibrio è dato dalla corretta propulsione della parte inferiore del corpo, lo sforzo è intenso, proseguo. Mentre allungo il braccio una fitta mi attraversa, è una freccia che si infila nel seno destro. Non è un muscolo, è qualche altro punto. È un attimo, intenso, profondo, fugace. Poi ritorna il sereno. Continuo a salire, sudo, non fa caldo ma il corpo risponde a suo modo alle sollecitazioni dello sforzo, un paio di tiri, mi 17
Paola Cosolo Marangon
sposto sulla destra, avanzo ancora un poco, un ultimo strappo, ci sono. Ho raggiunto la vetta. La croce è lì con il suo libro di vetta pronto a raccogliere il mio nome. Non è una grande impresa, non è una cima di elevate proporzioni, ma è la mia piccola grande conquista, a mia misura, con la fatica che è alla mia portata, con le cadute e risalite, lo stile discutibile, il desiderio di non mollare, la tenacia, la gioia per l’obiettivo raggiunto. Assaporo questo momento, ringrazio la montagna per avermi consentito di salire. Chiedo scusa per l’invadenza, cerco la tranquillità dei sensi. Sto bene, l’aria è frizzante e il panorama attorno è strepitoso. Mi godo il silenzio e il ricamo di tutte le guglie e cime. Ogni volta che voglio scrivere qualcosa sul libro di vetta ci vorrei mettere dentro un sacco di pensieri, scrivere tutte le emozioni e alla fine, ogni volta, ci scrivo il mio nome, la sede CAI di appartenenza e un semplice grazie. Così ho fatto anche oggi. Grazie è la parola che racchiude tutta la magia dello stare dentro la storia di una vita. Mi appoggio con la schiena alla base della croce, chiudo gli occhi e mi lascio avvolgere dal tutto, immagino di essere senza tempo, senza spazio, è un attimo di perfetta immobilità. La mente crea un silenzio dentro e lascio fluire alcune immagini, alcuni odori, alcune sensazioni. Di tanto in tanto mi perdo in questi istanti, ne sento il bisogno: il corpo stanco e sudato chiede un meritato ristoro, allora cerco di rilassare tutti i muscoli e provo a lasciare che affiorino cose da lontano. Faccio anche oggi questo gioco e torna a galla qualche immagine bizzarra. Provo a fermarla: la scritta che campeggia sul sottopasso della superstrada a Udine: tutto torna. Apro gli occhi, perché è affiorata proprio quella scritta? Devo stare dentro alla regola del gioco che mi sono data: non giudicare o dare significati ad ogni costo alle immagini che affiorano. Prenderle e basta. Chiudo nuovamente gli occhi e cerco il silenzio dentro, mi concentro. Una bambina corre lungo l’argine di un canale, cerca di raggiungere un sacchetto di plastica portato via dalla corrente, piange. Apro ancora una volta gli occhi. Il gioco oggi non funziona, il 18
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corpo non si riposa troppo con queste immagini. È decisamente meglio guardarsi attorno e rilassarsi con il ricamo delle nuvole che si rincorrono sullo sfondo azzurro del cielo. È ora di scendere, di riprendere la via del quotidiano. La montagna aiuta ad imparare anche questo: ogni cosa ha un suo tempo, ogni cosa ha il suo momento, l’evasione deve trovare la sua giusta collocazione dentro la normalità. E la normalità è fatta di andate e ritorni, di gioie e fatiche, di lavoro e premio. Raccolgo la corda e le idee. Ho previsto di rientrare lungo il sentiero. Sarà un modo per prolungare il piacere.
Note 1. Hesse, 1975. 19
Piccole microcalcificazioni Il mio cuore è una chiusa che ogni volta arresta un flusso ininterrotto di dolore1 Distesa sul lettino attendo la dottoressa per fare l’ecografia. È una prassi, dopo aver fatto la mammografia si fa la verifica ecografica. Sono vent’anni che seguo questo iter, di solito sono tranquilla e rilassata, oggi però mi inquieta non poco il fatto che la dottoressa indugi parecchio davanti all’esito delle lastre. Mi raggiunge con il suo solito largo sorriso e si mette alla consolle. Quasi con leggerezza, mentre mi spalma abbondantemente di gel, mi comunica che nelle lastre c’è qualcosina di nuovo che non c’era nell’edizione precedente. Piccole microcalcificazioni, cose minime e mentre ne parla cerca con il sensore di individuarle. Le trova, blocca l’immagine, ci ritorna e sembra soddisfatta. Le ha isolate, cerca le coordinate precise e le fissa. Mi dice che posso pulirmi e mi consiglia di procedere con l’indagine tramite una piccola biopsia. Mentre tolgo il gel e mi pulisco alla meglio con la carta che riveste il lettino, sento che è arrivato il momento. Capisco la fitta che ho sentito giorni fa al seno destro. La montagna lo sapeva e mi aveva dato un sottile preavviso. Piccola ma profonda fitta, piccola ma cattiva microcalcificazione. La dottoressa mi rassicura, dice che è preferibile verificare di cosa si tratti; la biopsia è sì invasiva ma con una buona anestesia locale il tutto si risolve in poco tempo. È meglio essere cauti e previdenti. Prendiamo appuntamento, cerchiamo di far coincidere i suoi tempi con i miei: giovedì prossimo ore 10, aggiudicato. Ci salutiamo senza convenevoli ma con un intenso sguardo. Siamo dentro una storia, questo è certo. Esco dall’ospedale con una sensazione singolare, non mi sento spaventata, non 21
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ho paura, non provo angoscia e questo mi lascia decisamente stupita. Mi dico che dovrei sentirmi spaesata, invece nulla. Sono serena e in pace. Penso alla consulenza che mi aspetta il pomeriggio, mi proietto nel lavoro, la coppia che devo incontrare chissà quali problemi porterà con sé. Sento di poter archiviare quanto successo stamattina, mettere là in attesa di vedere gli sviluppi. Pago il ticket del parcheggio, prendo la macchina e mi immetto nel traffico cittadino. Decido per il momento di non raccontare a nessuno l’esito, ritengo sciocco impensierire altre persone, non è ancora ora, più avanti vedremo, ogni cosa a suo tempo. Imbocco la superstrada e sul muro campeggia la scritta “tutto torna”. Cavolo, ma allora ho davvero poteri divinatori. È questa la scritta che mi è passata davanti a occhi chiusi, mentre mi trovavo in vetta appoggiata a quella croce. Già sapevo? Scaccio anche con la mano un pensiero negativo. Al momento ho solo una piccola microcalcificazione che si è formata su di un seno, non devo anticipare risposte né pormi troppe domande. Mi fermo qui. E questa frase può essere vuota o piena, in questo istante non ha alcuna importanza.
Note 1. Hillesum, 1986. 22
La discesa dalla montagna Guardare giù, misurare il cammino percorso, sfidare le vertigini, e sentirsi più forti di tutte quelle rocce, di tutto quel vuoto, di tutta quella morte vinta dalla nostra volontà di vita!1 Ho spedito in California il resto della famiglia, un viaggio che sognavano da tempo. A me non interessa la California, con estremo stupore marito e figlia mi hanno guardato così come si guarda un alieno. Ebbene si, non mi interessa la California e se una cosa non mi stimola a sufficienza non vedo perché dovrei farla. Hanno insistito un poco, poi si sono rassegnati di fronte alla mia fermezza. È stata una settimana caotica trascorsa a preparare bagagli, ritirare biglietti e via di seguito. Abbiamo predisposto i collegamenti via Skype per sentirci e vederci. Belle invenzioni utilissime in questi frangenti. Sono partiti ieri, sabato, così oggi risveglio all’alba e via, una bella escursione liberatoria. Ho bisogno di sudore, di sentire vivo il mio corpo e la fatica mi aiuta a dare misura. Ho voglia di camminare a lungo, non necessariamente di arrampicare. Decido di andare a vedere come sta il campanile. È un appuntamento che mi dò più o meno ogni 6 mesi. Andare a trovare l’Urlo di pietra. Musica a palla lungo tutto il percorso in macchina fino a Cimolais, poi silenzio. Entrata nel parco dopo aver pagato il pedaggio, abbasso entrambi i finestrini e mi godo i rumori della natura che pian piano si sta risvegliando. Parcheggio a Pian Meluzzo, ci sono un paio di macchine soltanto, forse ospiti del rifugio Pordenone. Gli escursionisti arriveranno più tardi. Infilo gli scarponi e prendo lo zaino con acqua e un panino, la maglietta di ricambio e il cappellaccio. Il sole di agosto picchia forte e a mano a mano che si sale il calore aumenta. Il percorso noto mi accoglie aspro come sempre. Pietre 23
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su pietre, pendenze con acqua che scorre, passaggi un po’ viscidi, roccette appuntite, fiori splendidi. In due parole è questo il sentiero: andare, camminare, sbuffare un po’ per la fatica, sentire i muscoli tirare, sudare, rimanendo concentrata e determinata a raggiungere il mio personalissimo. È difficile spiegarsi con chi non è invaso da spirito montanaro. Come si fa a giustificare ore e ore di salite, affanni, fiato corto, peso sulle spalle “solo” per vedere un monolite di roccia? È una di quelle situazioni in cui o ci sei dentro e capisci oppure non capirai mai. Io sono profondamente egoista e utilizzo a pieno la montagna per i miei fini terapeutici. La montagna è l’assoluta metafora della vita, ogni ascesa è un brandello di storia personale che prende forma. Tra un anemone e uno spillo di dama raggiungo quella posizione fantastica che ti fa adocchiare l’urlo. Si erge maestoso, poi lo perdi di vista alla curva successiva, poi nuovamente svetta. Un enorme simbolo fallico che ti fa pensare alla generatività. Forse per questo oggi ho deciso di venire qui, per questa sensazione di protezione e forza che questa montagna sa emanare. Salgo gli ultimi tornantini quasi correndo, il cuore gagliardo che fa accelerare il respiro, i muscoli dei polpacci caldi e scattanti. Non mi soffermo sotto il mostro, oggi non lo salgo, ma mi dirigo direttamente al bivacco Perugini, da lì lo sguardo si può aprire su uno degli scorci più belli della nostra regione. Mi siedo con le spalle appoggiate alla rossa lamiera del bivacco, di fronte a me il campanile si staglia poderoso contro il cielo ancora aspro, di un colore indescrivibile, dal rosa al grigio-azzurro al bianco. Sono arrivata per oggi; mi basta questo, avere la certezza che alcune cose sono ferme e immote, belle e splendenti. Questo campanile per me ha sempre simboleggiato il coraggio, la natura che va contro le sue stesse leggi e si innalza, a dire che si può lottare contro il peso, la forza di gravità, le leggi della fisica. È il mio mentore. Cerco di assorbire questa immagine e di imprimerla bene dentro il mio cervello. Se ci saranno momenti di fatica, dove sarà necessario tirar fuori le palle, richiamerò questa immagine, sarà la prova che esiste la possibilità di farcela e di lottare. Chiudo gli occhi vinta dall’emozione e da un po’ di stanchezza. Mi concedo di lasciarmi scivolare in un delicato torpore, 24
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forse sogno anche qualcosa ma al mio risveglio le immagini svaniscono. Adesso il campanile risplende, i raggi del sole gli fanno da corona, sembra un ostensorio. Mangio il panino e penso che sarà il caso di scendere a valle, la domenica sono parecchi i visitatori che arrivano fino a qui. Lascio spazio a chi dovrà fotografare la star da ogni angolatura. Io ho già preso la mia parte per oggi. Riposata, rilassata, riprendo il cammino a ritroso, passo dopo passo, con lo zaino pieno di buoni propositi e con la mente invasa dalla bellezza. Un buon viatico per i giorni a venire. A Pian Meluzzo non c’è più un angolo libero per parcheggiare. Farò felice quel signore con la Jeep militare, gli lascio il mio posto. Scendo dalla montagna e una volta ancora mi rituffo nel quotidiano. Mentre concludo questo pensiero mi metto a ridere a crepapelle: ha un nonsoché di biblico la discesa dalla montagna. Tempi andati e molto lontani anche per la mia piccola e debole storia.
Note 1. Comici, 1995. 25
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Anche con la malattia vale quello che Bonatti diceva delle esperienze in montagna. Ognuno vive in maniera unica e irripetibile la propria esperienza, sia per arrampicare, fare una semplice passeggiata o scalare un imprevisto Ottomila. Non esistono nella vita mete regalate, anche le più banali sono il frutto dell’impegno e della fatica. Pagine che buttano fuori la paura, il dolore ma che esprimono coraggio, quella forza e quella voglia di credere nel futuro. Trascorsi nove anni dalla scoperta del cancro, per Paola è giunto il momento di donare agli altri questa sua intima esperienza scrivendo pagine dense di significato, tese ad aiutare anche e soprattutto chi sta dall’altra parte. Lì dove il tempo è sospeso, cadenzato solo dalle terapie, dove la vita si stravolge nei ritmi, nelle priorità e nei desideri, bisogna imparare ad aiutare. Un aiuto che non sia invadenza, che non esageri nei modi e nei tempi, perché è importante imparare quella vicinanza discreta che dice sommessamente e con amore: “Io sono qui”.
E non mi chiami signora bella!
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Paola Cosolo Marangon è formatrice e consulente educativa, fa parte dello staff del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza (CPP). Giornalista di settore, è vicedirettrice della rivista “Conflitti. Rivista italiana di ricerca e formazione psicopedagogica”. Insegnante Yoga è autrice di molti testi pedagogici e di narrativa. Ricordiamo tra tutti Fai della natura la tua maestra Erickson 2018, La casa lungo la ferrovia Edizioni Europa 2019, Storia di Rosa Forum 2020.
Paola Cosolo Marangon
“La montagna più alta rimane sempre dentro di noi” Walter Bonatti
Prefazione di Manuela Quaranta Špacapan QUADERNI di
ISBN 978-88-6153-808-5
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