Rivista trimestrale - anno XCVIII
luglio/settembre 2008
Il volontariato Intervista a Francesco Pezzoli Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’ordine francescano secolare
Sommario
Francesco è qui
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a cura della redazione
Il volontariato
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fra Callisto Caldelari
Il volontariato nel Ticino
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intervista a Francesco Pezzoli
Per un’animazione volontaria dei servizi
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don Pietro Borelli
Il volontariato in un convento cappuccino
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fra Boris Muther
La vera letizia francescana
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fra Riccardo Quadri
Messaggio dalla Madonna del Sasso
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fra Agostino Del-Pietro
Le pagine dell’OFS
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fra Michele Ravetta e Clemens Della Casa
Dieci minuti per te
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fra Andrea Schnöller
Che cosa si intende per storia nella Bibbia
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fra Callisto Caldelari
Pluralismo religioso nel Ticino
20 22
Gino Driussi
Messaggi dai conventi… ...e dalle loro adiacenze Abbiamo letto... abbiamo visto…
Comitato di Redazione fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Ugo Orelli fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Claudio Cerfoglia (segretariato) E-Mail redazione@messaggero.ch Hanno collaborato a questo numero Lucia Bernasconi don Pietro Borelli fra Agostino Del-Pietro Clemens Della Casa Gino Driussi Alberto Lepori Fernando Lepori fra Boris Muther fra Riccardo Quadri fra Andrea Schnöller Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch
Alberto Lepori
Il Consiglio ecumenico delle Chiese compie 60 anni
MESSAGGERO Rivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano
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Note dall’amministrazione Compilando la polizza per l’abbonamento alla rivista non mancate di riportare l’esatto nominativo al quale è stata spedita. Ci aiuterete ad abbinare con certezza il pagamento al destinatario. Chi si abbona dall’Italia può effettuare il versamento sul conto corrente postale n. 88948575 intestato a Cerfoglia Claudio - Varese specificando nella causale ‘Abbonamento Messaggero’.
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Francesco è qui
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asta guardare la copertina per capire chi è il personaggio principale presente in questo numero del Messaggero: frate Francesco d’Assisi. Se poi sfogliamo la prima parte, vediamo che il tema di fondo è il volontariato.
È possibile unire i due soggetti? Certamente, se pensiamo che il “volontariato sociale”, che per i credenti può avere il nome di “impegno caritativo”, è una delle caratteristiche del Regno di Dio sulla terra, mentre Francesco, dopo la sua conversione, si presenta come l’ “Araldo del Gran Re”. Ed è proprio questa sua qualifica che fa di Francesco d’Assisi un personaggio amato da tutte le confessioni religiose, perché si è messo al servizio, non solo della Chiesa, ma del Regno di Dio che è tutta l’umanità e, definendosi l’Araldo, specifica immediatamente quale è la sua funzione nel Regno: annunciare Pace e Bene a tutti. Dietro di lui, in tanti secoli, molti uomini e donne si sono dedicati al volontariato sociale nei campi più disparati e difficili; in questo numero presentiamo un ticinese che si unisce a questo stuolo. Il numero termina con quella che noi chiamiamo “La pagina meditativa” che riporta il “Cantico delle creature”. Oltre ad articoli che parlano di Francesco e dei suoi figli, questo numero porta le usuali rubriche con le quali vogliamo essere fedeli al nostro programma di offrire un contributo alla formazione sociale e religiosa dei lettori. Abbiamo le pagine sulla Chiesa curate da Alberto Lepori, quelle sull’ecumenismo di Gino Driussi. Vi sono inoltre due proposte “artistiche”, una sacra rappresentazione che girerà nel Ticino e in Italia, evidentemente ad Assisi sempre su Francesco, e un film “Il vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, documento interessantissimo su Gesù, come è stato visto da una delle prime Comunità cristiane. Rimane comunque il problema degli abbonamenti. Dopo il secondo numero siamo arrivati a 825, numero non sufficiente per continuare. Vorremmo impegnare coloro che si sono già abbonati a trovare (ad offrire) un nuovo abbonamento. Per facilitare questa offerta, coloro che pagheranno l’abbonamento sostenitore per il 2009 (fr. 50.—), potranno indicare un indirizzo al quale inviare, direttamente e gratuitamente, la rivista per un anno. Cogliere quest’occasione vuol dire rendere concreta la propria stima per la nostra rivista. la redazione
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Messaggio tematico
Il volontariato
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olontariato parola con significati diversi datagli dai diversi campi in cui questa attività viene esercitata: sociale, culturale, ecologico, terzomondista (che pone problemi particolari). Ma qui vorrei toccare un rapporto fondamentale per avere un volontariato serio.
Volontariato - etica - politica Diciamo subito che parlare di etica in un settore sociale quale è il volontariato vuol dire parlare di politica. Perché quell’etica che s’interessa della polis, cioè della gestione di ciò che costituisce la città – preso questo termine nel senso più vasto – ha un nome preciso; si chiama appunto politica. Perciò se qualcuno, al termine di questo articolo, dirà che ho fatto un discorso politico, se riesco a dare questa impressione, allora – e solo allora – avrò fatto un discorso veramente etico e non una pappardella moralistica. Ma proprio per iniziare questo discorso-etico-politico, ricordo che il volontariato presuppone una corretta lettura del territorio. Questa lettura può essere varia, per oggi ho scelto tre punti che sono eminentemente politici. Il primo, che alcuni ancora negano è il diffondersi preoccupante della povertà nella ricca Svizzera. Povertà materiale che crea situazioni da Terzo Mondo (dormire sulle panchine della stazione), ma soprattutto povertà culturale (analfabetismo di ritorno), ma che comprende anche la povertà di affetto per i bambini (aumento dei divorzi), di ideali per gli adolescenti, di motivazioni nell’agire per gli adulti. Nella nostra realtà vi è un altro punto preoccupante, ed è il tentativo di rimuovere le responsabilità collettive ed individuali, discriminando soprattutto quelle persone che non hanno potere, creando in loro un atteggiamento di delega preoccupante perché deresponsabilizzante. Da questo secondo punto nasce il terzo: anche da noi ci sono delle forze che tentano di svuotare il senso della democrazia, privilegiando tendenze plebiscitarie e populiste con uso strumentale e distorto di alcuni strumenti, sia di democrazia diretta, come di mezzi di comunicazione.
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Che risposta etico-politica può dare il volontario a questi pericoli? Penso che il volontario, proprio perché più libero ed indipendente dalla strutture professioniste anche se con le stesse deve costantemente collaborare, sia in una posizione di maturare delle risposte efficienti. Al diffondersi della povertà dobbiamo denunciare i fatti sociali di non-vita, ma nello stesso tempo dobbiamo rispondere con un nuovo concetto di ricchezza e per questo la distinzione tra attività profit e no-profit ci deve aiutare. Lo so che fare un discorso sulla ricchezza culturale, affettiva, ecc. non è facile, perché questa parola è troppo legata all’altra: economia; ma non solo “tentar non nuoce”, ma tentare è un dovere! Alla rimozione delle responsabilità e alla tentazione della delega facile a chi ha il potere, dobbiamo rispondere con la partecipazione, creando luoghi e momenti partecipativi, ma con partecipazione – da parte dei volontari – non solo consultiva, ma anche decisionale. A quelle forze politiche che tentano, anche da noi, di far leva sul populismo, svuotando il senso della democrazia, bisogna rispondere che è democrazia anche la maturazione politica lenta delle classi più umili, delle donne, dei giovani. È democrazia anche la capacità di perdere per un momento, in una situazione o consultazione particolare, per far maturare convinzioni che portino a realizzare – più tardi- progetti che la collettività non è ancora in grado di approvare.
La triplice dimensione del volontariato sociale Se il volontario s’impegna a dare queste ed altre risposte ai bisogni politico-sociali, non fa nient’altro che rispondere al suo triplice dovere che non consiste solo nel lavoro sociale, ma anche nello stimolo e critica costruttiva. Forse i volontari non sempre prendono sufficientemente in considerazione i due altri doveri insiti al volontario: quello dello stimolo e quello della critica costruttiva, perché troppo impegnati nella gestione di servizi indispensabili.
Eppure il volontariato – sia a livello personale, come associativo – deve essere stimolo alla collettività, direi deve essere “pungolo” anche nei confronti dello Stato e del suo apparato per spronarlo: a leggere i segni dei tempi (frase di Gesù), cioè i bisogni emergenti, nuovi, o che appena si affacciano all’orizzonte, (es. droga…consultorio) alfine di preparare delle strategie per affrontare questi bisogni, ma soprattutto strategie di prevenzione che siano efficaci, perché nate da un’analisi seria, ma anche duttili quindi facilmente modificabili, preparare delle terapie a breve, medio e lungo termine. In altre parole al volontario si chiede di essere antenna che: capta: in questo senso deve avere un fiuto particolare per captare bene segnala: il volontario deve segnalare alle autorità, senza paura ed all’intera società i segni inquietanti che si affacciano all’orizzonte
sia nei confronti di se stesso e delle sue azioni: autocritica indispensabile per non diventare i “pierini” della buona azione sia nei confronti dello Stato e delle sue leggi e organizzazioni per mantenere e sviluppare il diritto democratico, per poter continuare a dire la propria anche criticamente, approvando o apertamente denunciando. Il termine “critica” io lo preferisco a quello di “verifica”, perché più duro e intransigente potrebbe suscitare sentimenti negativi. Ma criticare etimologicamente vuol dire “passare al vaglio”. Spesso ci si sofferma su quelle critiche che rimangono nel setaccio e che, per la mole dei loro difetti, non possono essere approvate. Ma guardiamo anche quelle che passano per le maglie dei critici più esigenti e sappiamo criticare lodando per il bene che si fa, con la stessa forza con cui critichiamo e deploriamo quello che non va.
Un sogno… ma vorrei che fosse una profezia! indirizza: deve proporre delle soluzioni, almeno per un primo intervento che saranno poi verificate con quelle dei professionisti quando gli stessi si chineranno sul bisogno. La storia di tante persone ed associazioni che lavorano nel volontariato sociale è costituita dal grande impegno da loro profuso in questa funzione di antenna e di stimolo. Anzi possiamo affermare che una persona o un ente cessano di essere a pieno diritto “volontari” se
Voglio concludere con una idea che ha già trovato spazio nella stampa, ma che vorrei trovasse riscontro anche in ambiti politici; una idea… meglio una proposta. È che tutti i giovani svizzeri d’ambo i sessi siano chiamati a dedicare alcuni mesi ad un lavoro volontario a favore della comunità. Ed allora invece di avere un servizio militare obbligatorio per i maschi potremmo avere un servizio volontario obbligatorio (mi si permetta anche questa contraddizione nei termini) per uomini e donne. Ma tutti dovrebbero poter scegliere il campo del loro servizio:
cessano di essere antenna stimolante rimarrebbe l’esercito per chi lo desidera non hanno più la capacità di leggere il futuro che avanza non sono – per usare una forte parola biblica – profezia. Solo se il volontario è stimolo-critico sarà veramente complementare allo Stato che non sempre può essere antenna sul futuro. Oltre che stimolo e profezia il volontariato deve essere luogo di verifica.
nel campo sociale: in attività preparate a ricevere questi volontari, ad impegnarsi seriamente nel campo culturale: quali riordino di archivi, biblioteche, docenti di sostegno, accompagnatori di allievi nel campo ecologico: pulizia boschi, fiumi, sentieri, ecc.. È un sogno?…Vorrei che diventasse profezia!
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Messaggio del Vescovo Intervista a Francesco Pezzoli
Il volontariato nel Ticino Come definirebbe il volontariato dato che di definizioni ve ne sono parecchie? Effettivamente di definizioni ve ne sono parecchie. Tra le varie definizioni mi piace ricordare che il volontariato è una grande ricchezza e una componente fondamentale della società. Il volontariato concorre alla crescita della solidarietà e della responsabilità attraverso la partecipazione attiva degli individui. Dalle dichiarazioni universali sul volontariato si evidenzia inoltre che esso mira alla formazione di cittadini responsabili ed è una pratica di cittadinanza solidale liberamente organizzata volta allo sviluppo della comunità e dei suoi membri. Nella dichiarazione universale sul volontariato sviluppata nel 2001 ad Amsterdam si proclama quanto segue: “Il servizio di volontariato è una costruzione fondamentale della nostra società civile. Esso dà vita alle aspirazioni più nobili del genere umano – la ricerca di pace, libertà, opportunità, sicurezza e giustizia per tutte le persone. In questa era di globalizzazione e continui cambiamenti, il mondo sta diventando più piccolo, più interdipendente e più complesso. Il volontariato – quale attività individuale o di gruppo – è un modo per far sì che: i valori umani di comunità, di assistenza e di servizio possano essere sostenuti e rafforzati; singoli individui possano esercitare i loro diritti e obblighi quali membri di comunità, imparando e crescendo durante la loro esistenza, realizzando il loro pieno potenziale umano; e, collegamenti possano essere fatti tra le differenze che ci separano affinché possiamo vivere insieme in comunità prospere e sostenibili, lavorando insieme per fornire soluzioni innovative alle nostre sfide comuni e per formare il nostro destino collettivo. All‘alba del nuovo millennio, il servizio di volontariato è un elemento essenziale di tutte le società. Acquisisce una portata pratica ed effettiva la dichiarazione delle Nazioni Unite secondo cui “Noi, la gente” abbiamo il potere di cambiare il mondo.” Da un profilo più pragmatico possiamo asserire che il volontariato è un servizio prestato ad altre persone o in favore della comunità, senza retribuzione, per un periodo più o meno lungo a seconda delle disponibilità di ognuno. Le attività riguardano gli ambiti quali il sociale, le cure, l’ambiente, la cultura, lo sport, la politica, la religione
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e la cooperazione internazionale. Il volontariato offre alle persone che lo svolgono nuove ed arricchenti prospettive, la possibilità di apprendimento e il piacere di interagire con altri. È inoltre un complemento significativo all’attività lavorativa e una componente indispensabile al progresso della società.
Nel Ticino è sviluppato il volontariato sociale? Possiamo proprio dire di sì! Il volontariato è ben radicato nella Svizzera italiana e possiamo fortunatamente contare numerose persone che si mettono a disposizione per aiutare gli altri.
È importante distinguere il volontariato organizzato dal volontariato spontaneo. Nel volontariato organizzato possiamo contare tutte quelle persone iscritte nei vari gruppi, associazioni o enti ed è più facile quantificare il numero di cittadini attivi in seno a queste strutture. Viceversa diventa difficile contare tutte quelle persone che fanno delle attività di volontariato spontaneo. Per esempio, la persona che aiuta il vicino di casa in difficoltà o ammalato facendogli la spesa, accompagnandolo dal medico, ecc. Una rilevazione fatta dall’Ufficio federale di statistica evidenziava che in Svizzera vi sono circa 1,5 milioni di persone impegnate nel volontariato organizzato mentre il 23% della popolazione svolge attività di volontariato informale o spontaneo. Se rapportate alla popolazione ticinese, queste cifre corrispondono a circa 80’000 persone impegnate in Ticino in una qualche forma di volontariato. Ciononostante, paradossalmente, i volontari non sono mai a sufficienza. In linea generale, le organizzazioni lamentano una mancanza di volontari. Per quanto concerne la Svizzera italiana le principali organizzazioni sociali attive sul territorio cantonale cercano di promuovere un volontariato come complemento ai servizi professionali, nell’aiuto agli anziani, ai disabili, ai malati o ai bambini. Inoltre esistono molti gruppi di volontariato locale per attività quali visite, accompagnamento e animazione per gli anziani e altre attività.
Quali sono i requisiti che un volontario deve avere per compiere il suo impegno? A mio parere un requisito importantissimo ed essenziale per iniziare un’attività in questo ambito è la motivazione. Senza una solida motivazione diventa difficile sostenere e mantenere qualsiasi attività in qualsiasi ambito di sostegno. Oltre alla motivazione il volontario deve essere disponibile ed aperto a mettersi in discussione. Fare volontariato significa entrare in contatto con sensibilità ed esigenze diverse. Significa sapersi muovere in un contesto sempre più complesso dove interagiscono vari attori e servizi. Quindi, almeno nell’ambito del volontariato organizzato (che è quello che la Conferenza del volontariato sociale principalmente promuove), bisogna essere disposti a confrontarsi e a crescere partecipando ad incontri e momenti formativi per poter assolvere con competenza il proprio ruolo. Tutto questo è possibile se sostenuto da una forte motivazione individuale e dal desiderio di inte-
ragire con l’altro in una relazione che diventa di scambio. Infatti, il volontario dà, ma riceve anche.
Trova giusto che i volontari lavorino gratuitamente o ammette un prezzo politico? Il volontariato è di per se stesso gratuito, altrimenti non sarebbe volontariato. Almeno è questo il concetto di volontariato nel quale la Conferenza del volontariato sociale (CVS) si riconosce e che cerca di promuovere. Si tratta di un gesto gratuito, senza attesa di restituzione, dove dovrebbe essere assente qualsiasi tipo di motivazione economica. Ricordiamoci quanto espresso precedentemente: il volontariato dovrebbe essere un gesto libero e basato su motivazioni personali. Il tempo messo a disposizione non dovrebbe quindi essere retribuito. È però ammesso, anzi auspicato, il rimborso delle spese vive sostenute dal volontario per lo svolgimento della sua attività. Questo è importante perché tutti dovrebbero avere la possibilità di fare volontariato, indipendentemente dalle disponibilità economiche (è anche quanto auspicato nella dichiarazione universale del volontariato). Un riconoscimento economico simbolico, politico è pericoloso. Qual è l’asticella per considerarlo tale? Fino a quanto il riconoscimento può essere considerato simbolico e da quando può essere considerato come lavoro sottopagato? Difficile a dirsi. Per questo motivo, onde evitare qualsiasi malinteso che possa andare a discapito dell’attività di volontariato crediamo sia utile e importante mantenere il concetto di gratuità.
Cosa risponde a chi dice che i volontari rubano il lavoro ai disoccupati? Avvalendomi di quanto esposto nelle domande precedenti, i volontari non rubano e non possono rubare lavoro ai disoccupati in quanto hanno una funzione diversa. Il volontariato è un’attività complementare a quella dei professionisti. Le attività sono di supporto a quelle dei professionisti e si esplicano principalmente nell’ambito della relazione con la persona. Non dobbiamo inoltre dimenticare che il tempo che una persona dedica ad attività di volontariato dovrebbe rappresentare una piccola parte del proprio tempo libero. In linea generale le organizzazioni richiedono una mezza giornata o qualche ora alla settimana. Francesco Pezzoli, Presidente della Conferenza del Volontariato Sociale della Svizzera Italiana
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Messaggio tematico
Per un’animazione volontaria dei servizi
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ono del parere che la nostra Chiesa locale si sforzi enormemente per favorire l’annuncio e la celebrazione, ma poco operi nel campo della diaconia (servizio). L’annuncio è curato in mille modi con: corsi di aggiornamento per preti e laici, corsi alla Facoltà, conferenze, scuole per gli insegnanti di religione e i membri dei vari Movimenti. Anche la celebrazione liturgica ha avuto una importanza storica da noi nell’ambito del rinnovamento conciliare universale. Il Centro di Liturgia, il Libro diocesano “Lodate Dio”, le occasioni di formazione biblica e liturgica sono tali che chi vuole può oggi offrire e godere di una celebrazione di Sacramenti e di Sacramentali viva, luminosa e partecipata. Ma come stiamo sul piano della Diaconia, del servizio concreto ai poveri, a coloro nei quali il Cristo si identifica: affamati, disperati, disoccupati, profughi, carcerati? A questo proposito sento già alcune obiezioni alle quali cerco in parte di rispondere.
Ma ci sono ancora poveri da noi, gente in miseria? La mia risposta è chiara: sì. Le statistiche ci parlano dei “working poors”, delle persone che, pur lavorando, non arrivano a quadrare il bilancio mensile. Ci sono ancora da noi salari bassissimi. Personale non qualificato si accontenta di una paga miserrima (2.000.- fr. al mese) perché non ha alternativa. C’è chi riceve una pensione, che però è così bassa che solo gli consente di non morire di fame. C’è poi chi, con pochi soldi a disposizione, è psichicamente fragile e si lascia abbindolare nel fare spese inutili e costose, che poi tappa ricorrendo al piccolo credito, che finisce per inguaiarlo ancora di più. Si noti che di solito vivono il loro dramma in un disperato nascondimento, bellamente ignorati dalla società.
Ma lo stato oggi non provvede agli indigenti? Innanzitutto persone molto povere sono anche incapaci di districarsi nei meandri della burocrazia, incapaci di riempire un formulario, di fare una telefonata. Il nostro palazzo del Governo sembra del resto una torre fortificata, inaccessibile ai nostri “attacchi” telefonici. Quando si telefona a un certo numero, esso è stabilmente occupato; se si libera per un istante è solo perché una voce asettica ci annunci che la linea è sovraccarica e il personale arcioccupato; a volte poi bisogna premere questo o quel tasto di preselezione e si sbaglia, trovandosi ai piedi della scala “telefonica” maledetta. È certo che per parecchie persone “in regola” lo Stato
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interviene. Ma ci sono miserabili non in regola, come stranieri che per anni hanno lavorato e prodotto senza alcuna copertura assicurativa. Un incidente o una malattia li rende figli e figlie di nessuno. Scoperti dovrebbero andarsene, ma altrove non possiedono nulla. Circa 100.000 persone si trovano in Svizzera in questa situazione estremamente precaria.
Non arrischiamo di aiutare degli imbroglioni? Coloro che non vogliono mai mettere mano al borsellino pongono questa domanda. È possibile che chi bussa alla vostra porta sia un imbroglione (che ci chiede soldi per un viaggio urgente che finirà alla vicina osteria), ma è anche certo che esiste una miseria nascosta, profonda, diffusa, che pure va presa in considerazione. Anche nell’opulenta Svizzera ci sono sacche di miseria nera, trascurate, neglette, che vanno studiate. Per evitare donativi a vanvera é giusto e necessario studiare ogni situazione per tentare un superamento con un piano finanziario che coinvolga da vicino gli interessati.
Non dobbiamo limitarci a dare dei principi? È bene che si dia la canna da pescare piuttosto che il pesce, ma è pur necessario insegnare a pescare e a cuocere il pesce. Forma superiore della diaconia è certo la politica, che ci porta a combattere le cause della miseria. Ma intanto che studiamo, analizziamo, votiamo e prepariamo programmi, non possiamo lasciare morire di fame nessuno.
Per una risposta concreta Parlo basandomi sull’esperienza accumulata in tanti anni. Per ciò che riguarda il Ticino penso che oggi sia indispensabile creare in tutti i principali nuclei del Cantone una Sezione della Conferenza di San Vincenzo. Basta un manipolo di volontari, guidati dal parroco, a muovere le acque e a tenere regolarmente “Conferenze” (nella massima discrezione) sulle persone che si visitano nell’ambito della Parrocchia (o fuori). Anche in Parrocchie di media grandezza le situazioni di povertà sono numerose e tendono a crescere. Basta un imprevisto (fattura del dentista) per destabilizzare un modesto budget familiare. L’intervento discreto di volontari può sanare definitivamente situazioni che avrebbero trascinato nei gorghi del fallimento. La San Vincenzo in Ticino é formata anche da persone, aiutate in un momento difficile, che si sono riprese egregiamente e ora possono aiutare gli altri.
La stima che la Conferenza di San Vincenzo gode presso le Autorità politiche è tale che spesso viene coinvolta in situazioni dove l’assistenza comunale non arriva da sola. Trattando con i creditori, come San Vincenzo, si ha anche la possibilità di chiedere una notevole riduzione del debito, che permetta il versamento di un saldo molto inferiore alla cifra dovuta. Il vantaggio della San Vincenzo in Parrocchia è anche questo: se opere diaconali legate a un Parroco svaniscono con la partenza di quest’ultimo, la San Vincenzo, gestita da laiche e laici, continua la sua opera, collegata alle altre Sezioni del Ticino, della Svizzera e del mondo intero. Per quanto possa sembrare incredibile, i fondi per aiutare i poveri vengono sempre a galla, anche in situazioni estreme. In Ticino si investono ogni anno centinaia di migliaia di franchi per soccorrere i più poveri. L’aiuto della popolazione non è mai venuto meno e i volontari sono i primi che contribuiscono al finanziamento della loro modesta cassa.
Un’opera ecclesiale La San Vincenzo idealmente dovrebbe coinvolgere ogni cristiano e cristiana, visto che possiamo annunciare il Vangelo solo se lo rendiamo credibile con un servizio di condivisione. Al proposito leggiamo quanto é scritto nel libro degli Atti degli apostoli (AT 2,42-48; 4,32-35); e allora comprenderemo come questo aspetto della vita delle nostre Comunità ha bisogno di essere maggiormente compreso e vissuto. Qui abbiamo il vantaggio di
non avere spese amministrative. Opere caritative che vedono assorbite le loro entrate nei salari per i funzionari che le gestiscono danno minor fiducia al popolo. È importante poter garantire che il franco che si riceve va interamente a chi e nel bisogno. Per principio però non si aiuta con somme di danaro, ma con “buoni” per l’alimentazione e con il pagamento di fatture scoperte. Un compito faticoso ma essenziale é quello di educare a spendere bene, a gestire un corretto budget familiare, rigando diritto nel sacrificio e nella dignità. L’auspicio è che si possa scuotere tutto il tessuto ecclesiale. Non esiste una fede credibile disincarnata. Si legga la Lettera di Giacomo o Matteo 25 o i Profeti del primo Testamento per convincersi che il nostro rapporto con Dio é autentico solo se sostanziato dai fatti. Se il fratello o la sorella hanno fame o freddo, è ipocrita e blasfemo dire delle parole consolatorie e lasciarli nella loro disperazione (cf. GC 2,15-16) La Chiesa primitiva si é diffusa in un baleno nel bacino mediterraneo per la fraternità concreta che irradiava. Lo stesso ministero di Pietro a Roma si esercitava non con l’invio di documenti cartacei, ma con incessanti soccorsi di viveri e danaro alle Chiese più povere, che arrivavano così ad aiutare anche i non cristiani nell’indigenza. Solo una Chiesa che vive a fondo la diaconia é credibile. Certo una predica, una celebrazione “costano” meno. Ma se non ci portano a impegni concreti, diaconali al servizio del prossimo vicino e lontano, non valgono nulla. don Pietro Borelli
I 10 CONSIGLI PER I VOLONTARI E PER CHI LAVORA PER UN MONDO PIÙ GIUSTO 1 Presenta con convinzione l’obiettivo del tuo lavoro 2 Impegnati con generosità, non per ricevere ricompense economiche o ringraziamenti, ma perché credi nel tuo lavoro 3 Non appoggiarti troppo ai mezzi economici a tua disposizione 4 Dona soprattutto la pace che porti in te e la simpatia che ti sei impegnato a sviluppare nel tuo cuore 5 Nei tuoi rapporti col prossimo, sii spontaneo, ma non ingenuo 6 Nei momenti più difficili, non perderti di coraggio 7 Se le cose ti vanno bene non insuperbirti, tieni i piedi per terra 8 Non avere, né paura, né vergogna delle tue scelte anche se sono controcorrente 9 Non preoccuparti troppo per il domani, lavora piuttosto per l’oggi e nell’oggi 10 Non spaventarti davanti al sacrificio di donare, quotidianamente, la tua vita per la causa scelta
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Messaggio tematico
Il volontariato in un convento cappuccino
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Lugano, come nella gran parte dei Conventi francescani esiste un servizio a favore dei poveri, che ricalca pienamente l’autentico carisma francescano.
Sull’arco della giornata coloro che varcano la soglia della Mensa possono usufruire di pasti caldi: colazione, pranzo e cena. Il più delle volte si tratta di persone che per vari motivi sono scivolate ai margini della società: disoccupati, invalidi, assistiti, tossicodipendenti, rifugiati, senza tetto. Esse trovano nella Mensa uno spazio accogliente, un luogo d’incontro e soprattutto una risposta ad un bisogno primario: quello di nutrirsi. La povertà in Ticino purtroppo è un fenomeno in crescita; questo dato è evidenziato dalla media gior-
naliera dei pasti serviti, circa una ventina. Il numero di pasti caldi serviti dall’inizio dell’anno sino a settembre ammonta a circa 3250. Questo prezioso servizio è garantito dai frati più giovani e da alcuni volontari laici. Per quanto riguarda l’approvvigionamento dei generi alimentari possiamo contare sulla generosità dei privati e sulle iniziative di vari Enti. Nelle scorse settimane la Comunità dei frati cappuccini di Lugano ha avuto la grande gioia di festeggiare i quarant’anni di servizio di fr. Egidio come portinaio. Per molti anni egli si è pure occupato dell’accoglienza dei Poveri e ancor oggi non manca di dare una mano.
fra Egidio Buzzini
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Il male della malinconia Secondo l’agiografo, per Francesco la malinconia e la tristezza sono opera diabolica. Egli le paragona alla polvere che può penetrare perfino nei più piccoli spiragli della coscienza di una persona, in modo tale che il candore della mente e la purità della vita restino offuscati o insudiciati. Il demonio, come il serpente, tenta di iniettare nel servo di Dio il veleno mortale della malinconia, che Francesco chiama addirittura “il peggiore di tutti i mali”. In tal modo, l’animo “melanconico, desolato e piangente” può facilmente essere sopraffatto dalla tristezza. Ma — dice Francesco — un rimedio c’è, ed è la preghiera, una preghiera incessante, la quale è in grado di restituire al servo di Dio la sua gioia interiore. Se invece egli persiste a rimanere nella tristezza, si troverebbe nella stessa cupa situazione di Gerusalemme assediata dal re di Babilonia, paragonata dal profeta
Ezechiele ad una “caldaia arrugginita”. Come si legge nello “Specchio di perfezione” (un testo francescano che risale al 1318), Francesco “non voleva leggere sui volti quella tristezza che sovente riflette indifferenza, cattiva disposizione dello spirito, pigrizia del corpo ad ogni buona opera. Amava invece caldamente in se stesso e negli altri gravità e compostezza nell’aspetto e in tutte le membra del suo corpo e nei sensi, e induceva gli altri a ciò con la parola e con l’esempio, per quanto poteva” (FF 1795).
Il bene della letizia Come rileva l’agiografo, il “Santo assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille insidie e astuzie del nemico”. Per questo “cercava di rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l’unzione dello spirito e l’olio della letizia“. Nel citato “Specchio di perfezione”, si dice che “Francesco s’impegnò sempre con ardente passione ad avere, fuori della preghiera e dell’ufficio divino, una continua letizia spirituale intima ed anche esterna. La stessa cosa amava e apprezzava nei fratelli, chè anzi era pronto a rimproverarli quando li vedeva tristi e di malumore” (FF 1793). Per lui, la letizia spirituale sgorga “dalla innocenza del cuore e dalla purezza di una incessante orazione”. Dice che “sono queste due virtù che bisogna soprattutto acquistare e conservare, affinché la gioia, che con ardente desiderio amo sentire in me e in voi, possiate averla nell’intimo e nell’espressione, per edificare il prossimo e sconfiggere l’avversario. A questi, infatti, e ai suoi seguaci si conviene la tristezza; a noi di godere ed essere felici sempre nel Signore” (FF 1793). Proprio per questo, una volta così redarguirà uno dei suoi compagni che aveva un’espressione tetra. “Perché mostri fuori il dolore e la tristezza delle tue colpe? Tieni questa mestizia fra te e Dio, e pregalo che, nella sua misericordia, ti perdoni e renda alla tua anima la gioia della sua grazia, che hai perduto a causa del peccato. Ma davanti a me e agli altri, mostrati sempre lieto; poiché al servo di Dio non si addice di mostrare malinconia o un aspetto afflitto davanti al suo fratello o ad altri” (FF 1794). Francesco, tuttavia, non intendeva che la letizia spirituale o la vera gioia si manifestasse all’esterno “con risa o parole oziose, poiché in tal modo non si esterna la letizia spirituale, ma piuttosto la vacuità e la fatuità”. Proprio per questo egli “nel servo di Dio detestava le risa e le ciarle” (cfr. FF 1794). Cosa concludere? Che Francesco è stato sì un grande santo, ma senz’altro anche un esperto psicologo. fra Riccardo Quadri
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Conoscere Francesco
È
noto che Francesco d’Assisi è universalmente conosciuto come il santo della letizia e della gioia spirituale. Per lui il bene della letizia e della gioia spirituale rappresenta l’opposto della malinconia e della tristezza. Per tentare di capire il significato di questa sua convinzione, vediamo innanzi tutto ciò che ci dice l’agiografo fra Tommaso da Celano nella sua Vita Seconda. “Questo Santo assicurava che la letizia spirituale è il rimedio più sicuro contro le mille insidie e astuzie del nemico. Diceva infatti: “Il diavolo esulta soprattutto, quando può rapire al servo di Dio il gaudio dello spirito. Egli porta della polvere, che cerca di gettare negli spiragli, per quanto piccoli, della coscienza e così insudiciare il candore della mente e la mondezza della vita. Ma — continuava — se la letizia di spirito riempie il cuore, inutilmente il serpente tenta di iniettare il suo veleno mortale. I demoni non possono recare danno al servo di Cristo, quando lo vedono santamente giocondo. Se invece l’animo è malinconico, desolato e piangente, con tutta facilità o viene sopraffatto dalla tristezza o è trasportato alle gioie frivole”. Per questo il Santo cercava di rimanere sempre nel giubilo del cuore, di conservare l’unzione dello spirito e l’olio della letizia. Evitava con la massima cura la malinconia, il peggiore di tutti i mali, tanto che correva il più presto possibile all’orazione, appena ne sentiva qualche cenno nel cuore. “Il servo di Dio — spiegava — quando è turbato, come capita, da qualcosa, deve alzarsi subito per pregare, e perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza. Perché, se permane nella tristezza, crescerà quel male babilonese e, alla fine, genererà nel cuore una ruggine indelebile, se non verrà tolta con le lacrime” (FF 709; le parole in corsivo sono delle reminiscenze bibliche).
Messaggio dal santuario
La biblioteca della Madonna del Sasso Nel corso dell’inverno e della primavera 2006 la signora Veronica Carmine ha avuto modo di studiare a fondo la biblioteca del Santuario della Madonna del Sasso. La Zentralbibliothek di Zurigo l’aveva infatti incaricata di redigere un apposito articolo da inserire nel Repertorio dei fondi antichi a stampa della Svizzera. Abbiamo chiesto alla ricercatrice di riassumere per i lettori di Messaggero i risultati del suo studio. Qui è pubblicata la prima parte del suo lavoro: nel prossimo numero la conclusione. Per chi fosse interessato a leggere la descrizione dettagliata può consultare il Repertorio dei fondi antichi a stampa della Svizzera (v. homepage della Zentralbibliothek di Zurigo). La biblioteca è amministrata dalla Regione dei Cappuccini della Svizzera italiana, l’accesso è consentito solo su appuntamento telefonando allo 091/743 62 65 o annunciandosi all’indirizzo e-mail: madonnadelsasso@cappuccini.ch
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n un’ala del convento vi è una porta che apre ad un mondo affascinante, dove il tempo sembra fermarsi e lo sguardo del visitatore ne rimane appagato: la biblioteca. I numerosi libri antichi disposti sugli scaffali in legno e protetti dalla polvere da apposite tendine numerate, sono testimoni di un’epoca lontana in cui lo studio e il rispetto per il sapere si svolgeva in un luogo silenzioso e secondo ritmi di vita estranei alla frenesia della nostra contemporaneità. Il corpo centrale della biblioteca, illuminato da un grande lucernario, si impone alla vista per il corridoio del soppalco che corre lungo le pareti, passando da una stretta scala in legno. Al centro è collocato uno schedario dattiloscritto e alcuni libri di consultazione sul convento. Le due parti estreme al corpo centrale della biblioteca sono invece caratterizzate da una grande vetrata che cattura la luce esterna, mentre un piccolo antro, legato ad una delle due parti, è senza apertura luminosa.
Quanti libri contiene la biblioteca del Santuario? Quali le tematiche più rilevanti? Sono circa 14’000 i volumi che compongono la biblioteca: di questi la metà sono pubblicazioni avvenute
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dopo il 1901, l’altra metà tra il 1472 e il 1900. Lo studio specifico del fondo antico consente di individuare le epoche più importanti: l’Ottocento al primo posto, segue il Settecento con circa 2’000 volumi, il Seicento con un migliaio di volumi, circa cinquecento opere pubblicate nel Cinquecento e una quarantina tra il 1472 e il 1500. A differenza delle biblioteche di altre congregazioni e ordini, i conventi dei frati cappuccini conservano sopra tutto opere inerenti alla religione praticata, con preghiere, libri di pietà, devozionali e altri, perché l’attività dei frati era rivolta, oltre che agli esercizi spirituali individuali, alla cura del popolo. Si tratta di una “biblioteca di consultazione” predisposta allo studio e alla ricerca di argomenti per la predicazione. Alla Madonna del Sasso questo tipo di letteratura è perlopiù ottocentesco, come conferma Padre Pozzi nella presentazione del libro La Madonna del Sasso fra storia e leggenda: “nella biblioteca attuale poco si coglie nell’ambito delle motivazioni che legarono la pietà del popolo a quella dei frati. Non c’è quasi traccia antica, anteriore al tardo Ottocento, di preghiere e giaculatorie legate al culto qui professato, né di canti, voti scritti, atti singolari legati a pellegrinaggi od alle ricorrenze; o almeno non risultano a nostra portata di mano. […] Non sono sopravvissuti i rituali mariani e soprattutto benedizionali, libri di pietà che potevano informare sui tipi di devozione propagandistica sulla loro recezione da parte del popolo. Anche i sermoni non sono sopravvissuti, solo quelli di epoca recente riflettono lo stile popolare dell’oratoria stessa”. L’assenza di una parte di libri antecedenti all’Ottocento che componeva la biblioteca può avere diverse spiegazioni, si suppone che, una fra le tante, sia legata all’abitudine dei frati italiani e svizzeri di spostarsi da un convento all’altro per determinati periodi con lo scopo di praticare e diffondere la loro missione nelle diverse zone del cantone. Con sé portavano il minimo indispensabile e a volte alcune opere usualmente registrate in uscita dal bibliotecario del convento di applicazione. Inoltre l’alto numero di ottocentine testimonia di un fatto storico molto importante: a seguito dei decreti del 1848 in cui si decidevano la soppressione dei conventi e la confisca dei beni ecclesiastici, il Santuario, che prima del 1848 apparteneva ai frati conventuali che avevano la loro sede principale al convento di S. Francesco in Locarno, fu affidato dall’autorità governativa in custodia ai cappuccini. Nella sua biblioteca confluirono opere provenienti dai due conventi locarnesi di San Francesco e dei Santi Rocco
e Sebastiano, come bene descrive p. Callisto nei giorni 25-28 luglio 1848: dapprima avvenne il decreto del Governo di espulsione dei frati conventuali dal Sasso (per la maggior parte italiani), poi, qualche giorno dopo il governo decise di mettere a custodia del Santuario Alessandro da Giornico, cappuccino del convento dei ss. Sebastiano e Rocco (S. Eugenio) di Locarno. Quindi dopo quell’estate il Santuario divenne proprietà del Cantone (ancora oggi), ma gli fu risparmiata la chiusura. In esso giunsero i frati del convento locarnese di San Rocco, mentre quelli di San Francesco furono allontanati dal territorio cantonale. A seguito di questi avvicendamenti confluirono nella biblioteca libri dei conventi di San Francesco e di San Rocco, come bene testimoniano le firme dei due conventi nella dicitura “Applicato alla libraria di…, ad uso di…”. Altri libri si sono aggiunti nel corso dell’Ottocento grazie a donazioni di religiosi o laici e in tal caso sono spesso esenti da questa dicitura.
Prima di descrivere da vicino le varie discipline che compongono la biblioteca, va rilevato il particolare valore di “biblioteca di consultazione”, coerente con i principi comunitari dell’Ordine. I libri si consultano, nessuno ha proprietà assoluta su un libro che acquista, tra l’altro, solo su licenza del Superiore. Quindi ogni libro era di tutti, doveva essere accessibile a chiunque; l’unico segno illusorio di possesso era indicato nella dicitura “ad uso di…”, dalla quale si risaliva al frate che era dedito più di altri allo studio di quell’opera. Chi partiva dal convento lasciava i libri che aveva usato in sede, ad eccezione di casi in cui, come detto altrove, venivano portati con sé solo su consenso dei superiori. Al giorno d’oggi questa dicitura è preziosa per chi intenda ricostruire i movimenti di libri avvenuti nei conventi ticinesi in concomitanza con gli spostamenti dei frati provenienti da conventi italiani, ticinesi, svizzero tedeschi e grigionesi. [segue nel prossimo numero]
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Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare
Cronache dalle Fraternità
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l pomeriggio dell’8 giugno scorso nella parrocchia di Stabio abbiamo vissuto un solenne atto ecclesiale: durante la S. Messa, presieduta da fra Michele Ravetta e alla presenza del nostro parroco don Andrea, nonché della ministra regionale Gabriella Modonesi e di tutta la Fraternità, ha avuto luogo il rito della Professione di tre candidate: Crivelli Nirvana, Della Casa Linda, Gerosa Mariella, che avevano terminato il periodo di preparazione francescana. La Professione è promessa di vita evangelica nell’Ordine francescano secolare, osservandone la Regola (o forma di vita); con la Professione si manifesta l’inestimabile dono del Battesimo; è un momento forte: Cristo ci incontra in modo particolare, ci prende come siamo, con le nostre qualità e i nostri difetti e S. Francesco ci è di guida nel nostro cammino. Appartenere all’OFS è un modo per inserirsi in maniera vitale nella Chiesa, un impegno alla testimonianza e un mettere a disposizione le proprie attitudini, a partire dalle cose piccole, a cominciare dalla propria famiglia, per aprirsi a quelle più grandi. L’aiuto necessario si attinge nella buona conoscenza del Vangelo, nella preghiera, nei Sacramenti e nella formazione francescana. La nostra ministra regionale ha accolto con molto entusiasmo la continuità del Terz’Ordine francescano, esprimendo molta considerazione nei confronti delle nuove arrivate. Quest’ultime avevano, in precedenza, ricevuto la “Regola” o “norma di vita”, che inizia così: ”Osservare il Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo secondo l’esempio di S. Francesco d’Assisi, il quale del Cristo fece l’ispiratore e il cen-
tro della sua vita con Dio e con gli uomini”; i francescani secolari si impegnino, inoltre, ad una assidua lettura del Vangelo, passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo”. “La Chiesa ha sempre avuto in grande stima questa “forma di vita” che lo Spirito Santo suscita per il bene della Chiesa e dell’umanità (Paolo VI, lettera apostolica Seraphicus Patriarcha); per mezzo delle Regole approvate dai sommi pontefici Niccolò IV, Leone XIII e Paolo VI, ha curato che questo genere di vita sia debitamente adattato, nel corso dei tempi, alle esigenze e alle richieste della Chiesa stessa. Giovanni Paolo II già esortava: “Studiate, amate, vivete la Regola dell’OFS; essa è un autentico tesoro nelle vostre mani, sintonizzata allo spirito del Concilio Vaticano II e rispondente a quanto la Chiesa attende da voi”. Continua così e si rinnova ciò che è stato fondato e portato avanti con dedizione e impegno dalle persone che ci hanno preceduto. Vogliamo anche ringraziare fra Michele Ravetta che, per motivi di forza maggiore, ci lascia quale Assistente spirituale. Dal 2002, con grande disponibilità e competenza ci ha accompagnati anno per anno nel seguire i vari sussidi di formazione francescana, ed è stato testimone degli avvenimenti della nostra Fraternità. La sua presenza è stata preziosa, come pure la sua testimonianza. Al termine della celebrazione ci siamo ritrovati tutti insieme all’Oratorio per un momento di convivialità (contornato da dolci e bibite) a festeggiare e a manifestare la nostra gioia nel sentirci tutti fratelli. Clemens Della Casa
Casa S. Elisabetta
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edele alle finalità del suo Fondatore, Padre Aurelio da Lavertezzo, la Casa Santa Elisabetta offre aiuto e ospitalità a giovani madri in difficoltà con problemi sociali, psichiatrici o di dipendenza, alle donne maltrattate o vittime di violenza, alle madri nubili con i rispettivi figli senza discriminazione di nazionalità, religione ed età.
L’associazione Casa Santa Elisabetta si è costituita legalmente il 26 maggio 1947 ed è responsabile della conduzione della Casa, la quale è di proprietà dell’Ordine Francescano Secolare della Svizzera italiana. Riconosciuta dallo Stato del Canton Ticino nell’ambito della Legge Famiglia, beneficia dei suoi sussidi che vengono integrati grazie alla generosità di donazioni di Enti e di privati La Casa Santa Elisabetta venne aperta nel lontano 1947 su iniziativa del cappuccino ticinese padre Aurelio da Lavertezzo. Il religioso intuì i gravi bisogni in cui si trovavano le madri nubili, spesso abbandonate a sé stesse, in tempi nei quali la nascita di un bambino al di fuori del matrimonio era ancora considerata una vergogna: padre Aurelio promosse un’opera di assistenza tuttora senza pari in Ticino. Dalla sua fondazione sino al 1974 vennero accolte nella Casa soprattutto le future mamme che vi potevano soggiornare per pochi mesi dopo il parto sino al momento di trovare adeguata sistemazione. Dal 1974 al 1985 il periodo di soggiorno venne prolungato sino ai sei mesi dalla nascita del bambino in seguito sino al raggiungimento dei tre anni di età con l’introduzione dell’asilo nido. La Casa nel tempo ha sempre saputo adeguarsi a quelli che erano i bisogni sociali del momento ed ora si trova confrontata con una casistica ancora più ampia che vede accolte anche madri minorenni.
Attualmente possiamo accogliere in internato 11 madri con i loro figli e 12 bambini senza la presenza della madre perché collocati d’Autorità per gravi problemi legati alla sfera familiare. L’obiettivo, per quanto riguarda le madri, è quello di aiutarle nel loro ruolo genitoriale offrendo un contesto socio-educativo; compito non sempre facile a causa del loro bagaglio di vita e la loro strada già costellata da gravi problemi familiari e/o personali che ne hanno condizionato l’equilibrio, la fiducia negli altri, la capacità di organizzarsi con ritmi e impegni regolari. Tutte queste problematiche rendono loro di difficile attuazione il comprendere e far fronte alle necessità del figlio sapendo anteporre quelli che sono i bisogni di quest’ultimo ai propri. La presa in carico non può non tener principalmente conto del ruolo affettivo/materno di tutto il personale. Solo in questo contesto, ristabilendo cioè un clima di fiducia, si può pensare di poter ottenere dei risultati. Il significato non può che tradursi nella capacità di saper gestire nella completa trasparenza la relazione con la nostra ospite: trasparenza che deve rimandare loro tutti quegli aspetti, quei comportamenti che non possono essere compatibili con il loro ruolo genitoriale. Anche la gestione finanziaria, scolastica/lavorativa e abitativa futura rientrano nei compiti da noi assunti per gestire al meglio l’ospite nella sua individualità. Accompagnare la madre verso la propria autonomia al termine del loro soggiorno risulta essere il nostro traguardo più ambito altrimenti nei casi in cui la capacità genitoriale è in discussione ci proponiamo di offrire un progetto alternativo al minore: adozione in rari casi, affidamento familiare, altre strutture sociali per accompagnarli fino alla maggiore età, foyers a conduzione più familiare. Questi progetti vengono messi in atto anche per i minori presenti in istituto senza la madre. Il personale formato (educatori, maestri, psicologi, infermiere, ecc) condivide i principi della Casa che si rifanno ai valori cristiani di rispetto della vita in ogni suo momento e operano all’interno della Casa adeguandosi all’impostazione della stessa. Le operatrici devono avere un’attitudine all’ascolto e grande disponibilità ed elasticità. Lucia Bernasconi Mari, Direttrice
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Lo smarrimento di Arjuna
Dieci minuti per te
lo yoga della disperazione: un cammino di purificazione
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ommentando lo scoramento di Arjuna che, su «quella terra santa che è la terra dei Kuru», deve uccidere in battaglia parenti, amici, grandi guerrieri e maestri, Bedhe Griffiths osserva: «Ogni capitolo della Bhagavad Gita si occupa di uno yoga particolare». Il titolo di questo primo capitolo è: Lo yoga della disperazione di Arjuna. In realtà, «l’esperienza della disperazione è uno yoga», cioè rappresenta un evento interiore che, in molti casi e per molte persone, costituisce «il primo passo sul sentiero della vita spirituale». Ossia, è proprio in virtù di quel impatto con la disperazione che uno si risveglia dalla propria apatia e sonnolenza e decide d’intraprendere qualcosa di nuovo e di significativo per lui. È molto importante – afferma Bede Griffiths – «attraversare l’esperienza del vuoto, della disillusione e della disperazione. Molti si risvegliano alla realtà divina e all’esperienza della trasformazione nella loro vita solo dopo aver raggiunto l’acme della disperazione».1 Il senso del vuoto, la disillusione e la disperazione, però, non sono solo occasioni e incentivi a intraprendere un nuovo cammino. Essi sono anche elementi costitutivi del cammino stesso. Ogni cammino interiore, infatti, procede tra alti e bassi: tra momenti di grande slancio, entusiasmo e gratificazioni, e altri mementi in cui dominano l’aridità, la stanchezza, lo smarrimento, la confusione. San Giovanni della Croce parla di passaggi attraverso l’oscurità e la notte: notte dei sensi e notte dello spirito. Lo scopo di queste involontarie immersioni nell’oscurità e nella notte hanno lo scopo di purificare la mente e il cuore dell’uomo. Per questo, «gli autori spirituali chiamano anche, queste notti e quest’oscurità, via purgativa o purifica-
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zione dell’anima». Giovanni della Croce preferisce chiamarle notti, perché, «sia nell’una che nell’altra, l’anima cammina al buio, come di notte».2 Ma perché il cammino interiore, che conduce a realizzare, attraverso la piena accoglienza dell’azione creatrice di Dio in noi, la verità di noi stessi, è un cammino nel buio e nella notte, ossia: contrassegnato da fatica, d’incertezza e smarrimento? Il primo motivo, dice Giovanni della Croce, si deve al fatto che, se vogliamo davvero pervenire alla pace del cuore, è indispensabile coltivare il giusto o affettuoso distacco in rapporto a tutto ciò che non è Dio. È solo aprendoci incondizionatamente a Dio che l’aspirazione del nostro cuore trova il suo definitivo appagamento. «Il nostro cuore – diceva sant’Agostino – è irrequieto fino a quando non riposa in te». Di conseguenza – suggerisce san Giovanni della Croce – occorre «privarsi del godimento di tutte le cose temporali, rinunciando ad esse». Questo privarsi del godimento di tutte le cose temporali non significa, né per Giovanni della Croce né per altri autori spirituali, disprezzare le cose o svalutare i beni temporali. Si tratta piuttosto di affrancarci da quel desiderio possessivo che ci impedisce di godere pienamente delle cose, con gratitudine e in libertà. Ma, giusto o affettuoso distacco che sia, si tratta comunque di un processo di purificazione e di crescita, che comporta rinuncia o privazione; e «tale rinuncia o privazione costituisce spesso una vera e propria notte per tutte le passioni e i sensi dell’uomo», ossia per le naturali tendenze della natura umana, che istintivamente si aggrappa alle cose piacevoli e nutre avversione nei confronti di quelle spiacevoli.3 Ma c’è anche un ulteriore motivo
per cui il cammino interiore passa attraverso momenti di oscurità e di notte. Infatti, ogni cammino di crescita interiore reclama un atteggiamento di abbandono, ossia di fede-fiducia. Ma l’atteggiamento di fede-fiducia e di abbandono può risultare «oscuro all’intelligenza come la notte».4 In effetti, per quanto un sentiero abbia «un cuore» e, quindi, si riveli come un «buon sentiero», in realtà non sai dove ti porta. Ogni sentiero presenta sempre anche un incognita: comporta del rischio e, a volte, si passa attraverso momenti di grande fatica. Il terzo motivo per cui il cammino interiore è un immergersi nell’oscurità e nella notte è in stretta relazione con l’aspirazione suprema del cuore umano, ossia Dio, che è «luce senza misura».5 Dio non si lascia definire dall’uomo. Lo si incontra, ma nell’oscurità della fede. Essere aperti a Dio è un possedere, ma nella speranza, un conoscere, ma senza vedere.6 Perché «un Dio che esiste» – che si lascia definire e dimostrare dall’uomo – non è Dio, «non esiste», dice Bonhoeffer. Lo stesso Concilio Vaticano II parla dell’esperienza di Dio come dell’incontro con un’energia arcana, che si palesa nell’universo, ma trascende continuamente ed infinitamente ogni nostra esperienza. Dio «essendo incomprensibile e infinitamente superire ad ogni umano intendimento, è certamente notte oscura per l’anima in questa vita», afferma san Giovanni della Croce.7 Il passaggio quasi obbligato attraverso queste tre notti, spiega la crisi di Arjuna. Arjuna – ci diceva Bede Griffiths nell’ultimo appuntamento che abbiamo avuto – è quella dell’uomo che lascia l’Egitto – l’egoismo e le sue seduzioni. Egli prende le debite distanze dalle apparenze, ossia da tutto ciò che, pur apprezzabile e buono, non rappre-
senta tuttavia l’Assoluto, la Realtà ultima. Si inoltra nel deserto – il luogo delle scelte essenziali e dell’incontro con l’Incondizionato, che è «luce senza misura». A questo punto, però, il suo stato di pellegrino, «è spesso quello di chi ha rinunciato a tutto, ma sembra non avere guadagnato nulla». Arjuna, quindi, «depone le armi e rifiuta di combattere, perché non sembra esserci nulla per cui valga la pena combattere». La sua crisi appare del tutto comprensibile. Dopo aver intrapreso il cammino interiore, dopo essersi è consegnato alla fede-fiducia, ora deve attendere, con paziente perseveranza, che «sorga la stella del mattino». Quest’attesa, che è appunto «un possedere, ma nella speranza, un conoscere, ma senza vedere»,8 è spesso dolorosa e sofferta. Oltre tutto, più ci si avvicina alla Sorgente, e più si rimane abbagliati del suo splendore. Dio, che è luce, ma è anche tenebra per l’uomo. Scrive san Giovanni della Croce: i tre passaggi che ho chiamato notti, li possiamo anche considerare come tre parti di un’unica notte. «La prima, quella dei sensi, corrisponde al calar delle tenebre, quando non si ha più percezioni delle cose circostanti; la seconda, quella della fede, può essere paragonata alla mezzanotte, quando l’oscurità è profonda; la terza, che è Dio, corrisponde all’alba che precede la luce del giorno».9 Ma subito aggiunge: quest’alba, che qualcuno ha chiamato illuminazione prima dell’illuminazione, spessa risulta più oscura non solo del crepuscolo, ma anche della mezzanotte. Infatti, «Dio è certamente notte oscura per l’anima in questa vita». Dopo ave condotto l’uomo attraverso la notte dei sensi e quella della fede, Dio si comunica a lui, ma «in modo tanto intimo e segreto da sembrare un’altra notte;
anzi, finché dura questa comunicazione, è una notte molto più oscura delle precedenti».10 Krishna cerca di rincuorare Arjuna. Anzi, lo riprende, rinfacciandogli la sua pusillanimità. Ma lo smarrimento di Arjuna è tale per cui, dopo aver inutilmente protestato, non gli rimane altro che sprofondare nel silenzio, in attesa che spunti il giorno. 2.1
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Allora sorse lo spirito di Krisha e parlò ad Arjuna, il suo amico, che con gli occhi pieni di lacrime era sprofondato nella disperazione e nel dolore. 2.8
Disse Krishna: 2.2
Da dove viene questo scoramento, Arjuna, in quest’ora, nell’ora della prova? I forti non conoscono la disperazione, perché non fa guadagnare né il cielo né la terra. 2.3 Non cadere in questa vile debolezza, perché non si addice a un uomo che sia tale. Getta via questo ignobile scoramento e alzati, come un fuoco che brucia tutto ciò che ha davanti. Disse Arjuna: 2.4
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Io provo venerazione per Bhisma e Drona. Dovrei uccidere con le mie frecce il fratello di mio nonno, il grande Bhisma? E le mie frecce dovrebbero colpire in battaglia Drona, il mio maestro? Dovrei uccidere i miei maestri, che nonostante siano bramosi del mio regno, sono anche i miei sacri insegnanti? In questa vita preferirei mangiare il cibo dei mendicanti,
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piuttosto che il cibo reale mescolato al loro sangue. E non sappiamo se per noi è meglio la vittoria loro o la nostra. I figli di mio zio e re, Dhritarastra, sono qui di fronte a noi: dopo la loro morte, potremmo desiderare ancora di vivere? Nella notte oscura della mia anima provo desolazione. Sento commiserazione per me stesso e non vedo la via della giustizia. Sono tuo discepolo, vengo a te supplicandoti: illuminami sul sentiero del mio dovere. Infatti né il regno della terra, né il regno degli dei del cielo potrebbero liberarmi dal fuoco della sofferenza che brucia così la mia vita. Quando Arjuna, il grande guerriero, ebbe così sfogato il cuore, disse: «Non combatterò», e poi sprofondò nel silenzio. fra Andrea Schnöller
1 Bede Griffiths, Fiume di compassione: un commento cristiano alla Bhagavad Gita, Appunti di viaggio, Roma 2006, p. 11 2 Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo 1.1.1 3 Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo 1.2.1 4 Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo 1.2.1 5 Pensa C., Perché meditare?, in una relazione apparsa su Sati. 6 Eb 11,1. In 1 Cor 13,12 - 2 Cor 5,6-7 Rm 8,23-25 7 Giovanni della Croce, Salita al monte Carmelo 1.2.1 8 Eb 11,1. In 1 Cor 13,12 - 2 Cor 5,6-7 Rm 8,23-25 9 Giovanni della Croce, La salita del monte Carmelo 1.2.5 10 Giovanni della Croce, La salita del monte Carmelo 1.2.4
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Messaggio biblico
Che cosa s’intende per storia nella Bibbia
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bbiamo già iniziato a vedere che cosa s’intende per storia nella Bibbia. Ora dobbiamo approfondire questo concetto perché la “storia non come sintesi di fatti documentati, ma come veicolo d’insegnamento è un’altra chiave bibblica. La storia biblica affonda le sue radici nella realtà di qualche fatto, ma non da importanza al fatto in se come e quando è accaduto, bensì all’insegnamento che dallo stesso si sprigiona. Ed il rispetto per questo concetto biblico della storia dovrebbe aiutarci a leggere, dentro la nostra storia anche quotidiana, i messaggi che da essa promanano. Gesù parlava di capacità d’interpretare i segni dei tempi; e i segni dei tempi sono i piccoli fatti, la piccola cronaca di tutti i giorni che, se è analizzata con fede e intelligenza, può riservarci dei profondi insegnamenti. La terza chiave è la chiave della “sapienza” che trasuda da ogni pagina della Bibbia e che, come abbiamo detto, ci permette di trovare le grandi risposte ai nostri interrogativi. Uomo chi sei e dove vai?... Oggi di libri religioso-sapienzali ce ne sono molti, possiamo dire che sono diventati di moda, ed è una cosa utile, perché dai testi di qualsiasi religione seria si possono ricavare norme di vita. Ma la Bibbia non è un libro di sapienza in pillole; non si possono estrapolare alcuni detti ed alcune sentenze da qualche sua pagina (ce ne sono certamente delle bellissime nel Libro dei Proverbi, nel Siràcide, in tutti i profeti). La Bibbia non è una blanda cura ricostituente, ma piuttosto un forte programma di vita, umanamente e spiritualmente, trasformante. Ecco perché la sapienza che in essa è richiusa va ricercata non solo nei detti, ma anche nei fatti, non solo nei discorsi, ma anche negli avvenimenti. Basta saper leggere tutto con due occhi: quello della scienza e quello della fede. Su l’occhio della scienza qualche cosa abbiamo già detto, su quello della fede diremo. Per ora potremmo aggiungere che dobbiamo avere molta fiducia negli esegeti (i cultori delle scienze bibliche) e seguirli nello sforzo che fanno di offrirci spiegazioni interessanti e ipotesi nuove per aiutarci ad approfondire il sacro testo. In merito mi permetto di ricordare il mio docente di Sacra Scrittura, (così si chiama nel curriculum degli studi teologici la materia che affronta lo studio della Bibbia). Era un frate anziano, molto colto. Aveva studiato Bibbia a Roma, nei primi anni del secolo e la spiegava a noi negli anni cinquanta. Ligio fino allo scrupolo alle direttive del magistero ecclesiastico (la Commissione Va-
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ticana per l’interpretazione della Bibbia) era intelligentemente curioso verso le cose nuove, le interpretazioni anche più ardite. E mentre a noi giovani studenti spiegava la Bibbia, secondo le direttive del magistero, non tralasciava di offrirci - quasi sottobanco - delle pubblicazioni che iniziavano a mettere dei punti interrogativi sul problema del monogenismo, sulle ipotesi dei generi letterari, sulle prime spiegazioni intorno ai miti di cui la Bibbia si è servita. Era un docente “sapiente”, molto adatto a spiegare quel “Libro di sapienza” anche se, forse, gli mancava un po’ di coraggio; ma in quei tempi chi - nell’ambito degli studi teologici - aveva il coraggio di proporre in campo biblico insegnamenti non conformi alle direttive della gerarchia, arrischiava forte. Ma proprio perché la Bibbia è un “Libro di sapienza” io vorrei ancora invitare i miei amici lettori a procurarsene una - se finora non l’hanno fatto - per seguire le citazioni che svilupperò in questi “Pensieri”. Ed in merito a un’edizione biblica da acquistare, ecco una indicazione proveniente da una gentile persona che qualche giorno fa si è presentata in convento offrendomi un pacco regalo, dicendomi che nella lettera accompagnatoria vi era la spiegazione del suo gesto: “La prego di non offendersi se un evangelico-riformato le regala una Bibbia. Le spiego subito il motivo: la presente Bibbia è interconfessionale e nell’elenco dei collaboratori spicca il nome del cardinale Carlo Maria Martini, ed è scritta nella lingua corrente di tutti i giorni. A mio modesto avviso questa Bibbia si presta egregiamente per le Sue citazioni nel “Pensiero del di dì festa” che io leggo regolarmente con piacere. Mi sento autorizzato a dire ciò, perché ogni qualvolta mi diverto a confrontare i versetti da Lei citati con quelli della presente Bibbia: se c’è una differenza non è certo di significato, ma di forma”. Accetto il dono, ringrazio il donatore, d’ora innanzi citerò più spesso col testo dell’edizione indicatomi.
La Bibbia dice il vero?... Abbiamo detto, in questi “Pensieri” di introduzione a una lettura dei primi capitoli della Bibbia, che questo meraviglioso Libro ruba immagini e figure dalle mitologie antiche, usa la storia in un modo diverso da come la usiamo noi, ed è un Libro ricco di sapienza perché cerca di risponde agli interrogativi più profondi che un uomo sente nell’intimo del suo cuore. Eppure, anche se la Bibbia usa tutti questi mezzi di comunicazione : mitologie, storia, sapienza umana, noi continuiamo a dichiararla “Parola di Dio”.
Quando diciamo “noi”, intendiamo evidentemente gli ebrei ed i cristiani ; non sono sufficientemente esperto in islamismo per poter dire qual è l’atteggiamento che i mussulmani hanno verso questo Libro. Ora, riconoscere che attraverso degli scritti così umani Dio ci parla e che in questa storia così terrena e alle volte così deplorevole perché nella Bibbia ci sono pagine terribili - Dio agisce, è fare un grande atto di fede. Non di meno colui che legge la Bibbia con animo sereno ed aperto, si sente come trascinato fino alla soglia di questo atto di fede tanto essa parla alla sua coscienza. Ecco perché, anche persone non credenti, sono esortate a seguirci in questi “Pensieri” ; forse diranno di non avere fede e quindi di non essere in condizioni di leggere la Bibbia come testo sacro, ma io rispondo : se prendete in mano ed aprite questo Libro siete effettivamente alla soglia di quell’atto di fede di cui non dovete aver paura. Dalle pagine della Bibbia, risuonano appelli per ogni uomo onesto, ai quali, è difficile sottrarsi. Essa infatti ci svela la presenza di Dio nella nostra vita e ci invita a riconoscere che siamo tutti nelle Sue mani. Perché Dio, non solo per gli ebrei, non solo per i primi cristiani, ma anche per noi è sempre l’Emanuele, parola che significa “Dio-con-noi”. Quindi nulla di più falso che immaginare la Bibbia come un catechismo fastidioso, o come una predicazione noiosa e stereotipata; questo Libro così vario, così vivo, agisce sia nella Chiesa come nel fondo della coscienza di ciascuno di noi, quale sorgente zampillante di vita !... Dunque la Bibbia è il Libro che ci fa incontrare Dio anche se è difficile esprimere in formule questo incontro. La Bibbia è una Parola che non si finisce mai di meditare per riuscire a vivere alla presenza di Dio nel più profondo di noi stessi. Ed io mi auguro che, proprio attraverso la lettura della Bibbia, ognuno di noi faccia un’esperienza d’incontro con Dio come la fece Abramo che obbedì al suo comando di lasciare la propria terra e di andare là dove Dio gli avrebbe indicato. Come la fece Mosè che, fuggiasco, incontrò Dio in una voce che si sprigionava dal roveto ardente e che gli indicava di ritornare su i suoi passi per andare a continuare - con il Suo aiuto - quell’opera di liberazione del suo popolo che egli invano aveva tentato da solo. Come lo fecero tanti profeti, soprattutto quel simpatico contadino di nome Abacuc che si sentì preso per i capelli e trasportato, lui povero coltivatore di cocomeri, in un luogo dove avrebbe mai voluto andare, ed ivi annunciare la Parola terribile del Signore. Infine come la fecero gli apostoli che, dopo avere ascoltato il comando di Gesù : “venite, vi farò pescatori di uo-
mini”, lasciarono il padre, le barche, le reti e lo seguirono per sempre. Ecco dunque che per tutti questi personaggi biblici, la Parola di Dio non è stata una lezione da imparare, ma una vita da condividere, un richiamo da seguire, un’esperienza da tentare. E tutto questo - vita, richiamo, esperienza - la Bibbia lo deve essere anche per noi. Non facciamone dunque una teoria della Parola di Dio che leggiamo sulla Bibbia. Ogni Comunità, ogni credente, capirà questa Parola nell’intimo del suo cuore, ed io mi auguro che la stessa Parola ci aiuti a vivere. Ma perché è così importante la Parola di Dio ?... Per il credente la Bibbia è un Libro ispirato, esso dunque gli comunica la rivelazione di un Dio che non può mentire. Ma seguendo questo ragionamento trovo nella Bibbia edita dalla Civiltà Cattolica queste domande e queste risposte : “Ma qual è questa rivelazione di un Dio che non può mentire ?...Quale è la verità della Bibbia ?... Risposta : essa appartiene innanzi tutto all’ordine delle realtà superiori, è essenzialmente e solamente una verità religiosa. In altre parole la Bibbia è vera quando parla dell’alleanza di Dio, della vita e dell’insegnamento di Cristo, quando fa nascere nel cuore dell’uomo il senso del divino e l’esigenza della fedeltà al Suo Signore, quando indica qual è la condotta retta e gradita a Dio, quando insegna ad avere fiducia in Lui. La Bibbia è vera quando parla del rapporto e del legame di Dio con noi, quando parla dell’uomo di fronte a Dio. Nelle altre materie la Bibbia non intende pronunciarsi e per questo non si può dire che sia vera o che sia falsa. Per esempio : è vera quando espone le origine del mondo ?... Questo interrogativo ci permette di affrontare realmente un problema che spesso - come abbiamo già accennato - viene mal posto. La verità dei primi capitoli della Bibbia, che presto leggeremo, non è una verità sul piano della ricerca scientifica. Queste grandi composizioni poetiche vogliono affermare che l’umanità esce dalle mani di Dio, vogliono indicare il suo destino, il posto che purtroppo il peccato ha nella vita degli uomini, ma soprattutto la speranza di salvezza che proviene da Dio. E lo fanno servendosi di antiche tradizioni, di antichi miti corretti, introducendo in essi la fede in un Dio unico, sviluppando il monoteismo e ribadendo il concetto che l’uomo è creato ad immagine di Dio ed è in attesa di una sua restaurazione dopo la caduta. Ecco le grandi verità che questi primi capitoli ci insegnano”.
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Messaggi dal mondo della chiesa
Pluralismo religioso nel Ticino
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ella primavera del 2007 è stato pubblicato in Ticino il “Repertorio delle religioni”, promosso dal Dipartimento cantonale delle istituzioni e raccolto da Michela Trisconi de Bernardis. Il Repertorio presenta le «schede» di 82 comunità religiose e gruppi organizzati che rispondono (e accettano) una larga definizione di «religione» come organismo che pratica e diffonde convinzioni relative alla vita spirituale. Il Repertorio permette un giudizio complessivo e più veritiero del pluralismo religioso ticinese. Se infatti il rilevante numero di espressioni religiose da un lato ridimensiona la cosiddetta «eclissi del sacro» (affermata dai sociologi della metà del Novecento), dall’altro è indicazione dell’individualismo sempre più diffuso, che indebolisce ogni istituzione strutturata (partiti,sindacati, ecc.) e quindi anche le Chiese «storiche».l dati del censimento del 2000 hanno confermato nel Ticino la larga prevalenza della confessione cattolico-romana (75,9%), con una sostanziale tenuta numerica (anche se registra una flessione nella percentuale complessiva per effetto della immigrazione); delle ondate migratorie hanno beneficiato specialmente due gruppi ,quello ortodosso (nel Ticino il più consistente) e quello musulmano, rispettivamente con il 2,4% e l’ 1,9%. L’altra Chiesa «storica», quella evangelica-riformata, rimane il secondo gruppo religioso (7,5%), tuttavia diminuita sia in percentuale sia in numeri assoluti,mentre la presenza della comunità ebraica (fin dal 1918) è ormai ridotta a una percentuale minima (0,1%, 383 persone). Così, secondo i dati del censimento federale del 2000, solo cinque comunità religiose (la cattolico-romana, l’evangelica-riformata, l’ortodossa, l’islamica, i Testimoni di Geova) avevano più di mille membri dichiaratisi; superavano di poco i mille aderenti le «altre comunità evangeliche», tuttavia divise in 12 gruppi; mentre gli ortodossi ,con 7 diverse comunità, contavano 7236 adesioni e i musulmani, con due comunità diverse, cui si aggiungono tre altre «denominazioni», registravano 5747 adesioni. Le denominazioni descritte nel Repertorio sono state raggruppate in 18 «famiglie religiose», le principali essendo la cattolica, l’ebraica, l’ortodossa, la protestante (comprendente anche le Chiese libere e i pentecostali), gli avventisti, l’lslam con il sufismo, i gruppi induisti e buddisti e altre denominazioni minori, tra cui i «movimenti dei dischi volanti»!
Molte religioni con pochi aderenti Un dato che relativizza diverse «presenze» può essere ricavato dalla tabella contenuta nelle ultime pagine
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del Repertorio che indica la data dell’insediamento in Ticino dei diversi gruppi religiosi. Presenti già prima del 1950 sono ovviamente la Chiesa cattolica romana e la Chiesa evangelica riformata, cui si aggiungono 12 altre denominazioni, tutte di matrice protestante, oltre la comunità ebraica; nei decenni 1950-1980 si costituiscono in Ticino una quindicina di altre denominazioni, tra cui tre ortodosse e due asiatiche; dal 1981 al 2000 i gruppi religiosi crescono di una trentina di unità e si differenziano ulteriormente; dal 2000 al 2005 la crescita continua ancora con una ventina di nuove denominazioni . Alla crescita delle denominazioni non sembra corrispondere un aumento quantitativo, ma probabilmente una dispersione di persone in ricerca, persino con appartenenze plurime o solo temporali. Un’altra tabella offerta del Repertorio elenca infatti 38 denominazioni (per complessivi 1197 aderenti, secondo i dati del censimento del 2000), ma solo due gruppi hanno una certa consistenza (buddisti: 375;induisti: 361), mentre tutte gli altri avrebbero meno di cento aderenti. Sono tuttavia dati molto relativi, per la ridotta affidabilità che possono dare i risultati del censimento che aveva per contro registrato un numero ben più consistente di «senza confessione» (23.032) e di «senza indicazione» (14.492), in totale cioè il 12,2% dell’intera popolazione recensita (oltre 37.000 persone!).
Conseguenze culturali e sociali Il pluralismo religioso, ormai consolidato anche in Ticino, non pone problemi nuovi solo alle Chiese tradizionali, cattolica e evangelica, già confrontate con un massiccio assenteismo: ha anche rilevanti conseguenze sul piano culturale e sociale. A proposito delle conoscenze religiose e quindi della necessità del suo insegnamento, l’Assemblea del Consiglio d’Europa del 4 ottobre 2005 aveva osservato: (www.assembly.coeint/Documents; testo tradotto in italiano in “Popolo e Libertà” del 24 febbraio 2006): “L’educazione è essenziale per combattere l’ignoranza, gli stereotipi e l’incomprensione delle religioni. (..) La conoscenza delle religioni fa parte integrante della storia degli uomini e delle civiltà”. Più oltre lo stesso Consiglio aggiungeva: “Il suo obiettivo deve consistere nel fare scoprire agli allievi le religioni che sono praticate nel loro Paese e quelle dei paesi vicini, a far loro vedere che ognuno ha lo stesso diritto di credere che la sua religione è quella vera, e che il fatto che altri hanno una religione diversa, o non hanno alcuna religione, non li rende diversi in quanto esseri umani”.
Senza la conoscenza della storia religiosa di un paese e dei fondamenti delle principali religioni presenti, è ovvio che ogni integrazione sociale è gravemente ostacolata, mentre ne soffre anche l’educazione alla tolleranza e alla convivenza. Per questo i responsabili delle scuole di molti Stati (e di alcuni Cantoni svizzeri) hanno elaborato o cercano di elaborare modelli di insegnamento “interreligioso”, validi e obbligatori per tutti gli allievi. Nelle scuole statali ticinesi invece solo la religione cattolica e quella evangelica vengono presentate, da parte di docenti designati dalle autorità religiose, e limitatamente agli allievi che ne hanno fatto richiesta. Mentre (secondo un rapporto elaborato da una Commissione speciale incaricata di studiare l’argomento) “nel Ticino quasi il 50% delle classi della scuola obbligatoria hanno più del 30% di allievi provenienti da altre culture”, e secondo un rapporto steso da alcuni commissari cattolici, nelle scuole elementari il 70% degli allievi segue questo corso (cioè l’insegnamento religioso dispensato da docenti designati dalle Chiese cattolica o evangelica), nelle scuole medie il 64% e nelle scuole medie superiori meno del 10%! Questi dati, oltre che risalire a qualche anno fa, non riflettono situazioni locali
molto più preoccupanti (come negli istituti dei centri, dove maggiore è la percentuale di allievi figli di immigrati), con la conseguenza di una dilagante ignoranza del fenomeno religioso nei giovani e il permanere di pericolosi pregiudizi diffusi dal sensazionalismo dei media. Ha suscitato ampi commenti il “caso” di Tesserete, dove mons. Grampa in visita pastorale non ha potuto incontrare gli allievi durante l’orario scolastico; maggiore attenzione avrebbe dovuto suscitare un dato ben più preoccupante, cioè che su 417 allievi delle scuole medie, solo circa 170 (o i loro genitori) avevano espresso la volontà di incontrare il Vescovo, mancando l’occasione di “conoscere” il rappresentante di una religione che costituisce una componente fondamentale della storia e della cultura del Ticino. I dati relativi al pluralismo religioso, evidenziati dal Repertorio, dovrebbero finalmente stimolare una riflessione seria sulla necessità di offrire a tutti gli allievi ticinesi, in collaborazione con le principali comunità religiose presenti nel Cantone, un adeguato “insegnamento sulle religioni”. Alberto Lepori
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Messaggio ecumenico
Il Consiglio ecumenico delle Chiese compie 60 anni Se non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Stiamo parlando del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) che, nonostante tutti i suoi limiti, costituisce pur sempre la più ampia piattaforma di dialogo e di confronto tra le Chiese ed ha conseguito apprezzabili risultati nel tessere legami fraterni fra le Chiese che ne fanno parte. Quest’anno il CEC festeggia il suo 60mo anniversario ed è quindi l’occasione per farne più ampia conoscenza.
I
l Consiglio ecumenico delle Chiese è stato fondato il 23 agosto 1948 ad Amsterdam da rappresentanti di 147 Chiese allo scopo non di creare una superChiesa mondiale né di uniformare le varie espressioni ecclesiali, ma, per statuto, di “chiamarsi gli uni gli altri all’unità visibile in una sola fede e in una sola comunione eucaristica”. Il CEC si definisce come “una comunità fraterna di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore secondo le Scritture e si sforzano di rispondere insieme alla loro comune vocazione per la gloria del solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo”. Compito del CEC – che ha la sua sede a Ginevra, presso il Cento ecumenico - è di “promuovere l’unità dei cristiani nella fede, la testimonianza ed il servizio, in vista di un mondo di giustizia e di pace”. Se il CEC è sorto nel 1948, non vuol dire che prima vi fosse il vuoto ecumenico. Anzi, la sua nascita è il frutto della confluenza tra il movimento “Fede e Costituzione”, creato nel 1927 a Losanna, e la Conferenza del cristianesimo pratico tenutasi nel 1937 a Oxford.
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Primo segretario generale del CEC fu il teologo protestante olandese Willem Visser ‘t Hooft, un grande pioniere dell’ecumenismo. Attualmente il CEC è formato da 349 Chiese, perlopiù nazionali, di tradizione anglicana, ortodossa, protestante e vetero-cattolica di oltre 110 paesi del mondo e rappresenta circa 560 milioni di fedeli, più o meno un quarto della cristianità. Ne sono assenti in particolare la Chiesa cattolica romana e le Chiese pentecostali. Tutte le Chiese membro sono rappresentate nell’assemblea, che si riunisce all’incirca ogni sette anni. Dopo quella di Amsterdam nel 1948, le successive assemblee si sono svolte ad Evanston (1954), Nuova Delhi (1961), Uppsala (1968), Nairobi (1975), Vancouver (1983), Canberra (1991), Harare (1998) e Porto Alegre (2006).
Un nuovo segretario generale L’attuale segretario generale del CEC, in carica dal gennaio 2004, è il pastore metodista keniano Samuel Kobia (61 anni, sposato, padre di quattro figli). A sorpresa, in occasione dell’ultima riunione del Comitato centrale, lo scorso febbraio a Ginevra, Kobia ha ritirato, per motivi personali, la sua candidatura (era l’unica) per un secondo mandato dopo quello che scade alla fine di quest’anno. Questo ha costretto il Comitato centrale a correre ai ripari costituendo in fretta e furia una commissione cerca in vista dell’elezione, fissata per settembre 2009, di un nuovo segretario generale, che entrerà poi in carica all’inizio del 2010. Questo significa che per tutto il 2009 vi sarà un segretario generale ad interim. Gli osservatori si sono a lungo interrogati sui motivi di questa repentina decisione di Kobia, il
quale ha sostanzialmente svolto bene il suo lavoro. Stando a indiscrezioni, a “costringerlo” a gettare la spugna sarebbero stati i protestanti tedeschi, che finanziano un terzo dei costi del CEC, criticando – in particolare in un’intervista all’agenzia “Evangelischer Pressedienst” rilasciata dal loro più importante rappresentante in seno al Comitato centrale, il vescovo luterano Martin Hein – l’atteggiamento “spendaccione” di Kobia, “sempre in giro per il mondo”. La stessa agenzia aveva pure rivelato che la laurea in scienze religiose in possesso di Kobia è fasulla perché rilasciata da una finta università americana, la Fairfax University, che oggi neppure più esiste. Anche se il segretario generale si è detto in buona fede, non c’è dubbio che questo ne abbia minato la credibilità.
La partecipazione cattolica al Consiglio ecumenico delle Chiese Come detto, la Chiesa cattolica romana non fa parte del CEC, tuttavia la sua collaborazione con l’organismo ginevrino è buona e costante. Alla fine del Concilio Vaticano II, dopo la pubblicazione del decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” del 21 novembre 1964, la Chiesa di Roma ha allacciato contatti con il CEC tramite l’allora Segretariato (già creato nel 1960, quindi prima del Concilio) ed ora Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Così è stato costituito un gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica e il CEC, che si riunì per la prima volta nel 1965 e che è tuttora operativo. Una data importante da ricordare è poi il 1968, quando la Chiesa cattolica è diventata ufficialmente membro di una delle più importanti commissioni
del CEC, quella dottrinale e teologica, chiamata “Fede e Costituzione”, dove occupa 12 posti su 120. Inoltre, nel 2005, la Chiesa cattolica romana ha partecipato per la prima volta a pieno titolo, ad Atene, alla Conferenza mondiale della Commissione “Missione ed Evangelizzazione” del CEC. Anche se tutte queste forme di collaborazione sono considerate soddisfacenti da entrambe le parti, ci si chiede ogni tanto perché la Chiesa di Roma non aderisca in piena regola al CEC , magari tramite le (o alcune) Conferenze episcopali nazionali (attualmente ve ne sono 113 in tutto il mondo). Una questione già posta, il 10 giugno 1969, da Papa Paolo VI, proprio in occasione della sua visita a Ginevra: “A motivo di questa crescente cooperazione in sì numerosi campi di comune interesse, si pone talvolta il problema: la Chiesa cattolica deve diventare membro del Consiglio ecumenico? Cosa potremmo noi, in questo momento, rispondere a questo problema? In tutta fraterna franchezza, noi non riteniamo che la questione
della partecipazione della Chiesa cattolica al Consiglio ecumenico sia matura a tal punto che le si possa o si debba dare una risposta positiva. La questione rimane ancora nel campo delle ipotesi. Essa comporta gravi implicazioni teologiche e pastorali; esige di conseguenza studi approfonditi, ed impegna in un cammino che l’onestà obbliga a riconoscere che potrebbe essere lungo e difficile. Ma ciò non ci impedisce di assicurarvi che noi guardiamo a voi con grande rispetto e profondo affetto. La volontà che ci anima e il principio che ci dirige saranno sempre la ricerca piena di speranza e di realismo pastorale dell’unità voluta dal Cristo”. Ebbene, da allora sembra proprio che nessun progresso in questo senso sia stato compiuto, anzi che la questione sia stata accantonata. Non ne aveva più parlato nemmeno Giovanni Paolo II, quando visitò il CEC, a Ginevra, il 12 giugno 1984. Allora, dopo aver ribadito che la Chiesa cattolica “è convinta di aver conservato nel ministero del Vescovo di Roma, in piena fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, il polo visibile
dell’unità e la garanzia di questa”, si limitò ad auspicare che “la collaborazione fra di noi aumenti e si intensifichi ovunque ciò sia possibile”. Da parte sua Benedetto XVI, che ha ribadito più volte il suo impegno primario di lavorare alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo, sembra orientato ad operare in questo senso più con gli ortodossi che con il CEC. Tuttavia si è già incontrato tre volte con Samuel Kobia: alla celebrazione d’inizio del suo pontificato, poi il 16 giugno 2005 e infine il 25 gennaio di quest’anno, a conclusione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, quando il pastore keniano ha tra l’altro pronunciato un discorso durante i vespri ecumenici a San Paolo fuori le Mura. Il Papa è stato ufficialmente inviato a recarsi, come i suoi predecessori, alla sede del CEC a Ginevra. L’auspicio è che prima o poi questa visita si compia. Gino Driussi
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Messaggi dai conventi
L’archivio del convento di Faido In occasione dei festeggiamenti del IV centenario dalla sua fondazione, il convento dei cappuccini di Faido rende noto il contenuto del suo archivio. Quest’ultimo è composto, in grandi linee, da quattro parti: 1 La raccolta dei registri e/o archivi parrocchiali di Faido, Osco, Mairengo, Calpiogna, Campello, Molare, Rossura. 2 Il fondo antico e contemporaneo, che contiene tutta la documentazione riguardante i primi secoli del convento, dalla fondazione ad oggi. 3 I documenti del ginnasio dei cappuccini. 4 L’archivio fotografico.
delle sagre Reliquie de SS. Martiri Benedetto, Fortunato, Primo, Victorino et Adaneto quali io Frate Giuseppe Maria Varesi (da Faido) sacerd. Capuccino di Faido, ho per la Dio gratia ottenuto da Roma, et di nuovo donate alla Chiesa Parochiale di Faido, ed alla nostra de Frati Capuccini et a questa di S. Athanasio di Calpiogna hora fatta In Parochia”. Altri documenti di autenticazione: 4.5.1677, 10.1.1692. Concessione del 18.4.1671 per la processione con le reliquie. Martirologio (inventario), 1671. Elenco dei beni del parroco pro tempore, 1673. Atto di fondazione della Parrocchia, 1.5.1670. I registri parrocchiali sono stati inaugurati il 27 luglio 1670.
Mairengo:** Registri dei matrimoni e dei morti, dal 1704 ad oggi.
1 Per quanto riguarda i registri e scritti appartenenti alle Parrocchie a noi affidate, riassumo brevemente quanto possediamo:
Osco:** Registro delle cresime, dal 1773 ad oggi.
Molare:** Registro unico, dal 1841 ad oggi.
Calpiogna:* Instromento (documento) d’unione di (af)fitto che paga ogni anno al oratorio di S. Antonio di Padova di Primadencho di Gio. Gianozo, 17.1.1680. Obbligo di Carlo Giuseppe Gianotti di Primadencho verso l’oratorio di S.to Ant.io, redatto da P. Felice D’Alessandri curato di Calpiogna, 6.6.1791. Antico capitale della Parrocchia, 6.3.1777 Beneficio parrocchiale, 30.4.1718 Documento: martedì 13.8.1602, lettera autografa del cardinale Federico Borromeo, scritta da Prato Leventina: si riferisce alla chiesa di S. Eutichio in Calpiogna (primitiva dedicazione della parrocchiale, poi S. Atanasio), cura (soggetta) della Parrocchia di Mairengho. Citata la data di consacrazione del 1498, si ribadiscono i doveri della chiesa matrice - Mairengo verso Calpiogna. Documenti di autenticazione delle reliquie: 16.11.1669 “Instrumento (documento) delle sagre Reliquie donate da me Frate Giuseppe Maria Varesi (da Faido) sacerd. Cappuccino per la Chiesa Par(r)ochiale di S. Andrea In Faydo (scritta cancellata con una riga) di S. Athanasio In Calpiogna”. 29.7.1670: “Instrum.to di ricognitione col suo Autentico *) **) –
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Campello:** Registro dei battesimi, dal 1838 ad oggi.
Rossura:** Registro unico, dal 1639. Ascritti alla Veneranda Congregazione del Carmine, 1708. Regole della Veneranda Congregazione del Carmine eretta in Rossura il 17 giugno 1877. Martirologio (inventario), 1700 e 1745. Libro delle “anzianerie”, 1765-1804.
Faido:** Registro unico dal 1600 al 1761, seguono i registri fino ad oggi. Registro contabile del Terzo Ordine Francescano, 1.1.1901 al febbraio 1942. Cronaca del Terzo Ordine Francescano, 11.2.1951 al 15.3.1998. Registro della Congregazione del Cuore Immacolato di Maria, dal 1848 al 1957 (con firma autografa del cardinale di Milano, arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli, 16.5.1848).
l’archivio della Parrocchia è totalmente custodito in convento. l’archivio della Parrocchia è parzialmente custodito in convento. N.B.: per “Registro unico” si intende che in un solo volume vengono registrati i battesimi, le cresime, i matrimoni, i funerali.
2 Per quanto concerne l’archivio antico e contemporaneo del convento, è da notare una curiosità. Oltre alla parte cartacea dell’archivio, sono emerse ben 32 monete dell’epoca imperiale romana. Alcune consunte dal tempo, altre con l’indicazione leggibile degli imperatori Massimino (173-238 d.C.) e Costantino (306-337 d.C.).
3 Il ginnasio dei cappuccini è stato attivo dal 1968 al 1975. Di esso conserviamo molto all’interno dell’attuale ostello ma in archivio sono presenti in special modo la collezione di monete da tutto il mondo, in metallo e cartaceo e la documentazione interna della scuola.
4 Nella parte riservata alla storia antica del convento, custodiamo la pergamena di consacrazione della nostra chiesa, datata 19 settembre 1621 e molti altri documenti risalenti agli anni della fondazione (1607) e gli antichi sigilli del convento da imprimere sulla cera lacca, oggi visibili nel museo del convento.
L’archivio fotografico è composto da centinaia di fotografie d’epoca, concernenti la vita del convento o di personaggi dell’800-900; foto di gruppo o singoli soggetti, cartoline e stampe di luoghi ormai inesorabilmente scomparsi o modificati dalla frenesia dell’uomo.
Nella custodia di cuoio dove sono raccolte le “Autentiche”, documenti accompagnatori delle reliquie che ne comprovano l’autenticità, ho trovato tre documenti che vale la pena citare e pubblicare. Il primo tratta della donazione delle reliquie dei Ss. Sigisberto e Placido, rilasciate con documento interamente manoscritto dall’abate di Disentis, padre Sebastiano, in data 31 luglio 1627, munito di sigillo cartaceo, presente nell’archivio conventuale di Faido. Il secondo: “Autentica” con autografo del cardinale Federico Borromeo con il quale dona alla chiesa dei frati di Faido due reliquie: parte della dalmatica (paramento liturgico del diacono) ed un panno imbevuto del sangue di s. Carlo Borromeo, concessione datata 19 ottobre 1628. Il terzo: il superiore locale di Faido redige una richiesta che parte per Roma, alla Sacra Congregazione dell’Indice: “Il guardiano e Religiosi Cappuccini del Conv:to di Fajido Prov.a di Milano supplicano ossequiosam.e Le ec. VS. per la facoltà e licenza di ritenere nella loro libreria li libri proibiti”. Che †
Foto 1: manoscritto dall’abate di Disentis, padre Sebastiano, 31 luglio 1627
Giunge la risposta, sullo stesso documento inviato da Faido: “Feria 3. Die 17. Martii 1744. Sacra Ind.is Cong.nis Decreto liceat praefatis Oratoribus retinere in eorum Communi Bibliotheca quoscunque libros prohibitos, dummodo custodiantur bene clausi, quorum clavis servetur apud Superiorem, vel Bibliothecarium ejusdem Bibliothecae; exceptis libris Haereticorum, ex professo de Religione tractantibus, Magicis, Astrologicis judiciarijs, omnibusque superstitiosa continentibus operibus Caroli Molinaei, et Nicolai Macchiavelli”. In quorum fidem. Dat.m Romae in Pal.o Ap.o Quir.li die et anno scriptis. P. JoAug. Orsi O.P.S.C.Sec. Foto 2: “Autentica” con autografo del cardinale Federico Borromeo, 19 ottobre 1628
“Martedì 17 marzo 1744. La Sacra Congregazione dell’Indice con decreto dà licenza ai richiedenti di custodire nella loro biblioteca qualunque libri proibiti, a condizione che siano custoditi ben chiusi, le chiavi siano tenute presso il Superiore, oppure dal bibliotecario della medesima biblioteca, eccettuati i libri degli eretici, che trattano espressamente di Religione, Magia, Astrologia giudiziaria, e tutti che contengono superstizioni, opere di Charles Du Moulin e Niccolò Machiavelli. In fede. Dato a Roma dal palazzo Apostolico del Quirinale giorno e anno scritto. P. JoAug. Orsi O.P.S.C.Sec. (Ordine -dei- Predicatori. Sacra. Congregazione. Sec. (sec(g)retario). A piè di pagina, il sigillo a secco della Sacra Congregazione dell’Indice. Il documento è esposto nella biblioteca conventuale.
Foto 3: lettera del guardiano e risposta della Sacra Congregazione dell’Indice, 17 marzo 1744
Che sorpresa… tra i molti incarti dell’archivio antico, è riemersa una pergamena che merita di essere pubblicata e conosciuta, datata 10 dicembre 1458. È il documento più antico presente nel convento di Faido. Si tratta di un documento di affitto di un terreno in provincia di Como (oggi provincia di Sondrio, ndr), in località di Ardenno, redatto nella dimora del notaio locale, Laurentius de Caspano, publicus imperiali auctoritate notarius Cumarum habitator Ardeni e dal suo segretario Johannis hoc instrumentum livelli utsupra rogatus traditi scribique rogavi et me subscripsi. I proprietari del terreno sono i fratelli Giovanni e Tognino, figli del fu Massolo Mangiacavalli, di Ardendo nel Terziere Inferiore della Valtellina, diocesi di di Como, a favore di Pietro del fu Giovandolo di Schenano, comune di Ardenno. Quest’ultimo riceve per sé e per i suoi figli ed eredi d’ambo i sessi una pezza o “valla” di terra campiva in territorio di Ardenno. Il terreno viene affittato per 29 anni e poi in perpetuo per il fitto annuo di un quartario e mezzo di segale ed uno di miglio, “che siano nitidi, belli e non in altra merce, da consegnare nella festa di S. Martino nella casa di abitazione del locatario in Schenano”. Alla redazione del documento sono presenti i testimoni: Tognolo del fu Girardo de Pesci di Ardenno, Pietro del fu Bonomo, detto Marone, Della Pioda e Giovanni del fu Martino Camozzi di Ardenno; notai secondi: il signor prete Tomaso di Caspano, prevosto della chiesa di S. Lorenzo di Ardenno e, in mancanza di un altro notaio, Tognino del fu Domenico del fu Zanino di Petrinalo (o Petrivalo) di Piazzalunga, console del comune di Ardenno. Fr. Michele Ravetta, archivista del convento di Faido
Foto 4: atto notarile di Ardenno, 10.12.1458
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Corsi e incontri a Bigorio
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na delle principali attività, anzi, quella che ha tenuto a battesimo il restauro del convento di Bigorio ed il passaggio da luogo destinato solo ai religiosi a casa aperta per incontri e ritiri, è stata la formazione di coppie di fidanzati in preparazione al sacramento del matrimonio.
Prima ancora del restauro, quando vigeva la clausura, le coppie che partecipavano a questi incontri si ritrovavano (tempo permettendo) in piazzale e lì avvenivano esposizione e discussioni sull’arco di una sola giornata. Poi s’iniziò ad “invadere” il convento, con qualche perplessità da parte di vecchi religiosi confrontati con la presenza di baldi giovani e vezzose fanciulle. Infine si decise di trasformare il convento, lasciando fondamentalmente intatta la sua struttura e, nel 1967, s’iniziarono i corsi sull’arco di un fine settimana con vitto e allogio. Se l’accettazione da parte dei giovani è sempre stata entusiasta, non altrettanto da parte di certe istanze cattoliche, ma vescovo Angelo Jelmini salito a Bigorio durante un corso, approvò e ne raccomandò la continuazione ed il potenziamento. Da questi corsi nacque poi l’associazione Comunità familiare. Quando i corsi furono resi obbligatori ed organizzati a livello diocesano, a Bigorio cessarono, per riprendere due anni fa inseriti nel programma degli incontri che si tengono presso la Comunità del Sacro Cuore di Bellinzona. La tematica che si tratta è unica; “Chi è Gesù Cristo” e la presentazione della sua persona, opera, messaggio è fatta attraverso il film di Pier Paolo Pasolini, il “Vangelo secondo Matteo” e la lettura di ampi brani evangelici, specie del “Discorso della montagna” presentato quale programma di vita ma-
trimoniale. Conoscere Cristo è il fondamento deal vita cristiana, personale e familiare. L’incontro inizia il sabato mattina e termina la domenica subito dopo pranzo. La sera del sabato si tiene nella cappella interna del convento una veglia di preghiera, durante la quale i fidanzati leggono quel brano evangelico che più li ha colpiti e ne spiegano le ragioni. Una celebrazione eucaristica molto partecipata precede il pranzo domenicale e la chiusura del corso.
matrici durante i quali si sono fatti incontri di approfondimento perché svolgano sempre meglio il loro ruolo. Questi corsi, oltre che per fidanzati, vengono organizzati in altre date anche per tutti coloro che vogliono approfondire la persona di Cristo, mentre si sono tenuti altri corsi sulle parabole a compimento dei primi. Nella verifica che viene fatta dopo ogni corso, l’esperienza di Bigorio è quella che riceve i maggiori consensi, e gli organizzatori notano
Si riteneva che rimettendo Bigorio la partecipazione agli incontri organizzati dalla Comunità bellinzonese diminuisse, anche per una questione finanziaria; è capitato esattamente il contrario. I due corsi annui sono sempre pieni, così che il convento non può ospitare di notte tutti i partecipanti – normalmente gli animatori ritornano a casa per il pernottamento – mentre quest’ anno, 2008, si è organizzato anche un corso estivo, oltre che alcuni giorni di vacanza per le coppie ani-
che le serate che seguono il fine settimana sono molto più partecipare; le coppie si conoscono meglio, discutono con maggiore libertä, s’impegnano con più coraggio. Anche la cerimonia del matrimonio viene migliorata; il brano scelto a Bigorio spesse volte viene richiesto come vangelo della Messa nuziale, ed allora acquista un significato particolare, perché non è imposto da leggi liturgiche, ma scelto liberamente dagli sposi che sono i veri celebranti del loro matrimonio.
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Messaggi dalle adiacenze
Il nostro Francesco
“P
erché a te, perché a te, tutto il mondo viene dietro?”. Quando frate Masseo pose questa domanda a Frate Francesco, certamente non pensava che tutto il mondo avrebbe celebrato quel poverello d’Assisi non solo durante la sua vita e nelle città e borgate dell’Umbria, ma per un tempo che ancora non vede la fine e per uno spazio che abbraccia il mondo intero. Questa Sacra Rappresentazione vuole essere una nuova testimonianza di quanto è attuale e universale l’ammirazione a Francesco d’Assisi. Eseguita per la prima volta nel 1989 dalla Comunità Sacro Cuore di Bellinzona per celebrare i cinquant’anni della propria chiesa (vedi foto), viene attualmente ripresa per celebrare i venticinque anni dell’erezione della stessa a Parrocchia (1983 – 2008).
dei tre Compagni”. Per questo l’abbiamo chiamata “Il nostro Francesco”, in quanto su una solida base agiografica s’innesta un’interpretazione meditata e partecipata da tutti coloro che verranno ad assistere a questa Rappresentazione in patria e all’estero dove sarà portata. L’intento degli organizzatori resta quello di far rivivere il Poverello d’Assisi modello estremamente valido per il cristiano d’oggi che vuol vivere in povertà e letizia.
Il testo è di P. Callisto, la prima edizione ha visto impegnate una settantina di persone tutte della Comunità. Ora sullo stesso testo, messo in scena dal regista Gabriele Grassi e collaboratori, impegnerà un numero più ridotto di attori non professionisti, ma arricchito dal coro della Cantoria di Giubiasco diretto da Michele Tamagni e da alcuni strumentisti. Trattandosi di una Sacra Rappresentazione, l’assemblea sarà chiamata a partecipare con canti e preghiere mentre una voce narrante unirà le varie scene in una trama biografica dedotta soprattutto dalla “Leggenda
Rappresentazioni: Faido Chiesa del convento Bellinzona Sacro Cuore Giubiasco Chiesa parrocchiale Madonna del Sasso Santuario Mendrisio Chiesa dei Cappuccini
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venerdì 3 ottobre
ore 20.30
sabato 4 ottobre
ore 20.30
domenica 5 ottobre
ore 17.00
venerdì 17 ottobre
ore 20.30
sabato 18 ottobre
ore 20.30
Biblioteca Salita dei Frati di Lugano Letture dell’Esodo Da quasi un quindicennio l’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” organizza, nell’ambito della propria attività culturale pubblica, di regola una volta all’anno, un breve ciclo di incontri biblici. Essi vertono su un testo del Primo o del Secondo Testamento (è stato il caso, ad esempio, di Giobbe, del Cantico dei cantici, del Magnificat, del Padre nostro, dell’Apocalisse) oppure su un tema (i miracoli, lo straniero, l’amore del prossimo), che vengono presentati, nel corso di tre o quattro distinte serate, da biblisti o studiosi di diverso orientamento (cattolici, valdesi, ebrei, non credenti). L’impostazione è conforme agli scopi dell’Associazione, che si propone - sia nella gestione della biblioteca sia nella promozione di conferenze e convegni - di offrire ad un pubblico laico, anche lontano da un’appartenenza religiosa, i mezzi per approfondire e sviluppare le proprie conoscenze sul cristianesimo e sulla religiosità. Gli incontri del prossimo autunno saranno dedicati alla prima parte del libro dell’Esodo e si svolgeranno secondo questo programma (sempre alle 20.30): - 17 settembre: Elena Bartolini, Il tema della liberazione dall’Egitto nell’Esodo e nella tradizione ebraica; - 1o ottobre: Rinaldo Fabris, Il tema della liberazione dall’Egitto nel Secondo Testamento e nelle letture cristiane dell’Esodo; - 13 ottobre: Carlo Prandi, Letture dell’Esodo nelle moderne teologie della liberazione. Le pagine dell’Esodo prese in esame contengono racconti e immagini familiari a molti: il roveto ardente, le dieci piaghe
d’Egitto, la pasqua frettolosa, la traversata del Mar Rosso… Nella liberazione dalla schiavitù, si rivela un dio che ascolta il dolore umano e partecipa alla storia: si fa conoscere come il dio della promessa (“Io sono il dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”), poi come il dio che sta accanto al suo inviato (“Sarò con te”), e infine come il dio che sarà sempre al fianco di ogni lotta contro la schiavitù (Erri De Luca propone di leggere non “Io sono colui che sono”, ma “Sarò quello che sarò”, come una dilatazione infinita di “Sarò con te”). La creazione stessa del mondo, nella Bibbia, è in stretto rapporto con questa vicenda di salvezza. Per molti uomini, nel corso dei secoli, la lettura dell’Esodo ha accompagnato lotte concrete contro l’oppressione: la lotta contro il male presente nel cuore di ognuno (“In exitu Israël de Aegypto” cantano le anime dei salvati entrando nel Purgatorio di Dante) e le lotte di interi popoli contro ‘strutture di peccato’ politiche, economiche e culturali. “Go down, Moses, / Way down in Egypt land, / Tell old Pharaoh: / Let my people go” (“Scendi, Mosé, / Scendi nella terra d’Egitto, / Di’ al vecchio Faraone: / Lascia andare libero il mio popolo”). Queste parole del vecchio spiritual negroamericano testimoniano quanto l’Esodo sia diventato, in luoghi e tempi molto diversi, un grande modello interpretativo della realtà (un “mito di liberazione”, dice Northrop Frye), rafforzato dalla tradizione cristiana. Tante esistenze di poveri, tante coraggiose vicende di resistenza, dall’America Latina di Oscar Romero al Sud Africa di Nelson Mandela, hanno attinto speranza e consapevolezza dalla storia di Mosé e del suo popolo.
Altre conferenze Il 21 ottobre (alle 20.30), è prevista un’altra serata di argomento biblico. Verrà infatti presentato, con la partecipazione dell’autore, il saggio di Ernesto Borghi Il tesoro della Parola (Roma, Borla, 2008), con particolare attenzione al capitolo in cui viene ricostruita la progressiva acquisizione di un metodo storico-critico di lettura della Bibbia. Un incontro di carattere storicoletterario è invece in programma l’11 novembre (alle 20.30): Ottavio Besomi illustrerà l’edizione delle Poesie del poeta barocco Girolamo Preti (1582-1626), curata da Stefano Barelli (Roma, Antenore, 2006).
Adesione all’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” L’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” conta attualmente 328 soci. Vi può aderire chiunque approvi lo statuto e versi la tassa sociale annua (almeno 40 franchi i soci individuali; 10 franchi studenti, apprendisti, pensionati; 100 franchi le istituzioni). Chi è membro dell’Associazione è informato di ogni attività che si tiene in biblioteca, riceve gratuitamente la rivista «Fogli» e partecipa alle scelte dell’Associazione nell’assemblea. Chi fosse interessato a diventare membro si rivolga al segretariato: Salita dei Frati 4, CH – 6900 Lugano, tel. +41 91/923 91 88, e-mail bsf-segr.sbt@ti.ch Fernando Lepori
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Professione Solenne per fra Eraldo Emma Dopo la felice risurrezione della nostra rivista, abbiamo dato spazio all’Ordine Francescano Secolare ricordando in particolare le Professioni che hanno allietato alcune tra le poche, ma pur vivaci fraternità della Svizzera italiana. Questa volta tocca ai frati del cosiddetto “primo Ordine” gioire per una Professione. Le diverse espressioni della famiglia francescana hanno in comune questa tappa importante che segna l’impegno assunto da chi diventa frate (primo Ordine), suora (secondo Ordine) o francescano laico (terz’Ordine). Un tempo frequenti questi avvenimenti, oggi sono diventati più rari e di conseguenza ancora più preziosi.
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ra Eraldo Emma, nato a Ronco s/Ascona il 29 settembre 1966, prima di entrare tra i Frati Minori Cappuccini - vestendo il saio francescano il 23 settembre 1999 - ha volato alto nella sua vita professionale quale assistente di volo presso l’allora compagnia di bandiera Swissair. Il suo cammino ha avuto inizio con i primi contatti con i conventi della Svizzera italiana che lo ha portato a trascorrere il tempo della candidatura presso il convento di Lugano, per poi recarsi a Salisburgo (Austria) per il noviziato, cioè “l’anno della prova”. Ha emesso la sua Professione religiosa semplice il 21 aprile 2001. Ha poi frequentato la Facoltà di Teologia di Lugano per un paio d’anni vivendo nello studentato dei Cappuccini di Lugano. In seguito si è trasferito a Bologna dove sta portando a termine la sua formazione teologica di base. Un cammino lungo e ponderato fino al grande passo, una collaborazione fruttuosa tra i Cappuccini ticinesi e quelli bolognesi che sta dando buoni frutti. La S. Messa con la liturgia della Professione religiosa è stata celebrata domenica 30 marzo, “Domenica in albis depositis”, alle ore 17.30 presso la chiesa del Convento dei Cappuccini di Faido, comunità di riferimento
per fra Eraldo durante i suoi soggiorni in Ticino. Erano presenti parecchi frati provenienti dagli altri quattro conventi della Svizzera italiana, come pure alcuni frati romandi e svizzero-tedeschi, diversi membri dell’OFS, familiari e amici del festeggiato e parecchia gente della Valle, quest’ultimi esterrefatti per il gran numero di frati che sciamavano dentro e fuori la chiesa. Tanto da far dire a qualcuno: “Perché non restano in Leventina alcuni di questi giovani frati?” La funzione, concelebrata da un bel gruppo di confratelli, tra cui il maestro degli studenti padre Alfredo (che ha tenuto l’omelia) e il Superiore Regionale dei Cappuccini della Svizzera italiana padre Stefano Bronner. L’Eucarestia è stata presieduta dal Ministro Provinciale padre Ephrem Bucher che ha accolto i voti di fra Eraldo: “Io fra Eraldo a lode di Dio, nella ferma volontà di osservare più perfettamente il Vangelo (…) davanti a voi fratelli e sorelle, nelle tue mani, fra’ Efrem, per tutto il tempo della mia vita, faccio voto di vivere in obbedienza, senza nulla di proprio e d in castità, secondo la Regola di San Francesco confermata da Papa Onorio e le Costituzioni dei Frati Minori Cappuccini (…). Dopo la solenne e ben partecipata celebrazione eucaristica accompagnata dalla corale interparrocchiale Glory c’è stato un altrettanto bel momento fraterno presso l’Ostello dei Cappuccini, un connubio culinario tra i prodotti portati dagli studenti di Bologna e quelli di casa nostra. A questo punto per fra Eraldo si spalancano le porte della vita in pienezza nelle fraternità, si apre pure la via al servizio pastorale, con i voti solenni potrà essere ordinato diacono e poi sacerdote e in seguito svolgere il suo ministero a partire da una delle nostre cinque case del Ticino. Lo vedremo presso il Santuario della Madonna del Sasso in preghiera e nell’accoglienza dei pellegrini? Nella Comunità del Sacro Cuore a Bellinzona oppure presso il Convento di Faido occupato nell’attività parrocchiale o di assistenza ai malati e anziani? Oppure vivrà nel convento del Bigorio nel silenzio dell’antico eremo, oggi accogliente luogo di studio e di ritiro? Lo si deciderà presto, superiori e interessato, nel rispetto delle aspirazioni del frate, e delle esigenze delle comunità. Ringraziamo il Signore per il dono di questo confratello. Sono segni di speranza, siamo pochi frati in Ticino, ma grazie a Dio non ci manca il coraggio di portare avanti le nostre tante attività, senza farci prendere da depressioni collettive causate dal numero ridotto e l’età. Fra Eraldo vorrà dare man forte per continuare la nostra capillare presenza sul territorio ticinese. Gli auguriamo di continuare a volare alto nella sua vita spirituale, fedele nel servizio ai fratelli. fra Edy Rossi-Pedruzzi
Chiudiamo questo numero dedicato a San Francesco, il volontario “Giullare di Dio” con la presente pagina meditativa dedicata al Cantico delle Creature (o di Frate Sole). Dopo che Francesco si è spogliato dei suoi abiti si è sentito talmente libero da unirsi a tutto il creato in una canzone di lode al Creatore che facciamo nostra preghiera e meditazione.
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Altissimu, onnipotente, bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfane, et nullu homo ène dignu Te mentovare. Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo quale è iorno et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi' Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le Tue creature dài sustentamento.
Laudato si', mi' Signore, per sor'Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi' Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po' skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate e benedicete mi' Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate
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Abbiamo letto... abbiamo visto... Su questa ultima pagina della rivista segnaliamo dei libri da leggere e dei filmati da vedere. È un servizio che vogliamo offrire ai nostri lettori nell'ambito culturale-religioso e sociale in cui ci muoviamo. Purtroppo dobbiamo rinunciare a ciò che avevamo promesso nel primo numero circa le richieste alla redazione di acquisto delle opere segnalate.
Pier Paolo Pasolini Il Vangelo secondo Matteo Parlando dei corsi a Bigorio (pag. 27) abbiamo accennato a questo film, non più recentissimo (anno 1964), ma sempre splendido ed altamente istruttivo. Fu definito, il più religioso dei films laici, il più laico dei films religiosi, e a ragione. Metteo in scena la vita di Gesù come è narrata solo dal primo evangelista, senza attingere ad altri scritti evangelici. Se questo potrebbe essere un limite, alla fine risulta un vantaggio, perché il vangelo è presentato come una comunità giudeo-cristiana, quale era quella di Matteo, poteva averlo ricevo ed, in parte, meditato ed arricchito. Sono note le polemiche che hanno accompagnato la sua uscita; anche oggi ci sono dei cristiani che preferiscono films più sentimentali, uno per tutti quello di Zeffirelli, più fantastici, come “L’ultima tentazione di Cristo”, ma quello di Pisolini resta un capolavoro difficilmente eguagliabile. Anche in questa pellicola ci sono dei limiti; l’autore non costruisce nessuna scena tolta delle parabole, eppure Matteo ne ha parecchie, specie nel suo capitolo 13. Non rappresenta la trasfigurazione, avvenimento nodale nella vita di Cristo. Come mai? Forse Pasolini era più interessato alla persona del Maestro di Nazaret che al suo messaggio che nella parabole viene esplicitato ed approfondito. La pellicola si trova ancora ed è un consiglio pressante è quello di vederla o rivederla, magari in gruppo per commentarla e discuterla.
Fragnière G. La religione e il potere Bologna (Ed. Dehoniane), 2008, € 30,00 In questa pagina, normalmente, segnaliamo libri di facile lettura. Non che il presente, dell’autore losannese Fragnière, sia difficile, ma impegnativo. Il titolo ed il sottotitolo lo confermano, si parla infatti della cristianità, dell’Occidente e della democrazia (sottotitolo). Il libro è una traduzione dal francese ed è consigliabile a tutti coloro che vogliono approfondire il “fenomeno” cristianesimo, anche per un confronto con le altre religioni. Dice infatti l’autore: “Il riconoscimento o no della laicità dello Stato e della politica è un tratto discriminante tra cristianesimo da un lato, islam ed ebraismo dall’altro, e viene direttamente chiamato in causa nell’incontro/ scontro tra cultura e religioni proprio del nostro tempo”. Attualità di questo studio è determinata dal fatto che nel grande confronto mondiale che caratterizza lo scontro delle religioni e delle culture all’inizio del secolo XXI, il volume analizza quale ruolo ha assunto la religione nella tradizione politica dell’occidente. In particolare com’è nata la nozione di cristianità, come si è sviluppata, in quali assetti politici ha preso corpo e come la cultura politica dell’occidente è giunta al suo superamento.