Rivista trimestrale - anno 99
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Luglio Settembre 2009
I sacramenti: la Cresima 60 anni dalla Madonna pellegrina Dieci minuti per te Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare
Sommario
Intervista a don Sandro Vitalini
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Il sacramento della Cresima
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Cristiani maggiorenni
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Sessantesimo anniversario della Madonna Pellegrina
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fra Callisto Caldelari
Madonna Pellegrina in Piazza Grande
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fra Agostino Del-Pietro
Fra Boris e fra Eraldo sacerdoti per sempre 15 fra Boris Muther
La sfida della povertà evangelica
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fra Riccardo Quadri
La donna e San Francesco
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Mario Corti
Le tre donne di San Francesco
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Le pagine dell’OFS
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Spiritualità in cammino
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fra Andrea Schnöller
Appunti di vita ecclesiale
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Alberto Lepori
La visione ecumenica del patriarca Bartolomeo
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Gino Diussi
Biblioteca Salita dei Frati
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Fernando Lepori
Abbiamo letto... abbiamo visto…
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Note importanti Compilando la polizza per l’abbonamento non mancate di riportare l’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita. Indicate anche per favore l’indirizzo di spedizione. Per semplicità organizzativa la polizza di versamento é stata inserita in tutte le copie di questo numero.
MESSAGGERO Rivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano Comitato di Redazione fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Ugo Orelli fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Claudio Cerfoglia (segretariato) E-Mail redazione@messaggero.ch Hanno collaborato a questo numero Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Gino Driussi Alberto Lepori Fernando Lepori fra Boris Muther fra Riccardo Quadri fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch Abbonamenti 2009 Per la Svizzera: ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 Per l’Italia: ordinario € 20,00 sostenitore da € 40,00 Conto Corrente Postale 88948575 intestato Cerfoglia Claudio - Varese causale “abbonamento Messaggero” E-Mail amministrazione@messaggero.ch Copertina fra Roberto, tempera su tavola 1965 Fotolito, stampa e spedizione RPrint - Locarno
Lettera della Redazione
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ccoci al terzo numero sui sacramenti che affronta uno dei meno conosciuti e forse anche uno dei meno stimati: la Confermazione. Dovrebbe essere il “sacramento dell’impegno”, per troppi adolescenti è invece il “sacramento del disimpegno”. Fatta la Cresima, abbandonano la pratica religiosa. Sappiamo che le nostre pagine dedicate a questi segni sacri sono apprezzate, perché permettono una preparazione ed un approfondimento per chi li riceve, a condizione che – se fanciulli ed adolescenti – in questa preparazione siano accompagnati, non solo dai catechisti, ma anche dai genitori. Oggi per la Cresima crediamo veramente che sia un sogno quello di pensare ad una famiglia che il giorno prima si ritrova per discutere sul sacramento che un loro figlio sta per ricevere, e pregare che sia “Inondato e rafforzato“ dallo Spirito Santo, con vantaggi spirituali per tutto il nucleo familiare. Ma sognare non è proibito ed anche i sogni, se sono preparati, risultano più belli. In questo numero che esce nel mese in cui si celebra la festa liturgica di San Francesco d’Assisi dedichiamo alcune pagine al nostro fondatore: ci accorgiamo sempre più che questo santo viene amato anche da chi è lontano dalla Chiesa. Viene trattato, oltre ad un tema fondamentale della sua spiritualità evangelica, la povertà, anche un tema meno conosciuto: “Francesco e le donne”. I sessant’anni della Madonna Pellegrina vengono ricordati, con un articolo di P. Callisto, allora “fratino” a Faido, mentre una pagina è dedicata al pellegrinaggio del 6 settembre scorso. Non mancano pagine di “Vita nostra”: l’ordinazione di due sacerdoti cappuccini e il ricordo di un fratello dell’Ordine Francescano Secolare, Bruno Raggenbass. Come in ogni numero ci sono preziosi apporti sulla vita della Chiesa in casa nostra e sull’ecumenismo, opera di due preziosi collaboratori: Alberto Lepori e Gino Driussi. Il Messaggero continua così il suo cammino di formazione ed informazione cercando sempre nuovi lettori ai quali consegnare i suoi messaggi cristiani e francescani. Ci siamo proposti di raggiungere 2000 abbonati entro il 2009, il che ci permetterebbe di uscire con un deficit finanziario più modesto, ora invece siamo solo a 1150. Preghiamo caldamente i nostri lettori di trovare nuovi abbonati. Così facendo non solo aiuteranno una rivista cattolica che punta ai 100 anni di vita ma collaboreranno a spargere il seme della buona novella (= Vangelo). la redazione
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Messaggio tematico
Intervista a don Sandro Vitalini Continua la preziosa collaborazione con il prof. don Sandro Vitalini al quale, sulla Cresima, abbiamo posto queste domande.
1. La Cresima è un sacramento poco conosciuto ed anche di difficile comprensione. E’ d’accordo con questa opinione? Bisogna precisare che i Sacramenti non sono sette oggetti da estrarre da sette cassetti. Il Sacramento è Cristo, che nella sua umanità ci comunica la sua vita divina, che è l’amore infinito. Gesù “tocca” ogni uomo con la sua luce, e la maggior parte degli uomini è immersa in Lui solo da quel “Battesimo di desiderio implicito” che inonda ogni uomo che opera con onestà e giustizia (Giovanni 3, 21). Il Battesimo sacramentale ci fa esplicitamente membra del Figlio di Dio, che ci nutre della sua parola, della sua persona nell’Eucaristia. La sacramentalità cristiana è essenzialmente missionaria: si prolunga il mistero dell’incarnazione di Gesù per divinizzare l’universo (Matteo 28, 19-20). Nell’antichità si enumeravano anche solo due sacramenti o anche ventiquattro (come la lavanda dei piedi, il sacramento dei canonici o la benedizione delle badesse). La Cresima va pertanto vista nell’orbita del Battesimo. Nell’antichità (e anche oggi nella Chiesa orientale) è celebrata nel momento del Battesimo e sottolinea con l’unzione il dono dello Spirito d’amore che invia il cristiano a evangelizzare il mondo.
2. Come si potrebbe definire la Cresima? La Cresima fa fiorire il Battesimo rendendoci “cristi”, “unti” del Signore, per annunziare al mondo l’avvento dei tempi messianici. Quanto dice di sé Gesù a Nazaret (Luca 4, 18-19) va ripetuto da ogni cresimato: “Sono consacrato dallo Spirito per portare una concreta speranza ai poveri del mondo, per liberare gli oppressi, per aiutare i ciechi a vedere e i debitori a rimettersi in sesto: questo è l’anno giubilare, che non termina mai!”. Si nota allora come la preparazione all’unzione, che dal V secolo in Occidente è staccata dal Battesimo, debba essere non teorica, ma pratica. Idealmente ogni candidato dovrebbe scegliere un padrino che lo porti a visitare anziani e malati, che lo inizi ad attività di volontariato, perché capisca che il cristianesimo è bello se vissuto nel servizio degli altri. Noi incontriamo Cristo non nelle teorie, ma nel servizio di chi ha fame e sete, di chi è povero, disoccupato, straniero, carcerato, disperato. Il padrino che porta all’altare il cresimando dovrebbe attestare che questi si è specializzato nel visitare malati o anziani o nel far giocare i piccoli all’oratorio o nell’inviare aiuti ai missionari o nel servire i poveri (le Conferenze di San Vincenzo non sono monopolio degli anziani!).
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3. Si dice che tutti i sacramenti sono stati istituiti da Gesù Cristo, ma c’è traccia dell’istituzione della Cresima nei Vangeli? Nel Battesimo la crismazione sottolinea il fatto che il neofita diventa Cristo, l’unto, l’inviato dal Padre a rendere il mondo meno deserto e più giardino. Dagli Atti degli Apostoli apprendiamo che i battezzati samaritani (visti dagli ebrei come dei maledetti) ricevono dagli Apostoli lo Spirito Santo (8, 15-17). Il dono dello Spirito è visibile e a volte precede il Battesimo (Atti 10, 44-46). Anche oggi il battezzato cresimato visibilizza lo Spirito in opere di servizio concreto al prossimo. Se non c’è alcuna visibilizzazione, non c’è alcun sacramento, ma solo un teatrino insignificante. Sarebbe bello se il termine “istituiti da Gesù” si attualizzasse oggi. Ci rendiamo conto che in questo gesto “passa” Gesù dal momento in cui il suo Spirito inonda i nostri cuori (Romani 5, 5) e li fa fruttificare nell’amore, nella pace, nella gioia (Galati 5, 22). “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”: così dovrebbe esclamare ogni cresimato, che abbraccia con entusiasmo il suo battesimo, il quale è destinato ad approfondirsi (bapto = immergersi) per tutta l’eternità (Galati 2, 20).
4. Nei primi tempi del cristianesimo, quando si battezzavano gli adulti, si amministravano contemporaneamente i tre sacramenti dell’iniziazione cristiana, dopo lunga preparazione. Non era forse una prassi migliore dell’attuale? L’antica prassi di battezzare, cresimare e nutrire dell’Eucaristia i catecumeni (adulti, ma anche i loro bambini) si conserva in Oriente. Oggettivamente il vantaggio è quello di evidenziare la comunione con il Cristo risorto, che manda i cristiani ad evangelizzare il mondo. Così si procede anche in Occidente per i catecumeni adulti. E per i bambini? In Oriente si cerca di rammentare loro ciò che hanno ricevuto perché lo vivano. In Occidente la Cresima è separata perché il singolo prenda coscienza del suo Battesimo. Nei due casi si vede come la crescita nella fede va assicurata dalla famiglia e dalla parrocchia. I problemi che abbiamo in Occidente esistono anche in Oriente, e crescono là dove la famiglia non vive più quei valori di oblatività e di preghiera che plasmano progressivamente il cristiano. Il problema fondamentale resta quello dell’accompagnamento. Si può dire che un cristiano è davvero cresimato se porta nella sua vita uno spirito di servizio e di dedizione che mostra in lui una vitalità e una gioia che vengono da Dio (Filippesi 4, 4).
5. Lo Spirito Santo è per la maggior parte dei cristiani il “Grande sconosciuto”. Eppure lo riceviamo nel Battesimo e nella Cresima. Ritiene importante una migliore formazione sullo Spirito Santo? Il Padre e il Figlio non sono meno sconosciuti dello Spirito. Noi conosciamo le divine Persone se operiamo in conformità alla loro natura che è amore. E’ essenziale che si capisca che si conosce Dio nella misura in cui si ama il prossimo (1Giovanni 5, 20-21). Il vertice, l’essenza di tutta la rivelazione divina sta nell’amare il pros-
simo come sé stessi (Romani 13, 9; Galati 5, 14). Per una conoscenza di Dio che non sia ammantata di superstizione o di paganesimo, dobbiamo aiutare ogni uomo a vincere l’egoismo istintivo per diventare, nel sacrificio e nella gioia, altruista. La vera divisione tra gli uomini non si ha tra atei e credenti, ma tra egoisti e altruisti. L’egoismo uccide, l’altruismo vivifica. Anche chi non crede, se fa dono della sua vita al prossimo, lascia scorrere in lui l’amore trinitario. La consegna di Agostino vale per ogni uomo: “Ama et quod vis fac” e cioè “Ama e poi fa ciò che vuoi!”.
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Messaggio tematico
Il sacramento della Cresima Il sacramento della Cresima Per presentare la Cresima come abbiamo fatto per il Battesimo esponiamo i vari momenti del rito. La Cresima normalmente viene celebrata durante una funzione Eucaristica. Prima vi è la “Liturgia della Parola”, poi l’omelia e in seguito il credo. Terminato questo momento il parroco, o un catechista da lui delegato, chiama ad uno ad uno i Cresimandi che rispondono: “Eccomi”, un’antica parola biblica che significa: “Sono pronto a ricevere questo sacramento ed ad assumerne gli impegni”. Segue la riconferma del Battesimo. Nella mia Comunità una solenne riconferma per i Cresimandi viene fatta la notte di Pasqua, prima dell’amministrazione della Cresima. In quell’occasione i giovani preparano ognuno un loro credo. Preparare un Credo, sia nella notte pasquale, come nella celebrazione della Cresima, dovrebbe essere una sfida ad esprimere pubblicamente la propria fede con parole loro. È una testimonianza forte che normalmente commuove la Comunità; molti adulti non pensano che dei giovani siano capaci di fare le cose così seriamente. Segue l’imposizione delle mani. Antichissimo gesto che già nella Chiesa primitiva veniva fatto soprattutto nell’ordinazione dei presbiteri, dove ancora viene osservato. Il rito esiste, anche se non è sottolineato nell’Eucarestia, il sacerdote impone le mani sul pane e sul vino invocando che lo Spirito di Dio trasformi quel pane e quel vino nel corpo e sangue di Cristo. Che senso ha l’imposizione delle mani nella Cresima? Ha diversi significati. Prima di tutto vuol invocare lo Spirito di
Dio su quei cristiani che si impegnano a vivere, difendere, diffondere la propria fede. Inoltre è un segno di appartenenza, come se Dio attraverso il suo Spirito dicesse: “Tu sei mio, e impongo su di te la mia mano per proteggerti, in quanto ti ho scelto per andare ad annunciare al mondo il vangelo di Cristo e le opere dello Spirito”. Questa imposizione avviene mentre tutta l’assemblea si raccoglie in profondo silenzio ed in preghiera per i Cresimandi. È un momento che se è vissuto bene diventa anche commovente, spiegandolo ai genitori, padrini e madrine, affinché durante l’imposizione delle mani si raccolgono in un profondo raccoglimento per accompagnare la discesa dello Spirito sui loro figli e figliocci.
L’unzione con il crisma Il Cresimando si accosta al Celebrante accompagnato dal padrino o madrina, o meglio ancora da tutta la famiglia, in modo che i parenti più stretti, genitori, fratelli, sorelle, siano vicini nel momento della Crismazione. Il giovane viene unto con il Crisma, mentre il celebrante dice le parole “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è stato dato in dono”. Perché il sigillo? Questa parola indica autenticità, indica diritto, indica capacità di essere riconosciuto. La Cresima è l’autentico riconoscimento di essere cristiani, è il diritto di vivere e di propagandare la propria fede. Il Cresimato viene unto con un olio che contiene del balsamo, cioè delle resine odorose. L’olio è sempre stato considerato come un medicinale, un elemento che dà forza. Anche gli antichi lottatori si spal-
mavano le membra di olio per poter essere più pronti a combattere la loro battaglia. Il Cresimando deve essere un unto di Cristo, cioè un combattente di Cristo. Il balsamo che forma il Crisma, parola che richiama il nome di Cristo, che vuol dire appunto “unto”, lascia un odore gradevole; è l’odore della spiritualità che deve animare tutta la vita del Cresimato. Questo gesto deve essere spiegato profondamente ai giovani affinché vi partecipino con le risposte: quando rispondono “amen”, affermano la loro volontà di vivere il sacramento della Cresima, che diventa per loro un serio impegno di vita cristiana.
Il padrino o la madrina Il Cresimato non è solo ma come abbiamo detto viene accompagnato da un padrino o da una madrina, o meglio ancora da tutta la sua famiglia. Chi è designato come padrino deve essere un cristiano esemplare. Ecco perché il Diritto canonico mette dei limiti all’ufficio del padrino per coloro che non possono testimoniare con sincerità la loro piena adesione a Cristo e alla Chiesa. Non si tratta di esclusione, ma di coerenza. Il padrino, o la madrina, si pone dietro il Cresimando e mette la mano sulla sua spalla. Gli altri formano un cerchio attorno a lui. Un cerchio di sostegno, di difesa per dirgli: “Guarda che siamo con te, non soltanto in questo momento, ma per tutta la tua vita, per sostenerti negli impegni che ti stai assumendo”. Ecco perché padrino e madrina non possono essere delle persone troppo giovani che vivono lontano dal Cresimato, e quindi non possono esercitare il loro ufficio, o persone che vengono scelte soltanto per parentela, o peggio ancora amiche o rispettivamente per le ragazze, amici, che al momento si conoscono e si frequentano, con un’alta probabilità che poi si perdano. L’ufficio del padrino e della madrina domanda una seria preparazione e quando si celebra una Cresima nessun parroco dovrebbe esimersi di fare una o più riunioni con i genitori, con i padrini e le madrine dei Cresimandi. Tutta la Comunità deve partecipare a questo rito: il Cresimando che è già entrato con il Battesimo, che ha vissuto e ricevuto nella stessa i Sacramenti dell’iniziazione cristiana,
sa che la Comunità presente lo accoglie come adulto, ed egli stesso deve promettere di diventare un membro attivo, occupando uno dei ruoli che la Comunità gli mette a disposizione e che sia corrispondente alle sue capacità e alle sue doti. Ecco perché è bene che la Comunità festeggi i suoi Cresimandi.
Il segno della pace Terminata l’unzione il celebrante abbraccia il Cresimato. Dovrebbe essere un abbraccio significativo, forte, non appena accennato. Perché sta ad indicare un’accoglienza nell’ambito della Chiesa locale di un nuovo cristiano adulto e impegnato. Anticamente, per noi ora adulti, c’era il rito che più qualificava la Cresima: il Vescovo dava un buffetto o uno schiaffetto sulle guance del Cresimato (vedi foto pag.6). Molti sono stati i tentativi di spiegazione di questo gesto, segno evidente che è difficile trovare una spiegazione valida. Poi la celebrazione continua con i vari riti che ne sono propri. Alle preghiere dei fedeli è bene che i Cresimandi partecipino attivamente. All’offertorio dovrebbero portare l’offerta sull’altare, ma con il pane ed il vino è bene che portino qualche cosa a loro caro, un oggetto, una busta con delle elemosine che vengono destinata per uno scopo preciso da loro scelto, comunicato a tutta la Comunità, affinché l’offerta di quel giorno vada a vantaggio di coloro che sono poveri, ai quali la si invierà dicendo: “ll giorno della Cresima in Parrocchia ci siamo ricordati di voi”. Segue l’Eucarestia con la Comunione, ricevuta con particolare senso di devozione e sotto ambedue le specie. Il segno della pace viene poi ripetuto durante la celebrazione Eucaristica. Ed è li che i Cresimandi dovrebbero spargersi in tutta la Chiesa e in un tempo non troppo lungo offrire la pace a diverse persone. È frutto dello Spirito che hanno ricevuto, il ripetere delle parole e del gesto di Cristo: “Vi dò la mia pace”. Alla fine della Messa è importante che i Cresimandi ringrazino la Comunità e il Celebrante e, se non c’è il Vescovo, mandino un saluto allo stesso per mezzo del suo delegato. Sarebbe altrettanto importante che ogni Cresimando, numero permettendo, annunci quale impegno vorrebbe assumersi nell’interno della Comunità.
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Messaggio tematico Terminata la celebrazione è bene che sia offerto un piccolo rinfresco a tutta la Comunità e che i Cresimandi si ritrovino con i loro parenti più stretti, padrini e madrine, il celebrante, i sacerdoti della parrocchia e i catechisti a cena insieme. Non ha senso sciamare per i ristoranti del paese a fare delle cene particolari: la Mensa Eucaristica deve continuare nella mensa famigliare. Ed in quell’occasione la festa può diventare anche vivace secondo l’età e le esigenze dei giovani che hanno ricevuto il Sacramento. Tutto questo evidentemente presuppone che la Cresima sia data ad una età in cui i giovani possono comprendere ed impegnarsi. Dare la Cresima ad una età troppo giovane vuol dire affidare il tutto alla grazia di Dio e allo Spirito Santo. Ma sia la grazia come lo Spirito non agiscono se non c’è disponibilità. Ricordo che in una Veglia tenuta la sera prima della Cresima un giovane, quasi per scherzo, mi domandò: “Domani quanto Spirito Santo riceviamo?” Stava piovendo a dirotto ed io ebbi questa intuizione, dicendo a tutti i Cresimandi presenti: “Vedete, piove a catinelle, ognuno di voi pensi di avere un recipiente in mano. Tu, per esempio, che recipiente vorresti avere?”. Uno mi rispose, una bottiglia, un altro un catino, un altro un bicchiere, e così via. Dissi loro: “Immaginate di portare i vostri recipienti fuori sul piazzale della Chiesa, domani mattina quale recipiente conterrà più acqua? La risposta fu evidente: quello che aveva l’apertura più larga. “Ebbene chi di voi avrà il cuore più ampia-
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mente allargato riceverà maggiormente lo Spirito di Dio”. Attualmente nella nostra Diocesi la Cresima viene amministrata quasi sempre durante la scuola media. Una riforma legislativa dice che non si può amministrare prima, ma non dice che non la si possa fare dopo. Nella mia Comunità viene amministrata verso i diciotto anni, perché a sedici anni la Costituzione Svizzera permette ai giovani di scegliere la propria religione ed è proprio da lì che bisogna partire per una scelta personale. Una conferma del loro Battesimo che, come ho detto, viene fatta durante la Veglia Pasquale e ripetuta secondo il rito durante la celebrazione della Cresima. Non è la panacea per tutti i mali: purtroppo devo constatare che molti giovani specialmente di nazionalità diversa dalla nostra, pur appartenenti alla mia Comunità, vanno a ricercare il sacramento della Cresima in Comunità vicine per poterla fare il prima possibile, circondati da mille parenti che arrivano per festeggiare l’entrata nella gioventù del loro ragazzo. La Cresima diventa un’occasione per un ritrovo delle famiglie, e questo è bello, basta che non soffochi il senso del Sacramento. A mio modo di vedere la Cresima dovrebbe essere l’impegno per una vita cristiana adulta e responsabile, attiva ed impegnata. Avendo portato la Cresima più tardi, nella mia parrocchia, è diminuito il numero dei Cresimandi ma è aumentata la qualità. E alcuni di loro rimangono veramente attivi all’interno della parrocchia.
Cristiani maggiorenni rendiamo spunto da una pagina del libro Il tempo dell’esilio di Giovanni Kirschner per esporre un effetto del sacramento della Cresima, quella di rendere i laici cristiani maggiorenni.
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La crisi della chiesa, in particolare per quanto riguarda la diminuzione dei preti, ci obbliga a ripensare la distinzione tra clero e laici, che nella nostra tradizione europea ha fatto per secoli dei preti il centro unico e insostituibile della vita religiosa. Ora che di preti ce ne sono sempre meno, siamo stimolati a rivalutare l’importanza dei laici. Cominciamo ad accorgerci che non sempre c’è bisogno del prete per incontrare Dio, non è necessario che ci sia sempre un ministro ordinato che ci prende per mano e ci accompagna da lui, ma possiamo andarci anche da soli. Il battesimo e la cresima non sono solo due feste remote che ci hanno lasciato qualche foto per ricordarci com’eravamo da piccoli. In questi due sacramenti abbiamo ricevuto la vita di Cristo, il suo Spirito che rimane in noi e ci mette in grado di pensare, amare e agire come lui. Sono questi sacramenti che ci hanno dato la dignità di cristiani, che ci hanno resi figli capaci di parlare a tu per tu con Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio (Rm 8,15-16). Un figlio non ha bisogno di farsi accompagnare per parlare con suo padre, non ha bisogno d’intermediari. Il dono dello Spirito Santo mette in grado ogni credente di ascoltare la parola di Dio e di comprendere la sua volontà. Questo non significa mettere i laici contro i preti, rivendicando una loro indipendenza dal clero. Lo Spirito di Dio non può che condurci alla comunione nella chiesa, mai fuori o contro di essa. Ma è importante smontare quel senso d’inferiorità che spesso condiziona ancora i laici per cui sembra loro di non potere leggere e comprendere la parola di Dio anche da soli, senza l’assistenza di un ministro ordinato. In un mondo in cui i cristiani sono in minoranza, spesso dispersi in mezzo a tante persone indifferenti alla fede, è necessario che essi possano imparare a stare in piedi da soli, a trovare modalità per tener viva la fede, per nutrire giorno per giorno la propria relazione con Dio anche in assenza dei preti o delle attività organizzate di una comunità cristiana. In questo senso la fede del futuro rischia di giocarsi molto di più tra le mura domestiche che non tra quelle delle chiese. È sempre più necessario inventare o riscoprire i modi
per pregare e ascoltare la Parola nelle case, in famiglia, col proprio sposo e coi propri figli. Anche se a livello di comunità ecclesiale potranno esserci meno momenti organizzati in cui vivere e celebrare la propria fede, essa vivrà se sapremo inserirla dentro i tempi ordinari delle nostre giornate. Questo richiede la convinzione di essere cristiani maggiorenni ai quali lo Spirito ha già donato una sensibilità particolarità per la parola di Dio, un’affinità con la vita di Gesù che ci rende capaci di riconoscere la sua volontà dentro le vicende della nostra vita. Non abbiamo sempre bisogno di maestri, di qualcuno che ci insegni, perché la parola di Dio possiamo ascoltarla, capirla e viverla anche da soli: magari non tutta, magari non sempre, ma almeno qualcosa, almeno una pagina, questo sì. Sta proprio nell’ascolto della Parola il passaggio obbligato per arrivare a questa fede maggiorenne che lo Spirito Santo ha seminato in noi. Mentre i sacramenti si celebrano nella comunità ecclesiale e richiedono la presenza del sacerdote, l’ascolto della Parola si può vivere anche da soli, in famiglia, in piccoli gruppi. È trovando il coraggio di mettersi davanti alla Parola che il cristiano si rende conto di essere in grado di stare a tu per tu con Dio, di comprendere almeno qualcosa di quel che lui vuole comunicarci. Il cristiano si rende conto che quell’operazione inesauribile di ascoltare la Parola e rileggerla dentro la propria storia e dentro la propria vita ognuno deve compierla per sé e nessun altro può farla al posto suo. Nella fedeltà dell’ascolto della Parola, il cristiano si accorge che va imparando il linguaggio di Dio, che il modo di pensare e di agire di Cristo gli diventa familiare e comincia a comprendere un po’ di più il mistero della sua persona. Lo Spirito compie in lui la nuova alleanza: quel Dio non è più un Dio generico o estraneo, è il mio Dio, il Dio che giorno dopo giorno imparo a conoscere. Ovviamente in tutto questo c’è da rispettare un equilibrio delicato. Già Pietro lo ricordava ai primi cristiani: Sappiate anzitutto questo: nessuna scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio (1 Pt 1,20-21). Ogni cristiano che ascolta la parola di Dio sa che non l’ascolta per conto proprio ma sempre dentro alla comunità, anche se in quel momento si trova da solo o con i suoi familiari. La spiegazione a cui io posso giungere personalmente grazie al dono dello Spirito che abita in me non può mai andar contro quella chiesa che mi ha trasmesso questo stesso Spirito, così come mi ha messo in mano il libro delle Scritture. La parola di Dio chiede di essere ascoltata anche personalmente non tanto per porsi in concor-
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Messaggio tematico
renza con la predicazione ufficiale svolta nelle chiese, quanto perché ciascuno è chiamato a riportare quella predicazione alla propria particolare situazione di vita, alla propria famiglia, al proprio luogo di lavoro. È solo grazie a questa operazione che la Parola viene realmente assimilata, che Dio diventa il mio Dio. Solo in questo modo mi approprio realmente della Parola, così che essa può davvero radicarsi nel mio cuore, nella mia persona. Quando giungo a tanto, nessuno può più strapparla da me, perché non è più qualcosa di aggiunto da fuori, ma fa ormai parte della mia esistenza. Ogni madre che insegna a camminare al proprio figlio deve a un certo punto lasciarlo andare da solo, anche se questo comporta il rischio di qualche caduta. Il bambino non potrà imparare a camminare da solo se lei continua a trattenerlo a sé. Un po’ alla volta il figlio imparerà ad andare sempre più lontano, in luoghi che la madre non potrà più controllare di persona. Ma ella confida che nell’educazione che ha cer-
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cato di dargli ci sono le indicazioni sufficienti per orientarlo nella vita. Per fargli evitare quei luoghi dove potrebbe ricevere del male e indirizzarlo verso quelli dove può trovare del bene. Così la madre chiesa non può trattenere sempre a sé i suoi figli, come se non sapessero camminare da soli verso l’incontro con Dio. Certo, lasciarli andare da soli può comportare il rischio di qualche sbandata. Ma lei confida che la formazione che ha dato e continua a dare loro, unita al dono dello Spirito di Cristo ricevuto nei sacramenti, siano sufficienti per difenderli dal compiere errori irreparabili. Il tempo che viviamo chiede ai cristiani che sappiano stare anche da soli di fronte a Dio. Ben venga la comunità ecclesiale, ben venga la guida dei nostri pastori. Ma oggi in molti luoghi e in molti momenti della nostra vita essi non riescono a essere presenti. Ci siamo solo noi. Ma non siamo soli: lo Spirito di Cristo datoci nel Battesimo e nella Cresima e che perciò dimora in noi ci rende capaci di riconoscere ovunque la voce e la volontà del Padre.
“
Altissimu, onnipotente bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi Siignore, per sora Luna e le stelle: il celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua. la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fior et herba. Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore et sostengono infermitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterranno in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.
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Messaggio dal santuario
Sessantesimo anniversario della Madonna Pellegrina la Madonna Pellegrina di cui tanto si parlava. La mia gioia era più grande ancora, perché sarei ritornato per qualche momento in famiglia fra i miei genitori, fratello e sorelle. La mattina di quel 6 giugno partimmo con il treno da Faido. Arrivati alla stazione di Bellinzona ci dirigemmo direttamente al campo militare dove era stato allestito l’altare per la celebrazione della Santa Messa. Noi fratini eravamo in prima fila, proprio vicino all’altare, quando arrivò il Vescovo. Ricordo che venne a salutarci con un largo sorriso, tipico di monsignor Angelo Jelmini, che quel giorno doveva essere contento perché attorno all’altare vi erano migliaia di fanciulli. Molti appartenevano ai gruppi dell’Azione cattolica, aspiranti, crociatini; molti gli scout con le loro divise; i tarcisiani (una specie di chierichetti di Stabio) avevano l’onore di fare da accoliti. Il Vescovo celebrò l’Eucarestia attorniato da alcuni sacerdoti, fra i quali un indaffaratissimo don Alfredo Leber che era l’anima della Pellegrinatio Mariae. Dopo la celebrazione Eucaristica i miei compagni andarono al convento del Sacro Cuore, mentre a me e all’attuale fra Roberto, pure di Bellinzona, fu permesso di pranzare in famiglia. Tutti ci ritrovammo alle 14 allo stesso posto sul campo militare per accogliere l’effigie della Madonna Pellegrina. Quando arrivò ci fu un momento intenso di commozione, mentre ogni fanciullo aveva con sé un palloncino che salì verso il cielo formando una specie di nuvola in una giornata primaverile tersissima. Il Vescovo, dopo alcune preghiere, parlò a tutta la fanciullezza e ricordo molto bene la predica che fece perché era estremamente adatta ai piccoli ascoltatori. Narrò la bella leggenda del cavaliere che volle offrire la sua spada alla Madonna su un cuscino di fiori, ma i fiori avvizzirono perché il cuore del cavaliere non era libero dal peccato e la Madonna gli disse che il dono della spada doveva essere accompagnato da quello ben maggiore di un cuore in grazia. Finita la predica si ordinò un grande corteo che, passando per le vie della città, raggiunse il piazzale della stazione. Vedendo anni dopo le fotografie di quel corteo posso assicurare che il numero di diecimila fanciulli ticinesi non è stata una esagerazione giornalistica. Arrivata la vettura su quel piazzale ci fu un momento di congedo molto vissuto. La sera ritornammo a Faido sapendo che non mancava troppo al giorno in cui la Madonna Pellegrina avrebbe visitato il capoluogo leventinese; sarebbe giunta in convento, anzi, nell’aula maggiore del nostro Seminario Serafico. Quel giorno fu il 24 giugno. Accogliemmo la statua davanti al convento dove si era radunata La Madonna Pellegrina tra i fratini: la portano fra Callisto e fra Roberto tutta la popolazione di Faido per accompagnarla m iei ricordi sulla Madonna pellegrina riguardano tre momenti. Uno vissuto in modo indiretto e due ai quali ho partecipato personalmente. Come tutti sanno, l’avvenimento diocesano avvenne nella primavera del 1949. Io allora ero chierico seminarista, presso il Seminario Serafico di Faido, cioè uno di quei “fratini” che si preparavano a diventare Cappuccini, e in quanto tali custodi del Santuario della Madonna del Sasso. Il mio primo ricordo riguarda la partenza dell’effigie da Orselina per Morbio Inferiore. Eccezionalmente i superiori dal seminario ci portarono in convento per ascoltare la Radio della Svizzera Italiana che alle 18.30 trasmetteva in diretta la funzione della partenza della Madonna del Sasso. Ricordo che fu un momento molto commovente per noi e per tutti i frati presenti, perché era la prima volta che l’effigie della Madonna lasciava Locarno per iniziare un lungo viaggio in tutto il Ticino. Il cronista diceva che attorno alle strade che scendevano verso la città si era accalcata molta gente, parecchie ciglia si inumidivano. Per radio si sentivano le campane della città che salutavano la Madonna Pellegrina. Evidentemente frati e fratini aspettavano il giorno in cui l’effigie sarebbe arrivata a Faido. Noi allora non pensavamo che avremmo incontrato la statua della Madonna del Sasso in occasione del Convegno della Fanciullezza che si sarebbe tenuto a Bellinzona il Lunedì di Pentecoste. Qualche giorno prima di quel 6 giugno il nostro direttore Padre Agatangelo ci avvertì che avremmo partecipato a detto Convegno. La gioia di tutti fu grande perché finalmente avremmo potuto vedere
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P. Alberto, l’unico missionario vivente della Madonna Pellegrina verso la prepositurale di Sant’Andrea. Ricordo che fu posta sotto il tempietto dell’altare maggiore tra molte luci e fiori. Un altare bellissimo che fece onore ai faidesi che l’avevano preparato con molta attenzione. Il giorno dopo, nel pomeriggio, la Vergine arrivò anche in convento dopo aver visitato l’ospedale distrettuale. Si fermò per un momento in chiesa dove il padre guardiano, Giuliano da Vira Gambarogno, aveva preparato un altare che per lui era il più bello di tutto il Cantone, opinione non condivisa da tutti gli altri. Padre Giuliano era una specie di artista che preparava le cose con cura, ma non sempre gli riuscivano bene. Poi la Vergine fu portata nell’aula scolastica del Seminario, a noi parlò il missionario di turno, padre Gabriele, e ci esortò a prepararci bene per essere, in un domani, i custodi del Santuario. Nessuno avrebbe immaginato che il sottoscritto trent’anni dopo sarebbe stato a Locarno ed avrebbe organizzato un’altra presenza della Madonna del Sasso nelle varie parrocchie del Ticino in preparazione del quinto centenario della fondazione del Santuario. Interessante è la cronaca che il Giornale del Popolo fece sulla visita al nostro Seminario. La ritrovai quando, sempre in occasione del quinto centenario, preparai un libro sulla grande visita della Madonna Pellegrina unendo i vari articoli che mons. Leber e don Maestri pubblicarono sul quotidiano cattolico. Ecco cosa scrissero in merito alla presenza della Madonna tra i “fratini”: “E prima di tornare alla prepositurale per la funzione d’addio non poteva mancare la visita al Seminario Serafico, dove sono educati nello spirito di S. Francesco i
giovanetti che aspirano alla vita religiosa nell’Ordine dei Minori Cappuccini. Il Seminario Serafico oggi è un istituto che può essere citato come modello. L’ambiente è bello e sereno. Le aule scolastiche sono dotate di ogni più moderna attrezzatura. E i “fratini”, sotto l’occhio buono e amorevole dell’angelico Fra Angelico, vivono veramente come in una famiglia. Immaginate quale festa hanno fatto i bravi “fratini” alla dolce Madonna del Sasso, a quella Madonna che, diventati “frati”, se l’obbedienza li destinerà a Locarno, sarà affidata alla loro premurosa, affettuosa custodia. E immaginate anche con quanta dolcezza la Madonna del Sasso pellegrina ha guardato ai piccoli “fratini” che le si stringevano attorno come buoni figlioli attorno alla mamma”. Alla sera ritornammo in parrocchia per il saluto. Tutti i faidesi si staccarono dalla statua della Madonna del Sasso con riconoscenza, avendo passato una giornata spiritualmente ricca. Purtroppo la visita della Madonna Pellegrina per noi seminaristi non ebbe più seguito; malgrado le nostre insistenze non ci fu permesso di andare a Locarno per il Congresso diocesano di chiusura, con la scusa che avevamo già partecipato a Bellinzona al Convegno della gioventù. Malgrado questo dispiacere, dopo 60 anni, ricordo con immensa gioia i momenti della grande visita a cui ho partecipato e che ha aumentato in me la devozione alla Madonna del Sasso nella cui chiesa fui portato ancora in fasce. fra Callisto Caldelari
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Madonna Pellegrina in Piazza Grande ella diocesi di Lugano la Grande Visita della Madonna Pellegrina dell’anno 1949 fu uno degli eventi religiosi più incisivi del secolo scorso. Dal 3 marzo al 3 luglio di quell’anno l’effigie della Beata Vergine Maria, venerata da quasi cinque secoli sul Sasso sopra Locarno, visitò tutte le parrocchie della diocesi. Ovunque fu accolta con grande solennità e vivissima devozione. Trasportata con sommo decoro, trovava di paese in paese accoglienza entusiastica in suggestive cornici coreografiche. La sua visita riscaldava gli animi, suscitava
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scitare interesse nelle generazioni più giovani per questa gloriosa pagina della storia della nostra diocesi? Questi interrogativi se li andava ponendo da tempo il vescovo Pier Giacomo. Già due anni fa, in occasione della festa del nostro Santuario, mons. Grampa mi faceva partecipe di questi suoi pensieri. La mia reazione fu immediata. Pur condividendo gli intenti del Vescovo, gli feci subito notare che l’anno ora in corso sarebbe stato molto particolare per il nostro Sacro Monte, in quanto si prospettava l’inizio dei lavori di restauro e soprattutto la chiu-
commozione, muoveva alla conversione. A sessant’anni da quello storico evento, nella nostra diocesi ci sono ancora molti fedeli che l’hanno vissuto personalmente e che ne serbano un grato ricordo. Come far si che nel 2009 questi ricordi potessero essere riaccesi in coloro che avevano vissuto personalmente l’evento religioso del 1949, e come su-
sura della chiesa dell’Assunta. Per una celebrazione commemorativa di grande richiamo non avremmo avuto a disposizione un’infrastruttura adeguata. Le mie giustificate obiezioni, fortunatamente, non hanno distolto il nostro Vescovo dal suo proposito. L’opportunità e la possibilità di indire un pellegrinaggio diocesano alla Madonna del Sasso per sottolineare il
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sessantesimo anniversario della Peregrinatio Mariae, deve essere diventata più chiara ed evidente nella mente del nostro Vescovo in occasione della Festa delle Famiglie, tenutasi nella grande piazza della “rotonda” di Locarno il 28 settembre dello scorso anno. Da allora in poi si è messa in moto una sempre più complessa macchina organizzativa che ha cominciato a produrre idee, progetti e piani. Uno dei primi argomenti di discussione affrontati dai frati, dal Vescovo e dalle persone da lui designate concerneva il luogo dove proporre la commemorazione. La piazza della “rotonda” o la Piazza Grande cittadina? Dopo attente e ponderate riflessioni la scelta è infine caduta su quest’ultima. Alla guida del comitato organizzativo, mons. Pier Giacomo ha posto il suo vicario generale, don Ernesto Storelli. Sei sono state le riunioni di questo gruppo di lavoro, alle quali, di volta in volta, ha partecipato un numero sempre maggiore di collaboratori. Sempre più lungo e dettagliato si è fatto anche l’elenco degli aspetti organizzativi da discutere e determinare; per citarne solo alcuni: le autorizzazioni, il servizio d’ordine, i trasporti, le attrezzature, la liturgia, i canti e la musica, il trasporto dell’effigie della Madonna del Sasso, la partecipazione dei malati, gli inviti alle autorità eccetera.
Fra Boris e fra Eraldo sacerdoti per sempre Il 4 giugno, nel palazzo della Curia vescovile di Lugano, il pellegrinaggio diocesano di domenica 6 settembre, dettagliatamente programmato, veniva presentato in modo ufficiale ai media del nostro Cantone. Gli organi di stampa hanno dato una discreta rilevanza al progetto. La sensibilizzazione dei parroci, dei fedeli e di tutte le persone interessate è proseguita nel corso dell’estate e si è intensificata soprattutto dopo la metà del mese di agosto. La prima domenica del mese di settembre di quest’anno, per la tredicesima volta dal lontano 1485, la statua della B.V. Maria, in una giornata baciata dal sole, lascia il Sasso sopra Locarno e scende nella grande piazza cittadina. Ad accoglierla ci sono più di cinquemila fedeli, convenuti da ogni parte del Cantone; tra di loro anche un centinaio di ammalati in carrozzella, gruppi di giovani e di famiglie. Alle ore quindici inizia la celebrazione Eucaristica. Centocinquanta sacerdoti precedono l’incedere processionale della venerata effigie portata a spalla da quattro cappuccini. Sull’apposito palco il vescovo Pier Giacomo preside l’Eucaristia affiancato da mons. Togni e mons. Russo, è presente anche il ministro generale dei frati cappuccini, padre Mauro Jöhri. Le parole del Vescovo, che invitano anche a riscoprire il volto mariano della Chiesa, vanno al cuore della gente. La funzione solenne, sobria e spedita, viene seguita con grande partecipazione da parte dei fedeli. Un ricordo indelebile si imprime nel cuore di tutti i partecipanti. Grazie, oh Vergine del Sasso, di aver voluto essere pellegrina, almeno ancora un giorno, in mezzo alla tua gente, accolta, umil Regina, da preci, canti e fior. Proteggi il popol tuo dal male e dall’error: infondi in tutte l’alme speranza nel tuo Cuor.
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o scorso 6 giugno ha avuto luogo nella Cattedrale di San Lorenzo a Lugano l’Ordinazione presbiterale di fr. Eraldo Emma e di fr. Boris Muther insieme ad altri cinque seminaristi diocesani per l’imposizione delle mani del nostro Vescovo Mons. Piergiacomo Grampa. La cerimonia è stata molto bella e commovente. Abbiamo vissuto un momento di gioia per il dono di questi due giovani neo presbiteri con i loro parenti più stretti, con il Ministro provinciale ed i numerosi confratelli provenienti dalle altre Regioni della Svizzera ed una nutrita rappresentanza di frati della Provincia di Bologna che avevano accompagnato fr. Eraldo nella sua formazione teologica . I due confratelli hanno celebrato la loro prima S. Messa domenica 7 giugno, Solennità della SS. Trinità: a Ronco sopra Ascona fr. Eraldo, mentre fr. Boris a Balerna. È stata una bella occasione per riallacciare contatti significativi e sperimentare il valore delle comunità parrocchiali dentro la quali nascono e crescono le vocazioni. In uno dei prossimi numeri dedicato al Sacramento dell’Ordine verrà dato maggior risalto alla testimonianza dei nuovi presbiteri e al significato del Ministero. Ringraziamo insieme il Signore ed accompagniamo nella preghiera il loro cammino. Tanti auguri!
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Conoscere Francesco
La sfida della povertà evangelica Dai Poveri di Lione ai Frati minori Per capire il testo che presentiamo, bisogna innanzitutto situarlo nel suo contesto storico. Francesco d’Assisi vive nel periodo storico che vede il passaggio da una società agricola ad una basata sullo scambio commerciale. Si sa che anche suo padre, Pietro di Bernardone, fosse un agiato mercante di stoffe che agiva tra l’Italia e la Francia. La ricchezza procurata dal commercio e dal danaro aveva senz’altro recato dei benefici, ma aveva anche suscitato o accresciuto forti disparità sociali. Per questo non stupisce che le persone più sensibili fossero preoccupate e che si tendesse a riscoprire la beatitudine della povertà, proposta da Gesù di Nazareth: “Beati i poveri, perché di essi è il Regno dei cieli”. Per questo figure come quelle di Domenico e dei suoi predicatori, e di Francesco e dei suoi frati minori, non sono casi fortuiti. Vediamo cosa ci dice un suo coevo.
La testimonianza di Burcardo Burcardo era un monaco premonstratense di Ursperg, morto nel 1230. Egli aveva conosciuto a Roma Bernardo dei Poveri di Lione, forse nel 1210, e proprio di quell’anno è la Bolla di condanna di questo movimento pauperistico da parte di papa Innocenzo III. Burcardo distingue molto bene qui il movimento dei seguaci di Francesco, che chiama “Pauperes Minores” (cioè Poveri Minori), da tutti gli altri gruppi penitenziali del suo tempo. Una precisazione
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che, più tardi, farà pure il più noto Giacomo da Vitry. Leggiamo ora il testo di Burcardo, un testo molto puntuale, che non richiede molte spiegazioni. Ma forse è bene ricordare che anche papa Innocenzo ebbe inizialmente dei dubbi riguardo al movimento penitenziale di Francesco. Dubbi che, come si sa, scomparvero dopo il famoso sogno, così ben rappresentato dal grande Giotto. (Scrive il Burcardo). Il mondo d'allora già dava segni di vecchiezza, ma Dio suscitò nella Chiesa due nuovi Ordini religiosi a rinnovarne la giovinezza, come d'aquila; e la Sede apostolica li ha approvati. Sono i frati minori e i Predicatori. L'occasione per la quale furono approvati è, probabilmente, questa. Si erano diffuse in Italia, e durano ancora, due sette, dette degli Umiliati la prima e dei Poveri di Lione l'altra. A suo tempo, papa Lucio aveva condannato come eretici i loro adepti, perché circolavano tra loro dommi e usanze superstiziose e, inoltre, nella loro predicazione clandestina, che per lo più svolgevano in luoghi ben nascosti, screditavano l'autorità della Chiesa e il sacerdozio. Abbiamo visto noi, in quel tempo, alcuni seguaci della setta dei Poveri di Lione, che si presentavano alla Sede apostolica, guidati da un certo Bernardo, loro maestro, penso, chiedendo con insistenza che approvasse con privilegio il loro modo di vita religiosa, sostenendo che essi vivevano la vita degli apostoli. Rifiutavano, infatti, come dicevano, ogni specie di proprietà, non volevano avere di-
more fisse, e andavano come pellegrini per le città e i paesi. Ma il signor Papa, in quell'udienza, li redarguì per alcune loro usanze superstiziose: che sfilacciavano un poco i calzari appena sopra il piede e se ne andavano in giro quasi fossero a piedi nudi; che mentre portavano cappucci alla maniera dei religiosi, usavano invece capigliature alla maniera dei laici. Anche più riprovevole sembrava al Papa quest'altra usanza: che se ne andavano insieme per le strade, uomini e donne, e spesse volte dimoravano insieme nella stessa casa, quando addirittura non dormivano nel medesimo letto, come si sosteneva da alcuni. Ma essi rispondevano che tutte queste pratiche erano di origine apostolica. Invece il Papa approvò altri religiosi, sorti al loro posto, che si chiamavano Poveri Minori. Questi, da un lato rigettavano tutte le predette pratiche malsane e superstiziose, dall'altro andavano per il mondo proprio a piedi nudi, tanto d'estate che d'inverno, e non accettavano né denaro né altra cosa, ad eccezione del vitto e del vestito, quando ne avevano estremo bisogno, se qualcuno l'offriva spontaneamente. Costoro, più tardi, riflette ndo che non raramente la copertura di un nome troppo umile può ingenerare vana gloria e che, facendosi scudo del nome della povertà, molti, che lo portano fraudolentemente, ne prendono poi motivo di vanto orgoglioso presso Dio, preferirono chiamarsi Frati Minori, invece di Poveri Minori. Questi vivono in piena sottomissione alla Sede apostolica. (FF 2243-2246)
La testimonianza di Giacomo da Vitry Per concludere questo intervento, mi piace riprendere alcuni passaggi, perfino esageratamente elogiativi ed entusiastici, del celebre Giacomo da Vitry, il quale vedeva nei francescani addirittura degli uomini apostolici, anche se affermava che il loro movimento non sembrava adatto “per i deboli e gli imperfetti” (FF 2230). Questo è il santo Ordine dei frati minori, questa la meravigliosa religione di uomini apostolici, degna che sia imitata. Questi noi crediamo che Dio abbia suscitato, in questi ultimi tempi contro il figlio della perdizione, l'Anticristo e i suoi discepoli senza fede. Costoro, come forti atleti di Cristo, sono la guardia del corpo di Salomone, e, costituiti custodi delle mura di Gerusalemme, passano da una porta all'altra, armati di spada, poiché non cessano mai dalle divine lodi e dai santi colloqui il giorno e la notte; levano alta la loro voce, forte come tromba, per fare vendetta contro le nazioni e ammonire i popoli; e non trattengono le loro spade dal sangue, uccidendo e divorando; percorrono la città in tutti i sensi, pronti a soffrire la fame come cani erranti. Questi, vero sale della terra, confezionando cibi di soavità e di salvezza, conservano le vivande, dissolvono la puzza dei vermi e il fetore dei vizi. E come luce del mondo, molti illuminano nella scienza della verità e li accendono ed infiammano al fervore della carità. (FF 2229). fra Riccardo Quadri
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Conoscere Francesco
La donna e San Francesco
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l tempo di Francesco i rapporti fra uomini e donne erano caratterizzati da una marcata e rigida divisione e gerarchizzati a favore del maschio: a temperare questo rigido schematismo intervenivano la poesia e la cavalleria con l’idealizzazione della donna, angelicata come nel Dolce Stil Novo, e raramente l’ascetismo. Francesco fu uomo del suo tempo e del suo ambiente di cui subì in modo marcato l’influsso e da cui venne sensibilmente influenzato. Quale fu dunque,di quale essenza, il rapporto di Francesco con la donna? A leggere le testimonianze di Tommaso da Celano gli elementi per considerarlo un misogino sono innumerevoli. Leggiamo infatti nella Vita Seconda: “Comandava che fossero del tutto evitate le familiarità con le donne, dolce veleno che corrompe gli uomini santi” e poi “quando si intratteneva con una donna parlava ad alta voce, in modo che tutti potessero udire” ed infine “il beato Francesco non voleva avere familiarità con nessuna donna e non permetteva che le donne usassero con Lui modi familiari; solo alla beata Chiara sembrava portare affetto”. Possiamo chiederci: cosa c’è dietro un simile atteggiamento? Paura? Antifemminismo? O solo umiltà e rifiuto del culto della persona? E come è possibile con queste premesse che Francesco possa poi essere anche il protagonista di una delle più toccanti “storie d’amore” che l’agiografia cristiana conosca, quella con Chiara? Occorre cioè chiederci, al di là delle remore legate al fatto che tutti gli agiografi di Francesco erano uomini e quindi pesantemente condizionati nei loro giudizi e nelle loro valutazioni dallo spirito del tempo, come e in che modo la donna abbia contribuito ad innescare quel processo che va sotto il nome di “francescanesimo”, a farlo crescere e a maturarlo, la donna che secondo arcaiche simbologie significa la terra. E se le donne nella Bibbia sono innumerevoli, nessuno più del Cristo ha rivolto il suo viso verso la donna: così nella sua imitazione ingenua, quasi maniacale, delle Scritture Francesco non poteva evitare questo incontro con una donna amante, sua sorella, il suo doppio: si completano come i due pilastri dell’arcobaleno, ogni gradazione dell’amore passa dall’uno all’altra e il suo nome dice chi sia e cosa dia: Chiara. In una bellissima poesia di Alda Merini Francesco si rivolge a Chiara con tenerezza e abbandono, a Lei in cui stanno tutte le luci. “O donna angelicata e sublime, come non diventerò un grande poeta cantando le tue sublimi stanchezze. Come siamo stanchi, Chiara, di camminare su questa terra che non dà luce. Noi siamo due torce d’amore per Dio” Cioè Francesco e Chiara amano dello stesso amore, sono fatti per intendersi, solo in apparenza separati, maschi con maschi e femmine con femmine, ma uniti nel colloquio incessante delle loro anime, nell’estasi di aver trovato l’interlocutore privilegiato, colei e
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colui che capisce ogni cosa, anche i silenzi. Sempre con Alda Merini: “O Chiara, siamo prigionieri di noi stessi e non serve a niente demolire questi limiti se Dio non ci rapisce.” E se si è detto di Chiara che fu “Francisci plantula”, anche Francesco in modo vicendevole può venir salutato come “Clarae plantula”, albero dI Chiara. Perché la scelta e la vocazione di Francesco da nessuno fu meglio interpretata che da Chiara e dalle sue discepole. La compenetrazione è stata tale che non è possibile fare una storia dei francescani senza fare parallelamente una storia delle clarisse. E di fronte alla fuga di Chiara, che è contestazione e inaudita ribellione ai costumi del tempo, l’addio di Francesco alla famiglia, benchè più pubblico e più spettacolare, ha un linguaggio eversivo assai minore. E una donna capace di gesti tanto dirompenti e fragorosi non poteva limitarsi ad un rapporto di pura sudditanza o di discepolanza passiva: e gli apporti di Chiara sono gli apporti della femminilità, filtrati in un mirabile equilibrio nella sua persona, e della spontaneità che la portano alla pienezza della liberazione e alla limpidezza dell’amore. Un amore che non potrà non essere anche amore d’emotività e di corporeità oltre che di spirito e di grazia. Chiara ama totalmente Francesco, come ama totalmente Dio; e Francesco ama totalmente Chiara, ma in qualche modo ha paura di dirselo. Così avverte ancora il bisogno di chiamare Chiara “madonna povertà“ o “cristiana”: ma quel nome gli risuona dentro e quel rapporto lo matura. Così non sorprende che il Cantico di Frate Sole sia stato composto a San Damiano, vicino a Chiara, Chiara che è la donna, la gioia, la naturalità, il creato, la vita. La libertà di fantasia e di spirito che egli raggiunge lungo il suo cammino terreno e lungo la sua esistenza, è anche in gran parte frutto della femminile mediazione e della influenza di Chiara. Un percorso di mediazione che in modo mirabile viene raccolto alle soglie della morte da una seconda donna, Jacopa de’ Settesoli, che è un’altra figurazione della libertà, a cui egli non esita a chiedere di fargli quel dolce di mostaccioli (fatto con farina e miele) che tanto gli piaceva: così il primo Francesco, severo, ascetico, dedito ai digiuni, cede il posto a un Francesco più maturo, armonioso e conviviale. Jacopa appare come la seconda donna di Francesco: colei che assieme a Chiara lo ha fatto crescere nella sensibilità e nella libertà. E quando Francesco si fa deporre nudo nella nuda terra è un consegnarsi alla povertà, di cui Chiara era stata una figurazione, e insieme un consegnarsi al grembo della donna, di cui la terra si conferma simbolo. Così che possiamo dire che la vicenda terrena del Santo si conclude nel segno di una doppia simbologia femminile. Mario Corti
Le tre donne di San Francesco La Madre Sappiamo poco di questa donna, portata sposa ad Assisi dal mercante Pietro di Bernardone dalla sua nativa Provenza. Si chiamava Pica ed era di animo gentile che contrastava la rudezza paterna. Perciò, quando il figlio fu perseguitato dal padre per la sua generosità esagerata verso i poveri, lo protesse e sembra che lo abbia liberato dal carcere paterno. Troviamo un accenno a lei nella Vita Seconda di Tommaso da Celano: “Il servo e amico dell’Altissimo, Francesco, ebbe questo nome dalla Provvidenza, affinché per la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione. La madre lo aveva chiamato Giovanni, quando rinascendo dall’acqua e dallo Spirito Santo, da figlio d’ira era divenuto figlio della grazia. Specchio di rettitudine, quella donna presentava nella sua condotta, per così dire, un segno visibile della sua virtù. Infatti fu resa partecipe, come privilegio, di una certa somiglianza con l’antica santa Elisabetta, sia per il nome imposto al figlio, sia anche per lo spirito profetico. Quando i vicini manifestavano la loro ammirazione per la generosità d’animo e l’integrità morale di Francesco, ripeteva quasi divinamente ispirata: “Cosa pensate che diverrà, questo mio figlio? Sappiate, che per i suoi meriti diverrà figlio di Dio”.
Jacopa dei Settesoli Nobile romana, grande amica di Francesco, testimone delle sue stigmate. Di lei si ricorda soprattutto la visita della Porziuncola al santo morente, chiamata da lui stesso. Leggiamo nel Trattato dei miracoli di Tommaso da Celano che dopo aver manifestato questo desiderio da parte dei frati: “Si scrive una lettera, si cerca un messo molto veloce e trovatolo si dispose al viaggio. All’improvviso si udì alla porta un calpestio di cavalli, uno strepito di soldati e il rumore d’una comitiva. Uno dei confratelli, quello che stava dando istruzioni al messo, si avvicinò alla porta e si trovò alla presenza di colei, che invece cercava lontano. Stupito, si avvicinò in fretta al Santo e pieno di gioia disse: “Padre, ti annunzio una buona novella”. Il Santo, prevenendolo, gli disse: “Benedetto Dio, che ha condotto a noi donna Giacoma, fratello nostro! Aprite le porte, esclama, e fatela entrare perché per fratello Giacoma non c’è da osservare il decreto relativo alle donne!”
Chiara d’Assisi In tutta la letteratura francescana antica è la seconda persona più importante. Nasce ad Assisi nel 1193 e deve aver osservato con stupore ed ammirazione il cambiamento di vita verificatosi in Francesco. A diciotto anni (1212) di notte lascia la casa paterna e va da Francesco che la consacra a Dio. Con tutta probabilità vuole condividere con lui l’aiuto ai poveri, ma non è possibile; la gerarchia ecclesiastica non l’avrebbe permesso. Diventa così “la pianticella di Francesco e il fondamento del suo secondo ordine”, del quale divenne cofondatrice e prima abadessa. Per 43 anni governa le sorelle quale madre e maestra di perfezione. Con il Santo ha rapporti di affetto e confidenza, ripagata con la richiesta, da parte di lui, di consigli per esplorare la volontà di Dio sul modo di esercitare la sua missione. Lotta per avere dalla Chiesa l’approvazione del suo Ordine, che al papa sembra troppo rigido nella povertà, che ottiene all’anti-vigilia della sua morte avvenuta l’11 agosto 1253. Solo due anni dopo viene canonizzata. Preziosi per lo spirito di alto misticismo il suo testamento ed alcune sue lettere.
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Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare
Sorelle e Fratelli dell'OFS In ricordo di Bruno Raggenbass Ho avuto una certa difficoltà a selezionare le tante cose non tanto a vanto di Bruno, ma piuttosto utili per la nostra vita cristiana, a selezionare le tante cose che potevano, che possono prestarsi in questo momento appunto come qualcosa di positivo e di stimolo per il nostro cammino cristiano. Ma perlomeno mi è sembrato di riuscire ad identificare quelle che sono le più significative e applicabili alla nostra vita. Un aspetto importante è quello del suo essere francescano secolare, terziario francescano come si usa dire in linguaggio più popolare; è stato anche ministro di questo Terzo Ordine Francescano nella nostra regione, nel senso cioè che ha accettato anche il servizio di maestro, tra virgolette, di guida, di incoraggiamento, di sostegno alle comunità francescane, sia del Ticino e in particolare di questa nostra regione. Ed abbiamo colto in lui lo spirito francescano anzitutto nel suo prendere sul serio la preghiera; l’abbiamo visto più volte con il libro della Liturgia delle Ore, a cui era, mi sembra, fedelissimo e già in questo tanto di cappello davvero, anche magari per noi stessi consacrati, presbiteri, diaconi e religiosi il vedere quella serietà nell’unirsi agli impegni della preghiera universale della chiesa. Ma lo notavamo anche nel suo stile lo spirito francescano, nella sua semplicità: dal modo di vestire, all’alimentazione, alle abitudini molto “terre à terre”. In questi giorni mentre si preparava la sua tomba, dove la sua salma verrà deposta assieme a quella della sua Alice, scomparsa nel 1987, ho potuto apprezzare anche questo spirito francescano nella tomba da lui voluta per Alice e per se stesso: quella semplice croce che la dice lunga sulla nostra speranza cristiana e sulla nostra fede. Ma dopo aver accennato a questa sua esperienza che di-
venta un esempio sia per l’Ospitalità Diocesana di Lourdes e sia nel mondo Francescano secolare, due elementi che riguardano la sua vita in generale mi sembra più che doveroso da parte mia, come parroco, di proporre come suo insegnamento in questo momento. Anzitutto è stato un laico aggiornato, aperto, impegnato, ha vissuto i tempi d’oro del Concilio e del dopo Concilio e credo che proprio in lui abbiamo un esempio, abbiamo avuto un esempio splendido di che cosa significhi quello stimolo ai laici voluto dal Concilio di essere protagonisti impegnati, collaboratori altrettanto importanti come la gerarchia nel mondo della chiesa. Aperto ho detto. Nella sua biblioteca, chi l’ha avvicinato da quegli anni in poi, notavamo libri come: “Liberi in Cristo” di Bernhard Häring, o alcuni volumi di Hans Küng e credo che non ci sia che da apprezzare questa sua apertura, anche critica a volte, nei confronti della chiesa e della gerarchia e della comunità cristiana. Ma, critica proprio nel suo caso, non ci sono dubbi al riguardo, critica proprio per quell’amore e per quella passione che dimostrava di avere per la chiesa, quasi rattristandosi che a volte perdesse e perda il treno nell’accompagnare gli uomini nel cammino della vita. Lo propongo questo esempio anche di apertura e di impegno contro le attuali nostalgie di epoche preconciliari e non solamente degli anziani, come ben sappiamo, lo propongo dico con convinzione questo esempio proprio opponendole a quelle nostalgie fuori posto che così facilmente escono oggi anche nelle discussioni e nelle tradizioni della nostra fede cristiana. E poi un altro aspetto che sottolineo della sua vita in generale è il suo impegno nel sociale. C’è un po’ l’idea che cattolico praticante, lui era eccome cattolico praticante, sia quasi inevitabilmente anche sinonimo di bacia-pile, di cattolico e di cristiano che pensa alla preghiera e alle cose spirituali e lì dentro inizia e si esaurisce la sua religiosità. “Bacia-pile”, “sgüra-medai”, come si dice di quelli di Balerna riferendosi proprio ad un certo atteggiamento di lucidare i santini pensando che quello è il cristianesimo e la fede. Un esempio che definisco coraggioso e che farà scuola al riguardo è quel suo impegno in prima persona, lui capofila, primo firmatario, presidente, promotore della protesta pubblica nel 1977, contro l’insediamento della Boxer Asbestos, qui a Balerna. Per chi eventualmente non aveva seguito quei momenti: era una fabbrica che aveva già ottenuto i permessi comunali che cantonali, era una fabbrica già in costruzione che doveva realizzare, pezzi che non so come definirli, strumenti di edificazione in cemento-amianto, che era rite-
nuto, sono andato in questi giorni a rileggere la stampa di quell’epoca, materiale nuovo, straordinario. E, purtroppo, la Svizzera, in quegli anni, veniva ritenuta la capitale di questi prodotti che, pensate la beffa, ha avuto il nome, rispetto a quell’Asbestos, il nome di Eternit. E sapete perché l’han chiamato Eternit? Perché nella supposizione dell’euforia di quegli anni, era l’unico materiale che si poteva considerare eterno. E infatti, Asbestos è una parola greca che vuol dire “eterno”, fu tradotta in quel “eternit”. Mi è sembrato di capire che è stato quasi casualmente che qui a Balerna qualcuno si è accorto, da primi allarmi lanciati, di questa sostanza così velenosa e persino mortale. La voce ha cominciato a correre. Credo che il figlio Mario, in quegli anni appena laureato in fisica, ha passato a papà Bruno quelle importantissime informazioni. Ed ecco la raccolta di firme, la sensibilizzazione. Lui, in un mese, personalmente, ne ha raccolto 1500 qui a Balerna e poi, nei tre mesi seguenti, nell’estate del 1977, i comuni vicini ne hanno aggiunte altre 4’000. La Confederazione, il Cantone, il Comune non hanno potuto che far marcia indietro, riconoscendo l’errore gravissimo che si stava compiendo. Penso che non riusciamo ad immaginare le conseguenze che ci sarebbero state per Balerna e per il Mendrisiotto con l’insediamento di quella ditta e di quella fabbrica.
È un debito che abbiamo verso di lui. Glielo avevo promesso che sarebbe giunto il giorno in cui, a nome di tutti voi, mi sarei sdebitato di questo suo coraggio. Ma lo cito perché è un esempio di cristianesimo convinto che si fa vita e impegno, che si fa socialità, perché solo così che è autentico e che può definirsi al seguito del Vangelo di Gesù. E termino riprendendo il finale del “Cantico delle creature” di San Francesco d’Assisi, il quale ha composto la maggior parte di questo cantico, messo poi insieme dai suoi Francescani, presso San Damiano, in un momento di grande prova interiore e di malattia; lo sottolineo perché il “Cantico delle creature” sulle labbra di un uomo provato dalla malattia e persino dalla prova nello spirito, assume evidentemente un significato particolare. Lo leggo nell’idioma originale del 1200 che usava Francesco: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.” dall’omelia funebre di don Gian Pietro Ministrini
Avanti tutta! È il grido del capitano della nave che indica ai suoi marinai la direzione da seguire e l’intensità con la quale i motori devono produrre energia, quindi movimento. Ci lasciamo alle spalle l’estate, con il giusto e meritato riposo dalle fatiche accumulatesi in questa prima parte dell’anno, ed ora ci viene chiesto di ripartire con rinnovata gioia alla scoperta del messaggio del Vangelo e dell’esperienza di vita di Francesco e Chiara d’Assisi. Capitoli elettivi, formazione permanente ed attività varie costelleranno il cielo dell’OFS ticinese nel periodo 2009-2010. A questo proposito raccomando a tutti i membri dell’OFS di voler accettare di buon grado gli incontri formativi proposti, sia quelli a livello di singole fraternità, quanto quelli regionali a Spazio Aperto. La formazione permanente, oltre ad essere utile e necessaria a tutti, fa sì che ci si ritrovi in un ambiente fraterno di condivisione e di crescita reciproca. Nessuno si senta dispensato da questo dovere primario! A novembre si terrà il capitolo elettivo del ministro regionale; sarà una
sicura occasione di verifica sull’andamento dell’Ordine e magari i tempi saranno maturi per un rinnovo delle cariche e quindi dei servizi all’interno del Consiglio Regionale. Da parte mia sarei ben lieto se qualche frate giovane (per anni di professione religiosa), volesse assumere il servizio di assistente regionale, carica che sto ricoprendo con grande interesse, entusiasmo e fiducia ma che non deve restare troppo a lungo legata alla mia persona. Auguro a tutti una buona ripresa delle attività all’interno delle singole fraternità, quanto al Consiglio Regionale che ha il compito di fare da “collante” tra le realtà locali e quella regionale. Raccomando da ultimo di leggere e promuovere la diffusione di MESSAGGERO, unica voce stampata della cattolicità francescana ticinese. Un caro saluto lo rivolgo pure alle consorelle ed ai confratelli delle comunità della val Poschiavo che, lontani fisicamente, sono presenti al centro nel cuore della Regione. fra Michele Ravetta
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Dieci minuti per te
Spiritualità in cammino
L
a realtà del cammino è molto vicina a quella della spiritualità. La spiritualità viene spesso paragonata a un cammino. Gli uomini dello spirito sono anche uomini in cammino. Il loro camminare non è solo interiore; spesso comporta notevoli e continui spostamenti esteriori, ossia fisici. Gesù percorre le strade della Palestina, annunciando ovunque la buona notizia del regno di Dio. Spesso valica i confini del mondo giudaico. Si sposta sull’altra riva del lago perché anche ai pagani sia annunciato il Vangelo. Ha fretta di raggiungere Gerusalemme, il luogo della sua suprema testimonianza. È proprio con riferimento a questi continui spostamenti che dice: «Il Figlio dell’uomo non ha ove posare il capo» (Mt 8,20). Sale sulla montagna o si ritira nel deserto per essere solo con il Solo. Ma poi lo ritroviamo di nuovo sulle strade percorse dagli uomini per adempiere alla missione che ha ricevuto. Se non viene accolto in una città, scuote la polvere o il fango che si è attaccato ai piedi contro di essa, in segno di rimprovero (Mc 6,11), per andarsene liberamente altrove. Francesco d’Assisi coglie soprattutto l’aspetto più squisitamente spirituale e liberante di questo gesto praticato da Gesù e dai suoi discepoli. Per Francesco si tratta di mantenersi interiormente liberi da ogni attaccamento, così da evitare dispute e litigi, sapendo che siamo forestieri e pellegrini in questo mondo e, quindi, dobbiamo amare e apprezzare ogni cosa, ma senza appiccicarci a nulla. Prescrive ai suoi frati: «Comando fermamente a tutti i frati che, ovunque sono, non osino chiedere lettera alcuna nella curia romana né per le chiese, né per altri luoghi, né per motivi di predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi, ma, dove non saranno ricevuti, fuggano in altra terra a far penitenza con la benedizione di Dio».1 Accanto a Gesù staglia potente la figura di Paolo. Tutti gli apostoli sono degli itineranti. Ma se c’è un apostolo in cui l’aspetto itinerante della vita di Gesù emerge con maggiore evidenza, quest’apostolo è sicuramente Paolo. I suoi viaggi missionari sono descritti in lungo e in largo da Luca nel libro degli Atti degli Apostoli. Paolo stesso ne accenna, quando racconta delle difficoltà e dei pericoli che deve affrontare quotidianamente per il Vangelo. Confrontandosi con gli altri apostoli, dice che «più di loro ho affrontato pericoli mortali: cinque volte ho ricevuto le trentanove frustrate dagli Ebrei; tre volte sono stato bastonato dai Romani; una volta sono stato ferito a colpi di pietra; tre volte ho fatto naufragio, e una volta ho passato un giorno e una notte in balìa delle onde. E ancora: lunghi viaggi a piedi, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli da parte degli Ebrei e dei pagani, pericoli nelle città, nei luoghi deserti e sul mare, pericoli da parte dei falsi fratelli. Ho sopportato duri lavori ed estenuanti fatiche; ho trascorso molte notti senza poter dormire; ho patito la fame e la sete; pa-
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recchie volte sono stato costretto a digiunare; sono rimasto al freddo e non avevo di che coprirmi… Quando ero a Damasco, il governatore rappresentante del re Areta aveva fatto mettere delle guardie alle porte della città per catturarmi. Ma da una finestra io fui calato in una cesta all’esterno delle mura e così gli sfuggii di mano» (2Cor 11,23-33). Quella di Paolo, quindi, non è solo itineranza, ma itineranza disseminata da difficoltà, da pericoli, da minacce continue, da resistenze e da persecuzioni. Per cogliere il significato spirituale di questo travaglio itinerante che tocca anzitutto la dimensione più sensibile, corporeo ed esteriore dell’essere umano, posso citare Éloi Leclerc. Nel suo splendido libretto su san Francesco, La sapienza di un povero, descrive le difficili condizioni di vita di Francesco e dei frati alla Verna. Le considerazioni che fa e le conclusioni a cui arriva, ci permettono di cogliere il significato spirituale di tante difficoltà, resistenze e disagi materiali e concreti che incontriamo lungo il nostro percorso di vita, se siamo all’altezza di leggerli in prospettiva di crescita e di cammino. «In quel luogo selvaggio e dirupato» – scrive –, «dove ci si moveva tra ardue scalate e discese veloci e pericolose, il corpo stesso si faceva più agile e leggero, sempre docile ai comandi dello spirito. Per vivere questa vita di preghiera si rendeva necessario un temperamento di acrobata. Bisognava camminare sulle mani, senza paura, perdendo brandelli di tonaca stracciata dalle sporgenze delle rocce. Francesco pensava che tali acrobazie fossero un modo, anch’esse, di rendere lode a Dio. Il corpo e l’anima, saldamente congiunti tra loro, partecipavano in tal modo allo stesso slancio e ritrovavano la loro unità nella vera pace dello spirito. Ed era questa una grande saggezza! Questa esistenza, spoglia di ogni comodità, non tollerava più nessun artificio. L’uomo vi veniva costretto ad attingere la verità, e nulla più. Ci si faceva sobri di parole e di gesti. Gli stessi sentimenti si placavano e si facevan più semplici. E ciò non era dovuto né a letture, né a meditazioni; ma soltanto a quella santa e dura obbedienza alle cose, provocata dalla povertà allorché questa viene accettata in tutto il suo rigore. Era una scuola dura che insegnava a sentire diversamente dal solito, con maggiore semplicità e più aderenza alle cose». In effetti – aggiunge subito dopo – nulla aiuta a penetrare, a gustare e a capire il senso più profondo e vero della vita, «quanto il vivere pericoloso e malcerto. La minaccia delle intemperie ci fa sentire il valore di un tetto. Inoltre, l’assenza di ogni appoggio umano e d’ogni sostegno ci fa sentire quanto siano vere le seguenti parole: La mia roccia, il mio baluardo sei Tu. Allora l’uomo può vedere senza paura la sua vita tremare come il fragile stelo di un’orchidea selvaggia sullo spacco di una roccia al di sopra di un precipizio. Quando, di sera, i frati recitavano, riuniti nel piccolo oratorio, il ver-
setto: Proteggici, o Signore, come la pupilla degli occhi tuoi, essi sentivano di dire qualcosa di grande e di forte! Non stavano Dio da una parte e la realtà dall’altra. Dio stesso era reale nel cuore delle cose reali».2 Itineranti sono la maggior parte dei profeti. A volte in fuga, perché minacciati e perseguitati; a volte perché guide scelte da Dio per condurre il popolo verso terre di libertà; altre volte ancora perché solidali col popolo che va in esilio. Mosé precede e guida Israele verso la terra dove scorre latte e miele. È una guida coraggiosa e determinata che, col suo incedere, mantiene viva nel popolo che lo segue la speranza di un futuro diverso. Il suo cammino è costellato da imprevisti, ribellioni e resistenze. Ma Mosé non demorde. La sua fiducia in Dio e nella bontà del cammino intrapreso è troppo grande e non gli permette di voltarsi indietro. Elia fugge verso il monte Oreb per sottrarsi all’ira di Gezabele. Durante l’estenuante viaggio è nutrito e dissetato da un angelo che lo incoraggia a proseguire. Al termine della sua vita, dopo aver miracolosamente attraversato con Eliseo il Giordano, fu rapito in cielo in un turbine di vento. Isaia, Geremia, Ezechiele sono profeti in patria e in esilio. Deportati in Babilonia, mantengono viva la speranza del ritorno a Gerusalemme e della ricostruzione della città. Ma il cammino spirituale si snoda soprattutto su una lunghezza d’onda che è tutta interiore. A ricordarcelo è soprattutto la figura di Abramo, il pellegrino dell’Assoluto. La Lettera agli Ebrei ne tesse un ampio elogio al capitolo 11. Le note dominanti di questo cammino interiore sono la fede-fiducia, la consapevolezza che ascolta la realtà e apre alla comprensione e alla conversione, il coraggio e la costante ricerca della verità che fa liberi. Un’altra nota dominante, che sembra quasi in contrasto con quella del cammino, è quella dell’immobilità e del silenzio che ascolta. Sul piano dello spirito, questi due atteggiamenti sono di assoluta importanza, se vogliamo davvero celebrare un cammino che
conduce di scoperta in scoperta, di grazia in grazia. Mi limito a citare due testimonianze. «La mente che sta, impara a stare con il proprio respiro, nel silenzio e nell’immobilità, è una mente che cresce e che si evolve. E tutta la spiritualità non è altro che una mente che cresce e che si evolve, per realizzare quella pienezza dell’essere che va infinitamente al di là di tutto quello che i nostri concetti e preconcetti ci dicono. Crescita, evoluzione della mente affidata alle cose più semplici: andiamo verso il respiro e osserviamo che cosa succede all’inspiro e all’espiro. Nella mente silenziosa ci sono le radici dell’intelligenza e dell’amore». Questa è una citazione di Corrado Pensa. L’altra è di Aurobindo: «La prima cosa da farsi nel cammino spirituale è stabilire nella mente una pace e un silenzio durevoli. Altrimenti potrete avere esperienze, ma nulla sarà permanente. La vera coscienza può formarsi soltanto in una mente silenziosa», ossia in una mente capace di fermarsi e di ascoltare attentamente la realtà e il proprio modo di reagire ad essa. fra Andrea Schnöller
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S. Francesco, Testamento 28-32; FF 122-123. Éloi Leclerc, La sapienza di un povero, Ed. Biblioteca Francescana, Milano 2007, pp. 25-26
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Messaggi dal mondo della chiesa
Appunti di vita ecclesiale Maggiori mezzi finanziari per i media La Conferenza centrale cattolico romana della Svizzera (RKZ), durante l’assemblea plenaria dello scorso giugno, ha deciso di destinare un maggiore aiuto finanziario per l’attività mediatica della Chiesa. Grazie alla disponibilità dei suoi membri, che sono le Chiese cantonali e le Diocesi, la RKZ ha aumentato i contributi per il 2010 del 2% e poi dell’1,5% nei tre anni successivi, e potrà meglio finanziare la presenza della Chiesa cattolica alla televisione, alla radio e su internet nella Svizzera Romanda e in Ticino, in particolare col Centro cattolico di radio e televisione della diocesi di Lugano. La RKZ dimostra così di ritenere importante l’attività informativa sulla Chiesa cattolica e si attende che ciò contribuisca a diffondere nel pubblico una immagine di Chiesa credibile, contemporanea e aperta al mondo. Il preventivo 2010 della RKZ prevede un totale di contributi di fr. 10,2 milioni, dei quali 6,55 milioni per il funzionamento di istituzioni nazionali o delle regioni linguistiche (2,1 milioni per il segretariato dei Vescovi svizzeri e istituzioni dipendenti), 1,73 milioni sono destinati alla pastorale dei migranti, 0,5 milioni per compiti pastorali affidati alla Federazione romanda cattolico romana e fr. 0,5 milioni quale pagamento globale per diritti d’autore per l’insieme della Chiesa svizzera.
Perchè il vescovo di Basilea sta a Soletta? Accanto alla chiesa-cattedrale di Basilea sorge un imponente edificio che fu residenza dei vescovi fino alla riforma protestante (1521); rimase tuttavia proprietà del principe-vescovo di Délemont fino al 1794, e infine fu destinato nel 1919 a sede dell’amministrazione della Chiesa evangelica riformata. La città di Basilea fu sede vescovile fin dall’alto medioevo, come provato dalle tombe dei vescovi e dei dignitari ecclesiastici nella cripta della cattedrale. Dal 1528 al 1792 la sede del vescovo di Basilea (che conserva il titolo originale) divenne poi Porrentruy (ora canton Giura), e dopo un trasferimento a Offenburgo, fu finalmente dal 1828 stabilita nella città di Soletta, capitale dell’omonimo cantone. Per molti secoli il vescovo di Basilea era anche un principe del Sacro romano impero germanico e per questo i confini della diocesi mutarono a seguito delle vicende storiche (in particolare vi fu staccata l’Alta Alsazia). Attualmente la diocesi di Basilea (riorganizzata nel 19mo Secolo) comprende 10 cantoni (Argovia, Berna, i due Basilea, Giura, Lucerna, Sciaffusa, Soletta, Turgovia e Zugo), cioè la parte svizzera della primitiva diocesi basilese e quella della antica diocesi di Costanza.
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Un cristianesimo sempre piu’ plurale È comunemente noto, almeno agli svizzeri, che i cristiani sono da secoli divisi in tre «Chiese nazionali», la cattolica (ora la più numerosa, diretta dalla Conferenza dei vescovi), la evangelica riformata (costituita dalle Chiese cantonali riunite in una Federazione) e la Chiesa vecchio-cattolica o meglio cattolica-cristiana (comprendente circa 15.000 membri e un proprio Vescovo). Ma ormai sono presenti in Svizzera altre Chiese cristiane, sia di antica origine (anglicani, ortodossi) sia di più recente costituzione. Recentemente il paesaggio si arricchisce (se è veramente un... arricchimento) delle cosiddette «Chiese dell’immigrazione», per la tendenza che dimostrano certi gruppi di immigrati, specialmente africani, latino-americani e asiatici, a costituirsi in comunità particolari. Una recente pubblicazione, dal titolo «Le Peuple de Dieu est de toutes le couleurs» ha elencato, per la sola regione della Svizzera occidentale, più di 50 «nuove Chiese dell’immigrazione» che fanno parte della grande famiglia riformata. Molte di queste Chiese svolgono un prezioso lavoro di integrazione, aiutando i nuovi venuti ad ambientarsi nella società svizzera, come del resto hanno fatto in passato e ancora oggi le cosiddette «Missioni cattoliche» per importanti gruppi di immigrati (italiani, spagnoli, portoghesi, ora croati ecc.). Un ulteriore passo sulla integrazione sarà rappresentato dall’adesione di queste nuove Chiese alla Federazione evangelica-riformata; un problema analogo, con le sue difficoltà, all’integrazione degli appartenenti alle «missioni cattoliche» alle tradizionali parrocchie.
La facoltà teologica di Lucerna Le diocesi di Basilea e di San Gallo sostengono la facoltà di teologia di Lucerna che conta circa 260 studenti e 13 professori. La decana della facoltà Monika Jakobs (sì, una donna!) ha recentemente informato di alcune novità offerte per la formazione degli studenti, come un corso di musica sacra in collaborazione con l’Alta scuola di musica di Lucerna, un master di «religione - economia - politica» in collaborazione con la facoltà di scienze sociali e di cultura di Lucerna e in collaborazione con quelle di Basilea e di Zurigo; già dall’autunno 2007 la facoltà organizza un corso di formazione per insegnanti di religione che ha avuto un buon successo. La priorità della facoltà di Lucerna resta tuttavia la formazione di teologi per il servizio della Chiesa e della società, trasmettendo «una teologia fedele sia alla tradizione sia aperta ai problemi del mondo contemporaneo». Lucerna possedeva fin dal 1600 una scuola superiore istituita dai gesuiti, da cui ebbe origine nel 2005 l’attuale università di Lucerna che comprende la facoltà di teologia.
Finanze delle Chiese La Chiesa riformata del canton Soletta ha approvato i conti per l’esercizio 2008 che presentano un totale di spese di fr. 870.000, destinando fr. 19.000 a favore dell’Aiuto Protestante Svizzero (EPER). Il Sinodo cattolico romano del canton Zurigo ha approvato i conti 2008 con una entrata complessiva di 50,25 milioni di franchi, e spese per complessivi 49,9 milioni, mentre il preventivo accusava un deficit di 5 milioni; a causa della crisi, sono previsti risultati meno favorevoli nel futuro. Anche i conti 2008 della Collettività ecclesiastica cattolica del canton Giura hanno presentato una eccedenza attiva di fr. 7.900, mentre il preventivo accusava una perdita; l’importo totale del bilancio è di fr. 8.800.000, mentre la somma di fr. 630.000 è stata destinata ad una riserva per finanziare in particolare la fusione di comuni ecclesiastici. Difficoltà finanziarie colpiscono invece la cassa pensione del clero, il cui tasso di copertura è disceso all’87,5%. Piange pure il bilancio 2008 della diocesi di Lugano, che denuncia un disavanzo alla gestione ordinaria 2008 di fr. 390.827, su un totale di costi di fr. 3.241.300,72. In crisi finanziaria anche alcune Chiese riformate cantonali e la causa è la diminuzione dei fedeli: Zurigo sopprimerà una ventina di posti di pastore e diminuisce i salari del 3%, Neuchâtel ridurrà gli effettivi da 100 a 75, quella ginevrina ha già soppresso nel 2004 una decina di posti, e quella vodese una ventina negli ultimi anni.
Religiosità dei giovani Una inchiesta finanziata dal Fondo nazionale svizzero ha cercato di analizzare la religiosità dei giovani, interrogando 400 giovani tra i 16 e i 19 anni del canton Neuchâtel (40% protestanti, 31% cattolici, 16% senza religione, 6% musulmani, 4% diversi). Il 50% dei protestanti e dei musulmani non pregano mai, il 20% dei protestanti e l’11% dei musulmani pregano ogni giorno. Per i cattolici, il 45% non prega mai, e solo il 3% ogni giorno. Questi adolescenti indicano come riferimenti della propria vita la famiglia, gli amici, la formazione; all’ultimo posto pongono la religione, persino dopo la politica. A Lucerna i giovani sono più religiosi: più del 30% pregano almeno una volta alla settimana, il 20% dei musulmani prega ogni giorno e il 20% almeno una volta alla settimana. Solo il 15% dei giovani portava un segno religioso (pendaglio), solo una musulmana del campione di Neuchâtel portava il velo; i giovani considerano la religione una questione privata, anche se si è constatato che in genere le amicizie sono fatte specialmente tra simili (ma qui gioca specialmente l’affinità culturale ed etnica). Contrariamente a quanto spesso riferisce la stampa, il comportamento dei giovani musulmani non è sostanzialmente diverso da quelli appartenenti ad altre credenze. (da un articolo del Courrier, del 2 giugno 2009). Alberto Lepori
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Messaggio ecumenico
La visione ecumenica del patriarca Bartolomeo l patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, che detiene il primato d’onore ed è il “primus inter pares” tra i capi delle 15 Chiese ortodosse autocefale o autonome in comunione tra di loro, è stato l’ospite d’onore della Conferenza delle Chiese europee, che ha festeggiato il suo 50.mo anniversario in occasione della sua 13.ma Assemblea, che si è tenuta dal 15 al 21 luglio di quest’anno a Lione. Di fronte alla divisioni internazionali provocate dalla seconda guerra mondiale, alla guerra fredda e alle crescenti tensioni tra Europa orientale ed occidentale, alcuni responsabili di Chiese cristiane sentirono la necessità, all’inizio degli anni 50, di studiare la possibilità di stabilire contatti tra Chiese di paesi europei separati da sistemi politici, economici e sociali diversi. Dopo alcuni incontri esplorativi, rappresentanti di 45 Chiese di 20 paesi dell’Europa orientale e occidentale fondarono
I
nel gennaio 1959 a Nyborg, in Danimarca, la Conferenza delle Chiese europee (conosciuta anche come KEK, dall’acronimo tedesco), allo scopo di permettere alle Chiese d’Europa di diventare strumenti di pace e di comprensione e di promuovere la riconciliazione, il dialogo e l’amicizia. Con il passare degli anni, la KEK si è man mano allargata e nel 1964 è diventata uno degli otto organismi regionali del Consiglio ecumenico delle Chiese. La KEK, che ha la sua sede principale presso il Centro ecumenico di Ginevra, conta attualmente 126 Chiese membro (per lo più Chiese nazionali) di 38 paesi e di tutte le grandi famiglie confessionali cristiane d’Europa ad eccezione di quella cattolica romana, con la quale esiste però un’ottima collaborazione, tanto che i due organismi hanno organizzato congiuntamente le tre grandi Assemblee ecumeniche europee di Basilea (1989), Graz (1997) e Sibiu (2007).
Fare la volontà di Gesù Cristo Nel magistrale discorso pronunciato il 19 luglio a Lione, città altamente simbolica poiché è quella dove S. Ireneo è giunto dall’Oriente per esercitarvi il ministero episcopale, Bartolomeo confermandosi uno dei maggiori leader mondiali attuali in campo ecumenico ha ribadito la profonda convinzione, sua personale e del patriarcato di Costantinopoli, che soltanto dialogando e cooperando strettamente le Chiese saranno in grado di proclamare al mondo il Vangelo di Cristo in modo convincente ed efficace. “Noi crediamo fermamente – ha aggiunto – che il ristabilimento della
comunione cristiana rappresenta un dovere primordiale e imperativo che spetta a noi tutti, in quanto è un comando che il Cristo Salvatore ha espresso nella Sua ultima preghiera. Questa preghiera è il testamento di nostro Signore Gesù Cristo, cui dobbiamo dar seguito alla lettera, affinchè il mondo creda”. Dopo aver ricordato che è in questo spirito che gli ortodossi sono stati tra i fondatori sia del Consiglio ecumenico delle Chiese (nel 1948) sia della Conferenza delle Chiese europee, il patriarca di Costantinopoli ha sottolineato quanto siano state numerosi e preziosi i risultati finora ottenuti dalla KEK, in particolare la “Charta Œcumenica”, solennemente firmata il 22 aprile 2001 a Strasburgo dai presidenti della Conferenza delle Chiese europee e del Consiglio delle Conferenze episcopali cattoliche (CCEE). A proposito di quest’ultimo documento, però, Bartolomeo ha affermato che numerose sue proposte non sono state né integrate nella coscienza dei fedeli né, a fortiori, applicate dalle Chiese, per cui, purtroppo, restano ignorate dai fedeli e sono rimaste lettera morta. Pertanto, l’oratore ha incoraggiato le istanze competenti della KEK a favorire e a promuovere la recezione degli impegni della “Charta Œcumenica”, scopo al quale possono contribuire anche le scuole e le facoltà di teologia. Uno dei passaggi più rimarcati del discorso del patriarca ecumenico è stato la proposta di trovare un modo di cooperazione meglio organizzato e strutturato tra la KEK e il CCEE. Ma Bartolomeo è andato ancora più lontano, esprimendo la convinzione che “una Conferenza di tutte le Chiese europee può, all’unisono, rispondere al meglio al sacro comando del ristabilimento della comunione ecclesiale e servire l’uomo contemporaneo confrontato con una moltitudine di problemi complessi”. A questo proposito, ha ricordato come già in occasione dell’8.a Assemblea della KEK, nel 1979 all’Accademia
ortodossa di Creta, la Chiesa di Costantinopoli avesse proposto che la Chiesa cattolica romana diventasse in futuro membro della Conferenza delle Chiese europee. Lui stesso ha però riconosciuto le difficoltà che una simile impresa comporterebbe, poiché necessiterebbe lavori preparatori ed emendamenti ai relativi regolamenti.
Ricard: maggiore collaborazione, ma non fusione La proposta del patriarca ecumenico ha provocato diverse reazioni. Prudente quella del cardinale francese Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e vicepresidente del CCEE. “Se si tratta di intensificare la collaborazione – ha detto Ricard in un’intervista al quotidiano “La
Croix” – sono assolutamente favorevole, ma non credo sia possibile sopprimere le istanze esistenti per integrare CCEE e KEK, in quanto non è l’oggetto del CCEE, che è un luogo di incontro, di lavoro e d’informazione reciproca tra i presidenti delle Conferenze episcopali, un luogo di concertazione, di scambio e di riflessione interna, non di proclami”. Quanto al presidente uscente della Conferenza delle Chiese europee, il pastore riformato francese Jean-Arnold de Clermont, va ricordato che egli stesso, in un commento di grande spessore pubblicato sull’”Osservatore Romano” in prima pagina nel novembre 2007 (a poche settimane dalla conclusione dell’Assemblea ecumenica europea di Sibiu), si era proprio chiesto perché non cominciare a lavorare ad
un’unica struttura ecumenica europea e aveva scritto di vedere favorevolmente la creazione di una “piattaforma ecumenica comune”. Esprimendosi in conferenza stampa a Lione sull’appello di Bartolomeo, de Clermont ha affermato che si tratta di un momento importante per la storia della KEK e di una doppia sfida, lanciata non solo alla Chiesa cattolica romana, ma anche alla stessa Conferenza delle Chiese europee, che deve dimostrarsi capace di aprirsi a questa collaborazione con la Chiesa di Roma. In ogni caso, il pastore de Clermont ha aggiunto che KEK e CEE (che si incontrano regolarmente) devono riflettere insieme su come dire di sì a una tale sfida. Gino Driussi
Il norvegese Olav Fykse Tveit nuovo segretario generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese Riunito a Ginevra, il Comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese ha eletto lo scorso 27 agosto il teologo e pastore luterano norvegese Olav Fykse Tveit nuovo segretario generale dell’organismo che ha sede nella città di Calvino e che raggruppa 349 Chiese non cattoliche del mondo intero. Tveit ha 48 anni e sostituirà, il 1 gennaio 2010, il pastore metodista kenyano Samuel Kobia, che, come è noto, non ha sollecitato un secondo mandato. Dal 2002, Olav Fykse Tveit è segretario generale del Consiglio della Chiesa luterana di Norvegia per le relazioni ecumeniche e internazionali, mentre dal 2007 è membro di “Fede e Costituzione”, l’importante commissione teologica del Consiglio ecumenico della quale fa parte a pieno titolo anche la Chiesa cattolica. E a proposito di rapporti con la Chiesa di Roma, il nuovo segretario generale li ha considerati, sin dalle prime dichiarazioni, di grande importanza, addirittura cruciali, esprimendo l’auspicio che vengano intensificati, sia nei modi già sperimentati (ad esempio attraverso il gruppo misto di lavoro tra i due organismi, che esiste dal 1965), sia cercando nuove forme di collaborazione. “Abbiamo entrambi, Consiglio ecumenico delle Chiese e Chiesa cattolica romana – ha detto Tveit – la stessa preoccupazione, la stessa missione: la ricerca del-
l’unità visibile dei cristiani e questa è una base che ci accomuna”. Da parte cattolica, alle relazioni multilaterali Benedetto XVI sembrerebbe però preferire quelle bilaterali, in particolare con il mondo ortodosso. Non è un caso che il Papa non abbia ancora dato seguito all’invito a visitare il Consiglio ecumenico delle Chiese rivoltogli a Roma nel giugno 2005, pochi mesi dopo la sua elezione, da una delegazione guidata dal segretario generale Samuel Kobia. Quanto alla questione di un eventuale ingresso della Chiesa di Roma nel Consiglio ecumenico delle Chiese, già sollevata, con un grande punto interrogativo, da Paolo VI durante la sua visita a Ginevra nel 1969 e che non sembra più di attualità, Tveit ha affermato che per lui è ancora prematuro prendere posizione.
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Messaggio biblico
Dio creò l’uomo a sua immagine el numero precedente abbiamo visto il racconto della creazione. Evidentemente non è un racconto scientifico: è un inno, un canto, è una poesia che ha dei fini ben precisi. Il primo fra tutti è quello di dimostrare che il sole non è Dio e la luna non è una dea; che nessun albero può vantare di essere una divinità, nessun animale può essere adorato come idolo, e nemmeno l’uomo, anche se assomiglia a Dio, anche se è la sua immagine. Tutto è stato creato, voluto, conservato e guidato da l’unico Dio.
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Quindi il vero scopo del “Cantico della creazione” è una grande confessione monoteistica: “Adorerai un solo Dio, Creatore e Signore del cielo e della terra”, scopo che ci permette di capire l’attualità di questa prima pagina della Bibbia. Aveva ben compreso questo primo capitolo della Genesi Francesco d’Assisi che ce ne ha lasciato uno dei più bei commenti nel suo meraviglioso Cantico delle Creature. Si dice che il filosofo Diogene con una piccola lanterna cercasse l’uomo. Ma per cercarlo, Diogene, doveva già sapere chi era un uomo. La Bibbia, prima di cercare l’uomo, tenta di rispondere nel capitolo primo, versetto 26 e seguenti, alla domanda: chi è l’uomo? Leggiamo questi versetti:
“Allora Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, simile a noi, dominerà sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i volatili della terra. Allora Dio creò l’uomo come Sua immagine, come immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”. Volendo spiegare questi versetti dobbiamo iniziare da quel verbo plurale “facciamo” l’uomo. Il verbo “facciamo” - al plurale - indica una consultazione interna. Dio si consulta: non dimentichiamo mai che questi brani sono stati scritti da orientali che rappresentano Dio come un grande re, e i monarchi del tempo si consultavano con i loro ministri quando dovevano procedere a cose importanti. Dio non ha ministri con cui
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consultarsi, è assoluto e unico, ma consulta se stesso proprio per dimostrare che sta per compiere un’opera importante. E l’importanza di quest’opera ci è data da l’altra parola: “immagine”. Vi è una regoletta biblica molto semplice che dice: se volete cogliere la parola più importante di uno o più versetti, guardate se vi è un’espressione che è ripetuta più volte. Rileggiamo i versetti: per tre volte troviamo la parola “immagine”. Dio dunque crea l’uomo a “Sua immagine”, e l’autore insiste dicendo a “Sua somiglianza”.
L’uomo è dunque l’immagine di Dio, forse per questo presso gli ebrei era proibito rappresentare Dio con altre immagini, e di conseguenza non vi è un’arte figurativa ebraica, perché - come noi sappiamo nel Decalogo - vi è un comandamento preciso al riguardo: “Tu non farai mai nessuna mia immagine”, cioè tu non dovrai mai rappresentare Dio, perché la statua vivente, più bella, più luminosa, più somigliante a Dio, sei proprio tu, uomo. Queste ultime frasi sono di Gianfranco Ravasi che continua con questa acuta osservazione: “Ma c’è una cosa curiosa a questo proposito rispetto a tutto l’Oriente. L’Oriente conosceva già l’idea dell’uomo ad immagine ed somiglianza di Dio, ma questa idea l’aveva applicata il re, soltanto il sovrano era l’immagine di Dio, tante è vero che egli veniva rappresentato avvolto con una aureola di luce che gli circondava il capo; egli era quasi immerso nella stessa atmosfera di Dio”. Nella Bibbia avviene quasi il processo contrario, ogni uomo è un’immagine di Dio; non soltanto colui che sta sopra ed ha il potere, ma ogni creatura umana, anche la più fragile, anche la più dimenticata, anche quella che presenta un volto deforme è sempre immagine di Dio. Dovremmo riflettere su questo concetto, perché se lo facessimo veramente programma della nostra vita, avremmo forse più rispetto per la nostra umanità e per quella dei nostri fratelli. Gesù ci dà l’esempio, ama gli uomini in genere e predilige i meno fortunati, e in loro si rispecchia, quale “Servo sofferente” dicendo che tutto quello che facciamo per loro lo facciamo per lui.
Le radici spirituali della musica Un percorso tra fede e cultura attraverso la meditazione delle sacre scritture
vinzione che esso, il canto, possedesse il “potere” di colmare l’immensa distanza tra l’uomo e lo “spirito superiore”. La musica, infatti, nel suo significato più ampio, dal rumore al grido, fino alle melodie più elaborate, avrebbe la capacità di erché parlare di spiritualità della musica e quindi del ammansire il dio corrucciato e renderlo amico e favorevole alla canto? È una storia lunga, antica ed affascinante alle cui origini vi sono miti e leggende, sogni. Come salute, alla fecondità della terra, alla buona riuscita della caccia. quello che vorrebbe che l’uomo abbia imparato il canto diPer affermare la priorità del sentimento interiore sul gesto rettamente dagli dei, prima ancora che dal sibilo del vento musicale costantemente confrontato al rischio di rimanere nelle canne. E ancora, che la lira sarebbe stata donata alsegno esteriore e vuoto, si dovrà attendere sino alla concezione cristiana del canto. l’umanità nientedimeno che da Apollo in persona. Gli esempi potrebbero continuare lungo i secoli per arrivare Ma la musica cristiana, si sa, è figlia dell’esperienza culfino ai nostri giorni e tutti, pur nella loro diversità non fatuale ebraica la introdusse nella propria liturgia come elerebbero altro che dimostrare come generazione dopo gemento importante e con una grandiosa organizzazione nerazione, l’uomo abbia sempre intravisto nella sfera voluta dal re David che fu poeta, musico e danzatore (Simusicale le tracce di un “passaggio divino” al punto da racide 47, 11-12). conferire alla musica un posto tra le cose più sacre e a volte A lui sono attribuiti i Salmi, che nella maggioranza dei casi, costituiscono il terreno sul quale è inviolabili. Una convinzione capace di supestato costruito per secoli il repertoSpiritualità e musica medioevali rio musicale cristiano. Testi sacri in rare ogni religione e ogni tipo di digiornata di studio al Bigorio versità o divisione anche a livello cui si esprimono pagine significative ideologico. Già S. Agostino faceva della storia sociale e religiosa del po7 novembre 2009 sua, collocandola in un’ottica cripolo di Israele e poi dei cristiani. 10.00/15.30 stiana, una millenaria convinzione Non si può dimenticare però l’oripagana secondo cui: “La musica gine popolare o profana di numerosi (...) è stata concessa dalla divina liberalità anche ai mortesti che furono poi utilizzati dagli autori per tradurre il mestali dotati di anima razionale”. La musica e il canto come saggio rivelato della Alleanza. Solo per fare un esempio il dono della divinità e della realtà cosmica presente nell’imCantico dei Cantici, così come diverse parabole evangeliche, appartenevano alla lettura “secolare” sia di ambiente mensità dei corpi celesti come negli elementi microscopici ebraico sia di ambiente assiro-babilonese ed egiziana. La della materia: ovunque! Quindi tutto canta, tutto è armosaggezza della Provvidenza del Padre ne ha creato un mezzo nia ed equilibrio nella creazione perché armonia perfetta è la Trinità divina dalla quale tutto deriva. Questa la convindidattico adeguato per nutrire una riflessione di fede, di conzione del cristiano. versione e di speranza sotto il segno dell’unica alleanza e Tutto questo, seppur in un’ottica diversa, veniva avvertito della Redenzione. anche da chi cristiano non poteva essere, perché vissuto L’intelligenza della Fede è attenta a non confondere le metodologie di approfondimento e di analisi: una cosa è la rinei secoli precedenti la nascita di Gesù, ancora in epoche flessione esegetica metodica universitaria, altro è l’uso remote quando già l’uomo percepiva nella musica un “siliturgico cristiano nella cui ottica entra la musica e il canto gnum” (traccia, segno) della realtà soprannaturale. Un concetto che sarà ereditato divenendo fondamentale nella della cui essenza ci facciamo portatori. teologia della musica per il culto cristiano. Giovanni Conti Ma perché la musica, il canto? Perché è linguaggio dell’anima, è veicolo dei sentimenti più nascosti capace di trasformarci, nelle culture di tutti i tempi, in pianto per chi è afflitto o in inno per chi è nella gioia. Ci si guardi attorno e dentro di sé e non si troverà idioma più immediato, più espressivo e comunicativo e nello stesso tempo più adatto ad accomunare. Un idioma “sacro” da riservare alle comunicazioni più nobili e ai gesti rituali. Anche e soprattutto per questo fu da sempre e quasi esclusivamente usato nel culto di tutte le religioni, ovviamente secondo schemi e modalità diverse, ma sempre nella con-
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Messaggi dalle adiacenze
Biblioteca Salita dei Frati stato detto autorevolmente che le biblioteche sono uno dei principali indicatori della cultura diffusa in un paese: il patrimonio bibliografico che esse conservano e mettono a disposizione dei lettori e l’efficienza dei servizi di consultazione e di prestito sono un contributo essenziale per il benessere culturale della collettività. Chi ritenesse che i dati oggi disponibili elettronicamente possano costituire la principale (o l’unica) fonte di informazioni, prescindendo dalla ricerca bibliografica ‘tradizionale’, dimostrerebbe di non conoscere i criteri con cui va condotta un’indagine culturale e intellettuale in modo serio e rigoroso. È d’altra parte indiscusso che l’avvento dell’informatica non minaccia la sopravvivenza delle biblioteche, perché non è ragionevolmente pensabile che il libro in formato digitale possa sostituire il libro su supporto cartaceo. Ciò vale a più forte ragione per quelle biblioteche (le cosiddette “biblioteche storiche”) che si propongono prima di tutto di tutelare e valorizzare fondi librari antichi, che documentano la storia e l’ideologia di determinate comunità nel loro sviluppo sull’arco di più secoli.
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Caratterizzazione della Biblioteca Salita dei Frati La Biblioteca Salita dei Frati di Lugano occupa senza dubbio una posizione bibliografica e culturale unica nel panorama delle biblioteche della Svizzera italiana. Di essa si è fornita una caratterizzazione adeguata nel
primo numero del ‘nuovo’ «Messaggero» (gennaiomarzo 2008, p. 29), al quale si rimanda. Qui ci si limita a ricordare che essa è la più importante biblioteca privata del Cantone aperta al pubblico, che è la più antica (la sua fondazione risale al 1565) e che è la sola biblioteca monastica del Ticino (con quelle molto più piccole di Bigorio e di Faido) che sia rimasta integra, non avendo subito spoliazioni: i libri antichi (secoli XVI-XVIII) che vi si conservano sono un documento insostituibile che testimonia le scelte e gli interessi religiosi e culturali della comunità conventuale di Lugano (e prima, dal 1565 al 1653, di Sorengo) nel corso dei secoli. Si pensi in particolare alle opere di ascetica, di oratoria sacra, di devozione popolare, di storia locale. Va pure ricordato che, da quando (nel 1980) la biblioteca è stata aperta al pubblico e affidata all’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati”, si è provveduto ad un accrescimento bibliografico continuo e coerente, acquistando in particolare opere per lo studio del fondo antico, testi e studi letterari, studi su Francesco d’Assisi e il francescanesimo, opere sulla ‘religione praticata’ (in particolare: spiritualità, storia della mentalità e dei comportamenti religiosi, devozione e pietà popolare). Con queste scelte la Biblioteca Salita dei Frati ha acquisito, anche per i nuovi acquisti librari che si sono innestati sul vecchio fondo conventuale, una sua specifica fisionomia culturale nel contesto bibliotecario ticinese. Val la pena anche sottolineare che, per una precisa scelta dei suoi fondatori, l’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” è aconfessionale, e si propone di offrire alla persona colta, di qualunque appartenenza religiosa, i mezzi per soddisfare le proprie aspirazioni in ordine alla conoscenza del cristianesimo in termini storici e culturali. Secondo questo principio vengono promosse e organizzate anche le conferenze e gli incontri di studio su tematiche religiose, in particolare gli incontri biblici.
Un servizio culturale pubblico Per dare concretezza al carattere di servizio culturale pubblico che la Biblioteca Salita dei Frati ha sempre inteso rivestire, dal 2003 essa fa parte del Sistema bibliotecario ticinese (Sbt) come biblioteca associata, sulla base di una convenzione sottoscritta il 24 giugno di quell’anno e di una risoluzione governativa del successivo 22 luglio: con questo atto ufficiale la Biblioteca Salita dei Frati è stata riconosciuta “di interesse pubblico” (Legge delle biblioteche, art. 17). Le noti-
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zie bibliografiche delle nuove acquisizioni librarie vengono perciò inserite nel catalogo informatizzato del Sbt. Attualmente, grazie al notevole lavoro svolto dalla bibliotecaria Luciana Pedroia e dai suoi collaboratori, nel catalogo del Sbt sono inseriti i dati di oltre 46’000 volumi della biblioteca, cioè meno della metà delle opere possedute: questo significa che la ricatalogazione informatizzata del ‘pregresso’, in corso di attuazione, richiederà ancora del tempo per essere completata. Purtroppo, per ragioni di natura finanziaria, non è possibile assumere altro personale qualificato in aggiunta a chi è alle dipendenze dell’Associazione.
La sala di studio e di lettura La biblioteca è aperta al pubblico tre pomeriggi la settimana (mercoledì, giovedì e venerdì) e il sabato mattina. Le limitate risorse finanziarie non consentono, come sarebbe auspicabile, orari più estesi: l’apertura al pubblico implica infatti la presenza in sala di lettura di personale qualificato per la consulenza e il prestito. La frequenza di lettori e di studiosi ha comunque fatto registrare un notevole incremento in questi ultimi anni, come dimostra anche l’aumento dei prestiti, che dai 400 del 2003 sono passati ai 1’619 del 2008. La sala di studio e di lettura dispone di 56 posti, per studenti (liceali o universitari), studiosi o semplici lettori. Il fondo delle opere di consultazione e le collezioni di testi presenti in sala e direttamente accessibili all’utente, che negli ultimi anni s’è provveduto ad arricchire in modo consistente, è utile soprattutto per ricerche di storia della teologia e del cristianesimo (si pensi solo alla Patrologia del Migne e al Corpus christianorum). Si aggiunga che il frequentatore della sala di lettura ha ovviamente la possibilità di usufruire del prestito a domicilio di opere della biblioteca (o anche, attraverso il prestito interbibliotecario, di opere conservate in altre biblioteche della Svizzera).
Collaborazione con l’USI Poco dopo la creazione dell’Istituto di studi italiani (ISI) presso l’Università della Svizzera italiana (USI), in un incontro tra il direttore dell’Istituto stesso Carlo Ossola e i responsabili della biblioteca, è stata valutata l’opportunità di mettere in atto forme di collaborazione, tenuto conto soprattutto della natura e della specificità dei fondi librari antichi della biblioteca stessa. Da questo incontro è scaturita una prima esperienza estremamente positiva: tra il novembre e il dicembre del 2008, infatti, François Dupuigrenet Desroussilles, titolare della cattedra di Storia del libro e bibliografia dell’ISI (e docente ordinario alla Florida State University), ha tenuto per i suoi studenti un corso sul libro antico presso la Biblioteca Salita dei Frati, visionando un centinaio di volumi. Un analogo corso verrà riproposto nell’anno accademico 2009-2010. Fernando Lepori
Adesione all’Associazione L’Associazione “Biblioteca Salita dei Frati” conta attualmente 326 soci. Vi può aderire chiunque approvi lo statuto e versi la tassa sociale annua (almeno 40 franchi i soci individuali; 10 franchi studenti, apprendisti, pensionati; 100 franchi le istituzioni). Chi è membro dell’Associazione è informato di ogni attività che si tiene in biblioteca, riceve gratuitamente la rivista «Fogli» e partecipa alle scelte dell’Associazione nell’assemblea. Chi fosse interessato a diventare membro si rivolga al segretariato, Salita dei Frati 4, CH – 6900 Lugano, tel. +41 91/923 91 88, e-mail bsf-segr.sbt@ti.ch.
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Abbiamo letto... abbiamo visto... Mick E. L. Cresima. Per capire il sacramento Padova, Messaggero, 2008
Un agile sussidio - scritto da questo sacerdote dell'Ohio, professore di liturgia - che presenta in sintesi la visione dei sacramenti, in particolare della Cresima, nata dal concilio Vaticano II per tutti i cristiani e non solo per coloro che si preparano a riceverla. Un testo che può servire per la formazione dei cresimandi, la catechesi degli adulti e per i gruppi di riscoperta della fede. Nelle sue brevi pagine, dopo aver spiegato che cos'è un sacramento in genere e la Cresima o Confermazione in particolare, pone della domande dalle quali si comprende che l'autore insiste sulla Cresima come momento di conferma del Battesimo, di conversione e di inizio di un'attività comunitaria.
Maurice Prétôt “Scelto da Dio” Una premessa è doverosa: non conoscevo l’autore. Questo libro mi fu donato un paio di anni or sono dall’amico Sandro Molinari presidente di UNITAS Ticino in occasione di un incontro per preparare un ritiro con il Gruppo S. Lucia. Il titolo “scelto da Dio” e il sottotitolo “autobiografia di un malato di sclerosi multipla”, stridevano. Ho avuto paura. Avevo timore di leggere della sofferenza come di un dono di Dio. Ero terrorizzato alla sola ipotesi che dietro quel libro vi fosse una visione doloristica. Così il volume è finito tra i testi “da leggere”. Ma poi al ritiro ho conosciuto Maurice Prétôt. E una volta tornato in convento mi son detto che valeva la pena di leggere il suo libro che presento volentieri per i lettori di Messaggero. Come potete vedere dalla foto di copertina il libro si presenta austero: la sagoma di un uomo, forse mentre pensa, seduto su di una sedia a rotelle con attorno un gioco di ombre. Dentro, brevi capitoletti di qualche pagina o anche meno. Inizia il libro con la vita di Maurice prima della malattia a cui fa seguito il racconto dello sviluppo della malattia stessa. Ma al centro non vi è la malattia ma sempre la persona. In sede di prefazione troviamo parole commosse, affettuose, ma soprattutto schiette del Vescovo. Il testo viene poi ritmato da ampi spazi bianchi, che ci invitano a fermarci e riflettere. Ci sono molte immagini, non troppe. Il loro formato è ridotto, quasi discreto. Diverse sono in bianco e nero, per evidenti motivi, visto che si parte dall’inizio degli anni cinquanta. Troviamo alcune foto di squadra, che ci ricordano quelle degli album delle figurine, tanto ambite e difficili da trovare. Sono immagini certamente preziose anche per il nostro autore, ricordi della sua grande passione per il calcio. Spiccano le foto coloratissime scattate sulle isole Mauritius, ricordi di viaggi, di affetti. Maurice esprime riconoscenza per tutto quanto la vita gli ha dato. Con chiarezza, a volte quasi disarmante, racconta tutto quello che ha vissuto dall’apparire della malattia. Racconta anche quello che altri avrebbero forse taciuto per pudore. Una lettura per soli adulti? Di certo per soli “adulti nella fede”. Che sappiano accettare il titolo “scelto da Dio”. A proposito Maurice scrive: “Mentre scrivevo, tra mille angosce, ho provato una sensazione di luce e di speranza, quasi una “folgorazione”, un intuito che si è trasformato in certezza: sono stato Scelto da Dio. Siamo stati Scelti da Dio quasi fossimo degli eletti-testimoni di un percorso privato, personale, che attraverso tante asperità ci porterà direttamente a Lui”. Come Maurice, tutti credenti, sani o ammalati non importa, possiamo sentirci, anzi dobbiamo sentirci “scelti da Dio”. fra Edy Rossi-Pedruzzi, socio UNITAS Ticino