Messaggero 2010-09 Gen-Mar

Page 1

Rivista trimestrale - anno C

9

Gennaio Marzo 2010

I sacramenti: Riconciliazione Dieci minuti per te Messaggio dalla Madonna del Sasso Le pagine dell’Ordine Francescano Secolare


Sommario

Intervista a don Sandro Vitalini

4

Storia del sacramento della Riconciliazione

6

Storia di un ex-voto

9

La povertà e San Francesco

11

Mario Corti

Via Crucis (inserto staccabile) Le pagine dell’OFS

22

Il programma 2010 al Convento del Bigorio

24

Il silenzio che genera la parola

26

fra Andrea Schnöller

Appunti di vita ecclesiale

28

Alberto Lepori

La Comunità di lavoro delle Chiese in Ticino compie 10 anni

30

Gino Driussi

Abbiamo letto... abbiamo visto…

32

Note importanti Compilando la polizza per l’abbonamento non mancate di riportare l’esatto nominativo al quale la rivista è stata spedita. Indicate anche per favore l’indirizzo di spedizione.

MESSAGGERO Rivista di cultura ed informazione religiosa fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano Comitato di Redazione fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Ugo Orelli fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Claudio Cerfoglia (segretariato) E-Mail redazione@messaggero.ch Hanno collaborato a questo numero Mario Corti fra Agostino Del-Pietro Gino Driussi Alberto Lepori Gabriella Modonesi fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini Redazione e Amministrazione Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37 Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch Abbonamenti 2010 Per la Svizzera: ordinario CHF 30.sostenitore da CHF 50.CCP 65-901-8 Per l’Italia: ordinario € 20,00 sostenitore da € 40,00 Conto Corrente Postale 88948575 intestato Cerfoglia Claudio - Varese causale “abbonamento Messaggero” E-Mail amministrazione@messaggero.ch Copertina Crocefissione, dipinto su tela. Autore fra Roberto Fotolito, stampa e spedizione RPrint - Locarno


Lettera della Redazione ontinuiamo a presentare i vari sacramenti. In questo numero trattiamo quello della penitenza, forse il più necessario, ma che trova le maggiori difficoltà ad essere richiesto, probabilmente per una cattiva impostazione dello stesso. Invece di presentarlo come il sacramento della conversione, si insiste a chiamarlo il sacramento della confessione, dando importanza ad una parte – l’accusa dei peccati – e non al tutto, la conversione, il cambiamento (in meglio) di vita. Questo nostro sforzo di offrire una catechesi sacramentale aggiornata è molto apprezzato da alcuni uffici diocesani, che hanno chiesto al Consiglio Regionale dei Cappuccini della Svizzera Italiana il permesso di inserire in agili libretti sui sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo – Cresima – Eucaristia) gli apporti comparsi su questa nostra rivista a firma di don Sandro Vitalini e di P. Callisto. Il Consiglio ha acconsentito ben volentieri, sperando che anche per gli altri sacramenti si usino questi articoli, in modo da rendere un servizio alla pastorale diocesana più completo. Sappiamo inoltre che diversi allievi dei vari corsi di Bibbia e catechesi che si tengono in Diocesi sono venuti a conoscenza del nostro “Messaggero” e lo hanno apprezzato; noi speriamo che si abbonino, perché l’aumento di chi riceve e paga la rivista è fondamentale per la sua esistenza. Anche ai fratelli e sorelle dell’Ordine Francescano Secolare della Svizzera Italiana l’appello a trovare abbonamenti; dalla fondazione (eccetto un piccolo periodo) il Messaggero è stato il loro foglio ufficiale; lo leggano e lo diffondono, contribuendo così a seminare, oltre lo spirito evangelico anche lo spirito francescano che è una delle più autentiche interpretazioni del Vangelo. La grande novità di questo numero è un inserto tipicamente pasquale. Si tratta di una Via Crucis dettata da P. Callisto durante un pellegrinaggio della Comunità del S. Cuore di Bellinzona in Terra Santa. Fu tenuta nel centro di Gerusalemme, in quella strada chiamata “Via dolorosa” che Gesù deve aver percorso andando dalla Torre Antonia al Calvario. Essa cerca di porci delle domande che riguardano la nostra vita. Ogni stazione riflette una situazione umana e pone degli interrogativi. Sulla “Via dolorosa” c’era il tempo, da una stazione all’altra – pur tra il vociferare delle persone che trafficavano, di meditare e di rispondere interiormente a questi interrogativi. In una funzione religiosa, in chiesa o all’aperto, dovrebbe essere intercalata, da un minuto di silenzio prima di ogni preghiera. Con l’augurio di aver fatto un servizio ai sacerdoti per le prossime ricorrenze liturgiche, la Redazione augura a tutti “Buon Pasqua”. la redazione

C

3


Messaggio tematico

Intervista a don Sandro Vitalini Il sacramento del perdono Sacramento del perdono? O della penitenza? O confessione? Che senso hanno questi nomi? Consiglio di usare il termine sacramento della riconciliazione o del perdono. Il termine di “penitenza” traduce il greco “metanoia”, che significa conversione, cambiamento radicale di impostazione di vita, ma fa pensare a flagelli, asprezze, masochismi non in linea col Vangelo. Il termine di confessione è riduttivo, perché il perdono non dipende da ciò che si dice, ma da ciò che si è. Se io rubo e poi restituisco, il perdono mi è dato perché ho mutato il mio atteggiamento interiore. La dottrina classica ha sempre insegnato che la contrizione perfetta – un rovesciamento di comportamento per rapporto al peccato commesso – implica sempre il perdono. Il “sole” della misericordia divina splende sempre su di noi; se noi apriamo le “imposte” della contrizione, la luce della sua bontà ci penetra e divinizza. Si noti che questo principio vale per ogni uomo: chi si apre alla verità, all’onestà, alla giustizia, è invaso dall’amore trinitario, anche se lui lo ignora. La divinizzazione è veramente possibile a tutti. Il Padre ci ha creati per mantenerci per sempre in un rapporto di gioiosa filiazione.

E’ un sacramento in crisi; molti sacerdoti constatano che non ci si confessa più. Secondo lei, quali sono le ragioni? Lo diciamo in crisi, ma non è così dappertutto. Se noi prevediamo luoghi, tempi, confessori umani e pazienti a disposizione di tutti, progressivamente si riscopre l’importanza del sacramento inteso anche come aiuto ad una conversione progressiva. Il perdono è offerto universalmente a chiunque si pente, come la guarigione è possibile a tutti grazie agli anticorpi. Ma i medici restano essenziali! Così i preti, avendo a disposizione un congruo tempo e potendosi trovare in un luogo arioso, luminoso, accogliente, possono aiutare noi tutti a migliorare la nostra situazione di fede. Ad una sposa, ad esempio, che confessa d’aver lavorato in festa, di essere stata distratta nelle preghiere e di aver insultato il marito, il confessore dovrà far presente che lo sferruzzare di domenica davanti alla televisione o pensare ai propri acciacchi durante la preghiera non sono peccati; bisognerà invece lottare, con un proposito fermo, per dialogare con lo sposo, chiedergli scusa, portarlo magari a una preghiera e ad una attività caritativa comune. Le confessioni fatte “in serie” non erano serie! Il sacramento va riscoperto ex novo e deve aiutare i fedeli a respirare nella libertà e nella gioia come figli di Dio. Un dialogo positivo (fatto di tanto ascolto) aiuta il fedele a capire

4

che l’incontro personale con il confessore è una grazia, un sollievo, un conforto.

Si dice che questo sacramento concede il perdono di Dio. Ma Dio può essere offeso dall’uomo così che lo stesso uomo debba essere da lui perdonato? Dio è l’eterno immutabile perdono. E’ l’uomo che deve volgersi verso una vita corretta e riparare il male fatto al prossimo così che esperimenti (come l’Innominato del Manzoni) il conforto dolcissimo del perdono di Dio, perdono illimitato, pieno, assoluto. La maggioranza degli uomini è chiamata ad ottenere questo perdono solo con l’autoguarigione derivata dalla contrizione. In quest’opera di contrizione possiamo essere aiutati da persone che ci correggono, ci spronano, ci confortano. Più noi ci sforziamo di vivere nell’amore al servizio del prossimo, meglio discerniamo le nostre mancanze. Se cresce in noi la luce, finiamo per scorgere in noi quel pulviscolo atmosferico che da una parte ci umilia e dall’altra ci butta nelle braccia del Padre. Il processo di conversione continuerà anche in paradiso, nel senso che la nostra persona si aprirà sempre più alla Trinità e ancor meglio si sentirà piccola per rapporto all’oceano infinito di amore nel quale sarà immersa per tutta l’eternità.

Molti dicono che loro chiedono direttamente perdono a Dio e si domandano perché devono confessarsi davanti a un sacerdote. E’ giusto e necessario confessarsi a Dio, che scruta i cuori. E’ lui solo che perdona! E’ una grazia però potersi confrontare con la parola di Dio e accogliere consigli e correzioni. Sarebbe da stolti pensare che da soli ci dirigiamo egregiamente. Nella Chiesa primitiva e fino al settimo secolo non si è conosciuta la confessione privata. Si aveva solo quella pubblica per i crimini come l’assassinio e il concubinato o l’idolatria. Il vescovo imponeva un’ardua penitenza e concedeva l’assoluzione dopo che quella era stata espletata (per es. pellegrinaggio a Gerusalemme o a Compostela). Per le colpe meno gravi si ricorreva a pratiche penitenziali come il digiuno e l’elemosina e ci si faceva aiutare anche da monaci o laici per migliorarsi. La confessione a laici rimane un sacramentale. Un laico (per es. che assiste un malato) può ascoltare i nostri drammi, dirci una parola in nome di Dio, assicurarci del Suo perdono, ancor prima che abbiamo la grazia di incontrare un confessore che sia il nostro medico di fiducia e che ci porti l’assoluzione. Tutta la vita va concepita come una progressiva conversione all’infinito amore trinitario.


Una volta anche da noi si celebravano le cosiddette “confessioni comunitarie”. Ora sembrano proibite. Perché? Non capisco perché siano state proibite. Nella mia esperienza ho sempre constatato che le celebrazioni comunitarie erano frequentatissime e impegnavano l’assemblea in un forte lavorio di conversione. In queste stesse parrocchie mai ho notato una diminuzione delle confessioni private, anzi! Dal punto di vista pedagogico si è commesso un errore madornale: nello spazio di una sola generazione si è cambiata la disciplina penitenziale, abolendo quella forma comunitaria che era stata introdotta appena da pochi anni! Ora bisogna certo investire molto nella confessione individuale, sperando che l’altra forma, così positiva, possa essere ripresa in un futuro non lontano. Mi sia consentito di esprimere il mio sdegno e il mio scandalo, provati nei due ultimi pellegrinaggi a Lourdes. Di fronte a un grande numero di penitenti che ancora aspettavano, la cappella delle confessioni veniva inesorabilmente chiusa già nel corso del pome-

riggio. Ricordo che un tempo si potevano accogliere penitenti fino a sera inoltrata. Negli ultimi anni ho cercato di confessare sotto la pioggia, in rifugi di fortuna, in cappelle dalle quali ero regolarmente scacciato. Quest’insipienza mi ha trafitto. Noi possiamo dare il gusto del Sacramento se lo celebriamo con calma e serenità, dando a ogni penitente il tempo per esprimersi, per narrare i suoi drammi. Se a Lourdes non hanno capito questo, non hanno capito niente! Termino con un ricordo personale. Quando divenni prete, avvertii il vescovo mons. Angelo Jelmini che a Friborgo non avevo fatto l’esame previsto per essere abilitato a confessare. Il vescovo della mia ordinazione mi rispose: “Te lo faccio io seduta stante. Ricordati queste tre cose: bontà, bontà, bontà. Hai capito? Bontà, bontà, bontà. Hai capito bene? Bontà, bontà, bontà.” Sì, mons. Jelmini aveva perfettamente ragione. Se lo si seguisse, mai si vedrebbe in questo sacramento un tribunale (!), ma l’abbraccio con un Padre che capisce, ama, perdona tutti.

5


Messaggio tematico

Storia del sacramento della Riconciliazione opo le utilissime risposte del nostro teologo don Vitalini, con il quale concordiamo pienamente in merito alla funzione penitenziale comunitaria, vogliamo completare la riflessione su questo sacramento con l’aiuto di Lawrence Mick, tracciando alcuni aspetti della sua interessante e ricca storia. Questo autore inizia il suo libretto, che noi consigliamo nella rubrica “Abbiamo letto per voi”, con queste considerazioni.

D

dal Concilio Vaticano II, molti cattolici hanno cominciato a pensare Dio e il peccato in modo differente, perciò non ci si può sorprendere se anche la concezione e l’uso del sacramento della riconciliazione abbiano subito dei cambiamenti. Naturalmente questi mutamenti non sono universali, ma molte persone sono giunte a una concezione più positiva

Sapevate che: u Ci fu un tempo in cui la chiesa primitiva permetteva che il sacramento della riconciliazione fosse ricevuto una sola volta durante la vita di una persona? u Nel medesimo tempo c’erano nella chiesa due sistemi: uno di penitenza pubblica, l’altro di penitenza privata? u La riconciliazione e la confessione non sono esattamente la stessa cosa? u Per molti secoli ai penitenti era richiesto di fare la penitenza loro assegnata e poi dovevano ritornare dal sacerdote per ricevere l’assoluzione? u In passato molti cristiani confessavano i propri peccati a semplici laici? u È un mito credere che i primi confessionali siano stati costruiti nella bottega di falegname di Giuseppe e Gesù? La storia di questo sacramento mette in luce che il rito della riconciliazione ha avuto un passato molto vivace e variegato. Negli ultimi decenni i fedeli si sono sempre più allontanati da questo sacramento, facendone un uso sempre minore. In alcune chiese i confessionali sono simili a reliquie di un passato lontano. Il rito fu riformato in seguito al Concilio Vaticano II, ma la nostra concezione e la prassi dei cristiani sembra che non abbiamo colto appieno questi cambiamenti. Se si comprende la storia del sacramento, si può ricavare qualche utile insegnamento per avvicinarci a esso in un modo più ricco e significativo, che ci aiuti a unire insieme la dimensione comunitaria del sacramento e l’aspetto della conversione personale.

Cambiamenti nel concetto di perdono e di peccato Lungo tutto il corso dei secoli la chiesa ha sempre creduto che Cristo ha dato agli apostoli il potere di perdonare i peccati. Ma le modalità in cui questo potere venne esercitato e in cui si è espresso il dono della remissione dei peccati sono state molto diverse di età in età. Tali modalità presero forma specialmente a causa dei cambiamenti che ebbero luogo nell’immagine di Dio e nella comprensione del peccato da parte della gente. A partire

6

e amorosa di Dio rispetto a quella predominante prima del Concilio. Dio è visto più come un Padre amoroso che ha mandato nel mondo il Figlio suo per la nostra salvezza, mentre prima lo si vedeva piuttosto come un poliziotto celeste che aspettava di scoprire il nostro peccato, per poi poterci punire. L’umanità di Gesù è riconosciuta più completamente, facendo da contrappeso alla coscienza della


sua divinità. Il suo messaggio di amore e perdono è penetrato maggiormente nella coscienza di molti cristiani. Nello stesso tempo molti cattolici concepiscono il peccato in modo diverso da prima e ciò ha egualmente conseguenze per la vita sacramentale della chiesa. Prima del Concilio la maggior parte dei cattolici sapeva esattamente quali azioni erano peccati mortali e quali erano colpe ve-

sare e quali colpe ammettere. Sono questi i più importanti mutamenti avvenuti nell’ambito morale e teologico. Tali trasformazioni non avvengono in modo netto e uniforme; spesso occorre molto tempo per discernere le implicazioni che ne derivano, per giungere poi ad una rinnovata visione ed alla celebrazione più autentica di questo sacramento. Ciò è vero sia per l’individuo sia per l’intera comunità della Chiesa. Solo Dio conosce con chiarezza il modo in cui nel futuro la nostra Chiesa saprà esprimere l’amore perdonante di Dio. Tuttavia, dando uno sguardo a ciò che è stato fatto nella storia passata, potremo ricavare elementi che ci guidino nel fare buon uso oggi di questo sacramento per la nostra vita.

Battesimo primo sacramento del perdono

niali. L’attenzione era quasi esclusivamente focalizzata sulle mancanze personali, con una forte rilevanza sulle questioni sessuali. Una consapevolezza crescente circa il peccato sociale, insieme con un’aumentata percezione e conoscenza dei condizionamenti emotivi e psicologici sul processo decisionale delle persone, ha reso meno ovvio per molti - quali peccati dovessero esattamente confes-

Nella Chiesa primitiva il sacramento del perdono per eccellenza era il Battesimo e anche le parole registrate nel vangelo di Giovanni: “Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete saranno non rimessi” si riferiscono al primo sacramento che cancellava i peccati fino allora commessi. Ben presto la Chiesa si trovò confrontata con i peccati commessi anche dopo il Battesimo; nessuna meraviglia che, per averne il perdono, organizzò una prassi che ricalcava a grandi linee il catecumenato (preparazione al Battesimo), riproponendo una vera conversione e formando un “ordine dei penitenti” simile all’ “ordine dei catecumeni” di chi si preparava al battesimo. Chi faceva parte dell’ordine dei penitenti doveva svolgere le opere di penitenza assegnate dal confessore; allo scopo di favorire una conversione profonda del cuore e del comportamento, queste penitenze erano spesso molto lunghe e severe, prolungandosi talvolta per parecchi anni. Quando la penitenza era stata completata e si giudicava che la conversione fosse avvenuta, i penitenti venivano nuovamente accolti nell’ordine dei fedeli con il rito della riconciliazione, che veniva celebrato dall’intera comunità. Spesso questo avveniva il giovedì santo, con l’imposizione delle mani da parte del vescovo e con la riammissione alla mensa eucaristica. Nella maggior parte dei luoghi, questo itinerario penitenziale poteva essere intrapreso solo una volta in vita e non era richiesto per tutti i peccati. La lista dei peccati che esigevano questa pubblica penitenza variava da luogo a luogo, ma le colpe comunemente ritenute gravi erano l’omicidio, l’adulterio e l’apostasia (abbandono della fede). I peccati più leggeri si ritenevano che fossero perdonati mediante la preghiera, la penitenza personale, l’elemosina e la celebrazione dell’eucaristia.

7


Messaggio tematico

Da dove viene l’attuale prassi della confessione privata? Verso il secolo sesto alcuni monaci irlandesi abbandonarono la loro isola per evangelizzare l’Europa e portarono metodi penitenziali che avevano sviluppato nei loro monasteri. Questi metodi comprendevano la confessione (accusa), non solo dei peccati più gravi, ma anche delle colpe minori. Sembra che la forma irlandese della confessione non comprendesse in origine alcun rito formale di riconciliazione o di assoluzione. Quando il metodo irlandese divenne popolare nel continente europeo, i vescovi vi aggiunsero il rituale dell’assoluzione. Per un certo tempo si seguì l’ordine tradizionale dei vari elementi del sacramento: dopo aver confessato i propri peccati, il penitente riceveva una penitenza che doveva essere completata prima di ritornare dal confessore per ottenere l’assoluzione. Le difficoltà pratiche generate da questa procedura divennero evidenti quando il confessore era un missionario itinerante o quando le penitenze, per esempio, chiedevano ai peccatori di compiere un pellegrinaggio in terre lontane. Spesso era difficile, se non impossibile, ritornare più tardi per domandare l’assoluzione. Perciò i confessori cominciarono a dare l’assoluzione nel momento stesso dell’accusa, con la promessa che la penitenza sarebbe stata compiuta in seguito. Con l’introduzione di penitenze meno severe e con l’aumentata frequenza della celebrazione, il sacramento della riconciliazione giunse a prendere una forma molto simile a quella che abbiamo sperimentato fino a poco tempo fa. Benché il rito non cambiasse sostanzialmente, diverse modifiche furono introdotte nell’epoca del Concilio di Trento (1545-1563), in seguito alla riforma protestante. Quel concilio prescrisse che i peccati gravi dovevano essere confessati secondo il numero e il genere della colpa. Ciò portò a vedere il sacramento come una specie di “lista della spesa”, cioè un elenco di tutti i peccati, mortali o veniali, secondo il genere e il numero. In effetti ciò era richiesto solo per i peccati mortali, ma divenne pratica comune. Quando Pio X anticipò l’età della prima comunione, venne anticipata anche la prima confessione e con la maggiore facilità di accostarsi al sacramento eucaristico, aumentarono anche le confessioni, forse perdendo un po’ lo scopo principale, quello della conversione.

La riforma del rito Il Concilio Vaticano II aveva stabilito che il rito e le formule della penitenza fossero revisionati per esprimere più chiaramente la natura e gli effetti del sacramento. I nuovi riti, pubblicati nel 1973, prevedono tre forme per celebrare la riconciliazione. La prima di queste, prevista per la confessione

8

individuale, è stata talvolta descritta come se fosse esattamente identica al rito prima del concilio. In realtà la prima forma vuole essere un’esperienza molto più ricca e personale: comprende la lettura di un brano della Bibbia che ci ricordi la bontà e la misericordia di Dio, e si suppone che ci sia del tempo per scambiare una conversazione e una preghiera tra penitente e sacerdote. I particolari del rito sono meno importanti dell’esperienza globale. Questa forma del sacramento è finalizzata a fornire l’occasione per esaminare in profondità la propria vita e cercare una crescita spirituale con l’aiuto di un confessore competente. La seconda forma, che colloca la riconciliazione individuale nel contesto di una celebrazione penitenziale comunitaria, non prevede un tempo apposito per intrecciare un dialogo esteso. L’incontro con il confessore deve essere necessariamente breve, a causa del grande numero di persone coinvolte, ma questa seconda forma mette in risalto la natura comunitaria del peccato e della riconciliazione. I canti, le letture bibliche, le preghiere e le espressioni di pentimento sono messe in comune, mentre la confessione e l’assoluzione sono celebrate individualmente. C’è anche una terza forma, che prevede l’assoluzione generale senza la confessione individuale, ma è stata rigorosamente limitata dalla Santa Sede alle situazioni di emergenza, quando non sia possibile offrire la riconciliazione individuale. Quando si celebra questa forma, a coloro che hanno peccati gravi, viene chiesto di cercare un confessore al quale confessare individualmente le proprie colpe entro un certo tempo. A giudizio di molti osservatori, queste nuove forme hanno avuto un successo limitato. Benché siano servite ad aiutare molti cattolici nel compiere una più ricca esperienza di riconciliazione, sembra che molti altri siano rimasti insensibili a queste riforme. La maggior parte delle persone, almeno nei paesi occidentali, celebra questo sacramento nel contesto delle celebrazioni penitenziali della loro parrocchia in Avvento e in Quaresima, ma l’obbligo di confessarsi subito rende questa funzione poco accetta. La severità vaticana in merito alla confessione comunitaria non aiuta certo a rendere sensibili i fedeli sulla realtà del peccato, specialmente sociale, cosa di cui la nostra società ha grande bisogno. Là dove queste funzioni sono rimaste, con l’esortazione di accedere successivamente ad un colloquio personale con un sacerdote per ricevere l’assoluzione dopo aver riflettuto ed essersi ulteriormente preparati, ha aiutato molti fedeli a cogliere più completamente la natura comunitaria del peccato e della riconciliazione; ma molti altri non fanno più uso del sacramento proprio perché, dopo una funzione penitenziale anche ben preparata e partecipata, hanno dovuto presentarsi per un affrettato colloquio ad un confessore col quale non avevano il tempo di potere aprire il proprio animo.


ulle pareti interne della chiesa della Madonna del Sasso sono esposte molte tavole votive. A motivo dei lavori di restauro attualmente in corso, i dipinti sono stati tolti dai muri e accuratamente riposti in apposite casse, che li custodiranno durante i prossimi due anni. Ogni ex-voto dipinto racconta una o più storie. Ma ogni tavoletta o tela ha anche la sua storia, la storia di come è nata, di come è stata confezionata. Alla scultrice Clara Conceprio-Sangiorgio, che ha realizzato uno dei più recenti exvoto dipinti giunti in santuario, abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.

S

Signora Conceprio-Sangiorgio, alcuni anni fa dei coniugi si rivolsero a lei chiedendole di dipingere per loro un quadro ex-voto in ricordo di un fatto accaduto nell’agosto del 2002. Può dirci qualcosa del primo incontro con la coppia e del fatto che le venne allora narrato? Durante il nostro primo incontro i coniugi mi esposero dapprima la motivazione che li aveva spinti a venire da me. In seguito mi narrarono, in modo preciso, il fatto accaduto. Conoscevano almeno in parte il mio lavoro di scultrice e sapevano che in varie occasioni mi ero addentrata nell’ambito dell’Arte Sacra, per cui, quando decisero di far raffigurare quanto avevano vissuto nell’estate del 2002, si rivolsero a me.

Penso che questa decisione sia maturata in loro in modo lento ma sempre più chiaro. All’interno della famiglia il ricordo dell’avvenimento accaduto durante l’estate non cessava infatti di destare stupore. Mi raccontarono che un giorno del mese di agosto stavano risalendo con il loro figlio e il loro cane un ripido sentiero della valle di Osogna; contemporaneamente, in direzione opposta, scendeva una signora anziana, anche lei accompagnata dal suo cane. Quando i due animali si incontrarono si misero ad azzuffarsi e fecero perdere l’equilibrio all’anziana signora che cadde a terra e rotolò lungo un pendio. Giunta sul ciglio di un precipizio si arrestò però miracolosamente, senza farsi alcun male. In quella circostanza la tragedia era sembrata loro inevitabile: rimasero dunque stupiti e sbalorditi dall’esito positivo della vicenda. Tutti erano restati sconvolti dall’accaduto e all’unanimità parlarono di una grazia ricevuta; l’intervento di Dio aveva evitato il peggio all’anziana signora e risparmiato a tutti drammatiche conseguenze. Nei mesi successivi i coniugi maturarono il desiderio di esternare questi loro sentimenti e, in modo discreto, con un gesto colmo di fede, decisero di far dipingere l’incidente su un quadro votivo.

Era la prima volta che le veniva chiesto di dipingere un ex-voto? Quale è stata la sua prima reazione? Sì, era la prima volta che venivo interpellata per un ex-voto. Devo riconoscere che accolsi questo incarico in modo naturale, condividendo subito l’aspetto trascendentale dell’accaduto.

Una volta accettato l’incarico dei coniugi, quali passi preliminari intraprese prima di mettersi all’opera? Feci dapprima una ricerca sulla tematica e analizzai il modo con il quale altri artisti avevano illustrato situazioni simili. Cercai di assimilare linguaggi che fossero affini al mio; dopo di che lasciai che il racconto e l’accaduto si concretizzassero lentamente e senza fretta nel mio immaginario. Quando sentii che tutti i frammenti del “puzzle”, forme, personaggi e colori avevano preso forma nella mia mente, schizzai un disegno e lo sottoposi alla famiglia, che lo approvò con entusiasmo. Per quanto riguarda l’esecuzione,

Messaggio dal santuario

Storia di un ex-voto


scegliemmo la tecnica pittorica dell’icona. Per me era un mondo ancora da scoprire. Colsi l’occasione per imparare questa tecnica antica. Chiesi subito aiuto ad un caro amico, Alessandro Gambarini, che conosceva bene i segreti di quest’arte. Alcuni anni prima Alessandro era già stato il mio maestro di mosaico. Con la medesima generosità mi assistette anche nell’apprendimento della nuova arte, dedicandomi moltissimo tempo. Mi resi subito conto di aver scelto una tecnica particolarmente difficile e operosa.

Nelle chiese e nei santuari della nostra Diocesi si trovano più di un migliaio di ex-voto dipinti. Le sono stati utili per trovare l’ispirazione e per mettersi al lavoro? Sì, certo, anche perché non avevo mai avuto occasione di entrare nella tematica. Ho pure constatato che ci sono pochissimi ex-voto recenti di una certa fattura.

Prima e dopo la realizzazione della tavola ha discusso con altri artisti di questo lavoro? Ho condiviso questo cammino solo con Alessandro e questo mi è bastato, anche se spesso ho avuto delle incertezze sul modo di procedere.

Quali sono state le difficoltà maggiori che ha incontrato durante la realizzazione dell’ex-voto dipinto?

Oltre alla difficoltà della tecnica pittorica, per lunghi periodi mi sono trovata a disagio nell’affrontare questo incarico. Ho cercato di analizzare le cause del mio disagio e sono giunta alla conclusione che, se non mi immedesimavo nella situazione, sarei rimasta bloccata; era come se l’opera medesima mi chiedesse un patto di fede reciproca, solo così sarei riuscita nell’impresa. Sono situazioni che attualmente capisco meglio e, anzi, che sfrutto, ma allora la cosa non era così chiara.

Trattare e dipingere un “tema religioso” ha costituito per lei un’esperienza di approfondimento della sua fede? In ogni mia pratica espressiva la partecipazione spirituale è un fattore imprescindibile. Questa consapevolezza mi aiuta ad essere sempre più presente e autentica sia nel mio lavoro che nella vita.

Se le venisse nuovamente chiesto di dipingere un ex-voto, accetterebbe l’incarico? In caso affermativo, in che misura la prima esperienza fatta le faciliterebbe il compito? E’ molto raro che rifiuti un incarico, perché ogni volta è un’occasione per imparare qualcosa di nuovo, per addentrarmi in ambiti non ancora scoperti, per conoscere persone e situazioni ignote. Nell’accogliere un nuovo lavoro, mi piace rimettermi nella disposizione d’animo della prima volta, ogni nuovo compito porta certamente qualche novità. Le esperienze precedenti mi hanno fatto crescere e mi aiutano ad affrontare nuovi incarichi con umiltà e completa disponibilità. Intervista a cura di frate Agostino


I

moto le sue repressioni dottrinali e politiche. Ma dove il movimento non si proponeva che di vivere il Vangelo nel senso della nuova società che si andava formando, la Chiesa si sentiva indifesa e minacciata. E’ in questo momento storico che appare la figura di Francesco la cui diversità, nel contesto del suo mondo culturale, è così grande e così assoluta, che egli dovette apparire come un ingenuo, un pazzo da ammirare sì ma da tenere sotto controllo. Francesco di cui ciò che ci stupisce ancora oggi fu la sua solitudine storica. “Il Signore mi disse che voleva che io fossi un uomo pazzo nel mondo”, come tramanda la Leggenda Perugina. Così probabilmente Papa Innocenzo III, quando ricevette nel 1210 il gruppo venuto da Assisi sotto la guida di Francesco per chiedere l’approvazione della sua forma di vita, avrà in cuor suo pensato che que© OSF-Milano

l Medioevo si caratterizzò per alcuni movimenti eretici che presero il nome di “pauperismo”. Tra di essi il principale fu il Catarismo, termine di origine greca che significa “puro”. Movimento di origine balcanica tra i cui dogmi c’era quello della non validità dei Sacramenti conferiti da preti indegni e che si caratterizzava per una valutazione metafisica di tutto ciò che era materiale, per un tentativo di riforma in senso antigerarchico che venne aspramente combattuto dalla Chiesa ufficiale in quanto conteneva in sé i germi dell’immoralismo, dell’abolizione della Chiesa e dell’anarchia. Così famosi furono gli Albigesi, dalla città di Albi in Provenza. Dal Catarismo sorsero i Valdesi, fondati da Pietro Valdo, un mercante di Lione, e che perciò all’ inizio presero il nome di poveri di Lione, che predicavano un ritorno integrale alla povertà evangelica. In Italia il Catarismo ebbe particolari manifestazioni: i Patarini, ascetici zelanti sorti a Milano e poi diffusisi a tutta la Lombardia che non esitavano ad assumere atteggiamenti di critica severa nei confronti dell’autorità ecclesiastica; i Fraticelli, che si opponevano all’autorità in nome della povertà e della libertà evangelica; gli Umiliati,che esasperavano il distacco dai beni materiali fino a giudicare peccato la proprietà esercitata dal clero; gli Arnaldisti, seguaci di Arnaldo da Brescia, contrassegnati da una istanza di esplicito laicismo, perché secondo loro i beni appartenevano allo Stato o al Principe, e solo da questi potevano essere distribuiti ai laici. Questi movimenti erano la conseguenza della nascita e dell’affermarsi di una nuova classe sociale, la borghesia, che avrebbe profondamente influenzato la storia nei secoli successivi e che andava acquistando una nuova coscienza civile e religiosa; è appunto nel seno di questa borghesia primordiale che sorge e dilaga la scoperta del contrasto fra la Chiesa del fasto e delle ricchezze e del potere e la Chiesa degli Apostoli, con un clero ormai sempre più esperto di affari mondani e sempre più indifferente alle richieste religiose del popolo. La spinta sovversiva era dunque nella impossibilità di conciliare l’aspirazione a vivere le condizioni di ultimi della società con una Chiesa romana che nella ricchezza e nel potere delle classi dominanti riconosceva un segno della benevolenza di Dio. Là dove i movimenti pauperistici si rifacevano ad una teologia, come per i Catari o gli Albigesi, inconciliabile con le tradizioni cattoliche, la Chiesa aveva titoli sufficienti per mettere in

sti non fosse altro che uno dei tanti gruppi pauperistici di cui anche i suoi predecessori avevano dovuto occuparsi. Ma Francesco non si presentò come un riformatore della Chiesa: la spinta di fede che lo aveva condotto a mutar vita e a fare comunità coi suoi seguaci investiva il significato stesso della presenza della Chiesa nel mondo. Il suo bisogno di ottenere l’approvazione del Papa dimostra, oltre all’intenzione di tenersi distinto dai movimenti che facevano una sola cosa della professione della povertà e del rifiuto della Chiesa ricca, anche la sua intuizione del valore universale del ritorno della Chiesa ai modi di “vita apostolica”. Vide bene Dante quando, nel Canto XI del Paradiso, per descrivere la scelta di Francesco, utilizza la tipologia biblica del rapporto fra Cristo e la Chiesa. Con significativo scambio, la sposa di Cristo in Dante è la Povertà salita sulla croce col suo sposo; essa se ne restò poi in disparte, “di-

11

Messaggio amico

La povertà e San Francesco


© OSF-Milano

spetta e scura”, per milleduecento anni, fino a che Francesco, dinanzi al padre e alla Curia, ne fece la sua Donna. Povertà rivelata da Gesù di Nazareth quando scelse come sua la parte degli ultimi, degli esclusi, degli emarginati. E Francesco conobbe il vero senso messianico della povertà quando cominciò a frequentare fuori di Assisi i lebbrosi. Lo ricorda nel suo Testamento: “Il Signore mi condusse in mezzo a loro e feci misericordia con loro. E quando mi allontanai da essi ciò che mi sembrava amaro mi si mutò in dolcezza”. La sua non fu più, da allora, la povertà dei pauperisti: non fu più una qualità ascetica da contrapporre alla Chiesa dei ricchi. Francesco non trasse motivo dalla propria povertà per polemizzare con il clero, perché non la sentiva come una faticosa virtù ma come una condizione di leti-

zia nuziale. Nello stesso Testamento egli professa di avere fede nei sacerdoti, quale che fosse la loro vita e la loro dignità, perché i suoi occhi niente potevano vedere di Gesù in questo mondo se non il suo corpo e il suo sangue che i sacerdoti rendevano presente sull’altare nel momento della consacrazione. Tutto questo non comportava evidentemente un giudizio positivo o indifferente sul fasto e il potere del clero, tanto è vero che egli non ne volle mai far parte, in quanto lo stato ecclesiastico collocava inevitabilmente nella sfera delle classi dominanti, e anzi precluse ripetutamente ai suoi l’accesso a cariche ecclesiastiche. Francesco chiamò appropriatamente quella dei minori “forma di vita degli Apostoli”, per contrapporla a quella dei “successori” degli Apostoli, che invece si modellava alle corti imperiali e feudali. Per Francesco la povertà non è, come nei conventi benedettini o agostiniani, ascetica personale; è invece condizione della vita degli ul-

12

timi, e rifiuto del modello di vita delle classi dominanti, ecclesiastiche o laiche. L’imperatore Ottone IV che passa accanto al suo rifugio a Rivotorto è per lui un estraneo che non merita nemmeno di essere visto e ricevuto, mentre un brigante che gli chiede di entrare fra i fratelli è il benvenuto, senza neppure l’obbligo del noviziato. La letizia di Francesco, letta nella sua prospettiva messianica, è un’ironia graffiante di condanna della mondana serietà della Chiesa. E il fatto straordinario che da solo indica come già pronta fosse in quegli anni la disposizione ad una riforma della Chiesa, fu che la sua proposta dava forma visiva e viva ad un ideale che serpeggiava nella coscienza del tempo: non sorprende così che in pochi anni i suoi seguaci divennero parecchie migliaia, in Italia ma anche oltre le Alpi. I movimenti di contestazione pauperistici si rifacevano tutti al Vangelo e lo mettevano in pratica con fedeltà letterale. Ma nel leggere i documenti rimasti della loro esperienza, ci rimane l’impressione che la fedeltà evangelica diventasse in loro qualcosa di simile al giuridicismo ecclesiastico a cui si opponevano. La loro terribile serietà li rendeva simili ai loro potenti avversari, dei quali infatti avevano lo stesso sottofondo ideologico: una visione pessimistica del mondo. Francesco rappresentò in quel panorama l’improvviso emergere della diversità: se egli non prese mai posizioni polemiche né contro l’autorità ecclesiastica né contro gli eretici, fu perché egli si collocò di colpo ben al di là del punto di equilibrio fra le due forze, sul terreno della libertà evangelica. Pur restando per tanti aspetti figlio del suo tempo, Francesco ha in sé la luce sconcertante del ”homo ludens”: le creature ai suoi occhi sono buone, il mondo è pervaso da una letizia che viene da lontano, dal cuore insondabile di Dio. Francesco, l’unico Santo che rifiutò l’ideologia della Crociata e cercò, con straordinaria anteveggenza, un’alternativa politica nel precetto evangelico dell’amore. E l’estraneità di Francesco al suo secolo si spiega con la sua scelta di povertà da intendere non in senso ascetico-riduttivo, ma come visione del mondo che comporta non solo la liberazione personale dagli affanni per i beni materiali, ma anche la liberazione dalla logica del potere e dalle contaminazioni della cultura dominante. La sua anticultura (l’unica verità per lui era quella del Vangelo e sine glossa, senza commento), fu una controcultura: l’uomo reale al posto dei trattati sull’uomo. E non a caso il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ripreso il discorso della Chiesa povera nello spirito di Francesco d’Assisi, che cioè solo una Chiesa povera può essere una Chiesa annunciatrice di pace: è l’intuizione di Francesco che vive e opera tuttora nella coscienza di chi crede. Mario Corti


VIA CRUCIS

«Sulla sua via per la nostra vita» Questa Via Crucis, dettata da P. Callisto durante un pellegrinaggio della Comunità del S. Cuore di Bellinzona in Terra Santa, fu tenuta nel centro di Gerusalemme in quella strada chiamata “Via dolorosa” che Gesù deve aver percorso andando dalla Torre Antonia al Calvario. Per rendere più partecipato il pio esercizio, i numeri I. possono essere recitati da un uomo, i II. da una donna, segue un momento di silenzio, poi la preghiera recitata dal sacerdote.

I stazIone Gesù condannato a morte I. Ogni condanna è un giudizio. Anche noi, molto spesso, veniamo giudicati anche se non sempre condannati. Poniamoci il problema: come accolgo i giudizi che gli altri fanno su di me? Se sono positivi mi esalto, mi gonfio, mi insuperbisco? Ma soprattutto se sono negativi, come reagisco? Penso immediatamente che il giudizio è sbagliato, dettato da invidia? Oppure mi deprimo? II. Approfondiamo soprattutto la nostra reazione di fronte ai giudizi negativi, il nostro comportamento verso coloro che ci giudicano e mettono a nudo i nostri difetti. Li consideriamo subito dei nemici, degli uomini parziali ed invidiosi? Accogliere il giudizio degli altri dovrebbe essere una ricchezza, perché l’occhio dell’altro può aiutarti a conoscere meglio te stesso, ma se tu rifiuti il giudizio, se immediatamente lo ritieni parziale, invece di arricchirti arrischi di raccogliere rabbia fino a macinare quella sottile vendetta così da rispondere al tuo giudicante: “Pensa per te”. C. Preghiamo: O Signore Gesù, tu sei stato giudicato dagli ebrei e dai romani. Per i primi quale bestemmiatore, per i secondi quale rivoluzionario, ma hai accolto questi giudizi con tranquillità d’animo e serenità di cuore, atteggiamenti propri dell’innocente. Fa che anche noi, di fronte ai giudizi che vengono dati sul nostro operato e sulla nostra persona, possiamo aprirci per interiorizzarli e ricavarne tutto il bene possibile. Tu che verrai a giudicare i vivi e i morti alla fine dei secoli. Amen.

II stazIone Gesù è caricato dalla croce I. Non solo i giudizi possono essere pesanti, ma soprattutto le croci. Ognuno di noi ha le sue croci. Un vecchio detto dice: “Quando nacqui mi disse una voce, tu sei nato per portare la tua croce”. Purtroppo questa croce alle volte pesa troppo sulle nostre spalle, soffoca lo spirito, chiude il cuore, e ci lascia disorientati se non disperati. II. Come accogliamo le nostre croci? Come sappiamo aprire le braccia per accettarle, pur nel naturale disorientamento e nel conseguente dolore. I nostri limiti umani non ci permettono di sfuggire alla croce che fa parte integrante della nostra vita, tutto dipende dalla nostra capacità, intelligenza di accettazione. Perché subire la croce vuol dire rifiutare una lezione di saggezza e di responsabilità. Accettare la croce vuol dire accumulare tesori di esperienze anche se dolorose, arricchire la nostra anima e la nostra vita di momenti che possono essere delle lezioni profonde.

I


C. Preghiamo: Signore Gesù, tu hai accolto la croce e ne hai fatto uno strumento di redenzione e di vita. Fa che anche noi sul tuo esempio possiamo accogliere le nostre croci con una maggior serenità di spirito possibile, e ricavarne dei benefici spirituali per poter arricchire il nostro cuore e la nostra mente con l’esperienza accettata del dolore. Tu che nella croce hai fatto uno strumento di salvezza e ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

III stazIone Gesù cade la prima volta I. Il legno pesante della croce caricato sulle spalle piegate di Gesù ha causato questa immediata caduta. Fisicamente non ha sorretto il peso. Spiritualmente, con il gesto di cadere a terra, ha forse indicato la sua sottomissione al dolore, la sua più profonda accettazione in una posa di umiltà. II. È possibile che anche noi, quando siamo colpiti da un dolore profondo, inaspettato, cadiamo a terra, ci lamentiamo, e forse ci disperiamo perché non eravamo pronti ad accettare quel momento doloroso. Eppure, guardando in alto e vedendo la croce, dobbiamo leggere nella stessa, non lo strumento di tortura, ma una chiave che ci apre la via del cielo. Saper accettare la croce, saper dire: “Mi alzerò, e camminerò di nuovo anche in una via che non sarà più soltanto di fiori, ma anche di spine”, vuol dire imitare Gesù e diventare suoi discepoli ubbidendo alla sua parola: “Chi mi ama, mi segua anche sulla strada del Calvario”. C. Preghiamo: Signore Gesù, fatto uomo e umiliato, addolorato sotto il peso della croce che ha provocato in te una caduta dolorosa. Fa che anche noi dopo il primo smarrimento possiamo guardare alla croce come mezzo di salvezza nella maturazione per una vita più responsabile. Allora sapremo rialzarci e camminare più spediti alla tua sequela, per giungere un giorno presso di te che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

IV stazIone Gesù incontra sua madre I. Questo incontro non è registrato nel Vangelo, ma è possibile, perché se Maria fu presente al momento della crocefissione e morte del figlio sul Calvario, può averlo incontrato anche sulla strada dolorosa. Deve essere stato un incontro straziante! Nel cuore della Vergine hanno risuonato le parole del vecchio Simeone: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te, donna, una spada trafiggerà l’anima”. II. Tanti incontri nella nostra vita sono stati positivi, ma qualcuno sarà stato anche problematico. In questo momento pensiamo al volto di nostra madre, ai momenti che ci ha sorretto, aiutato, incoraggiato e lodato, ma anche ai momenti in cui ci ha rimproverato, magari castigato; l’ha sempre fatto per il nostro bene! Se è viva possiamo ancora dirgli grazie. Se è defunta manteniamo un ricordo riconoscente verso di lei che ci ha dato la vita e ci ha spianato la strada per viverla bene. E uniamo a lei il ricordo di nostro padre e di tutti i nostri famigliari. La riconoscenza è la virtù dei generosi, la misconoscenza è il difetto dei gretti. Tu, sinceramente, in che categoria ti puoi mettere? Sei un riconoscente o un ingrato?

II


C. Preghiamo: Signore Gesù, se tu hai incontrato sulla strada del Calvario tua Madre, gli evangelisti non hanno avuto il coraggio di registrare le parole che vi siete detti. Forse avete taciuto. Soltanto gli occhi si sono incontrati, soltanto i vostri cuori si sono svuotati l’uno nell’altro, per farvi coraggio. Dona a noi la capacità di essere coraggiosi nella vita sull’esempio di coloro che ci hanno preceduti, dei nostri genitori e dei nostri cari. Perché, come fra Te e tua Madre c’è stato un intesa profonda nella gioia e nel dolore, così fra noi ci possa essere una riconoscenza continua per il bene ricevuto e per le correzioni in cui siamo stati fatti soggetti. Tu che con tua madre Maria assunta in cielo, ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

V stazIone Gesù aiutato dal Cireneo I. La terribile flagellazione aveva sfiancato il corpo di Gesù rendendogli impossibile continuare il viaggio aggravato dal peso della croce. Allora i soldati romani requisirono e costrinsero un tale che passava, un certo Simone Cireneo, a portare la croce. Notiamo, era uno straniero che non poteva dire di no ai romani. Se questi si fossero rivolti a un ebreo, probabilmente si sarebbe ribellato. Ma un cireneo, un uomo certamente di colore, forse a malincuore, accettò di aiutare il condannato e gli portò la croce. II. Quanti stranieri e quanti extracomunitari, persone del terzo mondo, vengono da noi per aiutarci; noi come li trattiamo? Che sentimento abbiamo verso di loro? Siamo coscienti che la nostra economia non sarebbe così florida se non avessimo il loro aiuto? Ed allora, perché tanto razzismo, tanta incapacità di capire le loro culture, poco rispetto per la loro religione e molte difficoltà infrapposte per una loro integrazione? Questa stazione ci aiuta a riflettere sull’atteggiamento che dobbiamo avere verso questi fratelli di diverso colore, razza e religione, che nessun cristiano può chiamare stranieri. C. Preghiamo: Signore Gesù, tu sei venuto non solo per le pecore sparse di Israele, ma per raccogliere nel tuo regno tutti gli uomini di buona volontà. Verso tutti sei stato misericordioso, hai compiuto i tuoi prodigi anche in vantaggio degli stranieri, la donna cananea, il centurione romano. Fa che sul tuo esempio possiamo coltivare nel nostro cuore sentimenti di fraternità e riconoscenza verso coloro che ci aiutano a portare le croci della nostra vita, ma anche a migliorare la nostra economia. Donaci la capacità di condividere con questi fratelli i frutti del nostro benessere economico creato anche da loro, per condividere con loro e con te, un giorno il Regno dei cieli per tutti i secoli dei secoli. Amen.

VI stazIone La Veronica asciuga il volto di Gesù I. Anche questo fatto non è registrato nei Vangeli. È una pia leggenda, il nome stesso di Veronica, che significa la donna del velo, lo dice. Eppure una leggenda cha ha avuto una grande tradizione nel Medio Evo; i pellegrini che andavano a Roma, dove si dice sia conservato il velo della Veronica, sono stati ricordati dai grandi poeti. Gesù ha lasciato, secondo la tradizione, l’impronta del suo volto nel velo della Veronica. II. Gesù lascia l’impronta del suo volto nel nostro cuore. Essere cristiani vuol dire assomigliare a lui nei pensieri, nelle parole, nei gesti. Vuol dire imprimere il suo volto, cioè la sua personalità, il suo messaggio, nella nostra vita. Ma dobbiamo saperlo anche aggiornare, questo volto. Molti cristiani conservano nel cuore il volto di Gesù Bambino, ma non l’hanno mai aggiornato con il volto, le parole di Gesù Maestro. Io come lo aggiorno? E quando il volto di Cristo si presenta insanguinato nella passione del dolore, lo accetto o lo rifiuto? III


C. Preghiamo: Signore Gesù, che hai lasciato il tuo volto impresso nel velo della Veronica, imprimi le tue sembianze, ma soprattutto la tua azione di grazia e la tua parola di verità nel nostro cuore, affinché possiamo essere fedeli tuoi discepoli. Fa che il tuo volto, la tua persona, diventi sempre più nitida e convincente mediante l’istruzione religiosa sorretta dalla tua grazia. Lo chiediamo a te, Maestro di vita, che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

VII stazIone Gesù cade la seconda volta I. Altra stazione non registrata nei Vangeli, ma possibilissima. Perché, malgrado la croce sia portata dal Cireneo, Gesù è talmente debilitato che non riesce nemmeno a camminare da solo. Ad ogni caduta viene brutalmente rialzato e spinto avanti. II. Anche nella nostra vita, malgrado tutti i propositi possiamo ricadere nei nostri difetti. Quante volte ci siamo ripromessi di far questo o quest’altro, di togliere delle imperfezioni, delle mancanze, dei veri peccati dall’orizzonte della nostra esistenza, e poi siamo ricaduti. Quale è stata la nostra reazione di fronte a queste cadute? Abbiamo affrettatamente concluso: “Sono un inietto, è inutile che mi rialzi, non ce la farò mai”. Oppure abbiamo detto: “Signore aiutami, tenterò un’altra volta, forse ho troppo confidato nelle mie forze, e non sufficientemente nella tua grazia. Mi rialzerò e camminerò con più coraggio, con più umiltà, verso quella strada che vuol togliere dalla mia vita quel peccato o quel difetto”. Ho sempre avuto il coraggio di pregare così? C. Preghiamo: Signore Gesù, di fronte alle difficoltà tu non sei mai indietreggiato, di fronte allo scherno dei tuoi nemici, alle critiche degli scribi e dei farisei, tu sei andato avanti. Ed anche sulla strada del Calvario ti sei sempre rialzato. Fa che anche noi, uomini deboli, paurosi, che pur avendo la volontà di migliorare, alle volte non ce la facciamo, possiamo rialzarci dalle nostre cadute e con coraggio confidando maggiormente nella tua bontà e nella tua misericordia, possiamo riprendere quella via di verità e di giustizia che tu ci hai insegnato, così da raggiungerti un giorno nel tuo paradiso, dove vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

VIII stazIone Gesù incontra le donne I. Il Vangelo è molto chiaro su questo incontro e ci riporta delle parole terribili rivolte da Gesù alle donne, tanto dure che non sembrano sue. Avrebbe detto: “Figlie di Gerusalemme non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Se si tratta così il legno verde, che ne sarà di quello secco?”. II. Nella nostra vita siamo capaci di accogliere le consolazioni, gli aiuti che gli altri ci offrono? Potrebbe sembrare blasfemo, pensare che Gesù reagendo in un modo duro così all’incontro con le donne, non abbia saputo accogliere la loro compassione. Forse perché era una compassione rituale che non partiva dal profondo del cuore. Anche noi alle volte siamo più disposti ad aiutare che ad essere aiutati! Eppure, accogliere un aiuto è segno di umiltà, di capacità di rispettare l’altro, di valorizzarlo, di far nascere in noi quel senso di riconoscenza che tante volte la nostra superbia non ci permette di coltivare.

IV


C. Preghiamo: Signore Gesù, ci sono tante persone attorno a noi disposte ad aiutarci a rialzarci, basta che noi li accogliamo e lo vogliamo. Aiutaci a non farci maturare pensieri di superbia, di autosufficienza. Dacci la forza di superare queste tentazioni perché possiamo diventare disponibili ad accogliere l’aiuto fraterno che ci viene proposto, diventando riconoscenti verso coloro che ce lo hanno offerto. Tu che nella sincerità del messaggio lanciato a queste donne non avrai mancato di premiare il loro sforzo, di consolarle, facendole partecipi del tuo Regno per tutti i secoli dei secoli. Amen.

IX stazIone Gesù cade per la terza volta I. Non vorrei che questa meditazione sulla Via Crucis, che volutamente ha un taglio piuttosto individuale, e che vuol essere un esame di coscienza personale, dimentichi anche le cadute, i peccati sociali, cioè quel male che esiste nel mondo di cui nessuno si sente responsabile. Per colpa di tutti, il mondo non é più “mondo”, ma é sporco e la natura sembra ribellarsi contro l’uomo che la tratta in modo innaturale. II. Anche noi di fronte a tante situazioni perverse, a tante occasioni di peccati incancreniti, dovremmo sentirci responsabili. Pensiamo alla fame nel mondo, alla gente che muore di povertà, agli ammalati che non si possono curare per mancanza di mezzi. Pensiamo al problema ecologico, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua, a certi disastri compiuti dalla tecnica. Di tutto ciò siamo responsabili, ma nessuno si sente in coscienza di chiedere perdono e di riparare. Questo - purtroppo - è l’uomo caduto nel basso dell’indifferenza e dell’incoscienza, è l’uomo che alle volte, non soltanto è immorale, ma peggio ancora è amorale. Noi che sensibilità abbiamo di fronte a questi mali sociali? C. Preghiamo: Signore Gesù, questa tua caduta dia un senso sociale alle nostre cadute. Ai disastri che una società del benessere compie, al perverso meccanismo economico per cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Donaci la grazia di sentirci responsabili di queste assurde situazioni, per cambiar strada, di pentirci per il male sociale e politico che commettiamo per diventare uomini di giustizia e di pace. Tu che non hai avuto paura di denunciare il male e di richiamare alla conversione e ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

X stazIone Gesù spogliato dalle sue vesti I. Non dobbiamo ridurre questa stazione a una riflessione sul pudore. Gli ebrei erano molto pudichi. Il modo in cui Gesù sia stato spogliato dalla sue vesti, non ha posto problema né a lui né ai circostanti. Egli ha insistito sulla purezza, ma soprattutto del cuore: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. II. Noi curiamo questa purezza per vedere Dio in noi, nel prossimo e nel creato? Inoltre siamo capaci di guardare dentro di noi e di accogliere anche le nostre nudità? Siamo capaci di essere noi stessi senza coprirci di orpelli, di vesti finte, di riconoscere le nostre virtù, ma anche i nostri difetti, di essere sinceri valutandoci per ciò che siamo e non per quello che vorremmo essere. O, peggio ancora, per quello che facciamo finta di essere, mascherandoci sotto le mentite spoglie della vanità, quindi della menzogna? L’accettazione delle proprie nudità è principio di verità e di sincerità, è condizione indispensabile per migliorarci.

V


C. Preghiamo: Signore Gesù, aiutaci ad accettare la nostra persona così com’è, perché soltanto attraverso questa accettazione noi possiamo fare un piano di miglioramento per la nostra vita. Riempiendo quelle valli di difetti che domandano di essere appianati, abbassando quei colli di superbia che chiedono di essere trasformati in strada di giustizia, come ha predicato il profeta Isaia annunciando la tua venuta. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

XI stazIone Gesù inchiodato sulla croce I. Giovanni evangelista presenta la crocefissione di Gesù come un’intronizzazione. Lui aveva predicato il Regno di Dio, ora viene assunto al trono quale re di questo regno. E da quel trono ci invita a guardarlo per imitarlo, per essere cittadini del suo regno. Da quel trono quale sovrano, Cristo Re elargisce i suoi favori; dona Maria, la madre, all’apostolo che egli ama, Giovanni; dona all’apostolo l’unica cosa che gli resta sulla terra: la madre. Promette al buon ladrone il paradiso e perdona tutti coloro che lo hanno giudicato, perseguitato, crocefisso, perché non sanno quello che fanno. Quindi perdona anche a Giuda per il suo tradimento, perdona anche a Pietro per la sua negazione, a Pilato per la condanna. II. Noi come ci comportiamo verso quelle persone che ci hanno fatto soffrire? Siamo capaci di donare o ridonare la nostra stima e il nostro affetto perdonando di cuore? Abbiamo già riflettuto sulle parole del “Padre nostro”: rimetti a noi i nostri debitori come noi li rimettiamo ai nostri debitori? Tutto sta in quel “come”: noi saremo perdonati “come” (nella misura) con cui perdoneremo! C. Preghiamo: Signore Gesù, dal trono della tua Croce aiutaci a comprendere quanto è grande la generosità di chi sa perdonare. Aiutaci a comprendere la preghiera che ci hai insegnato, che indica il modo con cui noi dobbiamo perdonare, e la misura con cui saremo perdonati. E aiutaci a sbarazzarci delle cose terrene, per giungere a te liberi da pesi materiali inutili e così godere un giorno della tua gloria, dove tu vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

XII stazIone Gesù muore sulla croce I. La morte in croce di Gesù è accompagnata da tanti segni; il sole si oscura, le tombe si aprono, un terremoto squarcia la terra, ma è accompagnata anche da un segno più grande, la fede del centurione che dice: “Questi è veramente il figlio di Dio”. II. Noi come ci comportiamo di fronte al pensiero della nostra morte? È un pensiero che continua a terrificarci, oppure ci prepariamo per un abbraccio fraterno, considerando la morte corporale come Francesco d’Assisi, nostra sorella? La morte fa parte della nostra vita, a condizione che si creda profondamente che con la morte non cessa la vita, ma soltanto l’esistenza fisica. La vita continuerà in un modo diverso, nell’abbraccio con quel Dio che ci ha creato per accoglierci e per donarci una vita eterna. E come ci prepariamo alla morte? Senza pensarci, come se fossimo uomini eterni? C. Preghiamo: Signore Gesù, la tua morte è stata un grande mistero per tutta l’umanità. Tu, Figlio di Dio, avresti dovuto essere immortale, ma hai voluto abbassarti a cogliere la nostra natura umana e morire di una morte infamante sulla croce. Fa che per i meriti della tua passione, morte e risurrezione anche noi possiamo accogliere questo momento estremo della nostra vita, con la fede che la stessa vita continuerà con te presso il Padre che vive e regna, nei secoli dei secoli. Amen. VI


XIII stazIone Gesù deposto dalla croce I. Dopo la morte di Gesù due suoi amici occulti arrivano al Calvario per dare al suo corpo una dignitosa sepoltura. Nicodemo, quello che quasi tre anni prima, una notte, aveva avuto un lungo colloquio con Gesù. Giuseppe d’Arimatea, un sinedrista che l’aveva discretamente difeso, fin’ora suo discepolo occulto. II. Ora la fede nella sua persona e nella sua parola, in questi due ebrei di buona volontà, diventa manifesta. Anche noi di fronte alle disgrazie più grandi come siamo capaci di reagire? Siamo capaci di leggerli come momenti di fede, di crescita spirituale, o soltanto come momenti di depressione? Siamo capaci di elaborare in noi i nostri lutti, perché non diventino causa di dolori fisici e morali, di peggioramenti di carattere? Siamo capaci di cogliere, nelle lezioni che qualsiasi morte ci offre, dei momenti di maggiore responsabilità che dobbiamo assumerci magari al posto di coloro che ci hanno lasciati? C. Preghiamo: Signore Gesù, aiutaci ad accogliere da tutte le morti che ci circondano degli insegnamenti profondi per indirizzare la nostra vita, non verso i beni materiali che ci lasciano o cessano, ma verso i tesori spirituali che tante volte il lutto e il dolore ci permettono di riscoprire. Fa che li possiamo valorizzare e non buttar via come cose che poco ci interessano e che alle volte disprezziamo. Tu che con la tua morte ci hai donato la vita e ora vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

XIV stazIone Gesù posto nel Sepolcro I. Quel sepolcro è diventato il primo cimitero cristiano. Cimitero vuol dire dormitorio dove una persona si corica, dorme per un certo tempo, ma poi si risveglia. Quel sepolcro è diventato il primo camposanto, dove la vita di Gesù è nuovamente germogliata nella Pasqua. Noi abbiamo l’abitudine di andare al cimitero o al camposanto almeno una volta all’anno, magari anche di più, per rendere omaggio ai nostri cari. Ma questi gesti arrischiano di diventare materiali se non sono accompagnati da un profondo ringraziamento per quello che i nostri defunti sono stati, o hanno fatto per noi. Ho mai capito perché si insiste, o pregare per i morti e non si insegna, fin da bambino, a ringraziare i morti! Eppure quello che noi siamo lo dobbiamo a loro: la vita, l’educazione, i sentimenti. II. Una riconoscenza verso i morti deve trasformarsi anche nell’elaborazione del loro ricordo, non cancellando i possibili difetti che avevano e che magari li han fatti pesare anche su di noi, ma valorizzandoli per non ripeterli, e soprattutto ringraziandoli per tutto il bene che ci hanno fatto, promettendo loro di essere imitatori delle loro virtù e coltivatori dei loro sentimenti spirituali e religiosi. Sento i miei morti vicini, li ringrazio? C. Preghiamo: Il tuo sepolcro Signore è lo scrigno in cui fu deposto il tuo corpo perché potesse risorgere glorioso la mattina di Pasqua. Noi crediamo che anche i nostri sepolcri un giorno si apriranno, perché la mistica farfalla della nostra anima, possa volare verso di te. Rendici degni e preparaci spiritualmente a questo volo per unirci eternamente a te che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.

VII


XV stazIone La risurrezione I. Ed ora una stazione conclusiva che normalmente non vi è negli antichi schemi della Via Crucis, la quindicesima. che ci invita a riflettere sulla risurrezione. Nessun vangelo narra il momento in cui Gesù è risorto; usano dei generi letterari diversi: il sepolcro vuoto, le donne e gli apostoli che vi accorrono, le apparizioni a Maria Maddalena, a Pietro, ai discepoli di Emmaus, ai dodici. Sono state diverse le modalità con cui venne comunicata la Resurrezione di Cristo ai suoi discepoli. Ma ciò che è importante non sono le modalità, ma la realtà. Tutti hanno creduto che con la sua morte Gesù di Nazaret è salito al Padre, diventando, “Signore”, cioè l’Unigenito Figlio di Dio. San Paolo dirà, che la Risurrezione è la base della nostra fede, e che dopo Cristo anche noi risorgeremo. II. Ho fede in questa Risurrezione? Imposto la mia vita presente per meritarla il più gloriosa possibile? La mia vita cristiana é allietata dalla gioia della resurrezione, o é una vita piatta, malinconica, spesso triste? C. Preghiamo: Signore Gesù, tu sei il risorto dai morti, il primogenito della nuova creazione. Con la tua Risurrezione hai realizzato quella parola che un giorno ci avevi comunicato: ”Quando sarò innalzato io tirerò tutti a me”. Fa che un giorno anche noi possiamo risorgere per vivere con Te nell’unità del Padre e dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.

ALLA CROCE DI CRISTO I

Astro germoglio del giardino dell’agonia. albero senza rami in cui tutto porta frutto Croce di Cristo tu effondi le radici nella roccia capace di raccogliere il seme.

tuttI:

Noi ti lodiamo e ti benediciamo o Cristo Perché, con la tua Santa Croce, hai redento il mondo.

II

Segno dell’alleanza dello spirito e del sangue polo del mondo, asse del tempo. segnale di una passaggio e di un superamento. tuttI: Noi ti lodiamo… Croce di Cristo, sei il memoriale del nostro futuro.

I

Croce elevata in alto, braccia spalancate. Croce in cui è scritto il comandamento nuovo. Tu nell’uomo tracci la via di Dio, mostrando il prezzo del nostro riscatto. Croce di Cristo tu cancelli il debito dei giorni antichi, tuttI: Noi ti lodiamo…. e ci rendi debitori dell’amore infinito di Dio.

II

Segno d’infamia e segno di gloria tu dichiari che il Signore è servo. Firma di Dio al termine della storia. Scala verso il cielo, trampolino della risurrezione.

tuttI:

VIII

Noi ti lodiamo….


L'uomo scopre la Pasqua

Ora abbiamo segni nuovi: il pane, seme della messe di Dio, e il vino, linfa della sua vigna. Vivete la festa della Pasqua: Cristo è risorto e l'uomo scopre camminando con lui la sua vera patria.

Andiamo incontro alla gioia: Cristo è risorto, e l'uomo scopre rinascendo in lui una eterna infanzia.

È ormai compiuta l'opera del vivente annunciata promessa. Ora possiamo attingere da Lui l'acqua della vita. La mensa dell'amore ci attende, siamo chiamati al banchetto di Dio; giorni d'immensa gioia in cui la Pasqua ci viene offerta.

È ormai compiuta l'opera dei sette giorni. All'alba della domenica il tempo riprende il suo corso ma tutto è trasformato.

Cantate oggi l'indicibile meraviglia; e l'uomo scopre, perdendosi in lui, una vita nuova seminata nel suo cuore, che un giorno lo farà partecipe della sua stessa risurrezione


Messaggio dall’Ordine Francescano Secolare

Sorelle e Fratelli dell'OFS Capitolo elettivo Consiglio regionale Relazione della Ministra uscente Mi presento a voi dopo tre anni di “servizio” che mi ha coinvolto nel tempo e nello spazio. Nel tempo perché il carico coinvolgente nell’essere capofila di una fraternità impone una disponibilità a tutto tondo. Nello spazio, oltre al tempo, perché gli impegni di visite, di presenza nelle fraternità e nella fraternità italiana domanda trasferte non indifferenti e assunzione di impegni. Per diverse notti un po’ insonni mi sono chiesta se avevo assolto al compito che mi era stato affidato. In partenza le intenzioni erano numerose e motivate. Ma tutti sappiamo che l’inferno (se esiste) è pavimentato di buone intenzioni. Oggi mi sembra di presentarmi a voi con le mani colme solo di speranze. Lo spirito di Francesco a cui la mia vita da lunghi anni attinge per sostenermi e dare un senso al muoversi e al vivere quotidiano, mi consola per la pochezza del fare. Tommaso da Celano nella Vita Prima (350) dice: la prima opera cui Francesco pose mano, fu riedificare un tempio a Dio. Non pensava di costruirne uno nuovo, ma restaurò una chiesa antica… Ben lontana da paragonarmi al nostro padre San Francesco ho ripensato sovente a queste parole: le anziane che mi hanno preceduto mi parlano sovente di una nostra fraternità numerosa, vitale, ricca di motivazioni, capace di scelte concrete e atti generosi, di fiducia nel Signore, attingendo forza e letizia nella preghiera per essere testimoni di un carisma tutto particolare. Abbiamo da poco chiuso il 2009 che ci ha visti spettatori di tanti avvenimenti dolorosi e tragici, fra ipocrisie e avidità, ma ciascuno di noi ha anche incontrato persone e avvenimenti che dicono il contrario, senza urlare, nel concreto della vita quotidiana. E’ questa positività che bisogna cogliere, questa seconda opzione che va cercata con pazienza, dandole spazio e credito. Allora diventa forte, motore di ogni esistenza, espressione e sostegno insostituibile

della fede. In questi giorni ci è giunto il primo numero 2010 di “Francesco il volto secolare” e guarda caso ho aperto alla pagina scritta da Remo di Pinto che parla di Capitolo. Mi permetto riproporvi una sua frase che mi ha portato a riflettere: “I momenti che scandiscono i tempi delle nostre Fraternità, ad ogni livello, vanno tutti accolti con entusiasmo e senso di gratitudine, giacché dimostrano il procedere della vita che si rinnova continuamente, assicurando alla Chiesa la presenza vivificante a cui siamo chiamati”. E’ indiscusso che le nostre Fraternità invecchiano, ma dobbiamo continuare senza perderci d’animo, il carisma di Francesco deve vestirci per portare la sua letizia, la sua generosità, la sua povertà. In una parola dobbiamo continuare un cammino ricco di speranza, come virtù ultima a morire; una fiaccola in una società portata al consumismo ed allo sperpero della natura che ci circonda, e noi ne abbiamo tanta che tanti ci invidiano. E’ un appello accorato alla nostra famiglia tutta del Ticino e dei Grigioni in Val Poschiavo. Avere fiducia della pianticella che muore sotto la neve ma poi ci porta il grano ricco di pane, alimento indispensabile alla nostra vita fisica e spirituale. Vorrei comunque riepilogare le attività svolte in questi tre anni: la celebrazione del centenario di Santa Elisabetta e l’accoglienza della sua reliquia in Ticino, le visite fraterne ad ogni località, tra cui Poschiavo dove ci siamo recati due volte, i diversi capitoli, l’organizzazione dei ritiri annuali al Bigorio, i corsi di formazione ad Assisi, i corsi di formazione a Bellinzona con l’assistente regionale, le relazioni intrecciate con la Lombardia, la mediazione per portare ad ogni Fraternità la documentazione in arrivo dal Consiglio nazionale e internazionale, per sentirci parte di un’unica famiglia in cammino, e per ultimo un pellegrinaggio ai luoghi cari a Francesco nella valle Reatina. Vorrei concludere sottolineando la gratitudine per un consiglio regionale e un segretario alacre, solerte che assicura a tutti e a tutto l’informazione e la sua dedizione. Gabriella Modonesi

Si è svolto domenica 24 gennaio 2010 a Bellinzona, presso il Centro “Spazio Aperto” di proprietà dell’OFS della Svizzera italiana, il capitolo Regionale, presieduto dal Consigliere Nazionale Riccardo Farina (delegato dal ministro nazionale) e da padre Piero Bolchi, Presidente della Conferenza degli assistenti regionali OFS della Lombardia. La votazione per l’elezione del nuovo consiglio ha confermato come ministra regionale Gabriella Modonesi di Lugano, eletta al primo scrutinio. Viceministra è stata votata Antonietta De Carli di Locarno. Quattro sono i consiglieri: Aldo Bernaschina di Mendrisio, Annamaria Bertossa di Bellinzona, Franchino Casoni di Bellinzona e Maria Pola di Poschiavo. Il nuovo consiglio ha ricevuto il mandato di reperire immediate disponibilità per la formazione, il servizio e l’animazione delle famiglie in Regione, rispondendo con fedeltà alle istanze della Chiesa locale. La celebrazione eucaristica, presieduta da padre Piero Bolchi e con la presenza di tre Padri Assistenti locali, ha concluso la giornata.

22


Ricordo di Sergio Guarneri Un tempo, quando mi si nominava Sergio Guarneri, pensavo subito a qualcosa di grande, la sua statura, la sua corporatura, la lunghezza della sue braccia davano l’impressione di un gigante, metteva una certa soggezione. Poi l’ho conosciuto bene, ho vissuto con lui nella famiglia francescana, ho condiviso molti momenti intensi di spiritualità nella fraternità di Bellinzona, durante i frequenti ritiri spirituali a Bigorio, nel corso dei numerosi pellegrinaggi ad Assisi. Ho apprezzato i suoi interventi nelle discussioni alle adunanze, la sua saggezza nei giudizi, i suoi consigli, la puntualizzazione e il rispetto della Regola e della Costituzioni e anche la sua generosità nei confronti degli enti e delle persone, da lui moralmente e materialmente assistiti. La sua vita da francescano è iniziata il 18 giugno 1978 e nel 1987 era chiamato ad essere Ministro della Fraternità, mandato che svolse fino al 1983. Seppe dare un valido contributo alla guida della Fraternità, mettendo a posto molte cose di cui ancora oggi beneficiamo: la regolare tenuta dei conti, la stesura di un programma, l’osservanza dei termini, dando sempre però il primo posto alla preghiera, all’approfondimento della conoscenza di San Francesco, alla meditazione. Poi, giunta l’ora della prova, dimostrò coraggio, pazienza e umiltà nel sopportare la malattia e tutti i disagi che conseguono. Ha sempre saputo scegliere il lato positivo delle cose e la fede, autentica e vissuta, è stata il suo sostegno in ogni circostanza. Ora, se mi si nomina Sergio Guarneri penso a ‘qualcuno di grande’ e non per la sua prestanza fisica ma per la grandezza d’animo. Lo penso con tanta riconoscenza, per l’attaccamento, la fedeltà e l’amore per San Francesco e la Fraternità francescana; lo penso come cristiano modello, parrocchiano esemplare che non aveva mai paura di esprimere la propria opinione e non parlava mai a vanvera; lo penso come tenero sposo, sempre premuroso nei riguardi di Giuliana che lo ha seguito anche nel cammino francescano. Sì, qualcuno di grande il nostro Sergio, e grande è il vuoto che tutti proviamo, ma lo sappiamo accanto al Signore, alla sua famiglia, ai tanti francescani della fraternità celeste. A noi non resta che dirgli ‘grazie’ per ciò che è stato, per ciò che ci ha dato. Sii sempre a noi vicino. Franca

I

l messaggio pasquale è più che mai attuale: invitati a risorgere con Cristo già nella quotidianità che ci concerne, il francescano deve sentirsi – in virtù del Battesimo – annunciatore della Pasqua in ogni contesto della vita. Risorgere dalle nostre piccole o grandi ombre di morte, essere portatori di speranza sull’esempio e la spinta del carisma francescano, mettersi al fianco di coloro che non hanno la forza di aprirsi alla luce di Dio che guarisce, conforta e sostiene, attraverso la Parola e i sacramenti, la Chiesa. In rinnovata forza e vigore, sotto il consiglio e l’impulso dello Spirito Santo che ci sarà donato a Pentecoste, l’Ordine Francescano Secolare cammina ricolmo di fiducia nella Chiesa, a testimonianza della nostra piena cattolicità, come s. Francesco volle vivere, nella Chiesa e per la Chiesa. Una realtà sulla quale richiamo la vostra attenzione è l’opera serafica di assistenza che viene praticata in piena adesione al Vangelo nella nostra casa S. Elisabetta a Lugano. In un mondo dove il rispetto della persona nella sua fase iniziale viene minacciato su più fronti per una sempre maggiore banalizzazione della vita, le operatrici di casa S. Elisabetta si prodigano non solo per la difesa della vita ma anche nella promozione di essa attraverso una presa in carico professionale e completa anche delle giovani madri. Il Consiglio Regionale si preoccupa di dare maggior spazio di manovra a questa opera serafica attraverso una progettualità che coinvolgerà tutta la nostra realtà regionale. Di fronte all’assottigliamento di persone nelle nostre fraternità, dobbiamo riscoprire urgentemente il valore della vocazione francescana attraverso una condivisione sincera dei beni, senza nasconderci dietro a banali attaccamenti materiali a beni che non lasceremo a nessuno, se non ci mettiamo seduti al tavolo della solidarietà. Donare non significa impoverirsi! Chi ha orecchi, intenda. Auguro già fin d’ora una serena Pasqua a tutti, perché Cristo risorga nei nostri cuori. fra Michele, assistente regionale

23


Messaggi dai conventi

Il programma 2010 al Convento del Bigorio l nuovo programma per il 2010 è ricco di riproposte di corsi “collaudati”, di nuovi spunti di approfondimento e di una nuova opportunità: quella di passare una settimana di vacanza con la propria famiglia al convento. Nel dettaglio, il programma di aprile prevede due giornate con P. Callisto, il 24 e il 25 di aprile, dedicate alla preparazione al matrimonio, appuntamento che sarà replicato nel weekend tra il 12 e 13 di giugno. Lo scopo di queste giornate è quello della necessaria revisione del messaggio cristiano del matrimonio per coloro che decidono di sposarsi in chiesa e di educare cristianamente i figli. Sempre con P. Callisto, al 25 e 26 di settembre, ci saranno due giornate di approfondimento del messaggio cristiano che avrà quale argomento “Le Parabole di Gesù”, seguite da altre due giornate, il 14 e 15 di novembre, dedicate ai “Miracoli di Gesù”. Questi ultimi due appuntamenti sono particolarmente indirizzati a chi è dubbioso o non crede. Continuano anche per il 2010 i corsi d’introduzione all’interpretazione della simbologia cristiana dalle origini del cristianesimo ai giorni nostri. Don Claudio Premoli, storico dell’arte, illustrerà come, per l’uomo religioso, il simbolo può esprimere più delle parole il legame tra creato e creazione. Le date fissate per questi corsi sono l’11 di settembre e il 27 di novembre. Fra Roberto propone inoltre, come ogni anno, alcune giornate di ritiro volte a riscoprire il silenzio, nel fine settimana dal 20 al 21 di novembre, nel quale l’ingrediente principale è la profonda riflessione personale attraverso la preghiera e e le silenziose “parole dell’anima”. “In cammino verso la culla”, animato dal Prof. Vaccani e previsto per il 18 e 19 dicembre, è un’esperienza meditativa in nove tappe per prepararsi al Natale e che ripercorre i millenni dell’attesa, le profezie e gli eventi che precedettero immediatamente la nascita del Divino Bambino. Padre Andrea Schnöller è l’animatore dei corsi di meditazione al Convento del Bigorio, che si svolgeranno nei fine settimana del 9 e 10 di ottobre e del 4 e 5 dicembre. Attraverso di essi guida le persone a conoscere e praticare la meditazione cristiana, che é un cammino verso la consapevolezza. È un profondo contributo alla vita, quello di dedicare un po’ di tempo a sé stessi, alla propria persona, per essere più disponibili verso gli altri. Per chi volesse invece “vivere” il Convento per un periodo più lungo approfittando, oltre che della quiete e spiritualità, anche delle bellezze naturali di questo luogo, dal 26 al 31 di luglio il convento offre la possibilità di una settimana di vacanza per le famiglie con bambini. P. Callisto, che sarà pure presente, animerà queste giornate.

I

24


foto Ely Riva

Il coro del Convento del Bigorio. Luogo di silenzio, di preghiera, di meditazione. Presupposti per iniziare una conversione interiore e ricuperare il coraggio di guardarsi dentro.


Dieci minuti per te

Il silenzio che genera la parola arola» e «Silenzio» sembrano destinati ad escludersi a vicenda. Dove c’è silenzio tace la parola, e dove domina la parola svanisce il silenzio. In realtà, le cose non stanno propriamente così, anche se è bene imparare a tacere per comunicare con la sapienza del silenzio, ed è bene che le nostre parole siano, come i suoni della natura e i germogli che spuntano a primavera, frutti di un silenzio vasto e profondo. Infatti, come dice san Giacomo nella sua lettera: «Se uno non commette mai errori in quel che dice, è davvero un uomo perfetto, capace di dominare tutto se stesso». Ma questo si avvera soltanto quando la parola scaturisce dal silenzio. Dice ancora san Giacomo: «Se uno crede di essere religioso, ma non sa frenare la propria lingua, è un illuso: la sua religione non vale niente!».1 Non è difficile per nessuno, credo, condividere pienamente queste due attestazioni di san Giacomo. Ma esse, se ben comprese, non contrappongono il silenzio alla parola. L’opposizione tra silenzio e parola è piuttosto il futto di una prassi che, a sua volta, può essere mal interpretata e mal compresa. Infatti, quando noi c’incontriamo con altre persone e ci proponiamo di vivere insieme un tempo significativo di raccoglimento e di silenzio, la prima cosa che ci chiediamo reciprocamente è di tacere. E’ del tutto evidente e normale. In un ritiro meditativo, non importa se di breve o di lunga durata, questa è un’esigenza fondamentale, perché lo scopo di un ritiro meditativo è quello di educarci all’arte dell’ascolto – di noi, degli altri e di ogni evento. Ma per essere in ascolto è indispensabile che si sappia anzitutto tacere. «Se in principio era la Parola, e dalla Parola venuta ad abitare in mezzo a noi è iniziata la storia della nostra salvezza, allora, al principio della nostra personale storia di liberazione ci deve essere il silenzio: il silenzio che ascolta, il silenzio che accoglie, il silenzio che si lascia animare». Vista la nostra particolare resistenza al silenzio, è comprensibile che, in un ritiro, si insista sul silenzio. E capita, soprattutto in determinati contesti, che si insista con tale vigore sul silenzio della parola, da suscitare, sia pure involontariamente, la sensazione che la parola sia sempre e comunque contro il silenzio. Ma la parola non è necessariamente e soltanto proliferazione verbale, dispersione, rumore. In effetti, se la parola è «retta» parola, non è contro il silenzio. E’ piuttosto parola che nasce dal silenzio e che conduce al silenzio: ci svela la ricchezza racchiusa nel silenzio e ci fa amare e desiderare il silenzio. Vissuto liberamente e con piena consapevolezza, il silenzio è il grembo che genera la parola: quella parola che le tradizioni spirituali definiscono parola «veritiera», parola «uni-

«P

26

tiva», parola «gentile», parola «utile», in forma sintetica: «retta» parola. Il silenzio, dunque, non è contro la parola. Però, perché le parole che escono dalla nostra bocca non siano soltato frastuono e stordimento, vento che gira su se stesso, è indispensabile educarci al silenzio. Il rispetto della parola e la sua forza comunicativa esigono il silenzio. Chi parla in continuazione e non sa tacere, corre costantemente il rischio di nominare invano il nome di Dio, nei confronti del quale siamo debitori di tutto, anche del dono della parola. Al contrario, se le nostre parole sono rette, allora non sono soltanto nostre parole: diventano «parola di Dio», ossia parole rivelatrici di senso e parole che donano vita. In riferimento alla parola, il silenzio è dunque fondamentale. Quello che si dice della consapevolezza della non accettazione, ossia che essa è «incinta di accettazione», «porta in grembo l’accettazione», lo si può dire del silenzio: è «incinto di parola», «porta in grembo la parola». E’ questo il motivo per cui Pitagora prescriveva a coloro che desideravano fare parte della sua scuola un lungo tirocinio di educazione al silenzio. Gli ammessi alla scuola, ci fa sapere Gallio, «da prima si chiamavano, nel periodo in cui dovevano tacere ed ascoltare, acustici. Ma quando avevano apprese le cose più difficili fra tutte, cioè tacere ed ascoltare, e già avevano cominciato ad acquistare erudizione nel silenzio, che veniva detto echemuthia, allora acquistavano la facoltà di parlare e di far domande e di scrivere quel che avevan sentito e di esprimere quel che pensavano. In tale periodo essi si chiamavano matematici, da quelle arti, cioè, che avevano cominciato ad apprendere e meditare: poiché gli antichi Greci chiamavano matematica, cioè scienze, la geometria, la gnomonica, la musica e le altre discipline più alte. Quindi, adorni di tali studi di scienza, passavano a considerare l’opera del mondo e i principi della natura, e allora infine venivano chiamati fisici».2 Pitagora, dunque, e la scuola che da lui prende il nome, sono più impegnati nel formare e nell’educare, di quanto non lo siano nell’insegnare e nell’istruire. L’echemuthia – il controllo dell’echema, del suono – era per loro più importante del parlare. E’ una caratteristica che contraddistingue gli antichi, non solo i greci. Prima è sila, l’etica, l’educazione al retto vivere – che riguarda tanto il pensare che il parlare e l’agire – e poi soltanto viene l’istruzione. Per questo, gli antichi pensatori sono quasi sempre anche dei grandi, a volte addirittura sconcertanti, asceti. Essi erano convinti che, senza l’educazione del carattere e la retta impostazione di vita, la matematica – ossia le scienze della geometria, della gnomonica, che compren-


deva lo studio della sfera celeste e delle tecniche relative alla costruzione degli orologi solari, e della musica – servivano a poco. Anzi, il più delle volte producevano più male che bene. Lo stesso si poteva dire della fisica, ossia dello studio dell’opera del mondo e dei principi della natura. Eraclito dirà: «Sapere tante cose non insegna ad avere intelligenza». E aggiungeva, sempre in questa prospettiva: «Uno è per me diecimila, se è il migliore». In un fascicoletto dedicato a santa Brigida di Svezia - che Giovanni Paolo II proclamò, insieme a Caterina da Siena e a Edith Stein, quasi a completare la triade già esistente di Bernardo da Norcia e dei fratelli di Tessalonica Cirillo e Metodio, protettrice d’Europa -, si legge: «Tutti, oggi, in modo più vivo rispetto a ieri, desideriamo la testimonianza della vita al posto delle parole. O meglio: vogliamo prima constatare la coerenza della vita e poi, come commento alla vita, accettiamo le parole. Ogni giorno di più facciamo l’esperienza della crisi della parola: avvertiamo che la parola perde forza, luce, fascino. Essa ci attrae sempre di meno e ci convince sempre più debolmente. Con il titolo di un libro di Vittorio Gasmann, si può dire che l’uomo d’oggi soffre di Mal di parola. C’è un’inflazione impressionante della parola: si moltiplicano i messaggi scritti, parlati, visivi, con ritmo frenetico. Se dovessimo leggere tutto, ascoltare tutto, vedere tutto, non faremmo in tempo a fare altro. Non riusciamo a scegliere, a selezionare, a orientarci fra le tante sollecitazioni della parola. E’ la febbre della parola. Di conseguenza, questa parola così tanto usata diviene sempre più sciupata, logorata e non credibile. E’ «Babele»! E Babele stanca, smarrisce, snerva. Ma gli stessi uomini che diffidano della parola, oggi mostrano un interesse vivo per la testimonanza, che è la parola incarnata nella vita. E’ stato Paolo VI a dire: Gli uomini di oggi sono più disposti ad ascoltare i testimoni che i maestri».3 Quando la parola scaturisce dalle recondite profondità del silenzio che ascolta la vita, allora diventa parola viva, che crea, orienta e rigenera. Per questo la Bibbia dice: «Al principio, Dio disse, e tutto fu creato»; o ancora: «Al principio era la Parola, e la Parola era Dio, era al principio presso Dio e tutto è stato fatto per mezzo di lei e senza di lei nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste». 4 In entrambi i casi, il linguaggio è sicuramente quello metaforico; ma è significativo che la potenza e l’efficacia dell’azione creatrice di Dio venga espresso con l’immagine della Parola che scaturisce dalle profondità del silenzio eterno – senza tempo – di Dio. Altrove invece si dice: «Quanto sono dolci al mio palato le tue parole». Essa è «luce per i miei passi». In effetti, «le tue parole, Signore, sono verità». Ed è proprio perché vera,

che la parola di Dio è anche potente: «Dio con la sua parola ha domato l’abisso», proclama il Siracide; mentre in Isaia, è Dio stesso che attesta: «La parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto». E’ sempre per lo stesso motivo, quello della verità, che «neppure una delle parole dei profeti cadrà».5 La Bibbia non cessa di elogiare le qualità della parola di Dio che, oltre ad essere onnipotente, funge da modello alle parole destinate a uscire dalla bocca dell’uomo. Essa, infatti, è «retta», «integra», «benefica»; è «certa» e «verace», «stabile come il cielo», ossia è fedele e affidabile, perché non inganna. La parola di Dio, «nel rivelarsi illumina» e «tutto risana».6 Ma la parola di Dio è anche «come il fuoco e come un martello che spacca la roccia»; è «più tagliente di ogni spada e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore». E’ parola messa sulla bocca dei profeti, che sono gli uomini del silenzio, quelli che ascoltano Dio, il quale li interpella e parla loro attraverso tutti i fatti e gli eventi della vita; solo in seguito si rivolgono all’uomo e lo istruiscono.7 Occorre, quindi, «ascoltare con attenzione la parola di Dio», «custodirla», «conservarla nel proprio cuore», «darle fiducia», «ricordarci costantemente di essa». E’ così che la parola di Dio «dimora in noi e ci santifica». Come dice bene Pietro nella sua seconda lettera: «Voi fate bene a considerare con attenzione le parole dei profeti. Esse sono come una lampada che brilla in un luogo oscuro, fino a quando non comincerà il giorno e la stella del mattino illuminerà i vostri cuori».8 Tali sono destinate ad essere le parole che escono dalla nostra bocca. Questo dovrebbe essere la costante aspirazione di ognuno. Ed è augurabile a tutti che così sia. fra Andrea Schnöller

1 Gc 3,1-12 2 Gallio A.,, Notti attiche I, 9; matematica, parola composta: mathemam investigazione e tekhné, arte. 3 Masciarelli M.G., Brigida di Svezia, Paoline, Cinisello Balsamo 2009, pp. 21-22 4 Cf Gn 1,3-29; Gv 1,1-2 5 Cf. Sal 119; Sal 119,105; 2 Sam 7,28; Sir 43,23; Is 55,10; Tb 14,4 6 Cf. Sal 33,4; Sal 18,31; Mi 2,7; Ap 21,5; Sal 119,89; Sal 119,130; Sap 16,12 7 Ger 23,29; Eb 4.12; Dt 18,18 8 Ger 22,2; Sal 119,9; Sal 119,11; Sal 119,42; At 20,35; Dt 8,3; 2 Pt 1,19

27


Messaggi dal mondo della chiesa

Appunti di vita ecclesiale Dopo il voto sui minareti I commentatori politici hanno elencato diversi motivi che sarebbero confluiti a provocare il “sorprendente” risultato di inserire nella Costituzione svizzera il divieto di costruire minareti. Lo storico Urs Altermatt, in una intervista concessa ad APIC (l’agenzia stampa dei cattolici svizzeri) ha fatto tre osservazioni relative al rapporto con la religione del risultato della votazione popolare. Ha osservato che non meraviglia la poca considerazione che la maggioranza degli svizzeri ha per la libertà religiosa degli altri: per secoli in Svizzera protestanti e cattolici si sono fieramente e ferocemente combattuti, la libertà religiosa agli ebrei è stata accordata su pressione straniera a metà dell’Ottocento, gli articoli discriminatori contro i cattolici sono stati tolti dalla Costituzione federale nel 1971 (e ancora quattro cantoni a maggioranza protestante si sono opposti) e la limitazione relativa alle diocesi cattoliche è stata abbandonata solo nel 2001! Ha poi osservato che il risultato della consultazione ha dimostrato che, almeno per la maggioranza dei votanti, non vale il principio liberale che “ la religione è un affare privato” : infatti la maggioranza ha votato contro un simbolo religioso, giudicando il minareto una manifestazione pubblica e non un fatto privato, contrario all’intera comunità ritenuta rappresentata da altri segni religiosi (chiese e cappelle e crocefissi cristiani, “graditi” e persino polemicamente difesi anche in edifici statali, legalmente “laici”!). Infine il risultato della consultazione ha evidenziato (ma non è una novità) il ridotto seguito che hanno in sede politica le indicazioni delle Chiese, cioè della Conferenza dei vescovi svizzeri e della Federazione delle Chiese evangeliche: il sentimento religioso (le conclamate “radici cristiane”) si è manifestato contro le indicazioni dei rappresentanti “ufficiali” (se così si può dire) del cristianesimo svizzero. A conferma di una divaricazione tra Chiese e religiosità popolare che da tempo i sociologi hanno constatato. Secondo l’analisi VOX (riferita dalla stampa del 26 gennaio 2010), il 60% dei cattolici e dei protestanti interpellati hanno votato contro le indicazioni delle Chiese.

Premiato l’ecumenismo vodese Dal 2004, una Chiesa o una comunità religiosa appartenente al Consiglio delle Chiese cristiane del Canton Vaud (CECCV) invitano a una celebrazione ecumenica nella cattedrale di Losanna. La cattedrale è un edificio storico che risale al settimo secolo e appartiene al Cantone: con la Riforma protestante, alla quale il Paese di Vaud ha aderito nel 1536, la chiesa è utilizzata regolarmente dagli evangelici, ma da qualche anno è messa a disposizione anche del

28

vescovo cattolico (che risiede a Friburgo) per celebrazioni in circostanze particolari. Queste celebrazioni sono organizzate da una singola Chiesa o particolare comunità, oppure da parecchie di esse in comune: ogni comunità è libera di esprimere le sue tradizioni, tutti sono invitati e questo contribuisce a far cadere molti pregiudizi. La CECCV conta 19 Chiese e comunità religiose: oltre alla cosiddette “Chiese nazionali” (cattolica, evangelica riformata e vecchio-cattolica) sono associate diverse Chiese ortodosse, gli Avventisti, le Chiese libere e l’Armata della Salute. Lo scorso agosto, la Comunità di lavoro delle Chiese in Svizzera, ha conferito al CECCV il “label ecumenico”, creato nel 2008 per onorare progetti ecumenici innovatori, e costituito da un atto ufficiale e da un logo che può essere utilizzato per i comunicati del progetto premiato. Il label rende visibile l’ecumenismo e vuole promuovere la collaborazione tra i cristiani, in attuazione della Carta Ecumenica firmata nel 2001 a Strasburgo dalle Chiese cristiane europee.

Collaborazione tra le religioni Dal 2010 il Consiglio svizzero delle religioni (SCR) sarà presieduto da mons. Norbert Brunner, vescovo di Sion; quale nuovo membro, in rappresentanza delle associazioni islamiche, è stata nominata Aynur Akalin, una studiosa d’origine turca, attiva come mediatrice culturale e membro del Comitato dell’istituto per la cooperazione interculturale di Zurigo. Il Consiglio delle religioni è stato fondato il 15 maggio 2006 ed è composto da delegati della Conferenza dei vescovi svizzeri, del Consiglio della Federazione delle Chiese protestanti svizzere, della Chiesa cattolica – cristiana svizzera, della Chiesa ortodossa di Svizzera (rappresentata dal Patriarca ecumenico), della Federazione delle comunità israelite e delle Organizzazioni islamiche di Svizzera. Il Consiglio vuole contribuire a creare fiducia tra le comunità e promuovere la pace tra le comunità religiose, nonché rappresentarle nelle relazioni con le autorità civili.

I canonici di San Nicola a Friburgo Fino al trasferimento a Friburgo del vescovo diocesano (che ora porta il titolo di vescovo di Ginevra Losanna Friburgo), il capitolo dei canonici di San Nicola rappresentava l’autorità episcopale per il cantone. Il capitolo era stato istituito nel 1512 da Giulio II (lo stesso che nel 1506 fondò la Guardia svizzera) e dotato di 15 canonici autonomi rispetto al vescovo di Losanna; il capitolo ebbe da allora un grande ruolo nella vita religiosa e civile di Friburgo e del Cantone, diffuse efficacemente le idee della Controrifoma cattolica decisa al Concilio di Trento, fornì personaggi eminenti della


vita culturale artistica politica e religiosa, tra cui diversi vescovi; infine fece venire a Friburgo i padri gesuiti, tra cui Pietro Canisio, fondatore del collegio St. Michel. Un tempo i canonici erano nominati dalle autorità civile, e il prevosto aveva diritto alla mitra e al pastorale. Quando nel 1924 la collegiata di S.Nicola divenne la cattedrale della diocesi, il capitolo perse molti privilegi, ma continua ad avere una grande importanza per la pastorale della città e del cantone. Nel 2012 verrà solennemente festeggiato il 500° anniversario della fondazione.

A proposito di matrimoni misti I matrimoni tra persone di confessione diversa sono da decenni una realtà, anche in Ticino. Secondo l’Annuario statistico ticinese (edizione 2009) i matrimoni tra persone di diversa religione (cattolica, protestante o altra) furono nel 1970 in totale 162, e nel 2008 ben 297 su 1678 matrimoni censiti: poco meno di un quinto. Tra le cause dei divorzi (in Ticino nel 2008 furono 803) sembra che ci sia anche la diversità di religione tra i coniugi. Il mensile “Voce evangelica” ha fatto eseguire da un istituto specializzato una ricerca che ha interrogato un campione di 500 ticinesi. E’ risultato che una chiara maggioranza (51,3%) ritiene che i matrimoni fra persone di religione diversa siano più esposti a problemi o difficoltà che non i matrimoni conclusi fra persone con il medesimo credo. Una maggioranza del 70,4% degli intervistati dichiara tuttavia che non avrebbe nulla da obiettare se i propri figlio o figlia decidessero di sposare una persona di religione non cristiana: la percentuale affermativa è dell’86,1 % fra i giovani ma scende al 56,4% per coloro che superano i 55 anni. Altra domanda riguardava la religione per i figli in caso di matrimonio misto: per una maggioranza del 75,9% la scelta dovrebbe essere lasciata ai figli stessi, ma con l’età degli intervistati cresce la percentuale di coloro che preferiscono la religione della madre (il 17,6 % per gli ultra 55enni). Una più ampia informazione sul risultato del sondaggio è stata pubblicata su “Voce evangelica” del novembre 2009.

Cercasi cappellani militari Come le Chiese, anche l’esercito svizzero ha carenza di preti e pastori: un quarto dei posti sarebbe attualmente vacante e ciò mette in difficoltà l’autorità che, per legge, deve assicurare l’assistenza religiosa ai militi. Al cappellano, responsabile di regola per un battaglione (circa mille uomini) è chiesto di prestare 300 giorni di servizio entro i 50 anni, impegno considerato troppo pesante per un clero già sovraccarico e sempre meno giovane. Tra i rimedi per far fronte alla carenza, si pensa di assumere studenti in teologia quali “apprendisti” (che già devono prestare servizio militare) o cappellani a tempo ridotto; per ora non è prevista invece l’assunzione di imam, come recentemente ha fatto l’esercito austriaco. Alberto Lepori

29


Messaggio ecumenico

La Comunità di lavoro delle Chiese in Ticino compie 10 anni ’ un significativo traguardo quello raggiunto lo scorso 24 gennaio dalla Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Cantone Ticino: l’organismo ecumenico ha infatti festeggiato il suo decimo anniversario, dapprima con una celebrazione ecumenica nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - tenutasi nella chiesa evangelica di Lugano e teletrasmessa in diretta in tutta la Svizzera, poi con un pranzo conviviale che ha riunito rappresentanti delle varie Chiese membro, delegati del passato e del presente e amici. Ma qual è la storia recente del movimento ecumenico in Ticino? Cerchiamo di ripercorrerne le principali tappe a grandi linee.

È

Nella diocesi di Lugano, uno dei frutti del Concilio Vaticano II (1962-1965) e del Sinodo 72 dei cattolici svizzeri è stata l’istituzione, il 30 novembre 1975 da parte del vescovo Giuseppe Martinoli, della Commissione ecumenica diocesana. Venne così dato seguito a una delle raccomandazioni formulate dal Sinodo, quale premessa alla costituzione della Commissione ecumenica del Ticino. Quest’ultima, formata da 12 delegati (6 nominati dal vescovo di Lugano e 6 dal Consiglio sinodale di quella che era la Federazione delle Comunità evangeliche riformate del Ticino) si riunì per la prima volta il 6 gennaio 1976. Da allora, in Ticino l’ecumenismo ha certamente fatto molta strada. Dalla diffidenza iniziale e dai pregiudizi tra cattolici e protestanti (le altre confessioni erano ancora inesistenti, sconosciute o fortemente minoritarie), si è pian piano creato un clima molto più fraterno, base indispensabile per l’avvio di una proficua collaborazione. Inoltre, con il passare degli anni la Commissione non poteva certo rimanere indifferente alla presenza, in Ticino, di fedeli di altre Chiese cristiane, notevolmente aumentata, per quanto riguarda ad esempio gli ortodossi, in seguito ai rivolgimenti politici che hanno caratterizzato l’Europa dell’Est a partire dall’inizio degli anni ’90. Già nel 1987, la Commissione ecumenica modificò i suoi statuti per dare la possibilità a rappresentanti di altre Chiese cristiane presenti in Ticino di assistere alle sue riunioni come osservatori. L’invito fu accolto con gioia e interesse. Inoltre ancora prima, precisamente a partire dal 1985, ministri o rappresentanti ufficiali di queste Chiese parteciparono regolarmente alla celebrazione ecumenica cantonale organizzata ogni anno in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (che si svolge dal 18 al 25 gennaio), non più limitata dunque, com’era stato fino allora, ai cattolici e agli evangelici.

30

Dalla Commissione ecumenica alla Comunità di lavoro Un’altra pietra miliare per l’ecumenismo in Ticino è stata la costituzione ufficiale, il 23 gennaio 2000 nella cattedrale di Lugano, della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Cantone Ticino. L’atto di fondazione, nell’ambito della celebrazione ecumenica in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, venne firmato dai rappresentanti di 10 Chiese: il ven. Peter Hawker per la Chiesa anglicana, il sig. Manoug Inyapan per la Chiesa apostolica armena, il rev. Christoph Bächtold per la Chiesa cattolica cristiana, mons. Arnoldo Giovannini (a nome del vescovo mons. Giuseppe Torti) per la Chiesa cattolica romana, p. Antonio Ava Shenuti per la Chiesa copta ortodossa, la pastora Helene Fontana per la Chiesa evangelica battista, il pastore Ulrich Breitenstein per la Chiesa evangelica riformata, il rev. Hakan Nilsson per la Chiesa luterana svedese, p. Mihai Mesesan per la Chiesa ortodossa e p. Ibrahim Unal per la Chiesa siro-ortodossa. La predicazione, sul tema “Benedetto sia Dio… che ci ha benedetti in Cristo”, fu tenuta dal pastore Thomas Wipf, presidente della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera e della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera. Negli anni successivi si sono ritirate dalla Comunità, per mancanza di “effettivi”, la Chiesa apostolica armena e la Chiesa luterana svedese, mentre la Chiesa cristiana avventista del settimo giorno è entrata come osservatrice. Presidenti della Comunità di lavoro sono stati il pastore Martino Hauri (20002005), p. Mauro Jöhri (2005-2006), Paolo Sala (2006-2007) e don Maurizio Silini (dal 2007). La costituzione della Comunità di lavoro, che ha dunque sostituito la Commissione ecumenica, è stata il frutto della sempre maggiore collaborazione tra le diverse Chiese ed ha costituito il compimento di un iter assai lungo e talvolta tortuoso: formazione di un gruppo di lavoro, procedura di consultazione, scrittura e riscrittura degli statuti, loro approvazione da parte delle autorità delle Chiese e infine la firma, avvenuta come detto il 23 gennaio 2000, dell’atto di fondazione. A proposito degli statuti, per l’allestimento dei quali ci si è ispirati dal Consiglio delle Chiese cristiane di Milano, è interessante notare che tutte le Chiese, indipendentemente dal numero di fedeli che contano in Ticino, hanno lo stesso “peso”, nel senso che ogni Chiesa può nominare per la Comunità di lavoro da uno a quattro delegati, ma ogni delegazione ha diritto a un solo voto. Situazione classica nei consessi ecumenici, le risoluzioni (per le quali è richiesta l’unanimità) hanno carattere consultivo e non possono essere vincolanti per le Chiese.


Compiti impegnativi Per tornare agli statuti, la Comunità di lavoro si definisce, all’art. 1, come “un organismo di Chiese che confessano il Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore del mondo secondo le Sacre Scritture e per questo cercano di rispondere alla comune vocazione e glorificazione di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo”. Nei suoi 10 anni di esistenza, la Comunità ha cercato di adempiere i compiti fissati all’art. 2, cioè testimoniare insieme il Vangelo di Gesù Cristo, coltivare nelle Chiese una sensibilità ecumenica, favorire una corretta e reciproca conoscenza delle Chiese, studiare e sostenere insieme attività ecumeniche, diffondere informazioni sulle attività del movimento ecumenico, cercare risposte comuni ai problemi religiosi che interpellano la fede cristiana, proporre orientamenti e iniziative di pastorale ecumenica, discutere e chiarire eventuali incomprensioni tra le Chiese, prestare attenzione alla correttezza dell’informazione sulle Chiese nei mezzi di comunicazione sociale, diffondere l’informazione sulle attività delle Chiese membro, prendere posizione su questioni rilevanti riguardanti le Chiese, la società e tematiche di carattere etico-religioso e curare i contatti con la Comunità di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera e con altri organismi regionali, nazionali e internazionali. Ovviamente, anche a causa delle sue forze limitate, la Comunità di lavoro è riuscita finora ad assolvere solo in parte questo ambizioso mandato. Particolare cura è stata riservata alla conoscenza reciproca tra le Chiese, anche grazie

all’organizzazione di visite ad alcuni luoghi significativi come il monastero ecumenico di Bose, quello siro-ortodosso di Arth, quello della Chiesa copta a Lacchiarella (Milano), alla Comunità di Taizé, alla “Haus der Stille” di Kappel am Albis e soprattutto il viaggio-pellegrinaggio in Romania, nel settembre 2007, in occasione della terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu. Un particolare impegno la Comunità di lavoro lo ha sempre dedicato alle celebrazioni ecumeniche. Ne organizza due in prima persona: quella cantonale di gennaio per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, a Lugano (quelle del 2008 e del 2010 sono state trasmesse in diretta dalla Televisione svizzera), e quella della Festa federale di ringraziamento, la terza domenica di settembre, generalmente a Bellinzona. A questo proposito, ricordiamo anche quella in occasione del bicentenario del Cantone Ticino, pure trasmessa in diretta dalla Televisione svizzera, il 21 settembre 2003 a Mesocco. La Comunità di lavoro patrocina inoltre la celebrazione ecumenica che viene organizzata ogni anno in agosto nell’ambito del Festival del film di Locarno. Conferenze con esponenti di primo piano delle varie Chiese, lo studio di documenti ecumenici, la questione dell’insegnamento religioso nelle scuole (con incontri con i docenti) e la partecipazione alla Settimana delle religioni sono stati alcuni tra gli altri ambiti nei quali la Comunità di lavoro si è attivata in questi suoi primi 10 anni di vita. Gino Driussi

La Settimana per l’unità 2010 sotto il segno di Edimburgo La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di quest’anno, generalmente celebrata dal 18 al 25 gennaio, era imperniata sul centenario della Conferenza missionaria internazionale di Edimburgo, svoltasi nel 1910, incontro considerato di fatto l’inizio ufficiale del movimento ecumenico contemporaneo. Nell’estate di 100 anni fa, infatti, oltre 1000 delegati di Società missionarie protestanti di diverse denominazioni, a cui si unì un ospite ortodosso, si riunirono nella capitale scozzese con lo scopo di aiutare i missionari a forgiare uno spirito comune e non concorrenziale. I promotori della Settimana di preghiera, cioè la Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese e il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, hanno opportunamente rivolto alle Chiese scozzesi l’invito a preparare il testo e la liturgia per la Settimana di preghiera 2010, e il tema scelto è stato “Voi sarete testimoni di tutto ciò” (tratto dal cap. 24 del Vangelo di Luca). Per ricordare questo centenario, una grande conferenza ecumenica internazionale avrà luogo a Edimburgo dal 2 al 6 giugno di quest’anno, sul tema “Essere testimoni di Cristo oggi”.

31


Abbiamo letto... abbiamo visto... Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano

GAB 6900 Lugano

Mick E. L. Confessione. Per capire il sacramento Padova, Messaggero, 2008

L’editrice Messaggero di Padova ha curato un’agile collezione di libretti sui sacramenti che ci sono molto utili per questi numeri. Segnaliamo il presente, anche se avremmo preferito che il titolo non usasse più la parola confessione che insiste sull’accusa, ma la parola penitenza che sottolinea la disposizione dell’animo che deve avere chi si accosta a questo sacramento. Si tratta di un sussidio scritto da un sacerdote di Cincinnati (Stati Uniti), laureato in liturgia, che presenta in sintesi la visione di questo sacramento e la sua storia. Opera di particolare importanza per tutti i cristiani, non solo per i genitori che preparano a questo sacramento i loro bambini. Un testo che può anche servire per la catechesi degli adulti e per i gruppi che vogliono riscoprire la loro fede cristiana.

Caldelari P. Callisto Atti degli Apostoli - Ritratto della Chiesa delle origini per chi ancora non la conosce, ma anche per chi dubita o non crede nel cristianesimo Bellinzona, Ed. Istituto Bibliografico, CHF 25.- (per gli abbonati del Messaggero) da richiedersi direttamente alla segreteria della Comunità del S. Cuore: bellinzona@cappuccini.ch

Queste pagine non sono da leggersi tutte d’un fiato, per rincorrere le vicende e i primi passi della Chiesa. Forse è più utile leggerle passo passo, capitolo per capitolo, e poi lasciar sedimentare le impressioni, riflettendo su fatti e parole. O addirittura paragrafo per paragrafo per assimilare meglio. Anche per questo – come per gli altri libri su Gesù e le parabole – questa edizione si presenta con un formato non tascabile, ma da tavolino, quasi da salottino o da comodino, per suggerire i momenti di relax nei quali è più opportuno leggere. L’autore giunge a dire al suo lettore di non preoccuparsi se si addormenta su queste pagine: quello che raccontano lavoreranno in lui, forse anche nei sogni. E termina scrivendo: “Non m’illudo di essere riuscito a presentare la storia di una istituzione, la Chiesa, per me affascinante e alla quale ho cercato, malgrado i molti limiti, di dedicare la mia vita. Ma permettete che la penna scriva di ciò che abbonda nel cuore”.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.