Trimestrale di formazione e spiritualitĂ francescana
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Luglio n° Settembre 2012
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Luglio n° Settembre 2012
La storia della Chiesa nei Concili ecumenici
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Verità e protagonisti dei Concili ecumenici della Chiesa unita
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Domande a don Sandro Vitalini
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Messaggio dal Santuario
MESSAGGERO Rivista fondata nel 1911 ed edita dai Frati Cappuccini della Svizzera Italiana - Lugano ISSN 2235-3291
Comitato Editoriale fra Callisto Caldelari (dir. responsabile) fra Edy Rossi-Pedruzzi fra Michele Ravetta Maurizio Agustoni Gino Driussi Alberto Lepori E-Mail redazione@messaggero.ch
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fra Agostino Del-Pietro
Messaggio dai Conventi
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Hanno collaborato a questo numero
Francescanesimo secolare
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Cristiani nel mondo
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Franchino Casoni don Carlo Cattaneo Mario Corti fra Agostino Del-Pietro fra Roberto Pasotti fra Andrea Schnöller don Sandro Vitalini
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Redazione e Amministrazione
Alberto Lepori
Messaggio ecumenico
Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano Tel +41 (91) 922.60.32 Fax +41 (91) 922.60.37
Gino Driussi
La pace sia con voi
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fra Andrea Schnöller
L’eredità di Chiara
Internet www.messaggero.ch E-Mail segreteria@messaggero.ch
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Abbonamenti 2012
Mario Corti
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Fotolito, stampa e spedizione Foto di copertina: Roma – ottobre 1962 Processione di apertura del Concilio Vaticano II © Archivio fotografico Osservatore Romano
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Editoriale Istruzione ed educazione: delle sfide sempre più pressanti!
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Lo scorso settembre è iniziato in Ticino un nuovo anno scolastico: 55′660 allievi hanno varcato le porte di scuole elementari, medie, professionali e superiori. Il tempo che i giovani consacrano alla formazione costituisce la parte preponderante della loro quotidianità. Alle ore trascorse in classe (una trentina circa) si aggiungono quelle passate a casa per lo studio e i compiti. La posta in gioco è del resto decisiva: una buona formazione è spesso il presupposto irrinunciabile per un avvenire professionale sereno. Una scuola di qualità deve pertanto sapere trasmettere efficacemente delle nozioni, dei metodi, delle capacità. La scuola ticinese, dal profilo tecnico, presenta considerevoli margini di miglioramento. Il programma per la valutazione internazionale degli studenti (cosiddetto test PISA) pone costantemente la scuola media ticinese al di sotto della media svizzera e questo in tutte le componenti del test: lettura, matematica e scienze. I giovani ticinesi, che non sono certo intellettualmente inferiori rispetto ai coetanei confederati, pagano forse lo scotto di una scuola media che alcuni, invocando una propria visione (distorta) dell’uguaglianza, hanno voluto indiscriminatamente indifferenziata. Questo modello, purtroppo, ha come conseguenza di appiattire il livello medio, a svantaggio degli allievi più dotati (che non possono sviluppare a pieno il loro potenziale), ma pure a discapito degli studenti con qualche difficoltà che, costretti a seguire programmi troppo vasti e approfonditi, accumulano lacune su lacune. Un ripensamento di questo sistema è quindi necessario perché, in un mondo sempre più competitivo, i giovani ticinesi hanno diritto a essere formati al meglio, sia che decidano di percorrere la via professionale, sia che optino per quella liceale e universitaria. In ambito scolastico un’altra sfida si affaccia tuttavia con maggiore urgenza alle nostre coscienze, ovvero quella educativa. Come abbiamo visto, i giovani ticinesi trascorrono la maggior parte del loro tempo a scuola. È dunque qui, a contatto con i loro docenti e i loro coetanei, che si forma una parte importante del loro carattere, del loro modo di rapportarsi alla comunità, della loro comprensione della società e delle regole che la governano. Ciò vale a maggior ragione se si considera la fragilità della famiglia “occidentale” del XXI secolo (in Ticino il 54% dei matrimoni civili si scioglie per divorzio) e il conse-
guente inevitabile offuscamento del ruolo dei genitori o, perlomeno, di uno di essi. Questa situazione potrebbe far sorgere la tentazione di attribuire allo Stato – ovvero alla scuola e ai docenti – il compito di educare, anche moralmente, i nostri giovani. Questa soluzione, per quanto “comoda”, costituirebbe una deriva pericolosa, poiché lo Stato penetrerebbe nel nucleo più intimo e qualificante della famiglia: l’educazione dei figli. Al di là della questione di principio, non vi sarebbe poi alcuna garanzia che questo “Stato etico”, sarebbe davvero etico, almeno in un’ottica cristiana. In parecchi ambiti, per esempio quello dell’educazione sessuale, abbiamo anzi la prova del contrario. Ciò non significa che i docenti, come persone (e non come funzionari statali), debbano astenersi da qualsiasi ruolo educativo e disinteressarsi al comportamento dei loro allievi. L’educazione è in effetti un compito che incombe su ciascun membro della comunità, in particolare su chi vive e lavora a contatto con i giovani. Nel suo messaggio del 1. gennaio 2012 per la XLV Giornata mondiale della pace, Benedetto XVI ha ben riassunto cosa debba essere inteso per educazione: “si tratta di comunicare ai giovani l’apprezzamento per il valore positivo della vita, suscitando in essi il desiderio di spenderla al servizio del Bene”. Nella formazione e selezione del corpo docente è (e sarà sempre più) importante tenere conto della capacità dei nostri insegnanti di sentire propria questa responsabilità e avere il coraggio e la determinazione di adempierla. Non uno Stato etico quindi, ma uno Stato che promuova e valorizzi persone etiche. Maurizio Agustoni
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La storia della Chiesa nei Concili ecumenici Il Concilio della controriforma
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All’inizio del XVI secolo, quando Lutero appende le sue tesi contro le indulgenze (1517), punto di partenza della Riforma protestante, il papato appare ai cristiani appesantito da due secoli di impotenza, errori e scandali: l’umiliazione subita da papa Bonifacio VIII ad opera di Filippo il Bello; l’esilio ad Avignone sotto quasi tutela francese; il Grande scisma d’Occidente; il lusso e la depravazione della Roma rinascimentale. A ciò si aggiungano gli abusi di ogni specie nella Chiesa: il più avvertito è senza dubbio il peso delle tasse pontificie, in relazione al tenore di vita dei papi e della loro corte. Ma c’è dell’altro: la ricchezza della Chiesa, proprietaria di beni immensi, e il modo in cui sono distribuiti episcopati ed abbazie a persone spesso indegne che vi vedono solo motivi di arricchimento; la
ma anche domanda una rinnovata spiritualità; le teorie della supremazia dei concili sul papa; il risveglio dello spirito nazionale anche nella Chiesa; ecc. Il mondo si è allargato con la scoperta dell’America (1492); le idee circolano più ampiamente grazie alla stampa (1434); inizia l’economia monetaria; i principi vogliono l’indipendenza dall’Impero, i contadini esigono di uscire dalla miseria. Dal medioevo della cristianità l’Europa era ormai entrata in una nuova epoca e la generale attesa di un rinnovamento religioso, ben al di là della repressione degli abusi, viene avviata dalla protesta su un tema minore da parte di uno sconosciuto monaco: è però una scintilla che incendierà tutta l’Europa. (testo adattato da THEO, Nouvelle Encyclopedie catholique, 1989).
La riforma luterana
mediocrità spirituale, morale ed intellettuale del clero senza alcuna formazione; il rilassamento in molti ordini religiosi. Purtroppo il papato resta cieco sia sui propri difetti sia sull’insieme del mondo clericale, come ben dimostrato dall’insignificanza del Concilio Lateranense riunito da Giulio II nel 1512 e chiuso da Leone X nel 1517, anno della denuncia pubblica fatta da Lutero. Si aggiungano a tutto ciò i cambiamenti culturali e sociali in atto, con il fiorire dell’umanesimo: l’individualismo che propone il libero esame che contesta ogni autorità
Il monaco Martin Lutero, agostiniano tedesco, professore all’università di Wittenberg, pubblica nel 1517 una dichiarazione in 95 punti (tesi) contro il traffico delle indulgenze che il papato usa per finanziare la costruzione della basilica di San Pietro a Roma. L’intenzione di Lutero non è quella di riformare la Chiesa e ancor meno di staccarsi da essa, ma a poco a poco, dopo la condanna da parte di Leone X nel 1520, assume posizioni sempre più radicali, secondo quanto a suo giudizio è la vera fede annunciata nelle scritture. La dottrina luterana può essere riassunta in tre grandì principi: l’autorità della Sacra Scrittura (Scrittura contro tradizione); la giustificazione per fede (sola fede contro le opere); il sacerdozio universale dei fedeli (i ministri sono dei laici, al servizio di tutti). Dopo la rivolta dei contadini (1524), Lutero riconoscerà la necessità di una autorità nella Chiesa.
Verità e protagonisti dei Concili ecumenici della Chiesa unita CONCILIO DI TRENTO (Trento) Anni 1545-1563 Diciannovesimo Concilio ecumenico. Condanna di Lutero e delle sue dottrine, di Zwingli e di Calvino. Attuazione della Controriforma. Decreti di riforma della vita della Chiesa. Dottrina sulla Sacra Scrittura, sul peccato originale, sulla grazia e la giustificazione, sui sacramenti e sul sacrificio della messa, sul culto dei santi e delle immagini. In reazione alla Riforma protestante, deliberò una riforma generale del corpo ecclesiastico e ridefinì i dogmi. I decreti conciliari ratificati da papa Pio IV il 26 gennaio del 1564 costituirono il modello della dottrina di fede e della pratica della Chiesa cattolica fino alla metà del XX secolo. Benché fin dal tardo XV secolo la convocazione di un Concilio fosse stata sollecitata da più parti, sia all’interno sia all’esterno della Chiesa, in particolare da Martin Luterò nel 1520, l’idea di un nuovo Concilio trovò riluttante papa Clemente VII, che temeva di avallare indirettamente il principio secondo cui al Concilio e non al papato - sarebbe spettata l’autorità suprema della Chiesa. Inoltre, le difficoltà politiche che il luteranesimo aveva creato all’imperatore Carlo V fecero sì che gli altri sovrani europei, specialmente Francesco I di Francia, evitassero qualsiasi provvedimento che potesse rafforzare o favorire l’imperatore. Fu papa Paolo III che nel 1542 convocò il Concilio; tuttavia esso si aprì a Trento solo il 13 dicembre 1545, articolandosi in tre sessioni.
Prima sessione Risolte le questioni procedurali, l’assemblea si rivolse alle fondamentali problematiche dottrinali sollevate dai protestanti. Uno dei primi decreti affermò che la Scrittura doveva essere interpretata secondo la tradizione dei padri della Chiesa: un rifiuto implicito del principio protestante della “sola Bibbia”. Il lungo e complesso decreto riguardante la giustificazione condannava il pelagianesimo detestato da Lutero, ma tentava contemporaneamente di conferire un ruolo alla libertà umana nel processo di salvezza. Questa sessione affrontò inoltre questioni disciplinari, come l’obbligo dei vescovi di risiedere nelle loro diocesi.
Seconda sessione Dopo un’interruzione provocata da una profonda incomprensione di natura politica tra Paolo III e l’imperatore Carlo V, la seconda sessione del Concilio, convocata nuovamente dal neoeletto papa Giulio III, rivolse la sua attenzione soprattutto ai sacramenti. La sessione, alla quale parteciparono alcuni luterani, fu boicottata dai rappresentanti francesi.
Terza sessione La terza sessione del Concilio dibatté prevalentemente questioni disciplinari: in particolare il problema irrisolto della residenza episcopale, da molti considerata la chiave di volta della riforma ecclesiastica. Nel 1564 Pio IV proclamò la professione di fede tridentina (da Tridentum, l’antico nome romano di Trento) che sintetizzava le decisioni dell’assemblea in materia dottrinale. Tuttavia il Concilio non affrontò mai una discussione riguardante il ruolo del papato nella Chiesa, questione sollevata ripetutamente dai protestanti.
Riforma o Controriforma? La Chiesa sentì il bisogno di rinnovarsi e questo rinnovamento si ebbe con il Concilio di Trento. Papa Paolo III, che personalmente non poteva dirsi un convinto riformatore, interpretò questa ansia della Chiesa e convocò il Concilio che fu il più incisivo nella storia della Chiesa durante l’età moderna. Tre erano le questioni principali da trattare: precisare i dogmi, riformare la vita cristiana, pacificare la cristianità riportando i dissidenti (i protestanti) all’ovile. Il terzo scopo fallì perché i protestanti, benché invitati, non si presentarono neppure a Trento. Ma gli altri due scopi furono raggiunti: le verità principali, i dogmi della fede cristiana furono esposti con chiarezza, dal dogma sul peccato originale fino alla dottrina sulla messa, il purgatorio, il culto dei santi e delle reliquie, e le indulgenze. Fu rivista la disciplina del clero e dei religiosi; la condotta dei fedeli ebbe chiari principi ispiratori, a ciascuno furono indicati i doveri del proprio stato. Trento fu una riforma o una controriforma? Senza dubbio fu una riforma, perché ci si preoccupò di dare spazio nella Chiesa alle esigenze evangeliche della santità, della vita cristiana onesta e serena. Ma fu anche controriforma, nel senso che si presero alcune decisioni a seguito repressivo; si divenne in qualche caso intolleranti, ad esempio nelle disposizioni liturgiche e in alcune norme sulla lettura della Bibbia.
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I frutti del Concilio, affidati ad una schiera di santi, tra i quali si distinguono uomini come Carlo Borromeo e Ignazio di Lojola, non tardarono a maturare. La vita cristiana conobbe allora un incremento in tutti i settori. La pratica religiosa divenne più convinta, a seguito della istruzione religiosa promossa dalla Chiesa. Né mancò l’incontro con la cultura e l’arte del tempo: il barocco significa appunto l’incontro della tradizione rinascimentale con lo spirito del rinnovamento cattolico. L’ordinamento interno della Chiesa si consolidò: basti pensare alla istituzione dei seminari; l’attività caritativa e sociale promossa dalle istituzioni religiose si organizzò e raggiunse praticamente tutta la cristianità. Ma se è vero che la storia della Chiesa non sta nelle vicende esteriori, bensì essenzialmente nel progresso spirituale che si verifica tra i suoi membri e nelle sempre nuove forme di vita religiosa che si manifestano ad opera dei suoi figli migliori, questa età che si caratterizza in due mistici come santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce, vissuti nella seconda metà del secolo XVI, ci lascia intravedere la maturità raggiunta allora dalla Chiesa della riforma cattolica. Dovette confrontarsi continuamente con i grandi Stati nazionali; la stessa convocazione del Concilio di Trento fu a lungo discussa con l’imperatore Carlo V. Si creò un nuovo rapporto tra il sistema degli Stati moderni e l’organizzazione della Chiesa, che dopo aver perso l’Oriente cristiano, perde gran parte dell’Europa settentrionale (Stati tedeschi e
scandinavi, Inghilterra) passati alla riforma protestante e anglicana. Gran parte della (contro) riforma tridentina reggerà la Chiesa cattolica per circa cinque secoli, mentre si estenderà nelle Americhe e con le missioni in Africa ed in Oriente, fino a scontrarsi con le rivoluzioni della modernità che la vedranno sulla difensiva fino al Concilio Vaticano II (1962-65).
Papi vescovi e santi del Concilio Paolo III aveva fissato per il Concilio di Trento tre scopi: porre termine alla divisione religiosa avviata dalla riforma protestante; riformare la Chiesa; liberare i cristiani dai turchi. Per il primo obiettivo il Concilio arrivò troppo tardi e peggiorò la situazione con risposte non accettate dai protestanti; del terzo obiettivo il Concilio si occupò poco; il secondo, vitale per la Chiesa, diede risposte che costituirono un miglioramento in almeno tre settori: chiarificazione teologica, misure disciplinari interne, vigoroso impulso allo spirito di rinnovamento in tutta la Chiesa. Ma per realizzare tutto ciò, occorrevano (e ci furono) papi, vescovi e religiosi che agirono nella Chiesa per realizzare le riforme conciliari. Tre papi (Paolo III, Giulio III, Pio IV) iniziarono e portarono a termine la volontà riformatrice; tre altri papi (san Pio V, Gregorio XIII, Sisto V) si dedicarono con energia alla applicazione del Concilio; tra i vescovi, decisi a istruire e convincere il clero, vanno specialmente ricordati san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano (che ebbe grande attenzione anche per le terre ticinesi) e san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra (da dove era stato allontanato) e di Annecy. Infine gli ordini religiosi che già avevano contribuito a sollecitare e preparare il Concilio, si mobilitarono nella sua applicazione, in particolare i gesuiti (con Pietro Canisio anche a Friburgo, il card. Bellarmino, ecc.) mentre il nuovo clima suscitò una fioritura di ordini o la riforma di quelli esistenti (come i Carmelitani con santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce) con un influsso sulla vita religiosa in generale che si estese nei secoli successivi.
Messaggio tematico VATICANO I (Roma) Anni 1869-1870 Ventesimo Concilio ecumenico. Sospeso a seguito dell’unificazione di Roma all’Italia. Indetto dal papa Pio IX, l’invito fu esteso alle Chiese ortodosse e protestanti che non accettarono. Pio IX a sua volta non accettò la proposta della Chiesa anglicana di presentare delle proprie tesi. Mentre in Italia andava crescendo il processo di unificazione nazionale, la Santa Sede trova difficoltà ad adeguarsi al nuovo clima storico e politico: si trincererà dietro tradizioni superate e si concentra su questioni teologiche, che sfoceranno nella proclamazione dell’infallibilità del Papa. Nel 1870, con la breccia di Porta Pia, il Concilio si interruppe e terminò il potere temporale dei Papi. Pio IX si rinchiuse in Vaticano considerandosi prigioniero dei piemontesi. Vi fu la condanna degli errori moderni del materialismo e del razionalismo contro la fede e la rivelazione. Definizione su Dio creatore, sulla Chiesa. In reazione al dogma dell’infallibilità, non mancarono decisioni dolorose: il 23 aprile 1871 l’arcivescovo di Monaco scomunicò il teologo Döllinger che continuò ad opporsi alla nuova definizione dogmatica e che si avviò a fondare la Chiesa dei vecchi-cattolici. Anche in Svizzera i governi liberali sostennero coloro si opponevano al nuovo dogma, favorendo la costituzione di una Chiesa separata (ora detta in Svizzera dei cattolici-cristiani). Il dogma fu pagato anche con scontri con i poteri civili, in Germania col Kulturkampf (lotta per la cultura) e la denuncia del concordato da parte del “cattolico” impero d’Austria.
Pio IX e il Concilio Vaticano I Privato di gran parte dello Stato della Chiesa, assorbiti nel nuovo Regno d’Italia, Pio IX convocò nel 1869 un concilio a Roma, nella cattedrale del Laterano, allo scopo di rinforzare la lotta contro gli errori del tempo, da lui già condannati in blocco nell’enciclica Quanta cura (con aggiunta dell’elenco, il II Sillabo), ed adattare la legislazione ecclesiastica risalente al lontano Concilio di Trento. La questione dell’infallibilità del papa non figurava all’ordine del giorno, ma già nelle prime sedute del Concilio la maggioranza “ultramontana” (reazionaria e antiliberale) ottiene dal papa che sia discussa; il centro moderato ne precisa e riduce la portata, ma restano molti oppositori, e 55 Padri lasciano il concilio la vigilia per non votare il testo, che raccoglie 553 voti favorevoli.
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Papa Pio IX
Il Vaticano I, interrotto per l’occupazione di Roma da parte delle truppe piemontesi, non discute che una minima parte degli oggetti previsti. Occorrerà aspettare quasi un secolo, perché il confronto tra la Chiesa cattolica e la modernità possa riprendere, un secolo che avrà permesso a molti problemi di trovare soluzioni più condivise. Testi elaborati da don Carlo Cattaneo e da Alberto Lepori
Domande a don Sandro Vitalini
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La Riforma protestante partì dalla contestazione di Lutero sul commercio delle indulgenze. Ora la possibilità di “ottenere indulgenze”, anche se a buon mercato, è poco praticata. Ha ancora un senso e quale potrebbe essere un adattamento alla mentalità moderna? L’idea di indulgenza ha una sua storia. Il sacramento della riconciliazione (oggi cosiddetta confessione) veniva celebrato nei primi secoli solo per i crimini pubblici più eclatanti, e i pubblici peccatori ricevevano una pesante penitenza, come un pellegrinaggio a Roma, a Gerusalemme o a Compostella. Quando avevano compiuto la gravosa penitenza, ricevevano dal vescovo pubblicamente l’assoluzione ed erano riammessi all’eucarestia. Nel settimo secolo, per l’influsso dei monaci irlandesi, si introdusse la penitenza privata e i confessori usarono dei “tariffari”, per sapere quale penitenza dare ad un determinato peccato. Erano penitenze durissime, quasi impossibili. La Chiesa allora introdusse la “indulgenza” e cioè un gesto di misericordia, che mutava l’opera gravosa prevista dal “tariffario” in qualcosa di più leggero. Così, invece di un pellegrinaggio a Roma, si versava il suo prezzo per far pregare i monaci di un convento. L’associazione dell’indulgenza al denaro fu una catastrofe, perché si immaginò di poter “comperare” il perdono di Dio. Il Concilio di Trento denunciò questo “turpe lucrum”, ma la nozione di indulgenza rimase, nel senso che il Papa condonava la pena derivata dalla colpa se si compivano certe opere da lui indicate. Dal punto di vista teologico l’idea di indulgenza contraddice il concetto di gratuità della grazia (Efesini 2,8). Non sono i nostri “meriti” che ottengono qualcosa davanti a Dio, ma tutti siamo salvi per grazia (cfr. Romani 8). Invece di invocare questa dottrina delle indulgenze, si dovrebbe convertirsi al Vangelo e proclamare che “Dio fa misericordia a tutti “ (Romani 11,32). Il lietissimo annuncio di Gesù, Figlio di Dio, è proprio questa gratuità del perdono offerto a tutti. Gesù crocifisso “attira tutti a sé” (Giovanni 12,32). Ogni uomo è oggetto di amore infinito da parte di Dio. E’ questa realtà che va annunciata e proclamata. Il Vaticano II aveva aperto porte e finestre per cercare di far capire al mondo questa vertiginosa realtà.
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La critica di Lutero alle indulgenze era tuttavia diretta alla sua commercializzazione e poi al cattivo uso che la Curia romana faceva del denaro, rispetto alla miseria del popolo. Oggi ancora il confronto è drammatico tra la ricchezza di molti cristiani occidentali e la povertà omicida di molte parti del mondo. Come i cristiani e le comunità cristiane dovrebbero seguire il Vangelo (“Non accumulate”, “Il superfluo datelo ai poveri”, ecc.) per essere di esempio e non di scandalo al mondo da “rievangelizzare”? La comunità cristiana di Gerusalemme metteva a disposizione dei poveri tutto (Atti 2,42-46) e arrivò quasi al fallimento. Paolo raccolse somme notevoli per aiutarla (2Corinti 8-9). La diaconia, il servizio concreto al prossimo, favorì la diffusione del Cristianesimo nel bacino del Mediterraneo in pochi secoli. Basilio, ad esempio, costruì una città per i malati e i pellegrini. I vescovi ebbero accanto alla loro casa l’ospedale cittadino (hôtel-Dieu). I diaconi erano i primi collaboratori del vescovo in questa opera così capillare. Lo stesso primato del vescovo di Roma si affermò per la straordinaria intensità degli aiuti che la Chiesa di Roma assicurava a poveri, schiavi, malati nel mondo. I Padri della Chiesa vendettero ori e stoffe preziose per soccorrere i poveri. Purtroppo in seguito la diaconia, presieduta
dai vescovi, passò in mano agli ordini mendicanti e poi a quelli religiosi, e non fu più vista dal popolo di Dio come suo compito primordiale. La volontà di Dio è però quella che ci riconosciamo tutti di fatto fratelli (Matteo 23,8), mirando alla condivisione dei beni. Come cristiani dobbiamo lottare politicamente per costruire un mondo confederato, dove le nazioni (come i nostri cantoni svizzeri) si sentano corresponsabili le une delle altre. E’ questo anche l’unico modo per fermare la marea di fuggiaschi affamati verso le nazioni più ricche. Dobbiamo essere pronti a vendere i monumenti vanamente costruiti per “la gloria di Dio” (se troviamo chi li acquista), per mirare a quella uguaglianza fra tutti che resta un ideale arduo. Ma è scandaloso che i pochi abbiano tutto e i molti niente. Siamo credibili nella misura in cui siamo servi. La “felice notizia” è per i miseri: quella che c’è pane, istruzione, lavoro, casa anche per loro. Così tutti devono poter beneficiare di una vecchiaia serena. La lotta per rendere il cristianesimo comprensibile nel mondo passa dalla diaconia, anche di tipo politico.
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Ho letto che qualche anno fa tra rappresentanti cattolici e luterani sarebbe stata composta o almeno superata (abolendo le reciproche scomuniche) la opposizione tra “fede ed opere” che viene attribuita a Lutero. Come sta la questione? Come è “predicata” la possibile opposizione e come la vive oggi il popolo cattolico? Se si studiano le Lettere di Paolo e quella di Giacomo si capisce che non c’è opposizione tra fede e opere. Sbagliano coloro che pensano: basta che io preghi e sarò salvo. Sbagliano anche coloro che pensano: con i miei nove primi venerdì e le elemosine che faccio sarò salvo. Gesù ci dice: “Senza di me, non potete fare nulla” (Giovanni 15,5). Paolo mette in evidenza, contro gli ebrei che pensavano di essere giustificati dalla circoncisione e dalla osservanza minuziosa della Legge, che è Dio che giustifica e divinizza per mezzo della fede. La fede è un appoggio incondizionato su di lui, sulla sua parola. E’ lui che opera in noi la giustificazione e le buone opere. Non possiamo vantarci di nulla. Dopo quattro secoli si è trovato un consenso sulla nozione di giustificazione tra cattolici ed evangelici, ma di per sé la Scrittura è chiara e non presenta che il principio “Tutto è grazia”. Le nostre polemiche derivano dalla difficoltà di leggere il Nuovo Testamento e di riconoscere i nostri torti.
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La conseguenza più dolorosa della divisione tra cattolici e protestanti, più che sul ruolo del Papa, sta nella divisione al momento della “Cena del Signore”, ove restano separati persino sposi cristiani e genitori e figli, a causa dei molti matrimoni tra appartenenti a diverse confessioni. E’ ancora un ostacolo l’insegnamento cattolico sulla “presenza reale” e quali sono i possibili ed auspicabili progressi verso la “intercomunione”? Il famoso “Documento di Lima” (BEM) ha posto chiare premesse perché tutti i cristiani possano spezzare assieme il pane eucaristico. Si riconosce la presenza reale del Cristo nel pane consacrato e si riconosce la necessità di un ministero ordinato al servizio del Popolo di Dio. Le diverse tradizioni convergono su questi punti essenziali. Il Vaticano II ammette un “defectus” (difetto), ma non una “absentia” (assenza) nel ministro operante nelle Chiese della Riforma. Un riconoscimento reciproco dei ministeri fu possibile nell’antichità (penso a san Pietro Damiani) ed è possibile anche oggi. Già conosciamo coppie miste che partecipano all’eucarestia e alla cena protestante ricevendo il pane consacrato. Chi di noi si sentirebbe di affermare che le Chiese nate dalla Riforma hanno vissuto per cinque secoli e hanno prodotto frutti positivi completamente privi della presenza del Cristo Signore nell’eucarestia? L’ora dell’unità è suonata da un pezzo.
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Il dogma dell’infallibilità del papa romano è rifiutato da protestanti e da gran parte degli ortodossi, e poco conosciuto nei suoi contenuti da gran parte dei cattolici. Giovanni Paolo II si era dichiarato disponibile a discuterne in vista dell’unione tra i cristiani: a che punto è oggi la questione con le diverse denominazioni cristiane? Il dogma dell’infallibilità è nato in un contesto tempestoso. L’autorità romana aveva l’impressione che nel mondo e nella Chiesa prevalesse il relativismo e l’insubordinazione. Una istituzione che si credeva divina e intangibile, come lo Stato pontificio, stava per essere sbriciolato. Si reagì allestendo in fretta la dichiarazione dell’infallibilità del papa (molto limitante peraltro) che faceva parte di una più ampia costituzione che mai vide la luce. Prima della votazione su questo testo controverso molti vescovi lasciarono Roma, mentre si stava per occupare la città da parte dei soldati del Regno d’Italia. I cattolici che non avessero ripudiato questa occupazione “sacrilega” sarebbero stati scomunicati! La proclamazione del dogma avvenne in un contesto di estrema confusione e massima tensione. Dato che la Chiesa cattolica romana era separata dalle altre Chiese cristiane, una simile promulgazione non può che interessare Roma e portarla ad una chiarificazione, come in parte è stato fatto col Vaticano II. Si noti come questa “infallibilità” non è che la voce che proclama ciò che la Chiesa crede e vive da sempre. Si pensi ai dogmi dell’Immacolata e dell’Assunzione. Essi riguardano Maria Santissima. Si legga il prologo della Lettera agli Efesini, dove apprendiamo di essere tutti costituiti santi e immacolati nell’amore e di essere tutti ricolmi di grazia. Si legga 2Corinti 5,1, e si saprà come il destino di Maria è anche il nostro! Alla tenda della corporeità è sostituita la dimora definitiva che il Padre ci prepara nei Cieli. Se ci si rifà alla Scrittura ci si rende conto che essa ci dice molto di più delle verità dogmatiche proclamate nei secoli e ci aiuta a ricercare quell’unità nella diversità che deriva dal sentirci tutti fratelli, guidati dall’unico pastore che è Cristo (Giovanni 10,16). don Sandro Vitalini
Capitolo Generale OFMCap
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Duecentotrentaquattro Frati [169 delegati, 55 ufficiali (traduttori, interpreti, assistenti, periti) e 10 fratelli ausiliari] provenienti da tutte le parti del mondo si sono ritrovati a Roma, presso il Collegio Internazionale San Lorenzo da Brindisi, per l’84° Capitolo Generale dei Frati Minori Cappuccini.
Il nuovo Definitorio Generale
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Dal 20 agosto al 23 settembre i partecipanti hanno dibattuto sulla situazione dell’Ordine e provveduto all’elezione del Ministro Generale e del suo Consiglio che resteranno in carica per i prossimi sei anni. Padre Mauro Jöhri, Ministro Generale, con i rappresentanti svizzeri
In dirittura d’arrivo
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Dopo la riapertura al pubblico della chiesa principale dedicata all’Assunta lo scorso 25 marzo, durante gli ultimi mesi sono stati portati a termine anche gli ultimi lavori del complesso intervento di restauro. La chiesa dell’Assunta venne chiusa il 15 giugno 2009, ma già negli anni precedenti, a partire dal 2003, erano in corso gli studi, la progettazione e gli interventi preliminari. Un cantiere durato quasi dieci anni, che ha visto impegnate parecchie decine di persone. Abbiamo voluto parlarne con l’architetto Mauro Buletti, incaricato della progettazione e della direzione dei lavori.
Arch. Mauro Buletti
Architetto, una quarantina di anni fa, in vista del cinquecentesimo anniversario della Madonna del Sasso, il nostro Sacro Monte fu oggetto di una campagna di restauro. Perché nell’ultimo decennio si è dovuto intervenire nuovamente sul complesso locarnese? Fortunatamente il restauro di un bene culturale non è un’operazione definitiva, dico fortunatamente perché con il trascorrere degli anni muta sensibilmente l’approccio a ciò che si restaura e, alcune scelte che oggi appaiono giuste e sicure, viste alcuni decenni dopo, meritano di essere rimesse in discussione. Nel caso del nostro Sacro Monte, oltre alle normali operazioni di manutenzione, di adeguamento degli impianti tecnici, di rispetto di nuove leggi e regolamenti o altro, ci si è occupati del restauro completo dell’apparato decorativo, affreschi, stucchi, dorature, gruppi scultorei di grande pregio, ecc. È da ricordare che il grande intervento della fine degli anni ‘70, curato dall’architetto Luigi Snozzi, si occupò principalmente del riordino del convento che nel corso degli anni se non dei secoli
Messaggio Messaggio dal Santuario ??? era stato veramente manomesso e maltrattato. Snozzi ha avuto la giusta visione progettuale ed ha restituito un edificio, con gli spazi esterni annessi, veramente di grande valore. Viceversa allora non si era intervenuti, se non marginalmente, sugli apparati decorativi che ora sono stati oggetto, come detto, di un importante intervento tendente a pulire, riparare, consolidare e restituire nel limite del ragionevole, questa importante sostanza artistica al suo stato originale. Prima della chiusura della chiesa principale del Sacro Monte nell’estate del 2009, vennero eseguiti lavori di studio, di progettazione e alcuni interventi preliminari. Può ricordarci quali furono? In effetti la preparazione al restauro complessivo di tutti gli edifici, delle chiese dell’Annunziata e dell’Assunta, delle tre cappelle superstiti edificate sull’antico impianto di Sacro Monte giunto fino a noi, delle cinque cappelle situate sui percorsi interni del convento, delle diciotto edicole, dei percorsi, ecc., è stata piuttosto
laboriosa ed ha richiesto i tempi necessari anche per consolidare le diverse fasi della progettazione. Dapprima è stata raccolta la documentazione iconografica e si è fatta un’analisi approfondita della sostanza costruita che è sfociata in una valutazione complessiva degli interventi necessari alla conservazione del Sacro Monte; l’analisi più specialistica dello stato dell’apparato decorativo ha completato la conoscenza della situazione. Di seguito si sono completati i rilievi metrici necessari per gettare le basi della progettazione complessiva e del relativo preventivo generale delle opere. Tutte queste fasi della progettazione sono state fatte in stretta collaborazione con l’Ufficio cantonale dei beni culturali e la Commissione dei beni culturali, che hanno poi approvato le proposte progettuali, e della Sezione della logistica, permettendo così che tutto l’incarto potesse essere proposto al Gran Consiglio per accettazione e stanziamento dei crediti necessari (da ricordare che tutto il Monte è di proprietà dello Stato del Canton Ticino). Nel 2006-2007, contemporaneamente alla sostituzione del ponte sulla Ramogna
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che segna l’accesso dal basso al Santuario, si sono restaurati gli edifici dell’Annunciata, della Cappella della Visitazione con il suo portico e della Cappella di San Giuseppe; edifici che, a parte la manutenzione corrente curata dall’apposito servizio cantonale, non erano più stati oggetto di restauri dagli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale. Il restauro dell’apparato decorativo della chiesa dell’Assunta è stato uno degli interventi più importanti della recente campagna di restauri. Nel corso di questi lavori sono sorte particolari difficoltà? Come giudica il risultato di questo intervento? Questo restauro era stato analizzato a fondo e preparato da specialisti che operavano in questo campo e si erano formulate proposte precise di intervento, che sono poi servite quali base per gli appalti, fissando gli obiettivi che sono poi, man mano che la pulitura soprattutto della volta procedeva, stati affinati e che in quasi due anni di lavoro hanno permesso di restituire lo spazio interno dell’Assunta di una qualità forse mai immaginata e molto vicino allo stato originario. In realtà di vere difficoltà non se ne sono avute. È stato però un grande impegno di tutti quello di affinare pazientemente tecniche e modalità degli interventi con la volontà di adattare e migliorare gli obiettivi finali del restauro. Penso veramente che, soprattutto con la collaborazione dell’Ufficio dei beni culturali e con il grande impegno e competenza della numerosa squadra di restauratrici e restauratori, il risultato finale sia superiore alle aspettative e che quanto restituito alla comunità dei frati, e in definitiva alla popolazione ticinese ed ai turisti, giustifichi ampiamente l’impegno, anche finanziario, profuso. All’interno della chiesa dell’Assunta sono stati realizzati anche alcuni interventi edili che ne hanno in parte modificato l’aspetto. In modo particolare lei ha ridisegnato il presbiterio della chiesa. Può illustrarci le sue scelte e le sue realizzazioni? All’interno dell’Assunta il restauro dell ‘80, oltre al rifacimento completo delle coperture, si era concentrato unicamente sul presbiterio e, sull’onda lunga del Concilio Vaticano II, per rispondere a quelle che allora apparivano indicazioni imprescindibili, lo si era modificato notevolmente. Il progetto creato ha voluto ricucire questo
spazio che era giunto fino a noi così come l’aveva realizzato - ingrandendo quello precedente - alla fine dell ‘800 dall’architetto Alessandro Ghezzi di Tenero. Abbiamo avuto la fortuna di ricuperare nei solai tutto quanto allora smontato; dopo il necessario restauro sono stati rimontati sia il coro dei Frati, sia le due chiusure lignee dei coretti con le vetrate decorate e soprattutto si è riportato, al posto occupato fino al 1792, l’altare storico di marmo. Con questo intervento, semplice nel progetto, ma complesso e complicato nella sua realizzazione - soprattutto se mi ricollego alla traslazione dell’altare penso di poter dire che il presbiterio sia stato valorizzato e l’equilibrio tra antico -altare monumentale-, vecchio -spazio presbiterale- e il nuovo arredo liturgico possa essere giudicato in modo positivo. “Può rimanere nascosta una città posta su di un monte?” Una delle caratteristiche del nostro Sacro Monte è la sua collocazione, che lo rende visibile a residenti e turisti. Quali criteri sono stati adottati per ridipingere alcune parti interne, ma soprattutto le pareti esterne dei vari edifici che compongono il complesso? E quali quelli per illuminare interni ed esterni in modo adeguato? Il Sacro Monte è ben visibile sia dal basso sia dall’alto e necessitava per davvero di essere restituito alla fine dei lavori nella sua veste originale: i prospetti laterali, che erano stati ridipinti durante l’ultimo restauro e denotavano importanti danni dovuti al passare degli anni e avevano necessità di un riordino per presentarsi in modo dignitoso, sono ora stati riproposti nella cromia originale di fine ‘800, data dell’ultimo grande intervento costruttivo ad opera, come detto, dell’architetto Ghezzi che aveva pure realizzato il nuovo campanile; negli anni ‘20 fu poi aggiunto il portico di collegamento del Convento con la sacrestia nuova ad opera degli architetti Eugenio e Agostino Cavadini. Anche gli edifici che compongono il Convento sono stati riproposti secondo le cromie degli intonaci secondo una gamma di colori che denotano i differenti periodi della loro edificazione. Per la facciata principale, ricordo sopraelevata a fine ‘800 sempre da Ghezzi, è stata eseguita l’analisi stratigrafica e l’accurata pulitura della superficie che hanno permesso di confermare quanto si poteva intuire dalle fotografie d’epoca; in base a questi dati certi si è potuto riproporre la facciata nella sua cromia e la decorazione originaria, con risultati, penso di poter affermare, molto interessanti.
Messaggio dal Santuario Le particolarità spaziali della navata, relativamente bassa e in assenza di cornici e capitelli di dimensioni opportune per l’istallazione di corpi illuminanti, ha in definitiva confermato la scelta portata avanti dalla metà del secolo scorso che è sempre stata quella di usare i tiranti quali supporti per i corpi tecnici di illuminazione. Si è optato per la posa sui tiranti di elementi molto piccoli e puntuali che rendono vivaci, oltre che ben illuminati, i diversi spazi principali e laterali che compongono l’Assunta. Rispetto alla pianificazione iniziale, nel corso dei lavori, si sono resi necessari alcuni interventi supplementari, mentre altri lavori previsti non hanno potuto essere realizzati. Può ricordarci quali sono questi lavori e i motivi dei cambiamenti intervenuti? A conferma che il restauro è un’opera in divenire, parecchi sono stati gli interventi non previsti che si sono realizzati, sempre nel rispetto del budget iniziale; interventi soprattutto edilizi legati a differenti esigenze funzionali sorte man mano che i diversi cantieri progredivano: • ���������������������������������������������������� il recupero degli spazi occupati dal negozio devozionale trasformati nella Cappella provvisoria che ha ospitato la statua della Madonna durante i quasi tre anni dedicati al restauro dell'Assunta; • si è pure scavato nella roccia un collegamento tra Convento e la Cappella provvisoria che sarà ora usata come spazio per attività diverse; • la messa a norma della protezione dal fuoco di tutto il Convento; • ����������������������������������������������� la formazione di un nuovo accesso al Museo comprendente pure lo spazio di vendita devozionale, il servizio, ecc.; • quest'autunno verrà realizzato dalla Sezione della logistica, in collaborazione con l'Ufficio dei beni culturali, il nuovo allestimento del Museo del Sacro Monte; • anche la ridipintura dei prospetti laterali, come pure il ricupero della situazione originale della facciata principale, non erano previsti dal progetto originale, ma mi sembra che fosse, per lo meno, un atto dovuto. • Sull'annosa questione della realizzazione di un collegamento meccanico tra la quota della fermata intermedia della funicolare e il sagrato dell'Assunta, con progetti, domande di costruzione, ricorsi, approvazione del progetto e quant'altro, fino al suo abbandono, preferisco non esprimermi. Forse manca ancora la giusta distanza storica.
Nelle prossime settimane, terminato il potenziamento del montascale del convento, il cantiere del Sacro Monte della Madonna del Sasso verrà chiuso, ma i lavori saranno veramente conclusi? Sì! Quest’autunno verrà realizzato il nuovo accesso per disabili con tanto di lungo montascale esterno che collegherà la strada cantonale a monte, la sistemazione del percorso all’interno del convento, la posa di un nuovo montascale interno; parallelamente si procederà all’allestimento del Museo: a quel momento i crediti a disposizione saranno esauriti, ragionevolmente i lavori di restauro edili e dell’apparato decorativi saranno conclusi. A meno di novità non ancora conosciute. Quasi due lustri di impegno professionale dedicati al restauro di un Sacro Monte: qualche rimpianto? Quali sono stati i momenti più significativi e le soddisfazioni più grandi? Operando dall’interno, avendo pensato, progettato, controllato in officina e in cantiere il nascere ed il procedere dell’opera, obiettivamente le sorprese non possono essere molte. Certo la traslazione dell’altare storico è stata un momento carico di tensioni, ma anche di grande soddisfazione, vedere quest’opera, composta di marmi vari e dal peso di cinque tonnellate, muoversi lungo l’asse del presbiterio è stato impressionante. La posa del nuovo arredo liturgico di marmo di Carrara e di legno di noce è stato un momento felice, come lo è stata la Cerimonia della sua dedicazione il 25 marzo scorso ad opera del Vescovo Pier Giacomo Grampa. Quando si sono smontati i ponteggi interni dell’Assunta e lo spazio si è presentato nella sua nuova luce e ricchezza, come pure quando sono emerse dalle reti di protezione le facciate laterali e quella principale ridipinte, la soddisfazione è stata grande. E molte altre occasioni ancora. Rimpianti? Forse immodestamente penso di no; certo tutto può essere meglio o migliore, ma reputo di potermi dichiarare soddisfatto di quanto fatto in questi anni con la collaborazione dell’Ufficio dei beni culturali, della Sezione della logistica, dei collaboratori del mio studio e dei Frati. Intervista raccolta da Frate Agostino
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Crocefisso medievale al Bigorio
Messaggio dai Conventi Un crocefisso medievale impreziosisce il Bigorio La chiesa del Convento si è da poco impreziosita di un crocefisso medievale, grazie alla generosità dell’antiquario luganese Kurt Spirig, che ringraziamo di cuore. Questa importante opera d’arte é entrata a far parte del già ricco patrimonio artistico del convento. Si tratta di un’acquisizione dal doppio valore. L’opera risalente a un periodo compreso tra la fine del milleduecento e l’inizio del milletrecento, comporta pure un profondo valore spirituale essendo stato creato nelle regioni dell’Italia centrale, luoghi che han visto la nascita del francescanesimo. Il Cristo scultura intagliata nel legno con tracce di un’antica policromia è di grandezza naturale. Per la sua bellezza e particolarità, il crocefisso fu esposto in occasione di un’importante mostra di antiquariato internazionale, tenutasi a Maastricht nel 2002. Appuntamenti e corsi al Bigorio Dopo il periodo estivo, riprendono al Bigorio i corsi programmati per i mesi da settembre a dicembre.
Tra questi, il primo appuntamento è previsto l’8 di settembre, con una giornata dedicata al canto corale. “L’esperienza del canto corale quale espressione comunitaria” è infatti il tema trattato da Robert Michaels, direttore della Corale della Cattedrale di Lugano. Questa giornata rappresenterà la possibilità di fare un’esperienza nuova nella conoscenza del canto nella liturgia, riscoprendo il suo valore e la sua bellezza e un’occasione per chi ama il canto e partecipa nei cori delle nostre chiese.
Il 22 e 23 settembre per chi volesse approfondire il messaggio cristiano, Padre Callisto Caldelari sarà l’animatore di un incontro dal titolo “Parabole di Gesù”.
Il 29 settembre fra Michele Ravetta animerà
una giornata di riflessione sulla figura di San Francesco, sul suo messaggio e sul suo stile di vita. Sarà affrontata la complessità dell’esperienza umano-divina di San Francesco d’Assisi e di Santa Chiara.
Domenica 7 ottobre alle ore 16.30 sempre
per ricordare il Santo d’Assisi, vi sarà un concerto per organo e coro che precederà la Messa solenne per la commemorazione del Santo.
Ora quest’opera ha trovato la sua perfetta collocazione, sulla parete sinistra della chiesa conventuale, offrendosi alla devozione popolare. Primi passi dell’Associazione “Amici del Bigorio” L’associazione “Amici del Bigorio” é nata il 14 ottobre 2011, con l’intento di promuovere e sostenere finanziariamente l’attività culturale, sociale e comunitaria del convento. Questa iniziativa ha suscitato un grande interesse e più di settecento persone hanno risposto all’invito. Si sono pure aggiunti enti pubblici, istituzioni e fondazioni dando l’opportunità al convento di continuare la sua attività, quale centro per corsi e giornate di formazione. Questo successo testimonia l’attaccamento della gente al nostro convento e ci dà speranza per la continuità di tutte le attività che la casa offre.
Sabato 3 e domenica 4 novembre, è previ-
sto il fine settimana di meditazione cristiana, con P. Andrea Schnöller, appuntamento che si ripeterà ad inizio dicembre.
Sabato 10 novembre si terrà il terzo appun-
tamento annuale con don Claudio Premoli, storico dell’arte, che analizzerà la nascita dell’arte medievale nell’Occidente europeo. In particolare si studierà l’età carolingia, dalla fine dell’VIII all’inizio del IX secolo.
Sabato 24 e domenica 25 novembre il cor-
so “La riscoperta del silenzio”, darà l’opportunità di fermarsi e di apprezzare un bene sempre più raro: il silenzio. Il corso sarà animato da fra Roberto, con momenti di riflessione meditativa.
L’1 e il 2 dicembre come già detto, un nuovo
appuntamento con la meditazione cristiana e per il fine settimana del 15 e 16 dicembre in prossimità delle festività natalizie si potrà riflettere sul mistero dell’incarnazione del Figlio divino con il prof. Mauro Vaccani.
Il 16 dicembre alle ore 16.00, vi saranno i Vespri solenni dell’Avvento con la Scuola Corale della Cattedrale di Lugano diretta da Robert Michaels.
Come sempre, il 24 dicembre vigilia di Na-
tale alle ore 22.00, S. Messa solenne, alla quale seguirà un momento conviviale sul sagrato.
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Francescanesimo secolare Francescani secolari in festa
L
La terza domenica di giugno è da anni una data importante per i francescani secolari della Svizzera Italiana. Infatti il 12 giugno è il giorno affidato all’OFS per la preghiera perenne diocesana e, volendo dare seguito all’invito di Mons. Vescovo, tutte le Fraternità si ritrovano per pregare insieme secondo le intenzioni emanate dalla Diocesi e per vivere un momento di fraternità prima della pausa estiva. Quest’anno la giornata ha avuto importanza tutta particolare, perché la data del 17 giugno coincideva con il cinquantesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di padre Ugo Orelli, Assistente dell’OFS della Svizzera Italiana. Appuntamento per tutti quindi a Bellinzona, alla chiesa del Sacro Cuore. Non solo noi, veramente, abbiamo sottolineato l’anniversario. Già il giorno del Corpus Domini, la parrocchia della Collegiata gli aveva reso grande onore con una cerimonia solenne, seguita dalla processione per le vie della città con il SS. Sacramento portato appunto da padre Ugo. La parrocchia del Sacro Cuore non è stata da meno e ha preparato una Santa Messa meravigliosa, con canti e preci e con la gradita sorpresa di un brano suonato con il corno delle alpi, a felice ricordo di un modo di onorare il cinquantesimo anniversario descritto nell’Antico Testamento.
La presenza massiccia di francescani secolari, provenienti da tutte le Fraternità del Ticino, voleva essere il loro grazie al Signore per la sua bontà nel chiamare al suo servizio le persone giuste e grazie a padre Ugo per aver detto di sì a questa chiamata e per la sua presenza tra noi, nella sua veste di padre Assistente. A dire il vero, più che l’Assistente noi vediamo in lui il Padre, burbero a volte, severo quando si tratta di seguire le disposizioni di Regola e Costituzioni, ma pieno anche di attenzioni e di gesti d’amore per ognuno di noi. Comprendiamo insomma quanto lui ci vuole bene. E questo è stato vissuto in modo particolare nella Fraternità di Bellinzona di cui è stato guida dal 2003 al 2011. E proprio in questa Fraternità c’era un altro anniversario
per cui ringraziare il buon Dio, un altro cinquantesimo, quello della Professione di ben 12 francescani secolari. Se ne è fatto portavoce Piergiorgio Skory che, in una toccante cerimonia guidata da fra Boris la domenica pomeriggio, ha voluto ricordare anzitutto i confratelli e le consorelle che avevano emesso la Professione insieme a lui il 18 giugno 1962 e cioè Corrado Bertossa, Albino e Giuseppina Canonica, ancora viventi, e Antonio Biaggini, Giorgio Buzzi, Assunta Colombo, Luigina Devittori, Maria Maspoli, Carla e Remo Piazzini e Lidia Sala, defunti. Ha poi voluto testimoniare la sua gioia e la sua riconoscenza e lo ha fatto con le parole del rituale, che qui riproponiamo, a commosso ricordo di un momento felice. Rinnovazione della promessa Ti rendo grazie, Signore, per la chiamata all’Ordine Francescano Secolare. Ti chiedo perdono per tutte le mie manchevolezze, fragilità e trasgressioni contro la promessa fatta di vita evangelica e contro la Regola. Concedi benigno che provi il fervore e lo slancio del primo giorno, quando sono entrato a far parte della Fraternità. Rinnovo ancora la mia promessa di vita evangelica, secondo la Regola dell’Ordine Francescano Secolare fino al termine dei miei giorni. Dammi pure di vivere sempre in concordia con i miei fratelli e di dare ai giovani la testimonianza di un sì grande dono da te ricevuto, cioè della vocazione francescana, affinché riesca ad essere testimone e strumento della missione della Chiesa tra gli uomini annunciando Cristo con la vita e con la parola. Amen. E fra Boris ha concluso pregando così: Signore Dio nostro, Padre di tutti, ti rendiamo grazie per l’amore e per la benevolenza che hai dimostrato verso noi tuoi figli, Ti supplichiamo perciò che Piergiorgio, con il tuo aiuto, porti a compimento la promessa di vita evangelica da lui già emessa. Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore. Occasioni come questa ci fanno capire quanto si debba essere orgogliosi di aver seguito la vocazione francescana. Senti il valore dell’amore, della famiglia, dell’ideale francescano.
Messaggio dall’O.F.S. Auspichiamo che siano molti ancora tra noi che abbiano il privilegio di festeggiare il loro cinquantesimo. Per il momento portiamo nel cuore questa gioia, con tanta riconoscenza nei riguardi dei due festeggiati, padre Ugo Orelli e Piergiorgio Skory, per il lavoro svolto nel corso di questi 50 anni, ognuno nel proprio ruolo, per rendere presenti il carisma del Serafico Padre nella vita e nella missione della Chiesa e per essersi impegnati a collaborare alla costruzione di un mondo più fraterno ed evangelico per la realizzazione del regno di Dio. “E chiunque osserverà queste cose sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre e in terra sia ripieno della benedizione del Figlio suo diletto con il Santissimo Spirito Paraclito.” (Benedizione di san Francesco).
Conferenze d’autunno Sguardo sull’Islam moderno p. Paolo Nicelli, PIME missionario e docente d’Islamologia e Storia delle Società islamiche presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano Il ciclo di tre conferenze che proponiamo vuole aiutare i partecipanti ad entrare nella realtà contemporanea del mondo musulmano, attraverso una breve introduzione al pensiero riformista islamico nel suo sviluppo storico e moderno, in relazione ad alcuni importanti temi che costituiscono i punti centrali del rapporto tra Islam e modernità. Le recenti rivolte popolari accadute nei paesi arabi hanno aperto delle questioni che non toccano soltanto l’ambito del rapporto tra fede e società, tema molto caro nel dibattito riformista intra-islamico. Esse hanno aperto delle questioni che toccano la dimensione antropologica della persona, cioè la sua dimensione umana, razionale e religiosa. Le nuove generazioni di musulmani hanno dimostrato il profondo desiderio di giustizia sociale, di libertà civile e politica, oltreché di libertà religiosa, come fondamento di un’idea di società democratica, non ancora del tutto definita, ma che vuole aprire l’Islam
a un dibattito extra-islamico con il mondo moderno, scevro da integralismi ed estremismi. Il coraggio di quei giovani che abbiamo visto nelle piazze è espressione di un desiderio di libertà anche psicologica, dai quei condizionamenti repressivi che le dittature hanno creato nelle coscienze delle popolazioni arabe, sia musulmane che cristiane. È nostro compito quindi comprendere quelle istanze antropologiche e scoprire in esse gli elementi positivi che possono portare a un rinnovamento delle coscienze, verso il recupero della centralità della persona umana in ogni processo di riforma sociale e religiosa. 10 Novembre 2012: 15 Dicembre 2012: 12 Gennaio 2013:
Chiasso Lugano Bellinzona
ore 14:30 ore 14:30 ore 14:30
Perchè l’Ordine Francescano Secolare programma queste conferenze? La storia francescana si intreccia con quella dell’Islam dal tempo di Francesco. Le crociate ne furono testimoni. Anche Francesco fu un crociato, ma un crociato armato però del solo Vangelo. Il suo soggiorno di tre mesi presso il sultano gli permise di conquistare pacificamente i luoghi santi, dati in custodia fino ad oggi proprio ai suoi fratelli. Eppure quanti hanno assimilato la lezione di Francesco? Lui ha conquistato ciò che è sfuggito ai crociati.
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Cristiani nel mondo Successo della petizione “Diritto senza frontiere” Una petizione popolare dal titolo : “Diritto senza frontiere”, è stata consegnata il 13 giugno a Berna al Parlamento federale. I firmatari (ben 135.285) chiedono al Consiglio federale e al Parlamento di fare in modo che le imprese con sede in Svizzera siano obbligate a rispettare ed a far rispettare dai loro fornitori i diritti umani e l’ambiente in ogni parte del mondo. Contemporaneamente alcuni deputati di diversi partiti (socialista, democristiano, verde, evangelico, borghese democratico) hanno presentato interventi parlamentari circa questioni relative al rispetto dei diritti umani da parte delle imprese. Sono parecchie le imprese con sede in Svizzera (tra cui Xstrata, Glencore, Syngenta, Nestlé, Danzer, Triumph e Holcim) che possiedono filiali all’estero dove i diritti umani e la tutela dell’ambiente non vengono rispettate, senza che le case madri debbano rispondere dì queste violazioni. Il potere e l’influenza delle multinazionali sono aumentati con la mondializzazione, ma il diritto non è andato di pari passo, e mancano regole vincolanti che obbligano le imprese a far rispettare i diritti umani e gli standard ambientali. Tali regole sono urgentemente necessarie, specialmente in Svizzera, sede di numerosissime multinazionali. La petizione «Diritto senza frontiere» intende far colmare queste lacune. Essa è frutto della collaborazione di un’ampia coalizione di più di 50 organizzazioni di sviluppo e diritti umani, associazioni di protezione dell’ambiente, di donne, sindacati e di associazioni di azionari critici. La petizione chiede anche che la Svizzera segua le indicazioni del Consiglio dei diritti dell’uomo deIIe Nazioni Unite che un anno fa ha adottato all’unanimità le linee guida elaborate da John Ruggie, già rappresentante delle Nazioni Unite per la questione dei diritti umani e delle imprese. Queste affermano il dovere di tutti gli Stati di proteggere i diritti umani anche contro le violazioni commesse dalle imprese e sottolineano pure la responsabilità delle imprese di rispettare tutti i diritti umani ovunque nel mondo. Mentre l’Unione europea ha già chiesto ai suoi membri di sviluppare strategie a questo scopo, nulla ancora è successo in Svizzera che ha una responsabilità speciale in quanto sede del maggior numero di multinazionali rispetto agli abitanti; senza regole vincolanti la Svizzera mette a repentaglio la sua reputazione.
Chiesa svizzera a Londra Fondata da emigranti svizzeri nel 1762, la Swiss Church London celebra il 250esimo anniversario della propria esistenza. La comunità che oggi si riunisce nella chiesa elvetica è composta da impiegati dell’ambasciata, casalinghe e ragazze alla pari, da giovani e anziani, parla svizzero tedesco, francese e inglese e ha eletto, tre anni fa, la sua prima pastora, la sangallese Nathalie Olirmliller. Le radici della Swiss Church risalgono al 17. secolo, quando la Francia espulse i protestanti. Molti orologiai, mercanti di seta e altri commercianti evangelici, riparati dapprima a Ginevra, emigrarono successivamente a Londra. Intorno a Leicester Square si costituì una colonia che assunse il nome di “Société des Suisses”. Nel 1762 la colonia decise di costruire un proprio luogo di culto. Oggi nell’area metropolitana londinese vivono circa 20’000 persone che hanno radici svizzere. Per molte di loro la Swiss Church continua a rappresentare un pezzo di patria. Le celebrazioni per il giubileo sono iniziate a gennaio. Lo scorso 20 maggio il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Svizzera (Fces), pastore Gottfried Locher, ha reso visita alla comunità. E durante i Giochi olimpici, la chiesa svizzera sarà presente nella House of Switzerland.
Immigrati e religione Il 98% degli immigrati in Friuli Venezia Giulia aderisce a una religione. E’ questo il primo dato di una ricerca su di un campione di 315 stranieri, condotta dall’Università di Udine. Del campione preso in esame, poco più di un terzo (34,9%) è costituito da musulmani, mentre la maggioranza è di religione cristiana, ripartita nelle principali confessioni: cattolici (25,7%), ortodossi (20%) e protestanti (16,5%). La ricerca è stata presentata il 26 marzo durante il convegno “II nuovo pluralismo religioso in Friuli Venezia Giulia” al quale hanno partecipato diversi rappresentanti di comunità di fede. Nella presentazione si é sottolineato come per un immigrato che si ritrova in un paese straniero, la religione praticata nel proprio paese d’origine svolga un ruolo fondamentale per mantenere la propria personalità. Non stupisce quindi che solo il 19,4% degli intervistati non partecipi mai a cerimonie religiose, mentre il restante 80% dichiara di andare regolarmente (spesso il 48,3%, o almeno qualche volta il 32,4%) al proprio luogo di culto. La comunità più regolare nella partecipazione é quella protestante, con il 98,1% che frequenta i culti regolarmente, spesso o qualche volta.
Verso il giubileo del Concilio Vaticano II L’11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII apriva a Roma il Concilio Vaticano II, concluso tre anni più tardi, 1’8 dicembre 1965. A cinquant’anni dall’evento siamo invitati a riprendere contatto con i grandi orientamenti tracciati dal Concilio, consapevoli delle novità che ha portato, ma anche della percezione insufficiente che di tale avvenimento hanno avuto le nostre comunità. L’invito è a una ripresa di interesse e di approfondimento. Giovedì 11 ottobre 2012, nella chiesa della Trinità di Berna, i Vescovi svizzeri celebreranno, insieme con le delegazioni di tutte le Diocesi, un’Eucarestia solenne durante la quale sarà letto un appello alle comunità. Nel pomeriggio si terrà una prima riflessione su che cosa è stato il Concilio e su come lo si può rimettere oggi in rapporto con la situazione della Chiesa e del mondo. La proposta dei Vescovi svizzeri è per una rilettura tematica dei grandi documenti del Concilio, sotto il motto “Scoprire la fede”. Per il primo anno (2012-2013) il motto sarà: “La fede che celebriamo”, con invito a riflettere sulla costituzione liturgica Sacrosantum Concilium. Per il secondo anno (2013-2014) il motto sarà “La fede che ci unisce” e la riflessione si svolgerà attorno ai temi della Chiesa, della Bibbia e dell’Ecumenismo. Il terzo anno (2014-2015) recherà il motto: “La fede che ci impegna” e si concentrerà sulla Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno, sulla libertà religiosa e sui rapporti tra le religioni. Il motto “Scoprire la fede” prende spunto anche dall’Anno della fede, proclamato da Papa Benedetto XVI, che pure inizia 1’11 ottobre 2012, a cinquant’anni dall’inaugurazione del Concilio, e vedrà di nuovo riunito a Roma il Sinodo dei vescovi attorno al tema: “La nuova evangelizzazione”.
Seguono i cattolici, praticanti nella misura del 91,4%, gli ortodossi con il 84,1%, e i musulmani con il 62,7%.
Cristiani in Turchia e Siria In Turchia i diritti dei cristiani e degli ebrei non sono rispettati. Molte Chiese sono prive di statuto giuridico, non sono autorizzate a formare il loro personale e subiscono degli espropri. All’inizio del 20. secolo vivevano ad Istanbul più cristiani ed ebrei che musulmani, mentre oggi in tutto il Paese non rimangono che centomila cristiani circa (0,2% della popolazione). Nel 1923, allo scopo di allentare le tensioni etniche, il Trattato di Losanna approvò il trasferimento di 1,25 milioni di turchi ortodossi in Grecia, mentre mezzo milione di greci musulmani si stabilì in Turchia. La Turchia si presenta come un Stato laico, ma nega alla minoranza cristiana i suoi diritti più elementari. Sotto il governo attuale c’è stato qualche timido miglioramento, ma non si può dire che ci sia libertà di religione. Le Chiese protestanti chiedono ora il rispetto della libertà religio sa: in occasione dell’elaborazione della nuova costitu-
zione hanno rimesso al Parlamento un appello in tal senso corredato da 3.000 firme. In Siria vivono oltre due milioni di cristiani (più del 12% della popolazione). La maggior parte di essi non ha partecipato alle manifestazioni contro il presidente Assad, promosse soprattutto dai sunniti (il 74% della popolazione). I cristiani siriani temono il ripetersi di quanto avvenuto in Iraq dove centinaia di migliaia di cristiani, dopo il cambiamento del regime, sono stati costretti a lasciare il Paese, vittime di attentati e omicidi. La famiglia Assad, al potere dal 1970, appartiene alla minoranza alauita (11% della popolazione), corrente vicina ai musulmani sciiti, e ha fin qui protetto le minoranze cristiane e druse del Paese. In cambio di un certo clima di tolleranza religiosa, i cristiani hanno rinunciato a qualsiasi ruolo politico, temendo lo scontro tra comunità come in Iraq. Alberto Lepori
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Concilio Vaticano II: quali frutti per l’ecumenismo?
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L’11 ottobre di quest’anno ricorre, come è noto e già più volte ricordato anche in questa rivista, il 50mo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II (1962-1965), sicuramente l’evento più importante del XX secolo per la Chiesa cattolica. Uno dei temi centrali del Concilio è stato l’ecumenismo, poiché si fa risalire proprio a quelle assise l’entrata della Chiesa di Roma nel movimento ecumenico, al quale fino allora aveva guardato aborrendolo. E’ lecito dunque chiedersi, 50 anni dopo, quali frutti abbia prodotto il Concilio nei rapporti con le altre Chiese cristiane.
“Venerabili fratelli, facilmente si comprende come questa Sede Apostolica non abbia mai permesso ai suoi fedeli d’intervenire ai congressi degli acattolici; infatti non si può altrimenti favorire l’unità dei cristiani che procurando il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale essi un giorno infelicemente s’allontanarono”: leggendo questo estratto dell’enciclica “Mortalium Animos” di Pio XI, che risale al 6 gennaio 1928, ben si comprende – checché ne dica Benedetto XVI nel suo famoso discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 – che il Vaticano II ha provocato una netta rottura con il passato, almeno in materia di ecumenismo. Per rendersene conto, basta leggere il Decreto sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio”, del 21 novembre 1964, che - pur contenendo fin troppe sfumature e non pochi “distinguo” (segno di prudenza e di compromessi difficilmente raggiunti) - utilizza un linguaggio completamente diverso. Eccone a mo’ di esempio alcuni estratti: “Queste Chiese e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica (…). Per “movimento ecumenico” si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze. Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi. Poi, in riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità, il “dialogo” condotto da esponenti debita-
mente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche (…). Inoltre quelle comunioni vengono a collaborare più largamente in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune, e possono anche, all’occasione, riunirsi per pregare insieme”. E nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium” del 21 novembre 1964, si afferma: “Questa è l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro (cfr. Gv 21,17), affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cfr. Mt 28,18ss), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (cfr. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica”. Aspettative deluse Tutto bene, dunque, in ambito ecumenico, dopo il Concilio Vaticano II? Certamente no. Indubbiamente, la collaborazione tra la Chiesa di Roma e il Consiglio ecumenico delle Chiese (avviata nel 1965) e i numerosi dialoghi bilaterali o multilaterali hanno prodotto molti interessanti documenti, le Chiese hanno imparato a conoscersi meglio, a rispettarsi e a collaborare in svariati campi, ma sicuramente i frutti finora raccolti sono inferiori alle aspettative, sia all’interno della Chiesa cattolica sia dal punto di vista dalle altre Chiese cristiane. Non c’è dubbio che sotto il pontificato di Giovanni Paolo II (seppur autore di testi di notevole spessore come ad esempio l’enciclica “Ut unum sint” del 25 maggio 1995) e ancora di più con quello di Benedetto XVI si è assistito e si sta assistendo a un “giro di vite” costituito da interpretazioni sempre più restrittive di documenti ecumenici o da testi che lasciano ben poco spazio ad aperture nei confronti delle altre Chiese cristiane. Uno dei nodi irrisolti sul quale gli “ecumenisti” puntavano molto è senza dubbio quello della mancata ospitalità eucaristica (frutto del non riconoscimento dei ministeri), ossia il divieto fatto ai cattolici di ricevere la comunione da altri ministri e la proibizione ai non cattolici di accostarsi all’eucarestia in una celebrazione cattolica. Inoltre, negli ultimi anni,
Messaggio ecumenico questioni come quella del sacerdozio e dell’episcopato femminili oppure di etica e di morale (tra cui l’omosessualità) hanno allontanato ancora di più le Chiese le una dalle altre. Due pareri protestanti Ma sulle conseguenze per l’ecumenismo del Concilio Vaticano II lasciamo ora la parola a due tra i più autorevoli esponenti e specialisti in questo campo del protestantesimo italiano. Incominciamo da Paolo Ricca, professore emerito della Facoltà valdese di teologia di Roma, che così ci ha espresso il suo pensiero: “Quando si parla di Concilio Vaticano II, tanto più a 50 anni dalla sua apertura, occorre distinguere tra i testi che ha prodotto e lo spirito che lo ha animato. I testi ci sono ancora, lo spirito, specialmente a livello di gerarchia, tranne eccezioni, non c’è più. E i testi, letti e interpretati senza lo spirito che allora soffiava, non possono produrre i frutti che invece potevano e volevano produrre. Lo spirito del Concilio era uno spirito di innovazione, cambiamento, superamento delle posizioni e della mentalità della Controriforma, apertura al nuovo. I testi invece sono il frutto di compromessi tra conservatori e progressisti (come allora venivano chiamati), inevitabili per raggiungere la quasi completa unanimità con cui i documenti sono stati approvati. Il Concilio ha comunque segnato una svolta decisiva nella storia del cattolicesimo romano, che è diventato più cattolico di prima, senza peraltro diventare meno romano. Le potenzialità di rinnovamento contenute nei testi conciliari sono e restano grandi, ma perché si realizzino e diventino vita vissuta occorre che torni a soffiare lo spirito del Concilio, che oggi è ancora presente in alcune realtà di base della Chiesa cattolica, ma, salvo eccezioni, non nelle sue alte sfere, che detengono il potere di orientarne il cammino nella storia. Molte speranze suscitate dal Concilio sono andate deluse. Il Concilio ha dichiarato – ed era una novità assoluta - che le Chiese evangeliche sono «strumenti di salvezza» (sia pure derivandola dalla «pienezza della verità e dei mezzi di grazia» che secondo il Concilio la Chiesa cattolica possiede). Ma da questa importante affermazione non s’è tratta alcuna conseguenza.” Da parte sua, Fulvio Ferrario, professore ordinario di teologia sistematica presso la Facoltà valdese di teologia di Roma, ha scritto così in “Riforma” - settimanale delle Chiese evangeliche italiane – del 13 aprile 2012: “Con il Concilio, la Chiesa cattolica è entrata con entusiasmo nel dialogo e, per alcuni anni, è sem-
Paolo Ricca
brato che i cambiamenti potessero essere veramente decisivi. Il Concilio afferma, in un passo famoso, che la vera Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella Chiesa cattolica romana. Si tratta di parole scelte con cura. Qualcuno voleva che si affermasse che la vera Chiesa è la Chiesa cattolica. Il Concilio ha volutamente scelto un’espressione diversa: sussiste nella Chiesa cattolica. Se poi sussista anche altrove, in altre Chiese, è questione che viene lasciata aperta, in attesa di sviluppi futuri. Sembra una piccolezza, ma si è trattato di un enorme passo avanti, impensabile fino a pochi anni prima. Il dialogo tra le Chiese ha vissuto, negli anni successivi al Concilio, il proprio momento migliore. Purtroppo però, durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI il quadro si è notevolmente modificato. Il passo che abbiamo citato è stato interpretato dal Vaticano come se Roma fosse l’unica e sola vera Chiesa: un chiaro e netto ritorno al passato. Molti teologi cattolici hanno rilevato che il testo voleva dire un’altra cosa: ma il parere della gerarchia si è imposto. Oggi, celebrando il Concilio, alcuni parlano di svolta, altri sottolineano la continuità con il passato. Mi chiedo se non si debba parlare di una parentesi: una grande promessa di cambiamento, certamente, che però, per dirla in termini prudenti, non è stata pienamente mantenuta”. Gino Driussi
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La pace sia con voi
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La pace è l’augurio e il dono che Gesù risorto rivolge e offre ai suoi: «La pace sia con voi!» (Lc 24,36; Gv 20,19.21.26). E’ lo stesso augurio e il dono pasquale che egli fa ai discepoli quando si rivolge a loro dicendo: «Non abbiate paura!» (Mt 28,5.10 Mc 16,6). La paura, infatti, è una delle principali espressioni della non-pace. Ma di questo abbiamo già parlato nell’ultimo numero della nostra rivista. Vorrei ora proseguire nel discorso, offrendo qualche altro spunto di riflessione e approfondimento. La prima cosa che mi viene da dire è che, in quanto augurio e dono, la pace richiede necessariamente di essere accolta da parte del soggetto al quale sono rivolti, per assumere consistenza e realtà. Ossia, augurare la pace a qualcuno è una bellissima cosa, ma se l’augurio non viene accolto e il dono non viene assunto e fatto nostro, così da trasformarci in esseri di pace, sfumano entrambi nel nulla. La beatitudine proclamata da Gesù dice: «Beati voi, operatori di pace, perché sarete chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Occorre diventare operatori, esseri di pace perché l’augurio e il dono trovino espressione concreta, diventino cioè nostra realtà, nostro modo di essere, di sentire, di pensare e di agire nella vita. Da qui l’importanza dell’interrogarci su quale è la via da percorrere per diventare operatori di pace e, quindi, esseri di pace. Ossia: quale percorso ci indicano a riguardo i racconti di risurrezione, nei quali il Risorto augura e propone a più riprese il suo dono di pace ai suoi immediati discepoli, ma anche a noi? A dire il vero, questo augurio di pace non lo incontriamo soltanto nei racconti di risurrezione. Esso risuona anche in molte altre pagine dei vangeli come, ad esempio, al momento dell’annuncio e poi della nascita di Gesù (Lc 1,79; 2,14); oppure nei racconti di guarigione o di miracolo (Lc 7,50; 8,48). E’, inoltre, l’augurio che incontriamo regolarmente all’inizio delle lettere che gli apostoli indirizzano alle comunità cristiane appena fondate: «A tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Rm 1,7). E’ anche il saluto che risuona all’inizio di un’assemblea liturgica come, ad esempio, quello della messa domenicale: «La grazia e la pace di Dio nostro Padre e del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi!». Nella messa ci viene addirittura rivolto una seconda volta al momento della comunione, con l’invito di scambiare un segno di pace tra di noi. Infine risuona per una terza volta al momento del congedo: «Andate in pace». I racconti evangelici di risurrezione, poi, attestano con
estrema chiarezza che, se accogliamo la pace che Gesù ci offre ed essa diventa nostro modo di sentire, pensare ed agire, allora l’incontro con il Risorto si fa reale: lo riconosciamo, perché egli inizia a vivere in noi, diventa vita della nostra vita, ci fa risorgere con lui al senso genuino della vita (Lc 24,31). Sono sempre i racconti evangelici di risurrezione, inoltre, che ci indicano con estrema precisione il cammino da percorrere per passare dal «dono-augurio» al «donoesperienza-vissuta»: «Disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,19-20). Ossia, occorre immergersi nella passione per l’uomo vissuta da Gesù, calarsi in quelle mani forate dai chiodi e in quel fianco squarciato dalla lancia, fino a diventare una cosa sola con questi «segni» e con lo spirito che da essi s’irradia. E’ ciò che Luca ci suggerisce con un’altra immagine, che fa parte anch’essa dei racconti di passione-risurrezione di Gesù: quella del pane spezzato: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24,31). Le mani forate dai chiodi, il fianco squarciato dalla lancia e il pane spezzato sono «segni» che rimandono tutti a una stessa realtà, ossia alla donazione incondizionata di Gesù all’uomo, per cui, «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino all’estremo» (Gv 13,1). In virtù di questa donazione senza riserve, Gesù crocifisso è stato riconosciuto come il Cristo, il Kyrios, il Signore: l’icona dell’amore leale di Dio che attira a sé tutte le cose: «Se il Figlio dell’uomo agisce in modo da manifestare la Gloria di Dio, presto anche il Figlio dell’uomo sarà rivestito della Gloria di Dio. Allora, innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 13,31-32). Questa è la via da percorrere perché la pace che Gesù augura e dona ai suoi diventi la pace che illumina la nostra mente e i nostri cuori e, trasformandosi in atteggiamento e gesto concreti di vita, ci conduca all’incontro reale con colui che «era morto ma ora vive» e ci fa risorgere con lui. Marco ce lo comunica con una pennellata straordinaria: nel momento in cui Gesù esala l’ultimo respiro, «l’ufficiale romano che stava di fronte alla croce, vedendo come Gesù era morto, disse: “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio!”» (Mc 15,39). La croce su cui muore Gesù è certamente anche «patibolo». Ma è soprattutto e al di là di tutto testimonianza gloriosa a quella pienezza dell’Amore leale, che ci mette in contatto con la Verità stessa di Dio che ci fa liberi (1Gv 4,8.16). E’ in questa luce che Pietro, il mat-
Dieci minuti per te tino di Pentecoste, contempla il Crocifisso e incontra il Risorto: «Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua – voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Dio, però, lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere», dal momento che egli passò in mezzo a noi facendo le opere di Dio (At 2,22-24). In virtù di questo sguardo, che coglie e contempla nel Crocifisso la Gloria dell’Amore leale che è Dio, il beato Egidio – il compagno contemplativo di san Francesco d’Assisi – dichiara: «La via per andare in su è quella di andare in giù»; ossia: la via che ci apre alla Verità di Dio, è quella che ci fa interiormente liberi e ci porta ad accogliere incondizionatamente l’uomo, ma anche ogni altra realtà, creatura ed evento della vita così come è, con perfetta adesione a Dio e pace interiore. Éloi Leclerc, prendendo sputo da una ammonizione che Francesco indirizza ai suoi frati, in La sapienza di un povero fa dire a Francesco, giunto all’apice della sua crescita spirituale: «Il Signore ha avuto pietà di me e mi ha rivelato che la più alta attività dell’uomo e la sua maturità consistono, anziché nella ricerca di un ideale, per quanto nobile e santo, nell’accettare con amore e gioia la realtà, tutta la realtà, niente escluso, così come è». Questo è il Crocifisso e questa è la sapienza che, fatta nostra, conduce all’incontro vivo, convincente col Risorto, testimone verace di Dio. Per quanto renitente nell’accogliere il dogma della divinità di Gesù così come viene o veniva usualmente presentato e celebrato dalla chiesa – «non intendo cantare la gloria né invocare la grazia o il perdono di chi non fu altro che un uomo, come Dio passato alla storia» – Fabrizio De André testimonia di aver colto nel segno il messaggio fondamentale della Croce. Le sue parole gareggiano con quelle appena citate di Marco e sono un pressante invito alla meditazione: «Ma inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza rancore perdonando con l’ultima voce chi lo uccide tra le braccia di una croce». Questo in Si chiamava Gesù. In un altro testo cantato, Il testamento di Tito – il buon ladrone che muore crocifisso accanto a Gesù – l’identico messaggio ci viene ripetuto in questi versi:
«Ma adesso che viene la sera ed il buio mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole di là delle dune a violentare altre notti: io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore: nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore». Oltre a far eco all’attestazione già citata di Marco 15,39 – «l’ufficiale romano che stava di fronte alla croce, vedendo come Gesù era morto, disse: “Veramente quest’uomo era il Figlio di Dio!”» – in questa lettura mirata e penetrante che Fabrizio De André fa della morte di croce di Gesù, c’è anche una reminiscenza di Giuseppe Ungaretti: «Vedo ora nella notte triste, imparo, so che l’inferno s’apre sulla terra su misura di quanto l’uomo si sottrae, folle, alla purezza della tua passione. Fa piaga nel tuo cuore la somma del dolore che va spargendo sulla terra l’uomo; il tuo cuore è la sede appassionata dell’amore non vano. Cristo, pensoso palpito, astro incarnato nell’umane tenebre, fratello che t’immoli perennemente per riedificare umanamente l’uomo, Santo, Santo che soffri maestro e fratello e Dio che ci sai deboli, Santo, Santo che soffri per liberare dalla morte i morti e sorreggere noi infelici vivi: d’un pianto solo mio non piango più; ecco, ti chiamo Santo, Santo, Santo che soffri». Non c’è incontro con il Risorto se non ci si lascia condurre dallo Spirito ad amare come Gesù ha amato. E non c’è pace – sia sul piano individuale che su quello sociale – fino a quando – come singoli e come collettività – non si arriva a quella pienezza. Andrea Schnöller
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Titolo Titolo di Chiara L’eredità
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Nella bolla di canonizzazione di Santa Chiara leggiamo: ”Chiara fu la nuova donna della valle Spoletana che aprì una novella sorgente di acqua vitale… già diramatasi per vari ruscelli nel territorio della Chiesa”. E sì perché l’incontro lontano di Chiara e Francesco, uniti in un’esperienza di fede, di speranza e di amore, scorre e rivive ancora come linfa nascosta e benefica nelle donne e figlie che ne hanno raccolto l’eredità, le Clarisse. Donne innamorate di Dio che custodiscono l’acqua della vita contemplativa di Chiara, che tengono limpida la fonte di San Damiano e la consegnano quale risposta alla sete dell’uomo di oggi, stordito da tante illusorie e fallaci bevande che non hanno potere di dissetare (ideologie vuote e ingannevoli, false promesse, miti effimeri, prassi e visioni prive di veri valori). Già Nietzsche, il profeta del nichilismo, del superuomo e della morte di Dio, dal suo angolo di lucida follia sentiva il bisogno di ricredersi se scriveva: ”Sono forse i vantaggi del nostro tempo che portano con sè una temporanea sottovalutazione della vita contemplativa… Ma gli uomini saranno assaliti da una smania di raccoglimento e di concentrazione senza precedenti, una volta che si saranno stancati della fretta moderna”. Così l’esperienza di vita vissuta da Chiara nel silenzio del chiostro è diventata grazia su grazia per le figlie che custodiscono ancora oggi in mani fedeli e devote la sua eredità. Il ritmo quotidiano delle prime Damianite era caratterizzato da un ordinato alternarsi di silenzio, preghiera, riposo e lavoro. Chiara non ha fatto che meditare gli immensi benefici di cui è stata ricolmata e, riconoscente, benediva e lodava. Pregando essa realizza la sua obbedienza al Padre, in un filo ininterrotto di comunione che arriva fino a chiedergli il pane quotidiano, come Gesù ci ha insegnato. Così ancora oggi nella vita claustrale la lode e la preghiera privilegia le ore mattutine e della notte, come faceva Gesù nella sua vita terrena, da un lato al mattino per proclamare il primato di Dio su tutte le cose e i beni del mondo e dall’altro nelle ore notturne dell’incertezza e della prova per proclamare l’intimità, l’unione della sposa col suo amato. Però la figlia di Chiara non prega soltanto in solitudine, ma è chiamata a rendere azione di grazie col coro delle sorelle: pregare insieme è offerta di amore e di riconoscenza, è autenticare l’unità di voce in unità di vita. Ma Chiara oltre alle preghiere chiede anche alle figlie a cui il Signore ha dato la grazia di lavorare, di occupare qualche ora del giorno in un servizio adatto alla qualità delle singole e utile a tutte, che ciascuna dovrà svolgere
con le proprie mani. Nella riscoperta evangelica di Francesco e Chiara il lavoro è partecipazione filiale dell’uomo a Dio, creatore di tutte le bellezze del creato. ”Il lavoro è amore rivelato…”, dice il Profeta di Khalil Gibran. A Chiara preme che si allontani l’ozio malefico perché anche il lavoro manuale risulti preghiera. Francesco ammonisce i suoi figli a non compiere il lavoro per la cupidigia di ricevere la ricompensa, memore dell’attaccamento al denaro del proprio padre. Nell’ottica di Chiara il lavoro è una grazia solo se non uccide la libertà di amare: ed è bello che sia un rintocco di campana ad annunciare tanto il lavoro quanto la preghiera. Ma il dono più alto che Francesco e Chiara hanno offerto al mondo è quello della testimonianza di una fraternità evangelica, come le prime comunità cristiane narrate dagli Atti degli Apostoli: “…erano un cuore e un’anima sola”. Tra le sorelle che il Signore le ha donato Chiara si pone come serva, sorella e madre; essa domanda alle sorelle di essere l’una per l’altra un’epifania di Dio: ”…quell’amore che avete nel cuore dimostratelo al di fuori con le opere”. La vita fraterna è una grazia, è il termometro di misura del grado in cui una creatura è povera, casta e obbediente. Chiara è una donna troppo concreta e troppo innamorata di Dio per illudersi che una simile grazia non costi lo sforzo paziente e rinnovato di tutta una vita. Per questo vuole le sorelle sollecite di “…conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità”. Allora fraternità è davvero gioia di condivisione totale. Così a Francesco e Chiara, inviati come umili operai nella vigna di Dio,
Ottavo centenario Messaggio clariano ??? generando continua e protratta spiritualità, è garantita la grazia di un’inesauribile fecondità. Così la polla segreta, l’acqua vivificatrice scaturita in San Damiano, è zampillata nei secoli su tutti i continenti della terra a cantare in tutte le lingue, come una novella Pentecoste, le grandi opere di Dio. E con lo sguardo rivolto alla sorgente sgorgata in Assisi ad ogni giovane donna che voglia ancora oggi varcare la soglia di un monastero e seguirla, Chiara ancora oggi ripete: ”…che vada e venda tutte le sue sostanze e procuri di distribuirle ai poveri”. Era il privilegio dell’altissima povertà per cui Chiara ha lottato con tutte le sue forze per tutta la vita. Solo così, spoglie di tutto, si potrà essere accolte alla sua sequela. Un gesto di povertà assoluta che dona pace e serenità: non ci deve essere più tempo per la tristezza e il rimpianto. Tutta la pedagogia di Chiara è qui: occorre correre, quasi volare, perché l’Amore urge e non bisogna permettere che alcuna ombra di mestizia avvolga il cuore. E così, perché non si spenga nel tempo l’ardore con cui Chiara e Francesco si sono dati la mano per correre insieme, poveri ma felici, verso l’Amore, è affidato ai loro figli e figlie lungo la storia di testimoniare agli uomini ed alle donne a quali vertiginose altezze possano essere chiamati, in una grazia di lode e di preghiera, di lavoro, di fraternità e di fecondità in Cristo. Mario Corti
Immagini tratte dalla Sacra Rappresentazione “Chiara e Francesco d’Assisi, una donna forte al seguito di un uomo mite” della Compagnia “Sacro Cuore” di Bellinzona
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Convento dei Cappuccini Salita dei Frati 4 CH - 6900 Lugano
Abbiamo letto... abbiamo visto... Giuseppe Alberigo
Breve storia del Concilio Vaticano II Bologna, Il Mulino, 2012
GAB 6900 Lugano
Il 25 gennaio 1959 papa Giovanni XXIII annunciava la decisione di convocare un nuovo Concilio, il Vaticano II. Cominciava così la storia di un evento destinato a plasmare il volto del cattolicesimo e a segnare le comunità cristiane del mondo intero. Il volume ne ripercorre l’intera vicenda: la lunga fase di preparazione; l’apertura dei lavori, 1’11 ottobre 1962; i quattro periodi successivi, scanditi dalla morte di Giovanni XXIII e dall’elezione di Paolo VI, e culminati nella solenne chiusura dei lavori, 1’8 dicembre 1965, con la lettura dei Messaggi all’umanità. Testimone diretto, l’autore ci restituisce anche gli stati d’animo che hanno contrassegnato i lavori conciliari.
Umberto Casale
Il Concilio Vaticano II. Eventi, documenti, attualità Torino, Lindau, 2012 A cinquant’anni dalla sua apertura e mentre ferve un dibattito anche aspro sul suo significato e sulle sue conseguenze, può essere utile ripercorrere a grandi linee le vicende del Concilio Vaticano II, tornando a riflettere su quell’ampia messe di testi che ne costituisce il frutto durevole. Questo libro persegue in particolare un triplice obiettivo: innanzi tutto intende accostarci all’evento, anche con un breve excursus storico sulla Tradizione conciliare della Chiesa. Poi vuole presentare i documenti (costitu zioni, decreti e dichiarazioni), offrendo le chiavi ermeneutiche utili per una completa intelligenza dell’unità e della ricchezza del corpus conciliare, che costituisce un atto del Magistero della Chiesa. Infine propone un ripensamento dell’interpretazione del Concilio, per metterne meglio in luce il significato attuale.