Antico Mulino Riseria San Giovanni

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a Beppe, architetto e fotografo.



Giuseppe Laurella

Nasce a Santhià, in provincia di Vercelli, nel 1953 e matura l’interesse per la fotografia fin da adolescente. All’età di sedici anni riceve in regalo la sua prima macchina fotografica, una Ferrania in plastica e inizia così a scattare le prime fotografie rivolte verso il cielo. Era infatti attratto dai giochi delle nuvole che comparivano, si trasformavano, si dileguavano. Le sue prime fotografie sono in bianco e nero, tecnica a cui resterà sempre legato. Visti gli esiti positivi, sostituisce la sua macchina con una delle prime macchine a telemetro, per poi passare ad una reflex e ad attrezzare un piccolo laboratorio per lo sviluppo e la stampa della sue fotografie. Nel contempo si trasferisce ad Ivrea, dove conosce alcuni fotografi professionisti, che si riveleranno fondamentali per la formazione tecnica ed artistica dell’inesperto fotografo. Partecipa quindi a concorsi locali e nazionali ottenendo consensi da fotografi di professione. Intanto si laurea in Architettura presso il Politecnico di Torino con una tesi intitolata Adriano Olivetti e la sua produzione. Gli impegni professionali lo distolgono per circa vent’anni dalla fotografia, a riaccendere la passione sarà l’incontro con un giovane fotografo, Massimiliano Modena. Passando dal suo studio ammira la professionalità dell’amico e lentamente ritorna l’antica passione. Con l’esperienza del passato e grazie ai consigli di Massimiliano affina il proprio stile e arrivano i primi riscontri positivi. Per Laurella la fotografia era una ricerca di immagini, appellattivo con cui si identificava, rifiutando il termine di fotografo. La professione di architetto racchiude in sè più figure e forme di espressione artistica. Laurella scompare nel 2010 e di lui rimangono i numerosi ricordi della sua attività di architetto, grafico e fotografo.


La storia

L’antico mulino Riseria San Giovanni è una testimonianza unica, nella provincia di Vercelli, di una riseria azionata a forza motrice dall’acqua. La sua attività produttiva si è conclusa negli anni ‘80, non potendo reggere la concorrenza degli impianti industriali d’avanguardia. Attualmente ospita un ecomuseo. La sua costruzione fu contemporanea a quella della Roggia Camera, da cui è alimentato, che nasce dal Canale del Rotto nel territorio di Saluggia e fu scavata per volere del marchese Guglielmo del Monferrato a partire dal 1465. A quell’epoca il mulino era detto ‘da Po’ per la vicinanza al fiume. Ricostruito nel 1617 in seguito alle distribuzioni subite nel territorio di Fontanetto durante le guerre tra francesi, spagnoli e marchesi del Monferrato, venne chiamato Mulino Nuovo. Come molti altri mulini della pianura risicola, anche il mulino San Giovanni, con il passare dei secoli perse la sua funzione legata alla macinatura dei cereali e si collegò sempre più alla lavorazione del riso. Già nel Catasto del 1699 era indicato ‘pista’, a dimostrare che parte della sua forza idraulica ottenuta per mezzo di una ruota a pale era impiegata per la lavorazione del riso. Nei primi anni del ‘900 mulino e riseria erano proprietà della famiglia Tournon. I due locali, quello del mulino e della pista erano già collegati da una passerella e l’energia motrice era assicurata non più da una ruota, ma dalla turbina che ancora oggi alimenta l’impianto. Dalla fine dell’800 il vecchio mulino fu dismesso ed entrò in piena produttività la nuova riseria che attualmente è di proprietà della famiglia Gardano.


Note del fotografo

Quando visitai per la prima volta la riseria della famiglia Gardano a Fontanetto Po, circa quindici anni fa, restai sbalordito dalla bellezza del luogo. Fui incantato dalle macchine che la popolavano e dal silenzio in cui erano piombate. Erano come delle ‘fate’ che con la loro bacchetta magica ti trasmettevano una piccola parte di loro. Non dimentichiamo che le mie origini sono vercellesi e che in parte possono condizionarmi. Durante le mie visite alla riseria, non mancava mai una fuga dai signori Gardano, che ogni volta mi raccontavano aneddoti e mi trasmettevano nuove sensazioni che gelosamente custodivo per me. In tutti questi anni mi hanno narrato la loro ‘fiaba’ ed è così che alla fine mi sono sentito parte della storia, una ‘fata’ come le macchine della riseria. Ecco allora che, come tutte le storie che si rispettano, occorre che vengano scritte affinchè anche gli altri possono conoscerle. La lettura che vi sottopongo è sotto forma di immagini, immagini che parlano di un tempo in cui le macchine erano in funzione, di uomini e di donne impegnati a controllore, prelevare e insaccare il riso. Questo lavoro, grazie al forte impatto generato dalle ‘fate’ della fiaba, mi ha rapito e le immagini che ho scattato narrano di un luogo magico, di una storia che l’uomo che ha costruito questa riseria vorrebbe che arrivasse a noi attraverso il racconto fotografico. Grazie. Giuseppe Laurella















































































Le fotografie di questo volume sono state scattate con una Hasselblad 500, la fotocamera che andò sulla luna. Era il 1971.



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