Il calcio è un romanzo
Speciale Gran Galà del Calcio 2018
TUTTI PER UNO, IL CALCIO PER TUTTI
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Speciale Gran Galà del Calcio 2018
CONTENUTI
06KATIA SERRA 08AIC-SERGIO CAMPANA 09AIC-DAMIANO TOMMASI 11ZVONIMIR BOBAN 12 DEMA4-DEMETRIO ALBERTINI 13 ACTION AGENCY-MANUELA RONCHI 14DAVIDE ASTORI 17 COVER STORY-GIORGIO CHIELLINI E SARA GAMA 21ALIA GUAGNI 22MELANIA GABBIADINI 24 DERBY AL FEMMINILE 27CRISTIAN PASQUATO 28MAPPAMONDO Editore Milano Fashion Library Via Alessandria 8, 20144 Milano. EDITOR IN CHIEF
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Katia Serra COSTRUIAMO INSIEME IL CALCIO DEL FUTURO Katia Serra, ex calciatrice ora opinionista tecnica per il calcio femminile, in campo è stata capace di vincere: uno scudetto, tre coppe Italia, tre Supercoppe italiane e una Italy’s Women’s Cup, terminando la propria carriera in Spagna, tra le file del Levante. Una volta appese le scarpette al chiodo ha mostrato grande competenza e una brillante intelligenza, non solo calcistica. É stata la prima donna ammessa al corso per direttori sportivi a Coverciano, dopo aver preso il patentino da allenatrice Uefa, dimostrandosi così brava da riuscire a stregare, per competenza, un certo Arrigo Sacchi, uno che i complimenti non li regala di certo. Parole di
KATIA SERRA
L’origine della mia passione per il calcio coincide con la mia data di nascita. Sin dai primi passi l’attrazione per la palla è stata forte, è diventata subito l’amica inseparabile, la compagna di giochi preferita nei divertimenti con mio fratello. Le sfide in salotto con la pallina di spugna, col divano che fungeva da barriera e il mobiletto della tv come porta sono ricordi indelebili. Un impulso forte, radicato fin dalle scuole elementari: due calci a un pallone, in palestra o in cortile non fanno differenza, l’importante era giocare. Anche giù per una discesa, anche se si cadeva sul cemento, anche se saltavano le uscite con gli amici. Restava giusto il tempo per lo studio, che per me era ed è importante, tanto quanto praticare sport. Il problema era più semplice, ma decisamente più complicato da risolvere: mancava una squadra di calcio femminile vicino a casa. Sono passati parecchi anni, la storia ha fatto il proprio corso e oggi, fortunatamente, il calcio femminile in Italia si sta evolvendo in modo importante. A livello sportivo le novità introdotte da alcune stagioni hanno innalzato il livello qualitativo delle calciatrici, conseguentemente le partite sono giocate a una intensità maggiore e c’è stata una crescita anche negli aspetti tecnico-tattici. Percorso che ha ancora ampi margini di miglioramento, i cui
frutti maggiori dovrebbero essere raccolti tra dieci anni circa. Dal punto di vista mediatico, infatti, i buoni ascolti che Sky sta facendo non mi sorprendono: i brand di squadre come Milan e Juventus, l’innalzamento della qualità delle partite, abbinata a come Sky confeziona il prodotto sono un mix che garantisce l’interesse che si è in effetti generato. Fondamentale sarà compiere scelte strategiche corrette, soprattutto sulla messa in onda, perché si è ancora alla ricerca di consensi stabili e duraturi. Il calcio femminile potrebbe diventare una grande opportunità per tutto il movimento, ma serve proseguire a programmare una strategia ad ampio raggio che miri a cambiare tutta la cultura sportiva al femminile: introduzione delle licenze nazionali per i club dei campionati di serie A e B; costituzione di una governance per iniziare a costruire degli interessi comuni; creare dei modelli di riferimento che siano da stimolo per le bambine; cambiare lo status di dilettante delle calciatrici; compiere investimenti mirati; approfondire maggiormente lo studio delle performance; strutturare un piano di marketing e stabilizzare una costante presenza sui media, sono solo alcune delle idee pratiche che servono per proseguire nel percorso di affermazione del calcio femminile in Italia.
L’errore da evitare è copiare il funzionamento del sistema del calcio maschile: il femminile ha specificità che devono essere valorizzate e meccanismi diversi. Il 2019 offrirà una nuova vetrina alla Nazionale femminile che rappresenterà il calcio italiano nel mondo partecipando al Mondiale 2019, ruolo che è sempre spettato agli uomini. La mancata qualificazione degli uomini a Russia 2018 è stato un dispiacere forte, pure per il mondo del calcio femminile. Mi auguro, però, che a livello mediatico il Mondiale femminile sia trasmesso da più emittenti possibili, affinché chiunque possa seguirlo. Spero, inoltre, che radio e giornali diano notizie quotidiane, che in Francia, oltre alle autorità sportive, accorrano tanti tifosi. Sarà un evento da presentare al meglio, così da far conoscere gli staff e le calciatrici che vivranno il Mondiale, sfruttandolo successivamente come veicolo promozionale per avvicinare le giovani leve. Il sorteggio ci farà conoscere le avversarie, realisticamente arrivare a vincere è un risultato impensabile, ma ben figurare sarà necessario per continuare a crescere. L’obiettivo non deve essere considerato il piazzamento finale, ma il percorso da costruire, prima e dopo l’evento, per cambiare, in meglio, la percezione che si ha delle donne che giocano a calcio.
Sergio Campana
50 ANNI DI ASSOCIAZIONE ITALIANA CALCIATORI
L’avvocato Sergio Campana, ex centravanti di Lanerossi Vicenza Virtus e Bologna, forte delle sue idee rivoluzionarie e della laurea in giurisprudenza, il 3 luglio 1968 fondò l’Associazione Italiana Calciatori, di cui è stato Presidente fino al 28 aprile 2011. Il 9 maggio dello stesso anno il timone passò nelle mani di Damiano Tommasi, che tutt’oggi mantiene saldo il ruolo di guida dei calciatori italiani. Nel corso dei suoi primi 50 anni di vita, l’Associazione Italiana Calciatori ha accolto molti dei giocatori più importanti della storia del calcio italiano, che hanno aderito per difendere, più che i propri interessi, gli atleti meno noti, in particolare quelli delle serie inferiori che, altrimenti, avrebbero difficilmente avuto voce in capitolo presso gli organi della Federazione. Quella dell’AIC è la storia della crescita e dell’affermazione di una categoria, quella dei calciatori, che per cercare una qualificazione giuridica e una promozione umana ha dovuto lottare contro ostilità e pregiudizi duri a morire. Specialmente nei primi anni, c’è stata la frequenza delle obbligate prese di posizione dell’AIC e dei suoi ricorsi all’adozione di misure “sindacali”, di fronte ai puntuali dinieghi, ritardi, ostruzioni degli interlocutori di turno. Segno inequivocabile che la conquista di ogni diritto, anche il più indiscutibile e sacrosanto, è stata sudata e solo con perseveranza e con convinzione ottenuta. Non tutti sanno che cosa ci sia dietro alle tante conquiste dell’AIC, dalla previdenza all’indennità di fine carriera, dalle garanzie contrattuali alla sicurezza sociale, dalla rappresentanza nei Collegi Arbitrali al diritto di sfruttare la propria immagine, fino all’abolizione del vincolo a tempo indeterminato e al riconoscimento
Parole di
Foto di
SERGIO CAMPANA
MAURIZIO BORSARI
del diritto di voto, con rappresentanza nel Consiglio Federale, affermata dalla legge Melandri. Dunque anni e anni di impegno e di lavoro assiduo, duro, oscuro, che hanno qualificato il calciatore italiano come il più tutelato da un punto di vista giuridico, economico, morale rispetto agli altri paesi calcistici del mondo. Non si può certo negare che ci si trovi in un momento semplice. Questa situazione crea necessariamente pressioni e attenzioni particolari, ma offre anche una grande opportunità di cambiamento. Il calcio italiano sta attraversando un momento difficile, specialmente per quanto riguarda la squadra nazionale. C’è la volontà di uscire dalla crisi e di appoggiare il lavoro del Commissario Tecnico Roberto Mancini, che sta affrontando con grande impegno il suo nuovo ruolo, fondamentale per ricostruire il valore del nostro calcio. Per quanto riguarda gli obiettivi attuali dell’AIC, più di me può e deve parlare il presidente Damiamo Tommasi, che è seriamente impegnato a ridare al calcio italiano la posizione che merita. Io posso dire che negli anni più recenti l’AIC è
stata seriamente impegnata a difendere le conquiste fondamentali per la categoria ottenute nella storia con grande volontà e impegno. Ora, dalle nostre controparti arrivano notizie su possibili cambiamenti, vedi per esempio la reintroduzione nel calcio del semi-professionismo. L’impegno dell’Associazione Italiana Calciatori sarà totale sia nella difesa delle posizioni guadagnate in tanti anni che nella costruzione del nuovo calcio italiano. Il Gran Galà del Calcio è la serata che celebra il calcio italiano, è la riunione di Natale in cui si incontrano tutte le componenti della grande famiglia del calcio: istituzioni, calciatori e appassionati. É uno degli avvenimenti più importanti del nostro sport e l’AIC è sempre impegnata a dare a questa celebrazione il giusto valore, sotto tutti i punti di vista. L’edizione di quest’anno, oltre a cadere durante il 50esimo anniversario dalla fondazione dell’Associazione Italiana Calciatori, arriva in un momento fondamentale per il calcio italiano, soprattutto per le recenti elezioni dei Presidenti della Federazione e delle Leghe, in cui crediamo e nei confronti dei quali offriremo il massimo della collaborazione, nella speranza che tutti insieme si possa dare il via a una nuova era per il calcio italiano.
Damiano Tommasi
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UNA GRANDE RESPONSABILITÁ Damiano Tommasi, ex-centrocampista di Roma e Verona con qualche trascorso all’estero, è sempre stato un «atipico», come lo definì Fabio Capello, sia in campo che fuori. Nel 2001, l’anno dello scudetto con la Roma, sempre il tecnico friulano, lo battezzò come: «Il giocatore più importante della squadra. Più di Totti, Montella e Batistuta». Non a caso, quindi, nel 2018 è ancora “il calciatore più importante di tutti”, essendo stato scelto, nel 2011, come Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, il secondo della storia dopo Sergio Campana. Sempre leale e pacato in campo e fuori, Tommasi si è guadagnato la stima dell’intero mondo del calcio: «Seguo le mie idee e questo ha spiazzato alcuni, ma davvero ci sono tanti che lavorano con serietà, tenendo fede ai propri principi».
Parole di
Foto di
DAMIANO TOMMASI
MAURIZIO BORSARI
I primi 50 anni dell’Associazione Italiana Calciatori rappresentano una grande responsabilità. In queste cinque decadi sono state tante le tappe significative di una categoria che, attraverso l’attività associativa, è diventata prima professione riconosciuta e poi ruolo attivo nelle istituzioni sportive. L’impegno è grande, sempre molto stimolante, e l’obiettivo primario deve essere quello di non disperdere l’enorme lavoro svolto fino a oggi. Non arriviamo certo da uno dei periodi più brillanti della storia del calcio italiano, guardare il Mondiale dal divano è stata una grande sofferenza. Ogni crisi, inoltre, crea grosse pressioni e attenzioni particolari, è vero, ma offre anche una grande opportunità per migliorare. Se l’obiettivo, quindi, è quello di difendere i traguardi raggiunti nel nostro primo mezzo secolo di storia, dobbiamo guardare al futuro e dedicarci sempre più al miglioramento dell’ambiente di lavoro attraverso il ruolo dei calciatori nelle istituzioni federali. Il dopo carriera è un momento molto delicato per ogni atleta e, quindi, deve rappresentare uno dei grandi temi ai quali prestare sempre maggiore attenzione. Diciamo che dal novembre 2017 siamo riusciti a fare ben poco nonostante il momento fosse di assoluta emergenza sportiva. L’elezione del Presidente federale darà sicuramente ordine alle idee e ai progetti, con un unico dubbio: che idee e progetti non siano, a oggi, realmente concreti. Condividere l’idea che si debba partire dal progetto sportivo per ridare slancio al movimento non sarà semplice e mi auguro che si inizi a pensare al medio lungo termine con pazienza, costanza, lungimiranza e passione per questo sport.
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NUMERO 10
Zvonimir Boban
IL FUORICLASSE «Siamo messaggi che camminano, noi che muoviamo milioni di appassionati siamo la comunicazione, ma si deve partire dalla palla che rotola sul campo»
Zvonimir Boban, numero 10 in campo e nella vita, dopo una lunga e gloriosa carriera da calciatore, una laurea in storia e una parentesi da giornalista, il 30 maggio 2016, è stato nominato vicesegretario generale della Fifa per lo sviluppo del calcio e l’organizzazione di competizioni. Abbiamo avuto il piacere di raggiungerlo per qualche domanda a proposito dei cambiamenti nel mondo della comunicazione legata allo sport, della grande importanza che la Fifa sta dando alla crescita del calcio femminile e della crisi del calcio italiano. In campo ci avrebbe certamente dribblato, in
questo caso, Zorro ha lasciato il segno, offrendo a tutti noi importanti spunti di riflessione.
Parole di
TOMMASO LAVIZZARI Foto di
MAURIZIO BORSARI
DAGLI AUTOGRAFI AI SELFIE: COM’È CAMBIATO IL RAPPORTO DIRETTO TRA TIFOSI E CALCIATORI? É più o meno la stessa cosa, ma è cambiata la forma. I calciatori sono ancora gli idoli dei tifosi e, quindi, hanno la responsabilità di giocare bene, di impegnarsi al massimo e di comportarsi bene, di dare sempre tutto nel rispetto dei tifosi. I selfie non hanno preso il posto degli autografi, il problema non sono i selfie
NUMERO 10
11 di appassionati siamo la comunicazione. Le Società, quindi, dovrebbero educare i propri calciatori a sapersi comportare, ma tanti editori dovrebbero educare i propri giornalisti ad avere un rapporto costruttivo e non a continuare nell’estenuante ricerca dell’errore altrui e della guerra mediatica. Vivremmo tutti un po’ meglio, cosa dite? Il problema è che si sono persi i pilastri fondamentali della comunicazione in mezzo a questa follia mediatica che fa sentire tutti determinanti; ma anche questo processo si calmerà e troveremo un nuovo e diverso equilibrio. É ciclico.
IL CALCIO FEMMINILE STA PRENDENDO FINALMENTE PIEDE ANCHE IN ITALIA: PENSI CHE POSSA OFFRIRE UN’OPPORTUNITÀ DI CRESCITA CULTURALE A TUTTO IL MOVIMENTO? COSA PENSI CHE POSSANO DARE LE DONNE AL MONDO DEL CALCIO? Le donne, ormai da molti anni e in molti paesi, occupano ruoli sempre più importanti, a vari livelli. Non ne faccio un problema di genere, nel calcio come nella vita, ma di capacità. Chi ha più capacità deve occupare certe posizioni, questo è l’unico criterio. Il criterio deve essere meritocratico, non si deve cadere nell’errore contrario, ovvero facilitare le donne in quanto tali, perché sarebbe ancor più sminuente per loro e discriminante per gli uomini. Personalmente, mi farebbe piacere vedere più donne nel mondo del calcio perché per troppi anni abbiamo peccato di maschilismo ed è una vergogna storica. Avremmo dovuto capire già negli anni ’60, con le prime aperture sociali, che bisognava spingere affinché il calcio diventasse anche il gioco delle donne. É stato un grave errore che stiamo cercando di correggere con la nostra nuova visione. Grazie al nostro Presidente, la Fifa sta facendo di tutto perché passi questo concetto e, per questo, si sta investendo molto nel calcio femminile. La vostra stessa attenzione all’argomento dimostra che stiamo riuscendo a far accettare globalmente il calcio come uno sport per le donne. É fondamentale.
con i calciatori, il problema sono i selfie durante la partita, che vuol dire che non la stanno guardano! Questa cosa mi fa arrabbiare! Questo è il problema: il gioco passa in secondo piano. Pensano di essere loro i primi attori allo stadio, mentre i primi attori devono essere i calciatori e il bel gioco. Senza la cultura del calcio giocato perdiamo l’essenza di questo fantastico gioco. Tutto deve partire dalla palla che rotola sul campo. I SOCIAL NETWORK METTONO I CALCIATORI COSTANTEMENTE SOTTO I RIFLETTORI, VOI INVECE AVEVATE IL FILTRO DELLA STAMPA: COME VEDI QUESTO CAMBIAMENTO? LE
SOCIETÀ DOVREBBERO INTERVENIRE ANCHE SULLA GESTIONE DEI CONTENUTI PRIVATI DEI PROPRI CALCIATORI? É cambiato molto dai miei tempi. Dipende certamente dalla cultura di ogni singola persona. Questo vale sia per i calciatori che per i giornalisti. A volte si vedono i giornalisti come nemici, altre volte sono proprio loro i primi nemici della verità. I calciatori devono costruire sopratutto un rapporto con le Società che, a propria volta, hanno il dovere di tutelare loro stesse e i propri calciatori costruendo con loro la miglior strategia di comunicazione. Si deve comunicare per forza, non è un aspetto trascurabile nel calcio. Siamo messaggi che camminano, noi che muoviamo milioni
IL CALCIO ITALIANO ARRIVA DA UN MOMENTO MOLTO COMPLICATO: QUAL È, A TUO AVVISO, L’INTERVENTO PIÙ URGENTE DA COMPIERE? Devono sedersi tutti insieme attorno a un tavolo e capire perché non ci sono più talenti. Dopo Pirlo non ho più visto talenti e questa è una cosa gravissima per il popolo italiano, che ne ha sempre avuti parecchi. Un popolo di geni che ha un problema evidente a livello giovanile, da anni. Non devono interessare i risultati collettivi, l’obiettivo deve essere quello di costruire calciatori di grande livello per grandi palcoscenici e questo non avviene da parecchio tempo. Questo è un problema grave. Si è collettivizzato il calcio a danno dei più bravi, che non vengono adeguatamente valorizzati. Il talento va lasciato libero, non si possono trattare tutti allo stesso modo, serve un occhio diverso per qualcuno. Se si imprigiona la fantasia nell’obbligo dell’uno-due e del non dribblare avremo sempre i risultati a livello giovanile ma non avremo mai i grandi calciatori. Questi sono i semplici e veri problemi del calcio italiano. É lì che si deve intervenire. Se avremo amministratori che vengono da banche o grandi aziende, però, il sistema non cambierà mai.
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INTERVISTA DOPPIA
Demetrio Albertini
IL REGISTA «I dirigenti fanno la prosa, i calciatori fanno la poesia» Intervista doppia a
DEMETRIO ALBERTINI
e
MANUELA RONCHI
SEI STATO CALCIATORE, DIRIGENTE E OGGI SEI IMPRENDITORE CON LA TUA DEMA4, SOCIETÀ SPECIALIZZATA IN SPORT MARKETING, TEAM EXPERIENCE E SPORT EVENTS: COME SEI ARRIVATO A QUEST’ULTIMA FASE DELLA TUA VITA? Mi sono sempre ritenuto un ragazzo normale che ha fatto qualcosa di speciale, mai un ragazzo speciale che ha fatto qualcosa di normale. Mi ritengo tutt’ora
così, quindi riesco a vivere ogni mia esperienza con grande entusiasmo e responsabilità. Sono stato prima calciatore, poi dirigente sportivo e ora sono imprenditore. In tutte e tre le mie professioni ho sempre cercato di portare con me il bagaglio delle mie esperienze e delle mie regole gestionali, che mi hanno accompagnato fino a quel momento. Dopo l’esperienza in federazione ho dovuto e ho voluto strutturarmi scegliendo una socia, affinché le competenze di entrambi potessero unirsi e risultare ancora più efficaci. IL TUO RAPPORTO CON LA TUA SOCIA MANUELA RONCHI? Il mio rapporto con Manuela è fatto prima di tutto di fiducia e di confronto. Se devo dire la cosa fondamentale che ci ha fatti incontrare è la stima: la stima in quello che una persona può dare all’altra, aiutandola nel reale e nel quotidiano a crescere, avere una visione diversa per ottenere grandi risultati insieme. SEI SEMPRE STATO UN REGISTA, SIA IN CAMPO CHE COME DIRIGENTE E OGGI CON LA DEMA4: QUALI DIFFERENZE E ANALOGIE HAI TROVATO IN QUESTI TRE RUOLI? Quando sei in mezzo al campo a fare il regista, devi avere innanzitutto una visione a 360°: devi essere cosciente di avere alle spalle la cosa da difendere insieme ai tuoi compagni, la tua porta. Però devi essere bravo a guardare in avanti e decidere la strategia migliore per andare a fare goal, valorizzando le qualità dei tuoi compagni. Allo stesso modo, da imprenditore, lo faccio tutti i giorni con i miei collaboratori. DAGLI AUTOGRAFI AI SELFIE: COM’È CAMBIATO IL MONDO DELLA COMUNICAZIONE LEGATA AL CALCIO? Selfie e autografi sono la prova di un incontro speciale. Le foto odierne raccontano immediatamente la storia; l’autografo invece, personalmente, lascia spazio al racconto delle emozioni dell’incontro. GRAN GALÀ DEL CALCIO CHE CADE NELL’ANNO DEL 50° DELL’AIC: QUANTO È UTILE NELLA PROGETTAZIONE DI UN EVENTO COME QUESTO AVERE UNA VISIONE DA EX-CALCIATORE E DIRIGENTE, OLTRE CHE DA ORGANIZZATORE DELL’EVENTO? Credo che una delle mie fortune sia proprio quella di aver operato nelle vesti di tutte e tre le figure che interverranno al Galà. Aver contribuito all’organizzazione di questo evento è per me un grande piacere, soprattutto abbiamo cercato di valorizzare quelli che sono i protagonisti, i calciatori premiati. Sostanzialmente, i dirigenti fanno la prosa, i calciatori fanno la poesia.
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INTERVISTA DOPPIA
Manuela Ronchi
LA MANAGER «Amo mettere i pensieri in AZIONE» SEI STATA MANAGER DI CELEBRI ATLETI, OGGI FAI PARTE DI UNA REALTÀ CHE AFFERMI ESSERE NATA 30 ANNI FA AL GRIDO DI UN’UNICA PAROLA: ACTION, CHE È POI IL NOME DELL’AGENZIA. COSA TI RENDE FELICE E ORGOGLIOSA NELLA TUA PROFESSIONE? Dopo 30 anni di attività come manager e come imprenditrice, posso dire che la cosa che mi rende felice è che forse mai come nella mia società, il brand name di quello che faccio, Action, sia esattamente quello che ho fatto in tutti questi anni. Il mio orgoglio è che questa AZIONE ha a sua volta messo in azione i pensieri, la voglia di lavorare e la voglia di costruire una grande squadra di ragazzi che lavorano con passione e senso di responsabilità, come se l’azienda fosse anche la loro. Ecco, posso dire che credo che questa sia la più grande soddisfazione che uno che fa il nostro mestiere possa avere. Ho gestito tanti atleti e da loro ho imparato e attinto tanto. Mi sono laureata in lingue e letterature straniere moderne per insegnare inglese; invece poi mi sono ritrovata a fare questo mestiere per cui sicuramente non avevo studiato e applicato una teoria; ho però cercato di professionalizzare il mio istinto, la mia passione e la mia visione di come intendo fare business e ne ho creato un’agenzia, una struttura che non credo sia migliore di altre ma sicuramente diversa. LA COMUNICAZIONE È RADICALMENTE CAMBIATA NEGLI ULTIMI ANNI, COME SI È MODIFICATO IL RUOLO DI MANAGER E IMPRENDITORE NEL MONDO DELLA COMUNICAZIONE LEGATA ALLO SPORT E AL CALCIO? La comunicazione è cambiata radicalmente perché sono nati nuovi media e, con l’avvento dei social e di tutto il digital, il ruolo del manager è completamente cambiato. Ora governare l’informazione è diventato ancora più complesso. Io probabilmente ho da sempre avuto un ruolo diverso da quello che è il manager tradizionale, mi sono sempre occupata della parte della gestione dei diritti d’immagine e quindi, molto probabilmente, anche già a suo tempo ho sempre lavorato in maniera molto attenta per quello che riguarda la divulgazione delle informazioni e di come un personaggio deve essere comunicato alle persone. Ho sempre fatto maieutica, come dico sempre, e ho osservato e comunicato quello che il personaggio è realmente. Oggi è più difficile farlo rispetto a come veniva fatto un tempo: i singoli personaggi sono liberi di pubblicare e condividere la propria vita sui social e non sempre questo è governabile o facile da gestire. Io personalmente ho appena annunciato di voler uscire dai social con la mia società proprio perché, se si sceglie di rimanerci, bisogna starci con consapevolezza e
credo che oggi come oggi si ottenga più il negativo che il positivo rimanendo su questi mezzi d’informazione. Nel mondo dello sport spesso bastano un tweet o una pubblicazione su Facebook fatte in maniera sbagliata per rovinare un lavoro d’immagine costruito in anni di lavoro. COM’È IL TUO RAPPORTO LAVORATIVO CON DEMETRIO ALBERTINI? Il mio rapporto lavorativo con Demetrio è riassumibile molto semplicemente: ogni giorno ci divertiamo e ci confrontiamo perché ci accomunano gli stessi valori, la stessa voglia di lavorare, la stessa voglia di metterci e rimetterci in gioco, la stessa voglia di imparare ogni giorno qualcosa di nuovo. Siamo curiosi, siamo orgogliosi, siamo veramente una squadra. QUAL È LA PIÙ GROSSA DIFFICOLTÀ CHE OGGI S’INCONTRA NEL COMUNICARE LO SPORT?
La più grande difficoltà di comunicare lo sport oggi come oggi è che siamo ancora tutti qui ad aspettare che nascano i nuovi Pantani, i nuovi Tomba e i nuovi Pozzecco. Invece l’obiettivo, che è proprio quello che io e Demetrio abbiamo con la nostra Dema4, dev’essere quello di potenziare il valore degli sport in quanto tali. Per esempio, fare storytelling del basket in quanto basket, con le sue valenze educative, sociali e formative e così via per tutti gli altri sport cosiddetti “minori”. Minori rispetto al calcio, che è predominante in tutti i mezzi di comunicazione, ma che sono sport di grande valore. Noi stiamo addirittura raccontando storie di atleti e di sport che non per forza sono mediaticamente “utilizzati”, proprio perché è più faticoso cercare di comunicare i valori dello sport in quanto tale che aspettare che ci sia un atleta di grido che ne faccia da traino. Oggi il risultato è che senza i grandi atleti, certi sport si sono completamente auto-annullati.
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DAVIDE ASTORI
UNA QUESTIONE DI CUORE “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci” disse Pier Paolo Pasolini. Facciamo sì che la scomparsa di Davide Astori sia servita almeno a questo, a tutelare – invece di distruggere, come si fa troppo spesso – quest’ultima “rappresentazione sacra”.
e le canzoni di Ligabue. La sua era una tranquillità autorevole, che creava rispetto. Anche perché se c’era qualcosa da dire per il bene della squadra non si tirava indietro, senza pensare alle conseguenze. E proprio questa sua “normalità” è riuscita nel miracolo di unire un mondo spesso diviso - a volte anche in modo cattivo - come quello del calcio. Tutti, in qualche modo, dopo la sua morte si sono fermati a pensare, hanno ritrovato il senso dello sport e, forse, anche della vita. Tutti, come poche volte è accaduto nel mondo del calcio, hanno trovato in questo dramma un’occasione per riscoprire valori, allontanare l’astio, ridare senso a parole come rispetto, educazione, sport. Non c’è da illudersi troppo, passata la commozione tutto tornerà presto come prima, tra isterismi in campo, insulti in tribuna, minacce in curva, canti all’avversario all’insegna del “devi morire”. Si tornerà alla solita Italietta da commedia tragicomica, divisa tra campanili, nord contro sud, est contro ovest, di sopra contro di sotto, condomini dispari contro condomini pari. Con tutto il contorno di personaggi involontariamente comici o drammatici, a seconda dei punti di vista. Una fine, un inizio Eppure, la scomparsa di Astori è riuscita nel miracolo di sospendere per qualche giorno tutto questo, come se l’improvvisa morte di un ragazzo giovane, sportivo e perbene avesse costretto a una riflessione collettiva, sulla piccolezza delle cose che ci dividono e l’immensità di quelle che potrebbero unire. E anche sulla fragilità della nostra vita, un concetto di cui tutti siamo consapevoli, ma cerchiamo di rimuovere, accantonare nel luogo più lontano dei nostri pensieri. Perché bisogna pensare al lavoro, alla partita, a vincere, e magari a prendersela con qualcuno, non importa per quale motivo. Perché qualcuno con cui prendersela ci vuole sempre, e allora magari
Parole di
Disegni di
DAVIDE GRASSI
MATTEO SETTEGRANA
il calcio diventa solo un pretesto per dare sfogo a frustrazioni e risentimenti di ogni genere. Non era questo il modo di vivere e pensare di Astori. E sarebbe bello, per ricordarlo, che questa morte non fosse almeno avvenuta invano, pur nella sua insensatezza. Perché va bene sospendere il campionato, ritirare la maglia, abbracciare al funerale gli avversari di sempre, ma tutto questo non può durare
È tutta una questione di cuore la storia di Davide Astori. Quel cuore che lo ha tradito nella notte del 4 marzo, quel cuore di tanti appassionati di calcio – e non solo – in cui è rimasto. Quel cuore che l’aveva portato a correre dietro un pallone nel Ponte San Pietro, squadra satellite del Milan nelle valli bergamasche. E proprio nelle giovanili rossonere è cresciuto, con il mito da seguire di Alessandro Nesta, prima di passare al Cagliari e fare il suo esordio a 21 anni in serie A. Dopo andò nella Capitale, alla Roma, per approdare infine in maglia viola con la Fiorentina. In mezzo anche qualche presenza in Nazionale, con una rete nella Confederations Cup 2013 in Brasile contro l’Uruguay. Ed era dai tempi di Gigi “Rombo di tuono” Riva che un giocatore del Cagliari non segnava in maglia azzurra. A colmare la lacuna ci ha pensato Astori, un difensore.
La forza della tranquillità
l’attimo di una commozione.
Fin qui la carriera, poi c’è l’uomo. Perché senza capire l’uomo è difficile comprendere come mai la sua scomparsa abbia suscitato tanta emozione. Perché in un mondo del calcio come quello odierno, che vive del luogo comune del calciatore divo, viziato e superficiale, Astori si contraddistingueva per uno stile quasi d’altri tempi. Semplice, riflessivo, tranquillo: mai una parola fuori posto, mai un comportamento oltre le righe. Tutto questo, alla fine, ha creato intorno a lui una forma di stima e affetto condivisa. Astori era uno che nelle interviste ricordava con nostalgia perfino il tè del magazziniere della squadra degli inizi. Uno che dopo aver conosciuto bene la Sardegna disse che i bergamaschi e i sardi erano simili: diffidenti all’inizio, molto socievoli dopo. Forse, avrebbe voluto aggiungere, perché la diffidenza aiuta a proteggersi dalle delusioni e la fiducia va dosata. Uno che appena nominato capitano della Fiorentina si sentì quasi in imbarazzo di fronte ai compagni, a cui chiese di condividere con lui le responsabilità. Perché al di là di ogni facile retorica, Astori era così: un antidivo in un mondo di divi, un ragazzo tranquillo in uno sport spesso caratterizzato da eccessi. Diceva, scherzando, di fare il calciatore per hobby (ma aggiunse anche di apprezzare sempre di più, con gli anni, questo mestiere), amava l’architettura
costruire un calcio diverso, più sereno, come era il
Deve invece essere il punto da cui ripartire, per carattere di Davide. Un calcio in cui si sostiene una squadra senza odiare l’altra, in cui si può anche applaudire gli avversari più forti e pensare che alla fine è solo divertimento, solo un pallone che rotola. E il calcio davvero può essere la cosa più importante delle meno importanti, come diceva Arrigo Sacchi, ma non può tramutarsi in una guerra santa, in fanatismo irrazionale, in pretesto per dare un palcoscenico ai propri istinti peggiori. E senza scivolare nella retorica, nelle frasi fatte, è stato bello vedere per Astori i giocatori abbracciati tra loro, la commozione condivisa in tutti gli stadi, in ogni settore, in ogni città. Come è potuto accadere? La risposta è forse nelle parole di qualche anno fa pronunciate da Pierpaolo Pasolini: “Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazione sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”. Facciamo sì che la scomparsa di Davide Astori sia servita almeno a questo, a tutelare – invece di distruggere, come si fa troppo spesso – quest’ultima “rappresentazione sacra”. Dipende da noi, è una questione di cuore.
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E U R O 3 ,5 0
Art.1 comma 1, LOM/MI
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D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)
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THE GREATEST LIFESTYLE MOTORCYCLE MAGAZINE
N°118
IL TEMPIO DELLA WORKING CLASS
PERFETTI IMPOSTORI LE REPLICHE DELLE
SIMBOLO DI RESISTENZA
V I A G G I O A L L 'I N T E R N O D E L L 'A C E C A F E L O N D O N
500 CHE HANNO FATTO LA STORIA
LA 24 ORE PIÙ PAZZA DEL MONDO IN VESPA
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28/11/18 16:50
THE GREATEST LIFESTYLE MOTOCYCLE MAGAZINE
RIDERS MAGAZINE 118 Prossimamente in edicola
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Giorgio Chiellini e Sara Gama
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TUTTI PER UNO, IL CALCIO PER TUTTI Abbiamo raggiunto i Capitani delle rispettive selezioni calcistiche nazionali che hanno rivendicato unità identitaria e di obiettivi futuri: “Siamo negli stessi club, abbiamo la stessa maglia azzurra, siamo semplicemente le due metà di uno stesso universo, forse prima lontane, ma che ora cominciano ad avvicinarsi sempre più.” Parole di
GIORGIO CHIELLINI E SARA GAMA
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INUTILE DIRE CHE ARRIVIAMO DA UN MOMENTO MOLTO COMPLICATO, QUESTO ASPETTO CREA PRESSIONI E ATTENZIONI PARTICOLARI MA OFFRE ANCHE UNA GRANDE OPPORTUNITÀ: DA DOVE DEVE RIPARTIRE IL CALCIO A LIVELLO DI CAMPO?
GIORGIO CHIELLINI: Bisogna sicuramente ripartire con entusiasmo e sacrificio per tornare ai livelli che questa Nazionale ha sempre avuto. La fiducia e la serenità sono ingredienti che non dovranno mai mancare per un percorso del genere.
SARA GAMA: Sul campo bisogna lavorare, con i giovani in primis, alla base, anche per rifornire la Nazionale. È scontato forse a dirsi, ma quello che manca è la pazienza e la voglia di prendersi dei rischi per fare crescere i giocatori. È bene anche attrarre nel nostro campionato grandi campioni, per innalzare il livello delle nostre squadre. Continuare a formare gli allenatori come già facciamo. E anche i nostri dirigenti, perché il loro è forse il campo più importante: dirigenti innanzitutto preparati e che abbiano una visione che non si limiti al presente. Senza una struttura organizzata tutto diventa più complicato per chi calca il rettangolo verde.
IL CALCIO FEMMINILE STA PRENDENDO FINALMENTE PIEDE IN ITALIA: PENSATE CHE POSSA OFFRIRE UN’OPPORTUNITÀ DI CRESCITA CULTURALE A TUTTO IL MOVIMENTO?
GC: Finalmente anche l’Italia si sta aprendo al calcio femminile come succede già in moltissimi paesi da tanti anni. È bello vedere finalmente tante bambine poter coltivare la loro passione senza quelle difficoltà che purtroppo le ragazze che sono adesso in Nazionale hanno dovuto affrontare nella loro crescita. Le donne faranno tanto per il calcio, come succede per tutti gli altri sport, ed è un discorso che può essere ampliato alla vita normale. Ci sono tante ragazze in gamba che meritano sia in campo che in ruoli istituzionali.
SG: Certamente offre un’opportunità di crescita, ma non solo culturale. Quando inserisci nuove energie in un ambiente, una volta che questo le accetta, possono solo dare un impulso positivo a tutto il sistema, nuovi stimoli e prospettive con cui contaminarsi vicendevolmente. Ovviamente rappresenta anche una possibilità di crescita culturale, che ritengo non fermarsi al solo mondo del calcio, ma piuttosto avere effetti positivi anche sulla società italiana, in cui tutti sappiamo che il calcio gioca un ruolo rilevante. Ho giocato in Francia. All’epoca, stiamo parlando di 4 anni fa, in Italia non c’era quello che oggi abbiamo: le società professionistiche maschili al nostro fianco. Il loro ingresso ha provocato un repentino mutamento in positivo che in 3 anni e poco più ci ha portato a cose inimmaginabili fino poco tempo fa. L’apertura a questi con alcune nuove norme emanate nel 2015 dalla Figc, ha avviato un percorso che attendevamo da tempo. Ora il savoir-faire dei nostri club, a cui non manca blasone internazionale, ci permette di lanciarci per andare in pochi anni a competere ad altissimi livelli anche con paesi che ci hanno preceduto nello sviluppo del nostro movimento. Bisogna continuare a spingere sull’acceleratore ovviamente, primo step allargare la base allevando le giovani, curando allo stesso tempo l’elite, campionati apicali e Nazionale.
SIETE I CAPITANI DELLE RISPETTIVE SELEZIONI NAZIONALI. GIORGIO È CHIAMATO A
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GUIDARE GLI AZZURRI IN UN MOMENTO DIFFICILE, SARA INVECE GUIDERÀ LA NAZIONALE CHE SI È QUALIFICATA AL MONDIALE E RAPPRESENTERÀ IL CALCIO ITALIANO NEL MONDO, RUOLO CHE È SEMPRE SPETTATO AGLI UOMINI. COME AVETE IMPOSTATO IL VOSTRO RUOLO? CHE RAPPORTO C’È TRA CALCIO MASCHILE E FEMMINILE?
GC: Credo che ogni capitano sia diverso, non può essere uguale a chi lo ha preceduto o a chi ha al fianco. Ho avuto la fortuna di avere tre grandi capitani come Buffon, Cannavaro e Del Piero che mi hanno insegnato che il modo migliore per essere capitano è quello di essere se stessi, con grande serenità e senso di responsabilità. Spero che fra qualche anno questi ragazzi e ragazze abbiano di me e Sara lo stesso ricordo che abbiamo noi pensando ai nostri predecessori.
SG: Il calcio maschile oggi rappresenta la nostra guida. Il calcio femminile, pur essendo nato poco dopo quello maschile, è uno sport relativamente giovane, sviluppatosi con l’apporto di Uefa e Fifa in un processo lento e variabile a seconda dei vari paesi, che ha avuto inizio solo recentemente - se si pensa che da queste è stato riconosciuto negli anni Settanta - e che negli ultimi anni sta davvero prendendo piede, supportato dalla convinzione di tutti gli stakeholders. Quindi il calcio maschile per noi è innanzitutto un esempio. Dal calcio maschile noi impariamo molto, perché ha molta più esperienza di noi, più professionalità, ha strutture che oggi, da quando anche in Italia si crede nel nostro movimento, vengono riprodotte e applicate alla sfera femminile, aspetto che ci permette di risparmiare tempo prezioso. Al Mondiale andremo quindi con orgoglio e forti del supporto del calcio maschile. In effetti, comincia a stare stretto parlare di calcio maschile o femminile. Siamo negli stessi club, abbiamo la stessa maglia azzurra, siamo semplicemente le due metà di uno stesso insieme, forse prima lontane, che ora cominciano ad avvicinarsi sempre più. Il calcio femminile sta finalmente ricevendo le giuste cure, che gli permetteranno di diventare fondamentale e, perché no, anche trainante per il movimento calcistico italiano in generale viste le potenzialità ancora inespresse.
SARA, SEI CONSIGLIERE FEDERALE E CRISTIANA CAPOTONDI È APPENA STATA
SCELTA NELLO STESSO RUOLO PER LA LEGA PRO. COSA PENSI CHE POSSANO DARE LE DONNE AL MONDO DEL CALCIO?
SG: Confrontarsi con il diverso è fattore di contaminazione positiva. Permette di sentire nuovi modi di pensare e di vedere le questioni, non per forza migliori. Più punti di vista e diverse capacità di approccio ai problemi che uno sguardo femminile può portare, possono solamente essere un valore aggiunto, un’arma in più.
IL GRAN GALÀ DEL CALCIO CHIUDE UN ANNO MOLTO COMPLICATO E ARRIVA POCO DOPO L’ELEZIONE DEI NUOVI VERTICI DI FIGC E LEGA: GIORGIO, COSA TI ASPETTI DALLE ISTITUZIONI?
GC: Quello che mi aspetto è che venga anteposto l’interesse collettivo del calcio italiano a quello delle singole persone o leghe, una cosa che dovrebbe essere la normalità ma che negli anni sicuramente non è sempre stata così.
Illustrazioni di
SARA SCANDOLA
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CALCIO FEMMINILE
Alia Guagni AVERE IL CUORE VIOLA
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Capitano del Fiorentina Women’s Football Club e difensore della Nazionale che ci porterà ai Mondiali di Francia 2019, Alia Guagni è il simbolo di un calcio che in Italia cresce e appassiona, sempre di più. Parole di
GIULIA TONINELLI
VALORE? Per me la fedeltà alla maglia è tutto. Sono fiorentina: nata, cresciuta e innamorata di Firenze. Amo la mia città e rimanere a giocare qui è prima di tutto una questione di cuore. Ovviamente per me è fondamentale che il progetto tecnico della Fiorentina sia di alto livello, ma sono fortunata anche in questo caso. Mi trovo in una bella squadra, in una grande Società e sento l’amore per Firenze in ogni passo che faccio. Credo di aver dato tanto a questa città ma lei ha dato tantissimo a me.
Per Alia giocare a calcio non ha mai rappresentato un problema di genere. Non lo era quando l’unico spogliatoio a disposizione per una ragazza era il ripostiglio degli arbitri e tanto meno quando il calcio femminile in Italia era ancora pressoché sconosciuto. Per Alia Guagni, difensore della Fiorentina e della Nazionale Italiana, giocare a calcio è sempre stata una questione di cuore. Così come la scelta di rimanere fedele alla sua squadra, di cui è diventata un’orgogliosa bandiera. PARTIAMO DALLA DOMANDA PIÙ BANALE: COME TI SEI APPASSIONATA AL CALCIO? Ho cominciato a giocare a calcio a nove anni, dopo aver provato un po’ tutti gli sport. Essendo figlia unica sono sempre stata molto legata a mio cugino, di sette anni più grande, ed è con lui che ho iniziato ad appassionarmi al pallone. Il primo anno ho giocato in una squadra di maschietti e poi dal secondo mi sono spostata in una femminile, da lì in poi non ho più smesso. ESSERE DONNA, IN QUESTO MONDO, TI HA MAI CREATO DEI PROBLEMI? Se devo essere sincera sono sempre stata molto fortunata perché sia nella carriera che nella vita privata ho avuto a che fare con persone di grande rispetto e professionalità. Gli unici ricordi negativi, ripensandoci a distanza di molti anni, sono proprio quelli relativi alla mia prima esperienza come calciatrice, unica femmina in mezzo a tanti bambini maschi. Dovevo cambiarmi nello sgabuzzino degli arbitri perché non c’era uno spogliatoio maschile e spesso i miei compagni mi chiedevano perché non preferissi giocare con le bambole invece che a calcio. Però ero piccola e quando si è piccoli le cose scivolano addosso, non ci si fa troppo caso. Io ero felice perché potevo fare quello che mi piaceva. A CHE PUNTO SIAMO CON IL CALCIO FEMMINILE IN ITALIA? Sono convinta che questo sia un momento di svolta. Gli ultimi tre anni sono stati fondamentali sia per la crescita sportiva che per l’interesse mediatico. Io come calciatrice mi sono accorta soprattutto del grande sviluppo nel gioco, della qualità dei
SIAMO A FINE ANNO, QUINDI È TEMPO DI FARE UN BILANCIO, IL TUO CHE 2018 È STATO? Direi abbastanza positivo. Lo scorso campionato è iniziato in modo difficile ma ci siamo riprese bene e nel complesso il 2018 è stato un bell’anno. Siamo una squadra forte e competitiva, in netto miglioramento. QUAL È LA CALCIATRICE CHE PIÙ TI HA STUPITO QUEST’ANNO? Direi Cristiana Girelli, attaccante della Juventus. L’ho incontrata come avversaria nel campionato e come compagna in Nazionale e ha saputo dimostrare grande valore e determinazione, sia nella parte più fisica che nella gestione mentale della pressione.
preparatori tecnici e tattici con cui ho avuto la possibilità di rapportarmi e del rapporto con le grandi Società calcistiche, prima solo maschili. Oggi c’è un grande interesse verso noi calciatrici e questo ci ha aperto un mondo di contatti, collaborazioni e una visibilità che fino a poco tempo fa era impensabile. Firenze per esempio, nel caso specifico della mia squadra che nel 2015 è ufficialmente diventata la Fiorentina Women’s Football Club, ci sta dimostrando un grandissimo affetto e ci infonde una carica indescrivibile. PER TE CHE SEI UNA VETERANA VIOLA, ESSERE UNA BANDIERA NEL CALCIO HA ANCORA
E IL CALCIATORE? Devo essere sincera: non seguo tantissimo il calcio maschile. Però sono grande tifosa della Fiorentina e per questo mi viene da dire Federico Chiesa. La sua crescita in questo 2018 è stata molto evidente e mi piace il fatto che sia, un po’ come me, molto legato alla città e alla maglia Viola. CHE ANNO SARÀ IL 2019? Sarà estremamente impegnativo ma, sono sicura, pieno di soddisfazioni. La nostra Nazionale si è qualificata ai Mondiali di Francia 2019 e come squadra ci teniamo tantissimo ad arrivare preparate. Siamo consapevoli che questo evento avrà un grande impatto per il movimento del calcio femminile nel nostro paese e, proprio come abbiamo creduto nella possibilità di qualificarci per questi Mondiali, ora vogliamo dare il massimo per ottenere grandi soddisfazioni.
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CALCIO FEMMINILE
Melania Gabbiadini «FINALMENTE IL CALCIO FEMMINILE STA CRESCENDO» Melania Gabbiadini è la calciatrice più premiata del Gran Galà del calcio. Ha contribuito direttamente allo sviluppo del movimento calcistico femminile, diventandone un simbolo. La sua carriera è stata ricca di successi. A Verona ha conquistato ben 5 scudetti, 2 Coppa Italia e 3 Supercoppa italiana. Nei club ha segnato 233 gol in 276 partite, essendo quindi spesso decisiva, anche nell’anno della promozione a Bergamo. In Nazionale conta più di 100 presenze e 45 gol. Si è ritirata dal calcio a 11 un anno fa, ma non ha appeso gli scarpini al chiodo: è passata infatti al Calcio a 5, una nuova avventura sempre legata al mondo del pallone. Abbiamo avuto il piacere di incontrarla e di scoprirla simpatica, decisa, rilassata e lungimirante. Abbiamo parlato di calcio maschile e femminile, se ancora ha senso questa distinzione; del suo rapporto con il fratello Manolo e della nuova esperienza nel Futsal.
IL CALCIO ITALIANO ARRIVA DA UN PERIODO MOLTO COMPLESSO; QUESTO CREA PRESSIONI MA PUÒ ESSERE ANCHE UNA GRANDE OPPORTUNITÀ PER RIPARTIRE. SECONDO TE COSA SI POTREBBE FARE SUL CAMPO? Secondo me si dovrebbe risanare tutto l’ambiente e bisognerebbe dare tanto spazio ai giovani. La nostra Nazionale ha perso tanto sotto questo aspetto. Adesso con Mancini si stanno valorizzando un po’ ma servirà tanto lavoro da fare. È un cammino lungo. Lavorare con e sui giovani è il fattore principale per
Parole di
Foto di
ENRICO BOIANI
MAURIZIO BORSARI
la ripresa del calcio italiano. HAI CONTRIBUITO DIRETTAMENTE ALLA CRESCITA DEL CALCIO FEMMINILE IN ITALIA: A CHE PUNTO SIAMO? Penso che siamo solo all’inizio, ma siamo sulla buona strada. Si è capito da dove si deve partire e cosa si deve fare. Sono stati colti i problemi del calcio femminile in Italia e di conseguenza stiamo muovendo i primi passi. Ci vorrà qualche anno ma finalmente siamo sulla strada giusta. Il calcio femminile merita il suo spazio perché finora si è raccolto poco, adesso che
alcune cose si stanno muovendo gli viene riconosciuta più importanza. TANTI CLUB DI SERIE A MASCHILE NEGLI ULTIMI ANNI HANNO SVILUPPATO ANCHE LA ROSA FEMMINILE: QUANTO HA INFLUITO QUESTO ASPETTO SULLO SVILUPPO DEL CALCIO FEMMINILE? Indubbiamente questa cosa ha portato tanta visibilità. Però bisogna avere rispetto per questo processo. Non devo creare una rosa femminile perché lo devo fare ma perché voglio farlo e ci credo. Quello che hanno fatto
CALCIO FEMMINILE
Fiorentina in primis e poi Juve, Roma, Chievo e Verona è stato fondamentale. Si sono accorte che è un movimento in crescita e che può dare tanto. COSA MANCA ALLA CRESCITA DI QUESTO MOVIMENTO? Ci sono tanti obiettivi da raggiungere, ma negli anni a venire. È stata fatta la cosa più importante che è quella di allacciarsi al calcio maschile, ma bisognerà lavorare tanto nei settori giovanili. Altra cosa fondamentale a cui tengo particolarmente è che il calcio femminile venga insegnato nelle scuole, cosa che è stata fatta in parte, ma è importante anche psicologicamente per le ragazze in futuro. LA NAZIONALE FEMMINILE SI È QUALIFICATA AL MONDIALE E RAPPRESENTERÀ IL CALCIO ITALIANO NEL MONDO, RUOLO CHE È SEMPRE SPETTATO AGLI UOMINI. CHE RAPPORTO C’È CON IL CALCIO MASCHILE? Questa situazione è data dalla realtà attuale: le problematiche del calcio maschile e la crescita di quello femminile. Era da tantissimo tempo che non avevamo l’opportunità di andare al Mondiale. C’è un grande gruppo che lavora da qualche anno, e credo che si meriti tutto ciò.
SEI PASSATA DA UN ANNO AL CALCIO A 5. COME TI TROVI? CHE DIFFERENZE CI SONO DAL CALCIO A 11 FEMMINILE? Innanzi tutto, c’è da dire che sono due tipi di calcio molto differenti. Mi sono trovata subito bene, e anche il calcio a 5 femminile è in crescita. Tante ragazze che smettono di giocare a 11 iniziano il Futsal. Certo, ha meno risonanza rispetto al calcio a 11, ma è comunque in ascesa. TORNANDO AL RAPPORTO TRA CALCIO MASCHILE E FEMMINILE: CHE RAPPORTO HAI CON TUO FRATELLO MANOLO? COME È STATO CONDIZIONATO DAL CALCIO TALE RAPPORTO? Manolo è molto più piccolo di me. Quando io ho iniziato a giocare lui mi seguiva sempre. A casa nel tempo libero avevamo sempre un pallone tra i piedi. Eravamo molto uniti e giocavamo sempre a calcio. Però sono sicura che anche se io non avessi giocato a calcio lui avrebbe comunque fatto la sua strada, ce l’ha nel DNA. Adesso ci vediamo poco perché entrambi abbiamo tanti impegni. I VOSTRI GENITORI SI ASPETTAVANO DI AVERE DUE FIGLI CHE DIVENTASSERO ENTRAMBI CALCIATORI PROFESSIONISTI? Inizialmente penso di no. Quando si è piccoli si
23 pensa solo a divertirsi e poi quello che arriva è ben accetto. Abbiamo dato tanto entrambi nelle nostre realtà. Per lui sarà stato sicuramente più difficile perché è un ambiente diverso. Però entrambi abbiamo fatto i nostri percorsi e la soddisfazione dei genitori c’è. Ci hanno sempre seguito in tutto quello che abbiamo fatto. AVETE AVUTO UNA FIGURA CALCISTICA DI RIFERIMENTO IN COMUNE IN FAMIGLIA? Nella nostra famiglia un po’ tutti giocavano a calcio: papà, zii, cugini. La nostra passione è nata molto naturalmente. Sicuramente nostro papà ha influito maggiormente perché ci ha sempre seguiti. IL GRAN GALÀ DEL CALCIO È LA SERATA CHE CELEBRA IL CALCIO ITALIANO. PENSI CHE SERATE COME QUESTA POSSANO DARE NUOVA LINFA E SPINGERE IN POSITIVO IL NUOVO CORSO? Queste iniziative sono estremamente importanti, ma è essenziale che venga valorizzato lo sport in sé. Non si deve perdere questo valore, sia nel calcio maschile sia in quello femminile. Per il nuovo corso però serve tempo. Noi italiani siamo poco pazienti in queste cose e credo che serva del tempo per il lavoro che stanno facendo per il futuro.
24 ROBERTA D’ADDA, classe 1981, ruolo: difensore. Nel suo palmares 4 Campionati, 5 Supercoppe Italiane e 4 Coppe Italia. Top player della nazionale. Dopo aver superato il girone eliminatorio al primo posto, si è qualificata insieme alle sue colleghe agli ottavi di finale di Coppa Italia. Sfiderà a breve il Milan nel primo derby della Madonnina tutto al femminile.
CALCIO FEMMINILE
IL PRIMO DERBY
INTER V In occasione del primo derby al femminile tra Milan e Inter, l’8 dicembre per gli ottavi di finale di Coppa Italia, abbiamo incontrato Roberta D’Adda e Manuela Giuliano, stelle di Inter, Milan e della Nazionale che disputerà il Mondiale 2019 in Francia. Parole di
ENRICA SINESIO Foto di
MAURIZIO BORSARI IL CALCIO FEMMINILE STA FINALMENTE PRENDENDO PIEDE ANCHE IN ITALIA, DALLE SUFFRAGETTE ALLA PARTITA DI PALLONE. OLTRE I LUOGHI COMUNI, IN COSA DIFFERISCE, SE DIFFERISCE, IL CALCIO FEMMINILE DA QUELLO MASCHILE?
RD: Non credo ci siano differenze particolari, si parla dello stesso sport. Che sia femminile o maschile si tratta di calcio. Chiaramente la struttura fisica delle donne è per natura diversa da quella degli uomini. Detto questo, penso che il calcio femminile vada apprezzato al di là del paragone con quello maschile. Si parla
di calcio e di sport.
MG: Fatalità quest’anno ricorre il centenario
del diritto di voto alle donne. Pensandoci 100 anni non sono molti ma il movimento delle suffragette affonda le sue radici ancor prima, ovvero nel periodo della rivoluzione francese. A dimostrazione del fatto che le donne hanno fatto e fanno fatica a far valere i propri diritti. Oggi il calcio femminile, in Italia, sta cominciando a raccogliere i risultati di un lavoro che hanno intrapreso molte mie compagne ed ex compagne di squadra più di qualche anno fa. Per me differisce solo per l’aspetto “spogliatoio”. Per il resto trovo che sia identico.
L’ATTENZIONE MEDIATICA HA CAMBIATO QUALCOSA NELLE VOSTRE ABITUDINI QUOTIDIANE DA UN PUNTO DI VISTA TECNICO IN ALLENAMENTO? È UNO STRESS O UNO STIMOLO?
RD: Non è cambiato nulla. Continuiamo ad essere noi stesse, con la passione che ci ha sempre contraddistinte, e con grande voglia di fare. Anzi, da donne questa attenzione è solo uno stimolo in più. MG: Cambiamenti direi di no. Prima ci
allenavamo tutti i giorni con la massima intensità e adesso facciamo lo stesso, che si chiami AC Milan, CF Brescia o Torres. Certo è che l’attenzione mediatica sta permettendo a molte di noi di farsi conoscere. In tantissimi mi scrivono tutti i giorni per quello che faccio sul rettangolo da gioco, al di là dei colori della maglia che indosso. Questo per me è molto stimolante.
IL PRIMO DERBY DELLA MADONNINA OLTRE UN SECOLO FA, IN SVIZZERA. DUE TEMPI DA 25’ CIASCUNO CHE A MALA PENA NE FANNO UNO DI OGGI. L’INTER DI ALLORA GIÀ INTERNAZIONALE, IL MILAN TUTTO ITALIANO. A DICEMBRE IL DERBY DI COPPA ITALIANA FEMMINILE. 18 OTTOBRE 1908 – 8 DICEMBRE 2018, DALLE MAGLIE IN LANA AL SESSO DEI GIOCATORI, COSA È CAMBIATO IN 100
CALCIO FEMMINILE
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Y AL FEMMINILE
S MILAN ANNI DI CALCIO E DI DERBY?
RD: Il derby è sempre un match speciale, sia da giocare che da vivere. L’8 dicembre ci sarà l’opportunità di giocare contro il Milan, una squadra molto forte e che milita nel campionato di Serie A. Dal canto nostro metteremo in campo tutto il possibile, come del resto facciamo in tutte le partite. MG: Penso che l’emozione sarà tanta perché vivere da protagonisti “la prima volta” è sempre un’esclusiva di lusso! Purtroppo abbiamo dovuto aspettare 100 anni, ma dobbiamo pensare alla stracittadina come un incontro tra due club che hanno una grande storia e noi la sentiremo tutta sulla nostra pelle.
LO STADIO PER VOI È SOLO CAMPO DA GIOCO OPPURE OGNI TANTO SALITE ANCHE SUGLI SPALTI? DA GIOCATRICI VI APPASSIONA ANCHE IL CALCIO DA TIFOSE?
RD: Ogni tanto ci piace andare allo stadio e vivere la partita dagli spalti. Osservare dal vivo il match è molto utile perché si possono capire tante cose a livello tecnico, ma anche tattico. Determinati dettagli non si riescono a cogliere né giocando, né guardando le partite dalla tv. MG: Io sono una super tifosa della Juventus e appena ho modo non perdo occasione per andare allo stadio a guardare la mia squadra del cuore. Rimango sempre senza parole perché il calcio maschile mi ha sempre appassionata e ispirata.
TORNANDO AL CALCIO GIOCATO, QUAL È IL RAPPORTO CON LE VOSTRE COLLEGHE? IN CAMPO TACCHETTI E SUDORE, FUORI RIVALITÀ O STIMA?
RD: Non c’è nessuna rivalità. In campo ci si
dà sempre battaglia, ma fuori c’è sincero e reciproco rispetto. Per le altre giocatrici nutro grande stima perché, come me, danno il 100% per lo sport che praticano.
MG: Un rapporto estremamente
professionale in campo, ci si aiuta e ci si confronta. Fuori dal campo ci comportiamo come ragazze normali, viviamo la nostra età. Certo, un po’ di sana rivalità c’è sempre ma fa parte dell’essere donna, poi in campo sempre unità d’intenti senza ombra di dubbio.
DA CABRINI ALLA BERTOLINI IN NAZIONALE. CAMBIA QUALCOSA NELL’ESSERE GUIDATE DA UN UOMO O DA UNA DONNA?
RD: La mia esperienza personale mi porta a dire che non cambia più di tanto. La donna, rispetto all’uomo, riesce a essere più psicologa. E in uno spogliatoio come quello femminile dove una delle maggiori difficoltà è la gestione, questo è un dettaglio molto importante. MG: Per me personalmente non cambia
molto essere allenati da un uomo o da una donna, cerco di dare il massimo sempre. Chiaramente bisogna riconoscere che una donna riesce a gestire in maniera più fluida uno spogliatoio di donne che giocano a calcio.
A GIUGNO 2019 L’ITALIA PARTECIPERÀ AI MONDIALI FEMMINILI IN FRANCIA: COSA VI ASPETTATE DAL PUNTO DI VISTA SPORTIVO? E MEDIATICO?
RD: C’è da riconoscere innanzitutto che quello raggiunto dalle ragazze è un traguardo fondamentale. Mi aspetto un seguito importante e soprattutto un grande interesse da parte della stampa, un Mondiale è sempre un evento mediatico rilevante. Che si tratti di uomini o donne fa poca differenza, spero che in tanti faranno il tifo per l’Italia. MG: Mi aspetto grande attenzione dai
media e spero che sia anche l’occasione per dare ulteriore slancio a tutto il movimento. La visibilità tuttavia è secondaria ai risultati sportivi e noi siamo pronte a dare battaglia a qualsiasi nazionale cercando di portare a casa dei risultati importanti. Non solo sportivi.
MANUELA GIUGLIANO, classe 1997, ruolo: centrocampista. Pordenone, Torres, Mozzanica, Verona, Brescia. Oggi centrocampista del Milan e della nazionale italiana. Con le Azzurre Under-17 ha conquistato il terzo posto nel Campionato europeo di categoria 2014 e nel Mondiale di Costa Rica. Una delle promesse del calcio femminile italiano, protagonista dell’azione che ha portato al 2-0 nella recente sfida contro la Juve.
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ITALIA-POLONIA
Cristian Pasquato «SOGNO ANCORA LA SERIE A» Mentre la pattuglia polacca nel nostro campionato si allarga sempre di più, c’è chi, per avere la possibilità di giocare le coppe europee, ha percorso quella strada nel senso opposto, conservando però il forte desiderio di tornare. Parole di
PIETRO ALLODI
Un 3-4-3. In porta Szczęsny. Difesa a tre con Salamon, Cionek e Jaroszynski. Centrocampo di corsa con Bereszyński e Reca sulle fasce e Zieliński con Linetty in mediana. Trio d’attacco pesante formato da Stępiński, Milik e Piątek. Giocherebbe probabilmente così la colonia di calciatori polacchi che militano oggi nella nostra Serie A. Una squadra che, essendo formata principalmente da giocatori che sono titolari nelle rispettive squadre, darebbe del filo da torcere a molti. Se Piątek – il cui cognome, in polacco, significa venerdì - è l’ultimo in ordine di tempo a essersi preso la scena grazie al suo fiuto per il gol, sono ormai tantissimi i suoi connazionali che stanno avendo successo nel nostro calcio. Questione di fame, di voglia di emergere, di lottare su ogni pallone. Questione di DNA. Vivo in Polonia da ormai due mesi e non è un caso che stia prestando sempre più attenzione ai calciatori polacchi in Italia. Abito in una bella città nel sud della Polonia: si chiama Wroclaw, si pronuncia Wrozuaf, ma per noi italiani è Breslavia. Ci sono sempre piaciute le cose semplici. Non avevo mai seguito con attenzione il calcio polacco prima d’ora. Libero da qualsiasi pregiudizio e con tanta voglia di imparare, decido di andare allo stadio di Wrocław per assistere alla gara della squadra locale, il Wrocławski Klub Sportowy Śląsk Wrocław - abbreviato in Śląsk Wrocław -, contro i più famosi rivali del Legia Warszawa. Leggendo le formazioni, un nome attira la mia attenzione: è quello di Cristian Pasquato, classe 1989, trequartista cresciuto
calcisticamente tra le fila della Juventus. Da ormai tre stagioni ha abbandonato il calcio italiano per migrare prima in terra russa e poi in Polonia. Mi stupisce vederlo qui, in quello che sembra un ingiusto esilio. A fine partita le mie urla lo fanno avvicinare alla balaustra: scambiamo due battute, poi Cristian decide di regalarmi la sua maglietta. Un gesto puro, genuino, che mi ha lasciato senza parole. Da qui la decisione di ricontattarlo e fargli qualche domanda per saperne di più sulla sua nuova esperienza. TANTI SONO I CALCIATORI POLACCHI CHE STANNO ATTUALMENTE GIOCANDO IN ITALIA. TU, INVECE, HAI FATTO IL PERCORSO INVERSO: COSA TI HA SPINTO A SCEGLIERE PROPRIO LA POLONIA? È STATO DIFFICILE ADATTARSI? Principalmente la voglia di giocare le coppe europee, un sogno che avevo fin da bambino. Quando è arrivata la proposta del Legia, una squadra con una storia davvero prestigiosa, non ho avuto alcuna esitazione. In Polonia ho trovato un calcio sicuramente più fisico e meno tecnico rispetto a quello italiano. Poi è molto equilibrato, si ha la sensazione di poter vincere o perdere contro tutte le squadre. PRIMA DI ANDARE ALL’ESTERO, HAI PASSATO DIVERSE STAGIONI IN ITALIA. QUALI SONO I PREGI DI GIOCARE E VIVERE IN POLONIA E COSA TI MANCA, INVECE, DELL’ITALIA? Giocare per il Legia è un privilegio: lottiamo per vincere
il campionato, il pubblico è straordinario, ci sostiene in ogni partita, e la città è moderna, piena di servizi di ogni genere. Dell’Italia, in assoluto, mi manca la famiglia perché vivo qui da solo, con mia moglie e i miei due figli che sono rimasti in Italia. DA CALCIATORE ITALIANO COSTRETTO A EMIGRARE, NON CREDI CHE TROPPO SPESSO, IN PASSATO, SIA STATA DATA PIÙ FIDUCIA AI GIOVANI STRANIERI RISPETTO AGLI ITALIANI? TI PIACEREBBE UN GIORNO TORNARE IN ITALIA? Sono completamente d’accordo. Forse ora si sta smuovendo qualcosa, ma è un dato di fatto che i calciatori stranieri abbiano quasi sempre la precedenza su noi italiani. Nonostante questo, sicuramente un giorno tornerò a giocare nel mio paese: l’Italia è sempre l’Italia. PARLANDO DI NAZIONALI, TI ASPETTAVI L’USCITA AI GIRONI DAL MONDIALE? La Polonia, da diversi anni, sta facendo molto bene. Ora, però, dopo l’ultimo Mondiale al di sotto delle aspettative, hanno bisogno di un ricambio generazionale. Hanno a disposizione tanti giovani talenti che hanno già esperienza internazionale e sono convinto che tanti altri esploderanno nei prossimi anni. SE CHIUDI GLI OCCHI, QUALI SONO I SOGNI CHE ANCORA SPERI DI REALIZZARE IN FUTURO? Esordire in nazionale e tornare a giocare in Serie A.
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MAPPAMONDO
la situazione degli stranieri in Italia
DA BOSMAN ALLE SECONDE GENERAZIONI Parole di
TOMMASO VALISI
Sempre più spesso si sente parlare del rapporto dei calciatori stranieri con la Serie A, ma quali sono davvero i numeri e da dove vengono esattamente questi atleti?
È sempre Argentina-Brasile Sono i due paesi sudamericani a prendersi il trono per quanto riguarda gli stranieri in A. Ben 31 i brasiliani, che da soli rappresentano quasi il 10%, mentre gli argentini seguono a ruota con ben 29 calciatori e un valore di mercato medio più alto grazie alla presenza di Dybala.
Per chi segue il calcio italiano la presenza sudamericana non è sicuramente nuova. Secondo Transfermarkt, portale di riferimento per le statistiche legate al calcio, il nostro campionato ha ospitato, dalla sua fondazione a oggi, ben 347 calciatori brasiliani e 330 argentini. Particolare però il diverso impatto che le due nazioni hanno avuto nel nostro campionato, con gli albicelesti che, grazie alla presenza di giocatori come Javier Zanetti, vincono per distacco se si guarda il numero di partite giocate.
Di ritorno a casa La massiccia presenza di queste due nazioni affonda le proprie origini nelle prime migrazioni italiane. Il Bel Paese era infatti impresso nelle menti di quelle famiglie che mai lo dimenticarono, trasmettendone l’amore ai propri discendenti. Non è un caso che in Argentina sia il River Plate che il Boca Juniors siano state fondate da italiani e non è un caso che i primi ad arrivare nel nostro campionato siano stati proprio gli oriundi. Soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, assistiamo infatti sempre di più al ritorno dei figli dei migranti, ora nuovi argentini e brasiliani. Il fenomeno si ripete poi con la 3° e la 4° nazione per presenze in A:
Uruguay e Francia. Anche queste due nazioni infatti hanno visto folle di migranti provenienti dall’Italia e anche in questo caso i loro discendenti hanno voluto tornare nella terra d’origine da vincenti.
Bosman Il paradosso è che, fino alla legge Bosman del 1995, la maggior parte degli stranieri della Serie A erano per la maggior parte essi stessi di origine italiana o comunque provenienti da uno dei paesi di punta nella migrazione italica. Per vedere l’arrivo di un maggior numero e varietà di stranieri bisognerà aspettare proprio il 1995. Da quel fatidico anno il calcio è cambiato per sempre, trasformando così la presenza straniera da rarità a routine. La presenza di questi ultimi nel nostro campionato ha poi raggiunto alcuni dei livelli più alti d’Europa: durante questa stagione infatti la percentuale è salita al 57 %, uno dei record negativi della storia sportiva italiana. La presenza di un numero sempre più alto di italiani di seconda generazione potrebbe essere un valido contrasto al problema, permettendo così al Paese di fare un passo in avanti sia a livello sportivo che di mentalità.
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Le nostre seconde generazioni: da dove vengono queste future leve calcistiche e come si intrecciano le loro storie con una realtà tanto diversa da quella d’origine? Per scoprirlo siamo andati ad intervistare Fabrizio Ciocca, sociologo romano autore del libro «Musulmani in Italia», che da anni si occupa di immigrazione nella Capitale e in tutta Italia.
L’ANNO SCORSO IL NUMERO DI CALCIATORI MUSULMANI IN SERIE A SI ATTESTAVA SULLA QUARANTINA E MOLTI DI QUESTI PROVENIVANO DAI BALCANI: COME TI SPIEGHI QUESTO EXPLOIT? VA COLLEGATO ALLA PRESENZA DI STORICHE COMUNITÀ ALBANESI IN ITALIA? «L’esplosione balcanica è sicuramente un fenomeno sempre più diffusa nel nostro campionato. Per quanto riguarda l’Albania, gli ottimi risultati raggiunti a livello calcistico negli anni ultimi culminati con il raggiungimento della qualificazione agli ultimi campionati europei, ha fatto emergere l’esistenza di buoni calciatori ad un costo relativamente basso. Inoltre la forte presenza storica di una comunità albanese in Italia - 440 mila persone più altre 100 mila naturalizzate con la cittadinanza – ha prodotto sia un contatto diretto con i talent scout in Albania (cosa che fa da diversi anni il dg della Lazio Igli Tare) sia l’emergere di una seconda generazione di giovani italiani di origine albanese nei settori giovanili».
LA PRESENZA DEI MUSULMANI IN ITALIA È MOLTO VARIEGATA E CONTIENE AL PROPRIO INTERNO ETNIE MOLTO DIVERSE: COME TI SPIEGHI CHE IL CALCIO SIA PERÒ PREROGATIVA SOLO DI CERTI POPOLI? PERCHÈ NON C’È, AD ESEMPIO, UN EL SHAARAWY BENGALESE? «Il primo motivo credo sia legato soprattutto alla diversa tradizione sportiva presente in questi Paesi. Difficilmente vediamo un ragazzo indiano nei settori giovanili delle squadre di calcio italiane, mentre invece alcuni anni fa fece rumore la naturalizzazione di diversi giocatori srilankesi e pakistani per permettergli di giocare nella nazionale italiana di cricket su prato. Viceversa, sempre più ragazzi di origine magrebina infoltiscono le rose delle Primavere, proprio perché il calcio è il primo sport anche in Egitto, Marocco, Algeria e Tunisia. Tuttavia, c’è un’altra ragione meramente pratica: per emergere, un giovane sportivo, specie se calciatore, ha bisogno di una struttura che lo segue, le famose Scuole calcio, che non sono gratuite ma anzi rappresentano un discreto costo economico, specie per una famiglia immigrata che magari vive con uno solo stipendio, e ciò comporta che molti talenti non riescano a emergere».
AL TEMPO MI COLPIRONO MOLTO LE FOTO DI SALAH IN UNA MOSCHEA ABUSIVA DI ROMA. SECONDO TE, IL FATTO CHE QUESTI GESTI SIANO SEMPRE PIÙ RARI È DOVUTO AL RUOLO DI CALCIATORE O ALLA SFERA PERSONALE?
«L’esempio di Salah che citi è un caso particolare, quello di un giocatore che non ha nessun timore a vivere la propria fede anche in campo e non ne fa mistero. Vi sono però calciatori che non hanno invece voglia di mostrare il proprio privato, magari per paura di un fraintendimento o perché preferiscono avere un approccio più soft a queste tematiche. Però, proprio perché il mondo ultras e dei tifosi in genere è un mondo di passioni irrazionali e di emozioni istantanee, non va assolutamente sottovalutato l’amore e l’orgoglio che i fan del Liverpool hanno riversato nei confronti del giocatore egiziano. Un affetto tanto grande da intonare un coro allo stadio che in italiano suonerebbe così: “al prossimo gol di Momò mi convertirò”. Un fatto notevole in un’Inghilterra dove i livelli di islamofobia sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi due anni».
IN SERIE A SI STANNO FINALMENTE INIZIANDO A VEDERE I PRIMI GIOVANI DI II GENERAZIONE, SARANNO LORO IL TANTO ACCLAMATO FUTURO? «Assolutamente si. Il futuro dello sport italiano e del calcio in particolare è ovviamente legato all’emergere delle seconde generazioni. Il problema tuttavia è che c’è un forte rischio che giovani calciatori nati in Italia ma ancora stranieri per la legge (data la mancanza approvazione dello Ius soli e Ius culturae) vengano formati a livello professionistico qui
ma, al compimento dei 18 anni, richiamati dalle rispettivi nazioni di origine, privando cosi la nostra Nazionale di futuri talenti come già successo diverse volte. Non è un caso che la Germania sia tornata in auge a livello calcistico, dopo una lunga crisi, grazie all’innesto di giocatori di origine straniera che hanno potuto beneficiare della modifica sulla legge sulla cittadinanza (non più basata sullo “ius sanguinius”), tanto da portare i tedeschi alla vittoria dei campionati del Mondo nel 2014 con giocatori del calibro di Ozil, Khedira e Boateng».
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