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LA SITUAZIONE SANITARIA IL CARICO IMMEDIATO DEGLI IMPIANTI
LA SITUAZIONE SANITARIA
Facciamo il punto e alcune considerazioni
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- a cura di Dott. Massimo Valverde -
Quando leggerete questo articolo probabilmente si saranno già tenute elezioni politiche anche se – purtroppo – in questa campagna elettorale senza fine – nessuno ha messo in campo un programma serio per cercare “raddrizzare” l’attuale situazione sanitaria limitandosi a delle semplici dichiarazioni che riporto di seguito e che certamente non affrontano in modo organico e realistico il problema. La situazione del nostro sistema sanitario oramai è giunta ad un passo dal collasso finale e in senso letterale stiamo provando sulla nostra pelle questa condizione di gravissima sofferenza. Il COVID e le risorse che sono state necessarie per arginarlo curando milioni di persone ha consumato tutte le poche riserve ancora disponibili ed oramai in tanti ospedali dal Nord al Sud del Paese non solo mancano gli strumenti, me sempre di più manca il personale. Medici, infermieri e tutti tutti gli operatori del settore che più o meno sono contato con i pazienti sono evidentemente insufficienti per far fronte alle richieste e dai “non addetti ai lavori“ ma con capacità decisionale vengono stilate fantasiose proposte di tutti i generi, dall’ ”importare” medici da Cuba o da altre nazioni e creare nuove strutture utilizzando i fondi del PNRR senza però che si abbia la certezza di poter poi disporre del personale per farle funzionare. Contemporaneamente gli abbandoni di tanti professionisti (o per meglio dire “la fuga”) per pensionamento anche anticipato o per andare a svolgere la propria professione anche all’estero e sicuramente con condizioni tecniche, umane ed economiche assolutamente più attrattive sta esplodendo e riporto tale e quale la frase di un Collega che recentemente si è dimesso dal servizio che prestava in un grande ospedale: “…dopo più di tre anni con questo ritmo di lavoro di fatto sono invecchiato di più di dieci anni e non mi sento più di andare avanti in queste condizioni… “. Già, le condizioni di lavoro elencate recentemente dal primario del reparto di medicina d’urgenza di un ospedale della cintura romana: “mancanza di sicurezza fisica personale sul lavoro, impossibilità materiale di dare una risposta sanitaria a tutti i cittadini malati che ricorrono al pronto soccorso con l’orrore di decine di pazienti ammassati anche per giorni nel pronto soccorso stesso in attesa che si liberi un posto letto o che sia possibile trasferirli in un altro nosocomio, turni interminabili lunghi ben più di quanto previsto per legge“ e a dimostrazione di questo anche il caso del primario del reparto di Medicina di un ospedale pugliese che è morto d’infarto dopo aver lavorato per 24 ore di fila. Come hanno raccontato alcuni suoi colleghi, il medico era arrivato in ospedale martedì sera per coprire il turno di 12 ore al Pronto soccorso. Poi alle 8 di mercoledì ha cominciato un altro turno di 12 ore in reparto ed era tornato a casa solo il mercoledì sera. Giovedì mattina, di nuovo in ospedale per il suo turno, è morto durante il giro visite. La cosa curiosa è che durante la fase più acuta del COVID tutto il personale sanitario è stato associato agli angeli, mentre oggi, passata la maggior ondata di rischio vengono visti tutti come diavoli che non lavorano, che offrono prestazioni discutibili e che “pretendono” dei miglioramenti sia sul piano lavorativo che economico quasi non ne avessero diritto. In compenso oltre all’idea assolutamente discutibile di “importare medici dall’estero“ (con quali risorse sarebbero tutte da capire dato che gli stipendi e le possibilità di carriera italiane sono state valutate da una recente ricerca internazionale essere agli ultimi posti in tutta l’Europa), per fare fronte alla generalizzata carenza drammatica anche dei medici di medicina generale la Regione Lazio ha proposto di eliminare il limite di 70 anni per andare in pensione che regola la loro convenzione professionale e di certo molte altre Regioni si accoderanno a questa proposta. D’altra parte qualcuno ha proposto di creare dei veri e propri ircocervi trasformando i medici di medicina di base, che legalmente sono dei liberi professionisti che accettano di lavorare per il Servizio Sanitario Nazionale sulla base di un rapporto di convenzione (che – per altro – non viene rinnovato da circa 10 anni), anche e contestualmente in professionisti con un incomprensibile contratto parasubordinato per un certo
numero di ore alla settimana. Infine qualcuno ha proposto di assumere nel sistema sanitario nazionale tutti i medici, ovvero sia gli ospedalieri (che lo sono già) e sia i medici di base e qualche perfido commentatore ha già fatto presente che mentre le casse dell’INPS sono permanentemente in difficoltà, quelle dell’ENPAM (ovvero il fondo pensione autonomo dei medici di base e dei liberi professionisti) sono in florido equilibrio e i molti miliardi che lo costituiscono fanno gola a tanti, e per prima all’INPS stessa. Tutto questo mentre in questi giorni si è svolto l’esame di ammissione alla facoltà di medicina e meno della metà degli aspiranti, malgrado sia stata sensibilmente abbassata l’asticella del voto minimo di ingresso, sono riusciti a conquistare un posto tra i promossi realizzando così il peggior risultato di sempre, tacendo poi il fatto che - statistiche alla mano – una fetta che a seconda delle annate va dal 25 al 35 % degli iscritti abbandonerà la Facoltà di Medicina. La Ministra ha promesso che dall’anno prossimo sarà modificato lo schema della selezione di ingresso e che dal 4° e 5° anno di liceo inizierà una preparazione specifica per quegli studenti che in seguito vorranno intraprendere la professione sanitaria, ma data per buona l’idea, occorreranno ulteriori altri anni prima di avere un professionista adeguatamente preparato, senza contare poi che la scuola dovrà per prima cosa trovare le adeguate gli insegnanti in possesso realmente di una solida preparazione professionale nel campo della chimica, della medicina, della matematica, della biologia, della fisica, etc. etc. e sarà un rebus trovare figure di questo calibro professionale che accettino di lavorare per degli stipendi notoriamente ridotti. Quello che risulta veramente incomprensibile è come sarà possibile coprire il gap di personale sanitario che durerà per lo meno ancora 10 – 12 anni che è il tempo minimo necessario per preparare in modo corretto un nuovo medico in grado di lavorare in modo autonomo avendo ricevuto una preparazione tecnica ed esperienziale adeguata senza poi farli fuggire a fronte di stipendi miserandi. A questo punto almeno per bloccare l’emorragia di tutti i lavoratori della sanità e cercare di tamponare in tutti i modi le falle degli argini che oramai rischiano di crollare, forse l’unica via possibile potrebbe essere quella da un lato di investire seriamente, velocemente e pesantemente in strutture, impianti e sicurezza (non dimentichiamoci che per motivi economici negli ultimi anni sono stati chiusi o non completati diverse centinaia di ospedali su tutto il territorio nazionale) e dall’altra di offrire dei ragionevoli incentivi economici a tutte le figure sanitarie per portare la loro condizione economica almeno a quella della media europea a parità di ore di lavoro e di impegno professionale.