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Numero 8 | giugno/luglio 2010 - anno III

Rivista mensile dedicata alla letteratura gialla e noir. Edizione gratuita

a pagina 8 La recensione

a pagina 9 La recensione

a pagina 10 L'intervista

E rimasero impuniti

Un tipo tranquillo

Nicolai Lilin

Chiara Perseghin

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Il ritorno di Kane, cuore di tenebra alan D. altieri fotografato da Max De Martino

Francesca Colletti


editoriale

Non chiamatela letteratura da ombrellone

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a stagione del sole è finalmente arrivata. Quella delle letture da spiaggia, dove non c'è nulla da pensare, basta evadere. La tentazione alla facile associazione, pertanto, è forte. Quale? Ovvio: quella che trova nel giallo il compagno perfetto da ombrellone.

S Paolo Roversi

appuntamenti

I maestri del giallo reloaded

toria vecchia: in autunno si assiste alla sfilata dei grossi calibri, i nomi altisonanti della letteratura seria – quelli da mettere in bella mostra libreria - mentre da giugno e settembre, fra sabbia e olio solare, si leggono i gialli. Ci cadono persino coloro che durante l'anno li detestano e li schivano; magicamente col caldo e l'afa quelle letture vanno benissimo. E mentre lo scrivo non so se sorriderne o disperarmi... Tanto impegno e fatica per essere ridotti al rango di letteratura estiva non è certo esaltante ma noi lo vo-

GIO 16 settembre ore 18,00 Paolo Roversi

sab 25 settembre ore 10,00 Patrizia Debicke

sab 2 ottobre ore 10,00 Adele Marini

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ate una prova, sceglietene uno a caso fra quelli segnalati in questo numero e metteteli alla prova: vedrete che i mesi estivi passeranno veloci e voi arriverete a settembre pronti per le nostre nuove iniziative. Al Festivaletteratura di Mantova, innanzi tutto, dove verrà presentato il nuovo numero di MilanoNera Mag e

dove promuoveremo alcune iniziative importanti insieme ad amici, scrittori e, naturalmente, a voi lettori. Luogo, ora e sorprese le sveleremo a tempo debito sul portale: non rimarrete delusi!

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i aspettiamo poi il 19 settembre, sempre nella Bassa, a Suzzara, per l'assegnazione del primo Premio NebbiaGialla di letteratura poliziesca. Anche voi potete mettervi in gioco sin da ora e cercare di prevedere chi fra Gianfranco Nerozzi, Eugenio Tornaghi e Enrico Pandiani coi loro tre bei romanzi si aggiudicherà il titolo. Una sfida che vi varrà anche tre buone letture da spiaggia. Non etichettatele, però, come letteratura da ombrellone; chiamatele, se volete, emozioni su carta.

~ In Redazione ~

MilanoNera E20

Premio Nebbiagialla 2010 Nerozzi, Tornaghi e Pandiani: i finalisti della prima edizione del premio Nebbiagialla. Scopri il vincitore il 19 settembre.

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orna la nuova edizione de I Maestri del Giallo, il laboratorio intensivo di scrittura dedicato agli amanti della letteratura gialla e noir. Paolo Roversi, Adele Marini, Patrizia Debicke, ci guideranno nei meandri della tecniche di scrittura. Tre incontri di tre ore ciascuno per scoprire come imparare a scrivere, editare e leggere un romanzo, a partire dalla coerenza, verosimiglianza e consequenzialità, le caratteristiche fondamentali di un buon giallo. Il laboratorio è rivolto a tutti i lettori e aspiranti scrittori di letteratura gialla e noir. Iscrizioni entro il 5/09/2010 a: francesca.colletti@mne20.com. Il costo del laboratorio è di 125 Euro.

gliamo vedere come un punto di partenza per sedurre nuovi lettori. Certo, è anche vero che, visto il livello di parecchi romanzi di genere pubblicati ultimamente, la tentazione a scoraggiarsi verrebbe... Non qui comunque, non a noi. Non su questa rivista dove sosteniamo il vessillo della letteratura di qualità: romanzi per tutti i giorni e non solo per una stagione selvaggia. Romanzi di genere, certo, ma non per questo con meno dignità tanto da essere considerati figli di un Dio minore.

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velata la rosa dei tre finalisti che si contenderanno la prima edizione del Premio NebbiaGialla per la letteratura noir e poliziesca, relativo a opere di scrittori italiani. Gianfranco Nerozzi Il cerchio muto (Nord) 58 Voti Eugenio Tornaghi Il debito dell’ingegnere (Todaro) 47 Voti Enrico Pandiani Les Italiens (Instar) 45 Voti La Giuria di qualità, composta dal presidente Paolo Roversi e dai giallisti ospiti dell’ultima edizione del NebbiaGialla Suzzara Noir Festival, Simone Sarasso, Valerio Varesi, Giulio Leoni,

Davide Barilli, Patrizia Debicke e Adele Marini, ha decretato i tre romanzi finalisti. Toccherà ora alla Giuria popolare, composta di 50 lettori, designati a sorteggio fra coloro che ne avranno fatto richiesta all’Istituzione Città di Suzzara, scegliere il vincitore. I voti della Giuria saranno scrutinati pubblicamente nel mese di settembre, durante la Festa del Crocefisso: sarà dichiarato vincitore il libro che ha ottenuto più voti dalla Giuria Popolare. All’autore vincitore andrà un premio in denaro di 2mila euro. Al secondo e terzo classificato andrà un premio di 500 euro. Il Premio NebbiaGialla per la letteratura noir e poliziesca, nasce dall’omonimo Festival, ideato e diretto dallo scrittore Paolo Roversi, dedicato alla letteratura gialla e noir che si tiene nella cittadina della bassa. Nato da una scommessa, il NebbiaGialla Suzzara Noir Festival, da quattro anni è diventato un appuntamento fisso per gli amanti del giallo: tre giorni all’insegna della cultura in una dimensione familiare, come quella di una piccola cittadina, in cui gli scrittori, tra presentazioni, tavole rotonde, workshop di scrittura creativa, aperitivi e il tradizionale pranzo con l’autore, raccontano i loro romanzi e si confrontano col pubblico.

MILANONERA Periodico mensile, n. 8 anno III Redazione: Via Galvani 24, 20124 Milano - Tel. +39 0200616886 www.milanonera.com EDITORE MilanoNera Eventi S.R .L. www.mne20.com DIRETTORE RESPONSABILE: Paolo Roversi paolo.roversi@mne20.com CAPOREDATTORE: Francesca Colletti francesca.colletti@mne20.com REDATTORI: Adele Marini adele.marini@mne20.com Fabio Spaterna fabio.spaterna@mne20.com Hanno collaborato a questo numero: Fabrizio Fulio Bragoni, Patrizia Debicke, Andrea Ferrari, Giampietro Marfisi, Cristina Marra, Stefania Perosin, Chiara Perseghin,Giovanni Zucca IMPAGINAZIONE E PROGETTO GRAFICO BloodyGraphX Bloodygraphx@gmail.com PUBBLICITà fabio.spaterna@mne20.com SERVICE E PUBBLICITà TESPI s.r.l., C.so V. Emanuele II 154 00186 Roma Tel. 06/5551390 - mail: info@tespi.it STAMPA SIEM, Via delle Industrie, 5 Fisciano (Sa) Registrazione presso il Tribunale di Milano n° 253 del 17/4/08

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Fabrizio Fulio Bragoni

R.B. Kane, il ritorno di cuore di tenebra Torna Sergio “Alan D.” Altieri e torna il tenente colonnello Russell Brendan Kane. E proprio alla figura mitica del master-sniper, del tiratore scelto dello Special Air Service dedicata questo nuovo volume, Killzone (Tea), che raccoglie sei racconti e un inedito, Dry Thunder.

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ergio “Alan D.” Altieri; nel tuo racconto Joshua Tree, si legge che “l'anticristo siamo noi”, e il resto di Killzone, sembra chiarire il concetto: l'“armageddon” non più come catastrofe nucleare legata al contrasto tra superpotenze, ma effetto dell'operato di grandi società o corporazioni, e dei loro eserciti di “contractors”... visione distopica del futuro, o ritratto smaliziato del mondo contemporaneo? È una semplice eventualità, o le cose stanno già così? A mio parere, le cose stanno già così; voglio dire, i mercenari sono sempre esistiti, penso alle varie guerre africane dagli anni '50 in avanti, ma non solo... abbiamo visto guerre come il Vietnam, o l'occupazione russa in Afghanistan ecc., ma ormai viviamo un momento in cui persino un paese come l'Italia ha rinunciato ad avere un esercito “nazionale”, abolendo la leva. Penso che la prima guerra in Iraq, quella del 1990, sia stata l'ultima combattuta da eserciti nazionali in senso “tradizionale”. Dal 2001, le cose sono cambiate... C'era una bella frase nel libro Jarhead, quello da cui è stato tratto il film di Sam Mendes, una frase che chiariva molto bene la situazione: si diceva noi non siamo l'esercito americano, noi siamo la brigata petrolio, carbone, diamante ecc. E, da allora, sono passati vent'anni.

Tra fine degli eserciti nazionali e tracollo delle ideologie, rinasce uno spazio per i cavalieri solitari se non “senza macchia”, almeno “senza paura”; personaggi che, pur avendo fatto della guerra un mestiere, hanno ritrovato una forte etica personale. Sbaglio? Purtroppo si tratta quasi esclusivamente di figure inventate per la letteratura o per il cinema; la realtà delle cose è ben diversa. È che c'è sempre bisogno di protagonisti

Killzone Alan D. Altieri Tea, p.264, € 12,00

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eroici, un po' come per i videogame: nessuno ne vuole uno con un protagonista serial killer... Qual è, in tutto questo, lo spazio per un personaggio come il tuo Kane? Il mio è un personaggio che ha vissuto una transizione: nei primi romanzi del ciclo faceva parte di un esercito, ma poi, nel tempo, i suoi rapporti con l'autorità si sono per così dire sfilacciati. Nel terzo romanzo, Victoria Cross, Kane ha anche tentato un riscatto, ma poi è tornato a fare quello che sapeva fare: il mercenario. Questa antologia, Killzone, consolida la transizione; si ricollega ai romanzi, riprendendo, con Dry Thunder, il finale di Victoria Cross, e raccontandolo da un altro punto di vista. Nella prefazione a Dry thunder, si legge che i romanzi della serie di Kane sono “per ora” tre. C'è un quarto episodio in arrivo? C'è un quarto episodio in preparazione, Orizzonti d'acciaio, ma la serie completa, per come l'avevo concepita, sarà composta di cinque episodi. Quindi avevi già in mente una parabola completa, quando hai iniziato a raccontare le avventure di Kane? Sì, è così. Quando ho iniziato a scrivere Campo di fuoco, avevo già in mente di farne una serie. La domanda è forse banale: la riedizione di tutti i tuoi racconti, raccolti in volume da TEA, è la celebrazione di un'opera il cui valore è ormai universalmente riconosciuto; parlando di “nuove leve”, invece, quali sono, gli autori da tenere d'occhio? Be', questa è una domanda che mi viene rivolta molto spesso, e alla quale rispondo volentieri: al momento, per quanto riguarda il panorama del “genere”, in Italia ci sono in attività tre generazioni di scrittori: cinquantenni, quarantenni e trentenni. Per quanto riguarda le “nuove leve”, e quindi i trentenni, seguo con grande piacere Barbara Baraldi, che è in grado di spaziare tra generi diversi, dal noir al gotico ecc., Stefano Pigozzi, vincitore del premio tedeschi 2006 con Metal Detector, Mauro Baldrati, autore di La città nera, Pier Nicola Silvis, recentemente passato da Fazi a Cairo editore, con il quale ha pubblicato il conspiracy thriller Gli anni nascosti, Simone Sarasso e Patrick Fogli. Gli scrittori che ho citato, in fondo, non hanno tutti la stessa età, ma sono emersi tutti negli ultimi anni... e poi c'è Giuseppe Genna, che secondo me, è uno dei più importanti autori italiani contemporanei.

LO SCRITTORE/EDITOR Alan D. Altieri fotografato da Max De Martino Ultima domanda; negli ultimi tempi, molti giovani autori hanno manifestato una certa tendenza a minimizzare l'importanza della suggestione cinematografica nella loro formazione di narratori, confessando, piuttosto, influenze televisive; da veterano della letteratura di genere e sceneggiatore, qual è il tuo punto di vista? Be', io preferirei che questo genere d’influenze non esistesse. Voglio dire, ormai sappiamo che quello che vediamo in televisione è tutto finto... un esempio? I veri esperti americani, considerano C.S.I. come appartenente al genere “comedy”. Ma l'influenza televisiva può essere utile per imparare a strutturare le storie; ecco, forse quello che vorrei dire a questi ragazzi è che solo se c'è un'osservazione, un'analisi, un concetto di base, l'influenza della televisione può diventare positiva.

Il mio è un personaggio che ha vissuto una transizione: nei primi romanzi faceva parte di un esercito, ma poi, i suoi rapporti con l'autorità si sono sfilacciati.

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Il mio è un personaggio che ha vissuto una transizione: nei primi romanzi del ciclo faceva parte di un esercito, ma poi, nel tempo,


RACCONTI

Storiacce d'autore

Paolo ROVERSI Patrizia DEBICKE Omicidio in via due ponti

di Patrizia Debicke

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on c’era luce… Parcheggiò la macchina sulla destra, a un isolato di distanza scese e chiuse. Statura media, jeans, giubbotto, capelli scuri. Un anonimo nessuno. Via due Ponti era deserta. L’orologio gli disse: le tre e mezzo. Camminò diritto verso il seminterrato senza affrettarsi e alzò gli occhi. Il sovrapporta di vetro era scuro. Dentro non c’era luce. Infilò i guanti, prese la chiave e apri. Chiamò una, due volte… si fermò ad ascoltare … Silenzio. Il ‘saggio’ aveva ragione. Quello che aveva versato al Quick nel bicchiere del trans, era efficace. Accese la torcia e guardò il disordine che lo circondava. Il cucinotto era invaso dalle stoviglie. Sopra il tavolo una bottiglia di wisky quasi piena e il portatile acceso. Lo spense, lo prese e continuò il suo giro. Il bagno era minuscolo. Doccia, water, bidet e… lavandino: chiuse il tappo, ci mise dentro il computer, aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua fino a riempirlo. Lasciò bene in vista le gocce di Minias. Tornando indietro, raccolse al volo la bottiglia poi, illuminando i gradini, si arrampicò sulla scaletta del soppalco. Brenda dormiva come un sasso rivolta verso di lui. La scosse, le puntò il raggio in faccia. Mugolò irosa, girandosi dall’altra parte. MILANO•6•NERA |

Il Minias aveva funzionato a dovere, il saggio aveva fatto un buon lavoro. Ora cominciava il suo. La borsa era appoggiata accanto al materasso. L’afferrò e la capovolse. Rossetto, kleenex, pinzette, caramelle, preservativi si sparpagliarono disordinatamene. Li ignorò e invece ripulì il portafogli da fogli, foglietti e quanto c’era, lasciando documenti e denaro. Poi afferrò i cellulari e se li mise in tasca. Due grosse valigie erano allineate di fianco al materasso. Brenda doveva usarle come cassettone. Rovesciò a terra il contenuto della prima. Calze, magliette e biancheria costosa, da puttana. Svuotò la bottiglia sopra gli indumenti Poi aprì lo zippo e l’accese. Lo lasciò cadere sopra un body leggero con le trine. La fiammella si mosse tra la seta, allungandosi timidamente, poi si slanciò vorace, cominciando ad assaporare il tessuto. Prendeva forza. Era ora di andarsene. Scese rapidamente e raggiunse la porta. Uscì, richiuse dietro di sé e si avviò tranquillamente verso la macchina. Mise in moto e fece la manovra in due tempi per tornare da dove era venuto. Quando passò davanti alla casa di Brenda rallentò, girando la testa. Si vedeva luce sopra la porta… Accelerò e mise la terza.

Il cinese col machete di Paolo Roversi

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elosia. Il movente che preferisco. Meglio dell'invidia, della brama di potere o del denaro. Mi piace perché è imprevedibile. Cova sotto la cenere per settimane, mesi magari, e non sai mai quando ti brucerà. Stamattina a scottarsi sono stati in due, una coppia clandestina. I nomi non hanno importanza; tanto non riesco a pronunciarli. Siamo appena usciti di pattuglia quando ci chiamano d'urgenza; arriviamo lì un attimo con la volante , via Lattuada angolo via Tiraboschi nel cuore pulsante della Chinatown milanese. Io e il collega procediamo cauti. Qui sono abituati a risolvere le controversie a modo loro. Questa volta, però, è diverso. Hanno chiamato noi. Così atterriamo lì: gli extraterrestri in divisa blu. Gli sbirri. Completamente fuori dagli schemi. Nostri e loro. Per questo dico che la gelosia è il movente che preferisco. Il più semplice e, forse, uno dei più bestiali. Istinto puro che ha lacerato anche questa comunità generalmente molto chiusa. Ci accoglie una piccola folla. Pare di essere a Shangai; io e il collega siamo gli unici italiani. Prima di entrare nel ristorante, il Soy, dove è accaduto il fatto, attendiamo che arrivi l'altra volante e i soccorsi. Dopo una decina di minuti entriamo insieme a quelli dell'ambulanza. C'è sangue ovunque. Il medico è letteralmente sollevato di peso e portato al cospetto di due feriti: un uomo ed una donna. Lei devastata, lui messo male ma non in condizioni dispe-

rate. In pochi parlano italiano, ma riusciamo comunque a ricostruire i fatti. Il macellaio è il fidanzato della ragazza; ventitré anni appena. Lo troviamo stordito e legato come un salame: per bloccarlo hanno dovuto usare le maniere forti, ci spiega un vecchietto sdentato con la barbetta bianca. In quattro: un barista, un panettiere, un dipendente di una concessionaria d'auto e un ecuadoregno che passava per strada a bordo del suo furgone. Vedendo il fuggitivo è sceso con la mazza da baseball che teneva in cabina e l'ha randellato per bene. Cose da pazzi. Il collega vuole blindare anche lui ma gli dico di lasciar perdere. Anche l'aggressore non scoppia di salute: ha la faccia tumefatta e due denti persi per strada. Non parla italiano. Ha l'aria, però, di uno che si è sfogato a dovere. Stando ai racconti è entrato nella cucina del locale e li ha sorpresi insieme: la sua dolce metà e un suo collega che lui sospettava da tempo essere l’amante. Abbracciati davanti a tutti. “Nessun lispetto. Molto disonoLe” Non c'ha più visto: ha imbracciato un machete e ha cominciato a giocare al giustiziare. Un machete capito? Azione premeditata per quanto mi riguarda. Chi è che va in giro con una mannaia? Voleva farci il sushi con la sua ragazza. Sì, lo so che non è roba cinese ma rende l'idea. Li ha rincorsi per tutto il locale menando fendenti da paura finché non l'hanno disarmato. Ora la ragazza è al Policlinico in condizioni disperate. L'amante se la caverà nonostante le ferite alla testa. Per noi il caso è chiuso e finalmente possiamo andarcene al bar per un caffè. | Numero 8 - anno III



recensioni E rimasero impuniti Antonella Beccaria Socialmente, p.124, € 12,00

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8 giugno 1982. Il banchiere Roberto Calvi viene trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri, sul Tamigi. Ma perché Roberto Calvi avrebbe dovuto andare in Francia per suicidarsi? Nulla è come sembra. Sì, perché quello che all’inizio venne bollato come un suicidio, si scoprirà in seguito che suicidio non era. Ma se Calvi non s’impiccò volontariamente sotto il ponte dei Frati Neri con una corda arancione, chi fu a ucciderlo? Se sperate di trovare la risposta a questa domanda leggendo il libro di Antonella Beccaria, beh allora non state cercando un libro, un saggio, ma un oracolo. E quindi? Cosa ci dobbiamo aspettare da E rimasero impuniti? Semplice. Un libro, anzi un saggio, che ha il pregio di farsi leggere come fosse un noir oggi tanto di moda - ma che vi racconta un pezzo della nostra storia contemporanea. E così, partendo dall’omicidio di Calvi - rimasto impunito, come recita il titolo del libro - l’autrice ci guida attraverso una ridda di persone che tutti noi conosciamo: Michele Sindona, Paul Marchinkus, Licio Gelli, Umberto Ortolani (il braccio destro di Gelli), Callisto Tanzi, Bettino Craxi, Solidarnosc e tanti altri, tutti entrati direttamente o indirettamente in contatto con Calvi, con il Banco Ambrosiano o con lo IOR, la banca del Vaticano. A volte, lo confesso, leggendo E rimasero impuniti si ha la sensazione che, sostituendo qualche nome con alcuni protagonisti della scena italiana attuale, Antonella Beccaria ci stia raccontando la storia di oggi e non quella di quasi trent’anni fa. Chiara Perseghin PROIETTILI D’ARGENTO Élmer Mendoza La Nuova Frontiera,p.272 ,€16,00 Traduttore P. Cacucci

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envenuto, comandante Edgar Mendieta, detto Zurdo (il Mancino), della polizia messicana. Dici Messico e pensi subito ai narcos, ai cartelli della droga che fanno il bello e il cattivo tempo dalle parti di Culiacán (e non solo). Come quello del “famigerato Valdés” un omino anziano e malato, che ha poteri di vita e di morte. Si parte con il cadavere di Bruno Canizales, avvocato, una pallottola d’argento in testa.

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No, niente licantropi. Nella vita di Mendieta ce ne sono già troppi, di mostri (come quel prete, che da bambino…) Invischiato in un’indagine che il potere vuol vedere archiviata (il padre del morto sta per candidarsi a un’alta carica politica, con il sostegno di Valdés) lo Zurdo dovrà destreggiarsi tra amanti deluse, poliziotti pronti a chiudere gli occhi, un medico legale assatanato, la figlia bisex di Valdés e gli AK-47 dei suoi gorilla. E una donna dal profumo ammaliante, che sa esercitare una seduzione mortale. Un cellulare ossessivo con la tromba della cavalleria, altri cadaveri che si aggiungono al primo… Poi, Mendieta si imbatterà in una verità sgradevole, anche per lui, e lascerà che una giustizia sui generis celebri un macabro trionfo. Colori, odori, cibo e alcol e un paese dove ogni regola è stravolta, per un buon noir nevrotico e nervoso (grazie anche a Pino Cacucci), in cui la scelta di non marcare graficamente il discorso diretto, lo spostamento del punto di vista e il frequente ricorso all’introspezione rischiano talora di confondere il lettore distratto. Giovanni Zucca Cinebrivido José Pablo Feinmann Marcos y Marcos, p.391, € 11,50 Traduttore G. Maneri

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on Cinebrivido dello scrittore argentino José Pablo Feinmann la suspense ed i brividi del cinema hollywoodiano dell’età d’oro diventano romanzo. Il plot, al limite tra fiction cinematografica e realtà, ruota intorno al protagonista: il cineamatore Fernando Castelli. Commesso nella videoteca “Il bacio della morte” e impiegato alla casa di produzione cinematografica Todofilm, Castelli diventa sceneggiatore di una true story per accontentare la richiesta della famosa produttrice americana Greta Toland e raggiungere la notorietà. La storia thriller che Fernando racconta accade in tempo reale e dietro l’identità del serial killer Van Gogh, Fernando uccide a colpi di rasoio per poi sceneggiare le sue imprese omicide seguendo i consigli del suo alter ego Jack lo Squartatore. Degli omicidi seriali che sconvolgono Buenos Aires si occupa il fanatico commissario Pietri e, suo malgrado, l’esperto ispettore Colombres. La finzione cinematografica interferisce con le vite dei personaggi e s’insinua nelle loro scelte e offre lo spunto all’autore per rendere reali scene e interpretazioni memorabili. Feinmann con ironia scrive un romanzo-sceneggiatura che celebra il grande film d’autore e lo sfrutta per svelare i tratti di una società sopraffatta e spesso vittima di modelli di riferimento sbagliati o distorti. Cristina Marra

I delitti di uno scrittore...

Mikkel Birkegard Longanesi, p.361, € 18,60 Traduttore B.Berni

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l ritorno atteso di Mikkel Birkegard, dopo il successo italiano del suo I libri di Luca ci trasporta in un ambiente e una dimensione diversa, dove si privilegia l’angoscia. La vita di Frank Fons, celebre scrittore danese, è diventata piatta, solitaria, ripetitiva. I suoi thriller, contorti e al limite della follia ma che gli hanno regalato il successo internazionale, hanno provocato la disgregazione della sua famiglia. Da oltre dieci anni vive da solo, squallidamente, in una casa di vacanza, restando per ore a tavolino a scrivere a computer quando non si dedica a vuotare una bottiglia. Ma una mattina lo squillo del telefono gli porta una terribile notizia: una ragazza è stata ritrovata torturata e annegata in una cittadina della costa vicina alla sua abitazione. E, incredibile e spaventoso, le circostanze della morte sembrano le stesse di uno dei delitti descritti nel suo nuovo romanzo, Zona pericolo, che sta per presentare alla fiera del libro di Copenhagen. Ma quella morte è solo l’inizio di un incubo: giunto nella capitale, un altro crimine viene compiuto e, questo, secondo il copione di un altro suo libro. Un piatto freddo. L’assassino insiste nelle sue macabre rappresentazioni. Com’è possibile? Gli indizi lasciati, che suggeriscono altri delitti a venire, costringono lo scrittore a entrare in scena, ma non impediranno il terzo orribile, sanguinoso omicidio, sulla fotocopia di un altro suo thriller, Una donna da poco. Annichilendosi nell’alcol, Fons cerca un movente, un perché e infine scopre che lo sconosciuto, evidentemente suo lettore accanito, vuole emendare i suoi romanzi da alcune imperfezioni… Come fermarlo? Patrizia Debicke La strada Cormac McCarthy Einaudi, p. 218, € 18,00 Traduttore M. Testa

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l paesaggio è spettrale. La terra, pianeta sovrappopolato da megalopoli che piano piano hanno strappato il verde in maniera dissennata, mettendola in pericolo, non c’è più. Non c’è sole. Tutto ha un unico colore: il grigio della cenere che ricopre ormai ogni cosa. Anche la neve, che cadeva bianca e soffice,

ha assunto la stessa tinta e si è uniformata al resto del paesaggio, la cui monotonia è rotta dagli alberi bruciati, che come oscuri totem si ergono ostinati, come aspettassero che qualcuno arrivi a riportarli in vita. Ma ogni tanto il silenzio è rotto dallo schianto di uno di loro che non ce l’ha fatta ad aspettare. I protagonisti del romanzo di Cormac McCarthy si muovono in un’America ormai fantasma. Sono un padre e un figlio. Non pronunciano i loro nomi, forse li hanno dimenticati, impegnati come sono a cercare di rimanere vivi per perdere tempo in convenevoli. Non sono gli unici a vagare come lupi affamati alla ricerca di una carogna che possa saziare la loro fame. Ogni tanto, lungo la strada incontrano degli altri esseri umani, che come loro probabilmente attraversano l’America per raggiungere il mare, con la speranza che almeno l’acqua possa serbare ancora un po’ di vita. Cormac McCarthy tratteggia con sapiente maestria il rapporto tra padre e figlio. Un padre disperato, la cui sola preoccupazione è la salvezza del figlio. Una pistola per proteggere entrambi e un carrello con tutti i loro averi: un cumulo di coperte lerce e del cibo, quando riescono a trovarlo. Il registro del racconto può suonare monotono, ripetitivo, ma è solo un artificio narrativo usato da McCarthy per suscitare nel lettore la stessa angoscia provata dai protagonisti. Anche il bambino, non del tutto convinto che il padre si comporti sempre nel modo giusto, ripete ossessivamente, come una filastrocca che probabilmente il padre gli ha insegnato per tranquillizzarlo dalle sue paure: “Perché noi siamo i buoni. E portiamo il fuoco.” Chiara Perseghin Virus Alessandro Canassa Vigliani Socialmente, p.124, € 12,00

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Mettiamo subito in chiaro che il libro, a dispetto del titolo, non tratta di una malattia, o meglio, non di una forma tradizionale di malattia. Insomma, non fatevi ingannare dal titolo. Ma allora, se non si tratta di una malattia (ma potrebbe anche esserlo) di cosa parla questo romanzo? Un semplicissimo binomio: Virus = TV. Insomma una sorta di denuncia del sistema televisivo celata sotto la maschera di un romanzo noir. Il protagonista, Max Ribaldi, che Alessandro Canassa Vigliani descrive minuziosamente in apertura, quasi a voler fugare ogni dubbio, potrebbe essere uno dei grandi magnati proprietari televisivi. Silvio Berlusconi? Sì, questo è il primo nome che subito si potrebbe associare a Max Ribaldi, ma anche un Rupert Murdoch potrebbe calzare perfettamente i panni del protagonista di Virus.

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recensioni Nel romanzo Canassa Vigliani ci guida, come un perfetto Cicerone, all’interno del sistema televisivo, quello pubblico, un po’ - anzi molto ˗ in stile Mediaset, incentrato com’è su Veline e Reality Show, mostrandocelo attraverso gli occhi di uno dei suoi pezzi da novanta, Max Ribaldi appunto, che a sua volta lo vede scorrere sullo schermo di un televisore. Ma perché il protagonista, invece di muoversi direttamente all’interno del mondo televisivo vede la TV da lui stesso creata attraverso il display di un apparecchio televisivo? Se sono riuscita ad attirare la vostra curiosità, leggete Virus di Alessandro Canassa Vigliani e troverete la risposta. Chiara Perseghin OSCAR WILDE E... Gyles Brandreth Sperling&Kupfer, p. 348, € 17,90 Traduttore A. Garavaglia

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on solo Oscar Wilde, bensì anche il celebre Arthur Conan Doyle o la Divina Sarah Bernhardt e ancora, seppure per una breve apparizione, Emily Brontë, Louisa May Alcott, Henry James, Jules Verne, Emile Zola – insieme a molti altri illustri artisti e letterati di fine Ottocento – sono i personaggi che popolano le pagine di questo piacevole romanzo, dal titolo Oscar Wilde e il sipario strappato. Si tratta del terzo volume riconducibile all’'Oscar Wilde Mystery Series', con la quale lo scrittore britannico Gyles Brandreth ha riportato il poeta irlandese a nuova vita. Grazie alla penna di Brandreth, infatti, Wilde diventa un astuto detective impegnato a risolvere misteriosi casi di omicidio, senza dismettere mai le elegantissime vesti di fine esteta e dandy letterato, che indossa nel nostro immaginario più banale. E sarà forse per non deludere quest’immaginario che il personaggio è costretto a pronunciare i suoi famosi aforismi così spesso, finendo per risultare senz’altro più convincente quando, sullo sfondo di una spumeggiante Parigi di fine secolo, si trasforma in ironico Sherlock Holmes alle prese con indizi nascosti fra tartine al caviale e fiumi di Perrier Jouët, spettacoli teatrali e feste dissolute, partite a carte e sbornie d’assenzio. Riuscirà il nostro eroe a smascherare il responsabile delle inspiegabili morti che sconvolgono la compagnia teatrale di Edmond La Grange? Attraverso una stuzzicante mise en abyme si snoda questo mistery, vagamente manierato, ma vezzoso, davvero perfetto per dilettarsi sotto il caldo sole di luglio.” Stefania Perosin

giugno/luglio 2010 |

La caccia di S. Klein Francesco Lomonaco Mursia, p.500, € 18,00

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942. Un ebreo tedesco fuggito dalla Germania con il compito di stoppare il più ardito piano antisemita del Führer: sterminare gli Ebrei in Palestina, ai quei tempi Protettorato Britannico. Un commando di sei uomini sta preparando la Shoah in Medio Oriente, e solo Salomon Klein Ebreo Tedesco può evitare la strage. Un romanzo storico militare che educa oltre i suoi meriti letterari: spiega una situazione passata che ha tuttora influenza sul nostro presente e soprattutto su quello del Medio Oriente. Il terrore degli Ebrei ieri, e di Israele oggi, di essere cancellati per sempre dalla Terra, e la conseguente azione di eccessiva difesa che oggi leggiamo sulle pagine dei giornali e dei quotidiani. La condizione ambivalente e devastante dell’essere Ebrei e Tedeschi allo stesso tempo, riscoprendosi sionisti “per esclusione”: non nazisti, non più tedeschi, un po’ Ebrei, molto nazionalisti in una Nazione che non è esistita fino al 14 maggio 1948. Una spy story fatta di spionaggio e controspionaggio, dove si mischiano personaggi reali e immaginari, una tensione e una maledetta serietà propedeutica a tutti coloro che si avvicinano alle tematiche sioniste e che cercano di interpretare e capire i fatti che accadono in quella zona del mondo che da anni è il centro nevralgico di tutta la politica estera dei Paesi del Mediterraneo, dell’Europa ed anche dell’America. Giampietro Marfisi La bambina di vetro Jodi Picoult Corbaccio, p. 575, € 19,60 Traduttore L. Corradini Caspani

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raro che la vita dispensi con generosità solo lunghi anni sereni. Se guardo dietro di me vedo gioie, ma anche tanti, forse troppi dispiaceri, dolori e rinunce mischiati a un costante, cocciuto tentativo di riemergere e andare avanti. Forse anche questo mi porta a essere un turbine scatenato come talvolta mi descrivono gli amici. Ho affrontato La bambina di vetro con le molle. Non volevo leggerlo, non volevo lasciarmi trascinare nella sofferenza. Fa troppo male, lo so. Poi ho ceduto. Ne valeva la pena. E’ un libro bello, dolce, che affascina e commuove. Convincente, scritto benissimo ti avvolge nelle sue spire, costringendoti a continuare masochistica-

mente a bruciare le pagine, capitolo per capitolo. Non auguro a nessuno di trovarsi a vivere la vita degli O’ Keefe, con la loro piccola tenera e coraggiosissima Willox la bambina affetta da OI, o osteogenesi imperfetta, ossia la malattia delle ossa di vetro. Destinata a non crescere normalmente a subire centinaia di fratture dolorosissime. E questo porta a farsi la terribile domanda, perché accade? E perché a qualcuno piuttosto che a qualcun altro? Non auguro a nessuno di dover fare la scelta che Charlotte s’impone, nell’illusione di regalare alla figlia un futuro migliore, trascurando la sua vita, il marito e l’altra figlia Amelia, a mio vedere le due figure più umane della storia. Così vero e plausibile il rifiuto del padre di mettere in piazza i suoi sentimenti, altrettanto struggente la reazione di Amelia, con il suo rifugiarsi nell’autolesionismo. Non mi entusiasmano certe esasperazione di pathos che l’autrice si concede con la figura dell’avvocato Marin e della famiglia di Piper, la ginecologa di Charlotte, tradita dall’affetto e dall’amicizia, ma anche quelle portano acqua alla storia… Che poi resta la storia di Willox, unica, vera vittima sacrificale del destino. Patrizia Debicke Un tipo tranquillo Marco Vichi Guanda, p. 235, €16,00

M

ario Rossi, una vita da mediano. Ragioniere modello da quarantatrè anni presso una ditta d’imballaggi a Scandicci. Marito fedele (di Gisella), padre (di Simona e Francesco) e nonno esemplare. Una vita senza grandi problemi, né sussulti né scossoni: tutti i giorni a lavoro sempre con lo stesso autobus, la cena consumata in cucina imprecando davanti notizie del Tg2 e poi il pranzo domenicale con figlia separata e nipoti, la collina nel week end e il mare d’estate. Un’esistenza piatta, abulica, assuefatta, che non ha mai avuto il coraggio di cambiare, anche se da qualche tempo comincia a sentire un senso di smarrimento. Finché: “Minestrone e filetti di pesce”. Le ultime parole della moglie. La scomparsa improvvisa di Lella lo porterà a svegliarsi da un torpore esistenziale che durava da troppo tempo e a uscire per le strade, visitare città che non aveva mai visto, mescolarsi fra la folla, assaporare fantasie forti e pericolose, innamorarsi di donne sbagliate, in poche parole, a vivere. Dopo aver passato una vita intera a “camminare lungo una strada con le righe bianche ai lati, adesso è in mezzo al deserto”: Mario ha davanti a sé un mondo da ricostruire dalla A alla Zeta, è tutto nelle sue mani. Potrà finalmente fare qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato, andare contro ogni convenzione, uscire dai confini che erano stati previsti per lui. Nessuno potrà più rimproverarlo dicendogli: “Mario, non è da te”.

Una trama ossessiva, martellante, quella di Un tipo tranquillo, l’ultimo romanzo di Marco Vichi, il creatore della fortunata saga del Commissario Bordelli (nel 2009 premiato per Morte a Firenze con lo Scerbanenco): un’esplorazione nell’orrore del quotidiano e una fine analisi della banalità dell’origine del male. Perché basta poco per sconvolgere la vita di una persona e trasformarla da vittima in potenziale assassino, perché anche la personalità più insignificante può nascondere un mostro. Un ricordo di morte (quand’era dodicenne, Mario ha assistito, inerte, alla morte di un gattino indifeso) che è presagio di un terribile futuro, che tormenta ancora e che porta il protagonista a convincersi che gli sia piaciuto assistere in qualche modo a quell’evento. Con uno stile essenziale e leggero, Vichi, racconta il passaggio da una sopravvivenza grigia e insignificante a una vita nera ed emozionante, con una tensione narrativa che sale in progressione proprio come in un crescendo rossiniano (quello che piace tanto al protagonista), fino a un finale sorprendente che suscita nel lettore sentimenti contrastanti, perché tutti, in fondo, abbiamo paura di scoprire che gli altri non sono sempre uguali a come li vogliamo. Francesca Colletti Nessuno, nemmeno tu Lucia Tilde Ingrosso Kowalski, p.341, € 15,00

R

itorna l’ispettore Rizzo con un’indagine che rivanga il suo passato più intimo e che disegna un presente che profuma di amarcord e dolci certezze. Nessuno, nemmeno tu, il nuovo libro di Lucia Tilde Ingrosso perfeziona i temi cari alla scrittrice e ne affina, portandola a compimento, l’abilità tecnica e il gusto del narrare il bel mondo della Milano ex da bere, ora forse un po’troppo per bene e perbenista. Ci si inserisce nella vita dei personaggi in modo compiuto ed esaustivo e non si ha mai la sensazione di incappare in particolari ridondanti. La tensione narrativa non ha mai picchi improvvisi, ma ha il pregio di mantenersi costante e di invogliare alla lettura. I personaggi sono rotondi e gestiti sapientemente all’interno del romanzo, ma forse sono un po’ troppo belli e perfetti. Il bel mondo patinato, descritto dalla Ingrosso, appare un po’ compiaciuto e la città , Milano, risulta essere solo uno sfondo più che una protagonista. Il solco seguito è certamente quello tracciato da Renato Olivieri, ma i presupposti s’intuiscono essere differenti. Il romanzo è comunque una lettura interessante e godibile fino all’ultima riga e lascia un sottile sapore consolatorio una volta letta l’ultima pagina. Una versione particolare e personale del noir italiano che esce dal coro dei commissari gourmet e donnaioli. Rassicurante. Andrea Ferrari

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Il lato candido di MilanoNera

Francesca Colletti

N. Lilin: non chiamatemi scrittore

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osa ti premeva comunicare ai lettori quando hai deciso di scrivere Caduta libera? Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell'etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri. Questo è il punto, con il mio libro io ho tentato di "umanizzare" la guerra, per far capire che fa parte di meccanismi sociali umani, basati sugli istinti primordiali che ognuno di noi porta dentro di sè. Hai definito la seconda campagna in Cecenia «la più grande operazione antiterroristica di sempre. Che non sarà mai spiegata come si deve. Quella zona è sempre stata un tappo tra la Russia e il mondo islamico…». Cosa la differenzia dalla prima? Non sono mai stato sulla scena del primo conflitto Ceceno, ma è stato un conflitto molto contraddittorio, studiato a tavolino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, interessi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazionali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano "il teatrino". La seconda operazione è stata molto più chiara e gestita in modo eccellente in quanto a tattica e impegno militare. Certo, anche a quella sono legate molte perplessità, segreti, qualche interesse privato e casi di corruzione tra militari - ma questo purtroppo fa parte di ogni guerra, perché la guerra viene fatta da umani e gli umani per loro stessa natura sono deboli e spesso cedono davanti alle tentazioni di guadagnare soldi facili, di sfruttare il momento giusto, di giocare un asso tirato fuori dalla manica. Però in generale, guardando i risultati, il secondo conflitto è stato un fulmine senza pietà scaricato sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dalle formazioni terroristiche e l'abbiamo preso sotto controllo totale a dicembre, liberando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel punto gli scontri diretti sono finiti e il nostro lavoro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell'ordine e legalità della Federazione Russa sul terMIL ANO•10 •NER A |

ritorio. Invece per quanto riguarda la definizione temporale del primo conflitto, ancora adesso si discutono le date, qualcuno dice che è finito un anno prima, altri dicono un anno dopo di quello annunciato ufficialmente, qualcuno dice che non è finito proprio, che siamo stati tutti questi anni in diverse fasi di un’unica guerra... La Politkovskaja scriveva: i militari che hanno servito in Cecenia sono dei boia sistematici. Ma secondo te chi sono i veri criminali? Politkovskaya, pace all'anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle. Se i militari vengono chiamati "boia sistematici", posso dire che la parte del “boia” non è una scelta ma è un aspetto che fa parte del nostro lavoro; io ero cecchino nel reparto operativo dei sabotatori paracadutisti, e di certo non sono stato addestrato per costruire case, cucinare cibo, guarire i malati e assistere ai parti. I militari sono l'ultima ragione del potere e quindi quando entrano in azione creano caos, morte e paura, esistiamo per questo, ed è inutile guardare all’essere umano singolarmente, quando esistono l’esercito e le armi e quando l’opzione di un intervento delle forze armate viene proposto come soluzione geopolitica moderna. I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più devoto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibili che esistano. Per giudicare chi fa la guerra è necessario provare a farla, capire come si vive in quella situazione, capire i meccanismi politici che muovono gli eserciti e mandano gli umani al massacro. Allora si può dire di avere un’opinione veramente obiettiva. E’ ovvio che, stando comodi nella società pacifica, consumando quello che viene prodotto grazie alle conquiste politiche principalmente spinte attraverso le guerre, risulta molto difficile vedere la faccia della guerra, soprattutto visitando i posti dove ci sono ancora segni freschi: vittime civili, distruzioni, repressioni del regime militare nelle zone occupate. Viene subito spontaneo incolpare i militari, il regime, i politici e tutto il resto. Nessuno ha mai detto: "Colpa anche mia, perche sto facendo parte di una società che sostiene la guerra, che ha bisogno della guerra, che vive anche grazie all'impegno delle persone che fanno la guerra". Comunque, questo è un tema molto importante per me, che potrei sviluppare all'infinito. Per brevità citerò un modo di dire tutto militare: "Con un colpo di coltello non si possono uccidere due persone. Con una firma sulla carta se ne possono uccidere milioni". Fa riflettere.

Credo che soltanto i lettori possano definire una persona che scrive come "lo scrittore" , autoproclamarsi è sempre una questione di maleducazione.

Continua a pagina 13 ▶ | Numero 8 - anno III

© Stefano Fusaro

Dopo l'esordio con Educazione siberiana, il controverso scrittore-tatuatore di origini russe emigrato in Italia torna con Caduta libera (Einaudi), il secondo atto di un'epopea letteraria, che racconta la sua esperienza di sabotatore durante la seconda campagna in Cecenia.




white side ◀ Segue da pagina 10 Hai scritto: “Mentre una persona normale guarda un paesaggio e pensa alla bellezza della natura, io, contro la mia volontà mi accorgo di valutare dove si potrebbe mettere la mitragliatrice”. Com’è stato il ritorno a casa dopo la trincea? Tragico e insopportabile, il momento in assoluto più brutto che io abbia mai vissuto nella mia vita. Dopo gli anni passati là mi sono reso conto che una volta che si partecipa alla guerra, ci si rimane per sempre. La società pacifica appare in tutta la sua falsità e molti meccanismi che vedo oggi nel nostro mondo di pace sono estremamente corrotti e disonesti. In guerra, nelle situazioni estreme, l'animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per questo noi veterani abbiamo problemi a convivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite. “Nessuno lo saprà mai” è il titolo di uno dei capitoli del libro. Ma quanto si sa davvero della guerra? Poco o niente, perché la maggior parte dell'informazione che appare in televisione, nei giornali e nei libri fa parte di un gioco di strumentalizzazione, di distorsione della realtà. Quindi per me sarebbe meglio se non ne parlassero proprio. Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuando tranquillamente a divertirsi, a godere dei diritti, a studiare e a lavorare, anziché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta "pace" - termine che ha perso senso oggi, nella situazione attuale in cui si trova il mondo. In tema di informazione, di verità, non siamo più capaci di percepire, sentiamo il bisogno di ascoltare solo menzogne, che ci fanno stare tranquilli, ci guidano, ci tolgono la necessità di pensare in modo obiettivo. Di cosa hai paura? Del nostro futuro, del futuro di mia figlia, del fatto che lei potrebbe trovarsi in una società distrutta dal caos, dall'incapacità degli umani di costruire e gestire propria vita. Sarebbe troppo banale chiederti se hai ucciso qualcuno, né tantomeno se sia giusto. Ma quello che m’interessa sapere è: ti è piaciuto? Io ho partecipato all'operazione antiterroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrorista perde ogni possibilità di essere trattato come un essere umano, non ha appartenenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisicamente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondiale ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: "Se ti capita di uccidere un essere umano, fai attenzione a non diventare dipendente, perché la caccia all'uomo è tra le più belle che esistano". Ho capito le sue parole quando sono finito nell'esercito. Quando uccidi una persona, con quella muore una parte di te, da quel momento, per tutta la vita, è come se tu vivessi tra un mondo e l'altro, giugno/luglio 2010 |

Il lato candido di MilanoNera

Mi sono reso conto che una volta che si partecipa alla guerra, ci si rimane per sempre. è la legge della natura. Non è difficile uccidere, e non è un grande scandalo, almeno io i miei morti li ho visti e li ricordo, invece molti uccidono tante persone senza neanche guardarle in faccia, li sacrificano agli interessi politici, religiosi, economici... Dal 1998 al 2000 sei stato in Cecenia. Nel 2003 ti sei trasferito in Italia. Cos’hai fatto dopo la guerra? Gira voce che sei stato nei servizi segreti di sicurezza privati... Non esistono servizi segreti di sicurezza privati, è un concetto tutto sbagliato. Capita che alcune ditte di sicurezza privata lavorino per qualche agenzia d’intelligence, per brevi contratti, forse la situazione è cambiata con il passare degli anni, adesso sono abbastanza lontano da quel mondo. Non lo nego, ho lavorato nelle agenzie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante alternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifica, per me sono persone che fanno un impegno utile e legale, non mi sento di parlarne male. Dopo Educazione siberiana si è detto di tutto. Che è scritto troppo bene per essere frutto di uno che parla l'italiano da otto anni. Che le storie raccontate sono false, e la Transnistria è un'oasi di civiltà. Che tu abbia militato nei servizi segreti. Adesso i tuoi rapporti con la stampa come sono? Non ho mai avuto "rapporti" con la stampa, di me scrivevano e scrivono tutto quello che passa per la mente al giornalista per creare uno scoop, io non leggo i giornali e non voglio sapere di cosa scrivono oggi – se di Nicolai Lilin agente dei servizi segreti che ha inventato la Transnistria, oppure della velina di turno che cambia fidanzati calciatori, oppure dell'ennesimo politico beccato con droga, trans e

tangenti. I nativi della Siberia hanno un proverbio: "Dell'inverno si raccontano tante cose, ma ogni anno lui arriva lo stesso", così cerco di vivere anche io: la gente parla, intanto io faccio mio lavoro, scrivo, cresco mia figlia e vado avanti senza far caso al resto. A settembre partiranno le riprese di Educazione siberiana, in qualche modo hai contribuito alla sceneggiatura? E poi dicono che sono io quello dei servizi segreti, in questo caso sei più informata di me, non sapevo niente delle riprese a settembre. Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l'abbiamo ancora finita. Io sono molto tranquillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale. Perché non ti piace essere definito "scrittore"? Perché non lo sono. Per me lo scrittore è una persona che ha raggiunto un livello molto importante nella letteratura, una persona che ha un enorme bagaglio professionale e umano, una persona che ha sensibilizzato le anime di molte persone, di diverse generazioni. Io non sono a questi livelli e preferisco stare al mio posto, con umiltà e onore. Non sopporto quando i giovani, persone ancora sconosciute, si definiscono "scrittori". Lo trovo molto disonesto. Poi, credo che soltanto i lettori possano definire una persona che scrive come "lo scrittore", autoproclamarsi è sempre una questione di maleducazione. Ti hanno definito il Saviano siberiano. Come sono i tuoi rapporti con lui? Non ho nessun rapporto con Roberto, purtroppo. Mi piacerebbe sentirlo qualche volta, semplicemente per accertarmi che stia bene, ma non abbiamo contatti. Lo considero lo stesso un caro amico, per-

ché ha creduto in me e ha percepito molto bene quello che è il senso del mio libro. Da quando lui ha cominciato a subire attacchi da parte dei giornalisti strumentalizzati per via delle sue lotte politiche, in mezzo di questa compagnia diffamatoria nei suoi confronti qualche volta tirano anche me, tanto per usarmi come la pietra da gettare in faccia a Roberto. Prendo questa cosa con pazienza e cerco di essere molto calmo, come diceva mio nonno: "Il tempo passa, piove, nevica, il vento soffia, e la montagna rimane sempre al suo posto". Per scrivere L’educazione siberiana ci hai messo due mesi, hai lavorato di notte, per scrivere Caduta libera? Poco di più. Scrivo veloce, non sto tanto tempo sul testo, perché racconto quello che ho da raccontare usando il mio linguaggio, mi esprimo così come se stessi parlando a un amico. Poi io non rileggo quasi mai quello che scrivo, non ho pazienza. Non ho riletto i miei libri, qualche volta qualche pezzo per verificare la correzione dell’editor, ma in generale non faccio mai una lettura finale. Lavoro spesso di notte perche è il momento che più mi piace, perché non mi disturba nessuno e i pensieri scorrono con più fluidità. Hai fondato l’associazione culturale Libre, quali sono i progetti in corso e i prossimi? L'associazione culturale "Libre" non l’ho fondata io, esisteva prima del mio arrivo in Italia. "Libre" è una bellissima associazione, lavora nell'ambito cultuale da anni e ci siamo conosciuti perché loro stavano preparando uno spettacolo teatrale dedicato alla guerra e gli serviva uno specialista che potesse insegnare ai loro attori come muoversi sul palco, imitando i movimenti del gruppo d'assalto. Così ci siamo conosciuti, abbiamo collaborato insieme in questa e in altre occasioni, siamo diventati buoni amici e senza accorgermi di come e quando è accaduto, anch’io sono diventato parte dell'associazione. Adesso noi lavoriamo, tra gli altri, anche su un progetto di recupero di un’antica borgata in montagna abbandonata da quasi un secolo, dove creiamo le case per noi e per chi desidera di condividere questo bellissimo progetto con noi, per vivere o passare le vacanze insieme, aiutarci a vicenda, lavorare e godere delle nostre bellissime Alpi piemontesi. Oltre a questo progetto ho fondato con un gruppo di amici un'associazione sportiva, "Pro Patria Italia" composta da veterani dell'esercito, con i quali organizziamo corsi di formazione operativa per militari, agenti delle forze dell'ordine e privati interessati. Cerchiamo di dare aiuto alle famiglie dei nostri caduti e adesso sono in trattativa con un’organizzazione umanitaria molto importante al livello internazionale, per poter donare alla loro causa una parte del versamento di ogni quota associativa. Parallelamente, sto organizzando un progetto di dodici racconti per dodici letture inedite, accompagnate da musica. Tutto questo organizzato dall’associazione amica "2Roads" e dalla "Libre". Nel frattempo sto scrivendo il terzo libro e qualche articolo, quando ho tempo. Disegno e tatuo amici, insomma, cerco di non stare mai fermo. Francesca Colletti | MIL ANO•13•NER A



white side I cani la' fuori Gianni Tetti Neo, p.193, 12 euro

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ianni Tetti scrive racconti, lo fa con impegno, sforzandosi di essere originale e cercando di usare una sintassi rapida e sintetica. Il trucco gli riesce per i primi racconti, poi alla lunga ci (si?) stanca, forzando la ricerca del dissacrante e dell'originalità. Il prodotto finale di Tetti è comunque sufficientemente interessante, soprattutto in alcuni capitoli (Aureliano, Per il resto niente e Domani): solo i grandi, o presunti tali, ci fanno ridere quando parlano di morte, di violenza, di stupri, e Tetti lo fa. Il grottesco e l'orrido con cui riempe le pagine del libro vengono proposti con leggerezza, quasi noncuranza; i protagonisti dei racconti sembrano vivere in un mondo parallelo fatto di dolce e tranquillizzante violenza: la casa editrice e la collana (Iena) che pubblicano il libro hanno fatto di questo genere una bandiera, forse per ricordarci come i mezzi di comunicazione di massa tentino quotidianamente di vaccinarci e narcotizzarci con messaggi pieni di odio per innalzare le nostre difese immunitarie. Tetti, evidentemente assuefatto alla "violenza-spettacolo", contribuisce a renderci sarcastici, cinici, dry, noir. Giampietro Marfisi

giugno/luglio 2010 |

Il lato candido di MilanoNera l'uomo che parlava... Lawrence Anthony Newton Compton, p. 336, € 14,90

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ome cambia la vita di un branco di elefanti selvatici traumatizzati dopo il trasferimento nella riserva faunistica in Sudafrica? E come e quanto questi maestosi e intelligenti animali a rischio di estinzione “hanno trascinato nel loro mondo” Anthony, ambientalista e proprietario dell’immensa riserva nello Zululand? Il romanzo, con la collaborazione del giornalista Graham Spence, racconta in prima persona l’esperienza che l’autore che vive a stretto contatto con gli elefanti. È una storia di amicizia, di scambio, di arricchimento reciproco tra l’uomo e gli elefanti ed insegna che non esistono barriere tra l’essere umano, i pachidermi e tutte le creature viventi se non quelle che l’uomo stesso erige. Con lo sfondo della natura selvaggia, l’autore narra, con uno stile giornalistico e partecipazione emotiva, la sua avventura fisica e spirituale iniziata sin dal giorno dell’accoglienza del branco nella sua riserva: l’ambientamento difficile degli animali, i suoi appostamenti vicino alla loro recinzione per aiutarli ad acclimatarsi, la loro iniziale aggressività e le fughe verso la libertà che trovano proprio a Thula Thula insieme a Anthony con cui hanno parlato e a cui hanno insegnato ad ascoltarli. Cristina Marra

JOSé SARAMAGO 1922 - 2010

l viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era..

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