MilanoNera mag - febbraio 2011

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Da Scerbanenco a Olivieri, dai poliziotteschi a Milano Criminale, un viaggio nella mala meneghina degli anni Sessanta e Settanta. pag. 4

L`ANTEPRIMA

MILANO CRIMINALE Francesca Colletti

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INSIDE

UNA CITTĂ€ DI CINICI, INFAMI E VIOLENTI Stefano Di Marino

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LA RECENSIONE

LEZIONI DI TENEBRA Fabrizio Fulio Bragoni


di Paolo Roversi

“A

Anni da ricordare

che serve passare dei giorni se non si ricordano?”, si chiedeva Cesare Pavese. Personalmente, quando penso alla strada fatta con MilanoNera trovo subito la risposta: servono a crescere, a migliorare, a sentirsi vivi. Cinque anni di presenza sul web e, con questo nuovo numero, tre in formato cartaceo, sono un bel percorso. Ma anche una ripartenza: nuova A.P.P.U.N.T.A.M.E.N.T.I

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grafica, nuova linea editoriale, nuove idee. Innanzitutto ogni numero di MilanoNera Mag, da ora in avanti, sarà monografico e affronterà quindi un unico argomento per volta. Abbiamo deciso di cominciare con la Milano della mala parlando di Giorgio Scerbanenco, padre di tutti noi giallisti italiani, di poliziotteschi, di personaggi entrati nell’immaginario collettivo come il commissario Ambrosio... Ogni numero, insomma, diventerà da collezione e da conservare. Sarà sempre gratuito e potrete trovarlo in moltissimi luoghi: non soltanto librerie ma anche biblioteche, centri ricreativi, bar, locali, aeroporti. La cadenza del Mag sarà bimestrale con una particolare attenzione agli appuntamenti letterari più importanti come il Salone del libro di Torino o il Festivalettartura di Mantova. Questo primo numero del 2011, infatti, esce in concomitanza con un evento cui teniamo molto: la quinta edizione del NebbiaGialla Suzzara Noir Festival di cui

MilanoNera è da anni l’asse portante. Un lustro è un traguardo importante per una rassegna letteraria diventata uno dei festival giallo e noir di riferimento del panorama nazionale. Trascorrere a Suzzara quei giorni di nebbia e noir permette a tutti di entrare in una dimensione quasi magica. È una sensazione difficile da spiegare ma quel senso di appartenenza, fra autori e lettori, che si crea in quelle poche ore è qualcosa che rimane, che poi ti riporti a casa; anche molto lontano visto che per assistere al festival vengono anche dall’estero: Germania e Inghilterra in primis. Il segreto penso risieda nella struttura snella della manifestazione. La città, e l’Amministrazione comunale in particolare, si mettono al servizio dell’iniziativa riuscendo a rendere possibili cose che in realtà più grosse ed importanti richiederebbero il triplo dei soldi e il doppio del tempo per organizzarle. Penso anche al Premio NebbiaGialla di letteratura gialla e poliziesca: dopo il successo della prima edizione, vinta da Eugenio Tornaghi, stiamo già lavorando al secondo bando. E quest’anno al festival avremo trenta scrittori, trenta nomi importanti del panorama nazionale ed europeo visto che molti sono tradotti in quasi tutte le lingue: quanti festival conoscete che riescono a mettere in piedi una macchina organizzativa simile, considerando che Suzzara è un comune di meno di ventimila abitanti? Nessuno, il NebbiaGialla è un caso unico in Italia. Se dovessi fare una battuta direi che siamo un po’ come gli studenti del ‘68 che predicavano la fantasia al potere: ecco noi la applichiamo organizzando ogni anno il festival. La fantasia è la nostra arma in più, lo sforzo di uscire dagli schemi prefissati e di cercare nuove forme di comunicazione e di coinvolgimento. Fateci un salto se potete, ne vale la pena.

in REDAZIONE MILANONERA MAG

Periodico mensile, n. 1 anno III Redazione: Via Arzaga, 16 20146 Milano Tel. +39 0200616886 www.milanonera.com EDITORE MilanoNera milanonera@gmail.com DIRETTORE RESPONSABILE: Paolo Roversi paolo.roversi@gmail.com CAPOREDATTORE: Francesca Colletti francescacolletti@gmail.com Hanno collaborato a questo numero: Fabrizio Fulio Bragoni, Stefano Di Marino, Patrizia Debicke, Adele Marini, Cristina Marra, Corrado Ori Tanzi. IMPAGINAZIONE E PROGETTO GRAFICO Maryam Funicelli maryam.f@libero.it SERVICE E PUBBLICITÀ TESPI s.r.l., C.so V. Emanuele II 154 - 00186 Roma Tel. 06/5551390 - mail: info@tespi.it STAMPA SIEM, Via delle Industrie, 5 Fisciano (Sa)

Registrazione presso il Tribunale di Milano n° 253 del 17/4/08

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© Fredi Marcarini

TORNA MAURO MARCIALIS CON UN THRILLER SPIETATO, CHE SVELA I LATI PIÙ OSCURI DELL’ANIMO UMANO

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a Colletti di Francesc

MILANO CRIMINALE Paolo Roversi Rizzoli, p.430,€ 18,00

“Milano è una città che, quando la pioggia la lava, si sporca”, ha scritto Giuseppe Genna. Così come lo sanno bene tutti i grandi scrittori che hanno ambientato i loro noir più cupi e i thriller più intricati a Milano, che tra nebbia e misteri si conferma capitale moderna del giallo italiano.

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n principio furono Giorgio Scerbanenco e Renato Olivieri, poi vennero Augusto De Angelis (18881944), e Raffaele Crovi (19342007). De Angelis, giornalista e scrittore romano, approdò al poliziesco nel 1935 con Il banchiere assassino. Fu il creatore del commissario della Mobile milanese Carlo De Vincenzi, figura di poliziotto svincolata sia dai modelli anglosassoni sia da quelli che in qualche modo potevano richiamare le ‘maniere forti’ care al regime. Il commissario, dimenticato fino agli anni ‘70, rinacque grazie all’interpretazione del grande Paolo Stoppa in una serie televisiva della Rai basata su tre romanzi di De Angelis (Il candeliere a sette fiamme, L’albergo delle tre rose, Il mistero delle tre orchidee). L’opera di Crovi, che fu editore e scrittore dalla straordinaria versatilità, spazia dalla narrativa, alla poesia e alla saggistica (Le maschere del mistero. Storie e tecniche di thriller italiani e stranieri [2000], in cui studia tra gli altri anche i milanesi De Angelis e Scerbanenco), fino

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al thriller L’indagine di via Rapallo (1996), che descrive una Milano fatta di scontri sociali, emarginazione e conflitti. Insomma, Milano è la più moderna capitale del giallo italiano. Non solo perché è ispiratrice e protagonista nei testi dei suoi scrittori, per via di suggestioni e atmosfere particolari, ma soprattutto perché la sua dimensione metropolitana offre una fauna talmente variegata e polimorfa da giustificare, nei giallisti milanesi, le storie, vere o verosimili, più fantasiose, paradossali e violente. Pensate a quelle raccontante da Andrea G. Pinketts, fondatore nel 1993 de La scuola dei duri nella cantina del Boulevard Cafè di Corso Garibaldi, movimento letterario la cui filosofia è “esplorare la città attraverso il linguaggio più estremo che è quello del crimine”. Il primo libro lo pubblica nel 1992 ed è Lazzaro, vieni fuori (Feltrinelli) con cui inaugura una fortunata serie di romanzi nei quali mette in moto il suo alter ego (stessi lavori ?fotomodello, giornalista e altri?, e stessi vizi ?la Guinnes e il sigaro Toscano?, stessi luoghi in cui bazzicano), Lazzaro Santandrea. Oppure alle storie di Piero Colaprico, giornalista e scrittore, fu lui a coniare il termine Tangentopoli, alcuni mesi prima che lo scandalo del Pio Albergo Trivulzio desse origine al fenomeno al fenomeno – made in Milan ? Mani pulite. I suoi saggi con taglio giornalistico, Duomo Connection, Manager Calibro 9 sono dedicati alla malavita milanese; La Trilogia della città di M (2004), narra invece tre vicende che vedono alla guida delle indagini l’ispettore Francesco Bagni, immerso nel dramma di una città

irriconoscibile e cambiata per sempre. E sempre a Milano ambienta le storie gialle del maresciallo Binda, scritte a quattro mani con Pietro Valpreda. Per le vie della metropoli, anzi per gli angoli di Quarto Oggiaro, inciampa in casi, magari perché si è fermato a mangiare qualcosa in trattoria, o perché ha bisogni impellenti da espletare, il commissario di Polizia Michele Ferraro. Nato dalla penna di Gianni Biondillo, architetto con il vizio della scrittura, Ferraro, singolare poliziotto dalla dubbia vocazione e dalle ancor più dubbi e capacità, testardo e con un innato senso della giustizia, esordisce in Per cosa si uccide (2004). Che si tratti del fumo di asfalto colloso nella spossante Milano estiva delle periferie, tra le case popolari di Calvairate, il quartiere dormitorio di Quarto Oggiaro e il carcere di Opera, che fa da sfondo a Catrame, romanzo d’esordio di Giuseppe, o della città che da dura ma bella, diventa poco a poco morta e invivibile, così come traspare nei cinque romanzi “gorilleschi” di Sandrone Dazieri, rappresenta sempre un di possibilità. universo Misteriose, cruenti, criminali, seducenti. Perché “Milano è una città orrenda, ma ci puoi trovare dentro tutto: cammini per le sue brutte strade e da dietro un angolo può sbucare un angelo, un criminale, un bambino che piange, un cane che gioca, la ragazza che sposerai. Nei negozi trovi qualunque prodotto: dischi introvabili, libri fuori catalogo. Io detesto Milano, ma quando ne sono lontano mi sento quasi smarrito”. Raul Montanari dixit.

Dimenticate – ma solo per un po’– il giornalista hacker, un po’ imbranato e un po’ guascone Radeschi e sostituitelo con Antonio Santi. Dimenticate Hurricane o Matteo Neri e fate posto agli (anti) eroi Vandelli, Lampis e Carminati. Dimenticate Linda, Dalia e inchinatevi a Nina e Carla. Dimenticate la Bassa e Capo di Ponte Emilia, la Milano del Birrificio, oppure quella girata in sella al Giallone e addentratevi nella città più nera e violenta di tutti i tempi. Quella raccontata in Milano Criminale, l’ultimo romanzo scritto da Paolo Roversi, in uscita, il prossimo 2 marzo, per Rizzoli. Quattordici anni di mala meneghina: dal 27 febbraio 1958 al 14 febbraio 1972. Due rapine che hanno fatto la storia scellerata di una città, una storia accuratamente documentata e raccontata da un Roversi raffinato e più maturo. Un romanzo sensazionale che impressiona, coinvolge con le melodie di grandi cantautori, evoca slogan lontani e ci catapulta in un’epoca che ha cambiato radicalmente una città e i suoi abitanti. Dimenticate tutto quello che vi hanno raccontato finora e fate spazio al Romanzo Criminale milanese.

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Lezioni di Tenebra Enrico Pandiani Instar Libri, p. 359, € 16,00

“Mi ha posato un piede sul petto per tenermi fermo […]. Ho anche pensato che stesse per spararmi in faccia, invece non l’ha fatto. Ha frugato in una tasca dell’impermeabile e ha tirato fuori una corda grigia. ‘Sei mai stato legato da una donna?’ ha chiesto”. Colto da un improvviso malore, il commissario Mordenti si rifugia in casa della sua nuova fiamma, la fotografa d’arte Martine, per ritrovarsi preda di una sanguinaria killer alla ricerca di qualche misterioso oggetto: immobilizzato a terra e legato secondo i canoni dello Shibari giapponese - un sistema di legature in voga tra gli esperti di bondage - assiste impotente alla fine della sua compagna. Stordito dalla rabbia, assume la direzione dell’inchiesta e, coadiuvato dai suoi Italiens e dalla bella tenente Deslandes, si lancia in un’indagine incrociata sul mondo del fetish e su quello dell’arte, ambiente di lavoro della defunta Martine. Ma la soluzione del caso è lontana, e tutti gli indizi puntano verso Torino... Riuscirà Mordenti, in trasferta e dunque privo della consueta autorità, a venire a capo delle indagini? E quando il destino lo rimetterà a confronto con la killer mascherata, saprà mantenersi freddo e razionale, oppure, segnato dalle recenti Lezioni di tenebra, asseconderà la sete di vendetta? Terzo romanzo della serie dedicata agli Italiens, Lezioni di Tenebra conserva l’occhio per l’intreccio, l’incedere pirotecnico, i furiosi cambi di ritmo, il gusto per i personaggi e le trovate fumettistiche dei capitoli precedenti, portando, però, in primo piano la lingua, altrove parzialmente occultata dalla cura per l’ambientazione. E qui, isolata dal suo luogo d’elezione, la particolarità della voce “franciosa” (per dirla con l’Arpino lettore di Fusco) e dardeggiante di Pandiani, esito di un lavoro di stilizzazione fatto di accorti calchi e indimenticabili trovate lessicali, fortunata ironia e repentini cambi di registro, s’impone in tutta la sua potenza narrativa ed evocativa. E il romanzo, inutile dirlo, funziona. Fabrizio Fulio Bragoni

Settanta acrilico trenta lana Viola Di Grado Edizioni e/o, p. 208 , € 18,00

Leeds - in cui “tutto ciò che non è inverno è una band d’apertura che si sgola in due minuti e poi muore”-, dicem-

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bre, anno meno tre. Un fosso e la fine. Due vite, oltre quelle delle vittime, rimaste dentro quel fosso. La morte improvvisa del padre precipita Camelia e la madre Livia nell’anoressia verbale, in un susseguirsi di dialoghi fatti di parole strozzate, poi di sguardi e, infine, di silenzi. L’elaborazione del lutto e la chirurgica rimozione dei ricordi, costringono le loro giornate in un inverno innaturale. Livia, ovvero il remake a basso costo della splendida donna che era una volta, fotografa ossessivamente buchi di ogni tipo. Camelia, tormentata dal vuoto, si costringe a espiare la colpa di un padre fedifrago vendicandosi sulle anime dei vestiti che sfregia, riducendoli a brandelli per poi ricucirli gli uni con gli altri e si scontra quotidianamente con gli ideogrammi cinesi in un disperato tentativo di restituire alle parole quel senso di cui sente la mancanza. Dicembre, anno zero, il giorno della giacca fucsia. Il momento di sfrenato istinto di sopravvivenza, quello “in cui ti stufi di essere l’unica cosa immobile nel turbinio ubriaco di volontà dell’universo”. Il giorno in cui Camelia trova degli strani vestiti “deformi” nel cassonetto e incontra Wen dagli occhi a mandorla. Wen che gli insegnerà la sua lingua, che la farà innamorare degli ideogrammi e dei suoi modi misteriosi. Wen, che custodisce un segreto innominabile e la respinge nascondendole il motivo. Wen, l’altare e la polvere. Settanta Acrilico trenta lana è il primo romanzo di Viola Di Grado, siciliana all’estero, residente a Leeds, esordiente ad appena 23 anni. Una scrittura chirurgica che scende in profondità, taglia, penetra e guarisce. Un romanzo di formazione decadente, un noir dell’anima, poetico, alienante, ossessivo, stupefacente. E senza speranza. Francesca Colletti

Dormi per sempre Sabine Thiesler Corbaccio, p.448, € 18.60 Traduzione di Alessandra Petrelli

Ancora un romanzo di Sabine Thiesler, scrittrice tedesca già ben nota in Italia per il suo La carezza dell’uomo nero, e ancora un thriller con la splendida campagna toscana a fare da sfondo. Avvincente psicodramma, tragedia della gelosia o piuttosto di una disperata follia? Un trauma infantile, un dramma fami-

liare e il tradimento di un marito adorato portano a una decisione premeditata accuratamente. Una vacanza estiva, una casa colonica restaurata, La Rocca, un cadavere sepolto nell’orto, sotto un piccolo ulivo, un omicidio che potrebbe e dovrebbe essere perfetto, ma l’imprevisto e la fatalità ci mettono lo zampino e il grufolare di cinghiali in cerca di cibo, scatena un’inarrestabile cascata di delitti. Con ritmo misurato, quasi teatrale, il sereno ambiente rurale non resiste agli avvenimenti che si accavallano irrimediabilmente e si sfalda poco a poco, alimentando l’inquietudine. Una sparizione incomprensibile, la denuncia ai carabinieri, l’allucinante presenza di un figlio amato e perduto, pongono domande che chiedono risposte e il folle tentativo di annullare i ricordi negativi con un’improbabile sostituzione genera molti equivoci. Ogni gesto complica la storia e ogni tentativo fatto per sbrogliarla risulta vano. Troppo tardi! Nulla e nessuno potrà più fermare la spirale di morte. La situazione è sfuggita a ogni controllo per precipitare fino all’ineluttabile conclusione fatale. Patrizia Debicke

Il sentiero dei folli Domenico Rosaci Falzea editore, p. 432, € 18,00

Fede o ragione? In nome e a difesa dell’una e dell’altra, due organizzazioni si accusano e si contrappongono nel romanzo Il sentiero dei folli di Domenico Rosaci. Ingegnere, docente universitario e accanito bibliofilo, l’autore coltiva da sempre una passione personale per la storia delle religioni e la letteratura medievale e in questo romanzo crea un mix perfetto di storia, scienza, religione e mistery. Il sentiero dei folli è un viaggio in terre e luoghi temporalmente e geograficamente lontani eppure accomunati da antichi segreti. Dall’Alsazia alla Sicilia, dal XIII secolo ai giorni nostri si avvicendano le scelte e i destini della famiglia Falconari. Da Gugliemo, cavaliere normanno, che giunto a Palermo intreccerà rapporti con Federico II e diventerà il custode di un segreto sulla vita e le opere di Gesù, al barone Orazio, detto “The fool”, suo pronipote, che fonda una confraternita con lo scopo di sradicare

l’insensatezza dal genere umano. Avrà la meglio la fede o si imporrà la scienza? Cristina Marra

Out of sight Elmore Leonard Einaudi, p. 304 € 15,00 Traduzione di Luca Conti

L’impareggiabile Jack Foley, rapinatore e romantico, ha appena deciso di concedersi uno sconto di pena; è pronto a evadere dal carcere di Glades, e ha già in mente il colpo perfetto per rimettersi in movimento: svaligerà la casa di un losco finanziere di Detroit per appropriarsi di tutti i fondi illeciti (e pertanto non dichiarati) accumulati dalla vittima in anni di operazioni truffaldine. Ma la vita “fuori” gli riserva diverse sorprese, non ultima l’incontro con l’affascinante Karen Sisco, un’agente dei Marshall che ha tutta l’aria di essere in attesa del principe azzurro... Mentre sul web si moltiplicano le anticipazioni relative all’imminente adattamento cinematografico del meraviFreaky glioso Deaky, in lavorazione sotto la direzione di Charles Mattau, e in Italia si attende la prima di Justified, serial scritto da Leonard andato in onda con grande successo, negli USA, a partire da marzo 2010, Einaudi restituisce ai lettori Out of sight, romanzo d’esordio del personaggio di Jack Foley (in seguito ancora protagonista nel recente Road Dogs), nella nuova e ineccepibile traduzione di Luca Conti. Ed è un successo annunciato. Se sono l’intreccio ben congegnato, i personaggi appena abbozzati ma perfettamente costruiti (a volte un semplice particolare vale più di mille descrizioni), i dialoghi incredibili, il ritmo infernale e la fortunata ironia a fare di questo romanzo - già noto al grande pubblico grazie alla discreta, se non proprio eccelsa, trasposizione cinematografica firmata Steven Soderbergh un vero classico del poliziesco americano contemporaneo, è pur sempre un carattere impalpabile ma inconfondibile e inequivocabilmente stilistico a colpire il lettore fin dall’abbrivio: quello stesso, particolare, “tono di voce” che, traducendo su carta capacità d’osservazione, ascolto e sintesi fuori dal comune, pone l’autore di Jackie Brown e Killshot un gradino al di sopra della maggior parte dei suoi connazionali, scrittori di genere e non. Fabrizio Fulio Bragoni

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Lo scrittore, il commissario e le pellicole. I protagonisti di di MilanoNeraMag.

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SCERBANENCO: IL CUORE NERO DI UNA CITT A`

ll’inizio da noi circolavano solo gli Americani. I grandi maestri del noir e dell’hardboiled. Carroll John Daly, Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Chester Himes, Mickey Spillane, Ross MacDonald… Autori che hanno fondato il loro successo sul fatto di aver regalato agli italiani ancora troppo poveri per viaggiare un’America diversa da quella che si intravedeva ad di là dei polverosi finestroni degli uffici per l’immigrazione con annessi spulciatoi di Staten Island. Un’America wasp: whisky on the rock e pupe platinate, investigatori in trench e Borsalino e cheerleader che-neanche-si-sapeva-cosa-fossero. Un’America di carta, tutta da sognare. E poi è venuto lui, Scerba, che agli italiani ha regalato una Milano di nebbia e di piombo, tutta da scoprire. Lo stile di Vladimir Giorgio Scerbanenko, italiano solo per la metà materna che se vivesse oggi avrebbe problemi a ottenere il permesso di soggiorno, possiede, fra i tanti meriti letterari, quello di aver messo la parola fine ai thriller born in Italy scimmiottanti il genere d’oltre Atlantico. E questo è dovuto in buona parte al fatto che Scerba ha saputo rendere Milano, soprattutto quella violenta che sta a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, più attraente, più trasgressiva, più crudele, più romantica e più malinconicamente decadente delle grandi metropoli americane. Con lui è nato il vero, l’unico il grande, l’inimitabile noir di casa nostra. Il noir alla milanese. È capitato di leggere che Duca Lamberti, il protagonista dei romanzi di maggior successo di Scerbanenco: Venere privata (1966), Traditori di tutti (1966), I ragazzi del massacro (1968) e I milanesi ammazzano al sabato (1969) è “un Lew Archer dei Navigli”. Niente di più falso. Agli americani, Duca non sarebbe piaciuto affatto. Almeno,

Numero 1 anno III

non a quelli che leggevano thriller e noir negli anni in cui la serie fu pubblicata. Duca è un medico radiato dall’Ordine per avere praticato l’eutanasia su una paziente agonizzante. Ha scontato tre anni di carcere e siccome non può più esercitare la professione, collabora con la polizia. E per di più è anche un recidivo perché viola sistematicamente le leggi dell’ipocrisia borghese. È un tipo che sta fra Beppino Englaro e Marco Pannella, che non piace ai conservatori di casa nostra oggi, figuriamo a quelli Americani di ieri. Ma allora da dove viene il successo di Scerbanenco? Piano a parlare di successo. Scerba, pur avendo vinto il prestigioso Grand prix de littérature policière, ha avuto, da scrittore, una vita agra che certamente non lo ha ricompensato come avrebbero meritato il suo talento, la sua malinconia, il suo acume e soprattutto quel suo saper guardare avanti che ha reso i suoi romanzi capolavori di straordinaria attualità. Il successo, quello vero, gli è arrivato oltre vent’anni dopo la morte e forse a decretarlo è stata la sua capacità di forare la nebbia gelatinosa del conformismo per mettere a nudo una città così crudele, violenta e indifferente da superare, in fascino e mistero, le grandi metropoli d’America. Milano, appunto.

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i n s i d e : la nuova rubrica di approfondimento IL COMMISSARIO AMBROSIO

ntroverso, elegante, malinconico senza che il colpo all’anima si trasformi in patologia. Tenace, sospettoso delle verità troppo evidenti, amante dell’arte e del bello. Garbato, ironico, leggermente ipocondriaco. Alle vittime non fa mai mancare la sua pietas umana, empatia che lo aiuta qualche volta a ricollegare i fili del racconto della sua stessa vita. Il commissario Giulio Ambrosio, nato dalla fantasia di Renato Olivieri, è uno che ama le piccole cose e ricordare i brevi momenti di felicità che compongono un’esistenza. Traendo spunto anche dai delitti di cui si occupa. In una Milano al centro di una trasformazione che ne trasfigura il profilo lavora su casi che, come la madeleine proustiana, possono diventare chiavi con cui squarciare la propria memoria e fare tornare a galla i più microscopici momenti dell’esperienza personale. Milanese doc fin dal cognome, talento unico nel governare gli interrogatori e in grado di smascherare il colpevole dopo un’immersione nelle abitudini e nella psiche della vittima, ha un unico vero nemico: il tempo. Perché passa. Ha fatto passare un matrimonio. Il suo, con Francesca. E la sua relazione con Emanuela, per quanto scorrevole sui binari di una piacevole quotidianità, non può avere ulteriori sbocchi perché gli anni di differenza tra i due sono tanti. E così continua ad abitare da solo in un monolocale in via Solferino, a fumare Muratti, bere Tocai, a far visita a domeniche alternate all’anziana madre in piazza Giovine Italia. A leggere E.M. Cioran, a perdere gli occhi su un palazzo in stile liberty durante una camminata, a placare l’inquietudine osservando le gemme dei platani al Lorenteggio. La sua Milano è essenzialmente alto borghese, se non quando addirittura aristocratica. Le indagini lo portano faccia a faccia con una upper class che della propria tradizione un po’ bauscia, mantiene spesso solo il vestito. Sempre elegante. Ma sempre più spesso soprattutto comodo a nascondere i lividi tatuati sulla pelle. «Confesso che quando Simenon dice “sta piovendo”, a me viene di prendere l’ombrello», raccontò Olivieri in un’intervista al Corriere della sera. A quanti non è mai capitato di sentire i passi del suo commissario quando passeggia per via Manzoni? Corrado Ori Tanzi

Adele Marini

UNA CITT A` DI CINICI, INFAMI E VIOLENTI

Milano ha una storia criminale variegata e, con gli anni, mutevole nella realtà e nella fiction. Curiosamente, anche se non mancano “commissari di ferro”, il cinema ha sempre preferito le storie dei criminali. Milano Calibro 9 e L a m a l a o rdi na (entrambi del ’72) col-

gono lo spirito dei racconti originali ma aggiungono una dimensione eroica assente in Scerbanenco che Fernando Di Leo mutua dalle sue esperienze western quanto da Melville. Ugo Piazza e Luca Canali sono figure credibili di criminali vecchio stile contro una mala nuova, senza codici o regole. Restano forse tra gli esempi più noti di cinema criminale nostrano. Il mio preferito è Milano odia: la polizia non può s p a r a r e di Umberto Lenzi (1973). Giulio Sacchi, criminale ferocissimo al di là di ogni redenzione, ha il viso di Milian ancora lontano da buffonesche ‘monnezzate’. Una vicenda criminale ancora oggi a tinte fortissime, che si conclude in una discarica di via Palmanova e lascia l’amaro in bocca. Sempre di Lenzi M i l a n o rovente (’72) è un piccolo classico di malavita con ambientazioni note tra lo Skoprion Center e il nebbioso skyline cittadino che il gangster Billy Barone definisce

“una piccola Chicago”. Imperdibile nel ’76 M i l a n o v i o l e n t a di Mario Caiano con Claudio Cassinelli nei panni di un bandito che molto deve all’iconografia noir d’Oltralpe. Se guardiamo alla legge Luc Merenda furoreggia in M i l a n o trema: la polizia non può spar a r e di Sergio Martino(‘73) che riecheggia l’omicidio del commissario Calabresi e svela piani di eversione nera. Sempre Cassinelli è un convincente ma energico commissario in L a p o l i z i a h a l e m a n i l e g a t e (’74) di Luciano Ercoli. Con l’imbranato collega Franco Fabrizi si ritrova in un intrigo di politica e malavita. Non casuali analogie con la strage di piazza Fontana: trame nere e botte agli studenti. Un film esemplare, attualissimo. E pensare che all’epoca questi erano considerati “film fascisti”. Le etichette, già lo sapevamo, sono per le pietre tombali. Stefano Di Marino

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ALFREDO COLITTO

IL LIBRO DELL’ANGELO

«Un maestro del thriller storico» R. Barbolini - PANORAMA

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