Francesco Tarantino
Con il cuore e con la mente Per una prospettiva fenomenologica nelle psicoterapie
Prefazione di Antonio Godino Presentazione di Lorenzo Calvi
MILELLA
Collana Orizzonti di psicologia diretta da A. Godino n. 6
Copyright Š 2015 Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l. ISBN 978 - 88 -7048 - 576 - 9
Edizioni Milella di Lecce Spazio Vivo s.r.l. Viale M. De Pietro, 9 - 73100 Lecce Tel. e fax 0832/241131 Sito internet: www.milellalecce.it email: leccespaziovivo@tiscali.it Impaginazione: Emanuele Augieri Copertina: Yukiko Tanaka Immagine di copertina: Amore e psiche di William Etty, 1806 (particolare)
Francesco Tarantino
Con il cuore e con la mente Per una prospettiva fenomenologica nelle psicoterapie Prefazione di Antonio Godino Presentazione di Lorenzo Calvi
Milella
In rispettoso e perenne ricordo dei Professori Bruno Callieri e Giampiero Mosconi
INDICE
PREFAZIONE
pag.
13
PRESENTAZIONE
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INTRODUZIONE
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21
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29 30 34
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36
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39 43
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46 48 49 51
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54 55
Prima parte
L’ESSERCI COME CURA
Primo Capitolo
PSICOTERAPIE E CURA Il variegato mondo delle psicoterapie Fenomenologia: il contributo di Husserl Esistenzialismo: Il contributo di Heidegger Una visione critica della fenomenologia e dell’esistenzialismo
Secondo Capitolo
L’ESSERCI COME CURA La visione di Heidegger nell’esserci come cura Cura ed analitica esistenziale La cura, l’autenticità e la deiezione nei rapporti con la chiacchiera, la curiosità e l’equivoco La cura, l’angoscia e l’apertura dell’esserci L’esserci come cura nel ciclo esistenziale di sviluppo Ciclo esistenziale di sviluppo e personalità tossicomane La cura tra “essere come semplice presenza” ed “essere come possibilità di essere” Realtà, esserci e cura
Seconda parte
MODELLI TEORICI DI RIFERIMENTO
Terzo Capitolo
MODELLI PROPEDEUTICI PSICOTERAPEUTICI NELLA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICO-ESISTENZIALE Modelli iniziali di riferimento » 1995: un primo modello » 1995: un secondo modello » 2001: un terzo modello »
61 62 63 64
Quarto capitolo
MODELLO GENERALE PSICOTERAPEUTICO NELLA PROSPETTIVA FENOMENOLOGICO-ESISTENZIALE Finalmente un modello generale » Prima fase: l’incontro tra terapeuta e paziente » Seconda fase: la fenomenologia come interfaccia tra i dati di fatto e le essenze » Terza fase: la prospettiva esistenziale » 2009 Un’ulteriore chiarificazione: i tre passaggi del modello psicoterapeutico » Un esempio di applicazione psicoterapeutica della prospettiva fenomenologico-esistenziale: il mondo tossicomanico »
69 70 71 73 75 77
Terza parte
CASISTICA CLINICA
Quinto capitolo
RISULTATI GENERALI DELLA CASISTICA CLINICA TRATTATA Psicoterapia dei disturbi nell’età dello sviluppo » 83 Psicoterapia dei disturbi nell’area psiconevrotica » 86 Psicoterapia dei disturbi nell’area delle addictions e dei disturbi psichici » 89
Psicoterapia del tabagismo Esemplificaziomi di casi clinici di tabagismo Un commento generale alla casistica clinica Un commento particolare alla cura del tabagismo nella prospettiva fenomenologico-esistenziale Un breve commento sull’efficacia del modello di cura
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92 96 100
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102 104
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107 113 118
Sesto capitolo
ADDICTIONS E ANALISI DI TRE CASI CLINICI Analisi di un primo caso clinico Analisi di un secondo caso clinico Analisi di un terzo caso clinico
Settimo capitolo
AREA PSICONEVROTICA E ANALISI DI CINQUE CASI CLINICI Analisi di un quarto caso clinico » 125 Analisi di un quinto caso clinico » 133 Analisi di un sesto caso clinico » 136 Analisi di un settimo caso clinico » 140 Analisi di un frammento di un ottavo caso clinico: dai conflitti genitoriali ai disturbi comportamentali del figlio in un sistema familiare nevrotico » 146 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
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149
BIBLIOGRAFIA
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153
13
PREFAZIONE
Questo libro, interessante e densissimo per il profluvio di idee e di spunti di riflessione che mette a nostra disposizione, è di grande aiuto per il lettore che voglia comprendere a fondo i meccanismi attivi nelle diverse psicoterapie. Si tratta di un libro molto utile per un lettore colto e curioso, che voglia approfondire la conoscenza delle psicoterapie, della loro filosofia, della loro concreta messa in opera. Utilissimo, forse persino necessario, per chi entri nell’esperienza della psicoterapia come persona in ricerca di una trasformazione e di un aiuto, con ovvia curiosità e con dei timori facilmente comprensibili. Nella veste di paziente, assai più spesso di quanto non s’immagini, prendono corpo delle attese di tipo magico che sono, insieme, la proiezione di ansie profonde e la riproposizione, nel gioco delle supposizioni e delle aspettative, degli stessi meccanismi che hanno in precedenza causato il disagio, il disadattamento o anche la franca patologia per curare i quali egli sta ora cercando un aiuto. Se, ad esempio, il suo agire e reagire psichico è marcato dalla passività e dalla cedevolezza, dall’acquiescenza e dai condizionamenti a sedurre l’interlocutore con l’assecondare le richieste dell’altro a scapito della propria autonomia e determinazione, la sua disposizione mentale verso la psicoterapia non sarà relazionale in senso vero ma, tendenzialmente, proprio quella modalità di subordinazione acquiescente che è la più comunemente osservabile nel rapporto gerarchico o asimmetrico. Tale paziente, che ha bisogno di aiuto perché non riesce ad essere autonomo nell’usare la propria anima per entrare da sé in relazione con la realtà esterna e con l’altro, tenderà a porsi anche nella relazione con il terapeuta, ovviamente, in modo resistente e come in una pseudo-relazione, quasi come un recipiente vuoto che attenda d’essere riempito. Egli è, allora, pronto a dire sempre di sì a tutto, ad accogliere ed assorbire, apparentemente a cogliere tutto ma senza vocazione o meta propria. Della propria inerzia e passività, tuttavia, egli è di solito l’ultimo a rendersi conto.
14 Di norma la passività profonda non viene colta a livello conscio ed il suo io cosciente si muove sul piano della razionalità e della consequenzialità logica. Egli si aspetta, pertanto, delle spiegazioni razionali, delle ricette, dei consigli, dei suggerimenti, degli ammaestramenti, delle illustrazioni o almeno, semplicemente, degli ordini e delle ingiunzioni. Malgrado non se ne renda conto, dietro ai suoi tentativi di trovare una spiegazione “scientifica” o “razionale” sta, in effetti, una valenza magica della parola che diventa oggetto e azione, della parola che quando raggiunge trasforma, in quanto tale. Naturalmente, è molto raro che l’approccio magico e dipendente alla psicoterapia la renda atta alla benché minima capacità trasformativa. Anche perché le attese magiche di trasformazione non sono autentiche. Questa attesa è, ovviamente, non tanto speranzosa quanto timorosa. Queste attese magiche altro non sono, insieme al fatto di costituire un sintomo e un dato patognomonico della condizione mentale, che un meccanismo di difesa contro ogni rischio di vera trasformazione. In teoria si chiede aiuto per poter cambiare delle cose (sintomi, idee, emozioni) che non vanno bene o non si sopportano più, in pratica (almeno a livello inconscio) non si vorrebbe toccare nulla di noi stessi ma solo correggere i sintomi. Simile a questa postura è l’approccio straniante e meccanicistico: l’ideale sarebbe la pillola che cancelli il sintomo, senza altro fare o mutare, senza sforzi e senza doversi mettere in gioco, senza le minacce ed i rischi che sono più o meno oscuramente associati all’idea di farsi coinvolgere in un cambiamento. Potremmo dire che nella mente del paziente, in questi casi, la psicoterapia è immaginata come un lavoro sulla psiche (un po’ come avviene quando il chirurgo fa una operazione sul corpo) e assolutamente non come essa è (o potrebbe/dovrebbe essere), cioè un lavoro con la psiche. Fra le fantasie più comuni nell’alimentare le resistenze dei pazienti osserviamo quella della paura di subire una manipolazione, dell’ansia che il terapeuta possa indurre in noi una crisi ed una rottura delle certezze, delle abitudini, delle collocazioni relazionali e delle scelte di vita. Allora si osserva l’ansia di dover difendere e giustificare le proprie scelte, il timore che andando in terapia si possa distruggere il rapporto col coniuge, incrinare il futuro col lavoro, scontrarsi coi figli, etc. Ci può essere chi non va in terapia, per esempio, perché teme un attacco alla propria fede religiosa.
15 Naturalmente questa reazione fobica e paranoide non è presente in tutti i pazienti, né alla stessa maniera e intensità, come non si manifesta per ogni tipo di psicoterapia. Le fantasie persecutorie e le inibizioni nella relazione clinica sono certamente più comuni nei soggetti border-line, negli anaffettivi, negli alessitimici, nei tossicodipendenti e, in generale, nei soggetti che hanno una scarsa coscienza di malattia (come alcune forme di psicosi e di disturbi della personalità ad etiologia mista e con una importante componente neurodegenerativa). Questa posizione mentale, che potremmo accostare alla posizione schizo-paranoidea delle prime fasi dello sviluppo psichico che si osserva, secondo il modello proposto da Melanie Klein, nel confronto con la realtà esterna al sé ed è, insieme, premunita, inerme e pseudo-onnipotente. L’uscita da questa realtà primitiva e fusionale sarà possibile solo al costo della presa di coscienza dei limiti, del cessare della con-fusione primordiale, del passaggio ad una posizione depressiva. Nel normale sviluppo del bambino questa è una transizione che coincide con la fase dello svezzamento, col passaggio alla comunicazione verbale e con le prime esplorazioni (sensoriali e motorie) che gli permettono di distinguere fra ciò che origina da dentro di sé e ciò che arriva dal di fuori, fra realtà interna e realtà esterna. In un certo senso, è esattamente l’epoca della vita nel quale il bambino smette di “sognare” (cioè, di avere un rapporto con le esperienze che non permette di separarle dalle fantasie generate dall’interno), ovvero nella quale egli smette gradualmente di confondere il segnale col rumore di fondo del sistema psichico. Questa è anche l’epoca nella quale si separa la percezione in presenza dalla percezione in assenza (ovvero il ricordo, l’evocazione, la fantasia e l’immagine mentale). Da qui in avanti nasce la percezione non solo dello spazio (interno contro esterno) ma anche del tempo, della memoria, del futuro, delle attese e delle aspettative che derivano dalla elaborazione delle esperienze. Intorno al volgere del terzo anno di vita il funzionamento psichico fa un salto di qualità e la coscienza di sé non è più vaga e fluida ma si condensa in immagini e strutture, in memorie che formano una storia. Proprio grazie a questa trasformazione dobbiamo il fatto che i nostri ricordi più antichi non vadano mai all’indietro prima di quando avevamo circa tre anni d’età. Va detto, per la verità, che sono recuperabili dei ricordi (magari frammentari) anche più antichi ma solo inducendo una regressione nel tipo di funzionamento psichico, grazie a tecniche di
16 modificazione e focalizzazione percettiva, come l’induzione di uno stato alterato di coscienza con l’ipnosi. Nel normale stato di sviluppo del funzionamento psichico c’è un prima ed un dopo abbastanza netti e distinguibili. Questa trasformazione funzionale investe la coscienza, il vissuto, la memoria, il linguaggio, l’orientamento nell’agire. Si tratta dell’emergere della coscienza lucida e critica dal magma dell’inconscio, processo che si attua come effetto di un meccanismo maturativo endogeno ma anche grazie alla qualità pro-evolutiva del rapporto con la madre. La buona madre, buona nel senso che è pro-maturativa, è quella contentiva, empatica, attenta ai bisogni ma che non si sostituisce al bimbo e lo accoglie. Queste sono anche le qualità materne, che si richiederebbero allo psicoterapeuta. Deve essere sufficientemente solido da poter essere capace di contenere senza rigettare e senza giudicare. Deve avere strumenti di valutazione (in primo luogo una buona misura e conoscenza di sé) che gli permettano di essere esterno alla patologia del paziente, di distinguere con ragionevole chiarezza quanto gli appartiene (al paziente) da quanto gli sia attribuito per un processo di proiezione. Uno psicoterapeuta sufficientemente buono non deve sentirsi estraneo né indenne rispetto ai problemi del paziente, ma neppure deve farsi spaventare o travolgere. Questa capacità richiede, insieme, sia attenzione all’altro sia a se stesso. Meglio ancora, richiederebbe sia capacità di ascolto che partecipazione empatica. Nel modello psicodinamico di psicoterapia, a ciò ci si avvicina a partire dalla esperienza di sé, dalla analisi formativa e dalla ricerca permanente, dall’imparare in un lavoro di rielaborazione condotto insieme al paziente. Per certi versi si tratta di un compito molto complesso, che richiede sia la distanziazione (anche per non essere sopraffatti emotivamente), sia una comprensione profonda. Un ruolo materno, appunto, ma anche un ruolo compartimentato, finalizzato, a termine. Un po’ come se si fosse un genitore adottivo, madre (o padre) di molti e solo per un tratto del percorso della loro vita. Come una buona madre, il terapeuta deve essere ben lieto di far sì che il figlio cresca e si allontani, divenendo autonomo e più maturo. Potremmo anche aggiungere che il buon terapeuta, come il buon genitore, deve assumere la dimensione relazionale del prestito, della oblatività nella relazione, del riconoscimento e rispetto della persona.
17 Naturalmente non esiste un solo modello di psicoterapia, anzi ce ne sono moltissime varianti e Scuole (dinamiche, umanistiche, cognitivo-comportamentali, transazionali, combinate, parametrate, di sostegno, palliative, focalizzate e di urgenza, etc.) ma quanto scritto prima può avere una validità di carattere generale, che trascende le varie forme ed indirizzi. Cos’è infine, in sostanza, una psicoterapia? Il verbo greco therapein significa, semplicemente, prestare un servizio a favore di qualcuno, concetto che potremmo anche rendere validamente con prendersi cura di, o curare. Il terapeuta è, quindi, una persona che fa un servizio e si prende cura, che cura ma non necessariamente che guarisce. Niente a che vedere, pertanto, col guaritore magico che “aggiusta” con ricette o formule segrete ciò che non funziona come “dovrebbe”. Metaforicamente il terapeuta è un alleato che permette al paziente di procedere, gli fa da Méntore, come il personaggio mitologico che accompagna ma non, direttamente, ordina né guida. Lo psicoterapeuta, quindi, fa un lavoro dello stesso genere con la psiche del paziente, operando non sulla psiche oggettivata ma operando da soggetto a soggetto, da persona a persona. La psicoterapia è stata anche chiamata terapia fatta con le parole, o logo-terapia. Dato che la parola altro non è che una veste ed un aspetto del pensiero, non esiste linguaggio senza pensiero né pensiero senza linguaggio, potremmo anche dire che la psicoterapia è un agire curativo tramite lo scambio comunicativo ed esperienziale della mente con un’altra mente. Problemi e sintomi che sono nati da deformazioni o da ostacoli nell’equilibrato ed armonico funzionamento della mente (intesa non solo come parte noetica o razionale dello psichismo ma come insieme di idee, sensazioni ed emozioni) sono superabili e curabili in modo integrato, con la mente e col cuore, come suggerisce il bel titolo di quest’opera. Per spiegare cosa sia la psicoterapia, questo bel libro di Tarantino delinea un percorso a due vie: prima abbiamo la mappa delle strade (delle idee e delle filosofie) che portano ad un determinato modello o approccio psicoterapeutico, la geografia sintetizzata in una carta di orientamento e in una classificazione. Poi abbiamo la guida vera e propria: un po’ come nelle guide turistiche alla parte cartografica e geografica (politica, fisica, storica, etnografica, etc.) segue quella illustrativa e fotografica. Nel nostro caso,
18 la prima parte del libro è una spiegazione e classificazione delle idee e delle filosofie che hanno dato origine alle varie psicoterapie, mentre la seconda parte è una illustrazione chiarificatrice con dei casi clinici e con delle storie individuali. Questo libro presenta le varie forme e Scuole di psicoterapia secondo una prospettiva molto interessante, quella fenomenologica, che permette al lettore di comprendere di cosa si tratti nella realtà della loro espressione concreta, del loro svolgersi ed agire trasformativo. Sono persuaso della sua grande utilità anche pratica per orientarsi per il paziente troppo difensivo ed apprensivo, ma anche per i terapeuti, per fare ordine nelle proprie concezioni e prospettive che sono, talora, troppo astratte e analitiche e per far emergere una consapevolezza nuova di aspetti portanti e strutturali che accomunano tutte le psicoterapie.
Prof. Antonio Godino
Specialista in Psichiatria ed in Psicologia Medica Ordinario in Psicologia Generale presso l’Università del Salento
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PRESENTAZIONE
Quando l’amico Tarantino mi ha chiesto di scrivere qualche riga di presentazione a questo suo ultimo libro, la mia prima reazione è stata di perplessità. L’ultimo libro di un autore presuppone sempre i suoi eventuali libri precedenti e non si può non fare qualche considerazione o sulla continuità o sulla discontinuità del suo lavoro. Nel caso di Tarantino c’è una evidente continuità nella pratica dell’ipnotismo a scopo di cura. Cura, specificamente, “di disturbi dell’infanzia, psico-nevrotici e delle addictions”, per dirla con le sue parole. La mia formazione culturale non mi ha predisposto ad avere fiducia nell’ipnotismo, ma ora, la mia stessa formazione fenomenologica dovrebbe dispormi a sradicarmi da questo pregiudizio. Lo faccio volentieri perché la lettura dei casi clinici curati da Tarantino è convincente. Prendo atto, quindi, che egli si confronti efficacemente, praticando l’ipnotismo, con le suddette categorie di pazienti. Non posso dimenticare, tuttavia, che Tarantino conosce la mia ignoranza in materia d’ipnotismo e nello stesso tempo sa la mia professione di psicopatologo formatosi in seno alla fenomenologia husserliana. È cosa appropriata, perciò, che mi esprima circa la scelta del nostro autore d’inserire il suo lavoro nella cornice disegnata da Husserl ed anche in quella disegnata da Heidegger. Sia in questo sia in alcuni lavori precedenti, Tarantino ha riassunto in modo perspicuo la filosofia fenomenologica e quella esistenziale, cedendo anche alla tentazione, perlomeno rischiosa, di ridurle dentro schemi. Chiamati, suppongo, a renderle più digeribili a lui stesso ed a quei lettori che amano questa modalità di esposizione del sapere. A questo punto devo dire perché e come si è acceso in me l’interesse per questo libro di Tarantino. Memore d’un articolo di Merleau-Ponty1 sulla sua lettura di Husserl, mi accingo a raccontare “l’impensé”, che la 1
Merleau-Ponty M., Le philosophe et son ombre, in Signes, Gallimard, Paris, 1960.
20 lettura del libro mi ha fatto pensare, eideticamente vedere: il problema della distanza. Sul problema psicopatologico della distanza è il titolo d’un lavoro di Cargnello2, che ha avuto un ruolo seminale su Callieri, su me stesso e, suppongo, su altri che non so. Tutti gli psichiatri con interessi fenomenologici hanno riflettuto su questo tema. Soprattutto perché essi accendono tutti i riflettori sull’incontro, sull’intersoggettività, sulla coesistenza di due persone, il curante ed il paziente, motivo per cui deve essere assolutamente illuminata la distanza, che li separa mentre li unisce. L’opera psicoterapeutica può essere descritta come modulazione della distanza. Venendo all’ipnotismo, a me sembra che il curante, inducendo il paziente ad un livello di coscienza diverso dal suo, accentui drammaticamente la distanza, che li divide. Può darsi che Tarantino – questa è una mia ipotesi – abbia vissuto e viva così a fondo la sua pratica ipnotica da andare oltre quella che è, diciamo pure, la sua “manualità”, e da sentirne un disagio esistenziale. Da qui il suo approdo ad Husserl e ad Heidegger. L’episteme che corre in soccorso della doxa. Non si prenda alla lettera quest’ultima frase. Nel testo di Tarantino, si colgono i segni d’una sintonia tra ipnotismo ed esistenzialismo-fenomenologia, che sembra superare la differenza di piani tra queste due “cose”, che sembra riuscire a farle intendere fra loro. Pare di assistere ad un paradosso: una differenza che riduce una distanza. L’autore sembra puntare su una scommessa impossibile, eppure la vince, perché egli si affida non tanto ad argomentazioni dialettiche quanto all’umanità con cui affronta il suo lavoro quotidiano e colma di fatto la sua distanza dal paziente. La buona fede, l’assoluta onestà intellettuale, il desiderio fortissimo di comunicare un’esperienza viva avallano la realtà palpitante di questo libro ed invitano a leggerlo.
Prof. Lorenzo Calvi
Libero Docente in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali ed in Psichiatria
Cargnello D., “Sul problema psicopatologico della distanza”, in ‘Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria’, 14, 1953. 2
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INTRODUZIONE “Eppure vi conobbi meglio, di quanto conobbi mai gli uomini, comprendevo il silenzio dell’etere, le parole degli uomini non le ho comprese mai” F. Horderlin, Poesie
Ho intitolato il presente libro Con il cuore e con la mente. Per una prospettiva fenomenologica delle psicoterapie poiché ben rappresenta l’esserci come cura che è la vera essenza di questa trattazione monografica. La definizione dell’esserci come cura, quale prospettiva fenomenologico-esistenziale nella psicoterapia, richiede un’analisi preliminare1. In questo lavoro, infatti, sono sviluppati, in modo particolare, i principi ispiratori della psicoterapia stessa che non può essere disgiunta dal concetto di cura2. La cura, in quanto riguarda la sofferenza psichica attraverso i sistemi psicoterapeutici, secondo Galimberti (2006, p. 529), non può essere inscritta nelle categorie della guarigione, poiché rappresenta “…un modo per declinare l’esistenza, interpretandone in vario modo il senso”. La cura è qualcosa che si dispiega nel tempo. Essa tuttavia, nel suo divenire, cerca incessantemente l’essere nella sua autenticità, trovandosi già gettato in una determinata situazione. Naturalmente l’esserci come cura non riguarda in senso stretto un determinato procedimento psicoterapeutico, ma il prendersi cura di se Questo scritto riprende una relazione tenuta, il 15-5-2008, presso l’Università di Salerno nel corso della Giornata di Studi intitolata “Il tempo, la cura e la relazione: modelli psicologici a confronto”. In quell’incontro parteciparono tra gli altri Lorenzo Calvi, Sergio Salvatore, Salvatore Iannotti e Mauro Cozzolino che organizzò il medesimo evento. In questo scritto sono aggiunti i casi clinici e numerose tabelle che danno una maggiore consistenza al tema trattato. 2 Qui si riprende in modo particolare l’introduzione nonché i due primi capitoli della prima parte intitolata “Fondamenti fenomenologici ed esistenziali” del mio libro Nuove Frontiere in psicoterapia ipnotica. La prospettiva fenomenologico-esistenziale (Amisi, Milano, 2004), pp. 14-122. Lo scopo di questo saggio è di aggiornare, con nuovi contributi personali, un modello psicoterapeutico nella prospettiva fenomenologico-esistenziale la cui formulazione risale al 1995 (F. Tarantino, Tossicomanie ed Esistenza. Aspetti psicologici e psicoterapeutici,Capone, Cavallino di Lecce 1995, p. 59 e p. 116). 1
22 stessi (l’esserci) e dell’Altro, cioè il prendersi cura reciproco. Ci si prende cura di essere un buon padre, un buon educatore, un buon medico. Ci si prende cura dei propri figli, delle persone che ci circondano, dei propri progetti, delle proprie case, dei propri oggetti, della propria professione. In altre parole, ci si prende cura del proprio mondo e quindi del proprio essere nel mondo quotidiano. Personalmente ho avuto modo di sperimentare la possibilità di prendermi cura, come tanti, della mia professione e del mio lavoro di ricerca, ed in questo senso posso dire che il mio “esserci”, in tale ambito, si è caratterizzato appunto come “cura”. In questo scritto sono sintetizzate le mie ricerche (Tarantino, 1993, 1995, 2000, 2001, 2004, 2008, 2009, 2012, 2013) dove il mio “esserci” si caratterizza, appunto, come un “prendersi cura” in un processo formativo personale in cui l’incontro con l’altro è determinante. La cura, inoltre, per quanto possibile, non è disgiunta dal processo di formazione e di ricerca. Con tale visione, pertanto, esporrò questo lavoro partendo dalle mie esperienze lavorative e di ricerca, oramai ultratrentennali, che occupano un periodo relativamente lungo, se pensiamo alla giovane età della psicologia come professione. La giovane vita di una professione, comunque, porta il professionista stesso, nel corso del suo lavoro, a confrontarsi criticamente con i propri modelli scientifici di riferimento. Questi modelli, nelle nuove professioni, sono provvisori e generano insoddisfazione lasciando talora al giovane professionista sensazioni d’insicurezza. Anche per questo la psicologia contemporanea si preoccupa di ricercare nell’evidenza scientifica validi punti di riferimento per la comunità degli operatori della “psiche”. L’incontro tra il mio modo di lavorare e i problemi che sono emersi, sin dall’inizio dell’attività professionale, riguardavano la ricerca di un’adeguata metodologia nello studio delle tematiche psicologiche, identificando progressivamente nel pensiero critico (e quindi nella coscienza intenzionale) la possibilità di soluzione. Gli elementi da quali partire non potevano essere che: a) i dati psicologici (di fatto), immersi nella realtà del mondo quotidiano della vita, raccolti con una rigorosa metodologia, b) il pensiero critico connesso ad un atto intenzionale della coscienza che ha come elemento irriducibile il suo Io. L’evidenza scientifica della psicologia professionale, che io cercavo nei primi anni di attività lavorativa, era riconducibile all’integrazione del sapere (Tarantino, 1993).
23 Nei primi anni della mia professione (fine anni settanta), utilizzavo una metodologia sintetica, facendo riferimento alle indicazioni di Cesa-Bianchi (1972, pp. 65-67), in grado di dare un valore aggiunto, vale a dire un senso per superare una riduzione della psicologia a scienza obiettiva (comportamentale) o a disciplina speculativa basata sulla pura soggettività. Dopo un lungo periodo di riflessione ed un’elaborazione metodologica, all’inizio degli anni novanta, avvertivo l’esigenza di utilizzare sempre più un approccio multidimensionale, al fine di analizzare i rapporti esistenziali tra lo psicologo ed il suo soggetto d’indagine, in grado di: “…includere una metodologia fondata sull’esperienza stessa in termini soggettivi, oggettivi e soprattutto operativi, attraverso la quale veniva costruito il sapere pratico come risultato anche di una comprensione storica e contestuale degli eventi stessi” (Tarantino, 1993). Nella metà degli anni novanta ho avuto modo di approfondire la specificità della metodologia scientifica della psicologia (identificata nella prospettiva fenomenologica) e la contiguità dei dati di fatto psicologici con quelli fenomenologici (essenze), pur nella loro distinzione. Ho proposto, su tale scia, un metodo peculiare della psicologia, con caratteristiche fenomenologiche, pubblicato nel volume Tossicomanie ed Esistenza. Aspetti psicologici e psicoterapeutici (Tarantino,1995). Con tale metodo mi sono prefisso di arginare i limiti di una psicologia unicamente sperimentale o di una scienza psicologica basata esclusivamente sul metodo soggettivo (Tarantino, 1993, p. 184). L’utilizzazione del metodo fenomenologico, sia pure come principio ispiratore, in vero, può costituire una sorta di interfaccia tra una psicologia prettamente sperimentale (oggettiva) ed una psicologia soggettiva in cui è recuperata la dimensione psichica insieme agli aspetti storici (idiografici). Naturalmente la prospettiva fenomenologico-esistenziale in psicologia rappresenta una valida alternativa ad una concezione psicologica puramente descrittiva (o ateorica) su basi esclusivamente nomotetiche. Molti anni fa ho pubblicato diversi lavori (Tarantino, 1996, 2000, 2001, 2004) in cui ho sviluppato pienamente la prospettiva fenomenologica in psicoterapia, con particolare riferimento all’ipnosi che rappresenta storicamente, come è stato dimostrato da Ellenberger (1976), la matrice di ogni psicoterapia. Dopo questa premessa di ordine storico, o meglio “cronistorico” (Tarantino, 2004), della mia ricerca personale, fortemente intrecciata
24 con un lavoro quotidiano molto intenso, passo ora ad esporre sinteticamente il contenuto di questo lavoro. Esso tratta gli elementi costituivi dell’approccio fenomenologico-esistenziale che ispira la psicoterapia, con particolare riferimento all’esserci come cura. Gli interlocutori fondamentali sono Husserl, il fondatore della fenomenologia, nonchè Heidegger, uno dei massimi esponenti dell’esistenzialismo. La scelta di fare riferimento a questi due autori è dettata dalla necessità di attingere dalle fonti originarie del pensiero fenomenologico-esistenziale3. Infatti, i successivi sviluppi teorici dell’approccio fenomenologico-esistenziale si sono discostati dall’impostazione originaria che, invece, ho ritenuto fondamentale nelle mie ricerche. Personalmente, sostengo che, nelle applicazioni della fenomenologia e dell’esistenzialismo nei vari campi di studio e ricerca, la filosofia husserliana sia stata interpretata sulla scia idealistica, mentre il pensiero heideggeriano sia stato ridotto a un’ontologia fondamentale, con il risultato di fuorviare gli apporti più importanti del pensiero di Husserl (come la fenomenologia trascendentale) e dell’ultimo Heidegger (quello di Holzewege). Da questi accenni introduttivi si può osservare già come il modello, che propongo in questo scritto, nasca dalla concretezza e dal lavoro quotidiano di psicologo psicoterapeuta. Questo scritto, dopo una definizione generale della psicoterapia intesa come cura, prende in considerazione la prospettiva fenomenologico-esistenziale con la proposta di un modello operativo. Tratterò, in primo luogo, alcune caratteristiche inerenti ai legami tra cura e psicoterapie, La scelta di riferirmi, in modo principale, a questi due filosofi è dettata da diverse ragioni riassunte nei seguenti punti: 1) i motivi ispiratori, identificati nel pensiero husserliano ed heideggeriano, possono fornire il senso più ampio dei diversi approcci psicoterapeutici, pur nella chiara distinzione tra paradigmi filosofici e psicologici, 2) tali motivi ispiratori restano gli stessi che hanno avviato le successive elaborazioni filosofiche, di stampo fenomenologico-esistenziale, di autori come Sartre, Marcel, Jaspers, Abbagnano, ecc., 3) la delimitazione del pensiero ispiratore, fondamentalmente a Husserl e Heidegger, ha motivi intrinseci, poiché, da un lato, del primo autore, è stata presa scarsamente in considerazione la fenomenologia trascendentale, che invece in questo libro costituisce il leit-motiv, dall’altro, la delimitazione della filosofia heideggeriana rappresenta, in realtà, una focalizzazione del tema esistenziale. Di conseguenza, di Husserl ho fatto riferimento al testo La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, mentre di Heidegger al volume Essere e tempo, integrato da Contributi alla filosofia - dall’evento. 3
25 quindi, la prospettiva fenomenologico-esistenziale e, a seguire, il “core” stesso di questo lavoro che è l’esserci come cura con riferimento anche alla dimensione storica, completata dalla descrizione di un modello psicoterapeutico. Questo lavoro, infine, include una copiosa casistica clinica, riferita ai disturbi dell’infanzia, psico-nevrotici e delle addictions insieme ai relativi commenti e conclusioni. Prima di esporre i vari temi, è opportuno precisare che questo lavoro non è una disquisizione astratta della prospettiva fenomenologico-esistenziale in psicoterapia ma si riferisce, come ho già accennato, all’applicazione di tale prospettiva a numerosi casi clinici, con psicopatologie di varia natura. Le psicoterapie dei casi clinici, peraltro analiticamente descritte in diverse mie pubblicazioni (Tarantino, 1991, 1993, 1995, 2000, 2001, 2004, 2004A, 2009, 2012, 2013), sono stati trattati nell’arco di una prolungata attività lavorativa. La casistica clinica infine è esposta in diverse tabelle in cui sono indicati i processi psicoterapeutici, con un’analisi dettagliata di alcuni casi clinici, dando in questo modo una visione d’insieme del lavoro svolto.
“Per spiegare cosa sia la psicoterapia, questo bel libro di Tarantino delinea un percorso a due vie: prima abbiamo la mappa delle strade (delle idee e delle filosofie) che portano ad un determinato modello o approccio psicoterapeutico, la geografia sintetizzata in una carta di orientamento e in una classificazione. Poi abbiamo la guida vera e propria: un po’ come nelle guide turistiche, alla parte cartografica e geografica (politica, fisica, storica, etnografica, etc.) segue quella illustrativa e fotografica. Nel nostro caso, la prima parte del libro è una spiegazione e classificazione delle idee e delle filosofie che hanno dato origine alle varie psicoterapie, mentre la seconda parte è un’illustrazione chiarificatrice con dei casi clinici e con delle storie individuali. Questo libro presenta le varie forme e Scuole di psicoterapia secondo una prospettiva molto interessante, quella fenomenologica, che permette al lettore di comprendere di cosa si tratti nella realtà della loro espressione fattuale e concreta, del loro svolgersi ed agire trasformativo. Sono persuaso della sua grande utilità, anche pratica, per orientarsi per il paziente troppo difensivo ed apprensivo ma anche per i terapeuti, per fare ordine nelle proprie concezioni e prospettive che sono, talora, troppo astratte e analitiche e per far emergere una consapevolezza nuova di aspetti portanti e strutturali che accomunano le psicoterapie”. Dalla prefazione di Antonio Godino
“Nel testo di Tarantino, si colgono i segni d’una sintonia tra ipnotismo ed esistenzialismo-fenomenologia, che sembra superare la differenza di piani tra queste due “cose”, che sembra riuscire a farle intendere fra loro. Pare di assistere ad un paradosso: una differenza che riduce una distanza. L’autore sembra puntare su una scommessa impossibile, eppure la vince, perché egli si affida non tanto ad argomentazioni dialettiche quanto all’umanità con cui affronta il suo lavoro quotidiano e colma, di fatto, la sua distanza dal paziente. La buona fede, l’assoluta onestà intellettuale, il desiderio fortissimo di comunicare un’esperienza viva avallano la realtà palpitante di questo libro ed invitano a leggerlo”. Dalla presentazione di Lorenzo Calvi
ISBN 978-88-7048-576-9