Moira De Iaco - Il segreto dell'arte. Duchamp e Wittgenstein

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LE IDEE E IL TEMPO Collana diretta da Giovanni Invitto Nuova serie 2



Moira De Iaco

IL SEGRETO DELL’ARTE DUCHAMP E WITTGENSTEIN



A mio nonno e a qualsiasi altro (raro) uomo, come lui, di cultura senza tanta istruzione PerchĂŠ la cultura è prima di tutto apertura all’altro/ad altro



INDICE

Introduzione

pag. 11

I. Il guardare-attraverso e l’estetica

» 13

II. I ready-made e il segreto dell’arte

» 25

III. Comprendere l’arte: un vedere-come

» 43

IV. Vedere-come i ready-made

» 61

Bibliografia

» 69

Indice dei nomi

» 75

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INTRODUZIONE

Il segreto dell’arte: ciò che sentiamo ma non riusciamo a dire una volta per tutte; il sensibile lo rivela senza mai svelarlo. Non abbiamo il senso, ma di volta in volta un senso. Il sensibile eccede. Non possiamo pertanto vedere soltanto, spiegare, definire, ma dobbiamo vedere-come, immaginare, creare connessioni di senso. Questo lavoro trova le proprie radici nella tesina in Estetica presentata nel 2007 all’Università «Sapienza» di Roma per il conseguimento della laurea triennale in Filosofia. L’elaborazione di quelle prime riflessioni fu seguita da Giuseppe Di Giacomo e Luca Marchetti. Negli anni a seguire, per quanto mi sia occupata per lo più del rapporto tra l’interiorità e il linguaggio in Wittgenstein, non ho smesso di interessarmi a quel dialogo che, nei primi anni universitari, avevo instaurato tra Wittgenstein e Duchamp. Insomma, la passione per quelle tematiche estetiche non si è mai esaurita e gli sviluppi di quei percorsi di pensiero sono raccolti in questo saggio. Ammetto che a prima vista l’accostamento di Wittgenstein a Duchamp potrebbe suonare curioso, forse azzardato se si tiene conto che tra i due non sono stati documentati contatti. L’indagine non potrà che essere di carattere teoretico-speculativo. Sebbene i giochi linguistici creati da Duchamp possano sembrare un punto su cui far interagire le creazioni dell’artista con le riflessioni del filosofo, in realtà, il terreno sul quale qui i due si confrontano è quello del ‘vedere-come’. Porre dunque in relazione la pratica dei

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giochi linguistici di Duchamp, nel ruolo che egli assegna loro, ovvero quello di portare la mente dello spettatore verso luoghi inesplorati, con le riflessioni metalinguistiche wittgensteiniane è cosa che in questo luogo non appare prioritaria. Il saggio si articola in quattro capitoli. Nel primo si riflette sull’estetica assumendo come punti di riferimento essenziali il ‘guardare-attraverso’ di Wittgenstein e la rielaborazione specificamente estetica che di esso fa Garroni. Il secondo capitolo si concentra su Duchamp, figura geniale, dai gesti sovversivi, artista ma anche filosofo, difficile da etichettare, destinato a segnare la riflessione estetica per la vocazione critica delle sue creazioni, che sono spesso delle provocazioni; sull’ingresso dei ready-made nel panorama dell’arte contemporanea e sugli interrogativi sull’arte che seguono a questo ingresso. Riflettendo intorno a un ready-made, A bruit secret, in questo capitolo si giunge a pensare il segreto dell’arte: l’ineffabile essenza. Nel terzo capitolo si tratta il vedere-come in Wittgenstein rivolgendo particolare attenzione alle possibili declinazioni che di esso si possono fare in campo estetico. Mentre nel quarto si mette in scena un confronto tra quanto emerso circa i ready-made di Duchamp e la riflessione wittgensteiniana sul vedere-come. Ringraziamenti Ringrazio Carlo Alberto Augieri per la stima e il coinvolgimento con i quali partecipa alle mie ricerche e per l’ammirevole sensibilità genuinamente filosofica, e dunque umana, con cui accoglie l’altro. Ringrazio poi Giovanni Invitto per l’attenzione speciale che ha rivolto a questo saggio e Augusto Ponzio per l’appoggio e l’affetto costanti con cui accompagna i miei passi. Desidero ringraziare per la pazienza e l’instancabile collaborazione i miei genitori, Alessandro e il mio piccolo Alberto, nonché i familiari e gli amici che seguono e sostengono con sincerità il mio amore per il sapere. 12


IL GUARDARE-ATTRAVERSO E L’ESTETICA «Dove debbo tendere davvero, là devo in realtà già essere» L. Wittgenstein, Pensieri diversi, p. 28

Il filosofo rinato dalle ceneri della metafisica, tornato a sentirsi implicato nel mondo, sa di non potersi contrapporre al mondo come se questo fosse un oggetto che gli sta di contro. Il suo lavoro pertanto si configura come un ‘guardare-attraverso’. Un guardare che, in quanto guardare, non è semplice vedere, nella misura in cui è attento a ciò che vede, se ne prende cura, lo custodisce. È interessato a come un certo qualcosa gli appare. Il guardare-attraverso non mira a spiegare, bensì si limita a interrogare le modalità, molteplici, cangianti, in cui qualcosa si manifesta. Tenta di comprendere ciò che sta già davanti ai nostri occhi, giacché proprio ciò che ci sta davanti, e che spesso consideriamo archiviato come ovvio, pone degli interrogativi. L’ovvio è ciò che alla filosofia pare di non comprendere1. Essa non si domanda ‘che cos’è?’, almeno non più. La filosofia greca si poneva questa domanda e alcune filosofie odierne, quelle positiviste, lo fanno ancora. Ma l’attitudine filosofica che qui consideriamo non si sente attratta dalla ricerca dell’essenza, non vuole formulare definizioni. È piuttosto interessata al senso di quel che accade e ricerca non le cause,

Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford 1953; trad. it. Ricerche filosofiche, a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1999, § 89, p. 60. 1

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bensì le ragioni. Alla spiegazione delle cause, il filosofo preferisce l’interpretazione del senso2. Il pensiero ha per il filosofo ragioni e le ragioni non devono essere convalidate dall’esperienza, non sono vincolanti, bensì fanno parte delle nostre costruzioni simboliche. La distinzione tra cause e ragioni è basata su quella tra empirico e grammaticale, tra ciò che concerne i fatti, la loro veridicità, e ciò che riguarda quel che di essi possiamo dire, come ne parliamo, nonché quella tra scienza e filosofia. Le cause hanno a che fare con l’empirico, richiedono l’esperienza; mentre le ragioni fanno riferimento al grammaticale, a quello che possiamo e non possiamo fare con le parole e anche a quello che trascende di volta in volta queste possibilità, rinnovando la grammatica di una lingua. Le cause interessano la scienza; le ragioni, invece, la filosofia. A tal proposito, nel Libro blu di Wittgenstein, leggiamo che la differenza tra causa e ragione è simile a quella tra motivo e causa: «la causa è oggetto non di conoscenza, ma solo di congettura. Dall’altra parte, spesso si dice: “Indubbiamente io devo sapere perché l’ho fatto” parlando del motivo. Quando dico», continua Wittgenstein: «“La causa possiamo solo congetturarla, mentre il motivo lo conosciamo”, questo asserto è un asserto grammaticale. Il verbo “potere” si riferisce a una possibilità logica».3

Per una filosofia dell’interpretazione si tenga presente Günter Abel, La filosofia dei segni e dell’interpretazione, trad. it. a cura di E. Ficara, E. Gasperoni, C. Piazzesi, Napoli, Guida 2010. 3 Ludwig Wittgenstein, The Blue and Brown Books, Basil Blackwell, Oxford 1958; trad. it. Libro blu e libro marrone, a cura di Amedeo G. Conte, Einaudi, Torino 2000, p. 24. Su questo punto cfr. anche Lectures and Conversations on Ethics, Aesthetics, Psychology and Religious Belief, Basil Blackwell, Oxford 1966; trad. it. Lezioni e conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, a cura di M. Ranchetti, Adelphi, Milano 2005, pp. 83-95. 2

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