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100 storie 100 anni per

GIULIANO MUSI MARCO TAROZZI MICHAEL JOHN LAZZARI

Collana editoriale: Inchiostro Rossoblù Direttore di collana: Carlo Caliceti

Per le immagini contenute in questo volume l’Editore rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare. Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Editor: Paolo Tassoni Grafica e impaginazione: Francesco Zanarini © 2009 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge. ISBN: 978-88-7381-293-7 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 http://www.minervaedizioni.com e-mail: info@minervaedizioni.com


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100 storie 100 anni

GIULIANO MUSI MARCO TAROZZI MICHAEL JOHN LAZZARI

per

Minerva Edizioni



Inchiostro rossoblù

QUESTE STORIE NEL NOSTRO CUORE Cento dei nostri anni. Quelli che ci hanno preceduto, quelli che ci accompagnano, quelli che verranno. In nome di una fede che va oltre ogni episodio, ogni momento di gloria o di sconforto, ogni entusiasmo e ogni rabbia. In nome di quei colori, il rosso e il blu, che brillavano sulla casacca di Arrigo Gradi in quelle epiche sfide ai Prati di Caprara, e da allora sono il simbolo e la forza del Bologna. Cento storie per questi cento anni. In qualche modo, le abbiamo ordinate in ordine cronologico, ma non c’è stato un ordine preciso di scelta. Non ci sono, in questo libro, storie di Serie A o di Serie B. Né statistiche, già splendidamente elencate anche in recentissime pubblicazioni sul secolo rossoblù. Solo istanti, attimi da raccontare di uomini che hanno traghettato il Bologna dall’inizio del Novecento ai giorni nostri. Campioni e comprimari, quelli che facevano tremare il mondo e quelli che si sono battuti tenacemente per tenere vivo il blasone in anni di minor gloria. Sono rapidi flash sui pionieri, quelli che appunto aspettavano il loro turno, dopo il pascolare delle pecore, per appropriarsi dei Prati di Caprara e del loro sogno che correva come quel pallone di cuoio. O che pochi anni dopo correvano in discesa verso la porta avversaria allo Sterlino. Piccoli e grandi eroi con le loro vite, i loro colpi di genio anche fuori dal campo, le loro passioni, talvolta le loro tragedie. Perché il Bologna ha attraversato la storia di un secolo, vivendone lo sviluppo ma anche i momenti oscuri. Ci sono personaggi che ci erano rimasti nel cuore, magari per personalissimi ricordi d’infanzia. Altri che hanno segnato la loro epoca. Campioni, bidoni, amabili pazzi. E c’è il presidentissimo, Renato Dall’Ara, al centro dell’attenzione con una buona dose di aneddoti perché lui, nemmeno troppo ingenuamente, un aneddoto lo regalava praticamente ogni giorno. Ci sono cento storie, ne mancano altre centomila. Ma queste, qualcuna conosciuta e (crediamo) molte altre meno, ci hanno accompagnati per cent’anni. Proviamo a raccontarle senza rileggere risultati, classifiche, scudetti, promozioni, cadute e rinascite. Semplicemente. Con un sorriso. gli autori

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1 - Trovarsi una mattina in Birreria Molto presto di mattina. È il 3 ottobre 1909, una domenica di pallido sole autunnale. C’è un fervore insolito, alla Birreria Ronzani di via Spaderie. Emilio Arnstein guarda le persone che gli stanno intorno e sorride. Sa che condividono il suo stesso sogno. Sa che amano il football quanto lui, anche se non ne conoscono perfettamente le regole. Non tutti, almeno. Ma in tempi di pionieri, quello che conta è la volontà. Quella di Emilio è di ferro. Ci ha impiegato meno di un anno a trasformare quel sogno in realtà. Aveva trovato “i màt chi corren dri a la bàla” ai Prati di Caprara, poco dopo essersi fermato per l’ennesima volta a Bologna, ai primi del 1908. Li aveva radunati, organizzati, convinti che anche qui, come in altre città italiane, era arrivato il momento di fare sul serio. Ora sono qui, riuniti intorno a un paio di tavoli della Birreria Ronzani, che è anche la sede del Circolo Turistico Bolognese. C’è Arnstein, naturalmente. C’è un conduttore del Collegio di Spagna che di cognome fa Builla, fondamentale perché nel gruppo è quello che porta il pallone. C’è un altro spagnolo, studente dello stesso istituto. Si chiama Antonio Bernabeu Yeste, gioca centravanti e in futuro, tornato in Spagna, militerà anche nel Real Madrid. Squadra di cui suo fratello Santiago diventerà, dopo esserne stato a sua volta giocatore e tecnico, anche presidente e anima, a partire dagli anni Quaranta. Un altro “straniero” viene dalla Svizzera. Si chiama Louis Rauch, è studente in odontoiatria. Diventerà uno dei pupilli del professor Arturo Beretta, prima di aprire un rinomato studio dentistico in centro. E poi ci sono i fratelli Gradi, Vincenzi, Puntoni, Cavazza, Berti, Lambertini, Martelli, Nanni, Della Valle. C’è il cavalier Carlo Sandoni, presidente del Circolo Turistico Bolognese. È lui che ha patrocinato l’iniziativa di Arnstein e dei suoi pionieri. È l’inizio del ventesimo secolo, per far crescere una società sportiva serve un pigmalione. Le cose non cambieranno, in futuro. Il Bologna Football Club nasce in poche ore, come sezione del Circolo. Ha il suo bravo statuto, e il primo presidente della sua storia è proprio lo svizzero Rauch. Guido Della Valle, di nobili origini, è il vice, i consiglieri sono Arnstein e Leone Vincenzi. Segretario Enrico Penaglia, cassiere Sergio Lampronti. Ventiquattr’ore più tardi, il 4 ottobre, “il Resto del Carlino” dà la notizia della fondazione in venticinque righe: «Ieri mattina, al Circolo Turistico Bolognese, venne costituita la sezione per le esercitazioni di sport in campo aperto e precisamente il Foot Ball Club. Era desiderata da molti giovani questa iniziativa per il football, per la palla vibrata, pel tennis, e mentre già alcune esercitazioni si svolgevano da qualche settimana, ora si è fissato 7


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un ordinamento preciso, costituendo la sezione presso il Circolo Turistico che già ha acquistato la maggiore importanza sportiva». L’avventura è davvero iniziata. 2 - Eppure non era una novità... Saranno anche stati adorabili matti, quelli dei Prati di Caprara, almeno per il pensare comune dell’epoca. Certamente, non furono i primi in città. La passione per un calcio ben diverso dal “football” propugnato da Arnstein e dai primi pionieri risale a molto tempo addietro. Secoli, addirittura. E in un certo senso si può dire che con la fondazione del Bologna nel 1909, e con l’apertura di un comitato regionale della federazione un anno dopo, Bologna riaprisse la sua porta ad una pratica sportiva a lei ben nota, e antica. Lo comprova un documento risalente al secolo XVI, e per l’esattezza al 1580. Si tratta di una “grida”, ovvero di un comune bando cittadino dell’epoca. Il modo per rendere ufficiali e pubbliche le leggi promulgate dalle autorità cittadine. Questa, in particolare, proibiva espressamente “il giuoco del Calzo”, a causa del turbamento dell’ordine pubblico che esso comportava. Il che lascia immaginare che anche all’epoca, più di quattrocento anni fa, chi correva dietro a un pallone avesse una nutrita schiera di ammiratori. Si trattava con ogni probabilità di un’attività legata, e probabilmente del tutto simile, al “calcio fiorentino” che negli stessi anni andava per la maggiore proprio a Firenze, e si giocava sulle strade e sulle piazze cittadine. Doveva averci messo poco, quella passione, a varcare l’Appennino e approdare a Bologna. Ma da queste parti non attecchì come lungo l’Arno, e di lì a pochi anni il fenomeno si estinse. Sarebbero passati più di tre secoli prima che un nuovo calcio, ispirato dagli inglesi e importato dai danubiani, trovasse terreno fertile a Bologna. Anche in questo caso, comunque, la scintilla scoccò molti anni prima dell’arrivo di Arnstein in città, datato 1908. Fu la gloriosa Sef Virtus, nata nel 1871, a infilare nel calendario della grande competizione nazionale di ginnastica organizzata a inizio secolo, nel maggio 1901, anche un torneo di “football” alla moda anglosassone, che si svolse in quella che oggi è piazza VIII Agosto. In campo proprio i padroni di casa della Virtus, contro la Palestra Ginnastica Ferrara e la Mediolanum, che alla fine vinse il torneo. Non si ha notizia di eventi del genere organizzati precedentemente. Come dire: il calcio, secondo i canoni che ancora oggi, seppur riveduti e corretti, riconosciamo, nella nostra città (e in tutta la regione) l’ha portato per prima la leggendaria Virtus. 8


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3 - La passione di Emilio Arnstein Emil Arnstein è un suddito dell’impero Austro-Ungarico nato in Boemia, a Wotitz, vicino a Praga, il 4 giugno 1886. Durante l’Università, a Praga e poi a Vienna, si è innamorato del calcio. Gli piace giocare, ma ha trovato anche un’altra strada, e la segue: ama soprattutto organizzare. A Trieste, insieme al fratello e a un gruppo di studenti e professionisti inglesi e boemi, ha da poco dato vita al Black Star FC. Appena arrivato a Bologna, dove già era stato diverse volte in passato, si è subito informato, per sapere se mai qualcuno, da qualche parte, avesse a che fare col football. La “dritta”, dice la storia, gliel’avrebbe data un tranviere. E fuori porta Saffi, nella Piazza d’Armi dei Prati di Caprara, proprio dove nel 1906 si era esibito il leggendario Buffalo Bill col suo tour “Wild West in Europe”, Arnstein ha trovato quel che cercava. Ovvero i famosi “matti che corrono dietro a un pallone”. Gli stessi che si sarebbero seduti intorno a lui quel 3 ottobre 1909. Insieme, iniziarono a scrivere la storia rossoblù. Di cose da fare per l’amato football, Arnstein ne trovò parecchie. Erano anni di pionieri, e chi aveva valore e qualche esperienza veniva coinvolto nella “costruzione” del movimento. La “politica sportiva”, si direbbe oggi. Emilio, in quella riunione in Birreria Ronzani, aveva tenuto per sé il ruolo di consigliere. Ma fu ben presto vicepresidente, e poi addirittura presidente della società, già nel 1910. L’anno in cui, vero organizzatore del movimento in tutta la regione, fu coinvolto nella nascita del comitato regionale della Figc. Così recitava il settimanale “Foot-Ball”, organo federale, nel marzo 1910: “In seguito all’iscrizione delle Società Bologna F.B.C. e Sempre Avanti di Bologna, venne costituito il C.R. Emiliano, nelle persone dei signori: Nob. Guido Della Valle, presidente e delegato della F.I.G.C. - Rag. Legat Italo; Arnstein Emilio, consiglieri. La sede è in via Spaderie 6, Bologna”. Insomma, c’era molto Bologna in questo comitato. E considerando che il primo presidente, Guido Della Valle, aveva sedici anni, c’è da immaginare che Arnstein (che in fondo ne aveva soltanto 24) fosse quello che tirava le fila. Fu, in ogni caso, il primo consigliere straniero del CRE, e anche l’unico. Oltre che il primo arbitro federale in regione. Soprattutto fu un “puro”, un appassionato vero. Lui che per il football aveva fatto tanto, uscì dall’ambiente quando intuì lo sviluppo professionistico che questo sport stava prendendo. In seguito divenne cittadino italiano e subì persecuzioni razziali e politiche negli anni della Seconda guerra mondiale. Ne uscì con l’orgoglio e la dignità con cui aveva 9


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vissuto, e continuò a vivere e lavorare prevalentemente a Bologna, come agente di commercio, fino alla morte, avvenuta l’8 settembre 1976, a novant’anni. 4 - Ai Prati di Caprara, tra le pecore Ma dove si trovavano i giocatori del neonato Bologna per dar sfogo alla loro passione? Né più né meno dove li aveva trovati Arnstein. Ai Prati di Caprara. Per diversi motivi, uno dei quali più importante di tutti: lì non si pagava nulla per giocare. Bastava avere pazienza, e non fare arrabbiare più di tanto il pastore. Già, perché quei terreni non erano proprietà privata dei footballer. Anzi. Ci capitava parecchia gente, e il pastore era uno di quelli che ne avevano pieno titolo. Un tipo burbero, a cui il demanio comunale aveva affittato da tempo quei terreni fuori porta. E insomma, bisognava conviverci e abbozzare se gli animi si scaldavano un po’. A ognuno il suo, rispettando i turni: prima le pecore al pascolo, poi i giocatori schierati secondo la regola anglosassone: golkeeper, end-backs, half-backs e forwards. Ci volle davvero poco, comunque, perché il fenomeno prendesse piede. A quelli della prima ora si aggiunsero altri giovani, più o meno portati per il gioco. E alla fine cominciò a esserci addirittura abbondanza. E pecore o no, quello sarebbe passato

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alla storia come il primo campo di gioco ufficiale del Bologna. Il neonato Comitato Regionale della federazione (Della Valle presidente e Arnstein consigliere, come abbiamo visto, ovvero tanto Bologna...) ci organizzò il primo campionato regionale di terza categoria. Regionale, ma tutto bolognese: il Bologna sbrigò la pratica senza problemi.10-0 alla Sempre Avanti, dieci minuti di pausa e 9-1 alla Virtus. Nessuno ha dimenticato quei primi nomi da scrivere sull’album dei ricordi: Koch, Chiara, Pessarelli, Bragaglia, Guido Della Valle, Nanni, Donati, Rauch, Bernabeu, Mezzano e Gradi. Consegnati alla leggenda. Poi, ai Prati sarebbero arrivate le sfide con US Ferrarese, Hellas Verona, quella di campanile col Modena, fino al fatidico 16 maggio 1910, quando a due passi dal gregge scese in campo l’Internazionale campione d’Italia per sfidare il Bologna. Una sconfitta di misura, per l’orgoglio rossoblù (1-0, rete di Peterly) e trecento spettatori intorno al campo. Un segnale: i “mat chi van dri a la bala” non sono più soli. E nemmeno così matti, in fondo. 5 - Gradi, che portò la maglia rossoblù Quando è il momento di scegliere il capitano, nessuno ha dubbi. Arrigo Gradi. È quello che sa di tecnica più di chiunque altro, ha già giocato nel Schomberg, a Rossbach, quando studiava in Svizzera. E proprio da lassù ha portato l’idea per la divisa ufficiale. Casacca a scacchi, colori rosso e blu col taschino, anch’esso bicolore, sulla sinistra. Una sciccheria. I “matti” del football fanno dannatamente sul serio. E di lì a poco, anche quelli che ci scherzavano su si ritroveranno a bordocampo, a curiosare intorno a quel nuovo sport che sembra destinato a fare proseliti anche a Bologna. E si appassioneranno a quella squadra e a quella maglia rossoblù, magari senza sapere a chi è venuta l’idea di andare in campo indossando proprio quei colori. Arrigo Gradi passerà alla storia così. Primo capitano del Bologna, tra i soci e fondatori del sodalizio, e autore della famosa scelta. Con quella casacca portata dalla Svizzera, da quel collegio di Rossbach, e indossata nelle prime epiche sfide ai Prati di Caprara. È un appassionato di sport a tutto tondo. Tira di scherma, segue e pratica l’equitazione. La febbre per il pallone gliel’ha trasmessa Guido Nanni, amico fraterno, anche lui socio fondatore del Bologna. Erano insieme quel 3 ottobre 1909 alla Birreria Ronzani. Insieme a Rauch, Arnstein, Guido Della Valle, al cavalier Carlo Sandoni. Sono insieme sul campo. Gradi ci resterà dalla fondazione al 1912, giocando un bel numero di partite sulla fascia sinistra, da ala o 11


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più spesso da mezzala dal tiro potente, e regalando al club anche parecchie reti. Nella storia resta quella di uno dei primi grandi successi, contro la più blasonata Hellas Verona, 1-0 ai Prati di Caprara. In campionato, ufficialmente, ne segnerà quattro. Una vita per il Bologna, anche dopo aver appeso le scarpette al chiodo. Gradi resterà sempre nell’orbita della società, a lungo anche come consigliere. Restano, preziosissime, le sue testimonianze, scritte in occasione della festa del cinquantenario. “La nostra società nacque per la decisione di pochi giovani che avevano studiato all’estero e di alcuni stranieri residenti a Bologna, che avevano praticato il football. Si fece l’acquisto di un pallone, ripartendo la spesa fra noi, e ognuno si procurò quel minimo necessario di equipaggiamento di gioco che occorreva, e che gran parte di noi già aveva da quando giocava all’estero. Cominciammo così, con il permesso dell’Autorità Militare, ad andare in Piazza d’Armi, per fare un poco di moto e passare qualche ora all’aria aperta... Storie così, raccontate dal primo capitano rossoblù. 6 - Lo spagnolo dal gol facile Un Bologna di stranieri, si capisce. Ci voleva qualcuno che venisse da fuori, che avesse già un’idea precisa del football, e la voglia di giocarlo ovunque e comunque, per fare proseliti in città. Quando Emil Arnstein arriva in città, il pallone ai Prati di Caprara rotola da qualche tempo. Ci hanno già pensato Rauch, lo “svizzero”, quello che studia da dentista col professor Beretta. E gli spagnoli. Il conduttore del Collegio di Spagna, di cui è passato alla storia solo il cognome, Builla, quello che ogni pomeriggio prende pallone e un gruppo di ragazzi per portarli a correre ai Prati. Tra quei ragazzi c’è qualche talento puro. Uno, probabilmente il migliore di tutti, si chiama Antonio Bernabeu y Yeste. Ha diciannove anni, nel 1909, ed è arrivato a Bologna da poco, dopo un grave lutto familiare. Figlio di un avvocato, Antonio ha frequentato a Madrid il Collegio di San Lorenzo del Escorial insieme ai fratelli Josè, Marcelo e Santiago. Lì il football è arrivato dai college inglesi, e i Bernabeu lo imparano bene. Quando, nel 1909 appunto, perdono la madre, i fratelli si dividono. Santiago, il più piccolo, resta in Spagna ed entrerà nelle giovanili del Real Madrid. Antonio approda a Bologna, per frequentare l’Università. Al Collegio di Spagna, appunto. Ci siamo, il quadro è completo. Ora si può raccontare l’epopea di Antonio Bernabeu 12


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in maglia rossoblù. Breve ma intensa. Lui c’è da subito, ed è anche a quella storica riunione alla Birreria Ronzani. Insomma, è uno dei “padri fondatori” del Bologna. Studia con profitto (si laureerà nel 1911), e intanto debutta a suon di gol. Due presenze nel campionato emiliano della prima stagione (il famoso pomeriggio contro Virtus e Sempre Avanti), sei con cinque gol l’anno dopo, ancora cinque con tre reti nel 1911-12, l’ultimo di permanenza in città. Nel marzo del 1912 il dottor Bernabeu fa le valigie e torna in Spagna. Con un pizzico di rammarico, immaginiamo, perché se è vero che lì lo aspetta un futuro ricco di soddisfazioni, gli anni da pioniere a Bologna rappresenteranno sempre la gioventù, per lui. Lo ricorderà nella lettera inviata per il mezzo secolo del Bologna, nel 1959: “... noi ex collegiali di Bologna ricordiamo sempre con vero amore il collegio, Bologna e io specialmente tutti i miei amici e compagni del calcio”. Non lo metterà mai da parte, Antonio, questo amore. Sarà dirigente del Real Madrid negli anni in cui il fratello Santiago spopolerà con quella maglia, cannoniere leggendario. E presidente per un breve periodo, nel 1929, prima di essere eletto deputato. Santiago, del Real, diventerà una figura mitica. Il presidente più amato. 7 - La Cesoia: terzo tempo in osteria Quei matti che corrono dietro al pallone fanno proseliti. Sempre più persone prendono la strada dei Prati di Caprara per andare a vedere “il fòtbal”, e tanti avvicinano i ragazzi in rossoblù per provarci. Il professionismo è di là da venire, ma in società è già chiaro che urge organizzarsi. In società cresce l’entusiasmo, e si avvicendano i presidenti. Dopo Borghesani lo stesso Arnstein, e poi Ortiz. Infine Domenico Gori, il quinto in poco più di un anno. Uno che ci mette moneta sonante, il che non guasta, perché fin lì ognuno aveva pagato di tasca sua questa passione. A partire dal pallone, all’inizio davvero uno solo, acquistato con una colletta. Gori ci mette anche idee, importanti quanto le lire, se non di più. La più bella: trovare uno stadio vero per una squadra che nel frattempo si è iscritta al campionato, girone veneto-emiliano, per la stagione 1910-11. Non è possibile, ormai, continuare a fare la “staffetta” col pastore dei Prati e le sue pecore. Il presidente cerca, fa cercare, e alla fine individua il posto. Decisamente più vicino, rispetto al centro della città. La località è nemmeno mezzo chilometro fuori porta San Vitale. Si chiama Cesoia. Gori fa le cose con cura: prato battuto a regola d’arte, recinzione, tribunetta in legno su un lato. E pali fissi, finalmente: una sciccheria, perché ai Prati era tutto 13


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molto più improvvisato, come avrebbe ricordato anni dopo Arrigo Gradi, il capitano. “Segnavamo il campo da gioco solo quando si doveva giocare una partita vera e propria con altra società, e poiché l’Autorità Militare ci aveva gentilmente concesso di giocare a condizione che il terreno fosse poi lasciato completamente sgombro, le porte erano smontabili e venivano montate ogni volta che andavamo ad allenarci o che si giocava una partita, smontandole poi subito dopo”. A dirla tutta, qualcosa ancora manca, alla nuova “casa” dei rossoblù. Non c’è ancora lo spogliatoio, ma a tutto si rimedia. Due stanze dell’osteria-locanda a due passi dal campo vanno benissimo. Si può partire davvero. Debutto in campionato il 26 febbraio 1911, contro il Venezia. Tre a zero. Antonio Bernabeu ne fa due, Donati mette il terzo. È una vittoria importante, nella storia del Bologna. L’eco è vastissima, e anche chi non si interessava del fenomeno-football decide di andare a curiosare alla Cesoia. Poi, arrivano le secche sconfitte con Vicenza ed Hellas Verona, ancora parecchi piani sopra i rossoblù, in quanto a tecnica. E soprattutto un’amichevole “internazionale”, quella con i Black Stars di Trieste. Squadra nata pochi anni prima per volere di Arnstein. Praticamente, davanti al buon Emilio si materializzano, sfidandosi, le sue due creature pallonare. C’è agonismo, nonostante sia un’amichevole. Vola qualche parola di troppo, forse anche qualche “scabuffo”. Insomma, il clima si surriscalda un po’, ma alla fine i dirigenti trovano il modo di placare gli animi: partita interrotta prima del tempo, tanto di punti in palio non ce ne sono, e tutti a praticare l’arte fraterna del “terzo tempo” nella locanda che offre rifugio per il dopopartita. Una bevuta, e passano i bollori. Ma il calcio dei pionieri fa passi da gigante, e i limiti della Cesoia vengono alla luce in fretta. Appena piove un po’, il terreno si trasforma in una enorme pozza di fango. Intorno al campo c’è una canaletta dentro cui il pallone va a smarrirsi per interminabili minuti durante le partite più sentite da giocatori e pubblico. Per arrivare al campo, non a caso definito “il catino”, bisogna scendere una scala scomodissima e piuttosto pericolosa, perché il campo è parecchi metri sotto il livello della strada. Insomma, sulla casa del Bologna aleggia un senso di provvisorietà. Più che mai quando il Comune annuncia il piano regolatore, che fa di quella zona un terreno edificabile. Nel 1913 arriva lo sfratto esecutivo, occasione per cambiare aria. Ci penserà il nuovo presidente, Minelli, a individuare la zona del nuovo stadio. “Al starlèin”, lo Sterlino, dal nome di un uccello che da quelle parti è di casa. Zona Murri, in località Ragno. E addio “terzo tempo”.

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8 - Lo Sterlino, il campo in discesa Anni di assestamento, dopo l’entusiasmo della fondazione e delle prime sfide ufficiali. Il Bologna non può smarcarsi dal girone veneto-emiliano, nel quale vivacchia. Ma intanto, se non altro accumula esperienza. Porta in città qualche nome importante, come il portiere Guardigli arrivato da Firenze. E altri stranieri prelevati poco lontano, come Natalio Rivas, altro studente del Collegio di Spagna. E intanto sulla poltrona presidenziale arriva Rodolfo Minelli. Rappresentante di liquori, ha una visione nuova e accattivante del football. Ne va pazzo, si capisce, e per questo vuole promuoverlo. I risultati, dice, sono importanti, ma anche il “contorno” va curato. Il football ha grandi potenzialità e va pubblicizzato. Bisogna invogliare la gente a venire al campo. Le donne, per esempio, vanno conquistate alla nuova disciplina, e per loro l’ingresso alle partite sarà gratuito. Bisogna che la gente venga volentieri alla “casa” del Bologna. Che si senta in famiglia.

Appunto, la casa. Lo “stadio”. Minelli si trova subito di fronte a un problema da risolvere. Nel nuovo piano regolatore del Comune, la Cesoia è terreno edificabile. Prima o poi bisognerà abbandonarla. Meglio prima, pensa il presidente. E va in cerca di un nuovo appezzamento su cui costruire il nuovo impianto. Lo trova in località Ragno, 15


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dalle parti dello Sterlino. Su un terreno che scende dalla sontuosa Villa Ercolani. Appuntatevi questo verbo: scendere. Tornerà presto alla mente. Il 1913 è l’anno dei grandi lavori. Campo recintato con un elegante steccato in legno, tribuna coperta. Il 30 novembre, giorno dell’inaugurazione, il “gioiello” viene presentato con l’orazione del poeta Giuseppe Lipparini, e “varato” con lo champagne dalla signora Sbarberi, dama della Bologna-bene. Lipparini pronuncia parole solenni in favore del “football”, che conquista i cittadini: “È uno spettacolo di forza insieme e di audacia. Lontano dagli estremi così dalla ginnastica lenta dell’atleta che solleva con un braccio un quintale, ed è forte ma né coraggioso né audace: come dalla follia massacratrice della boxe che schiaccia nasi e fracassa mascelle; lontano così dalla mollezza elegante del tennis come dal professionismo disciplinato del pallone - questo gioco richiede, oltre la forza e la destrezza, anche una certa dose di coraggio e di audacia. Giocandolo, si è quasi ognora sicuri di tornare con qualche ecchimosi o con qualche contusione; ma si rischia anche di essere zoppi per qualche settimana e di portare la faccia segnata davanti alle fanciulle. Ci vuole, insomma, animo risoluto contro queste piccole disgrazie che spaventano molti; bisogna imparare a non temere il dolore, anzi, ove occorra, a non sentirlo neppure. E questa, piaccia o non piaccia, è una scuola di vita che giova più delle massime dei filosofi e delle declamazioni dei poeti”. 16


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Insomma, il Bologna ha il suo campo “vero”. Solenne, con le enormi colonne che all’ingresso reggono il nome della società, colorate in rosso e blu. Ma anche unico, perché il terreno di cui si diceva, quello che scende da Villa Ercolani, non si può spianare. Così, allo Sterlino si va “in discesa”. Dalla porta a monte a quella a valle il dislivello è evidente anche a occhio nudo. Quasi un metro. Anche per questo sarà subito ricordato, e temuto, da chiunque venga a giocarci. Nel dopoguerra, dopo la ricostruzione, e fino all’avvento del Littoriale, sarà un fortino quasi inespugnabile: il Bologna ci giocherà 85 partite di campionato, vincendone 72 e perdendone soltanto tre. Da leggenda. Ma anche un impianto “mitico”, e amatissimo dai vecchi tifosi, subirà le ingiurie del tempo. E nel 1969 sarà definitivamente abbattuto. 9 - I “ragazù” di Angiolino Badini C’è una storia, all’inizio coloratissima, che si tinge all’improvviso dei toni cupi della tragedia. È quella di Angelo Badini. Figura importante, nella storia rossoblù, perché è a tutti gli effetti l’uomo che, prima da giocatore e poi scoprendo e coltivando talenti, ispira il primo vero salto di qualità alla società e alla squadra, portandola ai piani nobili del calcio italiano. Passerà alla storia rossoblù come Badini I. Perché insieme a lui, pochi anni dopo la fondazione della società, torneranno dall’Argentina anche i tre fratelli: Emilio, Cesare e Augusto, detto Nene. Erano finiti a Rosario seguendo lo spirito d’avven-

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tura del padre, capomastro in cerca di fortuna. Una volta arrivata quella, il richiamo dell’Italia si fa più forte, sconfinando nella nostalgia. Tutti di nuovo a casa, allora. Angelo debutta nel Bologna nel 1913. Ci giocherà fino al 1921, pochi giorni prima della tragica, prematura scomparsa. Diventa in poco tempo la colonna portante della squadra, centromediano dalla grande forza propulsiva e un carisma che ne fa il leader indiscusso in campo. E non solo durante le partite. Siamo ancora in un’epoca di “pionieri”, nella quale la figura del trainer, come sarà intesa a partire dagli anni Venti, è di là da venire. Tocca ai giocatori più esperti occuparsi della crescita dei talenti in sboccio, dei ragazzi della seconda e terza squadra. Angiolino Badini lo fa in modo esemplare. Cura la tecnica in campo, ma anche la forza morale dei suoi giovani allievi. Ha un’idea nobile del calcio. Per lui dev’essere orgoglio e lealtà, forza e intelligenza. Trasmette il suo verbo, diventa una sorta di fratello maggiore per i giocatori più giovani. Sulle ceneri della guerra, Angelo costruisce il Bologna che verrà. Sono quasi tutti suoi allievi i giovani che nel 1919 vincono il Torneo Primi Calci, organizzato da alcuni dirigenti rossoblù tra cui Berti, Oppi, Gaiani e Gibelli. In quella squadra ci sono nomi che diventeranno famosi, in questa storia. Genovesi, Baldi, Cesare Alberti, Muzzioli, Schiavio, Gasperi. Angiolino è coinvolgente, allegro, colto. Ha un diploma di architetto e studia belle arti. Sembra destinato a un grande futuro in società. Invece, il destino lo aspetta al varco. Il 9 gennaio 1921 gioca la sua ultima partita in rossoblù. Poi una malattia lo costringe a letto. Sembra un’influenza mal curata, arriva un miglioramento e il capitano promette ai compagni che lo rivedranno presto in campo. Invece la situazione si aggrava, e a metà febbraio la setticemia si porta via il primo grande personaggio della storia rossoblù. Lo piange Bologna, e l’eco della sua morte arriva in tutta la penisola, lasciando sgomento chi sa di football. Lo Sterlino sarà intitolato a lui. Doveroso. Destino dannato. L’avventura nel calcio, e nel Bologna di Emilio Badini, fratello di Angelo, si era già interrotta poco prima, anche se non in maniera così tragica. Drammatica, questo sì. Durante un’amichevole col Padova. Amichevole di nome, non certo di fatto. L’entrata assassina di Modulo, terzinaccio rude dei veneti, è di quelle che lasciano il segno. Carriera finita, almeno a certi livelli. Emilio, il primo bomber vero della storia rossoblù, chiude con 25 reti segnate in 42 incontri, secondo quello che ci hanno tramandato i documenti dell’epoca. Riprenderà dopo un anno di inattività, con la casacca della Virtus, sempre nella massima categoria della lega Nord, ma senza più il senso del gol che ne aveva fatto un terrore delle difese. Gli resterà l’orgoglio di passare alla storia come il primo giocatore del Bologna a guadagnarsi una maglia azzurra. In un’occasione speciale: Olimpiadi di Anversa, 31 agosto 1920. Nel torneo di consolazione, l’Italia batte la Norvegia 2-1, con reti di Sardi e Badini II. Un mese esatto prima dell’incidente. 18


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