AGGIUNGI AL CARRELLO – Shopping on-line: sopravvivere agli inganni e alle dipendenze del web

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Massimiliano Dona - Paola Vinciguerra

Aggiungi al carrello shopping on-line: sopravvivere agli inganni e alle dipendenze del web prefazione di Giovanni Pitruzzella

Minerva Edizioni


Collana editoriale

AGGIUNGI AL CARRELLO Shopping on-line: sopravvivere agli inganni e alle dipendenze del web Massimiliano Dona - Paola Vinciguerra

Direzione editoriale: Roberto Mugavero Editing, grafica e impaginazione: Sara Celia

© 2013 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. ISBN: 978-88-7381-526-6 Minerva Edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com info@minervaedizioni.com


SOMMARIO

Prefazione di Giovanni Pitruzzella 9 Parte I Inganni di Massimiliano Dona 13 Capitolo I Siamo tutti consumatori on-line

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1.1 Una serata tra amici 15 1.2 Consumatori nell’era di internet 16 1.3 Sbarcare il lunario nel cyberspazio 19 1.4 Il paese dei balocchi: sul web “gratis” non esiste 24 1.5 L’e-commerce è maggiorenne? 28 1.6 Dal negozio sotto casa a quello virtuale 32 1.7 I molti modi di comprare su internet: da eBay ad Amazon 38 1.8 L’era dell’info-commerce: dai comparatori a TripAdvisor 46 1.9 Il futuro degli acquisti: dal mobile commerce al social 53 Capitolo II Le occasioni del social shopping

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2.1 Il social e la partita degli acquisti 2.2 Le origini: dai gruppi d’acquisto al couponing 2.3 Oggi Facebook, domani Pinterest 2.4 In principio fu Groupon

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Sommario

2.5 Gallina dalle uova d’oro o grande bluff? 2.6 Come te la raccontano i coupon sites

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Capitolo III Come fare acquisti sicuri su internet

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3.1 Cose da non credere 95 3.2 Prepariamoci a comprare su internet 97 3.3 La scelta dell’e-shop 102 3.4 È il momento di pagare: banche, carte o ricaricabili? 107 3.5 Spedizioni, consegne e garanzie post‑vendita 113 3.6 Il diritto di cambiare idea e altri antidoti 118 3.7 Comprare una vacanza su internet 123 3.8 Il falso che viaggia on-line 127 3.9 Come comprare sul web e vivere felici 131 3.10 Buon viaggio verso il (nostro) futuro 138 3.11 E per finire un test 141 Parte II Dipendenze di Paola Vinciguerra 147 Capitolo IV E ora guardiamoci dentro

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4.1 Internet ci sta cambiando 149 4.2 Il bisogno del gruppo 154 4.3 Perché si diventa dipendenti 164 4.4 La dipendenza da internet 169 4.5 Il sesso virtuale (e l’amicizia sul web) 178 4.6 Le principali net compulsions 181 4.7 I meccanismi psicologici sottesi all’uso della Rete 184 4.8 Le cause dello shopping compulsivo 186 4.9 La dipendenza da shopping on-line 194


Sommario

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Capitolo V Riconosciamo le dipendenze

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5.1 Verifichiamo se siamo dipendenti 5.2 Un test sul senso di vuoto 5.3 Un test sulla dipendenza da internet 5.4 Un test sulla dipendenza da shopping on-line

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Capitolo VI Come difendersi

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6.1 Miglioriamo il rapporto di autostima 219 6.2 Impariamo a parlarci in modo costruttivo 222 6.3 Evitiamo le parole drammatizzanti 226 6.4 Le parole giudicanti 227 6.5 Le parole “bianco o neroâ€? 230 6.6 Impariamo a pensare in modo corretto 238 6.7 L’attivitĂ fisica e lo shopping 244 6.8 Impariamo a realizzare il nostro impegno 247 6.9 Dormire bene per comprare meglio 251 6.10 Le regole per favorire il sonno 254 6.11 Consigli per combattere lo shopping compulsivo on-line 258 6.12 E per finire: come usare questo libro 260 Ringraziamenti 267



PREFAZIONE

L’evoluzione tecnologica ha determinato profonde modificazioni nel campo dei processi di produzione e di apprendimento, ma ha anche comportato una radicale trasformazione del ruolo dell’individuo nella società e delle categorie con le quali egli era abituato a confrontarsi. È in questa prospettiva che appare assai opportuno, e direi innovativo, il duplice approccio degli Autori al tema della digitalizzazione dei rapporti di acquisto. Se è vero, infatti, che le particolari modalità con le quali si realizza il contratto nello shopping on-line rende ardua l’applicazione della disciplina tradizionale fondata sul consenso e sull’accordo, a tutelare il consumatore vi è la disciplina del mercato. Vengono in rilievo, in questa prospettiva, la disciplina della pubblicità, quella dei controlli amministrativi sugli operatori economici e quella degli obblighi informativi che il professionista è tenuto ad adempiere. L’esperienza dell’Autorità che presiedo negli ultimi anni ha dimostrato, infatti, quanto siano diversificate e sofisticate le tecniche adoperate dagli operatori commerciali per indurre i consumatori a compiere scelte spesso incaute e inconsapevoli. In questo senso, il fenomeno dello shopping on-line impone non solo di districarsi tra le diverse istanze soggettive (e psicologiche) dei consumatori, ma anche di riconoscere sempre nuove fattispecie di illegalità per ricondurle nell’ambito di un sistema di regole che, pur tenendo in


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Prefazione

considerazione la situazione del contraente debole e la necessaria rapidità delle transazioni, sia in grado di garantire sempre la prevedibilità e la certezza di rimedi e tutele. Il tema della fiducia del “consumatore digitale” è profilo centrale per un effettivo sviluppo dell’e-commerce: la capacità di esercitare una scelta di acquisto libera e consapevole è un elemento imprescindibile per il funzionamento di un mercato effettivamente concorrenziale, così come lo sviluppo di quest’ultimo rappresenta un fattore determinante per la ripresa economica. Per questi motivi, è indispensabile una decisa azione di tutela della correttezza delle pratiche commerciali e dell’interesse pubblico alla veridicità delle informazioni fornite ai consumatori. Al fine di non vanificare i benefici della concorrenza, e dunque di stimolare una domanda più ampia da parte dei consumatori, deve necessariamente garantirsi una progressiva crescita della loro consapevolezza. I consumatori sono uno dei motori dell’economia, dalla cui domanda dipendono crescita, occupazione e competitività. Fra tutela della concorrenza e tutela del consumatore si crea un circolo virtuoso. La prima apre i mercati agendo sul lato dell’offerta, la seconda concorre al raggiungimento del medesimo obiettivo agendo sul lato della domanda. La maggiore vulnerabilità dei consumatori nei periodi di crisi economica richiede una maggiore iniezione di fiducia nei confronti dei mercati e dei soggetti in essi attivi: è questo uno degli strumenti su cui si deve puntare per rilanciare i consumi privati. Di contro, l’affievolirsi della tutela del consumatore, oltre alle gravi conseguenze economiche anzidette, aggraverebbe i processi di indebolimento della coesione sociale.


Giovanni Pitruzzella

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La tutela del consumatore si appresta, allora, a vivere una nuova stagione in cui, accanto alle tradizionali sfide che fino a oggi ha dovuto affrontare, se ne aprono di nuove, legate alla maggiore complessità dei consumi indotta dal diffondersi del commercio elettronico. La possibilità di acquistare tramite web rappresenta senza dubbio un fattore di stimolo alla crescita, alla concorrenza e all’integrazione dei mercati, ma rappresenta al tempo stesso anche uno strumento pieno di insidie per il consumatore che, privo dei riferimenti che tradizionalmente orientavano le proprie scelte di acquisto, potrebbe trovarsi sempre più esposto a pratiche commerciali contrarie ai canoni della diligenza professionale e idonee a falsarne il comportamento economico o a condizionarne indebitamente la libertà di scelta. La scelta del tema da parte degli Autori è, quindi, particolarmente felice e le lucide considerazioni contenute nel libro contribuiranno ad accrescere il grado di consapevolezza dei consumatori e rappresenteranno, al tempo stesso, uno stimolo critico per tutti coloro che, per missione istituzionale, sono quotidianamente impegnati nella difficile ma affascinante opera di costruire un contesto caratterizzato dal più elevato grado di correttezza possibile. Giovanni Pitruzzella Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato



Parte I Inganni di Massimiliano Dona



CAPITOLO I

Siamo tutti consumatori on-line

1.1 Una serata tra amici «Anche questa recensione è favorevole: bene, ancora un paio di clic e la vacanza è organizzata!». Michela ci ha lasciato da soli in salotto: lei, poco più in là, sul tavolo della cucina, ha trascorso l’ultima mezzora con lo sguardo perso nel monitor del suo computer portatile. «Evviva… adesso pensi di tornare tra noi?». Pietro non usa mezzi termini per richiamare la padrona di casa ai suoi doveri di ospitalità. Certo, a volte lui è troppo attento alle formalità, ma anche io e Gianco, che pure conosciamo bene la nostra amica, protestiamo: «Ci hai invitato a cena, non potresti essere più sociale?». Incurante delle nostre lamentele, Michela, afferrato il portatile ci raggiunge sul divano con la faccia di chi ha appena fatto un terno al lotto: «Più sociale di così!». Giusto un attimo di pausa per creare la necessaria attesa, poi eccola snocciolare i risultati del suo shopping online: «Tre giorni in un meraviglioso agriturismo, due cene in ristoranti tipici della zona, l’escursione in mountain bike, persino la baby-sitter per il piccolo Andrea… e come se non bastasse, anche il check-up completo dell’auto prima di partire».


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La guardiamo poco convinti mentre lei continua a esaltarsi. «I migliori siti per il turismo, un po’ di social shopping e il gioco è fatto: facendo qualche calcolo oltre il 60% di sconto per una bella vacanza con tutta la famiglia… sono un genio!». «Sì, genio, ma l’amicizia non ha prezzo!». Pietro, che pure nella vita si occupa di informatica, non ha pietà della nostra amica shopping‑addicted. Gianco invece, scettico per natura, le rivolge un ghigno di sfida: «Adesso chiedi all’avvocato Dona quante lamentele riceve dai consumatori che credono di fare affari su internet…».

1.2 Consumatori nell’era di internet Nell’era di internet anche una serata tra amici può trasformarsi in un’occasione per fare shopping: è sufficiente un computer collegato alla Rete (o anche solo uno smartphone o un tablet) per approfittare di quella sterminata vetrina virtuale che ci consente di cercare il prodotto che fa per noi, ricevere ogni genere di informazione e comprarlo nel giro di pochi clic. Il tutto in nome della semplicità, della rapidità e, soprattutto, del risparmio! Ma sono proprio così comodi i mercati smaterializzati? C’è da credere alla seduzione dei messaggi veicolati on-line? Si tratta di opportunità accessibili per tutti? Che genere di affari possiamo realizzare su internet e che tipo di prodotti o servizi conviene acquistare? E ancora: quali sono i principali pericoli nel mondo digitale? E se qualcosa non va per il verso giusto, come reagire? Che strade intraprendere per reclamare e, se necessario, per difendere i nostri diritti di consumatori?


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Domande alle quali Aggiungi al carrello cercherà di dare risposta, anche perché me le sento rivolgere sempre più frequentemente, non solo a casa di amici: lavoro per l’Unione Nazionale Consumatori che riceve ogni giorno decine di segnalazioni, reclami, richieste di chiarimenti da parte di chi si cimenta nello shopping on-line. Secondo i dati raccolti dagli sportelli dell’organizzazione (www.consumatori.it), le problematiche connesse al web sono in rapida ascesa (+32% nel 2012 rispetto all’anno precedente) e, in termini assoluti, questo settore è il terzo dopo quelli che riguardano le vertenze con le compagnie telefoniche ed elettriche. Nulla di cui preoccuparsi: questi numeri spiegano semplicemente che sta cambiando il modo di fare acquisti e, come sempre accade quando si aprono nuovi scenari, insieme alle nuove opportunità (su internet si possono fare buoni affari), è necessario confrontarsi con qualche “disservizio”. Basta guardarsi in giro per notare che, al giorno d’oggi, i consumatori sono sempre più e‑consumers, cioè fruitori della società elettronica: vivono, interagiscono, si informano e fanno acquisti sul web. Complice la crisi, anche gli italiani, seppure in ritardo rispetto al resto d’Europa, stanno cominciando a comprendere che lo shopping on-line è una straordinaria opportunità. Pensiamoci bene: cosa si può immaginare di più comodo e rilassante rispetto a fare acquisti senza muoversi da casa? Sul monitor ad altissima risoluzione possiamo osservare ogni dettaglio del prodotto al quale siamo interessati, vederlo in una diversa colorazione, studiare la scheda tecnica, metterlo a confronto con altri modelli, cercare il miglior prezzo tra diversi venditori. Infine, possiamo ordinarlo, utilizzare il mezzo di pagamento che ci è più congeniale e poi riceverlo


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direttamente a casa o presso l’indirizzo che preferiamo (in ufficio, sul luogo di lavoro, nella casa di vacanza). Un sogno: nessun fastidioso peregrinare tra le vie del centro o nelle lontane cattedrali dello shopping; basta traffico, ricerca del parcheggio, su e giù per i centri commerciali; possiamo dimenticare orari di chiusura, la fatica per caricare e scaricare la nostra auto. E non solo: il mondo digitale è tutta un’altra cosa anche grazie alle regole di tutela che, come vedremo più avanti, consentono al consumatore di cambiare idea, esercitare il diritto di recesso per rispedire l’acquisto al mittente e avere indietro il denaro speso. Che meraviglia! Ecco perché vale la pena di conoscere meglio questa realtà così da fronteggiarne le insidie, imparando a difenderci da inganni e dipendenze (ivi comprese certe nostre leggerezze) che rischiano di trasformare una meravigliosa opportunità in un’aspettativa mancata, una perdita di tempo o un momento di frustrazione. Cominciamo allora subito ricordando che, anche nel cyberspazio, siamo “consumatori” pur al cospetto di relazioni commerciali non immediatamente riconducibili al classico paradigma di consumo. Insomma, finché compro un paio di scarpe, mi sarà chiaro di fare shopping on-line, ma un mucchio di soldi è speso ogni giorno anche per fare acquisti di intrattenimento digitale: mobile apps e online gaming oltre che, naturalmente, per servizi di rete mobile e acquisti e-text (termine con il quale si indicano e-book, news on-line e altre piattaforme di aggregazione dell’informazione). Si tratta di situazioni assai diverse rispetto ai classici consumi “da supermercato”, nelle quali è facile dimenticare quanto si spende (grazie a modalità di pagamento super semplificate, sullo stile di iTunes, Kindle o di altri store on-line),


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ma anche di trascurare la quantità di dati e informazioni che ci vengono richiesti, ad esempio quando ci iscriviamo a un social network. Ed è un “costo” non proprio trascurabile come è facile comprendere quando cominciamo a essere bersagliati da messaggi pubblicitari stranamente mirati sui nostri interessi: solo allora in molti si chiedono che “prezzo” può avere avuto iscriversi a un determinato sito o anche solo aver fatto una ricerca su un motore di ricerca (siamo certi che anche usare Google sia gratis?). Alla luce di quanto detto fin qui, potremo quindi immaginare di enunciare una prima regola di autodifesa per chi naviga sul web. Non dimentichiamo di essere consumatori quando mettiamo piede su internet. Approcciare l’universo on-line con maggiore consapevolezza mi sembra un buon inizio se vogliamo cominciare a godere pienamente delle molte opportunità che la Rete mette a nostra disposizione.

1.3 Sbarcare il lunario nel cyberspazio «Costi quel che costi, non pagare il prezzo pieno». Sembra questo l’imperativo categorico per i consumatori in tempo di crisi. Ed ecco che, in questa disperata ricerca al ribasso, la bussola per eccellenza è internet, nuova galassia di offerte, prezzi scontati e opportunità da non lasciarsi sfuggire: l’idolo incontrastato di questa nuova era è il social buying, cioè il fenomeno dei cosiddetti gruppi d’acquisto on-line, che spinge i moderni consumatori a mettersi disperatamente a caccia di coupon! Un fatto è certo: la crisi economica sta cambiando le nostre esistenze e ciascuno è chiamato a rimodellare i propri


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stili di vita e a far tesoro delle opportunità di risparmio offerte dal mercato. A loro volta i produttori e i venditori, in una fase di recessione dei consumi, tendono a salvare il salvabile e, per indurre i consumatori ad acquistare, devono far leva proprio sulla promessa di occasioni e opportunità low cost. Del resto, per avere una dimensione è sufficiente dare uno sguardo ai cartelloni pubblicitari che tappezzano le nostre città (inneggiando a sconti, sottocosto, svendite e liquidazioni) o fare un giro in un supermercato dove sono sempre più diffuse offerte e promozioni (prendi 3 e paghi 2). Negli Stati Uniti si è scatenata una vera e propria febbre per lo shopping sotto-costo che vede come protagonisti i tagliandi che i consumatori trovano sulle riviste o sulle confezioni dei prodotti e che consentono sconti assai significativi, al punto da permettere di fare la spesa con pochi dollari (il fenomeno è così popolare da essere protagonista della serie televisiva Extreme couponing che è arrivata anche da noi, su Real Time, con il nome di “Pazzi per la spesa”). Sembra proprio che il mantra delle nostre esistenze in tempo di crisi possa essere così sintetizzato: sconti, sconti, sconti! Internet a sua volta non poteva che amplificare questo fenomeno anche perché, a pensarci bene, si è da sempre presentata come un luogo dove comprare a prezzi vantaggiosi grazie alla possibilità di accorciare la filiera: così oggi in molti si chiedono se on-line è davvero possibile risparmiare. La risposta non è agevole perché dipende da caso a caso. Proviamo a fare qualche esempio concreto: se è mia intenzione acquistare sul sito “ufficiale” del produttore (ad esempio Apple, Samsung, Canon, Nike, Adidas ecc.) incontrerò prezzi on-line generalmente analoghi a quelli praticati nel


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punto vendita tradizionale e, in certi casi, dovrò considerare i costi di spedizione, forse una maggiorazione dovuta all’uso di una carta di credito e mettere in conto i tempi d’attesa. Solo per fare alcuni esempi, se fossi interessato a un Macbook pro Retina, oggi lo potrei acquistare sul sito Apple con consegna gratuita allo stesso prezzo praticato dagli Apple Store della mia città. Personalmente preferirei comprarlo in un negozio anche per approfittare di alcuni vantaggi, a cominciare dalla possibilità di reperire informazioni aggiuntive dagli addetti alle vendite. Ma è questione di punti di vista: è possibile che un altro consumatore preferisca ordinare con un clic e attendere il notebook a casa propria. Farò un altro esempio di acquisti che preferirei fare offline. Ho adocchiato un bel paio di scarpe da ginnastica, potrebbero essere le Nike Flyknit Lunar 1+: dopo una rapida ricerca scopro che sul sito ufficiale Nike costano esattamente lo stesso prezzo (170 euro) praticato nel punto vendita. Mi metto in cerca di un generico e-shop e scopro (Zalando) che posso averle a 110 euro. Tuttavia preferirei comprarle ugualmente in una delle vie del centro: vuoi mettere provarle ai piedi? E se avessi bisogno di mezza taglia in più? Prima che qualcuno mi additi come un avversatore degli store on-line è bene aggiungere che potrei citare altrettanti casi nei quali è di gran lunga più vantaggioso acquistare su internet: uno degli smartphone del momento è il Samsung Galaxy S4. Cercandolo nel cyberspazio si risparmia eccome: sul sito di Unieuro il prezzo è di 595 euro, su ePRICE 535. Poi l’ho trovato persino a 499 euro, però da un venditore su eBay che desta qualche sospetto (per le modalità di pagamento richieste).


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Gli esempi dei vantaggi realizzabili su internet potrebbero portarci via molto tempo, ma intanto, ecco una buona occasione per fissare una seconda regola. Quando decido di acquistare sul web (come nella vita reale) non è mai bene fermarsi nel primo negozio che incontro. Così facendo, si possono fare buoni affari a condizione, però, di tener conto che il prezzo indicato nella vetrina virtuale potrebbe non essere il prezzo complessivo del bene. Sulla Rete il consumatore deve fare qualche verifica in più. Mi spiego: qualche tempo fa Cinquanta sfumature di grigio (il best seller di E.L. James, Milano, Mondadori, 2012) era in vendita in libreria al prezzo di copertina di 14,90 euro, ma era disponibile anche su Amazon.com al prezzo di 12,67 euro. Il sito faceva notare il vantaggio: «Risparmi 2,23 euro (15%)». Ma ecco la brutta sorpresa: «Spedizione gratuita, per ordini sopra 19 euro». Che sfortuna… Per capire quanto aggiungere per averlo a casa (nella schermata non è detto) provo a cliccare su “dettagli”: si apre un paginone fitto fitto di informazioni ed io avrei voluto leggere qualcosa di diverso... Non voglio annoiare, ma dopo attento studio (quanti consumatori avrebbero “sprecato” tanto tempo?) il prezzo lievita di 2,30 euro. Non è granché, ma sommando questo costo al prezzo di vendita il totale arriva a 14,97 euro, cioè 7 centesimi in più del prezzo di copertina! Prima di comprare on-line è il caso di fare qualche calcolo, no? Mi sembra abbastanza per enunciare una nuova regola da tenere in considerazione se voglio essere certo d’aver scelto il canale di vendita più vantaggioso. Un prezzo on-line va valutato alla luce dell’ultimo riepilogo delle spese accessorie.


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Detto ciò, tuttavia, acquistare on-line è spesso conveniente: intanto perché è più facile reperire, tra i molti prodotti e distributori, quello più competitivo in termini di prezzo rintracciando promozioni o vendite sottocosto; inoltre, se desidero un bene personalizzato (fermo restando, però, quanto dirò più avanti sulle limitazioni del diritto di recesso per i prodotti “su misura”), i siti specializzati offrono infiniti strumenti di customizzazione; infine, per il consumatore può essere comodo ricevere il prodotto direttamente a domicilio. Come si è visto, quindi, alla domanda se internet fa risparmiare, non si può (almeno per ora) dare una risposta univoca: ciascuno dovrà avere la pazienza di fare un po’ di conti (da consumatore consapevole, senza fretta…), verificando il prezzo di listino, magari mettendolo a confronto con quello praticato nel punto vendita tradizionale (dove, non dimentichiamolo, talvolta è possibile ottenere degli sconti), ma senza trascurare i costi necessari a muoversi in città. Da qui un’altra buona regola, utile anche a restituire alla Rete ciò che le spetta. Un prezzo che appare più vantaggioso in un punto vendita tradizionale sarà tale solo dopo aver messo in conto quanto mi costerà in termini di tempo e benzina. Sui prezzi dei prodotti e dei servizi acquistabili on-line tornerò naturalmente più avanti chiedendomi come sia possibile, per certi e-shop, praticare condizioni così diverse dai venditori del mondo “reale”. E guarderemo da vicino il fenomeno social commerce che consente scontistiche eccezionali: questi operatori sono già noti al grande pubblico (Groupon, Letsbonus, Groupalia, Glamoo, Poinx ecc.) e molti consumatori si chiedono se siano


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affidabili e, soprattutto, cosa si nasconda dietro questi prezzi incredibili. Prima di rispondere, però, dobbiamo sfatare un altro luogo comune.

1.4 Il paese dei balocchi: sul web “gratis” non esiste Come tutti sanno, internet nacque per finalità militari, poi per lungo tempo ha svolto una funzione informativa, rivelandosi in breve la più vasta e accessibile “enciclopedia” esistente sul pianeta. Oggi, non c’è dubbio, molta parte della Rete è occupata dalle persone che interagiscono tra loro, si scambiano conoscenze, dialogano, commentano, fanno gruppo in nome di una certa idea di gratuità. Descritto in questo modo, il web sembra una moderna riedizione del paese dei balocchi, tuttavia, come nel luogo immaginario descritto da Carlo Collodi, in molti cercano di fare affari: con un inesauribile proliferare di attività commerciali di ogni tipo, internet sembra contraddire se stessa se è vero che, da simbolo dell’accessibilità gratuita, va trasformandosi in luogo dove fare business a tutti i costi, talvolta anche a spese di ignari consumatori. Qualcuno potrà sobbalzare di fronte a questa mia affermazione, ma è bene cominciare ad aprire gli occhi. Un esempio? Beh, per cominciare, ogni qualvolta ci chiedono di essere interattivi su internet dovremmo mettere nel conto i costi di connessione: che sia la partecipazione a un gioco multiplayer, la connessione a un servizio di mappe geolocalizzate, la lettura di un quotidiano on-line o la fruizione gratuita di programmi televisivi su un tablet, nessuno ci spiega quanto paghiamo (talvolta poco, ma in altri casi si tratta di importi non proprio trascurabili) per l’uso del web.


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Sarebbe bene che i consumatori tenessero maggiormente in considerazione questi costi anche per distinguere ciò che è realmente gratis, da ciò che paghiamo quasi senza accorgercene (magari all’arrivo della bolletta telefonica). E sempre a proposito di consapevolezza, andrebbe poi spiegato che talvolta il web “si fa pagare” in altro modo, appropriandosi non già di denaro tradizionale, ma di qualcosa di ugualmente monetizzabile: abbiamo già accennato alle nostre informazioni personali, ma lo stesso discorso vale per i nostri gusti, le foto, i nomi dei nostri amici. È il caso, solo per fare un esempio, del fenomeno gratuito per antonomasia, quello dei social network: tutti sappiamo che iscriversi a Facebook, a Twitter, a Google+, a YouTube non ha alcun costo apparente. Ma “paghiamo” eccome: consegniamo un bene prezioso, le informazioni che ci riguardano. E non è tutto: vi è mai capitato di ricevere la richiesta di accedere alla vostra galleria fotografica o alla vostra rubrica da parte di una App appena scaricata? Beh, anche in questo caso paghiamo con le nostre informazioni: i colori prevalenti delle nostre fotografie potranno fornire utili indicazioni a chi vende abbigliamento. Sembra incredibile, vero? Anche la musica che abbiamo scaricato può essere esaminata da qualcuno che saprà offrirvi i biglietti per il concerto del vostro cantante preferito. Non è facile stimare il valore di questi dati, ma posso assicurare che si tratta di contenuti che (nel loro complesso) sono considerati assai preziosi! Secondo voi perché alcune start‑up dell’universo social sono state valutate milioni di dollari? Non solo per l’idea brillante realizzata dal loro inventore; molto più probabilmente per il gran numero di utenti iscritti (e di informazioni) disponibili.


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E allarmanti mi sembrano anche tutte quelle situazioni nelle quali internet dichiara come gratuito l’accesso a determinati beni o servizi per poi presentare il conto “a tradimento”. Proprio l’Unione Nazionale Consumatori fu la prima a denunciare la pratica messa in atto dalla società Easy Download (e poi proseguita, nonostante i provvedimenti dell’Autorità Antitrust, sotto altre denominazioni come “Italia Programmi”) che recapitava richieste di pagamento al domicilio di consumatori che avevano creduto di scaricare dal web programmi gratuiti. Certo si dirà queste sono vere e proprie truffe, cosa c’entra internet? Naturalmente non è “colpa di internet”, ma possiamo dire che la natura dello strumento, proprio quella sua “semplicità” e “comodità” (non a caso si scelgono denominazioni seducenti come easy download), possono indurre il consumatore a una minore attenzione. Ciò accade anche a causa della rapidità con la quale avvengono le transazioni on-line: proprio questo aspetto va tenuto nella giusta considerazione quando clicchiamo smaniosi di accettare senza avere letto i dettagli dell’offerta, animati dalla fretta di ordinare un prodotto o di attivare un servizio. Ecco, è proprio qui che prendono avvio molti dei nostri problemi di e-consumers: alcune ricerche testimoniano che, in particolare nell’uso di telefonini e smartphone, sono in crescita esponenziale i costi addebitati ai consumatori a causa di un ordine involontario, cioè per un clic (anche se sul mobile dovremo dire tap) fatto con troppa leggerezza o indotto dalla ambiguità grafica di alcune applicazioni («ma io non volevo comprare nulla toccando quell’icona!»). Una vera cuccagna, per restare a Collodi, per gli operatori digitali: vale quindi la pena di addentrarsi nel paese dei balocchi con maggiore circospezione e piedi (dita) di piombo, senza dimenticare che, spesso, proprio la fretta è


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cattiva consigliera. Anzi, si tratta di un compagno di viaggio (come Lucignolo per Pinocchio) talvolta fatale, se è vero che il consumatore è già per definizione “uno che ha fretta”. Troppo spesso il web gioca a presentarsi come “tutto gratis”, ma non è più tempo di credere alle favole. Cosa intendo dire? Semplicemente che nessuno regala niente, figuriamoci in tempo di crisi. Accade allora che l’accesso ad alcuni servizi venga presentato for free, ma che una richiesta di pagamento segua strada facendo: è tipico il caso di quei diffusi giochi on-line che sono scaricabili gratuitamente, ma che poi richiedono all’utente di acquistare nuovi livelli o funzionalità con il versamento (tutt’altro che virtuale) di qualche centesimo di euro. Forse non una gran spesa, ma si sa, di centesimo in centesimo… Cosa c’entra tutto ciò con lo shopping on-line? L’abbiamo già detto, guai a dimenticare di essere consumatori: comincia qui la nostra debolezza on-line, quando trascuriamo noi stessi e non ci accorgiamo di pagare qualcosa proprio quando sembra che non ci sia richiesto denaro. Per questo, alle regole enunciate fin qui ne aggiungerei subito un’altra, che potrebbe suonare più o meno così, parafrasando un vecchio detto. Se il web ti offre qualcosa gratis allora significa che il prodotto sei tu. Ciò non vuol dire che il mondo dell’internet sia ingannevole, per carità. Chi sostiene simili generalizzazioni sarebbe fuori dalla realtà, ma è bene suggerire una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori che troppo spesso ignorano come funziona l’internet. Per spiegarmi meglio farò un esempio: molti ormai sanno cosa sono i cookies (letteralmente biscotti), utilizzati per tracciare sessioni


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di navigazione sul web o memorizzare informazioni, ma pochi utenti sanno come comportarsi. Sapevate che se intendete comprare un volo o prenotare una vacanza sul web, conviene cancellare i cookies prima di tornare su un sito che avete già visitato per evitare di essere riconosciuti con conseguente innalzamento di prezzi e tariffe? Ma a volte la funzione di questi anonimi biscottini è esattamente opposta: se infatti provate a fare un preventivo on-line per l’assicurazione della vostra nuova auto, è possibile che al secondo accesso al sito (proprio grazie ai cookies) sia offerto un prezzo più basso, forse per indurvi a stipulare il contratto. Non è quindi facile per i consumatori orientarsi tra queste dinamiche, ma un po’ più di informazione e trasparenza possono giovare anche all’interesse dei soggetti imprenditoriali e quindi, in ultima analisi, al mercato del web nel suo complesso. Va anche detto, in conclusione, che l’aver affermato che “sul web il gratis non esiste” non equivale a negare le opportunità di risparmio che invece sono disponibili in gran quantità on-line (torneremo più avanti su questo argomento, spiegando come approfittarne).

1.5 L’e-commerce è maggiorenne? Nel 2012 l’e-commerce (contrazione di electronic commerce) ha compiuto 18 anni, diventando così maggiorenne, almeno anagraficamente, visto che si fa risalire al 1994 l’anno di avvio delle attività. A giudicare dai dati, però, è forse ancora un po’ presto per celebrare la piena maturità del business on-line, almeno per quel che riguarda il nostro Paese: solo l’1% delle vendite al dettaglio si realizza su internet rispetto a una media europea del 7%, anche


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se il fenomeno è in espansione con una crescita annua che supera il 30%. I settori con lo sviluppo più significativo sono i siti di vendita multiprodotto, l’editoria e il tempo libero: quest’ultimo in particolare rappresenta oltre la metà del mercato grazie al grande sviluppo del gambling, cioè scommesse e gioco. Restano stabili settori più maturi come quello del turismo che sviluppa più o meno un quarto del fatturato nazionale, assicurazioni (circa il 6%), elettronica di consumo (intorno al 5%), editoria e centri commerciali on-line (con il 2%), alimentare (intorno all’1%), mentre crescono, pur con volumi complessivi ancora poco significativi la moda e casa/arredamento (0,3%). Chiude la classifica il settore salute e bellezza (0,2%). Forse le imprese potrebbero fare di più per i consumatori digitali. Una più approfondita analisi del mercato italiano conferma una certa timidezza delle strategie aziendali: secondo dati pubblicati da “il Sole 24 ore”, solo il 5% delle nostre imprese sarebbe on-line (l’Italia è fanalino di coda in Europa, dove la media è del 15% e precediamo solo la Romania) e solo il 17% degli italiani (10 milioni di persone) si rivolge al web per fare acquisti (la media europea è ben oltre il 40%). Come vedremo più in là, il mondo dell’e-commerce nel nostro Paese potrebbe beneficiare della rapida diffusione degli smartphone: l’82% dei possessori di uno smartphone ha cercato almeno una volta un prodotto con il telefono anche se poi si finisce ancora con il comprarlo principalmente tramite il computer (41%) oppure off-line (28%). A oggi solo il 25% degli utenti di smartphone ha acquistato on-line (i prodotti più cercati sono elettronica, cibo, moda e prodotti per la casa). Comunque le cose sembrano muoversi e, secondo gli analisti, il Natale 2013 potrebbe essere considerato il


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primo vero “Natale on-line” dal punto di vista del volume degli acquisti e questa non può che essere considerata una buona notizia. C’è però un rovescio della medaglia: le imprese del settore investono ancora pochissimo in customer care, indirizzando ogni risorsa nella comunicazione di prodotto. Secondo alcune ricerche, la classifica degli investimenti di breve termine da parte delle imprese di shopping online sarebbe dominata da marketing e promozione (41%). Poi la user experience e usability (29%), seguita dagli investimenti nella infrastruttura tecnologica (11%), quindi logistica (3%) e solo il 2% in customer care (“Casaleggio Associati, Ecommerce in Italia 2012”). Questi dati parlano più di molte parole: quanto possiamo credere alla bellezza di internet, agli spot che ci mostrano i pochi clic necessari a condividere una foto o a fare un acquisto? Forse è anche per questo che i consumatori hanno accolto il modello economico dello shopping on-line meno prontamente di quello che i suoi fautori si aspettavano. Ed anzi alcuni utenti già corrono verso l’abbandono del “carrello virtuale”: da uno studio di Eco‑consultancy Blog (“Why do consumers abandon on-line purchases”), più del 50% degli utenti abbandona il carrello prima di effettuare un acquisto per problematiche legate al processo. In particolare: perché il pagamento è ritenuto poco sicuro; perché la registrazione richiesta prima di effettuare il pagamento è ritenuta troppo complessa, per il timore di truffe o di violazioni della propria privacy. Volendo schematizzare gli elementi che frenano i consumatori, metterei per primi i dubbi riguardo alla sicurezza (molte persone non usano la carta di credito su internet per timore di frodi), ma forse non dovremmo trascurare


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una certa mancanza di gratificazione immediata: molta dell’attrattiva nell’acquistare un prodotto sta nell’usare e mostrare subito l’acquisto e tale opportunità non c’è quando il prodotto ordinato arriva con settimane di ritardo! Ma consideriamo anche il minore impatto sociale di un acquisto digitale: molta gente ama parlare al personale di vendita o agli altri clienti e questa sorta di shopping-terapia non c’è con la stessa ampiezza su internet. Pesano, infine, i problemi di accesso alla Rete: non è certo una novità che da noi la scarsa diffusione della banda larga riduca di molto il potenziale per il commercio elettronico. Non escluderei infine che a breve i consumatori potranno essere fermati anche da problemi di web addiction, sovraccarico di e-mail e iperlavoro: può sembrare strano, ma negli Stati Uniti certe problematiche conseguenti a un uso inconsapevole della Rete si riverberano anche nello shopping on-line: una recente storia di copertina di Newsweek si intitolava Internet ci sta facendo impazzire? e già nasce chi fa progetti per salvarci dall’intossicazione tecnologica (Slow Web è uno di questi). Forse non tutti sanno che, dall’altra parte dell’oceano, sono proprio aziende come Twitter e Google che organizzano corsi di meditazione e seminari di pensiero consapevole per i loro dipendenti. Ogni anno i responsabili delle grandi multinazionali americane del web si ritrovano per la conferenza Wisdom 2.0, dedicata ai temi dell’equilibrio fra vita personale e nuove tecnologie. E anche in Italia (come ci spiegherà Paola Vinciguerra nella seconda parte di questo libro) stanno nascendo piccole e grandi realtà che mirano a rimettere l’individuo al centro perché sia la tecnologia a servire l’uomo e non il contrario.


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Forse dovremmo tenerne conto anche quando usiamo il web per fare shopping.

1.6 Dal negozio sotto casa a quello virtuale Non molto tempo fa, nel corso di un dibattito televisivo, mi sono sentito chiedere da un consumatore intervenuto in diretta come si possa aver fiducia in un venditore che si trova dall’altra parte del mondo. Nonostante lo sviluppo della società digitale, devo dire che sono ancora numerosi gli utenti che si fanno simili domande. È quindi il caso di indagare le ragioni di questa diffidenza che forse è dovuta proprio a questioni di “distanza”: un tempo gli acquisti erano fatti prevalentemente sotto casa ed era proprio quel negoziante a portata di mano ad assicurare al consumatore maggiore fiducia. Era così per il fatto che, se quel commerciante avesse tradito l’acquirente, avrebbe pagato questa scorrettezza con la pubblicità negativa del passaparola: il discredito derivante nel quartiere da un comportamento scorretto avrebbe procurato un tale danno d’immagine da sconsigliare al negoziante ogni atteggiamento sbagliato. Secondo alcuni, il commercio elettronico, procurando una sensazione di distanza (fisica e temporale) tra acquirente e venditore, comporterebbe il venir meno di questo meccanismo, con il rischio di atteggiamenti meno virtuosi. Non sono d’accordo: non dovremmo fare l’errore di contrapporre vecchi e nuovi stili di vita anche perché, a ben guardare, il mondo on-line può amplificare le virtù degli scambi. Così, se una certa preoccupazione era plausibile agli albori dell’e-commerce, quando tra i primi venditori online qualcuno poteva adottare la tecnica del mordi e fuggi, questa minaccia non mi sembra più attuale oggi che, a


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ben vedere, il web si avvia a riprodurre meccanismi simili a quelli del commercio di quartiere: se in passato, infatti, i vantaggi di fare acquisti sotto casa erano principalmente dovuti alla comodità della vicinanza ed alla opportunità di stipulare con il venditore “un patto sulla fiducia”, oggi lo shopping on-line sembra in grado di mettere a disposizione dei consumatori le stesse opportunità. Pensiamo un attimo: una delle peculiarità più accattivanti del moderno shopping on-line riguarda proprio la possibilità di ricorrere al parere di altri consumatori, quasi fossero abitanti del quartiere con i quali confrontarsi. Ecco questo mi sembra l’aspetto più convincente dell’e-commerce: la sua interattività, l’opportunità di dialogare con il venditore e di conoscere i commenti degli altri compratori. Visto il mio ruolo dalla parte dei consumatori, non intendo tacere dei molti rischi di incappare in commenti fasulli e recensioni “dopate”, ma, come vedremo, questo non può farci dubitare del fatto che un consumatore volenteroso possa chiedere molte informazioni e documentarsi al meglio su internet. A proposito di internet. Fin qui l’ho scritto minuscolo. Forse dovrei anche aggiungere l’articolo: l’internet, come si usa nella cultura anglosassone (the internet). Leggendo Digitalmente confusi. Capire la rivoluzione o subirla (di Paolo Magrassi, Milano, Franco Angeli, 2011) ho trovato una simpatica riflessione: «in italiano, tutti scrivono Internet (più raramente, internet), sempre senza articolo. Dal punto di vista grammaticale, si tratta di una bizzarria. Infatti, se si può accettare ancora per un po’ la maiuscola (che un giorno cadrà, come sono cadute quelle delle ex novità Automobile, Missile, Biro, Pullman, Kleenex, Aspirina), è buffo constatare che nella lingua italiana si sia insinuato uno e un solo sostantivo che, senza essere un nome proprio,


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non è preceduto da un articolo. Il telefono, il rock, il cellulare, il roast beef, il pullman, la televisione (non leggiamo né sentiamo mai dire “a quell’ora ben 20 milioni di persone guardavano Televisione”). Resta solo Internet, maiuscola, solitaria e altera». Forse è questo sostantivo senza articolo che genera paura degli spazi sconfinati: per chi è interessato a fare acquisti, in Rete c’è ampia scelta, troviamo di tutto come in un gran bazar (e proprio Bazar.it fu uno dei primi siti italiani di vendite on-line, poi rilevato da eBay). C’è il peggio, ma c’è anche il meglio e ciò moltiplica la responsabilità di chi è chiamato a scegliere e quindi, in ultima analisi, di consumatori fino a oggi abituati ad atteggiamenti più rilassati, come accade durante una passeggiata per le vie del centro: si può scegliere davanti al quale vetrina indugiare, se entrare in un negozio piuttosto che in un altro, se farlo per chiedere un’informazione, per provare un maglione o indossare un paio di scarpe. On-line accade (più o meno) la stessa cosa, ma con forme diverse: è spesso il venditore a fare capolino nella nostra esistenza affacciandosi dalla finestra virtuale di un monitor. Tuttavia il parallelismo tra shopping on-line e off-line può aiutarci a capire. È arrivato quindi il momento di chiederci perché si compra. La teoria microeconomica spiega che gli acquisti nascono dai bisogni: sono questi a spingere ciascuno di noi alla ricerca del prodotto o del servizio ritenuto più adatto alla soddisfazione di una determinata necessità (che lo sia o no, ogni consumatore chiama “necessità” anche il più blando tra gli impulsi al quale non “vuole” resistere). Insomma, che si tratti di un’esigenza reale o di uno slancio suggerito dalla pubblicità, un bel giorno decidiamo di comprare qualcosa: solo per fare qualche esempio, potrà


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accadere che facendo il caffè al mattino appena sveglio, io mi accorga di aver finito lo zucchero, oppure il dentifricio al momento di lavare i denti; ma può capitare anche che, guardandomi allo specchio, insorga dentro me il “bisogno” di iscrivermi in palestra per rimettermi in forma o che sentendo uno spot alla radio decida di andare a comprare il CD del mio cantante preferito. Uno sguardo alle cravatte allineate nell’armadio potrà stimolare il mio desiderio di acquistarne una in più, mentre un cartellone pubblicitario potrebbe farmi venire in mente di comprare una vacanza; la spia del carburante solleciterà una visita presso il distributore; un banner sul monitor potrà “ricordarmi” di comprare l’ultimo modernissimo gadget tecnologico, magari un nuovo smartphone o il tablet di ultima generazione. Questo lungo elenco di situazioni altro non è, in realtà, che una sintesi degli stimoli che raggiungono ciascuno di noi nel breve tempo che ci separa dal suono della sveglia all’arrivo sul posto di lavoro. Solo alcuni di questi sono veri e propri bisogni (lo zucchero, il dentifricio, il carburante), gli altri sono stimoli (talvolta indotti) che si fanno portatori di esigenze più o meno reali. Molte di queste sono dovute alla pubblicità (il CD, la vacanza) e in alcuni casi si tratta di bisogni “suggeriti” da abili strategie di marketing (il mio smartphone funziona ancora benissimo, ma lo spot lo dichiara già superato facendomi sentire inadeguato). Fin qui nulla di nuovo: ciascuno di noi, chi più chi meno a seconda della sua sensibilità o educazione, è cosciente di questi meccanismi (quante volte sarà capitato in cuor nostro di comprare qualcosa ben sapendo di non averne davvero bisogno), ma ciò che conta in questa sede è come le cose cambiano quando trasferiamo queste dinamiche on-line.


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L’immediatezza che caratterizza la tecnologia veicolata oggi dal web cambia infatti gli scenari. Abbiamo già definito il consumatore come “uno che ha fretta”, spiegando che gli operatori del web cercano di accentuare la superficialità delle nostre decisioni di acquisto. Così accade di osservare che gli e-shop sono pieni di avvertenze sul rischio di perdere l’occasione: avrete notato anche voi quel timer che scandisce il tempo mancante allo scadere dell’offerta, oppure l’avviso che su quel volo sono rimasti solo tre posti liberi, la notizia che altri consumatori stanno visionando l’offerta e, forse, sono pronti a cliccare! Tutto ciò abbassa la nostra attenzione ed è quasi sempre una superficialità indotta. Qualcuno potrà ritenere che ciò accada anche nel negozio tradizionale. È vero e per questo scriverei così una nuova regola di autodifesa. Non c’è un valido motivo per cui dovrei avere più fretta di comprare on-line rispetto a quanto accade nel mondo reale. Quanto detto fin qui non ha nulla a che fare con un messaggio d’allarme. Le cose vanno così (cioè di fretta e un po’ superficialmente) semplicemente perché è nella natura delle cose che il venditore abbia come obiettivo quello di incrementare le vendite e quindi di “indurre” il visitatore ad acquistare. Ciò accade, da che mondo è mondo, nei punti vendita tradizionali. E oggi anche in quelli virtuali. Se nel far ciò, il commerciante non “vende fumo”, tutto bene. Insomma il prodotto deve avere le qualità promesse; il prezzo deve essere illustrato senza opacità; deve essere fornita un’adeguata garanzia postvendita e non una ineffabile assistenza “virtuale”. Queste sono, a grandi linee, le regole alle quali deve attenersi ogni venditore,


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che abbia collocato la propria bancarella per la strada o che abbia messo in Rete un sito web. Nel mondo dello shopping on-line, però, aggiungiamo che, per la natura del mezzo attraverso il quale si perfeziona la vendita, il consumatore non può “toccare con mano” il prodotto. Questa situazione dà luogo a un’asimmetria informativa che è uno dei principali motivi di debolezza nel rapporto tra acquirente e venditore sull’internet. E, come se ciò non bastasse, acquistando on-line si azzera quel tempo che generalmente intercorre tra l’insorgere del bisogno, la decisione di acquistare un bene, la ponderazione delle varie offerte presenti sul mercato e l’acquisto vero e proprio. Avete notato che una delle più appariscenti peculiarità di un acquisto on-line consiste proprio nel cancellare questi intervalli di tempo? È una circostanza che merita di essere sottolineata: quante volte, proprio grazie al tempo che intercorre tra l’istinto di comprare e la concreta realizzazione dell’acquisto, il consumatore si “ravvede” e rinuncia a portare a termine il processo? Insomma, sarà capitato anche a voi, dopo aver deciso di comprare qualcosa, di ripensarci strada facendo («tutto sommato posso fare a meno di quel paio di scarpe», «posso rinviare l’acquisto di un nuovo telefonino» ecc.). Bene, tale opportunità (di risparmio) nello shopping on-line è fortemente attenuata perché il tempo che separa la decisione di comprare e l’acquisto è ridotto all’essenziale: generalmente è solo quello necessario all’inserimento dei dati della carta di credito. Talvolta assai meno, se pensiamo alla facilità con la quale si scarica una canzone o una comunissima app da uno store on-line. È proprio in considerazione di questa dinamica che il legislatore europeo si è fatto carico, sin dalla metà degli anni Novanta, di offrire una dettagliata disciplina di queste


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situazioni (accorpate sotto la definizione di “vendite a distanza”) e vedremo più avanti quali tutele sono previste in favore del consumatore on-line.

1.7 I molti modi di comprare su internet: da eBay ad Amazon Fin qui abbiamo parlato indifferentemente di shopping online, negozi virtuali, acquisti sul web e commercio elettronico. In verità, come nella vita reale ci sono molti modi di fare acquisti (dal negozio sotto casa al grande magazzino, passando per mercati, vendite dirette del produttore, negozi specializzati, supermercati, outlet e centri commerciali), anche la Rete mette a disposizione un ampio catalogo di venditori. Considerato che per il consumatore può rivelarsi utile individuare, all’interno delle molte offerte veicolate dal web, il canale più adatto, proviamo a delineare (senza pretesa di completezza) il quadro dell’offerta commerciale accessibile dal monitor del nostro computer. Preliminarmente, però, è utile avvertire che, ancora prima di procedere all’acquisto, grazie all’internet, i consumatori hanno accesso a un gran numero di informazioni che possono essere vagliate approfonditamente e rappresentano il primo passo del processo di consumo. Mi riferisco all’universo di portali specializzati che consentono di mettere a confronto le caratteristiche e i prezzi di molti prodotti: sono i cosiddetti “comparatori di prezzo” che, a metà strada tra un motore di ricerca e un assistente per gli acquisti, aiutano i consumatori a orientarsi verso le scelte più convenienti (e data la loro crescente rilevanza, li vedremo meglio nel paragrafo che segue).


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Cominciando invece a dare uno sguardo alla variegata offerta on-line, menzionerei per primi i siti aziendali (cioè i siti “ufficiali” di un determinato produttore). Se un tempo avevano finalità meramente informativa o pubblicitaria, oggi offrono anche sistemi di vendita al pubblico: penso alle case di moda (e più in generale all’abbigliamento), hi-tech, arredamento, ma anche banking e prodotti assicurativi. Troviamo poi un’ampia schiera di siti specializzati in determinati settori che vendono prodotti di vari brand: veri e propri grandi magazzini plurimarca dove la fanno da padrone i siti delle più note catene dell’elettronica e, naturalmente, i portali turistici dove si possono acquistare servizi distribuiti da tour operator, compagnie aeree, albergatori, rent-a-car, ecc. Ci sono infine i siti generalisti, che vendono di tutto: e qui dominano famosi web store che offrono un’infinità di prodotti come eBay.com e Amazon.com. Anzi, proprio questi due colossi meritano un approfondimento perché hanno segnato, a loro modo, due pietre miliari nella storia dell’e‑commerce. Nel caso di eBay, possiamo parlare a buon diritto di uno degli iniziatori del mercato digitale: all’inizio, infatti, gli acquisti sul web si facevano… all’asta! Anche un venditore occasionale poteva finalmente “mettere in vetrina” un’auto usata, il vecchio giradischi, il servizio di piatti ricevuto in eredità: e così scoprire che molti erano interessati all’acquisto. Del resto, tutto cominciò proprio così (a San José, California, il 6 settembre 1995) quando un certo Pierre Omidyar decise di mettere all’asta un vecchio oggetto: un puntatore laser non più funzionante (di quelli che si usano per le presentazioni durante i convegni o nelle lezioni universitarie). Possiamo immaginare il suo stupore quando l’oggetto


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fu aggiudicato per 14,83 dollari! La leggenda narra che Omidyar, ancora incredulo per il successo di questa vendita, si fece scrupolo di contattare immediatamente via email l’acquirente chiedendogli se avesse ben compreso la natura dell’oggetto: l’acquirente rispose che collezionava proprio puntatori laser “rotti”. Pierre Omidyar comprese che, grazie alla Rete, aveva realizzato qualcosa di quasi impossibile nella vita reale: mettere in contatto i più strampalati desideri di vendere con i più strampalati desideri di acquistare. Non perse tempo e cercò di registrare il dominio Echo Bay, ma (essendo già stato acquistato da una miniera d’oro) decise per la seconda scelta, eBay.com. Il sito venne posto on-line nel 1998 e ben presto trasformò i suoi inventori in miliardari. Questa è la storia (forse un po’ romanzata) dell’incipit di eBay che si tramanda in Rete. Quel che conta è l’affermazione su scala mondiale del più famoso sito di shopping on-line: oggi non si compra più solo all’asta e probabilmente lo straordinario successo del fenomeno è dovuto alla semplicità con la quale gli utenti possono vendere o comprare oggetti in tutto il mondo, fare domande ai venditori ed esprimere una valutazione sulla transazione appena conclusa. Nel 2001 eBay arriva in Italia (rilevando, come detto, il sito iBazar) e oggi è la famosissima piattaforma (marketplace) che consente di vendere e comprare oggetti sia nuovi sia usati, con diverse modalità, incluse le vendite a prezzo fisso (“compralo subito”). Una delle chiavi del suo successo è collegata al meccanismo dei punteggi che sono assegnati ai venditori in base al tipo di feedback ricevuto. Tuttavia (come vedremo meglio parlando di TripAdvisor) non dobbiamo dimenticare che ogni meccanismo di valutazione on-line rischia di non essere genuino: sono diffuse le


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adulterazioni ad opera di utenti che dispongono di più account o che si accordano con altri, simulando finte vendite di oggetti per scambiarsi e aumentare rapidamente la propria reputazione. Da parte sua eBay è ben consapevole dell’importanza delle recensioni e per questo è impegnata nell’escludere in automatico le inserzioni che violano le regole del sito (poca chiarezza, metodi di pagamento vietati e via dicendo), anche se non sono mancate le critiche alla esagerata “virtualità di eBay”. Solo da qualche tempo sembra che la strategia del colosso californiano rispetto al mercato italiano stia finalmente evolvendo verso una maggiore attenzione per i consumatori. Nel 2012 ho avuto l’occasione di incontrare alcuni rappresentanti di eBay in Italia e non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di fare qualche domanda per saperne di più. Prima di tutto ho chiesto loro qualche numero per farmi un’idea del business: «A livello globale, eBay ha un giro d’affari di 3,28 miliardi. In Italia, è al primo posto fra i siti di e-commerce, con 8 milioni di visitatori unici e più di 607 milioni di pagine viste». Anche sul numero degli iscritti la risposta è puntuale: «Secondo i dati aggiornati al primo quadrimestre del 2012, eBay ha oltre 109 milioni di utenti registrati a livello globale, di questi 102,4 milioni possono essere considerati utenti attivi». Quanto piace alle aziende snocciolare i numeri dei loro successi! Continuo a chiedere: «Qual è la categoria di prodotti/servizi più acquistata?». La risposta sinceramente non mi sorprende: «Nella classifica per numero di acquisti padroneggia la categoria “elettronica di consumo” (genera circa un acquisto ogni 3 secondi), seguita da “casa, arredamento e bricolage” (un acquisto ogni 10 secondi) e “abbigliamento e accessori” (un acquisto ogni 12 secondi)».


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Veniamo poi all’argomento principale della mia intervista, l’aspetto che riguarda la tutela dei consumatori: «eBay usa un sistema di feedback in grado di misurare la reputazione di un venditore basandosi sui giudizi degli acquirenti e dare indicazioni utili ad altri utenti. Quando un venditore ha un buon punteggio può generalmente ritenersi affidabile!». Diciamo che questo lo sapevo anch’io, utente medio della Rete. Chiedo allora qual è il principale disservizio che lamentano gli utenti. Qui la risposta del colosso si fa più imbarazzata: «eBay è una piattaforma che mette in contatto i venditori con gli acquirenti; detto ciò, trattandosi di terze parti, può capitare che si registrino delle lamentele. eBay prevede assistenza tramite il proprio sito e cerca di tutelare acquirenti e venditori affinché le transazioni si concludano senza problemi». Non mi basta! Passo a chiedere dell’impegno verso i consumatori. Ecco le risposte: «eBay mette a disposizione in un’area dedicata del sito tutte le informazioni necessarie all’assistenza dei propri clienti, siano essi acquirenti o venditori. Si tratta di una vera libreria dove cercare, anche per parole chiave, le risposte a ogni tipo di domanda. Inoltre, abbiamo tutta una serie di misure di sicurezza per difendere gli utenti da possibili truffe o raggiri, tutelando allo stesso tempo la loro privacy. Tra queste, la rimozione di annunci potenzialmente fraudolenti; controlli di verifica sull’identità e sugli annunci; limiti nel volume di vendite degli oggetti a rischio di contraffazione; sistemi per segnalare gli annunci fraudolenti; collaborazione costante con le autorità per bloccare il traffico di oggetti illegali, contraffatti e falsi; tutela dei dati personali…».


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Devo interromperli! Troppe parole (e molto marketing). Giusto? Sbagliato? Lascio che a giudicare sia il lettore, o meglio, l’utente della piattaforma! La storia di Amazon è forse meno romanzata, ma ugualmente interessante: oggi il colosso di Seattle è il più fornito e-shop esistente, ma tutto inizia da una semplice libreria on-line. Fondato con il nome di “cadabra.com” da Jeff Bezos nel 1994 (e lanciato sul web nel 1995), presto allarga la gamma dei prodotti venduti, offrendo una scelta molto maggiore di qualsiasi grande negozio di vendita per corrispondenza. Bezos ribattezzò poi la sua azienda con il nome Amazon dal nome del Rio delle Amazzoni: secondo il gossip, “cadabra.com” assomigliava troppo alla parola cadaver (e in più era preferibile un nome che iniziasse per “A” perché sarebbe comparso ai primi posti di ogni ordine alfabetico). Amazon si espande velocemente e Time Magazine proclama Bezos l’uomo dell’anno nel 1999. Oggi vende di tutto: musica, film, software, elettronica, oggetti da cucina, ferramenta, articoli da giardinaggio, giocattoli, prodotti per neonati, abbigliamento, articoli sportivi, gastronomia, gioielli, orologi, articoli per l’igiene personale, cosmetici, strumenti musicali. Il 21 giugno 2003, Amazon coordina quella che fu a quel tempo una delle maggiori vendite nella storia del commercio elettronico: 1,3 milioni di copie del romanzo Harry Potter e l’Ordine della Fenice. Il 18 novembre del 2010 Amazon sbarca in Italia e già all’inizio del 2011, Jeff Bezos annuncia che dall’apertura del sito in Italia vi sono stati 4 milioni di utenti unici. Storie sensazionali che pure non sarebbero così significative senza il contributo di ciascuno di noi: per questo a ogni trionfalismo delle big companies del web credo sarebbe giusto accompagnare la giusta riconoscenza verso il coraggio,


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la fiducia e l’innovatività dei consumatori. Pensiamoci un attimo, chi sarebbero eBay ed Amazon, ma anche Google, Yahoo, Facebook, Twitter o Groupon senza gli utenti che vivono sulla Rete? E, sia chiaro, qui non si parla di un pubblico di spettatori, bensì di una popolazione attiva che, proprio per questo, credo vada considerata come la vera protagonista del successo di questo genere di business. E forse i consumatori meriterebbero anche più rispetto: recentemente vengo contattato su Twitter da alcuni utenti che lamentano il rifiuto di Amazon a consegnare un prodotto hi-tech regolarmente acquistato sul popolare sito di e-commerce. Dopo qualche approfondimento scopro perché: nel mese di febbraio del 2012 Amazon aveva messo in vendita un computer a 26,17 euro e molti consumatori avevano colto al volo l’occasione di acquistare un prodotto del valore di circa 500 euro. Poi, nonostante la ricezione della prevista conferma dell’ordine, gli acquirenti si erano visti annullare l’ordine: Amazon sosteneva di aver indicato un prezzo sbagliato, ma il contratto era giuridicamente valido. Nonostante i molti solleciti Amazon non ha mai risposto neppure all’Unione Nazionale Consumatori! Non certo un atteggiamento responsabile. Il vero problema di certe big companies della net-economy è nel management, almeno per l’esperienza ed i contatti che ho incontrato nel panorama italiano: mezze calzette, quarantenni con la testa di un ottuagenario, messi lì da Londra o da Parigi senza alcuna visione strategica, incaricati di salvare la faccia a eBay, Amazon, Groupon o Tripadvisor. E sempre pronti a cambiare casacca o magari ad accogliere una migliore offerta per andare a occuparsi di food, automotive o chissà quale altro incarico. Per non parlare delle seconde linee: un giorno, dopo un vivace dibattito televisivo con il country manager per l’Italia


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di Groupon, chiesi alla responsabile delle relazioni esterne di incontrarlo. Mi rispose «ti faccio sapere». Ma come! Ti faccio sapere cosa? E le chiamano “relazioni esterne”... come spiegare a questa incapace trentenne che avrebbe dovuto essere suo interesse stabilire un contatto con i rappresentanti dei consumatori? Non vorrei generalizzare, ma temo che su questo specifico aspetto il settore sia all’inizio di un lungo percorso: oggi forse la trascuratezza di alcuni operatori puó essere anestetizzata dai grandi numeri che sono capaci di produrre, ma, di qui a pochi anni, resteranno a galla solo quelli che avranno investito in customer care, formazione del management, campagne di educazione e cultura consumer oriented. L’ho ripetuto spesso all’amico Roberto Liscia, presidente di Netcomm, da tempo impegnato per il cambiamento di certi paradigmi commerciali: good luck, non sarà facile. Ma, a parte questi incidenti di percorso, il modello di business di questi colossi dello shopping on-line sembra aver successo forse perché prende spunto dall’evoluzione del consumatore, il prosumer (producer + consumer) protagonista del Web 2.0: eBay ed Amazon hanno perfezionato l’arte di far sì che le persone si entusiasmassero nell’abbagliante nome della “democrazia”. Su eBay in particolare i produttori sono gli stessi che vendono, che sono allo stesso tempo consumatori. Pensiamoci un attimo: quando si fa un’offerta all’asta per comprare un oggetto, fomentando la competizione e alzando il prezzo, ci comportiamo alla stregua di produttori che partecipano attivamente alla vendita. Allo stesso tempo l’asta, con tutte le sue funzioni, sembra quasi un gioco ed il tempo libero si fonde totalmente con il processo di produzione e consumo.


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La genialità di Pierre Omidyar e Jeff Bezos è stata rendere lo shopping un’esperienza totalizzante. Su eBay e su Amazon non viviamo la stessa esperienza che vivremmo andando in un vero negozio: nella vita reale lo shopping è un’attività che potrebbe andare di pari passo con altre, come conoscere qualcuno, incontrare un amico, parlare al cellulare… mentre si dà un’occhiata in giro. Invece lo shopping on-line è sempre più qualcosa che occupa la mente e (forse) arriva quasi ad appropriarsi della volontà: «la solitudine davanti al computer, il modo di partecipare all’asta, la necessità di tenere il dito pronto sul mouse, le innumerevoli funzioni proposte sul monitor (che sembrano distrazioni e che servono invece a mantenere la concentrazione sull’acquisto), sono tutte cose che catturano l’attenzione come se fosse un lavoro» (Lee Siegel, Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione digitale, Prato, Edizioni B, 2011). Tuttavia – e qui sta il genio degli inventori – quando si aggiunge al carrello su eBay, su Amazon (e oggi anche su un sito di couponing) si prova il senso di libertà tipico del gioco: tutti quei colori accesi, le svariate opzioni, forse stiamo per rovinarci, ma ci stiamo divertendo un sacco!

1.8 L’era dell’info-commerce: dai comparatori a TripAdvisor Come dicevamo una delle funzionalità più utili per chi si accinge a comprare on-line è la maggiore possibilità che la Rete offre di mettere a confronto i prodotti rispetto a quanto accade nei negozi per strada: è chiaro che se sono intenzionato ad acquistare un maglione o un paio di scarpe secondo lo schema tradizionale e intendo confrontare molte offerte dovrò necessariamente dedicare a questa


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operazione parecchio tempo libero e non trascurabili costi tra carburante, parcheggio e altri eventuali (speriamo di non essere multati per aver lasciato l’auto in doppia fila o lo scooter sul marciapiede). Per semplificare le operazioni di confronto tra i diversi articoli di mio interesse, esistono in Rete numerosi strumenti, a cominciare dai cosiddetti “comparatori di prezzo” (o metacomparatori), quasi dei consulenti per gli acquisti che possono rivelarsi assai utili, ma a condizione di individuare dei siti affidabili. L’idea di rendere disponibili sul web dei veri e propri motori di ricerca che raccolgono e comparano le informazioni commerciali risale ormai a una decina di anni fa quando cominciarono a diffondersi i primi portali specializzati nel settore turistico. Solo molto tempo dopo, tuttavia, si sono diffusi comparatori in numerosi altri settori merceologici, dall’elettronica di consumo, ai mobili d’arredamento, dalle auto usate agli scooter, dai servizi per il tempo libero (massaggi, wellness, trattamenti di bellezza) fino alla spesa alimentare. Funzionano pressappoco così: interrogato dal consumatore, il sito web esamina le offerte presenti su diversi portali specializzati e fornisce, all’esito della ricerca, gli items più convenienti con l’indicazione del relativo fornitore. In alcuni casi il consumatore potrà persino acquistare direttamente dalla schermata dei risultati, in altri, sarà messo in contatto (tramite apposito link) con il sito del venditore per perfezionare l’acquisto. Naturalmente si tratta di una buona occasione per acquisire informazioni e, tra questi, i portali più efficaci sono in effetti quelli che consentono anche di “vedere” gli uni accanto agli altri i diversi prodotti così da facilitare le scelte: questi siti si chiamano “aggregatori” proprio perché affiancano vari articoli (ad esempio due o tre modelli di notebook, ma anche tariffe telefoniche o elettriche) così


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da permettere accurati confronti nel dettaglio delle caratteristiche, prezzi, funzionalità di ciascun modello/offerta. Verrebbe da chiedersi cosa c’è di meglio per avvicinare i consumatori a scelte su misura per i propri bisogni, ma non è tutto oro quel che luccica, tanto più se lo vediamo da una finestra a cristalli liquidi. Non tutti i portali che si presentano come “collaboratori d’acquisto” svolgono al meglio la loro funzione. Bisogna considerare, infatti, che il limite di questi siti talvolta è la mancanza di completezza mentre alcuni sono dei veri e propri fake, cioè dei falsi aiutanti, creati a bella posta per creare traffico di utenti: come mai ricercando un modello di fotocamera o una macchina per il caffè mi indirizzano sempre dagli stessi tre venditori? Sarà un caso che i tre negozi indicati come i più convenienti appartengano alla stessa catena commerciale? Più in generale temo che alcune dinamiche proprie dei metacomparatori potrebbero finire nel mirino dell’Autorità Antitrust e mi riferisco in particolare al settore turistico. Ecco cosa ho scoperto… Nati a metà del decennio scorso, i metacomparatori hanno acquisito negli ultimi due anni un ruolo che li ha portati a stravolgere lo scenario del turismo on-line: proprio facendo leva su una crescente notorietà, costruita anche attraverso forti campagne pubblicitarie in TV (è il caso di due dei più famosi comparatori, Trivago e Kayak), questi player hanno assunto un ruolo di “catalizzatori”, accorpando le offerte delle principali agenzie di viaggio on-line (OLTA= on-line travel agencies) e confrontandone i prezzi. Se da un lato, come detto, gli utenti hanno la possibilità di mettere a confronto una larga parte delle proposte


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presenti on-line, d’altra parte i venditori competono tra loro per ottenere la migliore visibilità su queste piattaforme che stanno diventando un canale di marketing ormai imprescindibile. Come? Facendo leva sul prezzo e cercando di comparire ai primi posti tra i risultati delle ricerche grazie a condizioni economiche migliori rispetto a quelle offerte dalla concorrenza. Nel caso in cui, però, due o più operatori dovessero offrire il servizio cercato dell’utente (solitamente un hotel o un volo) alla stessa cifra, a prevalere sarà la proposta della OLTA che è disposta a riconoscere al metacomparatore la commissione più alta. Il modello di business dei metacomparatori prevede, infatti, l’utilizzo gratuito per gli utenti finali, ma il riconoscimento di una commissione da parte degli operatori professionali (sotto forma di un costo fisso per ogni visita portata al sito, di una percentuale per ogni transazione andata a buon fine o, ancora, con un modello ibrido che prevede una parte fissa ed una variabile). Cosa c’è che non va? Proprio la crescente competizione tra gli operatori del settore, sempre più dipendenti dai volumi di traffico generati dai metacomparatori e costretti a comprimere i margini di guadagno per primeggiare sui competitor, rischia di snaturare uno strumento che, in teoria, dovrebbe essere un prezioso alleato per i consumatori in cerca delle migliori offerte. La continua corsa al ribasso da parte delle OLTA sta arrivando, in alcuni casi, al suo punto più estremo: quello, cioè, in cui i prodotti vengono venduti “sottocosto”. Un meccanismo distorto e un modello di business poco sostenibile a cui alcuni player cercano di ovviare con pratiche poco corrette, a tutto discapito degli utenti (la modalità più comune è quella di applicare dei costi aggiuntivi durante o


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addirittura al termine del processo di acquisto, quando la conferma dell’acquisto è solo ad un clic di distanza). Si innesca così un meccanismo assai poco virtuoso, che rende l’acquisto molto meno conveniente rispetto a quanto indicato in un primo momento, premiando chi, tra le OLTA, adotta una politica di poca trasparenza nei confronti dei consumatori. Insomma, i metacomparatori, gli unici in grado di esigere il rispetto delle regole e di esercitare il controllo sul loro stesso territorio, in questa situazione non sono in grado di porsi come parte terza, in virtù del modello di remunerazione applicato e degli interessi economici in gioco. Ecco perché può accadere che questa tipologia di siti non sia di grande aiuto per il consumatore. E allora consiglierei di fare qualche test prima di credere a occhi chiusi a chi mi indica il prodotto/servizio più conveniente sul mercato. Con questo non intendo sentenziare che si tratti di siti inaffidabili (mai fare di ogni erba un fascio), ma sarà il caso di faticare un po’ per trovare il “nostro” comparatore. E poi non è detto che un portale molto efficiente in un settore (ad esempio per gli elettrodomestici) lo sia altrettanto per l’abbigliamento o l’informatica! Quindi, niente fretta, piedi di piombo e, in attesa del comparatore che metta a confronto i comparatori, la miglior selezione la può fare un po’ di sale in zucca: per non replicare alcune esperienze paradossali come quella che ci raccontò un consumatore deluso per aver realizzato che, dopo aver trascorso un intero pomeriggio a caccia di offerte sul web, si era infine rassegnato a comprare una stufa elettrica nel negozio sotto casa. Ma, a parte certi “malfunzionamenti”, credo sia doveroso aggiungere che alcuni comparatori hanno comunque il merito di accrescere il bagaglio di informazioni facilmente accessibili dal consumatore e potrebbero essere utilizzati


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soprattutto così: per avere, in poche schermate, foto, caratteristiche e funzionalità di diversi articoli. E non è poco, tanto che, secondo alcuni, potremmo già parlare oggi di una sorta di “info-commerce” per quella tendenza degli utenti ad usare il web per ricercare informazioni utilissime (seppure preliminari) ai processi d’acquisto. E a proposito di meccanismi informativi (anche se non si tratta di metacomparatori), un’altra opportunità offerta dallo shopping on-line sono quei siti che raccolgono le recensioni ed i commenti degli utenti per facilitare le scelte di altri consumatori. A molti sarà venuto in mente l’iniziatore del fenomeno: sua maestà TripAdvisor. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un sito fondato nel 2000 e oggi visitato da milioni di utenti: la sua fortuna si basa sulle recensioni scritte dai viaggiatori che il sito mette a disposizione per facilitare scelte più consapevoli nell’acquisto di viaggi e vacanze. Dovrebbe essere una manna anche per gli albergatori (in fondo è pubblicità) e invece, nell’Italia del turismo in calo, gli albergatori arrabbiati puntano il dito verso il più famoso portale turistico del mondo accusandolo di sviluppare un mercato nero dei pareri dei viaggiatori. Se ne è occupato anche il “Corriere della Sera” (31 luglio 2012) denunciando quella che, secondo gli addetti ai lavori sarebbe “l’ultima moda” delle aziende fornitrici degli hotel: «offrire, in cambio di forniture, pacchetti di pareri positivi su TripAdvisor». Il metodo è stato spiegato anche da “Il Salvagente”: alcune agenzie promozionali contattano l’albergo di turno proponendo l’acquisto di uno scatolone di ciabatte con diritto a due recensioni in diverse lingue. Qualcosa di vero deve esserci, tanto che da fonti di Federalberghi si ricordano i volantini lasciati presso alcune strutture, ma soprattutto i commenti positivi che d’improvviso hanno iniziato a


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figurare vicino al nome di un hotel non proprio impeccabile («abbiamo denunciato il moltiplicarsi di quelle offerte agli associati capendo che il meccanismo andava oltre il commento negativo del dipendete licenziato o del cliente mordi e fuggi che ci può anche stare»). Forse un caso, ma intanto i consumatori cominciano a chiedersi quanto siano affidabili queste recensioni. Ho girato la domanda ai rappresentanti di TripAdvisor in Italia che ricordano i numeri del loro business: «75 milioni di recensioni al mondo, il 98% degli intervistati che ritiene le recensioni soddisfacenti: tutto questo non si spiegherebbe se il sistema fosse un flop». L’Unione Nazionale Consumatori ha le idee chiare sul punto e ha proposto l’identificazione di chi posta una recensione: insomma, l’anonimato dell’internet a volte è un boomerang che colpisce i consumatori onesti. Io la vedo così. Se qualcuno intende recensire un albergo sul web dovrebbe metterci nome e cognome, o almeno dimostrare di esserci stato realmente. TripAdvisor non sembra d’accordo (teme che si riducano drasticamente le recensioni, quindi gli accessi, quindi gli introiti?). Non mi arrendo e provo a chiedere loro come si difendono dal rischio di recensioni fasulle: «Teniamo conto del fatto che vengono pubblicate 50 recensioni al minuto ed è impossibile controllarle una per una. Però in caso di sospetti il singolo viaggiatore o albergatore può cliccare sull’apposito bottone e motivare la segnalazione. La squadra di assistenza prende in carico la richiesta e inizia a investigare. Poi abbiamo filtri e algoritmi che valutano una serie di elementi, come la frequenza delle recensioni, eventuali picchi sospetti o l’IP di provenienza del


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commento. In caso di scorrettezze, si rischia una penalizzazione o la radiazione dal portale». Insisto sulla tracciabilità delle recensioni e sulla necessaria identificazione degli utenti che intendono postare un commento, ma loro non ne vogliono sapere: «Siamo coerenti con lo spirito del Web 2.0, Internet è uno strumento democratico e chiunque può esprimere la sua opinione senza controlli e censure. Noi difendiamo la privacy dei consumatori, anche perché spesso le recensioni sospette provengono dagli albergatori più che dai viaggiatori». Insomma TripAdvisor fa come molti importanti player del web: stimola l’interazione degli utenti (senza questi internauti il sito non esisterebbe) e approfitta delle opportunità che conseguono alla cultura social, ma è sempre pronto a deresponsabilizzarsi. Qualcuno dovrebbe spiegare a questi signori che il diritto riconduce una responsabilità anche al gestore del sito, a cominciare dalla disciplina delle pratiche commerciali scorrette e della pubblicità ingannevole. Non è accettabile sentirsi ripetere che «chiedere una documentazione per inserire le recensioni comporterebbe un calo drastico della partecipazione, visto che internet è rapida, dinamica e democratica e non ci sono soluzioni tecniche per cambiarla». Questo è il punto di vista (non credo troppo democratico) di certi attori del web. Non è mia intenzione cambiare l’internet, ma il modo di fare di certi operatori sì: sta a noi consumatori giudicare e decidere chi seguire.

1.9 Il futuro degli acquisti: dal mobile commerce al social Spesso i consumatori mi chiedono quali altri vantaggi potremmo attenderci grazie all’evoluzione tecnologica. Credo che le novità più significative saranno conseguenza


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di due fenomeni: il diffondersi degli strumenti social e lo sviluppo del mobile commerce. Su quest’ultimo versante siamo testimoni di una significativa accelerazione legata alla diffusione dei tablet. Pensate, sono stati studiati anche gli orari di connessione: così le aziende, rilevando una concentrazione di traffico delle “tavolette” nelle fasce orarie di prime time (indicativamente tra le sette e le nove di sera), ne hanno dedotto una tendenza all’utilizzo prevalentemente nel tempo libero. Trovo che sia abbastanza inquietante che il popolo dei consumatori sia monitorato così da vicino, voi che ne dite? Sta di fatto che il dato racconta molto: il contesto di utilizzo di questi device, infatti, spiega come si faranno acquisti in un prossimo futuro, tanto che è stato coniato il termine di couch commerce (da couch = divano). Se vogliamo è una tendenza strettamente connessa al cosiddetto dual screen: molti tra noi già utilizzano un computer portatile (ma anche tablet o smartphone) davanti alla televisione raddoppiando gli schermi (di qui il nome di “doppio schermo”). Ciò significa che gli stimoli televisivi possono trasformarsi immediatamente in un approfondimento on-line, fenomeno che esploderà oltre ogni previsione quando prenderanno piede gli smart TV, cioè i televisori connessi al web. Si tratta di una opportunità anche per chi informa i consumatori che, subito dopo aver visto uno spot, potranno chiedersi: «Possibile? Così conveniente?». Sarebbe utile riuscire a realizzare una specie di Shazam per il riconoscimento immediato (non di brani musicali), ma di inganni e scorrettezze nell’informazione pubblicitaria. Bello, no? Tornando alla multicanalità, sembra che gli utenti “mobili” siano quattro volte più preziosi dei normali internauti perché comprano di più. E in effetti, i dati diffusi come ogni


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anno dall’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm - Politecnico di Milano confermano che il trend di crescita dello shopping on-line a dispetto della crisi economica è dovuto non solo all’elevata varietà di prodotti offerti, quanto all’utilizzo sempre più massiccio dei dispositivi mobili per i propri acquisti: si calcola che il 65% degli utenti internet (circa 16 milioni di persone) abbia fatto uno o più passaggi sul web (motori di ricerca, social network, comparatori di prezzo, ecc.) per raccogliere informazioni, comparare offerte o acquistare direttamente on-line, grazie alla diffusione massiccia della tecnologia mobile. L’Italia primeggia nell’Unione Europea per ciò che riguarda il numero di utenti connessi alla Rete tramite smartphone e infatti il mobile commerce registra una crescita in tripla cifra. È sotto gli occhi di tutti la diffusione di smartphone e palmari di facile utilizzo anche per fasce di popolazione non particolarmente esperte nell’uso della tecnologia e l’abbattimento dei costi ha fatto il resto, anche grazie alle iniziative di marketing degli operatori della telefonia che (nel nostro Paese in particolare) hanno consentito di rendere popolare l’internet in movimento: insomma, anche se mi è sembrato irriverente vedere tablet che cadono dal cielo nelle mani di consumatori entusiasti (in una campagna Vodafone del 2012), non c’è dubbio che una maggiore accessibilità di tecnologie user-friendly sia auspicabile (salvo poi riuscire a fare quadrare i conti dell’economia domestica a fine mese, ma questa è materia per un altro libro…). Le nuove possibilità derivanti dalla diffusione del mobile sembrano aver già convinto il mondo del business: oltre il 30% delle aziende ha già sviluppato un’applicazione mobile e molte altre hanno predisposto una versione ottimizzata del proprio negozio (di qui il termine m-commerce che richiama la possibilità di fare shopping on-line utilizzando un


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apparecchio “mobile” come un telefonino, uno smartphone o un tablet appunto). Tutto bene dunque? Sì, ma senza fretta… Ci dovremmo chiedere se è davvero un’opportunità avere nelle proprie tasche l’accesso a una vetrina. In partenza il consumatore poteva fare acquisti dal proprio personal computer, ma adesso può farlo anche nel corso di una cena al ristorante, piuttosto che nel bel mezzo di un viaggio in auto, durante l’intervallo di un film al cinema, nelle pause di lavoro, ecc. Certamente la mobilità può rappresentare una comodità in più (ricordate la campagna Sky che promuove il servizio di broadcasting mobile e il suo slogan “liberi di…”?) a condizione di spiegare senza inganni anche i costi di connessione! Cosa intendo? Solo per fare un esempio, vi racconterò cosa è accaduto durante l’estate delle Olimpiadi di Londra 2012, pubblicizzate come le prime trasmesse anche su dispositivi mobili: molti consumatori si sono rivolti all’Unione Nazionale Consumatori lamentando la scarsa informazione di Sky rispetto ai costi di connessione di Skygo. Perchè? L’ho spiegato in un ironico tweet estivo: «molti ingenui consumatori si saranno sentiti liberi di… aver finito il credito mensile» (e quindi addio alla connessione web!). Ma c’è anche un’altra preoccupazione che emerge dal diffondersi del m-shopping: in molti ci segnalano di aver comprato qualcosa on-line “per errore”! Intendiamoci, tra questi ultimi, non mi sfugge che alcuni consumatori che lamentano fatturazioni eccessive possano essere stati semplicemente un po’ allegri nella gestione degli acquisti di musica o app con il risultato di non fare troppo bene i


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conti. Ma resta il fatto che il fenomeno dello shopping da telefonino “può” rappresentare un’insidia, come è confermato dai dati che raccontano un’escalation del cosiddetto clic fraud: nel bel mezzo della navigazione su smartphone (o magari durante il relax dedicato ad una divertente mobile App) si apre un banner sul quale si clicca inavvertitamente attivando “servizi” a pagamento... Vere e proprie truffe on-line! Tornando però ai trend nel futuro dello shopping on-line, dicevamo del social commerce. Come vedremo nel capitolo seguente, si tratta di sistemi di commercio elettronico integrati con modalità di comunicazione social: non la sola presenza con la fanpage aziendale su Facebook, l’account di Twitter o il canale di YouTube, ma strategie di comunicazione più elaborate, che utilizzano a pieno gli strumenti sempre nuovi messi a disposizione dalle piattaforme sociali. Alcune ricerche forniscono dati sensazionali: il 70% degli utenti di Facebook partecipa a concorsi a premio organizzati dai brand e quasi il 97% acquista i prodotti dalle imprese che segue (una volta diventati likers, gli utenti prendono familiarità con il brand e ne diventano poi consumatori fedeli). Se questi dati fossero veri (ma non tutti sono d’accordo) sarebbero estremamente significativi per testimoniare la sempre più importante rilevanza che i social media stanno acquistando nella vita delle persone e, in questo caso, sulle loro abitudini di acquisto. Strettamente connesso all’universo social è anche uno dei fenomeni più dirompenti degli ultimi tempi: il boom dei siti di couponing, che da soli hanno contribuito nel 2012 a quasi il 25% della crescita dell’e-commerce nel nostro Paese. La loro forza consiste nel veicolare sugli esercizi commerciali nuovi clienti, mediante forti sconti e ribassi:


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il prezzo “molto aggressivo” diventa un mezzo pubblicitario, con il quale generare visite, offrire prodotti/servizi a target più ampi e stimolare la domanda saturando la propria capacità produttiva. Interessante, ma con qualche controindicazione. Ne parliamo nel capitolo che segue.


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