Clamoroso al Cibali

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A Roberto, Enrico e Sandro voci e maestri indimenticabili



A cura di

Riccardo Cucchi

clamoroso al cibali

“Tutto il calcio minuto per minuto� Quando la radio diventa storia Editor

Maurelia Carafa

Minerva Edizioni


CLAMOROSO AL CIBALI

“Tutto il calcio minuto per minuto” Quando la radio diventa storia

A cura di Riccardo Cucchi Editor Maurelia Carafa

Si ringrazia:

Direttore editoriale: Roberto Mugavero Grafica e impaginazione: Francesco Zanarini L’immagine di copertina e delle pagg. 10, 12, 25, 27, 160, 163, 205-243 sono di: Paola Romano Le immagini delle pagg. 19, 20-22, 28, 29, 33, 34, 37, 40, 44, 47, 50, 53, 54, 56, 59, 62, 67, 70, 71, 73, 76, 78, 85, 86, 90, 92, 148, sono state concesse dalle Teche RAI. L’immagine di pag. 155 è di Gabriele Majo Le immagini delle pagg. 18 e 79 sono di Walter Breveglieri Per le immagini contenute in questo volume, l’editore rimane a disposizione degli eventuali aventi diritto che non sia stato possibile rintracciare. Paola Romano©tutti i diritti riservati © 2011 Minerva Soluzioni Editoriali srl - Bologna Walter Breveglieri©tutti i diritti riservati Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi. Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata. Deroga a quanto sopra potrà essere fatta secondo le modalità di legge

ISBN: 978-88-7381-308-8 Edizione novembre 2010 Prima ristampa: dicembre 2010 - Seconda ristampa: marzo 2011

Minerva Edizioni via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 www.minervaedizioni.com email: info@minervaedizioni.com


Prefazione

Sembra ieri, ma sono passati più di cinquant’anni dal debutto di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Eppure la formula di questa fortunata trasmissione radiofonica mantiene intatta la sua attualità e freschezza. Quando Riccardo Cucchi mi ha proposto di dedicare un volume ai cinquant’anni di “Tutto il Calcio”, ho incoraggiato con grande slancio questa bella iniziativa. Con Riccardo condivido l’idea che si tratti di una trasmissione che non appartiene soltanto alla storia della radio italiana. Anzi, “Tutto il calcio” rappresenta una formula tra le più moderne dell’offerta radiotelevisiva internazionale. Basta fare mente locale alla struttura stessa del programma: uno studio radiofonico, un campo centrale ed i campi collegati; un conduttore in studio, un radiocronista centrale, e i radiocronisti collegati. Lo studio guida la trasmissione. Il campo centrale racconta la partita più importante. Gli altri campi possono intervenire al momento del goal o di altre importanti novità (calci di rigore, espulsioni, etc...). Di cosa si tratta se non della formula delle moderne all news? Insomma, decenni prima che arrivassero la Cnn e le grandi emittenti televisive di flusso, Roberto Bortoluzzi, Guglielmo Moretti e Sergio Zavoli inventarono un modo moderno ed innovativo per tenere gli italiani incollati alla radio. Per questa ragione “Tutto il Calcio minuto per minuto” non è soltanto una bella pagina di storia nel nostro album dei ricordi; non è soltanto la fotografia dei nostri papà con l’orecchio alla radiolina nel pomeriggio di domenica per sentire lo svolgersi delle partite, aggiornando magari la schedina del Totocalcio. “Tutto il calcio minuto per minuto” è una trasmissione che rappresenta anche il futuro. Quando sono diventato Direttore del Giornale Radio e di Radio Uno, una delle mie ragioni di orgoglio è stata quella di assumere sotto la mia direzione anche questa prestigiosa trasmissione. Da quel momento il mio impegno è stato rivolto a valorizzarla e ad investire energie e risorse su di lei. Consapevole che gli italiani amano “Tutto il Calcio” e che la sua formula risponde alla moderna domanda di informazione puntuale, completa e veloce. Non solo. Oserei dire che

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“Tutto il calcio” possa ritenersi addirittura un “modello” da applicare anche ad altri programmi di informazione radiofonica: gli interventi dai campi collegati sono come le moderne “breaking news” che irrompono dagli sms dei nostri telefonini, dal lampeggiare delle agenzie sui nostri pc, dalle sovraimpressioni televisive dei canali di informazione. In definitiva: se da un lato associo “Tutto il calcio” all’immagine di mio padre che ascoltava le partite di domenica pomeriggio mentre noi bambini giocavamo in compagnia della mamma, dall’altro vedo un futuro a colori per questa trasmissione. Con la voce di Ameri, Ciotti, Provenzali, sono cresciute generazioni di italiani. Con la squadra di radiocronisti capitanata da Riccardo Cucchi continuiamo a vivere le emozioni di un gol e a sentire il profumo dell’erba di un campo di calcio. Perché la grande qualità dei nostri radiocronisti è quella di farci “vedere” le partite alla radio. Con quei radiocronisti è cresciuta l’Italia e siamo cresciuti anche noi. Sono certo che “Tutto il Calcio” continuerà per tanti anni ancora ad accompagnare anche la crescita dei nostri figli.

Antonio Preziosi Direttore di Radio Uno e del Giornale Radio Rai

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Premessa

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a magia ha un colore: il rosso. È il colore della luce che segnala l’“On-Air”, la messa in onda. In quel preciso momento la voce di Alfredo Provenzali apre la rappresentazione domenicale più amata dagli appassionati. Poche note introduttive sulla musica che sfuma, prima di dare voce ai campi, il cuore palpitante di “Tutto il calcio”. Non è cambiato molto dal 1960. La tensione, appena ammorbidita dalla consuetudine ad un lavoro di cui si conosce ogni sfumatura, è la stessa. Il tecnico non ha più il camice bianco e non si chiama fonico, il microfono è meno ingombrante di quello usato da Bortoluzzi, la cuffia è più leggera. E il suono, soprattutto, è più raffinato, “pulito” come si dice in gergo. Ma il tenue

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CLAMOROSO AL CIBALI. “Tutto il calcio minuto per minuto”

Gli studi Rai di Saxa Rubra in Roma da cui viene trasmesso “Tutto il calcio minuto per minuto”

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Premessa

brivido che precede l’inizio, è identico a quello di 50 anni fa e coinvolge il conduttore e tutti coloro che sono al di là del vetro. La parte organizzativa, durata una settimana, lascia il campo alla diretta. Con tutte le insidie che essa nasconde. “On-Air” significa ci siamo, si parte. E il pensiero successivo di conduttore, radiocronisti, tecnici, assistenti ai programmi, addetti ai telefoni (che non smettono mai di squillare) è: speriamo che tutto fili liscio. “Tutto il calcio minuto per minuto” nasce settimana per settimana, quasi per la prima volta. Un rito che si ripete, una serie di adempimenti che non possono essere mai “routine”. Se così fosse si rischierebbe di perdere freschezza e tempestività. E nasce il lunedì mattina. Intorno alle 10.30. È quella l’ora nella quale un piccolo gruppo di persone esamina la “griglia” delle partite. Occorre decidere la gerarchia dei campi, la famosa “scaletta”, numerando progressivamente le gare programmate per il pomeriggio della domenica. È il compito che spetta a chi scrive. Ed è un compito di natura giornalistica, nel quale hanno un peso molte considerazioni. Il valore tecnico della partita, la situazione di classifica delle squadre, il peso mediatico e di interesse delle formazioni e dei protagonisti. La “scaletta” deve rispondere ad una logica comprensibile a chi ascolta. E sarà quella che Alfredo Provenzali snocciolerà non appena, ogni domenica, si accenderà la fatidica luce rossa. Alle partite vanno abbinate poi le voci. Ognuna di loro ha un “colore” diverso. Un cromatismo che formerà, al microfono, quell’inconfondibile affresco che è, ancora oggi, “Tutto il calcio”. La composizione è, però, complessa. Oltre a tener conto dell’esperienza di ciascuno dei radiocronisti, deve considerare altri fattori altrettanto importanti. La moltiplicazione delle partite (anticipi – posticipi – il campionato di serie B al sabato) impone un’attenta razionalizzazione. I radiocronisti sono chiamati spesso ai cosiddetti “raddoppi”, una gara il sabato e una la domenica. Il redattorecapo deve vestire i panni anche di organizzatore dei viaggi. Calcolare le distanze, i tempi e i mezzi di locomozione diventa, in alcuni casi, decisivo quanto altre scelte meno pragmatiche. Ci siamo quasi. La trasmissione sta nascendo. Ma mancano ancora dettagli delicati. Per trasmettere in simultanea 6/7 dirette, occorre un’adeguata copertura tecnica. E ogni cronista avrà bisogno di essere affiancato da un collega che si occupi delle postazioni, che le organizzi, le testi, le prolunghi negli spogliatoi per le interviste in diretta. Per fortuna la Rai ha una capillare ramificazione regionale. E sono in genere le sedi ad approntare l’assistenza tecnica. Compito organizzativo che spetta al settore produzione. Ogni lunedì mattina appunto. 9


CLAMOROSO AL CIBALI. “Tutto il calcio minuto per minuto”

In alto: Alfredo Provenzali dagli studi di Saxa Rubra In basso: dallo stadio Olimpico di Roma a sinistra Riccardo Cucchi e a destra il suo tecnico

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Premessa

Adesso sì che ci siamo. Provenzali potrà avere, via telefono, la sua scaletta completa di ogni particolare. Salvo imprevisti, la nuova puntata della trasmissione è nata. Ancora una volta. Come 50 anni fa. «Andiamo sui campi. Inter-Juventus. La linea a...» Il conduttore si incarica di aprire il sipario. Il clamore dello stadio che attende l’esibizione delle squadre, precede di pochi secondi la voce del cronista che introduce la partita. Le formazioni, le note di cronaca, il tempo, gli spettatori presenti. La voce e gli effetti accompagnano l’ascoltatore sugli spalti. Suoni. Per produrli occorre un piccolo miracolo di ingegneria tecnica. Se si accendesse una telecamera in grado di inquadrare la postazione cronaca, apparirebbero il tecnico e il giornalista dotati di cuffia, una piccola “console”, con due ingressi microfonici (per gli effetti e per la voce del cronista) e un telefono per dialogare con la regia romana. È la dotazione standard per effettuare i collegamenti dalle tribune stampa degli stadi italiani. Una dotazione moltiplicata per i campi collegati in simultanea. “Tutto il calcio” è una trasmissione circolare. Ogni radiocronista è insieme protagonista e ascoltatore, sente la sua voce e soprattutto sente quella dei colleghi che lavorano in contemporanea con lui. I suoi tempi di intervento dettano i ritmi dell’intera trasmissione. Un giro di 5/6 minuti consente all’ascoltatore che si sintonizzi all’ultimo istante, di avere un quadro completo dei risultati in un tempo brevissimo. La sintesi è un valore assoluto per chi ha il privilegio di partecipare da attore alla rappresentazione. Ma torniamo in regia. È domenica. Alle 14.50 parte la sigla. All’interno dello studio tutti i monitor sono accesi e sintonizzati sui campi nei quali tra pochi minuti si comincerà a giocare. Provenzali ha la cuffia e il dito appoggiato sul pulsante che tramuterà il verde in rosso. Il tecnico osserva il conduttore e il conto alla rovescia che, sul computer, indica che la sigla sta esaurendo la sua corsa. Parte il cenno d’intesa. Si accende il rosso. “Tutto il calcio” inizia la sua nuova puntata. Ma gli ultimi dettagli vanno verificati ancora. Via interfonico si chiede la conferma che i campi siano tutti disponibili e regolarmente collegati. L’introduzione sta per concludersi e tra poco la parola passerà agli inviati. La sala controllo risponde: è tutto a posto. Nessun intoppo. Un’attesa che è percepita, inevitabilmente, anche da chi è in postazione. Malgrado le prove, la certezza che si possa andare in onda arriva solo nel momento in cui, in cuffia, è possibile ascoltare la propria voce che inizia il racconto. L’onda di emozioni può adesso travolgere il narratore e l’appassionato. E arriverà al culmine con l’accavallarsi degli interventi, concitati, che annunceranno i gol. Tutto ciò che avverrà sarà appuntato. L’assistente al programma e gli impiegati preposti all’organizzazione, annoteranno il cambiamento dei risultati, la successione delle reti, l’aggiornamento della classifica. Non solo. Nei casi in cui alcuni 11


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campi non fossero previsti in scaletta, sarà il telefono il fedele alleato della squadra di “Tutto il calcio”. È attraverso il telefono, infatti, che i corrispondenti annunceranno i cambiamenti di punteggio. La comunicazione verrà trasferita in studio e i conduttori potranno riferire i nuovi risultati delle partite “non collegate”. In tempo reale. Lo schema è collaudato, l’obbiettivo chiaro: raccontare tutte le gare fornendo un servizio di aggiornamento costante. Notizie e racconto. Chi comanda è l’evento, la partita. Chi la racconta è lo strumento di raccordo tra la gara e chi è in ascolto. “Testimone della realtà”. Così Enzo Biagi definiva il giornalista. Testimone di una partita, dei gesti tecnici che contiene, dei colpi di scena che propone è il radiocronista. Come gli spettatori dello stadio ha un solo strumento a disposizione: i suoi occhi. Occasionalmente è supportato da un monitor, utile soprattutto per rivedere le azioni contestate. Ma nulla potrà mai sostituire lo sguardo che si concentra sul portatore di palla, che si allarga sull’intero campo di gioco per cogliere particolari tecnici o che si nutre della passione che nasce dalle curve. Immagini che vengono scelte, secondo uno stile di racconto che varia da cronista a cronista, e utilizzate secondo un vero e proprio schema registico. Che avrà successo quanto più aiuterà l’ascoltatore a “vedere” la partita.

Dagli studi Rai di spalle a sinistra Alfredo Provenzali e a destra Filippo Corsini

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Premessa

50 anni dopo dobbiamo riconoscere che Moretti, Zavoli e Bortoluzzi hanno rafforzato, ideando la trasmissione, la ragione stessa della radio. Che è mezzo nato per la diretta, per il racconto dei fatti. La simultaneità, la finestra che si apre per mostrare contenuti in evoluzione, che si chiude per cedere all'altra il privilegio di mostrarne altri, è l'essenza stessa della radio. “Tutto il calcio minuto per minuto”, è la radio. E il suo successo si radica nella originalità ed essenzialità della formula. Le parole, anche se pronunciate in fretta, hanno un peso più grande. Perché devono essere quelle giuste. Poche ed immediate. Una delle virtù del giornalista di “Tutto il calcio”, è la parsimonia. I grandi maestri del passato ci hanno insegnato a non “sprecare” le parole. Che in ultima analisi significa non sprecare il tempo, un tempo che va usato per dire solo ciò che è essenziale al racconto. A ben vedere la trasmissione che celebra il suo mezzo secolo di vita, ci invita ad eliminare il superfluo per privilegiare la sostanza, a ridare forza alla parola. E all’immaginazione. Una piccola magia che si compie non appena la luce rossa dello studio si accende. Ogni domenica, da 50 anni.

Riccardo Cucchi

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Capitolo I UN SALTO NELLA “NOSTRA STORIA”

Sivori, Charles, Boniperti. È il trio magico della Juventus che all’inizio di quell’anno, il 1960, è già piazzata in testa alla classifica del cinquantottesimo campionato di calcio italiano. Il 6 giugno la Vecchia Signora conquisterà l’undicesimo scudetto pareggiando per 1 a 1 in casa contro il Palermo, destinato invece alla retrocessione in B insieme al Genoa e all’Alessandria, che lascerà in eredità al Milan un giovanissimo e promettente Gianni Rivera. Juve grintosa più che mai, campione d’Italia con 55 punti, seguita dalla Fiorentina a 47 – un onorevole secondo posto per il quarto anno consecutivo – e dal Milan a 44. Sono gli anni Sessanta. Gli anni delle tre Grandi (Juventus, Milan e Internazionale) contrapposte alle piccole compagini, con minori risorse e poche speranze di imporsi più di tanto all’interno della Federazione. Ed è in procinto di sbarcare nel nostro Paese l’uragano argentino Helenio Herrera. Dal punto di vista prettamente calcistico il decennio non si apre proprio sotto una buona stella; sono in molti a considerarli anni bui dal punto di vista sportivo. Due le cause fondamentali, in primis i danni e le perdite umane inflitte dalla seconda guerra mondiale, poi la scomparsa di un’intera squadra di campioni il 3 maggio del 1949 nell’incidente aereo di Superga che costò la vita all’intera squadra del Torino di ritorno da una trasferta in Portogallo. «Quel giorno liquidava di colpo la parte più pregiata del patrimonio calcistico italiano», scrive Antonio Ghirelli nella “Storia Da sinistra: Charles, Sivori e Boniperti 14


UN SALTO NELLA “NOSTRA STORIA”

del calcio in Italia” (Einaudi, 1990). A ogni modo, quella del ’60, è anche l’Italia delle belle speranze. Il dopoguerra sembra ormai lasciato alle spalle. Ed è una Italia che vuole guardare avanti. La relazione generale sulla condizione del Paese evidenzia come «la struttura dei consumi della popolazione italiana si avvicini a quella dei paesi con più alto tenore di vita» (“Storia del calcio in Italia nel movimento sportivo europeo dal 1869 al 1998”, di Grimaldi M.). Questo non significa di certo che siano tutte rose e fiori. Anzi, il confronto con il resto d’Europa è ancora pesante e il boom economico causerà negli anni successivi una ricaduta in termini di salario per gli operai delle fabbriche, di costo della vita, di spinta al consumismo. Eppure, c’è molto ottimismo nell’aria. Si parla di “miracolo italiano”, in quei leggendari anni Sessanta, anche se lo stipendio di un operaio si aggira sulle 47 mila lire spicciolo più spicciolo meno, 144 lire all’ora con le quali può appena permettersi di comperare due etti di mortadella, marca Galbani, la più venduta in Italia. Quella col bollino verde però, che costa circa la metà rispetto alla qualità oro superiore. L’italiano medio non se la passa male ma neppure nuota nel benessere, deve stare attento a non fare il passo più lungo della gamba ora che le cambiali stanno spopolando come sistema di pagamento e che strizzano l’occhio anche a coloro che in realtà non sanno bene come mettere insieme il pranzo con la cena. Sembra passato un secolo, in realtà la metà esatta, quando il quotidiano si acquistava con 30 lire, il biglietto del tram con 35, per una tazzina di caffè ne occorrevano 50, un litro di latte si attestava sulle 90 lire. Sono anni di cambiamento, a cavallo tra le atmosfere de “I Soliti ignoti” di Mario Monicelli e la sfrontatezza de “Il sorpasso” di Dino Risi, pellicole nostrane che riflettono il reale clima di transizione tra l’arte di arrangiarsi e il profumo di un nuovo benessere economico che ora sembra a portata di mano. I consumi si impennano, non perché ci sia così tanta disponibilità di denaro contante rispetto al passato, quanto perché la rateizzazione consente di fatto l’acquisto di tutti quei beni voluttuari che la nascente televisione, con i primi spot pubblicitari, contribuisce a diffondere su larga scala. Anche se è pur vero che, agli inizi del Sessanta, è ancora la radio a farla da padrona nelle case degli italiani e il cinematografo continua a essere il passatempo preferito. La tv non può ancora esercitare il suo ipnotico e generalizzato influsso, responsabile futura di pigrizia, sedentarietà, assuefazione e asocialità. La gente esce e va a ballare nei locali, anche semplici bar, provvisti di juke-box e sogna le stelle del cinema davanti a un proiettore gigante, non a quella scatola che comincia a strizzare l’occhio dalle vetrine dei negozi di elettrodomestici. Lasciata accesa di proposito trasmette per ore e fintanto che la saracinesca non viene tirata giù, fuori si forma la fila. Oltre al televisore segni tangibili di affrancamento dalla povertà diventa15


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no molti altri oggetti “materiali” come il frigorifero e il giradischi, il phon, la stufetta elettrica, il frullatore e la lavatrice, ma anche oggetti “virtuali”, nuove abitudini, come le vacanze al mare e le gite “fuori porta” della domenica. Ma soprattutto, simbolo di un crescente benessere, arrivano i motori: una Lambretta, una Vespa, l’utilitaria diventano a portata, se non di tutti, certamente di molti. Un sogno proibito come la mitica Giulietta Alfa Romeo si aggira nel 1961 su un milione 370 mila lire, sogno realizzabile con 200.000 lire in contanti al momento dell’acquisto, il resto pagabile in «trenta comode rate mensili». La Nuova 500 Fiat (la precedente versione Topolino è appena uscita di produzione) segna l’epoca della conquista della mobilità in Italia: costa 490 mila lire ed è senz’altro più economica di quel gioiellino che la rivista tedesca “Motor Revue” nel ’60 definiva «la più interessante di tutte, una straordinaria automobile», vale a dire la Mini nelle versioni Austin e Morris. E allora, a tutto gas lungo le strade del boom post-bellico. Tre anni prima, nel 1957, la cagnetta Laika aveva sperimentato l’ebbrezza di un giretto nello spazio a bordo della navicella sovietica Sputnik diventando di fatto la prima vittima dello spazio; ora la signora Rosa sale a bordo della sua Giardiniera, primo esempio di auto “familiare” antesignana della station-wagon, con la sporta della spesa. Anche nella musica e nel cinema c’è gran fermento. Di lì a pochi mesi impazzerà la beatlemania, nasceranno i Rolling Stones e i Beach Boys. Nel frattempo la radio, ora a transistor e finalmente portatile per davvero, trasmette le canzoni di Elvis Presley e di Adriano Celentano, le melodie di Claudio Villa e quelle di Tony Dallara, i cieli dipinti di blu di Domenico Modugno e le edere di Nilla Pizzi. La voce di Mina intona le note di “Tintarella di luna” e di “Una zebra a pois” mentre Gino Paoli racchiude il cielo in una stanza e pensa a una soffitta vicino al mare. La tv, dove sta per essere inaugurato il Secondo Programma, è quella di Carosello e di Canzonissima, del Musichiere di Mario Riva (che morirà proprio l’1 settembre del ’60 per le conseguenze di un incidente sul palco dell’Arena di Verona), dei telequiz di Mike Bongiorno, del Festival di Sanremo di Cinico Angelini e del “Da-da-unpa” delle gemelle Kessler, bellezze transalpine che incollano alla “scatola magica” coloro, ancora pochi, che hanno la fortuna di possederne già una nel salotto o nel tinello di casa. In caso contrario, per una sorta di società del mutuo soccorso, c’è l’apparecchio del vicino o la tv della zia, ingentilita dal “centrino” lavorato all’uncinetto. È l’Italia solare e amara della commedia all’italiana, di Vittorio Gassman e Alberto Sordi, di Ugo Tognazzi e Nino Manfredi, di Mastroianni e De Sica, delle misure prorompenti 90-60-90 di Sophia Loren e Gina Lollobrigida, mentre Totò – già molto malato –, appare per l’ultima volta in tv nella trasmissione “Controfagotto” della Rai di Ugo Gregoretti. Il Paese dei sogni e 16


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dei sacrifici, dei guasconi poveri ma belli e del pallone, del “Corriere dello Sport” di Antonio Ghirelli e della “Gazzetta” rosa di Gualtiero Zanetti, vere bibbie del popolo. Ed è un Paese in fermento, in costruzione, che si prepara ad accogliere a Roma i giochi della XVII Olimpiade. L’organizzazione dell’evento, dicono, è magistrale. Tutto nuovo di zecca, stadio, velodromo, palazzetti dello sport e piscine. Un intero villaggio costruito ad hoc nel quartiere Parioli su un’area di 300 mila metri quadrati. «Una serie di fabbricati pensili, color ocra – racconta il Radiocorriere – dalle geometriche nervature orizzontali che scandiscono i piani, elevati su pilastri che staccano ogni palazzina dal suolo e distribuiti nel largo spazio sottostante fra vaste aree di verde. È il villaggio olimpico. Lo ha costruito l’Incis per il Ministero dei Lavori Pubblici e lo ha consegnato il 3 giugno scorso al Coni che sta provvedendo alle ultime installazioni». Un discutibile esempio di architettura moderna, a esser sinceri. Venti gli sport in programma per l’Olimpiade, 5337 gli atleti partecipanti. A fine competizione gli italiani avranno rastrellato tredici medaglie d’oro, soprattutto per il ciclismo, disciplina che vanta nel Paese una lunga tradizione, e per il pugilato. Nino Benvenuti vince per i pesi Welter e conquista anche la prestigiosa Coppa Val Barker, destinata al boxeur tecnicamente migliore del torneo, soffiandola a Cassius Clay, detentore dell’oro per i pesi massimi. Lo sport è materia di discussione e di coesione, il bar eletto luogo d’incontro per il caffè mattutino e per la partitella a carte alla sera dopocena. In realtà ci si va per parlare di calcio, di campioni, di arbitri, di rigo-

Olimpiadi di Roma. Tra gli intervistati Nereo Rocco, Giacomo Bulgarelli, Giovanni Trapattoni e Gianni Rivera. 18/09/1960

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ri e risultati sospetti. La moviola è ancora al di là da venire e le ipotesi possono dunque tener banco per giorni e settimane intere. Fino alla domenica successiva, come tutte le altre sonnacchiosa e lenta, che affoga rassicurante nei riti e nelle consuetudini: la santa messa con l’intera famigliola al seguito, tutti in abito buono e le scarpe tirate a lucido, la passeggiata in centro, una puntatina in pasticceria per comprare il vassoio di cannoli e bignè. Il pranzo con i maccheroni e il sugo di carne, che solo di domenica si può. E mentre i ragazzini tuffano il naso nella crema e nello zucchero a velo, madri, mogli e nonne riordinano la cucina e lavano i piatti, il maschio di casa, tra l’odore del caffè e quello intenso della sambuca, si sistema sul divano di eco pelle tenuto su dai piedini di alluminio cromato. Cala perentorio e sacrale il silenzio sul riposo del dopo pranzo mentre in sottofondo si accende un “gracchiare” di radioline che sale dalle finestre delle case, rifocillate e pacificate, emettendo i suoni inconfondibili provenienti dagli stadi di calcio. Ed ecco le voci. Quelle voci. «Scusa Ameri, scusa Ciotti, a voi studio centrale…». «Quelle domeniche pomeriggio – scrive Aldo Grasso – con l’orecchio incollato al transistor, quei trasalimenti per un’interruzione: “scusa Ameri, scusa Ameri”, quella gente accalcata attorno alla radio di un bar sono schegge di una cerimonia tanto emozionante quanto lontana: una colonna sonora collettiva, il mito dell’Italia finalmente unita». È questo il Paese

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del ciclismo e del pallone. Fatica e sudore, gioia e tristezza. Il 1960, all’alba di un nuovo decennio, si apre proprio così. Tra il dolore di un lutto prematuro e lo stupore per la nascita di qualcosa di cui non tutti comprendono subito la portata ma che è destinata a vivere a lungo, regalando emozioni intense. Il 2 gennaio muore infatti, a soli 40 anni, quell’uomo «solo al comando. La sua maglia è biancoceleste, il suo nome è Fausto Coppi», come Mario Ferretti lo definì con toccante precisione nella radiocronaca della Cuneo-Pinerolo, terzultima tappa del Giro d’Italia del 1949. Il Campionissimo muore a Tortona per le conseguenze di una malaria contratta nel Burkina Faso, durante una gara in Africa Occidentale. Scompare un mito all’improvviso nell’incredulità generale. Titoli a tutta pagina, per giorni e giorni. Quasi non si nota la notizia, taglio centrale, una sola colonna, sulle trattative tra Rai e Figc per la trasmissione di una telecronaca del secondo tempo di una partita di calcio e di radiocronache multiple dagli stadi. Il 10 gennaio 1960 nasce quella che sarebbe diventata la compagna insostituibile del maschio italico, moglie devota e amante appassionata. L’abitudine preferita dai tifosi del pallone, l’appuntamento imperdibile, vissuto sul filo di un’emozione capace di spezzare il fiato nell’attesa febbrile del tiro in porta. A beneficio di coloro che si fossero appena collegati, tra lo sbalordimento generale perché nulla di simile si era mai ascoltato prima di allora, muove i primi passi

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CLAMOROSO AL CIBALI. “Tutto il calcio minuto per minuto”

sul tapis-roulant delle onde radio “Tutto il calcio minuto per minuto”. È la più popolare trasmissione radiofonica dedicata al campionato italiano di calcio, ideata da Guglielmo Moretti, all’epoca capo della redazione sportiva, da Roberto Bortoluzzi, alla conduzione per la bellezza di ventisette anni, e Sergio Zavoli, responsabile della redazione radiocronache. La data segna una tappa importante nella storia della radiofonia italiana e il programma, che si rivelerà più longevo di altri successi del calibro di “Alto gradimento”, “Bandiera gialla” o della “Hit Parade” di Lelio Luttazzi, unisce il Paese dal Nord al Sud, in lungo e in largo, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Sardegna alla Puglia, sotto un unico denominatore: la frenesia delle cronache di calcio dai campi collegati. L’ascoltatore, fino a quel momento, ignaro delle enormi potenzialità di un mezzo di diffusione tanto potente, viene spintonato, lanciato, catapultato – proprio come una palla tra le gambe dei giocatori – da uno stadio all’altro, tra le urla e i boati di tifoserie diverse e contrapposte. Può sapere tutto ciò che accade altrove, conoscere in tempo reale la situazione complessiva della classifica di campionato, salire a bordo di una ruota panoramica che gli consente di guardare in più direzioni contemporaneamente. Se si lascia trasportare dalle voci e dai rumori di sottofondo, mentre in casa regna un religioso silenzio e le altre radio fuori fanno da amplificatore attraverso le finestre aperte, gli sembra quasi di poter sfiorare la spalla del vicino pigiato a lui, nello stadio “colmo ai limiti della capienza”. Le voci sono

Olimpiadi di Roma. Dalla sala di registrazione al Foro Italico, a sinistra Nicolò Carosio e a destra Luca di Schiena. 25/08/1960

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UN SALTO NELLA “NOSTRA STORIA”

quelle che hanno fatto storia: Nicolò Carosio, Roberto Bortoluzzi, Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Nando Martellini, Claudio Ferretti, Ezio Luzzi, Beppe Viola, Enzo Foglianese. E ancora, Alfredo Provenzali, Massimo Valentini, Andrea Boscione, Adone Carapezzi, Piero Pasini, Nico Sapio e molti, molti altri, certi di non poter rendere giustizia a tutti. Quelle voci che per prime fuoriuscirono dalle moderne radioline, a volte grandi quasi come pacchetti di sigarette. La “Domenica del Corriere”, nel gennaio 1962, scrive che i giapponesi hanno inondato il mondo con le loro graziose radioline tascabili, battendo gli americani che pure il transistor l’avevano inventato e che per primi avevano prodotto e commercializzato, nel 1954, la prima radio a transistor della storia, la Regency Tr-1. Anche le industrie italiane iniziano a produrre apparecchi radio a transistor di formato tascabile, o poco più grandi, modelli da tavolo. Tra le marche nazionali più note Gbc, Voxson-Faret, Geloso, ma anche Phonola e Radiomarelli e i primi tempi non tutti se le possono permettere. L’apparecchio può costare tra le 15 e le 17 mila lire, il 25 per cento dello stipendio mensile di un operaio. Ma è un oggetto che prima o poi, con qualche sacrificio, chiunque decide di acquistare. Magari non è proprio un modello tascabile, somiglia a una scatola di scarpe, ma la domenica, se non si vuole rinunciare a una gita in spiaggia o alla passeggiata al parco con la fidanzata, la si porta con sé. La buona intenzione, illusoria per lo più, è quella di riuscire a conciliare la passione per il

Roberto Bortoluzzi dagli studi Rai di Corso Sempione a Milano

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CLAMOROSO AL CIBALI. “Tutto il calcio minuto per minuto”

calcio con l’affetto per la propria compagna, che però sbuffa e protesta, non ama il pallone, né chi lo calcia, né chi lo racconta, tantomeno chi l’ascolta agitandosi, imprecando o esultando selvaggiamente per strada. È ancora lontana la condivisione del tifo nella coppia italiana. Numerose donne subiscono questo rito pomeridiano con spirito di sopportazione, sanno che durante le radiocronache alla radio è preferibile diventare trasparenti o scomparire, non sia mai che succeda di aprire bocca durante un’azione topica, un gol, un rigore. “Scusa Ameri…” e non ce n’è più per nessuno. Il figliolo ha la febbre alta? La suocera non la smette di blaterare? La moglie lancia occhiate fiammeggianti all’apparecchio che sputa fuori parole incomprensibili? Il tifoso non vede, non sente, non parla. È in uno stato catatonico suscettibile di variazioni improvvise e imprevedibili. Spesso e volentieri il cinema ha messo in scena sketch memorabili in cui “Tutto il calcio” è stato esplicitamente citato o addirittura “trasmesso”. Ricordiamo “Gli imbroglioni” del 1963 con Walter Chiari per la regia di Luciano Salce, “Scusate il ritardo” (1983) con Massimo Troisi e Giuliana De Sio, in cui vale la pena andare a ripescare una divertente conversazione tra le lenzuola, mentre in sottofondo si sente la radiocronaca di una partita del Napoli… che sta perdendo. Non si può dimenticare poi “Il secondo tragico Fantozzi” del 1976 con Paolo Villaggio, “Eccezziunale veramente” con Diego Abatantuono e “Al bar dello sport” con Lino Banfi, nei primi Ottanta. Negli anni non sono mancati neppu-

Guglielmo Moretti

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re spunti e citazioni, letterari e artistici. In quegli anni, per esempio, il poeta e critico Franco Fortini scrive una canzone per Laura Betti, “una tragica Marlene, una vera Garbo” come la definiva l’amico Pier Paolo Pasolini, canzone entrata poi nel repertorio di Enzo Jannacci e che recita così: «Nella nebbia gelata, sull’erbetta; un occhio alla lambretta, l’orecchi a quei rintocchi che suonano dal borgo la novena; e una radio lontana dà alle nostre due vite i risultati delle ultime partite…». Tra i tanti riferimenti, tra i richiami più noti, senz’altro il più popolare è quello di Claudio Baglioni che nell’85 titola un singolo con il nome del programma. «E a due a due vanno via dentro un’aria tagliente a vetrini di un pomeriggio nudo, le radio dietro alle persiane e Tutto il calcio minuto per minuto…» Ma bisogna ricordare anche “Nessuno allo stadio”, l’album del 1994 di Elio e le Storie Tese, che dedicano interamente un brano a Enrico Ameri. La musica utilizzata è quella della canzone di Toto Cutugno “Gli amori” e il verso più noto fa così: «Accesa, spenta fra i radiogiornali, l’auricolare perso in tre canali. Son loro che ci aiutano a non sentirci soli, ma un uomo li comanda, e lo chiamiamo Ameri. Grazie, Ameri… Ameri in forma, Ameri in sintonia. Ciotti ti sgrida (parli sempre tu)…». Molte cose rendono unica e inimitabile una trasmissione. Per “Tutto il calcio” una di esse è la sigla. Un vero marchio di fabbrica. Col suo ritmo incalzante, martellante, ti fa immaginare le emozioni che di certo arriveranno. Accattivante, dinamica, allo stesso tempo nostalgica come un bel ricordo. Perché è la stessa di tanti anni fa. Le note sono quelle di “A taste of honey”, nella versione strumentale del 1965 di Herb Alpert e dei Tijuana Brass. Solo per un po’, dal 1976 al 1980, fu utilizzato un frammento di “Caravan” nella versione di Eumir Deodato mentre, per un breve periodo intorno al 1988, fu sostituita da un motivo composto per l’occasione da Mauro Lusini (giovane cantautore toscano più noto per aver composto “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”). La sigla è un sempreverde per gli anziani che all’epoca erano giovani, ma la conoscono bene anche i ragazzi di oggi che all’epoca non c’erano. Perché è la stessa, inconfondibile, che apriva una finestra sul mondo, che faceva da sipario alle voci dei grandi cronisti, indimenticati attori di uno spettacolo sempre nuovo. Ogni partita è una storia a sé, eppure rassicurante nel ripetersi di gesti e abitudini, con gli idiomi, le voci, le attese, la linea che passa nell’etere da un punto all’altro della penisola. “Tutto il calcio minuto per minuto” si piazza in casa, si accomoda, non chiede permesso. È un caleidoscopio pieno di colori, di sfumature. È il ritmo il suo segreto. La velocità. La continua rotazione dei collegamenti. Un treno che corre veloce, si ferma rapido di stazione in stazione, salire e scendere diventa un’arte, un gioco di precisione. Ci vuole metodo. E prontezza, attenzione, capacità dialettica. Enrico Ameri, prima 23


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voce, ribattezzato non a caso “Mitraglia”, perché sembra andare all’assalto di una barricata. Non fa una pausa, non si distrae, quando viene interrotto riesce a riprendere con perfetto aplomb il filo del discorso, dal punto esatto in cui l’ha lasciato in sospeso. Ciotti, “The Voice”, è più tecnico e ha quel timbro baritonale, che la leggenda vuole sia diventato ancor più roco per 14 ore di diretta trascorse sotto la pioggia durante le Olimpiadi di Città del Messico nel 1968. Lui ha giocato nella Lazio, conosce alla perfezione regole, tattiche e tecniche calcistiche. Condisce tutto con uno stile personale, arguto, fatto di battute, espressioni proverbiali, a volte addirittura poetiche, musicali, entrate poi nel linguaggio popolare. A poco a poco, per il tifoso, diventa familiare apprendere che in campo «la ventilazione è inapprezzabile», che il portiere «abbranca in presa e si accinge al rinvio», che i giocatori retrocedono «a protezione dei 16 metri». Ed è grazie soprattutto alla proprietà di linguaggio di Ciotti che una bella giornata può sfoggiare un sole “formato cartolina illustrata”. Che le difese chiuse e impenetrabili diventavano “arcigne”, le trasferte complicate sono “ostiche”, un tuffo del portiere in totale estensione del corpo è una estirada, una svista dell’arbitro si trasforma in “un calcio franco, punendo un fallo che ha visto solo lui”. E se un momento d’indecisione tra portiere e difensore è sfruttato dall’attaccante della squadra avversa che mette in rete, diventa «il classico caso di mia, tua, mia, tua … sua!». È l’alba di un nuovo idioma, forbito ma immediato, colorato ma asciutto nel quale il tifoso individua un’appartenenza. È il linguaggio della radiocronaca che tende a sintetizzare. A dir “veronica” si fa in un attimo. Spiegare invece che… il giocatore come fanno i toreri nella corrida per ingannare il toro compie una serie di movimenti in genere laterali a 360 gradi per spiazzare l’avversario e superarlo dopo averlo sbilanciato… beh, è tutta un’altra cosa. L’azione è rapida, la parola deve andarle dietro, essere adeguata. Ci sono voci che hanno fatto la storia, voci e personaggi indimenticabili di “Tutto il calcio” che hanno rappresentato e rappresentano un fiore all’occhiello per la Rai e per la radiofonia che in passato andò in onda anche su Rai stereo due in modulazione di frequenza e su Radio due in onde medie; in realtà, condotto da Mario Giobbe, si chiamava “Domenica Sport” e seguiva i primi tempi del campionato di serie A e B, le interviste del dopo gara, oltre al campionato di rugby e altri sport della domenica pomeriggio. Oggi “Domenica Sport” è su Radio Uno tutte le domeniche alle 14.00, si occupa della presentazione delle partite e dei commenti con le interviste a termine delle gare per quanto riguarda il calcio, ma non sono comunque trascurati gli altri sport di grande interesse. La conduzione è affidata a Filippo Corsini che conduce anche “Tutto il calcio” del sabato pomeriggio con le partite della serie B. Il 15 settembre 2007 “Tutto il 24


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calcio” ha ricevuto la “Grolla d’Oro” a Saint-Vincent, come migliore trasmissione sportiva radiofonica dell’anno. Sono trascorsi i primi cinquant’anni. Mezzo secolo di radio, mezzo secolo di storia del giornalismo sportivo, ma anche di storia del costume attraverso la dorsale di un Paese che del calcio ha sempre fatto la propria religione. Ma questo non vuole essere solo un nostalgico punto di arrivo, le celebrazioni non hanno lo scopo di ripiegarsi sul bel tempo che fu, chiudendo la trasmissione nel bozzolo del passato. Ci troviamo piuttosto di fronte a un traguardo stimolante, in una dimensione in cui molte cose certamente sono cambiate, dove tutto e quindi anche lo sport, è dominato dall’immagine live, dai pixel, dalle pay per view, dalle piattaforme satellitari. Con le tv in HD la sensazione è quella di star seduto davvero sugli spalti, di poter quasi toccare l’erba del campo o di afferrare un giocatore per la maglietta. Viviamo nel mondo di internet, dei cellulari, dello streaming e non possiamo né vogliamo farne a meno. Di certo, e non da ora, la sfida è più dura, una scommessa da vincere. A cinquanta anni dal debutto, elegante come una bella signora che non smette di stare al passo con i tempi senza rinunciare però all’antica classe, il suo segreto è sempre quello. Professionalità, rigore, ritmo. Niente sbavature. E sono ancora le voci a catturare l’affetto degli ascoltatori. Quella di Alfredo Provenzali che conduce in studio dal quartier generale di Saxa Rubra, trait d’union tra

Dagli studi di “Tutto il calcio”: di spalle a sinistra Alfredo Provenzali e a destra Filippo Corsini

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passato e presente. Riccardo Cucchi, prima voce, Francesco Repice, che lo affianca nelle partite della Nazionale e commenta i principali posticipi di serie A; Emanuele Dotto, voce storica della trasmissione; Tonino Raffa, voce di Reggio Calabria dal 1988, impegnato nelle gare di serie A; Livio Forma, ora in pensione, segue le partite della serie A; Antonello Orlando, Giulio Delfino e Giuseppe Bisantis e Giovanni Scaramuzzino, al microfono soprattutto per anticipi e posticipi, Massimo Barchiesi, bordocampista per anticipi e posticipi, Ugo Russo radiocronista di lungo corso, Tarcisio Mazzeo, voce di Genova, spesso inviato anche sui campi di Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana; Carlo Verna, in collegamento da Napoli; Enzo Del Vecchio, voce storica della Puglia; Andrea Coco, voce del Cagliari; Antonio Monaco, voce di Pescara impegnato in “Tutto il calcio” di serie B; Massimo Zennaro, attuale voce dal Veneto; Roberto Gueli, da Palermo; Niky Pandolfini, da Catania; Enzo Baldini, voce dalla Toscana; Gianfranco Coppola, voce della Salernitana; Antonello Brughini, inviato sui campi del centro Italia per la B. Questo è oggi “Tutto il calcio minuto per minuto”, “la più meritoria di tutte le trasmissioni, che Dio ce la conservi” come scrisse Indro Montanelli su “La Voce” il 20 novembre 1994.

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