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Paola e Lucio

PAOLA E LUCIO

Figli della guerra, Paola Pallottino e Lucio Dalla. Infanzie lontane, eppure vicine. Lei a Roma, lui a Bologna. Paola è figlia di un archeologo, il più importante storico dell’antica civiltà etrusca, padre fondatore della moderna Etruscologia. Lucio è figlio di un rappresentante di commercio e di una modista. All’età di sette anni rimane orfano di padre.

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Paola fa parte di una numerosa famiglia della borghesia romana e casa sua è frequentata da notabili e intellettuali. Lucio è figlio unico. Ma è intriso del dono divino della musica. Gli basta mettere le dita su uno strumento per saperlo subito suonare. Così fa con la fisarmonica a cinque anni e, poco più grande, con il clarinetto regalatogli da uno zio.

A tre anni, passando davanti a un caffè concerto, a Bologna, era sfuggito di mano a mamma Iole per correre sul palco, mettersi a cantare una filastrocca e prender-

si i primi applausi della sua vita. Gliel’aveva insegnata suo padre Giuseppe. E quella filastrocca alla fine è stata forse uno dei pochissimi ricordi che Lucio ha avuto di quel babbo «grande cacciatore di quaglie e di fagiani», direttore del tiro a volo di Bologna. Il massimo di cui poter favoleggiare, come ha fatto in Come è profondo il mare.

È Paola un giorno, sul finire degli anni Sessanta, a bussare alla porta di Lucio. Fa l’illustratrice di fiabe per bambini, è sposata, ha due figli piccoli e scrive testi. Le avevano appena consigliato di farli leggere a Dalla, dandole il suo numero. Una breve telefonata e qualche giorno dopo era da lui con dei fogli in mano.

Lucio, che tutti sanno quando è nato, ha quattro anni in meno di Paola. Tutti e due figli della guerra, appunto. Ed entrambi vittime anche di una lontana e primordiale orfanezza. Una condizione e un sentimento che sotterraneamente li accomuna.

Siamo nel 1970. In estate, racconta Lucio. In autunno, puntualizza Paola. In ogni caso, una sottile e inconfessata condivisione di infantili e antichi destini all’improvviso prende forma traducendosi in una delle più famose canzoni italiane di sempre: Gesubambino, che poi diventerà 4/3/1943. Con quel celeberrimo testo, Paola voleva risarcire Lucio della mancanza del padre. Ma alla fine è diventata una canzone sulla madre. E anche un doppio risarcimento.

Paola, che aveva un padre importante, viveva quasi una sorta di imbarazzo di fronte a quell’omino piccolo così, barbuto e peloso che non aveva avuto il supporto e il conforto della presenza paterna. Un’assenza di cui Lucio non ha mai

desiderato parlare. Un vuoto esistenziale mai colmato, un tabù assoluto. Violato soltanto nelle canzoni, veicolo privilegiato per consegnare a sé e al mondo argomenti e intime vicende altrimenti difficili da affrontare e svelare.

«Siamo dèi, figli del sole / invece tu chi sei / tuo padre è stato il dolore», cantava nel 1980. «Cosa fa tuo padre / è morto, non ce l’ho», ribadiva quasi vent’anni dopo nella disperante Born to be alone che chiude l’album Ciao. Nato per essere solo: questo era l’assioma esistenziale di Lucio.

Paola, invece, per suo padre ha sempre potuto manifestare una devozione assoluta. Sfociata anche ora, a più di centodieci anni dalla nascita di Massimo Pallottino, nell’allestimento di un accuratissimo sito Internet per ricordarne e celebrarne la statura umana e accademica. Un padre, però, che per la piccola Paola è stato, per otto lunghi e cruciali anni dell’infanzia e della prima adolescenza, anche l’unica figura genitoriale realmente presente.

«Sono stata di fatto orfana di madre dall’età di quattro anni fino ai dodici», svela. Una orfanezza per certi versi persino più lacerante, trattandosi di una presenzaassenza. Perché la mamma si era ammalata e la famiglia fu divisa.

Nella vita della piccola Paola, in quella nuova immensa casa di tre piani, irrompe imponente la figura della nonna paterna, che prende sempre più il posto della mamma. Al punto che Paola finisce col considerarsi di fatto figlia di nonna Margherita, verso la quale, col tempo, matura una vera e propria venerazione.

Cattolicissima e sempre presente, nonna Margherita era il motore di quella nuova organizzazione familiare. In quella casa piena di stanze e colma di libri, accanto

al gioco Paola comincia ad affiancare la passione per la lettura. Possedeva un libro di poesie per l’infanzia con la storia di una bambina orfana di madre. Paola continuava a leggerla e rileggerla e a guardarne le illustrazioni.

«Quella povera bambina aveva uno spillone e con questo “scavava e scavava, ma la sua mamma non ritrovava”. Ecco, io leggevo quella storia e rivivevo la lontananza da mia madre malata.»

Se la precoce Paola si tuffava nella lettura e si immergeva in un mondo di immagini, Lucio acquietava i suoi tormenti affettivi ed esistenziali con la musica. Tra gli amici era un fenomeno, ma con l’adolescenza tutti crescevano di statura e lui no.

Se la futura storica dell’arte e dell’illustrazione da giovane studentessa frequentava accademie, assisteva alle lezioni di Mino Maccari, faceva leggere le sue poesie ricevendo i complimenti di Aldo Palazzeschi e coltivava una sfrenata passione per le arti figurative, Lucio saltava senza profitto da una scuola all’altra, collegio compreso, fino a dover rinunciare a qualsiasi futuro pezzo di carta.

Padre Pio, da cui sua madre (devotissima) si recava ogni estate quando andava in Puglia a vendere i suoi capi di abbigliamento, gli aveva oltretutto intimato di rinunciare a esibirsi e di stare alla larga dal mondo dello spettacolo.

Ma a Lucio non restava che disobbedirgli e darsi ancor più alla sua più grande fonte di consolazione e di gratificazione: il jazz.

A Bologna entra nella Rheno Dixieland Jazz Band dove, dopo un po’, scalza il clarinettista Pupi Avati, realizzatosi meglio come regista. Ancora minorenne, Lucio

viene arruolato, con il permesso di mamma Iole, nella Second Roman New Orleans Jazz Band. Mentre con il suo clarinetto fa la spola tra Roma e Bologna e suona in jam session con le più grandi star del jazz, Paola vola invece in Tunisia con il consorte Stefano, architetto e figlio dello scrittore Mario Pompei.

Nel 1964, il Bologna vince il suo settimo e ultimo scudetto, Paola torna dalla Tunisia, e Lucio, convinto da Gino Paoli ad accantonare il jazz per diventare cantante, pubblica il suo 45 giri di esordio, con il relativo primo flop di una lunga serie.

Paola intanto a Bologna fa la mamma, progetta e realizza affascinanti libri circolari e compone testi.

Lucio non sa ancora che sarà lui il primo a intercettarli. Ma soprattutto ignora che proprio a uno di quei testi legherà, con la sua data di nascita che ne diventa il titolo, il vero inizio della sua carriera, la consacrazione ufficiale.

A Paola, paroliera per caso o forse per destino, Lucio deve la sua grande vittoria morale dopo anni di cocenti sconfitte e umiliazioni che lo avevano più volte portato sul punto di mollare tutto. Non ci sarebbe stata la collaborazione con Roberto Roversi, se Lucio non avesse imparato a calibrare e cesellare la propria musicalità e la propria dirompente vena melodica attraverso la temperatura dei versi potentemente immaginifici e metaforici di Paola Pallottino.

E, soprattutto, non ci sarebbe stato l’esplosivo Dalla cantautore senza queste due illuminanti collaborazioni di assoluta e originale qualità artistica e letteraria. Sono state soltanto otto le canzoni pubblicate da Paola e Lucio, da

Orfeo bianco (uscita su 45 giri nell’aprile del 1970) a Un uomo come me, da 4/3/1943 a Il gigante e la bambina.

Le ultime due, Convento di pianura e Anna Bellanna, sono invece uscite, per così dire, postume. Cioè dopo la repentina interruzione della loro collaborazione, durata alla fine meno di due anni. Tra Paola e Lucio c’è stata una sorta di colpo di fulmine artistico e insieme hanno realizzato l’equivalente di un album.

Di questo ideale long playing il pubblico conosce però soltanto otto brani, che andremo a riscoprire a uno a uno in queste pagine, anche attraverso le testimonianze esclusive di chi ha condiviso questo straordinario viaggio artistico. Da Gino Paoli a Renzo Arbore, da Angelo Branduardi a Ron, da Vince Tempera a Maurizio Vandelli, da Maurizio De Angelis al maestro Armando Franceschini, fino a fra’ Bernardo Boschi, il domenicano padre spirituale di Lucio, e a Umberto “Tobia” Righi, per quasi mezzo secolo suo storico collaboratore, uomo di fiducia e factotum.

Il nono brano invece, l’anello mancante, viene qui svelato e raccontato per la prima volta in assoluto. Da cinquant’anni è impresso, solitario, sul nastro magnetico di una comune e anonima audiocassetta.

Quando Paola portava a Lucio un nuovo testo, erano soliti leggerlo subito insieme. Poi Lucio si lasciava cullare e provocare da quei versi, si sedeva al pianoforte e provando e riprovando cercava di trarne ispirazione.

Non tutti i testi che Paola gli ha sottoposto sono stati musicati, ma la maggior parte sì. Tra questi, uno è stato registrato, dimenticato e poi ritrovato. Si intitola La ragazza e l’eremita. Un testo di vibrante drammaticità, poetico e cruento nel contempo.

Forse Lucio l’avrebbe voluto utilizzare insieme agli altri testi di Paola, in uno dei loro due album del 1970 e del 1971: Terra di Gaibola e Storie di casa mia. O forse ne avrebbe ricavato un singolo.

Nell’ultimo capitolo sveliamo e raccontiamo l’inedito ritrovato, avendo potuto ascoltarlo e riascoltarlo con stupore e gratitudine. Assaporando l’impareggiabile voce di Dalla che si accompagna al pianoforte, in un ispirato ed emozionante provino registrato tra le pareti di casa.

A catturarlo con un semplice registratore c’era Paola, in un giorno di mezzo secolo fa in cui le loro due misteriose e lontane orfanezze si univano per diventare una canzone.

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