FEMMINICIDIO – Capire, Educare, Cambiare

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Paola Vinciguerra. Psicoterapeuta dal 1980. Presidente dell’Eurodap (Associazione Europea per il Disturbo Attacchi di Panico). Responsabile del centro U.I.A.P. (Unione Italiana Attacchi di Panico) presso la clinica Paideia di Roma Supervisore E.M.D.R. Docente presso l’Università di Tor Vergata e l’Università LUISS di corsi di soft skills. Partecipa frequentemente a trasmissioni televisive. Dirige per “ABC salute” la sezione della psicologia e fa parte della fondazione Veronesi per “OK salute”. Ha già editato diverso libri sia di psicologia clinica, che di divulgazione. Eleonora Iacobelli, dottoressa in scienze e tecniche psicologiche e segretaria EURODAP dal 2007. Ha partecipato alla stesura di diversi libri su argomenti psicologici e pubblica articoli su tematiche d’interesse sociale per l’Unione Nazionale Consumatori.

Eleonora Iacobelli

Capire, Educare, Cambiare

Paola Vinciguerra

femminicidio

Nonostante sia arrivato alla ribalta solo in tempi recenti e se ne senta parlare ripetutamente, il femminicio non è stato ancora ben chiarito come fenomeno sociale, non basta la consapevolezza della sua esistenza per contrastarlo. Il primo passo per agire contro questo fenomeno è capire come nasce e quali sono i fenomeni distruttivi che lo innescano. Com’è possibile che la complicità di un rapporto si tramuti in un conflitto così profondo da divenire una zattera travolta dalle onde? Di cosa hanno bisogno le donne vittime? Di cosa hanno bisogno i bambini che vivono una realtà così conflittuale ed aggressiva? Cosa debbono sapere le persone a loro vicine per poterle aiutare? Le autrici, madre e figlia, di questa piccola opera rispondono a queste domande per realizzare quel cambiamento all’interno di un rapporto dove l’altro non sia sopra, sotto o nemico ma sia allo stesso livello, per procedere “insieme” nella vita.

femminicidio

Capire, Educare, Cambiare Prefazione di Alda D’Eusanio

www.Eurodap.it

Minerva Edizioni

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eu 5, 00 i.i .


Paola Vinciguerra

Eleonora Iacobelli

femminicidio

Capire, Educare, Cambiare Prefazione di Alda D’Eusanio

Minerva Edizioni



Prefazione

Roma 2013 Vado in libreria, nello scaffale “Attualità” un incredibile numero di libri sul femminicidio. Giornalisti, scrittori, sociologi, statistici e tanti altri, tutti vogliono scrivere, raccontare, parlare, testimoniare, analizzare il fenomeno dell’uccisione della donna per mano dell’uomo a lei più vicino: fidanzato, marito, amante, padre. Tutti riportano le statistiche, numeri impressionanti: nel 2012 in Italia sono state assassinate oltre 200 donne, una donna ogni due giorni. E le cifre scorrono sempre più impazzite. Abruzzo 1955 La porta della cucina si spalanca all’improvviso. Le donne sedute intorno al tavolo cessano il chiacchiericcio e sorprese guardano il volto sporco di sangue e lacrime di Anna. Nessuna si muove. Anna piange e invoca: «Aiutatemi, aiutatemi, mi ammazza!». Nessuna si muove, nessuna parla. Anna suda, piange e implora. Dietro di lei appare il volto della rabbia: il marito. La prende per i capelli e la tira. Nessuna si muove. Ha 5 anni e scatta. Lascia la sua fetta di ciambellone sul ta-


volo e piomba su di lui, si aggrappa ai pantaloni e tira calci e pugni. La madre afferra la bambina e la blocca, mentre Anna viene trascinata per i capelli dal marito verso casa sotto gli occhi del paese che resta silenzioso. La madre alla bambina: «Cosa ti è venuto in mente di intrometterti. Quello è il marito e il marito può fare quello che vuole alla moglie e ai figli, lui ha diritto di vita e di morte». Abruzzo 1956 Dietro casa c’è un orto dove la bambina seppellisce i suoi animaletti quando muoiono, o raccoglie fiori o gioca con i gattini. La vicina contadina è gentile, ha il viso dolce e triste, sempre stanco. Lavora molto, si sveglia all’alba e va con il marito nei campi, torna al tramonto e pulisce e cucina, ha tre figli. La sera lui, ripulito, va al bar a bere e a giocare con gli amici o a far visita ad altre amiche. Lei non esce mai. La bambina sente strani rumori venire da quella casa: sedie che cadono, colpi di frusta, singhiozzi soffocati. E ogni volta il giorno dopo la contadina gentile ha il corpo e il volto segnati e mai un lamento. Tutti sanno. I figli sanno. Diventano grandi e vanno via e la lasciano lì perché lei non vuole seguirli. Sa qual è il suo posto. Anche la bambina diventa grande e va via. Quando torna chiede di lei: è morta a 80 anni. Lui l’ha picchiata fino all’ultimo.


Abruzzo 1960 Le due case sono vicine separate solo da un muro. La bambina ama il figlio dei vicini, ha 5 anni e una gran fame di carezze. La madre è una donna a posto, come dicono in paese, lavoratrice e pulita. Il padre in piazza tiene banco, è spiritoso, ha la battuta sempre pronta, è un concentrato di allegria. Quando entra al bar tutti gli si fanno intorno. Ma quando torna a casa e chiude la porta diventa l’Orco. I colpi sono forti, il rumore della cinghia sui corpi è sordo, a volte metallico quando la fibbia batte altrove. Il pianto, il pianto del bambino è straziante, i suoi lamenti di dolore devono essere soffocati altrimenti la gente sente e se qualcuno si accorge le botte si centuplicano e diventano ancora più bestiali. Ma la bambina sente. Una sera non ce la fa più apre la porta ed entra. La donna è per terra, livida. Lui tiene il bambino per la gola appeso al muro e gli sbatte violentemente e ripetutamente la testa contro la parete, con l’altra mano lo frusta alle gambe. Il volto del bambino è gonfio e stravolto, ha la bocca aperta per un urlo senza suono. Il giorno dopo tutti al bar a ridere con lui anche se tutti sanno che è un Orco. Roma 2013 Mi ha chiamato l’avvocato. È stata fissata la data del rinvio a giudizio. Nel programma che ho condotto, Ricomincio da Qui, ho ospitato, tutte


le volte che ho potuto, mamme, sorelle, mogli, fidanzate, tutte donne vittime o testimoni impotenti di omicidi annunciati. Il Gip mi ha rinviato a giudizio perché pare che in una puntata davanti ad una donna, picchiata e minacciata ripetutamente dal marito e che a riprova mostrava anche un nutrito fascicolo di denunce ai carabinieri, io abbia detto: «Ma questo è un fetente». E le cifre del femminicidio non si fermano, continuano a scorrere veloci. Alda D’Eusanio


Introduzione

Scrivere su di un argomento, per noi che non siamo scrittori di romanzi, implica la voglia di esporre ciò che in un dato momento ci turba o ci allarma. Abbiamo scelto di parlare di un fenomeno che non è stato abbastanza chiarito. A tutt’oggi, infatti, non è ancora chiaro di cosa abbiano bisogno le persone che stanno vivendo quell’esperienza e cosa debbono sapere le persone che sono vicine a loro per poterle aiutare. Questa è sicuramente la motivazione che ci ha spinto a dedicarci a questa breve opera. Ci siamo rese conto che mancavano informazioni certe, che le persone hanno difficoltà a capire, ed anche ad affrontare una realtà che si sta espandendo con numeri che sono molto preoccupanti. Non ci troviamo di fronte a casi isolati, ma sembra che ci sia una grande vulnerabilità individuale che si traduce in comportamenti di aggressione all’interno della dimensione familiare. Dimensione che dovrebbe invece rappresentare la nostra certezza, la nostra stabilità in un momento storico e sociale dove le certezze esterne stanno perdendo ogni rappresentazione di proiezione stabile sia nel presente sia nell’interpretazione del futuro. I fatti 7


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di cronaca che ormai si ripetono giornalmente e che riguardano trasversalmente sia confini geografici, sia fasce culturali profondamente diverse, non sono altro che casi evidenti finiti in tragedia. Quello che preoccupa è la quotidianità che si vive giornalmente all’interno delle famiglie. La complicità che dovrebbe essere lo stato naturale di un rapporto, rendendo quel rapporto la piattaforma stabile da cui prendere energia per affrontare le difficoltà della realtà, è invece una zattera travolta spesso dalle onde. Per poter agire e modificare fenomeni così distruttivi il primo passo è sicuramente il capire, il secondo è educare, ed il terzo cambiare. Questa pubblicazione ha lo scopo di far capire. Speriamo di poter realizzare, con il sostegno delle Istituzioni, progetti di educazione sia scolastici, sia rivolti a tutti per poi poter realizzare quel cambiamento dove l’altro non è sopra, sotto o nemico, ma è insieme nella bellissima avventura che è la vita.

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Definizione È sicuramente importante, prima d’iniziare qualsiasi indagine, definire il fenomeno di cui ci si vuole occupare: il femminicidio. La Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite (1993) ha definito come violenza di genere: “tutti gli atti di violenza contro il sesso femminile, che causano o sono suscettibili di causare alle donne danno o delle sofferenze fisiche, sessuali, psicologiche e che comprendono la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata. È quindi considerata violenza ogni azione che comporta, o potrebbe comportare, danno fisico, psicologico o offesa alla donna, compresa la minaccia di tali azioni, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia se ciò avvenga nella vita privata che pubblica”.

Partendo da tale definizione e dalla Conferenza della UE (2006) si evidenzia che la “violenza di genere” è una violenza che trova spazio nello squilibrio relazionale tra i sessi, oltre che nel desiderio di controllo e possesso del genere maschile su quello femminile. Prevede la messa in atto di tutta una serie di condotte che comportano, sia a breve che a lungo termine, un danno fisico, psicologico ed esistenziale (A.C. Baldry, 2006). 9


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Generalmente si svolge all’interno del contesto delimitato dalle relazioni private, ecco perché nella letteratura anglosassone si preferisce definirla Intimate Partner Violence, per mettere in risalto il fatto che la violenza è agita nei confronti di un partner intimo. La violenza verso le donne richiama una duplice dimensione: 1. la prima rimanda alla relazione fra i sessi, 2. la seconda riporta l’attenzione su un piano sociale, luogo in cui si strutturano tali relazioni. È importante che si combatta la convinzione che questi accadimenti siano legati a realtà culturali di basso livello, dove nell’opinione comune si identifica nell’aggressore un personaggio con scarse risorse intellettuali od economiche. Nella realtà, secondo i dati che ci riportano i centri di ascolto, verifichiamo che nella maggior parte dei casi avviene nelle regioni del nord Italia, dove sicuramente si riscontra un livello culturale ed economico, in media, più alto che in altre regioni. Dobbiamo, anche, aggiungere che gli uomini responsabili di tali atti non sono malati patologici o pazzi ma uomini normali di tutte le classi sociali e livelli culturali. Dall’infermiere al medico; dall’idraulico all’avvocato. È quindi ovvio che dobbiamo cercare altrove la spiegazione di questo comportamento che non 10


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solo non accenna a diminuire, ma anzi con il passare del tempo sembra aumentare sempre di più. Analizzando le dinamiche sociali si potrebbe ipotizzare, visto che il maggior numero di casi avvenuti sono in culture emancipate, che sia proprio il cambiamento della donna avvenuto nel tempo che genera negli uomini la rabbia, l’aggressione. Il fatto che si sia trasformata da angelo del focolare ad una presenza forte, che riesce ad occuparsi di tutto in maniera capace ed efficiente, ha probabilmente portato l’uomo a sentirsi meno importante ed a reagire violentemente. Senza una donna succube, che nella sua dipendenza li faccia sentire di valere, di essere ascoltati, seguiti, accuditi, gli uomini si sentono defraudati della loro identità. Il disagio, il vuoto interiore per l’assenza di questa risposta da parte della donna crea spesso una sofferenza che non viene riconosciuta come propria, ma che viene imputata al comportamento dell’altro: se lei fosse più dolce, più paziente, comprensiva, disponibile a fare come dico io, se non mi contrastasse in continuazione, se fosse disponibile a fare sesso nelle modalità e tempi a me necessari, se mi facesse sentire importante nella sua vita, se… se… ed ancora se. Questa è la modalità di organizzazione del pensiero di colui che scarica sempre su gli altri la responsabilità della propria insoddisfazione, paura, ansia e vuoto. È 11


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ovvio che se è l’altro, con i suoi comportamenti, il responsabile del mio soffrire io cercherò di riportarlo a quei comportamenti che penso mi farebbero star meglio con ogni mezzo. Da qui la coercizione, la colpevolizzazione, il controllo e la rabbia quando le cose non solo non vanno come lui desidera, ma anche nel caso in cui la donna si assoggetti al desiderio dell’altro, molto spesso questo non è sufficiente a dargli serenità e pace. Infatti le richieste si fanno sempre più oppressive e la rabbia è sempre più violenta. In molti casi ci si trova di fronte ad un’ira crescente che ormai, troppo spesso, diviene tragedia. Questi tipi di uomini cercano di costruire un rapporto di valore positivo con se stessi attraverso la risposta che gli altri hanno nei loro confronti. Questa modalità viene chiamata proiezione ed è basata sul partner o comunque sulla sfera affettiva di riferimento. Invece di prendersi la responsabilità del proprio disagio, coinvolgendo il partner in un cammino di crescita e fortificazione della propria identità per arrivare ad essere individui autonomi che scambiano energia, cercano di piegare la donna al comportamento per loro risolutivo del proprio senso di vuoto, inadeguatezza, paura, fino ad uccidere quando essa o non si presta a rimanere in questa dinamica suicida o fino a quando il disagio non cresce tanto da travolgere sia l’aggressore sia la vittima. 12


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La violenza verso le donne, quindi, trova terreno fertile nello strutturarsi delle relazioni sessuate nella nostra società. La codifica di tali relazioni avviene attraverso stereotipi, rappresentazioni e convenzioni sociali che spesso richiamano ad una organizzazione patriarcale, che sottolinea la fragilità dei soggetti femminili, vittime designate. Questo tipo di violenza è un problema mondiale ancora non sufficientemente denunciato. Si consuma soprattutto all’interno delle mura domestiche e riguarda donne di ogni estrazione sociale e livello culturale con, ovviamente, gravi conseguenze a livello fisico e psichico per le stesse. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità confermano che il 31,9% delle donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito violenza fisica o sessuale, ma nella quasi totalità dei casi (1 su 3) tali violenze non sono state denunciate. Ed è ancora minore la percentuale, 1 su 4, se parliamo di violenza subita da un conoscente. Bisogna, quindi, tenere in considerazione anche il sommerso, che si attesta oltre il 90%. Questi dati ci danno la proporzione di un fenomeno dilagante: in questo anno abbiamo avuto una donna morta ogni tre giorni, 65 donne uccise dall’inizio dell’anno per mano di persone a loro vicine, nel 38% dei casi per aggressione da parte del proprio partner. 13


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Ancora più impressionante il dato che mostra che la violenza domestica è la seconda causa di morte per le donne in gravidanza. Ed ancora che nel 69% dei casi le donne continuano a subire violenza anche dopo la maternità. In Europa, come nel resto del mondo, la violenza nelle relazioni intime è la principale causa di morte e di invalidità per le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni (Consiglio d’Europa). In America il 25% della popolazione femminile ha subito violenza, ma il 90% di questi casi non sono stati denunciati. In generale, diversi studi effettuati in paesi industrializzati mostrano che il 20-30% delle donne ha subito violenze fisiche o sessuali da un partner o da un ex partner nel corso della propria vita (Koss et al., 1994). Appare evidente da questi dati che la pratica di abusare, aggredire, violentare fino ad uccidere la propria donna sia un’azione comune sia da parte degli uomini che la propongono come da parte delle donne che la subiscono.

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Quadro normativo in Italia Per poter comprendere questi dati è necessario fare un’indagine su quella che giuridicamente è stata dal 1975 ad oggi la strada percorsa nel tentativo di riportare equilibrio e parità di genere. Se abbiamo dovuto cercare di fare tutti questi cambiamenti di norme, è evidente che le norme precedenti erano organizzate sull’idea indiscussa e legalmente riconosciuta che l’uomo fosse il gestore, padrone, proprietario sia della moglie che dei figli. Questo riconoscimento di ruolo supremo all’uomo era in conflitto anche con la nostra Costituzione secondo cui dovremmo avere tutti gli stessi diritti, ma era evidentemente tanto radicata nel concetto comune la superiorità dell’uomo rispetto alla donna che solo le lotte, di molti gruppi femminili, a volte anche con la partecipazione di qualche elemento maschile, hanno portato nel 1975 la riforma del diritto di famiglia. In questo modo è stata corretta la trasgressione costituzionale. Il riconoscimento della violenza di genere, in Italia, avviene solo nel 1975 con l’approvazione del diritto di famiglia, che introduce pari dignità, diritti e doveri tra i coniugi, l’abolizione della figura del “capofamiglia” e l’abolizione del suo diritto di “correggere” i comportamenti di moglie e figli. Bisogna, comunque, tenere presente che l’abo15


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lizione delle attenuanti per il cosiddetto “delitto d’onore” è avvenuta solo nel 1981. Nel 1996 la legge sulla violenza sessuale ha spostato il reato dagli atti contro la morale a quelli contro la persona. Con la legge n. 154 del 5 aprile 2001 “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari” si è esplicitato il diritto della vittima di allontanare dal domicilio coniugale il coniuge violento. Con il DdL Pollastrini-Bindi-Mastella si stava riadeguando tutta la normativa, innalzando le pene, minime, di alcuni reati e istituendo il reato di stalking. Attualmente l’Italia è il quinto Stato ad aver ratificato il testo della Convenzione di Instanbul del maggio 2011. Gli argomenti trattati nella Convenzione di Istanbul sono la ferma opposizione verso qualsiasi forma di violenza sulle donne, fisica e psicologica, dall’abuso sessuale allo stalking, dalle pratiche di mutilazione genitale fino alle unioni matrimoniali imposte. Nel testo menzionato la violenza contro le donne viene inserita tra le violazioni dei diritti umani. Ovviamente, le norme legali non sono sufficienti a modificare le rappresentazioni psichiche degli individui e del comune senso sociale, di ciò che è giusto o sbagliato, di ciò che è bene o male. Una rappresentazione simbolica del “sé maschile” e del 16


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“sé femminile” così radicata nella percezione sia dell’individuo che della società, per poter essere modificata, ha bisogno di tempo e di un grande sforzo educativo. È necessario l’apporto di tutte le figure atte alla trasmissioni dei nuovi simboli, che non sono unicamente gli addetti ai lavori ma, anche, le famiglie e tutte le categorie di comunicazione. Sono loro insieme agli educatori che trasmettono i codici, e se loro stessi non li hanno modificati o non sono stati aiutati a modificarli inevitabilmente continueranno a trasmettere codici errati. Ci troviamo a dover prendere atto che ancora nella psiche di tutti gli individui non si è raggiunta la consapevolezza che non esiste una differenza di diritti tra uomo e donna (parità di genere). Questo non significa negare le differenze di genere sul piano fisiologico, ma queste diversità non possono rappresentare una diseguaglianza di diritti come persone. Nessuno, per nessun motivo, può avere più diritti di qualsiasi altro, l’uomo non può ancora continuare a percepire, visto che da millenni così è cresciuto, che in quanto tale può esercitare un predominio sulla donna e la donna non dovrebbe percepire il suo ruolo succube all’autorità dell’uomo. Anche se a livello intellettuale ciò potrebbe sembrare assurdo, poiché ragioniamo in modo evoluto, ci dobbiamo rendere conto che a livello psichico è 17


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ancora così, non solo da parte degli uomini ma anche da parte delle donne. Purtroppo dobbiamo sottolineare che l’Italia si è attivata nel riconoscimento della violenza sulle donne con un certo ritardo rispetto agli altri paesi Europei. Questo significa che il riconoscimento di tale comportamento come reato è un concetto che si è fatto strada nelle nostre menti solo recentemente. Se confrontiamo da quando in Inghilterra sono sorti i primi centri anti-violenza, con quelli sorti in Italia ci potrà apparire chiaro di quanto siamo ancora lontani dal riconoscere, e non a livello di leggi, ma a livello di significati psichici, che la violenza sulle donne non è un comportamento che va giustificato, capito, che ha delle attenuanti; lo diciamo, lo dichiariamo, lo legiferiamo ma non ne siamo nel nostro intimo completamente convinti. Basti pensare che a Londra il primo centro anti-violenza è sorto nel 1972; in Italia i primi centri anti-violenza sono nati nei primi anni Novanta (a Bologna, Merano e Milano). Siamo arretrati rispetto ad altri Paesi, evidentemente più emancipati culturalmente, di almeno 20 anni. Nel nostro paese si tende ancora a sminuire il comportamento della violenza domestica, considerandola fisiologica se episodica, o definendola “conflittualità di coppia” se ripetuta nel tempo. I tratti di personalità della vittima veni18


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vano indagati per avvalorare la sua responsabilità nell’azione violenta. Le frasi che ancora molte madri dicono alle figlie sono: “cerca di capire, sai come sono fatti gli uomini”; “cerca di sopportare, non rispondere, altrimenti lo fai arrabbiare”; “resisti per il quieto vivere”. Finché insegneremo questo alle nostre figlie, finché gli trasmetteremo questo tipo di messaggi diretti o indiretti che siano, continueremo a siglare una differenza di genere in cui l’uomo ha diritto sulla donna. Stiamo trasmettendo loro che non hanno ragione di esistere, di rappresentare la loro personalità, là dove il loro padrone (uomo) non sia consenziente. Se non modifichiamo queste interpretazioni di ruolo nel sociale, ma anche come idea del femminile e maschile, nella rappresentazione simbolica psichica degli individui non si fermerà questa “mattanza” delle donne irrispettose ed irriverenti. Per di più autorizzeremo i nostri figli maschi, cresciuti con modelli disfunzionali, ad esercitare violenza sulle donne che non li rispettano se esse non si comportano esattamente come loro vogliono o ritengono giusto. Ricordando che spesso neanche la sottomissione a discapito del proprio esistere è condizione di salvaguardia della loro vita fisica.

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