GAME OVER. CALCIO TRUCCATO ORA BASTA di Daniela Giuffrè e Antonio Scuglia

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Criminalità organizzata, scommesse, riciclaggio... ma cosa c’entra tutto questo con il calcio? Perché una partita viene manipolata e come? Chi ci guadagna e come? Un’analisi senza pregiudizi e inedita del fenomeno che sta sconvolgendo il calcio italiano e mondiale: il match fixing. Le testimonianze di chi è stato coinvolto, le risultanze processuali e soprattutto come possiamo salvare il gioco più bello del mondo. Un libro per calciatori, arbitri, allenatori e sportivi di ogni genere, ma anche per fans e per chi ama il calcio e vuole saperne di più.

Daniela Giuffrè Antonio Scuglia

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Antonio Scuglia, nato nel 1963 a Decollatura (Cz), vive e lavora a Pisa dove si è laureato in Giurisprudenza. Giornalista professionista dal 1993, è redattore del quotidiano Il Tirreno (Gruppo Finegil-L’Espresso) e corrispondente da Pisa di Tuttosport. Si occupa prevalentemente di sport e tutela dei consumatori ed è titolare del blog Risparmiare facile. In passato ha collaborato con la Bbc World Radio, con emittenti radio e tv private italiane, con il Guerin Sportivo e con Repubblica. E’ membro del collegio integrato della Corte d’Appello di Firenze per le controversie ex art.63 L. 69/1963. Ha già pubblicato: Notizie alla Sbarra, sulla diffamazione a mezzo stampa (Quaderni Odg Toscana); Tototruffa (insieme a Silvio Scuglia), manuale antifrodi, per Felici Editore; 1001 consigli per risparmiare (insieme a Pino Staffa), per Hoepli.

Daniela Giuffrè Antonio Scuglia

Daniela Giuffrè, nata a Lipari (ME) nel 1970, è Avvocato e Vice Questore Aggiunto della Polizia di Stato. Nel 2006 si laurea una seconda volta all’Università di Pisa in “Scienze Politiche e Relazioni Internazionali”. Ha frequentato diversi corsi presso le strutture di Polizia in Germania e in Francia. Nel corso della sua carriera nella Polizia di Stato ha espletato diversi incarichi in vari settori della pubblica sicurezza, fra i quali incarichi relativi alla cooperazione internazionale di Polizia. Parla quattro lingue e dal febbraio 2012 lavora presso il Segretariato Generale dell’Organizzazione Internazionale della Polizia Criminale, meglio conosciuta con l’acronimo di INTERPOL, con sede a Lione (F). Qui fa parte dell’Unità “Integrity in Sport”, ufficio che mira a combattere il fenomeno del match fixing a livello mondiale.

Dopo aver letto questo libro non vedrete mai più una partita come l’avete vista finora.

calcio truccato, ora basta!

MINERVA

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Questo lavoro nasce sulla base di una paura profonda: il calcio è in pericolo e può morire. Ci sono dei Paesi in Asia dove la gente non va più allo stadio perché ha perso la passione e la fiducia nel calcio. Paesi dove è emerso, a seguito di numerosi scandali, che circa l’80% delle partite erano decise a tavolino, lontano dal campo di gioco. Temiamo che lo stesso possa accadere al calcio italiano. Le recenti indagini di polizia e magistratura partite nel 2011 e tutt’ora in corso con “Dirty Soccer” e “I Treni del Gol”, sono state l’ennesimo terremoto per il nostro calcio. Questo libro vuole rendere il lettore partecipe di quel che accade nel mondo parallelo del calcio truccato e soprattutto si vuole spiegare cosa si può fare per salvare la genuinità dello sport più appassionante per gli italiani. I due autori, sulla base della loro specifica esperienza di cronaca sportiva e di conoscenze investigative, spiegano il match fixing al lettore. Spiegano come esso si svolge, con quali metodi, quali legami abbia con la criminalità organizzata e il mondo delle scommesse. Il linguaggio è semplice, fluido e accattivante e vi porterà al centro del problema. Salvare il calcio è possibile ma serve una vera presa di coscienza da parte dello stesso mondo del calcio. È proprio all’interno dei singoli club, delle Leghe e della Federazione, col supporto dell’azione di ciascuno, che possono essere trovate le soluzioni migliori.


A mia figlia Anita (Antonio Scuglia) Ai miei figli Giorgio e Irene e a tutti i bambini e bambine che amano il calcio affinché possano continuare a giocare e a credere nei più grandi valori dello sport (Daniela Giuffré)


Collana editoriale Sul filo di lana

Game Over di Daniela Giuffrè e Antonio Scuglia

Direttore Editoriale: Roberto Mugavero Direttore di Collana: Marco Tarozzi © 2015 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna

Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata ISBN: 978-88-7381-790-1

Minerva edizioni Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO) Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420 info@minervaedizioni.com www.minervaedizioni.com


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GAME OVER Calcio truccato, ora basta!

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Ringraziamenti

Alla stesura di questo volume hanno collaborato, con pazienza e professionalità, l’avvocato Silvio Scuglia per la consulenza giuridica e la giornalista professionista Chiara Cini per l’editing. Un grazie va anche al dottor Luca Turchi dei Monopoli di Stato per il suo prezioso aiuto nella parte relativa alle scommesse e al dottor Gianni Baldi, funzionario della Polizia di Stato e capo dell’Ufficio “Droga e Criminalità Organizzata” di INTERPOL, per i suoi consigli. Speciali ringraziamenti anche al grande artista Mogol, per averci concesso di inserire la sua bella poesia sui valori sello sport. Non possiamo certo dimenticare il nostro amico Filippo Grassia, giornalista sportivo, tra i più qualificati nel nostro Paese. E infine permetteteci di dire grazie anche alle nostre famiglie, a cui abbiamo sottratto molto del nostro tempo libero per realizzare questo lavoro.


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Capitolo 1

La partita manipolata

1. Di cosa parliamo In una partita di calcio “genuina”, ciascuna delle due squadre cerca di ottenere il massimo risultato secondo le sue capacità, ovvero di segnare più reti possibile e di subirne meno possibile. Nelle partite manipolate non è così: uno o più giocatori, di almeno una delle squadre, ispirati o meno dal proprio club, giocano “a perdere” o cercano di far sì che il risultato sia quello preventivamente concordato fra di loro, o con gli avversari, o con persone esterne. Oppure l’arbitro, anziché dirigere con onestà la gara, “dirige” il risultato. Oggi in Italia e in molti altri Paesi la manipolazione delle partite, o match fixing, che in passato era solo un illecito sportivo, è un illecito penale, quindi un reato, punito anche con il carcere: l’ultimo decreto legge in materia, emesso nel mese di agosto 2014 e convertito in legge dal Parlamento in via definitiva il 16 ottobre successivo, prevede sino a nove anni di carcere per corruttori e corrotti. Secondo la norma1, il reato di frode sportiva è commesso da “chiunque offre o promette denaro o altre utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti a una competizione sportiva […], al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conse1

Articolo 1 comma 1 legge 401/1989.


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guente al corretto e leale svolgimento della competizione, ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo”. È ugualmente responsabile il “partecipante alla competizione che accetta il denaro o altra utilità o vantaggio o ne accoglie la promessa”, e la pena è aggravata “se il risultato della competizione è influente ai fini dello svolgimento di concorsi pronostici e scommesse regolarmente esercitati”. Ma perché si “combina” una partita? I moventi possono essere tanti. Ecco alcuni esempi tipici. -- Il più classico è il reciproco interesse: alle due squadre conviene un certo risultato (ad esempio un pareggio che sarebbe utile alla classifica di entrambe o permetterebbe loro di passare il turno di una competizione ai danni di altre) e nessuna delle due si impegna affinché questo sia diverso; oppure una delle due deve saldare un “debito morale” nei confronti dell’altra. O ancora, una delle due squadre ha bisogno di un dato risultato, l’altra non ha grossi interessi di classifica ed evita di impegnarsi troppo, per “amicizia” o per maturare un credito nei confronti dei rivali di quel giorno. -- Può esservi un motivo di rivalsa verso un terzo competitore: in una gara di dilettanti in Sicilia, ultima di un triangolare, una squadra si è fatta 8 autogol negli ultimi 6 minuti (la partita finì 14-3) affinché gli avversari superassero nella differenza reti un terzo team che aveva battuto la prima per 7-0. -- Una partita – e qui passiamo alla corruzione vera e propria – può essere truccata quando uno dei due club, per


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avvantaggiarsi in classifica, paga l’altro, oppure uno o più giocatori avversari, affinché accettino di indirizzare la gara verso l’esito richiesto da chi paga. -- Infine, ecco l’esempio più critico, che è poi l’argomento del presente lavoro: il calcioscommesse. Uno o più calciatori di una o entrambe le squadre indirizzano il risultato o lo svolgimento del match verso una determinata direzione perché hanno scommesso dei soldi, direttamente o tramite terze persone, su quella partita, oppure sono stati pagati per farlo da altri scommettitori. Oggi in moltissime gare è possibile scommettere – anche a partita in corso – non solo sul risultato finale ma anche su quello del primo tempo, sul numero di reti segnate, sulla circostanza che una o entrambe le squadre facciano almeno un gol… addirittura sul possesso palla, sulle espulsioni, su chi segna la prima rete. Decine e decine di opzioni su ogni partita. Fino al 10 ottobre 2014, in Italia si poteva scommettere legalmente solo sui campionati e coppe professionistici, ma dall’11 ottobre 2014 le scommesse vengono raccolte anche sulla serie D (quarta serie in Italia), il primo campionato dilettantistico. Peraltro a tutti i tesserati Figc, come vedremo, i regolamenti federali e i codici etici vietano di scommettere, anche per interposta persona. -- C’è anche una circostanza nella quale entrambe le squadre giocano per vincere, ma è l’arbitro a “giocare sporco”: è la tesi alla base dello scandalo italiano di Calciopoli (2006), ma anche di tanti altri episodi più o meno strutturati in una vera organizzazione, in tutto il mondo. In pratica un


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club paga un arbitro, o una serie di arbitri, per permettergli di vincere delle partite o per sfavorire gli avversari diretti in altre gare. O semplicemente l’arbitro si lascia corrompere dai match fixer legati al calcio scommesse. È bene sottolineare che sino a qualche anno fa, il match fixing, oltre a non essere punito penalmente, veniva spesso sottovalutato, e le sanzioni sportive non sempre venivano irrogate in modo realmente pesante. Gli scandali occorsi in Europa nell’ultimo decennio però hanno cambiato radicalmente la situazione, soprattutto dopo la scoperta che la manipolazione delle partite ai fini della scommesse viene gestita non più da singoli individui o piccole organizzazioni, bensì dalla mafia asiatica che nel settore investe cifre importanti, anche ai fini del riciclaggio di denaro sporco proveniente dalla vendita di armi, dallo spaccio di droga e dal traffico di persone. L’attività investigativa è stata quindi incrementata con l’impegno di personale specializzato e tecnologie avanzate in tutto il mondo; la FIFA (ovvero la Federazione mondiale del calcio) ha messo in campo importanti risorse economiche collaborando con l’INTERPOL, e molti governi, fra i quali quello italiano, hanno deciso una politica di tolleranza zero verso questo fenomeno. Per i tesserati che cadono nella trappola della corruzione, quindi, la possibilità di essere scoperti è aumentata moltissimo, e le infrazioni vengono pagate con il carcere, sanzioni pecuniarie e la squalifica anche a vita dal calcio in tutti i Paesi del mondo.


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2. Carlo Petrini: “...così imparai che nel calcio c’erano verità segrete che non si dovevano dire mai” Ma perché un giocatore “vende” una partita? Sembra strano pensare che un giovane, solitamente benestante, coccolato dalla vita, dal suo club e dai tifosi, cada nella trappola e si lasci corrompere. Eppure è successo tante volte nel passato e continua a succedere oggi. Gli scandali degli anni 80, che vedremo meglio nell’ultimo capitolo, sono stati al centro di un caso mediatico e letterario importante per quanto sconosciuto a molti: la denuncia (e autodenuncia) dell’ex calciatore Carlo Petrini. Si tratta della prima testimonianza diretta, proprio dal punto di vista del calciatore, che egli rende nota con la pubblicazione della sua drammatica autobiografia2. La sua storia si svolge nell’ambito dello scandalo del Totonero nel 1980. La cosa che sconcerta il lettore è il rendersi conto che non c’è una risposta definitiva, certa e valida per tutti, sul perché uno sportivo arrivi a violare così i fondamenti della stessa sportività. Da alcuni paragrafi del libro, infatti, ci si può fare un’idea della progressiva assuefazione del calciatore all’idea che il suo mondo non sia pulito e che ribellarsi significherebbe esserne espulso perché porterebbe all’isolamento del protagonista. Perché magari il primo passo non è suo: ci arriva progressivamente, accettando “per forza” che il suo club faccia degli accordi sottobanco con la squadra rivale, o che sottoponga i propri atleti a trattamenti di doping. L’ex giocatore (Monticiano, 29 marzo 1948 – Lucca, 16 aprile 2012) racconta come cominciò a prendere confi2

Carlo Petrini, “Nel fango del Dio Pallone” (Kaos Edizioni).


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denza con le partite combinate. Non c’era niente di strano, spiega: quando a tutte e due le squadre, per ragioni di classifica, conveniva il pareggio sicuro, cioè un punto, piuttosto che rischiare lo zero punti della sconfitta ci si metteva d’accordo in varie maniere. O prima della gara, fra allenatori, oppure direttamente in campo, durante la partita, fra giocatori. In pratica era la prima delle cose che le squadre, più o meno spesso, facevano ma che non si doveva dire: i pareggi combinati. In ritiro, in una circostanza successiva, racconta ancora Petrini, i tecnici incominciarono a parlare della necessità che i giocatori facessero delle punture, delle «iniezioni di ricostituenti» per migliorare il rendimento atletico in campo. Prima ci furono degli “esperimenti”, anche per dimostrare agli atleti che non dovevano avere paura, non era niente di dannoso. Un tecnico preparava un liquido, se lo faceva iniettare e osservava su di sé le reazioni. Il medico sociale non ne sapeva niente, queste punture venivano fatte di nascosto. Se qualcuno dei titolari le avesse rifiutate, avrebbe perso il posto in squadra e avrebbe fatto la figura del vigliacco. E infine, nessuno dei giocatori titolari si sognava di rifiutare quelle iniezioni, perché effettivamente non sembravano nocive e aumentavano davvero il rendimento atletico in campo. Ma di quella faccenda i giocatori non dovevano parlare con nessuno, neanche in famiglia, per nessuna ragione, addirittura non ne parlavano nemmeno fra di loro. “Così anche io, senza accorgermene, – dice Petrini – cominciai a imparare che nel calcio c’erano verità segrete che non si dovevano mai dire”.


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È come una lenta discesa negli Inferi. Qualcuno, si ferma, spaventato dalle possibili conseguenze; qualcuno contando sull’impunità goduta sino a quel momento, può spingersi verso il passo successivo. E un giorno ecco la fatidica telefonata: era la primavera del 1977, pochi giorni prima della partita di campionato Genoa-Verona, Petrini, all’epoca militante nel Verona dopo aver giocato anche nel Genoa, fu chiamato da un ex compagno di squadra. Questi gli disse che il suo club aveva assolutamente bisogno di vincere, gli occorrevano i due punti per salvarsi dalla retrocessione in B, e che erano disposti a pagare 10 milioni di lire (poco più di 5mila euro attuali in termini nominali, ma molto di più in termini reali). Il Verona non aveva nessun bisogno di punti, la sua permanenza in serie A non era in pericolo. E 10 milioni non erano da buttare: “Come tutti i ricchi noi calciatori di soldi non ne avevamo mai abbastanza”, spiega il calciatore-scrittore. Così parlò della richiesta con due compagni, che accettarono. Pochi minuti dopo l’inizio della gara Petrini si inventò uno stiramento e si fece sostituire; gli altri due compagni, in campo, fecero del loro peggio. La partita finì con la vittoria del Genoa per 1 a 0 e dopo alcuni mesi arrivò un bonifico di 10 milioni. Ma arriva sempre un momento in cui qualcosa si inceppa: una combine non va a buon fine, un complice viene scoperto, il castello crolla. E qualcuno resterà sotto le macerie. Nel secondo capitolo dell’autobiografia, “La giustizia pallonara”, Petrini ricorda il successivo periodo in cui nell’ambiente del calcio – fra giocatori, giornalisti, tifosi – cominciò


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a circolare la voce che ci fossero parecchie partite “combinate”: “Era la scoperta dell’acqua calda, le partite combinate c’erano sempre state, non erano una novità”. Probabilmente, pensò, era perché stavano diventando troppe, forse si stava esagerando. Si diceva che su quelle partite combinate ci fosse un giro di scommesse, ma neanche le scommesse erano una novità, “tutti noi dell’ambiente sapevamo che c’erano il toto-nero e il calcio-scommesse, da anni, specialmente al Sud”. E si diceva anche che a Roma le scommesse le raccoglieva Massimo Cruciani (uno dei due scommettitori che più tardi avrebbero fatto scoppiare lo scandalo, nda), ma per lo stesso Petrini non era una novità neanche questa. E un giorno del 1979, scrive, tre compagni gli dissero che poco prima avevano concordato di pareggiare la partita del pomeriggio, e gli chiesero di telefonare all’amico Cruciani, a Roma, perché volevano scommetterci sopra un po’ di soldi. Erano tre suoi amici, le scommesse (all’epoca clandestine) erano già state chiuse; la partita finì lo stesso in pareggio, 0 a 0, anche senza le loro scommesse. Ma nelle occasioni successive le scommesse ci furono. Alcune combine funzionarono, altre no, anche perché fatte da uno o più giocatori senza avvisare i compagni per dividersi una fetta più grossa. Alla fine i due scommettitori Trinca e Cruciani, travolti dai debiti, denunciarono tutti. E molti giocatori furono rovinati; alcuni di essi, come Petrini, rimasero convinti che i “pezzi grossi” l’avessero scampata, proprio a danno dei più piccoli che pagarono per tutti.


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3. La manipolazione perfetta Vi siete mai chiesti come si fa “tecnicamente” a manipolare una partita dall’esterno? A decidere quale squadra vincerà e addirittura con quanti gol di vantaggio? Chi prende l’iniziativa? Magari avrete pensato che ci vuole una bella faccia tosta per andare da un giocatore o arbitro e fargli una proposta così indecente... In realtà non funziona così. Non si arriva a falsare il risultato di una partita da un momento all’altro e in modo così semplicistico. Ci sono delle precise strategie e metodi molto ma molto convincenti. E poi, perché viene manipolata una partita? Come sappiamo, è manipolata (e quindi oggetto del reato di frode sportiva) una partita il cui risultato è già deciso in anticipo, o il cui sviluppo sul campo è pilotato con un intervento umano e volontario volto a produrre un determinato evento durante lo svolgimento della stessa. Nelle partite truccate troviamo due soggetti, il corruttore/ manipolatore (match fixer nel linguaggio internazionale) e la persona che ha un’influenza diretta sulla partita e si lascia corrompere. Quest’ultima può diventare un manipolatore a sua volta, ad esempio nei confronti di altri membri del suo team, facendo così da tramite fra l’esterno e l’interno della squadra. Ovviamente è diverso il caso di manipolazione per motivi sportivi. Cioè quella in cui dirigenti delle due società si siedono, anche metaforicamente, a tavolino e si mettono d’accordo sul risultato in modo che una delle due (in alcuni casi entrambe) ne tragga un vantaggio in termini di classi-


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fica o di qualificazione in un campionato, torneo o coppa. In questi casi è evidente che il fatto avviene, seppure illecitamente, “entro i confini” del calcio. Quello che a noi interessa maggiormente adesso è capire cosa succede nei casi in cui la corruzione arriva dall’esterno, per motivi che sono sempre di natura economica e sempre legati al mondo delle scommesse. Ovviamente non va sminuita la gravità del primo modello (in cui il tutto rimane all’interno delle due squadre). Una partita truccata è sempre un atto criminoso e sleale, che snatura il senso del calcio e che va punito senza se e senza ma. Ma la tipologia di manipolazione che ci interessa qui è quella proveniente dall’esterno, perché è la più aggressiva e la più pericolosa. È quella in cui ha trovato posto la criminalità organizzata, con i suoi interessi, i suoi mezzi, i suoi bisogni e quindi i suoi metodi. Concentriamoci adesso sul manipolatore di partite. Chi è? Da dove viene? Come entra in contatto con la squadra? Diciamo subito che ci sono più livelli organizzativi nel match fixing. Al top c’è una figura legata a un’organizzazione criminale. Ha spesso un passato da truffatore, conosce il mondo del calcio e quello delle scommesse. Sa che truccando partite può guadagnare molto: quanto o forse più di un trafficante di droga. In compenso il rischio è davvero cosa da poco. Al massimo rischia pochi anni di galera. In molti Paesi, come Singapore, cuore del match fixing internazionale, il rischio è sei mesi di carcere. Per traffico di droga, invece, in certi Paesi la condanna può arrivare anche alla pena di morte. Riassume questo concetto la seguente tabella.


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Trafficante di droga Match fixer Profitto

Ambiente

Elevato

Elevato

Caratterizzato da persone appartenenti Giocatori, alla criminalità arbitri, organizzata e quindi manager del estremamente calcio ecc. pericolose

Pena massima

Pena di morte In Italia fino a 30 anni di reclusione

Pochi anni di detenzione

Rischio

Altissimo

Basso

Quindi il manipolatore tipo, così come l’organizzazione da cui proviene, è uno che ha fatto bene i suoi calcoli e ha alle spalle i capitali dell’organizzazione criminale stessa. Ha un’alta mobilità, si sposta di frequente, si inserisce negli ambienti che gli interessano. Dalle indagini di polizia risulta che spesso questi “top truccatori” vengono dall’Asia. Il caso più emblematico è l’organizzazione di Dan Tan e la sua longa manus Wilson Raj Perumal. Questi ha truccato partite in tutto il mondo, in ogni continente. Si presentava spesso come un manager del calcio, faceva offerte di servizi alle associazioni di calcio. Tutto ciò per entrare a far parte del mondo calcistico di un Paese per poi in-


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trodurre i suoi scagnozzi o agire in prima persona, cercando all’interno di quel mondo le persone che poteva corrompere. In Sudafrica, ad esempio, Perumal si presentò al Segretario Generale della Federazione Nazionale (SAFA) con una lettera di accredito della CAF (Confédération Africaine de Football, la UEFA africana per intenderci) e della FIFA. La lettera era falsa ma, impressionata dalla competenza e dalla magnifica offerta di quell’uomo, la Safa non si informò presso la Caf o la FIFA sulla veridicità del documento. Gli dettero credito. Perumal offrì alla Safa il servizio della sua società “Football 4 U”: questa avrebbe fornito gli arbitri per i tornei sudafricani, mandandoli e pagandoli interamente. Proposta troppo allettante per essere rifiutata. E infatti Perumal inviava i suoi arbitri corrotti ad arbitrare le partite di quel Paese. I guadagni suoi e dell’organizzazione di Dan Tan tramite le scommesse furono enormi. Tutto questo per dimostrare quale capacità di penetrazione possono avere questi soggetti. Arriviamo così al secondo livello di manipolatori. Questi sono in genere persone di quello specifico Paese in cui l’organizzazione vuole operare o ben inseriti in esso (ad esempio i cosiddetti “Zingari” dell’indagine Last bet di cui ci occuperemo più avanti) ma possono anche essere calciatori o allenatori (in attività oppure ex), finanziatori del club, persone a cui quella squadra o quei giocatori sono legati da vecchia amicizia o dalle quali possono essere influenzati, come una vecchia e stimata conoscenza. Ovviamente i principali obiettivi o target dei manipolatori sono i giocatori e gli arbitri, cioè chi è sul campo e quindi può influenzare diretta-


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mente il risultato o lo svolgimento del gioco. Questi di secondo livello possiamo definirli i “manipolatori intermedi”: sono stati già “comprati” e la loro missione è corrompere a loro volta chi può influenzare la partita in campo. Molto difficilmente l’atleta, tecnico o arbitro “target”, cioè obiettivo della proposta di corruzione, verrà in contatto col primo livello dei manipolatori, ma il secondo livello può arrivargli molto vicino: può essere nell’ambiente intorno a lui, magari è quel simpaticone che gli offre da bere al bar o un ex compagno di squadra; oppure un altro calciatore, incaricato di corrompere un compagno per rendere il controllo del match più sicuro. Sta dunque al soggetto–target saperlo riconoscere. Come? Prima di spiegare i metodi usati dai corruttori è importante capire quali siano gli elementi chiave della perfetta manipolazione. Chi è il manipolatore tipo l’abbiamo capito. Ora passiamo agli altri punti. Il manipolatore delle partite, prima che un delinquente, è un fine psicologo. C’è una fortissima componente soggettiva e psicologica nel fenomeno del match fixing. Il manipolatore, per corrompere la vittima, la osserva, la studia, cerca di individuarne bisogni, aspirazioni, difficoltà. Al primo approccio, butta lì qualche battuta provocatoria, per osservarne la reazione. Per esempio all’occasione buona dice qualcosa come: “Fanno bene a farsi corrompere i giocatori, visto quanto poco vengono pagati...”. A questo punto l’altro potrebbe reagire con una battuta tipo “già, è vero” o “non sono d’accordo, chi fa queste cose merita la galera”.


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Già dalla risposta ricevuta il match fixer (ancora sotto mentite spoglie) può capire se il target ha le giuste caratteristiche per essere considerato disponibile a certe proposte, oppure se denota carattere, se ha un certo grado di etica o di buon senso. I giocatori più giovani, per esempio, sono i più presi di mira dai manipolatori professionisti. Sono inesperti, ingenui, immaginano un grande futuro nel calcio professionistico, sognano uno stile di vita simile ai loro beniamini, fatto di smartphone di ultima generazione, belle macchine e vestiti firmati. Il loro carattere è ancora altamente influenzabile. Sono l’obiettivo perfetto. La sola connotazione psicologica però da sola non basta. Gli elementi ambientali, certe caratteristiche sociologiche del funzionamento del gruppo e anche il livello di etica in cui si muove lo sportivo, e il suo vissuto personale e dell’ambiente da cui proviene hanno una grande influenza. Facciamo un esempio. Se la pratica del mettersi d’accordo fra squadre per pilotare il risultato del match che verrà giocato tra di loro è una cosa generalmente e socialmente accettata in quell’ambiente, è chiaro che tutti si adeguano pensando che è così che si fa. Il giocatore a cui capita l’offerta di pilotare una partita e di guadagnarci qualcosa allo stesso tempo, si auto giustifica pensando “se lo fanno loro perché non posso farlo anche io?”, prova meno vergogna, pensa che questa è la vita e bisogna adattarsi. Anche chi vive o chi è cresciuto in Paesi, città o quartieri difficili, dove la corruzione è tollerata quando non pienamente accettata, ha maggiori difficoltà a sentirsi in colpa se accetta del denaro per tradire.


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Ecco perché, soprattutto per i club che prendono calciatori che arrivano dall’estero o da zone o situazioni familiari difficili, sarebbe molto opportuno valutare anche il livello di etica del soggetto e il suo background (ambiente di provenienza, passati problemi di comportamento ecc.). Indirizzarli o approntare corsi di formazione per loro su questioni etiche, sui valori dello sport come valori universali, sulle norme penali e disciplinari, può aumentare il loro grado di consapevolezza e la loro sensibilità su questi temi. È stato riscontrato in molti casi che i giovani protagonisti del match fixing non credevano di fare qualcosa di cattivo o di commettere un reato. Consideravano la loro corruzione come un peccato veniale, soprattutto se si accettava solo per una volta o per poche volte o perché avevano bisogno di soldi. Non si rendevano letteralmente conto della gravità del fatto, si auto assolvevano. Aumentare la conoscenza e la consapevolezza di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato è sicuramente un punto importante per prevenire il fenomeno del match fixing. Un altro elemento importante da considerare è la situazione finanziaria (e di rimando la tranquillità economica) del soggetto. Nel 2012, la FIFPro, l’organizzazione mondiale dei calciatori professionisti, ha pubblicato, col titolo “Black Book, Eastern Europe”, uno studio condotto in due anni durante i quali sono stati intervistati 3.357 calciatori operanti in Kazakistan e nei seguenti Paesi dell’Europa dell’Est: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Montenegro, Polonia, Russia, Serbia, Slovenia e Ucraina. La task


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force costituita per svolgere il lavoro di interviste e sondaggi ha contattato calciatori che giocano o che giocavano nei campionati maggiori e minori. Molti di loro hanno chiesto l’anonimato per paura di ritorsioni sul lavoro. I membri della task force hanno dovuto fronteggiare resistenze e ostilità da parte delle Federazioni calcistiche di alcuni Paesi coinvolti, quindi forse possiamo affermare che probabilmente i dati che sono usciti dallo studio appaiono meno drammatici di quello che sono in realtà. Ciononostante i risultati emersi hanno sconvolto la stessa organizzazione che l’ha commissionato. Ne esce l’immagine di un calcio in cui pressioni, discriminazioni e violenze sono quasi all’ordine del giorno. Particolare sorprendente è la situazione degli stipendi. Non solo i calciatori ricevono importi che non sono lontanamente equiparabili a quelli dei Paesi dell’Europa occidentale ma spesso questi non vengono corrisposti affatto o non con regolarità. Il 41,4% degli intervistati non riceve lo stipendio alla data fissata. Il 5% deve aspettare più di sei mesi per averlo e il 2% oltre un anno. “Nell’Europa dell’Est c’è una terrificante mancanza di rispetto per i diritti dei calciatori professionisti”, così è riportato nell’incipit del “Black Book”. I calciatori affrontano il loro rapporto di lavoro come operai senza diritti né tutela sindacale. Mario Cizmek, giocatore croato, arrestato nel 2010 a casa sua, davanti ai suoi figli, con l’accusa di aver truccato delle partite, ha affermato più volte che il motivo principale che lo ha portato a fare questo è stato il mancato pagamento dello stipendio per quasi 14 mesi, che lo ha fatto diventare vulnera-


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bile e quindi un buon obiettivo per i match fixer3. “L’ho fatto per sopravvivere” ha più volte urlato Mario, spiegando che gli otto giocatori della sua squadra che lavorarono insieme per ottenere i risultati programmati non parlavano più di calcio tra di loro ma di come sopravvivere. “Perdevamo perché non giocavamo al 100%”, continua Mario nella sua intervista. “Ogni giorno chiedevamo quando ci avrebbero pagato e ogni giorno ricevevamo la stessa risposta. Torna domani o lunedì, ci dicevano e quando tornavamo la risposta era sempre la stessa: torna domani o lunedì. Tutta la squadra cadde così in depressione”. Così quando un membro dell’Associazione calcistica di Zagabria gli propose un modo per uscire dalla crisi Mario accettò di manipolare i risultati di sei partite che non erano importanti per il futuro del club perché sapevano già che avrebbero perso la Premier League. Cominciò così per Mario la sua discesa all’inferno. “Una partita dopo l’altra c’era una pressione costante e ci sentivamo anime perse e pieni di vergogna. La sensazione era terribile e sentivo di non poter tornare indietro. L’organizzatore era sempre presente, ovunque nelle nostre vite e ci metteva pressione. A ogni partita ci chiamava e ci diceva come dovevamo comportarci e così vendetti la mia anima per pochi soldi in rapporto a quello che ho perso e che sto vivendo oggi”4. Mario, suo malgrado, ha aperto il dibattito sulla questione se i calciatori vanno considerati “criminali” o “vittime” di A proposito di Mario Cizmek si veda la sua intervista al link http://stream.aljazeera.com/story/201406262041-0023881 4 Play the Game magazine 2013.

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questo crimine. Certo le situazioni personali difficili influenzano il giudizio ma riteniamo che vendersi l’anima al diavolo, come ha fatto Mario, sia comunque profondamente sbagliato. C’è sempre un’altra via. Oltre alle lunghe attese per avere il salario, i calciatori troppo spesso sono vittime di pressioni, a rinnovare o rescindere il contratto, o ad accettare la diminuzione dello stipendio sotto pressioni, minacce o violenze. L’11% si è infatti dichiarato vittima di violenze fisiche e psicologiche. Sono emersi casi come quello di Adis Stambolija, un giocatore della Premier League croata, che non ha ricevuto il pagamento del salario e delle spese dell’appartamento per più di nove mesi. In quel periodo ha dormito nello spogliatoio perché non aveva i soldi per pagarsi una camera in affitto e la benzina. Il russo Igor Strelkov, a causa della mancanza di soldi del suo club, fu costretto a fare sessioni di allenamento individuali correndo attorno allo stadio per giorni a -20°C. Un giudice croato ha definito la condizione dei giocatori del suo Paese paragonabile a quella della “schiavitù”5. In situazioni del genere è davvero facile cadere nelle mani della criminalità organizzata. Infatti il 12% degli intervistati ammette di aver ricevuto almeno una richiesta di truccare una partita e tra questi il 38,6% è stata vittima di almeno un atto violento. Infine, quasi un quarto degli intervistati ha dichiarato di essere a conoscenza che i risultati delle partite del proprio campionato sono decisi in anticipo. 5

«Black Book», FIFpro, pag. 16.


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Può essere noioso leggere numeri e percentuali, ma dà bene l’idea di quanto la situazione sia tragica in questa zona dell’Europa. E comunque va precisato che per l’Est Europa abbiamo ora uno studio scientifico, ma i problemi evidenziati dallo studio pubblicato dalla FIFPro, in particolare con riguardo al ritardo nel pagamento degli stipendi, sono stati riscontrati dappertutto. Possiamo affermare che il ritardo dei pagamenti degli stipendi rende vulnerabili i giocatori e il personale che ruota attorno al club. Riassumiamo quindi i tre elementi chiave che facilitano o preparano il terreno alla manipolazione, rendendo il soggetto (calciatore, arbitro o altro sportivo) un elemento vulnerabile, un perfetto obiettivo per un manipolatore seriale: -- situazione psicologica del target (determinata dai propri bisogni, grado di etica, giovane età o carattere debole o impressionabile); -- base sociale o ambientale compromessa (ambiente di provenienza degradato e/o ambiente in cui combine e corruzione sono tollerate); -- situazione economica personale precaria. Per alcuni si potrebbe aggiungere un quarto elemento che può anche sostituire il terzo: l’“ambizione”. Questa è un’affermazione vera soprattutto per gli arbitri. C’è ad esempio un momento molto delicato della carriera di alcuni di essi, quando possono fare il salto di qualità e diventare arbitri internazionali. Migrando nella categoria degli internazio-


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nali non solo aumentano sostanzialmente lo stipendio ma possono lavorare fino a 45 anni, in alcune Federazioni dieci anni in più rispetto agli altri arbitri. Quindi se ipotizziamo un guadagno potenziale di circa 200 mila euro all’anno, ecco che la promozione ad arbitro internazionale vale intorno a 2 milioni di euro. Ci sono stati arbitri caduti nella rete dei match fixer proprio perché allettati dall’aiuto che l’influente manipolatore prometteva di dare per la promozione ad arbitro internazionale. Quindi lo stato della carriera di un arbitro è determinante per un match fixer nella scelta del target per la manipolazione. Quelli papabili per una promozione sono target più appetibili e quindi sono quelli più a rischio6. Concentriamoci ora nel capire chi sono statisticamente i principali target dei match fixer. Cioè, chi sono le persone a rischio di diventare obiettivi di manipolatori e faccendieri. In base a quanto è già venuto fuori dalle investigazioni a livello mondiale, INTERPOL ha stilato una classifica che mette in quest’ordine i principali target: 1 Calciatori; 2 Arbitri e guardalinee; 3 Agenti dei giocatori; 4 Allenatori; 5 Proprietari dei club; 6 Amministratori dei club. Calciatori e arbitri, come detto, sono di gran lunga i principali bersagli dei match fixer. Quando si costruisce una strategia di prevenzione del fenomeno delle partite truccate non si può non considerare che una speciale attenzione va data a queste due categorie. Partite Truccate e Carriere Arbitrali: lezioni da Calciopoli – Tito Boeri e Battista Severgnini – 23 Marzo 2011.

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4. Basta una sola persona? Quante persone servono sul campo per manipolare una partita e far succedere quello che si vuole? Attenzione: ripetiamo che la manipolazione non riguarda solo il risultato finale di una partita ma anche tutto ciò che succede sul campo. Durante gli ultimi mondiali di calcio in Brasile, nell’ultima sfortunata partita giocata dall’Italia, l’italiano Chiellini ha ricevuto un morso alla spalla dal giocatore uruguayano Suarez, peraltro recidivo dato che in altre gare, nelle stagioni passate, aveva già morso almeno altri due avversari durante azioni di gioco. Ebbene, si poteva scommettere online sul morso di Suarez. Ben 167 persone l’hanno fatto guadagnandoci una piccola fortuna. Uno di questi, un ragazzo norvegese, ha puntato 3 sterline sul morso di Suarez e ha portato a casa 175 volte la posta, oltre 500 sterline7. Ma torniamo alla domanda originale: quante persone bisogna corrompere per truccare una partita? Per rispondere bisogna tenere a mente quello che abbiamo appena detto, e cioè il fatto che possiamo considerare manipolata anche la partita che presenta degli accadimenti decisi prima o durante il match e che dipendono esclusivamente anche dalla volontà di una sola persona (un cartellino giallo, un calcio d’angolo, un fallo…) e che più è influente la persona corrotta sul campo di calcio più il risultato o l’evento programmato sarà possibile. Certo che se devo manipolare il risultato finale (numero di gol, per esempio), le probabihttp://www.gazzetta.it/Calcio/Mondiali/25-06-2014/morso-suarez-vale-700-euro-li-ha-vinti-scommettitore-norvegese-801037615199.shtml 7


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lità di successo aumentano in base al numero di persone “compiacenti” in campo. Ma il match fixer sa pure che più persone sono coinvolte, più denaro serve per corromperle, e inoltre aumenta il rischio che il gioco sporco venga scoperto. C’è quindi un lucido calcolo di costi/benefici e con esso una lucida scelta della persona o delle persone da corrompere alla base delle scelte del manipolatore. Ciò che gli conviene quindi è coinvolgere il minor numero di persone possibile che abbiano un alto grado di influenza sulla partita per come la si vuole pilotare. Sui gol da subire quindi la collaborazione del portiere è fondamentale. Per essere più tranquilli, anche uno o due giocatori della difesa potrebbero aiutare. C’è sempre una componente di rischio per i manipolatori, e cioè che succeda qualcosa di non previsto sul campo, come un rigore fischiato a favore della squadra che dovrebbe perdere, un’espulsione, un infortunio sul campo della squadra che dovrebbe vincere. Come è ben evidenziato nei casi di Cremona, molte volte il risultato difforme da come programmato crea tensioni all’interno dell’organizzazione criminale. Quando gli scommettitori perdono somme ingenti, aumenta terribilmente la pressione sui calciatori coinvolti nell’organizzazione non solo perché questi si sentono col fiato sul collo ma anche perché spesso loro stessi avevano scommesso e perso dei soldi, finendo per indebitarsi con la stessa organizzazione criminale. Alla domanda su quante persone bastano per manipolare una partita la risposta è: può bastarne anche una sola, o nessuna...


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5. Le partite fantasma Wilson Raj Perumal, il più grande, dotato e attivo match fixer di tutti i tempi, era talmente abile e accreditato negli ambienti giusti che riuscì ad organizzare e a far quotare dai bookmaker partite amichevoli completamente costruite da lui, con squadre e arbitri assunti da lui e che davano alla partita lo svolgimento e il risultato che lui aveva deciso. I giocatori e gli arbitri giocavano sul campo come attori in teatro che recitano un copione già scritto. Un caso celebre, che conferma la creatività criminale e le capacità di sapersi muovere nell’ambiente calcistico di Perumal, è la partita-farsa giocata a Manama nel 2010 tra la nazionale del Bahrain e una presunta “Nazionale del Togo” che fu poi scoperta essere falsa. La partita finì 3-2 per il Bahrain e la squadra togolese era così scarsa che sollevò qualche sospetto nella Federazione calcistica locale. A seguito di un’indagine della FIFA, si scoprì che in realtà non si trattava della vera squadra Nazionale del Togo ma di un gruppo di ragazzi africani ingaggiati da un sedicente impresario. Questi giovani si erano presentati a Manama con tanto di divise ufficiali e inno nazionale in sottofondo. Una truffa che ha del grottesco. Eppure è successo. Ma Perumal si è spinto anche oltre. Ha inventato i cosiddetti “Ghost Matches”, le partite fantasma. Partite mai avvenute, con squadre inesistenti, nomi inventati, gare pubblicizzate e quotate sui siti dei bookmakers, con tanto di scommesse riscosse, con rigori e rimesse laterali e risultati precisi. Tutto falso. Quelle partite non sono mai state gio-


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cate in nessuna parte del mondo, ma hanno permesso a Perumal e al suo clan di guadagnare, a rischio zero, milioni di dollari sui siti di scommesse. Perumal ha “organizzato” decine di partite amichevoli inesistenti. Una delle più conosciute è il match Under 21 Turkmenistan-Maldive con risultato 3-2. Questa partita, mentre in molti si chiedevano perché non c’erano video dell’evento, neanche un amatoriale su You Tube8, fu in seguito riconosciuta come un “Ghost Match”: partita mai avvenuta, e infatti entrambe le Federazioni calcistiche interpellate negarono di conoscerla. Wilson Raj Perumal ha operato in tutti i continenti. Ha truccato partite di un gran numero di leghe, ovunque. Ha anche comprato dei club così da poter gestire le partite direttamente come proprietario. È stato considerato il braccio destro del boss singaporiano Dan Tan Set Eng, operante con milioni di dollari nel settore delle scommesse. È stato arrestato nel 2011 a Rovaniemi, in Finlandia mentre stava usando un passaporto falso. Indiziato di aver truccato il campionato finlandese, è rimasto per qualche tempo in prigione, da dove ha cominciato a collaborare con le autorità. Perumal è stato anche ascoltato dalla Polizia italiana essendo uno degli artefici dei casi incriminati in Italia tra il 2010 e il 2011. Senza dubbio è stato un collaboratore importante, che ha svelato moltissimo su come funziona questo mondo di scommesse e http://forums.bigsoccer.com/threads/why-no-video-of-turkmenistan-maldivesu-21-friendly-was-available-on-tube-sites.1944341/ 8


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match fixing. Le sue rivelazioni sono state per molti versi illuminanti per gli investigatori. Successivamente, estradato in Ungheria per gli stessi reati, si dice abbia ripreso la sua attività di match fixer. Perumal è tuttora un manipolatore seriale di partite. Dal carcere scrisse “Io possiedo le chiavi del vaso di Pandora. E non esiterò ad aprirlo”9.

6. Metti un drink al bar Omar Pape Faye, giocatore senegalese squalificato a vita dal calcio dopo aver collaborato nel truccare due partite in Svizzera, riferisce, nell’intervista che riporteremo più avanti, di essere stato approcciato da un match fixer in un bar dove si trovava con la sua squadra, alla fine di un allenamento. Ciò che è interessante notare per ora è il luogo dove è avvenuto l’approccio, e cioè un bar. L’uomo che lo ha avvicinato era un perfetto sconosciuto e nonostante questo è riuscito a penetrare nella sua vita, portandolo a fare ciò che mai avrebbe anche solo immaginato di fare, nonostante sapesse che era estremamente sbagliato. In realtà questo particolare riferito da Omar si aggiunge al fatto che lo sconosciuto si presenta bene, conosce bene il mondo del calcio, è affabile e gli offre da bere. In breve tempo lo fa sentire suo amico, uno che sa tante cose di lui e dei suoi bisogni e difficoltà. Questo scenario non è unico e non Per chi vuole saperne di più sulla vita di W. R. Perumal v. E-book “Kelong Kings” di W.R. Perumal, A. Righi e E. Piano, 2014. 9


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è capitato solo a Omar. Sono moltissimi i giocatori e gli arbitri finiti nella rete dei match fixer proprio cominciando da un drink al bar con uno sconosciuto. Ci rivolgiamo ora direttamente ai tesserati, tutti possibili target. Quello appena descritto è forse il metodo principe usato dai manipolatori che vogliono installarsi in un Paese o in un nuovo ambiente sportivo. Sono bravi, simpatici, ti chiedono come stai e si interessano di te. Ti offrono da bere e anche di aiutarti. Tutto ciò ti fa piacere, anche se è strano che una persona sconosciuta sappia tante cose di te. Cose come quanto guadagni, da dove vieni, il fatto che a volte i soldi non ti bastano, che vorresti un appartamento più grande o una nuova macchina. Si verifica quello che gli inglesi chiamano “grooming”, una sorta di corteggiamento di breve o di lunga durata atto a carpire la fiducia della vittima individuata la quale, dopo i favori ricevuti, si sentirà in debito e troverà difficile a quel punto dire di no a qualsiasi richiesta. Sarà proprio in quel momento che si sentirà pressata a rendere qualche favore. E magari il favore, anche se tra mille titubanze, viene reso. Spesso la prima richiesta non è così pretenziosa. Generalmente il faccendiere chiede solo un piccolo favore come, ad esempio, mettere una palla in angolo al 16° minuto. “Va bene, in fondo cosa c’è di male a gettare la palla fuori, proprio al momento richiesto?”. Sente che è un favore che può essere reso senza troppi sensi di colpa in quanto un calcio d’angolo o una rimessa laterale non influenza l’andamento della partita. Il problema è che il povero calciatore non immagina minimamente le conseguenze del suo sì. In primis quel calcio


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d’angolo al 16 minuto, da parte di quella specifica squadra, ha già fatto guadagnare al sedicente “amico” e alla sua banda un bel gruzzoletto di danaro sul mercato delle scommesse. In più il calciatore non sa di essere stato complice di siffatta frode e, quel che è ancora peggio, finisce nella rete del match fixer. Da quel momento in poi le richieste diventano incessanti e sempre più pretenziose. Le richieste cambiano tono. La vittima comincia a realizzare che non sta più facendo un favore: sta diventando un collaboratore e forse poi un membro dell’organizzazione criminale stessa, pur non partecipando alla quantità enorme di guadagni che essa è capace di realizzare. Riceve un compenso, non una percentuale sui guadagni. In Italia l’indagine Last bet ha rivelato l’esistenza di un vero e proprio listino dei prezzi per chi accettava di farsi corrompere. Da qui in poi vieni istigato o ti viene richiesto non solo di non fare il tuo dovere sul campo (“gioca all’80% delle tue capacità” si sentì chiedere Pape Omar Faye) ma addirittura di essere tu a corrompere qualche altro membro della squadra diventando match fixer a tua volta. I tuoi guadagni così cresceranno e soprattutto la cricca criminale potrà contare anche sul tuo silenzio, ora che sei parte del gioco. Denunciare la frode significherebbe infatti denunciare anche i tuoi misfatti, con conseguenze penali. Significherebbe perdere la faccia dinanzi ai tuoi compagni, familiari, amici, fans, senza contare il rischio di perdere il lavoro. Le indagini in vari Paesi hanno dimostrato come sia breve il passo dal “fare un favore” al diventare parte della cricca, dalla seduzione da parte del match fixer al trasformarti in un bersaglio delle sue minacce se cerchi di tirarti indietro.


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A tale proposito, crediamo sia utile una piccola tabella che riassume le tipologie d’approccio da parte del match fixer nei confronti della vittima prescelta. Approccio diretto

Il match fixer entra in contatto con il prescelto direttamente, senza intermediari. O lo conosce già (ex compagno o collega, membro del club ecc.) o è un estraneo che ha già studiato la persona e sa molto di lei, delle sue passioni e delle sue difficoltà o anche delle sue aspirazioni. L’ambiente scelto è sempre un luogo tranquillo, di relax o di svago: lo spogliatoio vuoto, un bar, un night club, una sala giochi. La proposta viene quasi sempre presentata come un’opportunità per fare un po’ di soldi.

Approccio indiretto

Il match fixer entra in contatto con il target attraverso altre persone come ex colleghi, amici, parenti. Diventa “amico di...” e quindi gode della stessa credibilità e fiducia della persona che lo ha introdotto. A volte l’intermediario è consapevole delle reali intenzioni del faccendiere e la sua presenza rafforza la credibilità di quest’ultimo, nonché la possibilità che questi possa fare colpo sulla persona designata. A volte è in buona fede e introduce il match fixer per fare un favore allo stesso o a qualche altro amico comune o collega. La proposta viene presentata come una buona occasione per ricavarci un po’ di soldi. Questa diventa ancora più credibile se il tutto avviene alla presenza della persona che lo ha introdotto. Rifiutare fa sentire lo sportivo come uno che non vede gli affari, uno che non capisce come va la vita. Arriva a sentirsi anche uno stupido se rifiuta. La pressione psicologica è fortissima.


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Grooming

Il match fixer è qualcuno che entra in contatto con il target (non importa come) e per un lunghissimo tempo si adopera per carpirne la fiducia. Si mette sempre a disposizione per aiutarlo, gli fa dei regali, è sempre gentile e non chiede niente in cambio. Qualche volta millanta conoscenze importanti nel mondo dello sport. Cerca di accumulare dei favori a credito perché al momento giusto presenterà il conto. La proposta arriva come una richiesta di cortesia, un piccolo favore. La prima richiesta non è mai pretenziosa: un piccolo fallo in quel momento della partita, dare una rimessa laterale alla squadra avversaria a quel preciso minuto. Richieste che non provocano sensi di colpa nello sportivo, il quale sente di poterlo fare senza mettere a rischio il risultato del match.

Nuove forme di approccio

Recentemente sono stati rilevati casi di tentativi di approccio, soprattutto nei confronti di giovanissimi calciatori, via social networks, in particolare attraverso Facebook. Messaggi che promettono smartphone di ultima generazione, Ipad, eccetera, o messaggi di gente che si propone come manager capace di negoziare i migliori contratti, possono provenire da un match fixer*. Qui il faccendiere fa leva sulle ambizioni del giovane calciatore, sul bisogno narcisistico dell’adolescente di essere considerato e valutato. Offrirgli oggetti che sottolineano lo status symbol del calciatore professionista agiato economicamente, come tablet e smartphone di ultima generazione, fa parte del modus operandi del manipolatore.

In casi come questo, il calciatore non deve rispondere al messaggio ma deve salvare e conservare quelli ricevuti. Occorre inoltre parlarne prima possibile alla direzione del proprio club che farà una prima valutazione. *


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Le indagini hanno anche dimostrato come, soprattutto gli arbitri, siano oggetto di tentativi di approccio col metodo delle offerte sessuali. In molti casi, degli arbitri hanno ricevuto belle donne già pagate dai faccendieri nelle loro camere d’albergo. Un caso particolare ci viene raccontato nel libro-fenomeno sul match fixing di qualche anno fa “The fix”10, nel quale si racconta di una terna arbitrale che viene ricevuta da un manager di una delle due squadre in gara: i tre vengono accompagnati in un centro commerciale e viene proposto loro di fare degli acquisti. Il manager dice loro che non debbono preoccuparsi in quanto “... tutto è già pagato”.

7. Dire NO Rifiutare un’offerta di danaro quando se ne ha bisogno, ma anche quando si ha il necessario per vivere, non è facile. Lo sappiamo tutti. Dobbiamo fare i conti con la natura umana. I manipolatori asiatici lo sanno bene e spesso hanno messo in mano alle loro vittime la busta col danaro contante per farglielo toccare e desiderare, per esercitare una fortissima pressione sulla loro volontà. Immagina anche tu come ti sentiresti se qualcuno ti mettesse nelle mani una considerevole somma di danaro, diciamo 100mila euro in contanti. Comincia una battaglia dentro di te. Quante cose potresti fare con questi soldi... “Potrei com“The fix” è edito in Italia col titolo “Calcio Mafia”, Declan Hill ed. Rizzoli – 2008. 10


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prarmi la macchina dei miei sogni” o “pagarmi il mutuo della casa”, oppure “portare mia moglie a far quel viaggio che desidera tanto”. “Che faccio? Li prendo? So che non dovrei ma sono tanti e posso realizzare molte cose con questi”... Senti che tutto ciò che ti separa dalla realizzazione dei tuoi desideri dipende solo da un sì o da un no. Attento. È questo il momento critico. Il desiderio di tenerti quei soldi è fortissimo. Comincia qui il processo di ricerca delle auto giustificazioni. “In fondo è solo per una volta. Non lo farò mai più”. “Questa persona mi dice che non lo saprà mai nessuno, voglio crederle”. “Il mio club mi ha fatto un pessimo contratto, meritavo di più”. “È giusto che prenda questi soldi, non mi pagano da tre mesi, così imparano” ... e via dicendo. Auto giustificazioni, auto assoluzioni che non diminuiscono il disvalore dell’azione che quella persona ti sta chiedendo di fare. Come vedrai meglio dalle testimonianze di chi c’è passato, dire di sì è la scelta sbagliata. Nel lungo periodo non funziona. Rischi moltissimo. Conseguenze penali, perdita del lavoro e della tua dignità, perdita di fiducia da parte dei tuoi fans, dei tuoi amici e dei tuoi familiari. Ricorda che i match fixer sono molto abili. Se ti dicono che nessuno verrà a saperlo, non credergli. Nessuno verrà a saperlo finché farai sempre quello che vorranno loro. Useranno il tuo sì per ricattarti nel futuro. La Polizia inoltre utilizza mezzi di indagine sempre più sofisticati e ciò che è successo può venire alla luce in qualunque momento. Se qualcuno ti chiede di fare una determinata azione in campo, ricorda che quella azione, per te innocente, potreb-


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be fruttare centinaia di migliaia di euro a chi te l’ha chiesta e alla sua cricca di scommettitori. Il match fixer non è tuo amico, anche se si presenta bene, ti tratta bene e ti fa tante promesse per la tua carriera. Tutto ciò fa parte del suo repertorio al fine di convincerti. Diffida anche del collega o del compagno o del vecchio amico che ti fa una simile proposta. Se davvero tenessero a te non ti proporrebbero mai niente del genere. Tieni presente che chi ti approccia quasi sempre è l’ultimo anello di una catena criminale molto più lunga e articolata di quel che sembra. Le organizzazioni criminali usano metodi criminali. Potrebbero minacciarti e rendere la tua vita un inferno. Diventi parte del loro gioco e diventa difficile trovare una via d’uscita. Il giocatore Mario Cizmek era molto reticente nel collaborare con la giustizia perché aveva paura delle ritorsioni della criminalità di Zagabria, dalla quale era stato assoldato per truccare le partite del campionato del suo Paese. Perciò se qualcuno ti dovesse chiedere di fare qualcosa contro la tua squadra e contro i valori dello sport, non avere esitazioni: dici di NO e riporta l’episodio alla persona designata dal tuo club o all’allenatore o a chiunque altro della squadra di cui ti fidi. E se non c’è nessuno di cui ti fidi, rivolgiti alla polizia. Quella persona potrebbe tentare di corrompere un altro membro della tua squadra o gli arbitri e va fermato. Una volta riportato l’episodio, il tuo club o le forze dell’ordine ti daranno l’assistenza che ti serve e dopo una prima valutazione del caso sapranno cosa fare.


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INTERPOL contro il match fixing propone “La strategia delle tre “R”: Recognize, Resist and Report che in italiano possiamo tradurre con Riconosci il tentativo di manipolazione, Resisti dicendo di no e Riporta immediatamente l’accaduto. La FIFA e la UEFA hanno creato uno speciale sito web11 dove riferire episodi di match fixing, in via anonima, e quest’ultima ha anche creato una speciale App che puoi scaricare gratuitamente dal tuo App Store. Si chiama “UEFA Integrity”. Perciò non esitare a dire di no e a denunciare qualunque proposta di manipolazione. Non te ne pentirai mai perché è la scelta giusta.

8. E ora come ne vieni fuori? Come è facile intuire, dopo quanto spiegato finora, la migliore scelta che si possa fare è quella di non farsi mai coinvolgere in una situazione di questo tipo, e nel momento in cui avviene un tentativo di approccio denunciarlo subito. La Federcalcio e le Leghe di A, di B e la Lega Pro prevedono una procedura di denuncia di un tentativo di “aggiustamento” di una partita. Cosa fare nel caso in cui tu sia già coinvolto in una faccenda di match fixing? Dare un consiglio quando un tesserato è già dentro al giro è davvero difficile e ciò che gli conviene fare dipende dal grado di coinvolgimento. In questi casi, il https://www.bkms-system.net/FIFA; https://integrity.uefa.org/index.php?action=reportIncident&type=report

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sostegno del proprio club o della persona deputata a questo tipo di problematiche è sempre importante ma non è più sufficiente. Bisogna infatti considerare che quasi sempre i calciatori (o gli arbitri) coinvolti in affari di manipolazione di partite non avevano informazioni sufficienti che potessero aiutarli a capire la dimensione del fenomeno che stava realmente sopra le loro teste. Lo sportivo che si è lasciato corrompere, in sostanza, non sa se dietro a tutto questo c’è una gang di sprovveduti o un’organizzazione ad alta potenzialità criminale. Se c’è un’organizzazione criminale locale o internazionale, ciò significa che il giocatore coinvolto non riesce ad afferrarne gli aspetti di pericolosità. Generalmente lo sportivo corrotto conosce solo la parte meno importante (ed eventualmente “sacrificabile”) dell’organizzazione, la base. Non sa e non può sapere quanto c’è di più salendo la gerarchia dell’associazione criminale. Per questo diciamo che l’assistenza del proprio club è molto importante ma da sola non basta. Occorre rivolgersi invece alla Polizia il più presto possibile, mettendo in luce ciò che è successo e ciò che si sa. Solo così, unitamente ad altri elementi investigativi raccolti, l’ufficio investigativo competente può realizzare un primo quadro della situazione, valutare il grado di pericolosità della stessa e approntare i primi interventi di protezione della persona denunciante. A titolo d’esempio, Simone Farina (che non cascò nella trappola dei match fixer), come si vedrà più in là, dichiarò che quando alla televisione vide i 22 arresti che la sua denuncia aveva contribuito a causare, e tutte le informazioni divenute pubbliche in seguito, non


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avrebbe mai immaginato che potessero esserci così tante persone dietro, e men che meno che gli originari corruttori e capitali venissero addirittura dall’Asia. Continuare a tacere, e addirittura continuare nella collaborazione con questi soggetti anche dopo tutto ciò che si sta apprendendo in questo libro, sarebbe davvero un’infausta scelta, che potrebbe comportare conseguenze ben più gravi da fronteggiare rispetto a quelle che affronta chi decide di alzare la testa, dice “ora basta” e va a denunciare.


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